Don Bosco e la raccolta differenziata dei rifiuti porta a porta
Chi l’avrebbe mai detto? Don Bosco ecologista anzitempo? Don Bosco pioniere della raccolta differenziata dei rifiuti a domicilio 140 anni fa?
Si direbbe di sì, stando almeno ad una delle lettere che abbiamo recuperato negli anni scorsi e che si trova nel IX volume dell’epistolario (no. 4144). Si tratta di una circolare a stampa del 1885 che nel suo piccolo – la città di Torino dell’epoca – anticipa e, ovviamente a suo modo, “risolve” i grandi problemi che affronta la nostra società, quella cosiddetta dei “consumi” e dell’“usa e getta”.
Il destinatario Trattandosi di una lettera circolare il destinatario è generico, una persona conosciuta o meno. Don Bosco con furbizia ne “cattura” subito l’attenzione definendola “benemerita e caritativa”. Fatta tale premessa, don Bosco indica al suo corrispondente un dato di fatto sotto gli occhi di tutti:
“La S. V. saprà che le ossa, avanzate dalla mensa e generalmente dalle famiglie gettate nella spazzatura come oggetto d’ingombro, riunite in grande quantità riescono in quella vece utili alla umana industria, e sono perciò ricercate dagli uomini dell’arte [= industria] pagate alcuni soldi per miriagramma. Una società di Torino, colla quale mi sono messo in rapporto, ne acquisterebbe in qualsivoglia quantità”. Dunque ciò che darebbe fastidio, tanto in casa che fuori casa, magari per le strade della città, viene saggiamente utilizzato con vantaggio di tanti.
Un’alta finalità A questo punto don Bosco lancia la sua proposta: “In vista di ciò e in conformità di quanto si va già praticando in alcuni paesi a favore di altri Istituti di beneficenza, io sono venuto nel pensiero di ricorrere alle benestanti e benevole famiglie di questa illustre città, e pregarle, che invece di lasciare che vada a male e torni disutile questo rifiuto della loro tavola, lo vogliano cedere gratuitamente a benefizio dei poveri orfanelli raccolti ne’ miei Istituti, e specialmente a vantaggio delle Missioni di Patagonia, dove i Salesiani con ingenti spese e con pericolo della propria vita stanno ammaestrando ed incivilendo le tribù selvagge, per far loro godere i frutti della Redenzione e del verace progresso. Simile ricorso e siffatta preghiera io fo pertanto alla S. V. benemerita, convinto che vorrà prenderli in benigna considerazione ed esaudirli.”
Il progetto sembrava appetibile da più parti: le famiglie si liberavano di parte dei rifiuti da tavola, la ditta era interessata a raccoglierli per riutilizzarli diversamente (prodotti alimentari per animali, concimi per la campagna ecc.); don Bosco ne ricavava denaro per le missioni… e la città rimaneva più pulita.
Una perfetta organizzazione La situazione era chiara, l’obiettivo era alto, i vantaggi erano di tutti, ma non potevano bastare. Occorreva procedere alla raccolta di ossa “porta a porta” in tutta la città. Don Bosco non si scompone. Settantenne, ha ormai dalle sue profonde intuizioni, lunga esperienza ma anche grande capacità manageriali. Ecco allora organizzare tale “impresa” facendo attenzione ad evitare i sempre possibili abusi nelle varie fasi dell’operazione-raccolta: “A quelle famiglie, che avranno la bontà di aderire a questa umile mia domanda, sarà consegnato un apposito sacchetto, ove riporre le ossa mentovate, le quali verrebbero spesso ritirate e pesate da persona a ciò incaricata dalla società acquisitrice, rilasciandone un buono di ricevuta, il quale per caso di controllo colla società medesima sarebbe di quando in quando ritirato a nome mio. Così alla S. V. non resterà altro da fare che impartire gli ordini opportuni, affinché questi inutili avanzi della sua mensa, che andrebbero dispersi, siano riposti nel sacchetto medesimo, per essere consegnati al raccoglitore e quindi venduti ed usufruiti dalla carità. Il sacchetto porterà le lettere iniziali O. S. (Oratorio Salesiano), e la persona che passerà a vuotarlo presenterà pure un qualche segno, per farsi conoscere dalla S. V. o dai suoi famigli[ari]”. Che dire? Se non che il progetto sembra valido in tutte le sue parti, addirittura migliore di qualche analogo progetto delle nostre città di terzo millennio!
Gli incentivi Ovviamente la proposta andava sostenuta con qualche incentivo, non certo di tipo economico o promozionale, bensì morale e spirituale. Quale? Eccolo: “la S. V. si renderà benemerita delle opere sopraccennate, avrà la gratitudine di migliaia di poveri giovinetti, e quello che maggiormente importa ne riceverà la ricompensa da Dio promessa a tutti coloro, che si adoperano al benessere morale e materiale del loro simile”.
Una modulistica precisa Da uomo concreto escogita un mezzo, che diremmo modernissimo, per riuscire nella sua impresa: chiede ai suoi destinatari di rimandargli indietro il tagliando, messo in calce alla lettera, che porta il suo indirizzo: “La pregherei ancora di volermene assicurare per mia norma e pel compimento delle pratiche a farsi, col distaccare e rimandarmi la parte di questo stampato, la quale porta il mio indirizzo. Appena avuta la sua adesione darò ordine che le sia consegnato il mentovato sacchetto”. Don Bosco chiude la sua lettera con la consueta formula di ringraziamento e di augurio, che tanto tornava gradito ai suoi corrispondenti. Don Bosco, oltre che essere un grande educatore, un lungimirante fondatore, un uomo di Dio, è stato anche un genio della carità cristiana.
Questo è amore…
Questo è il bene semplice e silenzioso che ha fatto Don Bosco. Questo è il bene che continuiamo a fare insieme.
Amici, lettori del Bollettino Salesiano: ricevete come ogni mese il mio cordiale saluto, un saluto che preparo lasciando parlare il mio cuore, un cuore che vuole continuare a guardare al mondo salesiano con quella speranza e quella certezza che aveva Don Bosco stesso, che insieme possiamo fare molto bene e che il bene che si fa deve essere fatto conoscere. Rivedo in tanti salesiani la “passione” di don Bosco per la felicità dei giovani. Una formula divenuta famosa cerca di condensare il sistema educativo di don Bosco in tre parole: ragione, religione, amore. Scuola, chiesa, cortile. Una casa salesiana è tutto questo realizzato nella pietra. Ma l’oratorio di don Bosco è molto di più. È un arsenale di stimoli e creatività: musica, teatro, sport e passeggiate che sono vere immersioni nella natura. Il tutto condito da un affetto reale, paterno, paziente, entusiasta.
Madre coraggio Ebbene, mentre leggo con dolore e preoccupazione la cronaca del Sudan, dove la situazione di tutti è molto difficile, e anche la situazione salesiana, oggi vorrei offrire un’altra bella testimonianza, anche se questa volta non sono stata testimone oculare, ma racconto quello che mi è stato condiviso. La scena si svolge a Palabek (Uganda), dove, in concomitanza con l’arrivo dei primi rifugiati, cinque anni fa, noi salesiani di Don Bosco abbiamo voluto andare con i primi rifugiati. La tenda era l’alloggio e la cappella per la preghiera e la celebrazione della prima Eucaristia era l’ombra di un albero. Ogni giorno al Palabek arrivavano centinaia e centinaia di rifugiati dal Sudan. Prima a causa del conflitto nel Sud Sudan. A distanza di anni, continuano ad arrivare, ora a causa del conflitto in Sudan (Nord Sudan, si intende). A dirmi quello che vi sto raccontando è stato il Consigliere generale per le Missioni che qualche giorno prima era andato a Palabek per continuare ad accompagnare questa presenza in un campo profughi dove sono già state accolte decine di migliaia di persone. Dieci giorni fa è arrivata una donna con undici bambini. Da sola, senza alcun aiuto, aveva attraversato diverse regioni piene di pericoli per sé e per i bambini; aveva percorso più di 700 chilometri a piedi nell’ultimo mese e il gruppo di bambini stava crescendo. Ed è di questo che voglio parlare, perché questa è UMANITÀ e questo è AMORE. Questa donna è arrivata a Palabek con undici bambini affidati a lei, e li ha presentati tutti come suoi figli. Ma in realtà sei erano suoi figli frutto del suo grembo. Altri tre erano figli del fratello morto da poco e di cui si era fatta carico, e altri due erano piccoli orfani che aveva trovato per strada, soli, senza nessuno e naturalmente senza documenti (chi può pensare ai documenti e alla documentazione quando mancano le cose più essenziali per la vita?), ed erano diventati figli adottivi di questa donna. In alcune occasioni, una madre che ha dato la vita per difendere il proprio figlio è stata definita “madre coraggio”. In questo caso, vorrei dare a questa madre di undici figli il titolo di Madre Coraggio, ma soprattutto di donna che sa molto bene – nelle “viscere del suo cuore” -, cosa sia amare, fino a soffrire, perché vive e ha vissuto in assoluta povertà con i suoi undici figli. Benvenuta a Palabek, Mamma coraggiosa. Benvenuta alla presenza salesiana. Senza dubbio si farà tutto il possibile perché a questi bambini non manchi il cibo, e poi un posto per giocare e ridere e sorridere – nell’oratorio salesiano – e un posto nella nostra scuola. Questo è il bene semplice e silenzioso che ha fatto Don Bosco. Questo è il bene che continuiamo a fare insieme perché, credetemi, sentire che non siamo soli, avere la certezza che molti di voi vedono con piacere e simpatia lo sforzo che facciamo ogni giorno a favore degli altri, ci dà anche molta forza umana, e senza dubbio il Buon Dio la fa crescere. Vi auguro una buona estate. Senza dubbio la nostra, anche la mia, sarà più serena e confortevole di quella di questa mamma di Palabek, ma credo di poter dire che avendo pensato a lei e ai suoi figli, abbiamo, in qualche modo, costruito un ponte. Siate molto felici.
Un centro di protezione per ragazzi di strada a Lagos, Nigeria
A Lagos, in Nigeria, in una città sovrappopolata e in continua crescita, dove più del 40% della popolazione è composto da giovani sotto i 18 anni, i salesiani hanno aperto una casa per i ragazzi di strada.
Lagos è uno dei 36 stati della Nigeria federale. È praticamente una città-stato, capitale del paese fino al 1991, quando avvenne il riconoscimento ufficiale della nuova capitale, Abuja, nel centro del paese. Con i suoi 16 milioni di abitanti, è la seconda area urbana più popolosa dell’Africa dopo quella de Il Cairo, e con la sua area metropolitana di 21 milioni di abitanti, è una delle più popolose al mondo. Inoltre, è in continuo aumento, tanto che è diventata la prima città in Africa e settima nel mondo per velocità della crescita demografica. Con un clima molto caldo, trovandosi appena 6° a nord dell’Equatore, è localizzata sulla terraferma, con apertura sul lago Lagoon e sull’Oceano Atlantico: grazie alla sua posizione, è sempre stata una città commerciale, tanto che, anche se la capitale è stata trasferita, rimane il centro commerciale ed economico dello Stato e uno dei più importanti porti dell’Africa occidentale. Con 230 milioni di abitanti, la Nigeria è il Paese più popoloso dell’Africa e il sesto Paese più popoloso del mondo. La Nigeria ha la terza popolazione giovanile più numerosa del mondo, dopo India e Cina, con oltre 90 milioni di abitanti di età inferiore ai 18 anni. La situazione giovanile in questa città è comparabile con Torino al tempo di don Bosco. Molti ragazzi poveri delle campagne e delle città affluiscono nella città di Lagos in cerca di lavoro e di una vita migliore, ma sono soggetti a sfruttamento, abbandono, povertà e privazioni. Sono a rischio di rimanere sulla strada, di essere maltrattati, di essere vittime della tratta di persone, di entrare in conflitto con la legge o di abusare delle droghe.
In aiuto di questi ragazzi e giovani sono venuti i salesiani, con una Casa Don Bosco, un centro di protezione per ragazzi di strada, approvato dal Ministero della Gioventù e dello Sviluppo Sociale dello Stato di Lagos, come casa di riabilitazione per ragazzi a rischio. È una Casa che si dedica a migliorare la vita dei ragazzi di strada, dei ragazzi vulnerabili, fornendo loro un ambiente familiare alternativo, un rifugio, istruzione, sostegno emotivo, protezione e potenziamento delle abilità di vita. Si parte dalla convinzione che ogni ragazzo abbia un potenziale positivo e che i giovani rappresentino il futuro del paese. Se l’ambiente è buono, se ricevono una buona formazione e vedono buoni esempi, possono crescere anche loro in modo da diventare una speranza per gli altri.
La Casa Don Bosco comprende ospiti residenziali e non residenziali. I ragazzi residenti sono quelli che vivono nella casa di accoglienza, frequentano la scuola all’interno della casa e partecipano a tutte le attività che li porteranno a diventare persone migliori e a reintegrarsi nelle loro famiglie e comunità. Alcuni dei programmi gestiti nella casa, nell’ambito dell’acquisizione di competenze e dell’empowerment, sono rappresentati da percorsi di sartoria, taglio capelli, produzione di scarpe, mentre nell’area dello sviluppo dei talenti sono musica, teatro, danza e coreografia. I ragazzi sono anche impegnati in diversi percorsi terapeutici, sport e attività ricreative per favorire il loro sviluppo sociale e fisico.
Nel loro lavoro con questi ragazzi, i salesiani si sono resi conto della potenzialità della musica, specialmente nella riabilitazione dei più piccoli. Aiutandoli a conoscere e usare gli strumenti musicali, si offre sollievo dal peso del loro vissuto, favorendo il superamento di vari traumi, rafforzando anche un buon rapporto familiare fra loro. Lo stesso succede anche con la danza. I ragazzi sono molto attratti dalla coreografia, vogliono provare e non si scoraggiano quando si accorgono di aver sbagliato, ma ritentano con perseveranza fino quando riescono, imparando dagli errori. La danza incoraggia i ragazzi a sperimentare e a trovare percorsi diversi per dimenticare i loro problemi.
Ma la Casa Don Bosco non chiude le porte a quelli che non vogliono restare. Gli ospiti non residenziali sono quelli che vivono per strada e che, spesso, vengono a cercare un rifugio temporaneo. La casa serve loro come tappa per riposare, giocare, fare una doccia, cambiare i vestiti, ricevere farmaci e vitto. In queste occasioni, si offre loro anche la possibilità di attività di follow-up: consulenza e riabilitazione psicologica, rintracciamento e reinserimento familiare, continuità dell’istruzione, acquisizione di competenze, assistenza medica e sanitaria complessa e inserimento lavorativo.
È un aiuto prezioso, perché la maggior parte di questi giovani ha un’età compresa tra i 14 e i 24 anni: tanti di loro sono impegnati in qualche lavoro, che permette loro di guadagnare qualcosa per coprire le spese quotidiane di cibo, abbigliamento e altre necessità. Una buona parte di loro lavora nel settore non organizzato, aiutando nei matrimoni, nei cantieri edili, trasportando carichi nel parcheggio degli autobus, vendendo sacchetti d’acqua e bevande sulla strada, svolgendo i lavori più umili. Ed è bello costatare questo, perché vuol dire che hanno voglia di guadagnarsi onestamente la vita, ma non sempre trovano qualcuno che li aiuti.
Come si può intuire, le ragazze non si trovano in una situazione migliore e ciò rappresenta una sfida per i salesiani: pensare in qualche modo anche a loro. Anche per questo i salesiani chiedono sostegno per migliorare le capacità del loro personale e la gestione in generale e sono aperti a ricevere assistenza per migliorare la qualità del lavoro. Da soli possono fare poco, ma insieme con gli altri possono fare molto.
don Raphael AIROBOMAN, sdb Direttore del “Don Bosco Home Child Protection Center”, Lagos, Nigeria
I benefattori di don Bosco
Fare del bene ai giovani richiede non solo dedizione, ma anche ingenti risorse materiali e finanziarie. Don Bosco diceva «Io confido illimitatamente nella Divina Provvidenza ma anche la Provvidenza vuol essere aiutata da immensi sforzi nostri»; detto e fatto.
Ai suoi missionari partenti, l’11 novembre 1875, don Bosco diede 20 preziosi «Ricordi». Il primo era: «Cercate anime, ma non denari, né onori né dignità». Don Bosco dovette egli stesso per tutta la vita andare alla ricerca di denaro ma voleva che i suoi figli non si affannassero nel cercare danaro, non si preoccupassero quando veniva loro a mancare, non perdessero la testa quando ne trovavano, ma fossero pronti ad ogni umiliazione e sacrificio nella ricerca del necessario, con piena fiducia nella Divina Provvidenza che non lo avrebbe mai lasciato mancare. E ne diede loro l’esempio.
«Il Santo dei milioni!» Don Bosco nella sua vita maneggiò grandi somme di denaro, raccolte a prezzo di enormi sacrifici, umilianti questue, laboriose lotterie, incessanti peregrinazioni. Con questo denaro egli diede pane, vestito, alloggio e lavoro a tanti poveri ragazzi, comperò case, aprì ospizi e collegi, costruì chiese, avviò grandi iniziative tipografiche ed editoriali, lanciò le missioni salesiane in America e, infine, già affranto dagli acciacchi della vecchiaia, eresse ancora a Roma, in obbedienza al Papa, la Basilica del Sacro Cuore. Non tutti compresero lo spirito che lo animava, non tutti apprezzarono le sue multiformi attività e la stampa anticlericale si sbizzarrì in ridicole insinuazioni. Il 4 aprile 1872 il periodico satirico torinese «Il Fischietto» disse don Bosco fornito di «fondi favolosi», mentre in sua morte sul giornale «Il Birichin» Luigi Pietracqua pubblicava un sonetto blasfemo in cui chiamava don Bosco uomo astuto «capace di cavar sangue da una rapa» e lo definiva «il Santo dei milioni» perché avrebbe contato i milioni a palate senza guadagnarli con il proprio sudore. Chi conosce lo stile di povertà in cui visse e morì il Santo, può facilmente capire di qual ingiusta fosse la satira del Pietracqua. Don Bosco fu, sì, un abile amministratore del denaro che la carità dei buoni gli procurava, ma non tenne mai nulla per sé. Il mobilio della sua cameretta a Valdocco consisteva in un lettuccio di ferro, un tavolino, una sedia e, più tardi, un sofà, senza tendine alle finestre, senza tappeti, senza neanche uno scendiletto. Nell’ultima malattia, tormentato dalla sete, quando gli provvidero acqua di seltz per dargli sollievo, non voleva berla credendola una bevanda costosa. Fu necessario assicurarlo che costava solo sette centesimi la bottiglia. Pochi giorni prima di morire ordinò a don Viglietti di osservare nelle tasche dei suoi abiti e consegnare a don Rua il portamonete, per poter morire senza un soldo in tasca.
Nobiltà filantropica Le Memorie Biografiche e l’Epistolario di don Bosco danno una ricca documentazione sui suoi benefattori. Vi troviamo i nomi di quasi 300 nobili famiglie delle quali ci è qui impossibile dare l’elenco.
Certo non si deve commettere l’errore di limitare i benefattori di don Bosco alla sola nobiltà. Egli ottenne aiuto e collaborazione disinteressata da migliaia di altre persone del ceto ecclesiastico e civile, della borghesia e del popolo, a cominciare da quella benefattrice incomparabile che fu Mamma Margherita. Ci fermiamo su una figura della nobiltà che si distinse nel sostegno all’opera di don Bosco, facendo notare l’atteggiamento semplice e delicato e, nello stesso tempo, coraggioso ed apostolico, che egli seppe tenere per ricevere e fare del bene. Nel 1866 don Bosco indirizzava una lettera alla Contessa Enrichetta Bosco di Ruffino, nata Riccardi, già da anni in relazione con l’Oratorio di Valdocco. Era una delle Signore che si riunivano settimanalmente per riparare i vestiti dei giovani ricoverati. Ecco il testo:
«Benemerita Sig.ra Contessa, Non posso andar a far visita a V.S. benemerita come desidero, ma ci vado colla persona di Gesù Cristo nascosto sotto a questi cenci che a Lei raccomando perché nella sua carità li voglia rappezzare. E roba grama nel tempo; ma spero che per Lei sarà un tesoro per l’eternità. Dio benedica Lei, le sue fatiche e tutta la sua famiglia, mentre ho l’onore di potermi con pienezza di stima professare di V.S.B. Obbl.mo servitore» Sac. Bosco Gio. Torino, 16 maggio 1866
Lettera di Don Bosco ai benefattori
In questa lettera don Bosco si scusa di non potere andare di persona a far visita alla Signora Contessa. In compenso le invia un fagotto di cenci dei ragazzi dell’Oratorio da… rattoppare… roba grama (piemontese per: robaccia) davanti agli uomini, ma tesoro prezioso a chi veste gli ignudi per amore di Cristo! C’è chi ha voluto vedere nelle relazioni di don Bosco con i ricchi un’interessata cortigianeria. Ma qui c’è autentico spirito evangelico!
Padre Carlo Crespi apostolo dei poveri
Nel 23 marzo 2023, la Chiesa – dopo l’esame delle virtù teologali della Fede, Speranza e Carità verso Dio e verso il prossimo, e delle virtù cardinali della Prudenza, Giustizia, Fortezza e Temperanza e le altre virtù connesse, praticate in grado eroico – ha riconosciuto il Servo di Dio Carlo Crespi Croci, Sacerdote Professo della Società Salesiana di San Giovanni Bosco come Venerabile.
Come Giovannino Bosco un sogno gli segna la vita Recandosi a Cuenca, nella piazza di fronte al santuario di Maria Ausiliatrice lo sguardo si sofferma immediatamente su un interessante quanto imponente gruppo scultoreo dedicato ad un italiano che i cuencani ancora oggi ricordano come «apóstol de los pobres». Si tratta più specificamente di un monumento raffigurante un sacerdote ed un bambino al suo fianco che lo guarda con affetto filiale. Quest’uomo straordinario che ha segnato la rinascita umana, spirituale e culturale di un popolo in precedenza messo in ginocchio da povertà, arretratezza e conflitti politici è padre Carlo Crespi, salesiano missionario. Originario di Legnano (Milano), nasce nel 1891 come terzo di tredici figli, da una famiglia benestante ed influente. Fin da piccolo manifesta intelligenza, curiosità e generosità particolari che mette anzitutto al servizio del padre, fattore in una tenuta locale e della madre Luigia, dalla quale impara molto presto a sgranare il rosario ed a tenere il nome di Maria sempre «a fior di labbra», come avrebbe testimoniato molti anni dopo un suo ex allievo. Come il fratello Delfino, anche lui futuro missionario, manifesta un particolare interesse per la bellezza del creato, inclinazione che gli tornerà utile molti anni più tardi quando si troverà nelle foreste inesplorate dell’Ecuador a classificare nuove specie di piante. Frequenta la scuola locale e all’età di dodici anni fa il suo primo incontro con la realtà salesiana all’interno dell’Istituto S. Ambrogio Opera don Bosco di Milano. Durante gli anni del collegio, seguendo l’insegnamento di san Giovanni Bosco, impara a mettere in pratica il binomio inseparabile della gioia e del lavoro. In questo stesso periodo un “sogno rivelatore” segna il primo importante punto di svolta nella sua vita. Scrive all’interno di alcuni quadernetti: «apparve in sogno la Vergine che mi mostrò una scena: da un lato, il demonio che voleva afferrarmi e trascinarmi; dall’altro, il Divin Redentore, con la croce, m’indicava un’altra via. Ero vestito da sacerdote e avevo la barba; stavo su un vecchio pulpito, attorno a me una moltitudine di persone desiderose di udire le mie parole. Il pulpito non si trovava in una chiesa, ma in una capanna». Sono i primi passi della chiamata alla vita salesiana che si fa sempre più forte. Nel 1903 completa gli studi al liceo salesiano di Valsalice. Al padre, preoccupato per il suo avvenire, risponde confermando la propria vocazione sacerdotale nella Società di san Giovanni Bosco: «Vedi, papà, la vocazione non te la impone nessuno; è Dio che chiama; io mi sento chiamato a diventare salesiano». L’8 settembre 1907 emette la prima professione religiosa, nel 1910 la professione perpetua. Nel 1917 viene ordinato sacerdote. Sono questi gli anni dedicati allo studio appassionato della filosofia, della teologia e all’insegnamento delle scienze naturali, della musica e della matematica. Presso l’Università di Padova si segnala per una importante scoperta in campo scientifico: l’esistenza di un microorganismo fino ad allora ignoto. Nel 1921 riceve il dottorato in scienze naturali, con specializzazione in botanica e poco dopo il diploma di musica.
Missionario in Ecuador È il 1923 quando parte missionario e sbarca a Guayaquil, in Ecuador. Raggiunge Quito e infine si stabilisce definitivamente a Cuenca, dove rimarrà fino alla morte. «Mi benedica nel Signore e preghi per me affinché possa farmi santo, affinché possa immolare sull’altare del dolore e del sacrificio tutti gli istanti della mia vita» scrive nel 1925 all’allora Rettor Maggiore don Filippo Rinaldi, manifestando la volontà di sacrificarsi completamente per la causa missionaria. Padre Crespi passa i primi sei mesi del 1925 nelle foreste della zona di Sucùa-Macas. Si propone di conoscere in modo approfondito la lingua, il territorio, la cultura, la spiritualità dell’etnia Shuar. Avvalendosi delle proprie conoscenze nei diversi ambiti della cultura, inizia un’opera di evangelizzazione rivoluzionaria ed innovativa, fatta di scambio ed arricchimento reciproco di culture molto diverse. Viene accolto con iniziale diffidenza, ma padre Carlo porta con sé oggetti interessanti come stoffa, munizioni, specchi, aghi e ha il modo di fare di chi vuol bene. Conosce i miti indigeni e li ripropone secondo una lettura nuova, trasformata ed arricchita alla luce della fede cattolica. Padre Carlo diventa presto un amico ed il messaggio cristiano, trasmesso con cura e rispetto, non è più la religione dello straniero, ma qualcosa che la popolazione riconosce come proprio. Padre Crespi intuisce che «solo l’uomo che accetta di avvicinarsi alle altre persone nel loro stesso movimento, non per trattenerle nel proprio, ma per aiutarle a essere maggiormente sé stesse, si fa realmente padre» (Papa Francesco, Lettera Enciclica “Fratelli tutti”, 3 ottobre 2020).
Un bambino di cento anni!
La dimensione del sogno segna nuovamente la sua vita nel 1936 quando, ammalatosi di tifo e, nonostante le previsioni dei medici, si ristabilisce e racconta: «Verso le tre di notte si apre la porta ed entra santa Teresa e mi dice: puer centum annorum, infirmitas haec non est ad mortem, longa tibi restat vita (bambino di cento anni: queta malattia non è per la morte, ti resta una lunga vita)». Padre Carlo ha ora 45 anni, vivrà altri 46 anni. Ormai stabilitosi definitivamente a Cuenca, il Servo di Dio attua una vera e propria “Revoluciòn blanca”. Mette in piedi un lavoro di promozione umana senza precedenti, fondando diverse opere: l’oratorio festivo, il Normal Orientalista per la formazione dei missionari salesiani, la scuola elementare “Cornelio Merchán”, la scuola di arti e mestieri (poi Collegio tecnico salesiano), la Quinta Agronomica ovvero il primo istituto di agraria della regione, il Teatro salesiano, la Gran Casa della comunità, l’Orfanotrofio “Domenico Savio”, il museo “Carlo Crespi”, ancora oggi celebre per i suoi numerosi reperti scientifici. Dall’Italia fa arrivare mezzi e personale specializzato da investire nei suoi progetti. Sfruttando le proprie straordinarie conoscenze in campo scientifico e musicale, organizza conferenze e concerti in ambasciate, teatri e stringe amicizie con le principali famiglie di Guayaquil e della capitale. Crea un rapporto disteso con il governo locale, sebbene questo sia fortemente anticlericale. Ottiene lo sdoganamento gratuito e la copertura delle spese di trasporto fino a Cuenca di centinaia di casse di materiali. Le sue opere diventano in breve tempo il cuore pulsante di cambiamenti sociali e culturali epocali a tutto vantaggio della popolazione, specie quella più povera.
Padre Carlo crea nuove possibilità di vita e lo fa attraverso un progetto di evangelizzazione e sviluppo che dona alla popolazione cuencana anzitutto autonomia di crescita. Come avrebbe autorevolmente affermato san Giovanni Paolo II nella Lettera Enciclica Centesimus annus del 1991, «non si tratta, infatti, solo di dare il superfluo, ma di aiutare interi popoli, che ne sono esclusi o emarginati, ad entrare nel circolo dello sviluppo economico ed umano». A Cuenca giunge il volto di una Chiesa capace di inserire l’insegnamento evangelico in un modello esperienziale: l’insegnamento della scrittura e delle attività lavorative fondamentali (agricoltura, allevamento e tessitura) è il canale di accesso per far conoscere Gesù a tutti. In perfetta aderenza all’insegnamento di san Giovanni Bosco, il Servo di Dio applica il “sistema preventivo”, offrendo soprattutto ai giovani una sorta di “grazia preventiva”, un anticipo di fiducia per donare possibilità di cambiamento, di conversione, di crescita. Guardando a don Bosco, sa armonizzare pedagogia e teologia, animando i giovani con giochi, pellicole, attività teatrali, feste e non da ultimo il catechismo. Per padre Carlo è già possibile intravedere dei futuri buoni padri di famiglia. La sua spiritualità squisitamente eucaristico-mariana lo guida in altre imprese eccezionali, come l’organizzazione del Primo Congresso Eucaristico Diocesano a Cuenca nel 1938, per celebrare il cinquantenario della morte di san Giovanni Bosco. In virtù della propria devozione al Santissimo Sacramento, in quegli anni Cuenca si conferma nuovamente Città Eucaristica. Immerso nelle fatiche apostoliche e negli affari ufficiali padre Carlo però non dimentica mai i suoi poveri. Generazioni di cuencani trovano in lui un cuore generoso, capace di accoglienza e di paternità. In una mano tiene una campanella per “risvegliare” con un colpetto sulla testa qualche giovane bisognoso di correzione; nell’altra stringe cibo e denaro da donare ai suoi poveri. L’abito talare vecchio e stinto, le scarpe consunte, l’alimentazione frugale, la dedizione speciale per i bambini e i poveri non passano inosservati agli occhi dei cuencani. Padre Crespi è povero tra i poveri. La gente lo accoglie come cuencano d’elezione e inizia a chiamarlo «san Carlo Crespi». Le autorità civili, conquistate dall’operato di padre Crespi, rispondono con numerose onorificenze: viene dichiarato “abitante più illustre di Cuenca nel XX secolo”. Riceve il dottorato Honoris Causa post mortem da parte dell’Università Politecnica Salesiana.
Mosso dalla speranza Nel 1962, un incendio probabilmente di natura dolosa, distrugge l’Istituto “Cornelio Merchàn”, frutto del duro lavoro di molti anni. La certezza di padre Carlo Crespi che Maria Ausiliatrice lo aiuterà anche questa volta diventa contagiosa: gli abitanti di Cuenca riprendono fiducia e partecipano senza esitazione alla ricostruzione. Racconterà a distanza di anni un testimone: «il giorno dopo (l’incendio) padre Crespi fu visto con la sua campanella e il suo grande piattino raccogliere i contributi della città». Ormai anziano e stanco è ancora nel santuario di Maria Ausiliatrice a divulgare con lo stesso entusiasmo di un tempo la devozione alla Vergine. Confessa e consiglia file interminabili di fedeli. Se si tratta di prestare loro ascolto, gli orari, i pasti e perfino il sonno non contano più. Non è infrequente nemmeno che padre Carlo si alzi nel cuore della notte per confessare un malato o un moribondo. La gente non ha dubbi: lui solo guarda il prossimo con gli occhi di Dio. Sa riconoscere il peccato e la debolezza, senza mai rimanerne scandalizzato o schiacciato. Non si fa giudice, ma comprende, rispetta, ama. Il suo confessionale diventa per i cuencani il luogo dove, riprendendo le parole di Papa Francesco, padre Carlo allevia le ferite dell’umanità «con l’olio della consolazione» e provvede «a fasciarle con la misericordia» (Misericordiae vultus, 2015). E mentre cura, viene a sua volta guarito dall’esperienza della misericordia accolta. Il programma preannunciato in gioventù con il “sogno rivelatore” dalla Vergine Maria ha finalmente trovato pieno compimento. Il 30 aprile 1982, all’età di 90 anni, padre Carlo Crespi, nel silenzio e nel nascondimento della Clinica Santa Inés di Cuenca, tiene il rosario tra le mani come sua madre gli aveva insegnato. È tempo di chiudere gli occhi a questo mondo per aprirli sull’eternità. Un fiume di persone commosse e addolorate partecipa alle esequie. Certi che a morire sia stato un santo, in molti si accalcano per toccare un’ultima volta il suo corpo con qualche oggetto; sperano di ricevere ancora la protezione di quel padre che li ha appena lasciati. Anche il suo confessionale viene preso d’assalto per conservarne qualche piccola parte.
Si chiude così la vita terrena di un uomo che, pur consapevole della vita notevolmente agiata che avrebbe potuto condurre in casa propria, accolse la chiamata salesiana e, come vero imitatore di don Bosco, si fece testimone di una Chiesa che esorta ad «uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo» (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 2013). La vita di padre Carlo Crespi racconta ai cristiani di ieri e di oggi come la preghiera può e deve essere inserita nel concreto dell’azione quotidiana, incentivandola ed ispirandola. Egli, rimanendo totalmente salesiano e totalmente mariano, è testimone credibile di uno «stile evangelizzatore capace di incidere nella vita» (Papa Francesco, Discorso all’Azione Cattolica Italiana, 3 maggio 2014). Ad oggi la sua tomba e il suo monumento continuano ad essere perennemente abbelliti con fiori freschi e targhe di ringraziamento. Mentre la fama di santità di questo figlio illustre di Cuenca non accenna a diminuire, l’avvenuta stesura della Positio super virtutibus segna un importante passaggio per quel che riguarda la Causa di beatificazione. Non resta che attendere con fiducia il sapiente giudizio della Chiesa.
Mariafrancesca Oggianu Collaboratrice della Postulazione Salesiana
Salesiani a Tijuana. Una casa ai confini
A soli 30 metri dal confine con gli Stati Uniti, una casa salesiana in Messico offre numerosi servizi ai giovani, ai poveri e ai migranti, nella zona di confine terrestre più trafficata del mondo, in una città la cui popolazione è triplicata negli ultimi 30 anni e in una zona famosa in tutto il mondo per il muro che separa il Messico dagli Stati Uniti.
I Salesiani sono arrivati nella città di Tijuana, Baja California (Messico), in occasione della festa di San Giuseppe, il 19 marzo 1987. Fu alla fine degli anni Ottanta che l’allora ispettore guardò verso il confine settentrionale del Messico, sottolineando che le presenze del Nord avrebbero dovuto rappresentare dei “polmoni” per garantire aria purificata alla missione e alla vita apostolica e religiosa dell’Ispettoria Salesiana. Con questa intenzione e volendo rispondere ai molti bisogni della città, i Salesiani si impegnarono a trovare spazi per realizzare oratori in città. In meno di un decennio, furono costruiti 9 oratori dove i giovani trovarono una casa, un parco giochi, una scuola e una chiesa. Con il passare del tempo si è concentrata l’attenzione su diverse esigenze, sono state create sei residenze-lavoro in diversi quartieri popolari della città, formando il Progetto Salesiano Tijuana. Ognuna di esse ospita diverse istituzioni, dando vita a più di dieci fronti di lavoro.
La prima delle opere è stata la Parrocchia e l’Oratorio Maria Auxiliadora, situata nella “Colonia Herrera”. Sia la parrocchia sia l’oratorio si occupano di vari problemi della colonia. Si stanno compiendo passi verso un accordo con l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) per offrire un centro sanitario comunitario con consulenza legale e psicologica e assistenza medica. Nel territorio della parrocchia c’è una casa di accoglienza per famiglie di migranti chiamata “Pro amore DEI”, che è accompagnata da varie attività. Questo Oratorio di Maria Ausiliatrice offre laboratori brevi e flessibili, che offrono diverse opportunità di apprendimento, il tutto per il bene delle famiglie; questi laboratori sono frequentati da bambini e famiglie in situazioni vulnerabili. Alcuni di questi laboratori sono: laboratorio di sartoria, laboratorio di bellezza, laboratorio di scuola calcio, laboratorio di zumba, laboratorio di chitarra e laboratorio di computer, consulenza psicologica e formazione per adulti o giovani al di fuori dell’ambito scolastico, in accordo con l’INEA (Istituto Nazionale per l’Educazione degli Adulti).
Un’altra presenza, collocata nel centro della città è l’Oratorio San Francisco de Sales, situato nella colonia Castillo. Questa presenza ospita anche diverse istituzioni, tra cui: una delle sedi della residenza della comunità religiosa, l’Oratorio, gli uffici della COMAR (Commissione Messicana per l’Aiuto ai Rifugiati) che, in collaborazione con l’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati), fornisce servizi ai richiedenti asilo (carte d’identità, offerte di lavoro, supporto legale) e gli uffici del Progetto Salesiano Tijuana. Si tratta di un insieme di servizi per i più svantaggiati, cioè gli stranieri che arrivano in città in cerca di rifugio con un’attenzione dignitosa verso i loro diritti. Nell’oratorio, le famiglie della colonia vengono assistite con laboratori flessibili e agili, offrendo uno spazio di crescita (è una colonia di lavoratori che negli ultimi anni ha sofferto molto per lo spaccio di droga e gli omicidi dovuti a questa situazione). Per il Progetto Salesiano Tijuana è stato e continua ad essere di grande importanza aprirsi alla creazione di reti e alleanze con varie istituzioni che rafforzano e promuovono l’aiuto ai giovani, ai migranti e alle famiglie in situazioni vulnerabili.
L’Oratorio Domingo Saviosi trova nel cuore della colonia “SánchezTaboada”. Questa colonia è molto particolare. Secondo recenti statistiche, il quartiere Sanchez Taboada occupa il primo posto nella classifica della violenza in città. In questo quartiere sono state uccise 146 persone in meno di cinque mesi, il che lo rende la colonia più violenta; qui è stato registrato il maggior numero di omicidi intenzionali. Qui si trova la nostra presenza salesiana, che sviluppa diversi servizi: una presenza che vuole soprattutto portare speranza alle famiglie e opportunità ai bambini. La situazione di violenza, povertà e la posizione orografica della casa salesiana richiedono un costante sostegno finanziario per mantenere le strutture e per trovare il personale adeguato a fornire i servizi educativi. Tra le attività attualmente offerte ci sono: laboratorio di calcio, laboratorio di chitarra, laboratorio di pallavolo, laboratorio di regolamento scolastico per bambini e adolescenti, laboratorio di inglese e laboratorio di informatica. In questo oratorio, come nelle altre cinque presenze, la catechesi sacramentale e i servizi e le celebrazioni liturgiche sono offerti nella cappella.
L’Oratorio San José Obrero si trova nella parte orientale della città, nella colonia chiamata “Ejido Matamoros”. Dispone di strutture sportive che offrono servizi a un gran numero di giovani, bambini e adulti che vengono a giocare a calcio; nel corso di una settimana, più di mille utenti passano per questo centro sportivo. In questo oratorio, anche il Movimento Giovanile Salesiano è molto attivo, soprattutto per gli adolescenti e i bambini, con il movimento Amici di Domenico Savio, gli accoliti e i cori. La Cappella dell’Oratorio offre servizi liturgici quotidiani aperti alla comunità. La presenza salesiana in questo oratorio comprende anche una scuola superiore che, essendo situata in una zona di così grande crescita della città, può continuare a fornire un servizio educativo indispensabile e, in prospettiva, dovrebbe crescere nel numero di studenti e nella qualità dei suoi servizi educativi.
L’Oratorio San Juan Bosco si trova nella colonia Mariano Matamoros a El Florido. È un’oasi di pace nella parte orientale della città e la chiamiamo così perché nel 2022, anche qui sono stati registrati 92 omicidi. Questa presenza salesiana si trova in una zona di insediamenti di famiglie che lavorano nelle “maquilas” e lì l’opera salesiana ha sviluppato una presenza ampia e complessa, composta da quattro istituzioni: la casa di accoglienza Don Bosco (una casa di accoglienza per donne e bambini, operativa dal dicembre 2021), la scuola Don Bosco (una scuola con 200 alunni, maschi e femmine, che frequentano l’istruzione primaria) l’oratorio – centro giovanile (accoglie bambini, gruppi giovanili, atleti del campionato di calcio e di basket, gruppo di balletto folcloristico, laboratori), la cappella San Juan Bosco (offre servizi liturgici con un grande afflusso di famiglie e bambini che frequentano la catechesi). L’insieme di queste istituzioni dà vita a un centro di integrazione per la comunità locale, essendo uno spazio per una varietà di persone (migranti, bambini, giovani, famiglie) che offre l’opportunità di attualizzare la missione salesiana, rispondendo alle esigenze sociali. Per realizzare queste istituzioni di grande opera sociale, i Salesiani lavorano attraverso accordi di collaborazione con varie organizzazioni civili e governative e creando accordi con le agenzie delle Nazioni Unite (UNHCR, OIM, UNICEF); lavorano anche con grande apertura e flessibilità con altre istituzioni che forniscono sostegno e supporto nelle aree della salute e dell’istruzione.
Il Desayunador Salesiano è un’opera di assistenza sociale che dà vita a due istituzioni (un centro per la colazione e una casa di accoglienza per uomini migranti), che a loro volta forniscono un’ampia gamma di servizi ai beneficiari. Quest’opera salesiana si trova nella zona centro-settentrionale della città di Tijuana. I suoi inizi risalgono al 1999, ma prima di quell’anno alcuni “tacos” venivano già offerti negli uffici del progetto salesiano. Questo servizio di alimentazione dei poveri e dei migranti che vagano per la città si è sviluppato ed evoluto, e nel 2007-2008 è stato istituito con una sede propria per questa attività nel luogo in cui opera attualmente: qui si presta attenzione ai migranti vulnerabili (deportati/rimpatriati, stranieri provenienti dal centro e dal sud del Messico), ai senzatetto, agli anziani, alle famiglie povere o estremamente povere, agli uomini, alle donne e ai bambini che hanno fame.
Tra la varietà di servizi offerti ci sono: colazioni (tra 900 e 1200 al giorno), telefonate all’estero (25 al giorno), docce (fino a 150 al giorno, tre volte alla settimana), tagli di capelli, consegna di cibo alle famiglie povere (3-5 al giorno), offerta di cambio di vestiti (fino a 150 al giorno, tre volte alla settimana), assistenza medica (40-60 al giorno), consulenza legale (8-20 al giorno) su questioni migratorie, assistenza psicologica, supporto e sostegno emotivo, workshop per la prevenzione della violenza contro le donne, laboratori (arte grafica, mosaico bizantino, alebrijes e piñatas, workshop radiofonico ecc.), scambio di lavoro formale e informale (8-20 al giorno), collegamenti con i centri di riabilitazione. L’attività del Desayunador e del rifugio è sostenuta con l’aiuto di volontari giornalieri (locali, nazionali e internazionali) in varie forme o periodi, sviluppando una grande apertura alla collaborazione interistituzionale.
L’impegno salesiano in questo grande Progetto Salesiano Tijuana è fondamentale perché la città continua a crescere, continua ad essere la città di confine con il maggior numero di persone in mobilità e in situazione di migrazione; parlare di Tijuana come confine significa parlare del confine terrestre più attraversato al mondo. Si tratta del passaggio di oltre 20 milioni di veicoli e di oltre 60 milioni di persone che in un anno entrano negli Stati Uniti attraverso questo confine. La migrazione rimane un tema di grande attualità. In questa città di confine, con così tanti migranti, ci sono problemi di traffico di esseri umani, di coinvolgimento nel mondo della vendita e del consumo di droga. La città di Tijuana continua ad offrire grandi opportunità per la realizzazione dei sogni, con un’ampia gamma di posti di lavoro, ma continua anche ad essere una città con un alto livello di criminalità, una delle più violente del Paese.
Senza dubbio, i migranti, i bambini, i giovani e le famiglie guardano al Progetto Salesiano di Tijuana per avere aiuto e speranza nella costruzione del loro futuro. La missione salesiana di Tijuana continua ad essere un luogo dove i sogni di don Bosco e la realizzazione del carisma della Famiglia Salesiana possono prendere vita.
È possibile seguire la presenza salesiana a Tijuana anche attraverso i suoi social network: Facebook, Twitter, Instagram, Youtube.
don Agustín NOVOA LEYVA, sdb direttore Casa Salesiana Tijuana, Messico
Volontariato internazionale a Benediktbeuern
Don Bosco Volunteers: l’impegno dei giovani per un futuro migliore
Da più di vent’anni l‘Ispettoria tedesca dei Salesiani di Don Bosco è impegnata nel campo del volontariato giovanile. Tramite il programma “Don Bosco Volunteers” i Salesiani in Germania offrono ogni anno a circa 90 giovani un’esperienza formativa e di vita nelle case salesiane dell’Ispettoria e in diversi paesi del mondo.
Per molti giovani tedeschi è consuetudine, una volta completato il percorso formativo scolastico, dedicare un anno della loro vita ad attività nel sociale. Il profilo dei Salesiani rappresenta per molti giovani tedeschi una fonte d’ispirazione nella scelta di un’organizzazione, che li accompagni durante questa esperienza. Nonostante la secolarizzazione della società tedesca e una costante perdita di fedeli da parte della Chiesa negli ultimi anni, molti giovani bussano alla porta dei Salesiani con la chiara intenzione di aiutare il prossimo e dare un piccolo contributo per un mondo migliore. Questi giovani trovano nella figura di don Bosco una forma di fede e un esempio di vita.
Non tutti coloro i quali fanno richiesta d’ammissione al programma di volontariato presso gli uffici competenti dell’Ispettoria a Benediktbeuern e a Bonn hanno avuto nel corso della loro vita esperienze in gruppi giovanili legati alla Chiesa e in particolar modo con i Salesiani. Alcuni di loro non sono battezzati, ma riconoscono nell’offerta formativa dei Salesiani una possibilità di crescita personale, basata su valori fondamentali per il proprio sviluppo. È per questo che ogni anno tantissimi giovani cominciano un’esperienza di volontariato con il programma “Don Bosco Volunteers”: nell’ambito di weekend formativi, i giovani apprendono non solo utili informazioni sui progetti, ma si confrontano con il sistema preventivo e la spiritualità salesiana, preparandosi in questo modo al periodo che metteranno a servizio di altri giovani.
I volontari e le volontarie vengono accompagnati durante la loro esperienza da un team di coordinatori e coordinatrici, che si prende cura non solo degli aspetti organizzativi, ma soprattutto del supporto prima, durante e dopo l’esperienza di volontariato. E sì, perché l’anno di volontariato non finisce l’ultimo giorno di servizio presso la casa salesiana ospitante, ma continua per tutta la vita. Quest’anno al servizio degli altri rappresenta una base di valori che ha un forte impatto sullo sviluppo futuro delle volontarie e dei volontari. Don Bosco educava i giovani per far di loro degli onesti cittadini e dei buoni cristiani: l’offerta di volontariato del programma Don Bosco Volunteers s’ispira proprio a questo principio fondamentale della pedagogia salesiana e cerca di gettare le basi per una società migliore, in cui i valori cristiani ritornino a caratterizzare la nostra vita.
L’Ispettoria tedesca mette a disposizione possibilità d’incontro per i giovani in tutte le fasi dell’esperienza di volontariato: incontri d’orientamento, offerte informative online, corsi di formazione, feste e incontri annuali di scambio d’esperienze sono attività di base su cui si costruisce il successo del programma “Don Bosco Volunteers”.
Un gruppo di coordinamento formato da collaboratori e collaboratrici del centro di formazione giovanile Aktionszentrum di Benediktbeuern e della Procura Missionaria di Bonn, affiancato dall’economo ispettoriale padre Stefan Stöhr e dall’incaricato per la pastorale giovanile padre Johannes Kaufmann, gestisce e dirige ciascuna attività, sviluppando il programma in tutte le sue componenti. L’esperienza dei volontari inizia con la richiesta d’ammissione all’iniziativa: i giovani che prendono parte al programma nazionale cominciano il servizio a settembre e partecipano a 25 giornate formative durante l’anno di volontariato. Per i volontari e le volontarie che intendono andare all’estero il percorso è un po’ più articolato: dopo un incontro d’orientamento, in autunno vengono effettuate le selezioni e le candidate e i candidati ricevono informazioni da ex volontarie e volontari che hanno già preso parte al programma in passato. La fase formativa comincia nei primi mesi dell’anno e prevede in tutto 12 giorni di preparazione, durante i quali le volontarie e i volontari ricevono informazioni sulla pedagogia di don Bosco, sul lavoro dei Salesiani nel mondo, su temi importanti come la comunicazione interculturale e le procedure da seguire in caso d’emergenza durante l’esperienza all’estero. A luglio le volontarie e i volontari ricevono la benedizione e una medaglia di don Bosco come simbolo dell’appartenenza alla Famiglia Salesiana.
La partenza dei giovani è prevista a settembre e, verso la metà del servizio, nelle diverse regioni in cui operano i volontari vengono offerti degli incontri di riflessione tenuti dal team di coordinamento dell’Ispettoria tedesca. L’esperienza si chiude con un seminario conclusivo, poco dopo il rientro dall’attività all’estero, in cui vengono gettate le basi per un impegno futuro nella Famiglia Salesiana. A cadenza annuale nell’Ispettoria vengono organizzati due incontri per tutti coloro che hanno preso parte al programma sin dall’inizio delle attività negli anni Novanta. Il team di coordinamento dell’Ispettoria si prende cura di tutti gli aspetti organizzativi tra i quali: ricerca di case salesiane interessate a collaborare nel campo del volontariato; finanziamento delle attività tramite i fondi ministeriali ed europei; supporto in caso d’emergenza; organizzazione degli aspetti legati all’assicurazione sanitaria dei volontari; comunicazioni con le famiglie delle volontarie e dei volontari.
Negli ultimi 25 anni, sono già più di mille i giovani che hanno preso parte al programma “Don Bosco Volunteers” in Germania e all’estero.
Nell’ambito di uno studio condotto alcuni mesi fa dall’Ispettoria tedesca, a cui hanno partecipato circa 180 ex volontarie e volontari, si è potuto riscontrare un costante impegno nel sociale dei giovani anche molti anni dopo l’esperienza di volontariato. In modo particolare, è evidente l’attenzione degli intervistati riguardo a temi come l’ingiustizia sociale, il razzismo, l’ecologia e lo sviluppo sostenibile. Tale studio ha confermato tutta la bontà di questo programma, non solo per l’aiuto immediato che le volontarie e i volontari possono fornire alle comunità ospitanti durante il proprio anno di servizio, ma anche per gli effetti positivi che si possono registrare a lungo termine, una volta conclusi gli studi accademici o dopo aver intrapreso il proprio cammino professionale.
Un aspetto importante del programma “Don Bosco Volunteers” è il suo inquadramento in programmi nazionali ed europei, come ad esempio il “Corpo europeo di solidarietà” della Commissione Europea, i programmi di volontariato nazionale del Ministero per la famiglia e la gioventù o del programma “weltwärts” del Ministero Federale per la Cooperazione Economica, in modo da poter rendere più visibile alle istituzioni l’offerta formativa dei Salesiani. Costanti controlli di qualità, condotti da associazioni competenti, certificano su base biennale l’efficienza e la trasparenza dell’offerta formativa del programma “Don Bosco Volunteers”. Un aspetto di questi controlli di qualità riguarda in particolare la cooperazione tra i nostri uffici competenti e le strutture ospitanti in Germania e nei diversi Paesi del mondo. Questo particolare distingue l’offerta dei Salesiani da molte altre agenzie private di volontariato, che collaborano con diverse organizzazioni dai profili più svariati.
Le nostre volontarie e i nostri volontari operano esclusivamente in strutture salesiane e vengono preparati in modo specifico per questa esperienza di vita. Non ha importanza se un volontario sia impiegato in un piccolo villaggio nel sud dell’India o in una metropoli europea. C’è qualcosa che unisce tutti questi giovani e li fa sentire a casa durante la loro esperienza: don Bosco con la sua presenza nelle comunità ospitanti offre loro un punto di riferimento nella quotidianità e dà loro conforto e protezione nei momenti più difficili. Ovviamente sarebbe semplicistico raccontare che un’esperienza di volontariato si svolge sempre senza intoppi o problemi: la fase d’ambientamento, in particolare, può creare diversi problemi d’integrazione per le volontarie e i volontari. Ma è proprio in queste situazioni che si può constatare una crescita dei giovani, i quali imparano a conoscere meglio se stessi, i propri limiti e le proprie risorse. L’accompagnamento fornito dalle comunità salesiane ospitanti e dal personale dei centri di coordinamento dell’Ispettoria tedesca ha il fine di trasformare anche le fasi più difficili di questo cammino in opportunità di riflessione e crescita personale. Molte sfide ci attendono nel futuro: gli ultimi due anni ci hanno mostrato che il mondo sta cambiando e il timore che la guerra cancelli la prospettiva di una società più equa sembra crescere nelle nuove generazioni. Il programma “Don Bosco Volunteers” vuole essere un barlume di luce e una fonte di speranza, affinché i nostri giovani possano costruire, attraverso il loro impegno, un futuro migliore per il nostro pianeta.
Francesco BAGIOLINI Benediktbeuern, Germania
Galleria fotografica Voluntariato internazionale a Benediktbeuern