Il Venerabile mons. Stefano Ferrando

Mons. Stefano Ferrando è stato un esempio straordinario di dedizione missionaria e servizio episcopale, coniugando il carisma salesiano con una vocazione profonda al servizio dei più poveri. Nato nel 1895 in Piemonte, entrò giovane nella Congregazione salesiana e, dopo aver prestato servizio militare durante la Prima guerra mondiale, che gli valse la medaglia d’argento al valore, si dedicò all’apostolato in India. Vescovo di Krishnagar e poi di Shillong per oltre trent’anni, camminò instancabilmente fra le popolazioni, promuovendo l’evangelizzazione con umiltà e profondo amore pastorale. Fondò istituzioni, sostenne i catechisti laici e incarnò nel suo vivere il motto “Apostolo di Cristo”. La sua vita fu un esempio di fede, abbandono a Dio e totale donazione, lasciando un’eredità spirituale che continua ad ispirare la missione salesiana nel mondo.

            Il venerabile Mons. Stefano Ferrando seppe coniugare la propria vocazione salesiana con il carisma missionario e il ministero episcopale. Nato il 28 settembre 1895 a Rossiglione (Genova, diocesi di Acqui) da Agostino e Giuseppina Salvi, si contraddistinse per un ardente amore a Dio e una tenera devozione alla beata Vergine Maria. Nel 1904 entrò nelle scuole salesiane, prima a Fossano e poi a Torino – Valdocco, dove conobbe i successori di Don Bosco e la prima generazione di Salesiani, e intraprese gli studi sacerdotali; nel frattempo nutrì il desiderio di partire missionario. Il 13 settembre 1912, a Foglizzo fece la sua prima professione religiosa nella Congregazione salesiana. Chiamato alle armi nel 1915, partecipò alla Prima guerra mondiale. Per il coraggio dimostrato gli venne conferita la medaglia d’argento al valore. Tornato a casa nel 1918, il 26 dicembre 1920 emise i voti perpetui.
            Fu ordinato sacerdote a Borgo San Martino (Alessandria) il 18 marzo 1923. Il 2 dicembre dello stesso anno, con nove compagni, s’imbarcò a Venezia come missionario in India. Il 18 dicembre, dopo 16 giorni di viaggio, il gruppo arrivò a Bombay e il 23 dicembre a Shillong, luogo del suo nuovo apostolato. Maestro dei novizi, educò i giovani salesiani all’amore per Gesù e Maria ed ebbe un grande spirito di apostolato.
            Il 9 agosto 1934 papa Pio XI lo nominò vescovo di Krishnagar. Il suo motto fu “Apostolo di Cristo”. Nel 1935, il 26 novembre, venne trasferito a Shillong dove rimarrà vescovo per 34 anni. Pur operando in una gravosa situazione di impatto culturale, religioso e sociale, Mons. Ferrando si prodigò instancabilmente per stare accanto al popolo che gli era stato affidato, lavorando con zelo nella vasta diocesi che comprendeva l’intera regione dell’India del Nord Est. Preferì alla macchina, di cui avrebbe potuto disporre, muoversi a piedi: questo gli permetteva infatti di incontrare le persone, fermarsi a parlare con loro, essere reso partecipe della loro vita. Tale contatto in diretta con la vita delle persone fu una delle principali ragioni della fecondità del suo annuncio evangelico: umiltà, semplicità, amore per i poveri spingono molti a convertirsi e a richiedere il Battesimo. Istituì un seminario per la formazione dei giovani salesiani indiani, costruì un ospedale, edificò un santuario dedicato a Maria Ausiliatrice e fondò la prima Congregazione di suore autoctone, la Congregazione delle Suore Missionarie di Maria Aiuto dei Cristiani (1942).

            Uomo dal carattere forte, non si scoraggiò di fronte alle innumerevoli difficoltà, che affrontò con il sorriso e la mitezza. La perseveranza di fronte agli ostacoli fu una delle sue caratteristiche principali. Cercò di unire il messaggio evangelico alla cultura locale nella quale esso andava inserito. Fu intrepido nelle visite pastorali, che compì nei luoghi più sperduti della diocesi, pur di ricuperare l’ultima pecorella smarrita. Manifestò una particolare sensibilità e promozione per i catechisti laici, che considerava complementari alla missione del vescovo e da cui dipese buona parte della fecondità dell’annuncio del Vangelo e della sua penetrazione nel territorio. Immensa anche la sua attenzione alla pastorale familiare. Nonostante i numerosi impegni, il venerabile fu un uomo dalla ricca vita interiore, alimentata dalla preghiera e dal raccoglimento. Come Pastore fu apprezzato dalle sue suore, dai sacerdoti, dai confratelli salesiani e nell’episcopato, nonché dal popolo che lo sentì profondamente vicino. Si donò in maniera creativa al suo gregge, occupandosi dei poveri, difendendo gli intoccabili, curando i malati di colera.
            I punti-cardine della sua spiritualità furono il legame filiale con la Vergine Maria, lo zelo missionario, il continuo riferimento a Don Bosco, come emerge dai suoi scritti e in tutta la sua attività missionaria. Il momento più luminoso ed eroico della sua vita virtuosa fu l’abbandono della diocesi di Shillong. Mons. Ferrando dovette presentare al Santo Padre le dimissioni quando era ancora nel pieno delle proprie facoltà fisiche e intellettive, per consentire la nomina del suo successore, che andava scelto, secondo le superiori indicazioni, fra i sacerdoti indigeni da lui stesso formati. Fu un momento particolarmente doloroso, vissuto dal grande vescovo con umiltà e obbedienza. Egli comprese che era tempo di ritirarsi in preghiera secondo la volontà del Signore.
            Tornato a Genova nel 1969, continuò la sua attività pastorale, presiedendo le cerimonie per il conferimento della Cresima e dedicandosi al sacramento della Penitenza.
            Fu sino all’ultimo fedele alla vita religiosa salesiana, decidendo di vivere in comunità e rinunciando ai privilegi che la sua posizione di vescovo poteva riservargli. Egli in Italia continuò ad essere «a missionary». Non «a missionary who moves, but […] a missionary who is»: non un missionario che si muove, ma un missionario che è. La sua vita in questa ultima stagione diventò un “irradiare”. Egli diventa un “missionario della preghiera” che dice: «Sono contento di essere venuto via perché altri subentrassero a compiere opere così meravigliose».
            Da Genova Quarto, continuò ad animare la missione dell’Assam, sensibilizzando le coscienze ed inviando aiuti economici. Visse quest’ora di purificazione con spirito di fede, di abbandono alla volontà di Dio e di obbedienza, toccando con mano tutto il senso dell’espressione evangelica «siamo solo servi inutili», e confermando con la sua vita il caetera tolle, l’aspetto oblativo-sacrificale della vocazione salesiana. Morì il 20 giugno 1978 e venne sepolto a Rossiglione, sua terra natale. Nel 1987 le sue spoglie mortali furono riportate in India.

            Nella docilità allo Spirito svolse una feconda azione pastorale, che si manifestò nel grande amore per i poveri, nell’umiltà di spirito e nella carità fraterna, nella gioia e nell’ottimismo dello spirito salesiano.
            Mons. Ferrando ha inaugurato, insieme a tanti missionari che con lui hanno condiviso l’avventura dello Spirito nella terra dell’India, tra i quali i Servi di Dio Francesco Convertini, Costantino Vendrame e Oreste Marengo, un nuovo metodo missionario: essere missionario itinerante. Tale esempio è un provvidenziale monito, soprattutto per le congregazioni religiose tentate da un processo di istituzionalizzazione e di chiusura, a non perdere la passione di andare incontro alle persone e alle situazioni di maggior povertà e indigenza materiale e spirituale, andando là dove nessuno vuole andare e affidandosi come lei fece. «Guardo con fiducia all’avvenire fidando in Maria Ausiliatrice… Mi affiderò all’Ausiliatrice che mi salvò già da tanti pericoli».




Diventare un segno di speranza in eSwatini – Lesotho – Sudafrica dopo 130 anni

Nel cuore dell’Africa australe, tra le bellezze naturali e le sfide sociali di eSwatini, Lesotho e Sudafrica, i Salesiani celebrano 130 anni di presenza missionaria. In questo tempo di Giubileo, di Capitolo Generale e di anniversari storici, l’Ispettoria Africa Meridionale condivide i suoi segni di speranza: la fedeltà al carisma di Don Bosco, l’impegno educativo e pastorale tra i giovani e la forza di una comunità internazionale che testimonia fraternità e resilienza. Nonostante le difficoltà, l’entusiasmo dei giovani, la ricchezza delle culture locali e la spiritualità dell’Ubuntu continuano a indicare strade di futuro e di comunione.

Saluti fraterni dai Salesiani della più piccola Visitatoria e della più antica presenza nella Regione Africa-Madagascar (dal 1896, i primi 5 confratelli furono inviati da Don Rua). Quest’anno ringraziamo i 130 SDB che hanno lavorato nei nostri 3 Paesi e che ora intercedono per noi dal cielo. “Piccolo è bello”!

Nel territorio dell’AFM vivono 65 milioni di persone che comunicano in 12 lingue ufficiali, tra tante meraviglie della natura e grandi risorse del sottosuolo. Siamo tra i pochi Paesi dell’Africa sub-sahariana in cui i cattolici sono una piccola minoranza rispetto alle altre Chiese cristiane, con soli 5 milioni di fedeli.

Quali sono i segni di speranza che i nostri giovani e la società stanno cercando?
In primo luogo, stiamo cercando di superare i famigerati record mondiali del crescente divario tra ricchi e poveri (100.000 milionari contro 15 milioni di giovani disoccupati), della mancanza di sicurezza e della crescente violenza nella vita quotidiana, del collasso del sistema educativo, che ha prodotto una nuova generazione di milioni di analfabeti, alle prese con diverse dipendenze (alcool, droga…). Inoltre, a 30 anni dalla fine del regime di apartheid nel 1994, la società e la Chiesa sono ancora divise tra le varie comunità in termini di economia, opportunità e molte ferite non ancora rimarginate. In effetti, la comunità del “Paese dell’Arcobaleno” sta lottando con molte “lacune” che possono essere “riempite” solo con i valori del Vangelo.

Quali sono i segni di speranza che la Chiesa cattolica in Sudafrica sta cercando?
Partecipando all’incontro triennale “Joint Witness” dei superiori religiosi e dei vescovi nel 2024, ci siamo resi conto di molti segni di declino: meno fedeli, mancanza di vocazioni sacerdotali e religiose, invecchiamento e diminuzione del numero di religiosi, alcune diocesi in bancarotta, continua perdita/diminuzione di istituzioni cattoliche (assistenza medica, istruzione, opere sociali o media) a causa del forte calo di religiosi e laici impegnati. La Conferenza episcopale cattolica (SACBC – che comprende Botswana, eSwatini e Sudafrica) indica come priorità l’assistenza ai giovani dipendenti dall’alcool e da altre sostanze varie.

Quali sono i segni di speranza che i salesiani dell’Africa meridionale stanno cercando?
Preghiamo ogni giorno per nuove vocazioni salesiane, per poter accogliere nuovi missionari. È infatti finita l’epoca dell’Ispettoria anglo-irlandese (fino al 1988) e il Progetto Africa non comprendeva la punta meridionale del continente. Dopo 70 anni in eSwatini (Swaziland) e 45 anni in Lesotho, abbiamo solo 4 vocazioni locali da ciascun Regno. Oggi abbiamo solo 5 giovani confratelli e 4 novizi in formazione iniziale. Tuttavia, la Visitatoria più piccola dell’Africa-Madagascar, attraverso le sue 7 comunità locali, è incaricata dell’educazione e della cura pastorale in 6 grandi parrocchie, 18 scuole primarie e secondarie, 3 centri di formazione professionale (TVET) e diversi programmi di assistenza sociale. La nostra comunità ispettoriale, con 18 nazionalità diverse tra i 35 SDB che vivono nelle 7 comunità, è un grande dono e una sfida da accogliere.

Come comunità cattolica minoritaria e fragile dell’Africa australe
Crediamo che l’unica strada per il futuro sia quella di costruire più ponti e comunione tra i religiosi e le diocesi: più siamo deboli più ci sforziamo di lavorare insieme. Poiché tutta la Chiesa cattolica cerca di puntare sui giovani, Don Bosco è stato scelto dai vescovi come Patrono della Pastorale Giovanile e la sua Novena viene celebrata con fervore nella maggior parte delle diocesi e delle parrocchie all’inizio dell’anno pastorale.

Come Salesiani e Famiglia Salesiana, ci incoraggiamo costantemente a vicenda: “work in progress” (un lavoro costante)
Negli ultimi due anni, dopo l’invito del Rettor Maggiore, abbiamo cercato di rilanciare il nostro carisma salesiano, con la saggezza di una visione e direzione comune (a partire dall’assemblea annuale ispettoriale), con una serie di piccoli e semplici passi quotidiani nella giusta direzione e con la saggezza della conversione personale e comunitaria.

Siamo grati per l’incoraggiamento di don Pascual Chávez per il nostro recente Capitolo Ispettoriale del 2024: «Sapete bene che è più difficile, ma non impossibile, “rifondare” che fondare [il carisma], perché ci sono abitudini, atteggiamenti o comportamenti che non corrispondono allo spirito del nostro Santo Fondatore, don Bosco, e al suo Progetto di Vita, e hanno “diritto di cittadinanza” [nell’Ispettoria]. C’è davvero bisogno di una vera conversione di ogni confratello a Dio, tenendo il Vangelo come suprema regola di vita, e di tutta l’Ispettoria a Don Bosco, assumendo le Costituzioni come vero progetto di vita».

È stato votato il consiglio di don Pascual e l’impegno: “Diventare più appassionati di Gesù e dedicati ai giovani”, investendo nella conversione personale (creando uno spazio sacro nella nostra vita, per lasciare che Gesù la trasformi), nella conversione comunitaria (investendo nella formazione permanente sistematica mensile secondo un tema) e nella conversione ispettoriale (promuovendo la mentalità ispettoriale attraverso “One Heart One Soul” – frutto della nostra assemblea ispettoriale) e con incontri mensili online dei direttori.

Sull’immaginetta-ricordo della nostra Visitatoria del Beato Michele Rua, accanto ai volti di tutti i 46 confratelli e 4 novizi (35 vivono nelle nostre 7 comunità, 7 sono in formazione all’estero e 5 SDB sono in attesa del visto, con uno a San Callisto-catacombe e un missionario che sta facendo chemioterapia in Polonia). Siamo anche benedetti da un numero crescente di confratelli missionari che vengono inviati dal Rettor Maggiore o per un periodo specifico da altre Ispettorie africane per aiutarci (AFC, ACC, ANN, ATE, MDG e ZMB). Siamo molto grati a ciascuno di questi giovani confratelli. Crediamo che, con il loro aiuto, la nostra speranza di rilancio carismatico stia diventando tangibile. La nostra Visitatoria – la più piccola dell’Africa-Madagascar, dopo quasi 40 anni dalla fondazione, non ha ancora una vera e propria casa ispettoriale. La costruzione è iniziata, con l’aiuto del Rettor Maggiore, solo l’anno scorso. Anche qui diciamo: “lavori in corso”…

Vogliamo condividere anche i nostri umili segni di speranza con tutte le altre 92 Ispettorie in questo prezioso periodo del Capitolo Generale. L’AFM ha un’esperienza unica di 31 anni di volontari missionari locali (coinvolti nella Pastorale Giovanile del Centro Giovanile Bosco di Johannesburg dal 1994), il programma “Love Matters” per una sana crescita sessuale degli adolescenti dal 2001. I nostri volontari, infatti, coinvolti per un anno intero nella vita della nostra comunità, sono membri più preziosi della nostra Missione e dei nuovi gruppi della Famiglia Salesiana che stanno lentamente crescendo (VDB, Salesiani Cooperatori e Ex-allievi di Don Bosco).

La nostra casa madre di Città del Capo celebrerà già l’anno prossimo il suo cento trentesimo (130°) anniversario e, grazie al cento cinquantesimo (150°) anniversario delle Missioni Salesiane, abbiamo realizzato, con l’aiuto dell’Ispettoria della Cina, una speciale “Stanza della Memoria di San Luigi Versiglia”, dove il nostro Protomartire trascorse un giorno durante il suo ritorno dall’Italia in Cina-Macao nel maggio 1917.

Don Bosco ‘Ubuntu’ – cammino sinodale
 “Siamo qui grazie a voi!” – Ubuntu è uno dei contributi delle culture dell’Africa meridionale alla comunità globale. La parola in lingua Nguni significa “Io sono perché voi siete” (“I’m because you are!”. Altre possibili traduzioni: “Ci sono perché ci siete voi”). L’anno scorso abbiamo intrapreso il progetto “Eco Ubuntu” (progetto di sensibilizzazione ambientale della durata di 3 anni) che coinvolge circa 15.000 giovani delle nostre 7 comunità in eSwatini, Lesotho e Sudafrica. Oltre alla splendida celebrazione e alla condivisione del Sinodo dei Giovani 2024, i nostri 300 giovani [che hanno partecipato] conservano soprattutto Ubuntu nei loro ricordi. Il loro entusiasmo è una fonte di ispirazione. L’AFM ha bisogno di voi: Ci siamo grazie a voi!

Marco Fulgaro




Si parte per le missioni… confidando nei sogni

I sogni missionari di don Bosco, pur senza anticipare il corso degli eventi futuri, hanno avuto per l’ambiente salesiano il sapore delle previsioni.

            A richiamare l’attenzione di don Bosco al problema missionario contribuirono non poco pure il sogno missionario del 1870-1871 e soprattutto quelli degli anni Ottanta. Se nel 1885 invitava monsignor Giovanni Cagliero alla prudenza: “non si dia gran retta ai sogni” ma “solo se servono moralmente”, lo stesso Cagliero partito alla testa della prima spedizione missionaria (1875) e futuro cardinale, li giudicava come semplici ideali da perseguire. Altri salesiani invece e soprattutto don Giacomo Costamagna, missionario della terza spedizione (1877) e futuro ispettore e vescovo, li intendeva come un itinerario da seguire quasi obbligatoriamente, tanto da chiedere al segretario di don Bosco, don Giovanni Battista Lemoyne, di mandargli i “necessari” aggiornamenti. A sua volta don Giuseppe Fagnano, sempre missionario della prima ora e futuro Prefetto apostolico, li considerava come espressione di un desiderio di tutta la Congregazione, che doveva sentirsi responsabile di realizzarli cercando i mezzi ed il personale. Don Luigi Lasagna infine, missionario partito con la seconda spedizione nel 1876, e pure futuro vescovo, li considerava come una chiave per conoscere il futuro salesiano in missione. Don Alberto Maria De Agostini poi nella prima metà del secolo xx si sarebbe lanciato personalmente in pericolose e innumerevoli escursioni in America australe sulla scia dei sogni di don Bosco.
            Comunque si possano intendere oggigiorno, resta il fatto che i sogni missionari di don Bosco, pur senza anticipare il corso degli eventi futuri, hanno avuto per l’ambiente salesiano il sapore delle previsioni. Visto poi che erano privi di significati simbolici e allegorici ed invece erano ricchi di riferimenti antropologici, geografici, economici, ambientali (si parla di tunnel, di treno, di aereo…) hanno costituito un incentivo per i missionari salesiani ad agire, tanto più che si sarebbe potuto verificarne l’effettiva realizzazione. In altre parole i sogni missionari hanno orientato la storia e tracciato un programma di lavoro missionario per la società salesiana.

La chiamata (1875): un progetto immediatamente rielaborato
            Negli anni Settanta in America Latina era in corso un notevole tentativo di evangelizzazione, grazie soprattutto ai religiosi, nonostante le forti tensioni presenti fra la Chiesa e i singoli Stati liberali. Attraverso contatti con il console argentino in Savona, Giovanni Battista Gazzolo, don Bosco nel dicembre 1874 si offrì di provvedere preti per la Chiesa della misericordia (la chiesa degli italiani) in Buenos Aires, come richiesto dal Vicario generale di Buenos Aires monsignor Mariano Antonio Espinosa ed accettò l’invito di una Commissione interessata ad un collegio a San Nicolás de los Arroyos, a 240 km a nord ovest della Capitale argentina. In effetti la società salesiana – che all’epoca comprendeva pure il ramo femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice – aveva come suo primo obiettivo la cura della gioventù povera (con catechismi, scuole, collegi, ospizi, oratori festivi), ma non escludeva di estendere i suoi servizi a ogni tipo di sacro ministero. Dunque in quel fine 1874 don Bosco non offriva altro di quello che già si faceva in Italia. Del resto le Costituzioni salesiane, approvate definitivamente nell’aprile precedente, proprio mentre da anni erano in corso trattative per fondazioni salesiane in “terre di missione” extraeuropee, non contenevano alcun accenno ad eventuali missiones ad gentes.
            Le cose cambiarono nel volgere di pochi mesi. Il 28 gennaio 1875 in un discorso ai direttori, e il giorno dopo a tutta la comunità salesiana, ragazzi compresi, don Bosco annunciò che erano state accolte le due suddette domande in Argentina, dopo che erano state rifiutate richieste in altri continenti. Riferì anche che “le Missioni in Sud America” (cosa che in questi termini invero nessuno aveva offerto) erano state accettate alle condizioni richieste, con la sola riserva dell’approvazione del papa. Don Bosco con un colpo da maestro presentava così a Salesiani e giovani un entusiasmante “progetto missionario” approvato da Pio IX.
            Iniziava subito una febbrile preparazione della spedizione missionaria. Il 5 febbraio una sua circolare invitava i Salesiani ad offrirsi liberamente per tali missioni, dove, a parte alcune aree civilizzate, essi avrebbero esercitato il loro ministero fra
“popoli selvaggi sparsi in immensi territori”. Se anche aveva individuato nella Patagonia la terra del suo primo sogno missionario – dove selvaggi crudeli di zone sconosciute uccidevano missionari ed invece accoglievano benevolmente quelli salesiani – tale piano di evangelizzazione di “selvaggi” andava ben oltre le richieste pervenute dall’America. Di certo non ne era consapevole, almeno in quel momento, l’arcivescovo di Buenos Aires, monsignor Federico Aneiros.
            Don Bosco procedette con determinazione ad organizzare la spedizione. Il 31 agosto al Prefetto di Propaganda Fide, cardinale Alessandro Franchi, comunicava di avere accettato la gestione del collegio di S. Nicolás come “base per le missioni” e dunque chiedeva le facoltà spirituali solitamente concesse in tali casi. Ne ebbe alcune, ma non ricevette alcun sussidio economico pur sperato perché l’Argentina non dipendeva dalla Congregazione di Propaganda Fide, in quanto con un arcivescovo e quattro vescovi non era considerata “terra di missione”. E la Patagonia? E la terra del Fuoco? E le decine e decine di migliaia di indios viventi laggiù, a due, tremila chilometri di distanza, “alla fine del mondo”, senza alcuna presenza missionaria?
            A Valdocco, nella chiesa di Maria Ausiliatrice, nel corso della famosa cerimonia di addio ai missionari dell’11 novembre, don Bosco si soffermò sulla missione universale di salvezza data dal Signore agli apostoli e dunque alla Chiesa. Parlò della carenza di sacerdoti in Argentina, delle famiglie di emigranti abbonate e del lavoro missionario fra le “grandi orde di selvaggi” della Pampa e nella Patagonia, regioni “che circondano la parte civilizzata” dove “non penetrò ancora né la religione di Gesù Cristo, né la civiltà, né il commercio, dove piede europeo non poté finora lasciare alcun vestigio”.
            Lavoro pastorale per gli emigrati italiani e poi plantatio ecclesiae nella Patagonia: ecco il duplice obiettivo, originale, che don Bosco lasciava alla prima spedizione. (Stranamente non fece però alcun accenno alle due precise sedi di lavoro concordato con l’altra sponda dell’Atlantico). Pochi mesi dopo, nell’aprile 1876, avrebbe insistito con don Cagliero che “lo scopo nostro è di tentare una scorsa nella Patagonia […] ritenendo sempre per nostra base l’impianto di collegi e di ospizi […] in vicinanze delle tribù selvagge”. Glielo avrebbe ripetuto il 1° agosto: “In generale ricordati sempre che Dio vuole i nostri sforzi verso i Pampas e verso i Patagonici, e verso ai ragazzi poveri e abbandonati”.
            A Genova, all’imbarco a ciascuno dei dieci missionari – fra cui cinque sacerdoti – diede venti particolari ricordi. Li riproponiamo:

RICORDI AI MISSIONARI

1. Cercate anime, ma non danari né onori, né dignità.
2. Usate carità e somma cortesia con tutti, ma fuggite la conversazione e la famigliarità colle persone di altro sesso o di sospetta condotta.
3. Non fate visite se non per motivi di carità e di necessità.
4. Non accettate mai inviti di pranzo se non per gravissime ragioni. In questi casi procurate di essere in due.
5. Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini.
6. Rendete ossequio a tutte le autorità civili, religiose, municipali e governative.
7. Incontrando persona autorevole per via, datevi premura di salutarla ossequiosamente.
8. Fate lo stesso verso le persone ecclesiastiche o aggregate ad Istituti religiosi.
9. Fuggite l’ozio e le questioni. Gran sobrietà nei cibi, nelle bevande e nel riposo.
10. Amate, temete, rispettate gli altri ordini religiosi e parlatene sempre bene. È questo il mezzo di farvi stimare da tutti e promuovere il bene della congregazione.
11. Abbiatevi cura della sanità. Lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportano.
12. Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini.
13. Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, ma non portatevi mai né invidia, né rancore, anzi il bene di uno, sia il bene di tutti; le pene e le sofferenze di uno siano considerate come pene e sofferenze di tutti, e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle.
14. Osservate le vostre Regole, né mai dimenticate l’esercizio mensile della buona morte.
15. Ogni mattino raccomandate a Dio le occupazioni della giornata nominatamente le confessioni, le scuole, i catechismi, e le prediche.
16. Raccomandate costantemente la divozione a M.A. ed a Gesù Sacramentato.
17. Ai giovanetti raccomandate la frequente confessione e comunione
18. Per coltivare la vocazione ecclesiastica insinuate 1. amore alla castità, 2. orrore al vizio opposto, 3. separazione dai discoli, 4. comunione frequente, 5. carità con segni di amorevolezza e benevolenza speciale.
19. Nelle cose contenziose prima di giudicare si ascolti ambe le parti.
20. Nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato in cielo.
Amen.




I precedenti delle missioni salesiane (1/5)

Il 150° anniversario delle missioni salesiane si terrà l’11 novembre 2025. Crediamo possa essere interessante raccontare ai nostri lettori una breve storia dei precedenti e delle prime fasi di quella che sarebbe diventata una sorta di epopea missionaria salesiana in Patagonia. Lo facciamo in cinque puntate, con l’aiuto di inedite fonti che ci permettono di correggere le tante imprecisioni passate alla storia.

            Sgombriamo subito il campo: si dice e si scrive che don Bosco volesse partire per le missioni tanto da seminarista, che da giovane sacerdote. Non è documentato. Se studente di 17 anni (1834) fece la domanda di entrare tra i frati Francescani Riformati del convento degli Angeli a Chieri che avevano missioni, la richiesta, a quanto pare, era stata avanzata soprattutto per motivi economici. Se dieci anni dopo (1844), al momento di lasciar il “Convitto Ecclesiastico” in Torino, fu tentato di entrare nella Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, cui erano appena state affidate missioni in Birmania (Myanmar), è però vero che quella missionaria, per la quale aveva forse anche intrapreso qualche studio di lingue estere, era solo per il giovane sacerdote Bosco una delle possibilità di apostolato che gli si aprivano davanti. In entrambi i casi don Bosco seguì immediatamente il consiglio, prima, di don Comollo di entrare in seminario diocesano e, dopo, di don Cafasso, di continuare a dedicarsi ai giovani di Torino. Anche nel ventennio 1850-1870, impegnato com’era nel progettare una continuità della sua “opera degli Oratori”, nel dare un fondamento giuridico alla società salesiana che stava avviando e nella formazione spirituale e pedagogica dei primi salesiani, tutti giovani del suo Oratorio, non era certo in condizione di poter dar seguito ad eventuali aspirazioni missionarie personali o degli stessi suoi “figli”. Dell’andata sua o dei salesiani in Patagonia neanche l’ombra, benché lo si trovi scritto su carta o sul web.

Acuirsi della sensibilità missionaria
            Ciò non toglie che la sensibilità missionaria in don Bosco, ridotta probabilmente a deboli spunti e vaghe aspirazioni negli anni di formazione sacerdotale e del primo sacerdozio, si acuì notevolmente lungo gli anni. La lettura degli Annali della Propagazione della Fede gli offriva infatti una buona informazione sul mondo missionario, tanto da ricavarne episodi per alcuni suoi libri e da lodare papa Gregorio XVI che incentivava l’espandersi del vangelo nei remoti angoli della terra ed approvava nuovi Ordini religiosi con finalità missionarie. Notevole influenza don Bosco poté ricevere dal canonico G. Ortalda, direttore del Consiglio diocesano dell’Associazione di Propaganda Fide per 30 anni (1851-1880) ed anche promotore di “Scuole Apostoliche” (una sorta di seminario minore per vocazioni missionarie). Nel dicembre 1857 aveva pure lanciato il progetto di un’Esposizione a favore delle Missioni Cattoliche affidate ai seicento Missionari Sardi. Don Bosco ne era informatissimo.
            L’interesse missionario poté crescere in lui nel 1862 al momento della solennissima canonizzazione in Roma dei 26 protomartiri di giapponesi e nel 1867 in occasione della beatificazione di oltre duecento martiri giapponesi, celebrata questa con solennità pure a Valdocco. Sempre nella città papale nel corso dei lunghi soggiorni degli anni 1867, 1869 e 1870 poté rendersi conto di altre iniziative missionarie locali, come la fondazione del Pontificio seminario dei santi apostoli Pietro e Paolo per le missioni straniere.
            Il Piemonte con quasi il 50% dei missionari italiani (1500 con 39 vescovi) si poneva all’avanguardia in tale ambito e a Torino venne in visita nel novembre 1859 il francescano monsignor Luigi Celestino Spelta, Vicario Apostolico di Hupei. Non visitò l’Oratorio, lo fece invece nel dicembre 1864 don Daniele Comboni che proprio in Torino diede alle stampe il Piano di rigenerazione per l’Africa con l’intrigante progetto di evangelizzare l’Africa attraverso gli africani.
            Don Bosco ebbe uno scambio di idee con lui, che nel 1869 tentò, senza esito, di associarlo al suo progetto e l’anno dopo lo invitò a mandargli qualche prete e laico per dirigere un istituto al Cairo e così prepararlo alle missioni in Africa, al cui centro contava di affidare ai Salesiani un Vicariato apostolico. A Valdocco la richiesta, non accolta, fu sostituita dalla disponibilità ad accettare ragazzi da educare in vista delle missioni. Colà però il drappello di algerini raccomandati da monsignor Charles Martial Lavigerie trovò difficoltà, per cui furono mandati a Nizza Marittima, in Francia. La richiesta nel 1869 dello stesso arcivescovo di avere aiutanti salesiani in un orfanotrofio di Algeri in momento di emergenza non fu accolta. Così come dal 1868 era sospesa la petizione del missionario bresciano Giovanni Bettazzi di mandare dei salesiani a dirigere un erigendo istituto di arti e mestieri, nonché un piccolo seminario minore, nella diocesi di Savannah (Georgia, USA). Le proposte altrui, tanto di direzione di opere educative in “territori di missione”, quanto di diretta azione in partibus infidelium, potevano essere anche appetibili, ma don Bosco non avrebbe mai rinunciato né alla sua piena libertà di azione – che forse vedeva compromessa nelle proposte altrui pervenutegli – né soprattutto al suo peculiare lavoro con i giovani, per i quali al momento era impegnatissimo a sviluppare la società salesiana appena approvata (1869) oltre i confini torinesi e piemontesi. Insomma fino al 1870 don Bosco, pur teoricamente sensibile alle necessità missionarie, coltivava altri progetti in sede nazionale.

Quattro anni di richieste non accolte (1870-1874)
            Il tema missionario e le importanti questioni che vi si riferivano furono oggetto di attenzione nel corso del Concilio Vaticano I (1868-1870). Se il documento Super Missionibus Catholicis non fu mai presentato in assemblea generale, la presenza in Roma di 180 vescovi di “terre di missioni” e le informazioni positive sul modello di vita religiosa salesiana, diffuse fra loro da alcuni vescovi piemontesi, diedero occasione a Don Bosco di incontrarne molti e anche di essere da loro contattato, tanto in Roma che in Torino.
            Qui il 17 novembre 1869 fu ricevuta la delegazione cilena, con l’arcivescovo di Santiago e il vescovo di Concepción. Nel 1870 fu la volta di mons. D. Barbero, Vicario Apostolico a Hyderabad (India), già conosciuto da Don Bosco, che gli chiese delle suore disponibili per l’India. A Valdocco si recò nel luglio 1870 il domenicano mons. G. Sadoc Alemany, arcivescovo di San Francisco in California (USA), che chiese ed ottenne dei Salesiani per un ospizio con scuola professionale (poi mai realizzato). Visitarono pure Valdocco il francescano mons. L. Moccagatta, Vicario Apostolico di Shantung (Cina) e il suo confratello mons. Eligio Cosi poi suo successore. Nel 1873 fu la volta del milanese mons. T. Raimondi che offrì a Don Bosco la possibilità di andare a dirigere scuole cattoliche nella Prefettura apostolica di Hong Kong. La trattativa, durata oltre un anno, per vari motivi si arenò, così come nello stesso 1874 rimase sulla carta anche un progetto di nuovo seminario del succitato don Bertazzi per Savannah (USA). Lo stesso avvenne in quegli anni per fondazioni missionarie in Australia ed in India, per le quali Don Bosco intavolò con i singoli vescovi trattative, da lui date talora come concluse alla Santa Sede, mentre in realtà erano solo progetti in fieri.
            In quei primi anni settanta, con un personale costituito da poco più di due decine di persone (fra preti, chierici e coadiutori), un terzo delle quali con voti temporanei, sparsi in sei case difficilmente Don Bosco avrebbe potuto mandarne alcune in terra di missione. Tanto più che le missioni estere offertegli fino a quel momento fuori Europa presentavano serie difficoltà di lingua, cultura e tradizioni non neolatine e il tentativo a lungo condotto di disporre di giovane personale di lingua inglese anche con l’aiuto del rettore del collegio irlandese di Roma, mons. Toby Kirby, erano andato fallito.

(continua)

Foto d’epoca: il porto di Genova, 14 novembre 1877.




La presenza salesiana in Etiopia ed Eritrea

La missione salesiana in Etiopia ed Eritrea ebbe inizio nel 1975, quando i primi tre salesiani — don Patrick Morrin dall’Irlanda, don Joseph Reza dagli Stati Uniti e don Cesare Bullo dall’Italia — giunsero a Mekele, nel Tigray, in Etiopia. Sotto la guida della Provincia del Medio Oriente (MOR), risposero alla chiamata della Congregazione per esplorare nuove frontiere. Successivamente, nel 1982, altri missionari dell’Ispettoria Italia-Lombardo-Emiliana (ILE) arrivarono a Dilla nell’ambito del Progetto Africa. La presenza salesiana in Eritrea prese avvio a Dekemhare nel 1995. Nel 1998, le comunità delle due ispettorie si unirono per formare la Vice-Provincia “Mariam Kidane Meheret” (AET).

Nell’ottobre 2025 celebreremo il nostro Giubileo d’Oro, segnando 50 anni di presenza salesiana. Sarà un momento per ringraziare e lodare il Signore, ricordando ed esprimendo gratitudine a coloro che hanno reso il carisma salesiano una realtà per i giovani di Etiopia ed Eritrea. Un ringraziamento speciale va a tutti i missionari e benefattori: che Dio vi benedica abbondantemente.

Quando Dio desidera benedire il suo popolo, si serve di altre persone. Quando ha voluto benedire tutte le nazioni, ha chiamato Abramo: “Si diranno benedette nella tua discendenza tutte le nazioni della terra, perché tu hai obbedito alla mia voce” (Genesi 22,18). Quando ha voluto liberare il suo popolo dalla schiavitù, ha chiamato Mosè (Esodo 3). Quando ha voluto ricordare al suo popolo il suo amore, ha chiamato i profeti. E, nel nostro tempo, Dio ha parlato attraverso suo Figlio: “Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo.” (Ebrei 1,1-2). Il suo amore ci è stato rivelato attraverso l’incarnazione della Seconda Persona della Santissima Trinità: il Verbo di Dio si è fatto carne (cfr. Giovanni 1,14) per mostrarci quanto ci ama: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna” (Giovanni 3,16).

Quando Dio ha voluto benedire i giovani etiopi ed eritrei attraverso il carisma salesiano, ha ispirato il defunto Vescovo dell’Eparchia di Adigrat, Sua Eccellenza Abune Hailemariam Kahsay. Egli chiese che i Salesiani venissero nella sua eparchia per offrire un’educazione integrale ai giovani. Quando diciamo “sì” al Signore e collaboriamo con Lui per benedire il suo popolo, dobbiamo essere coerenti, perseveranti e impegnati a comprendere il suo piano e i suoi tempi, oltre a dare il nostro contributo.
Poiché la risposta dei Salesiani tardava ad arrivare, il vescovo Hailemariam chiese a tre dei suoi sacerdoti che studiavano in Italia di diventare salesiani, dando così inizio alla presenza salesiana in Etiopia. Uno di questi sacerdoti, Abba Sebhatleab Worku, dopo essere diventato salesiano e mentre insegnava filosofia in Libano durante la sua formazione iniziale, fu nominato vescovo dell’eparchia di Adigrat, succedendo ad Abune Hailemariam Kahsay. Come dice la Parola di Dio: “In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Giovanni 12,24). Il frutto non giunse mentre Abune Hailemariam era in vita, ma il seme che aveva seminato portò frutto dopo la sua morte. Abba Sebhatleab Worku emise la sua professione perpetua prima di essere consacrato vescovo e poté accogliere i primi salesiani il 17 ottobre 1975 a Mekele. Da allora, la presenza salesiana si è diffusa in diverse parti dell’Etiopia — Adigrat, Adwa, Shire, Dilla, Soddo, Adamitullu, Zway, Debrezeit, Addis Abeba, Gambella — e in Eritrea — Dekemhare, Asmara e Barentu.

Attualmente, le nostre presenze sono sedici: tredici comunità in Etiopia e tre in Eritrea. In Etiopia gestiamo sei istituti tecnici, otto scuole primarie, cinque scuole secondarie, tredici oratori/centri giovanili, una casa per minori a rischio, cinque parrocchie e tre aspirantati, oltre a case di formazione per novizi e post-novizi.

Geograficamente, l’Etiopia si trova nell’Africa orientale, nel Corno d’Africa, confinando con Kenya, Somalia, Gibuti, Eritrea, Sudan e Sud Sudan. È uno dei Paesi più antichi, talvolta indicato come Regno Aksumita. Storicamente, nonostante i progressi, la mancanza di continuità e i conflitti ricorrenti hanno portato alla distruzione delle conquiste del passato e a ripetuti tentativi di ricominciare da capo, piuttosto che costruire sulle fondamenta esistenti. Ciò ha contribuito a mantenere l’Etiopia tra i paesi meno sviluppati.

In cinquant’anni di presenza salesiana, abbiamo assistito a tre guerre sanguinose. Dal 1974 al 1991 — un periodo di diciassette anni — c’è stata una guerra civile per rovesciare il dittatore e instaurare un governo democratico. Dal 1998 al 2000, una guerra di due anni è stata combattuta con il pretesto di un conflitto di confine con l’Eritrea. Nel 2020 è scoppiato un conflitto tra il Governo federale e i suoi alleati e la Regione del Tigray; sebbene apparentemente sia terminato nel 2022 con l’Accordo di Pretoria, la guerra è proseguita tra il Governo federale e la Regione Amhara ed è tuttora in corso. Inoltre, i conflitti iniziati anni fa nella regione di Oromia — una delle regioni più grandi dell’Etiopia — continuano a persistere.

La guerra consuma immense risorse umane e materiali, distrugge le infrastrutture e le relazioni umane, ostacola gli investimenti e il turismo. Siamo testimoni di questi effetti nei nostri paesi e in molte parti del mondo.

Come salesiani, crediamo che l’unica via d’uscita da conflitti, guerre, povertà e mancanza di pace sia l’educazione. Nonostante guerre e conflitti, abbiamo continuato a fornire istruzione ai giovani poveri, aiutandoli a costruire il loro futuro e a vivere in armonia. Praticando il sistema preventivo salesiano — essere presenti tra i giovani, mostrare interesse per la loro vita, essere pronti ad ascoltare e dialogare con loro, trasmettere valori religiosi, essere ragionevoli e agire sempre con amore — facilitiamo la loro educazione.

Nel corso del nostro cammino cinquantennale, abbiamo affrontato sfide politiche (mancanza di stabilità e guerre), nonché difficoltà sociali ed economiche. Oggi le sfide principali sono l’instabilità politica e le risorse, sia umane (vocazioni) che finanziarie. Seguendo le direttive dei Capitoli Generali, puntiamo a lavorare insieme ai laici; sebbene abbiamo fatto progressi, c’è ancora molta strada da fare. La collaborazione con la Famiglia Salesiana è un’altra sfida da affrontare. Siamo profondamente grati alle Ispettorie che hanno contribuito alla fondazione e alla crescita della presenza salesiana in Etiopia ed Eritrea.

Siamo ancora in una situazione di emergenza a causa della guerra e dell’instabilità in corso, con molti sfollati interni nei campi e nelle scuole — molte scuole governative non forniscono istruzione agli studenti — nel Tigray. Le nostre scuole ospitano studenti tra gli sfollati interni e queste famiglie hanno ancora bisogno di cibo quotidiano. Interveniamo quando possiamo, grazie all’aiuto della rete Don Bosco e di altri benefattori. Gli studenti dipendono completamente da noi per tutto il materiale scolastico.

Per quanto riguarda la nostra vita religiosa, dobbiamo fare i conti con la mancanza di guide formative preparate. Sebbene continuino ad emergere vocazioni, la nostra capacità di occuparcene — soprattutto considerando i tempi che stiamo vivendo — richiede personale più qualificato.

I salesiani in Etiopia ed Eritrea sono 104, inclusi quelli in formazione iniziale. La maggior parte è costituita da vocazioni locali che già ricoprono incarichi di responsabilità, a dimostrazione del fatto che si è creata una solida base. La Vice-Provincia (AET) si sta concentrando su tre priorità principali: l’identità religiosa carismatica salesiana, la pastorale giovanile che coinvolge i laici e l’autosostenibilità.

Speriamo che, gradualmente, impareremo dalla nostra storia e ci impegneremo a vivere insieme in armonia, affinché la missione possa progredire senza ostacoli nel servizio ai giovani bisognosi. In questo modo, ci proponiamo di dare un contributo significativo all’educazione e alla crescita dei giovani, formando buoni credenti e onesti cittadini.

Insieme ai nostri benefattori e a tutti i collaboratori, ci impegniamo a continuare a camminare con i giovani, lavorando per una società migliore e una Chiesa più santa!

don Hailemariam MEDHIN, sdb
superiore della Visitatoria – AET




Intervista ad Aurelien MUKANGWA, Superiore della Visitatoria Africa Congo Congo

Abbiamo fatto a don Aurelien MUKANGWA, Superiore della Visitatoria Africa Congo Congo (ACC), alcune domande per i lettori del Bollettino Salesiano OnLine.

Don Aurélien è nato il 9 novembre 1975 a Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo. Ha compiuto il suo noviziato a Kansebula dal 24 agosto 1999 al 24 agosto 2000. Ha poi emesso la professione perpetua a Lubumbashi l’8 luglio 2006 ed è stato ordinato sacerdote il 12 luglio 2008.
Ha ricoperto gli incarichi, a livello locale, di Direttore a Uvira, Kinshasa, Lukunga e Le Gombe, e di Preside scolastico a Masina. Prima della nascita dell’attuale Visitatoria ACC, fu proprio lui ad essere scelto come Superiore della Delegazione di RDC-OVEST, per quattro anni, e al momento di questa nomina, era di nuovo Delegato dell’Ispettore nella nuova Delegazione AFC Est, con sede a Goma.
Don Mukangwa è figlio di Donatien Symba Mukangwa e Judith Munyampala Mwange, titolare di un Diploma in Pedagogia. Ha assunto questo nuovo servizio di animazione e di governo della Visitatoria ACC – che ricopre parte della Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica del Congo – per il sessennio 2023-2029.

Può farci una autopresentazione?
Mi chiamo Mukangwa Mwanangoy Aurélien, sono nato a Lubumbashi (Haut Katanga), nella Repubblica Democratica del Congo, il 09 novembre 1975 da mio padre Donatien Symba Mukangwa e da mia madre Judith Munyampara Mwange. Sono il secondo di 11 figli, 7 maschi e quattro femmine.
Sono diventato salesiano di Don Bosco quasi 24 anni fa, il 24 agosto 2000. E dal 24 maggio 2023 sono stato insediato come secondo superiore provinciale della vice-provincia di Maria Ausiliatrice Africa Congo-Congo (ACC). Subito dopo la formazione iniziale, ho lavorato a Uvira, Kinshasa, Lubumbashi e Goma, e ora sono nella sede della Viceprovincia a Kinshasa.

Qual è la storia della tua vocazione?
Grazie mille per questa bella domanda, che trovo molto essenziale, perché per me è importante l’incontro con Don Bosco che mi ha portato a essere salesiano.
L’influenza vocazionale che ho avuto dipende dal luogo in cui sono nato, dalla mia infanzia e dalla mia giovinezza. Sono nato e cresciuto in un comune che era servito pastoralmente esclusivamente dai Salesiani di Don Bosco. All’epoca, tutte le parrocchie del comune del Kenya (Lubumbashi-RDC) erano gestite dai Salesiani di Don Bosco. Il mio primo contatto con i salesiani è stato alla scuola materna (4 anni), dove ho conosciuto salesiani come i padri Eugène, Carlos Sardo, Angelo Pozzi e Luigi Landoni. Nella mia parrocchia di Saint Benoit (Kenya), quando ero molto giovane, andavo all’oratorio e al parco giochi, dove ho incontrato anche padre Jacques Hantson, sdb, e i giovani salesiani in formazione che venivano da Kansebula (post-noviziato). Nella stessa parrocchia ho conosciuto anche padre André Ongenaert, sdb. Intorno al 1987, la famiglia si trasferì nel quartiere dietro la Cité des Jeunes de Lubumbashi, fondata dai Salesiani. Lì ho avuto il privilegio di conoscere molti salesiani e missionari africani.
Così, fin da piccolo, ho covato il desiderio di diventare come questi salesiani che venivano a fare pastorale nella mia parrocchia, perché mi ispiravano tanto il loro modo di fare e di stare con noi, il loro modo di accogliere i bambini e la disponibilità che avevano ad ascoltare i giovani, soprattutto il loro impegno al servizio dei giovani poveri e la gioia che mettevano intorno a tutti noi.

Come ha conosciuto Don Bosco / i Salesiani?
Come ho detto prima, ho conosciuto Don Bosco attraverso i Salesiani di Don Bosco nella mia parrocchia, nella mia scuola, nella mia formazione attraverso i Salesiani, i libri e i film su Don Bosco.

Ricorda un educatore in particolare?
Padre Jacques Hantson, per lo spirito salesiano e missionario con cui ci guidava nell’oratorio della parrocchia di Saint Benoît a Lubumbashi. Padre Hantson era un missionario belga e oggi riposa presso il Padre celeste.

Quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato?
Le maggiori difficoltà che abbiamo incontrato finora sono la miseria dei giovani abbandonati dallo Stato, dai genitori e dagli adulti; giovani che sono diventati vittime della guerra, della disoccupazione, della droga, della prostituzione, della povertà e dello sfruttamento in varie forme. L’altra difficoltà è la mancanza di soluzioni reali ai problemi dei giovani e la mancanza di risorse umane, materiali e finanziarie per fornire un’assistenza adeguata a questi giovani vulnerabili in difficoltà.

Qual è la tua esperienza più bella?
L’esperienza più bella della mia vita salesiana è stata quella di assistente nella casa di pre-noviziato, nelle attività oratoriane e nella pastorale scolastica e sociale.
Nel corso del tempo ho imparato che dalle esperienze positive e negative bisogna trarre buoni insegnamenti per la vita e cercare di essere positivi per realizzare l’ottimismo salesiano.

I cristiani nella regione sono perseguitati?
Devo dire che l’area geografica della nostra visitatoria è, per grazia, prevalentemente cristiana. Quindi i cristiani non sono perseguitati qui. Tuttavia, a volte sono vittime della situazione socio-politica e di sicurezza dei Paesi che compongono la nostra visitatoria.

Quali sono le grandi sfide dell’evangelizzazione e della missione oggi?
Oggi le grandi sfide dell’evangelizzazione e della missione sono quelle del mondo digitale, dove troviamo un numero abbastanza elevato di giovani che si confrontano con l’intelligenza artificiale, con tutte le sue insidie.
Un’altra sfida specifica per la nostra visitatoria è l’espansione della missione salesiana in tutta la nostra area geografica. Ci sono giovani in periferia che hanno bisogno del carisma di Don Bosco. Ma perché questo avvenga, dobbiamo investire molto nella formazione di salesiani di qualità che siano veramente “appassionati di Gesù Cristo e dedicati ai giovani”.

Che ruolo ha Maria Ausiliatrice nella sua vita?
Come cristiano cattolico e salesiano di Don Bosco, Maria ha un posto importante nella mia vita. Grazie alla spiritualità salesiana, ho imparato ad approfondire la dimensione della devozione a Maria Ausiliatrice. Ogni mattina, al termine della nostra meditazione, recitiamo la preghiera salesiana a Maria Ausiliatrice, e trovo il tempo, durante il giorno e la sera, di chiedere alla Vergine Maria aiuto per la mia vocazione, per la missione salesiana, per la famiglia salesiana e soprattutto per i giovani. Ho una grande fiducia in Lei. Lei è mia Madre. È intrinsecamente legata alla mia vocazione, anzi la devo a lei.

Cosa direbbe ai giovani di oggi?
Viste le sfide che i giovani di oggi devono affrontare, ci sono molte cose da dire. Ai giovani dico che Dio ha fatto loro un grande dono nella persona di Don Bosco attraverso il carisma salesiano. Ogni giovane che incontra Don Bosco ha il dovere di costruire la propria vita sui valori salesiani. Non c’è bisogno che vi ricordi l’ordine che Don Bosco ci ha lasciato: “Insegnate ai giovani la bruttezza del peccato e la bellezza della virtù”. Chi non ha ancora conosciuto Don Bosco dovrebbe rivolgersi a un’organizzazione salesiana. Cari giovani, voi siete i protagonisti del vostro futuro, un futuro migliore e radioso! Perciò non perdete tempo. Impegnatevi. Approfittate del carisma salesiano. È lì per voi.




Un salesiano, direttore delle Pontificie Opere Missionarie in Lituania

Il Cardinale Luis Antonio G. Tagle, Pro-Prefetto del Dicastero per l’Evangelizzazione, in data 16 giugno 2024, ha confermato nell’incarico di Direttore nazionale delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Lituania per un altro quinquennio (2024-2029). Don Alessandro, salesiano proveniente da Torino, lavora come missionario in Lituania dal 1998. Attualmente è il direttore della comunità salesiana di Vilnius, parroco della parrocchia affidata ai salesiani e redattore del Bollettino Salesiano lituano.
È stato nominato direttore nazionale delle POM nel 2019 su proposta della Conferenza Episcopale lituana, e il suo incarico si può riassumere come incaricato nazionale della Chiesa della Lituania dell’animazione missionaria, specialmente con un occhio privilegiato per le missioni direttamente dipendenti dalle Organizzazioni Pontificie.

Cosa sono le Pontificie Opere Missionarie?
Le Pontificie Opere Missionarie (POM) sono una rete mondiale di preghiera e solidarietà a servizio del Papa per andare incontro ai bisogni spirituali e materiali dei popoli e delle Chiese locali nei cosiddetti territori di missione. Sono un’organizzazione della Chiesa Cattolica universale che si occupa di promuovere e sostenere le attività missionarie in tutto il mondo. La loro missione principale è diffondere il Vangelo e sostenere le comunità cristiane nei paesi in via di sviluppo. In ogni paese del mondo vi è una direzione nazionale delle POM che attraverso i vari direttori diocesani o i vari incaricati nazionali delle congregazioni religiose o dei movimenti ecclesiali coordinano le iniziative di quel paese per la crescita della attenzione della missionarietà.
Vediamo nel dettaglio la storia, la motivazione teologica ed ecclesiale di queste 4 Opere e la loro specificità.

1. Opera della Propagazione della Fede: fondata nel 1822 a Lione, Francia, dalla beata Pauline Jaricot. Ha come scopo il sostegno finanziario e spirituale alle missioni cattoliche nel mondo. È stata riconosciuta come “Pontificia” da Papa Pio XI nel 1922.

2. Opera dell’Infanzia Missionaria (conosciuta anche come Santa Infanzia): fondata nel 1843 da Charles de Forbin-Janson, vescovo di Nancy, Francia. Mira a sensibilizzare i bambini nei paesi cristiani alla causa missionaria e a promuovere la solidarietà tra i bambini di tutto il mondo.  Anche questa fu riconosciuta come “Pontificia” da Papa Pio XI nel 1922.

3. Opera di San Pietro Apostolo: fondata nel 1889 da Jeanne Bigard e sua madre Stéphanie a Caen, Francia. L’obiettivo è sostenere la formazione del clero locale nei territori di missione. Sostiene borse di studio per chierici e sacerdoti dei paesi di missione, sia in loco che all’estero. Dichiarata “Pontificia” nel 1922 da Papa Pio XI.

4. Unione Missionaria del Clero: fondata nel 1916 da padre Paolo Manna, un missionario del PIME (Pontificio Istituto Missioni Estere). Promuove la coscienza missionaria tra il clero e gli operatori pastorali. Non è riservata solo al clero, ma alla presa di coscienza di tutto il popolo di Dio come possessore del mandato missionario universale. È diventata un’opera pontificia nel 1956, sotto il pontificato di Papa Pio XII.

Motivazione teologica ed ecclesiale
Le POM sono radicate nella missione della Chiesa di evangelizzare, che trae origine dal mandato di Cristo ai suoi discepoli: “Andate, dunque, e ammaestrate tutte le nazioni” (Matteo 28,19). La missione è quindi vista come una risposta all’invito divino a condividere la Buona Novella con tutte le genti.
Il cuore della missione è la proclamazione della salvezza in Gesù Cristo, l’annuncio del Regno di Dio e la testimonianza della fede cristiana.
D’altro canto, l’annuncio non sostenuto dalla solidarietà non sarebbe molto credibile. Le POM esprimono la solidarietà della Chiesa universale con le giovani Chiese, specialmente nei paesi più poveri, attraverso l’aiuto spirituale e materiale.
Dal punto di vista ecclesiale, le POM sono un’espressione concreta della cooperazione missionaria all’interno della Chiesa universale. Esse forniscono supporto alle Chiese locali nei territori di missione, aiutandole a sviluppare strutture ecclesiali e a formare il clero e i laici. Promuovono altresì la consapevolezza missionaria tra i fedeli, stimolando la preghiera, la vocazione missionaria e il sostegno finanziario per le missioni. Facilitano la cooperazione internazionale all’interno della Chiesa, permettendo una distribuzione equa delle risorse per le necessità delle missioni.
Le Pontificie Opere Missionarie sono una componente vitale della Chiesa Cattolica, incarnando l’impegno per l’evangelizzazione e la solidarietà globale. La loro storia riflette un’attenzione continua e crescente verso le missioni, mentre la loro motivazione teologica ed ecclesiale evidenzia l’importanza del mandato missionario nel contesto della fede cristiana.
Anche noi salesiani siamo chiamati ad inserirci in questo cammino ecclesiale missionario di vicinanza e solidarietà spirituale e materiale.

Raccolta missionaria universale
Dal 1926 la Giornata Missionaria Mondiale si celebra la penultima domenica di ottobre in tutte le comunità cattoliche del mondo, come Giornata di preghiera e di solidarietà universale tra Chiese sorelle. È il momento in cui ognuno di noi è chiamato a confrontarsi con la responsabilità che compete ad ogni battezzato e a ciascuna comunità cristiana, piccola o grande che sia, in risposta al mandato di Gesù “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura” (Mc 16,15). È posta all’inizio dell’anno pastorale per ricordare che la dimensione missionaria deve ispirare ogni momento della nostra vita e che “l’azione missionaria – ricorda papa Francesco – è il paradigma di ogni opera della Chiesa” (EG 15).
Alla Giornata è associata una raccolta annuale di offerte con le quali le Pontificie Opere Missionarie, espressione della sollecitudine del Papa verso tutte le comunità cristiane del mondo, vengono in aiuto alle giovani Chiese di missione, in particolare quelle in situazioni difficili e di maggiore necessità, provvedendo ai loro bisogni pastorali fondamentali: formazione dei seminaristi, sacerdoti, religiosi/e, catechisti locali; costruzione e mantenimento dei luoghi di culto, dei seminari e delle strutture parrocchiali; sostegno alle Tv, Radio e Stampa cattolica locale; fornitura dei mezzi di trasporto ai missionari (vetture, moto, biciclette, barche); sostegno all’istruzione, alla educazione e alla formazione cristiana dei bambini e dei ragazzi. Per tale motivo questa raccolta di offerte si distingue da altre finalità, come pure da altre eventuali forme di cooperazione tra Chiese particolari.

Tema della giornata missionaria mondiale 2024
Ogni anno il Santo Padre invia a tutta la Chiesa un messaggio in occasione della Giornata Missionaria Mondiale. Tale messaggio rivolge una particolare attenzione alle attività delle POM a servizio di tutta la Chiesa. In questo 2024 il tema della GMM è “Andate e invitate al banchetto tutti”, ispirato a Mt 22, 9. Questo tema è stato scelto per enfatizzare la missione della Chiesa di portare l’invito alla salvezza a tutta l’umanità, riflettendo la parabola del banchetto nuziale in cui il re invita tutti ai crocicchi delle strade a partecipare al banchetto.
Papa Francesco evidenzia tre aspetti fondamentali:
1. “Andate e invitate!”. La missione come un andare instancabile verso tutti per invitarli all’incontro e alla comunione con Dio. Questo richiama la Chiesa ad essere sempre in uscita, superando ostacoli e difficoltà per portare il Vangelo a tutti.
2. Il “Banchetto”. La prospettiva escatologica ed eucaristica della missione. Il banchetto escatologico simboleggia la salvezza finale nel Regno di Dio, e la partecipazione all’Eucaristia anticipa questa comunione perfetta con Dio.
3. “Tutti”. La missione universale dei discepoli di Cristo, che devono andare ai margini della società per invitare tutti, senza esclusione, a partecipare alla vita nuova in Cristo.

don Alessandro BARELLI, sdb




Don Bosco nelle Isole Salomone

Accompagnati da un salesiano locale, andiamo a conoscere una presenza educativa significativa in Oceania.

            La presenza di Don Bosco ha raggiunto ogni continente del mondo, possiamo dire che manca solo l’Antartide, e anche nelle isole dell’Oceania si sta diffondendo il carisma salesiano, che ben si adatta alle differenti culture e tradizioni.
            Da quasi 30 anni anche nelle Isole Salomone, Paese del Pacifico sudoccidentale che comprende oltre 900 isole, operano i salesiani. Arrivarono il 27 Ottobre 1995, su richiesta dell’arcivescovo emerito Adrian Smith, e iniziarono il lavoro con tre confratelli dal Giappone, i primi pionieri salesiani nel Paese. Inizialmente si trasferirono a Tetere, nella parrocchia di Cristo Re, nella periferia della capitale Honiara, sull’isola di Guadalcanal, e successivamente aprirono un’altra presenza a Honiara, nella zona di Henderson. I salesiani che lavorano nel Paese sono meno di dieci e provengono da diversi Paesi dell’Asia e dell’Oceania: Filippine, India, Korea, Vietnam, Papua Nuova Guinea e Isole Salomone.

            Le Isole Salomone sono un Paese molto povero della regione oceanica della Melanesia, che sin dall’indipendenza del 1978 ha conosciuto tanta instabilità politica e problemi sociali, attraversando conflitti e violenti scontri etnici al suo interno. Sebbene conosciute come le “Isole Felici”, il Paese si sta gradualmente allontanando da questa identità, poiché sta affrontando ogni tipo di sfida e problema che deriva dall’abuso di droghe e alcol, dalla corruzione, dalle gravidanze precoci, dalle famiglie distrutte, dalla mancanza di opportunità di lavoro e di istruzione e così via, ci racconta il salesiano Thomas Bwagaaro che ci accompagna in questo articolo.

            Le Isole Salomone hanno una popolazione stimata di circa 750.000 persone e la maggioranza è costituita da giovani. La popolazione è prevalentemente melanesiana, con alcuni popoli micronesiani, polinesiani e altri. La maggioranza della popolazione è cristiana, ma ci sono anche altre fedi come la Fede Bahai e l’Islam che si stanno gradualmente facendo strada nel Paese. I paesaggi marini paradisiaci e la ricchissima biodiversità rendono queste isole un luogo affascinante e fragile allo stesso tempo. Ci dice Thomas che i giovani sono generalmente docili e sognano un futuro migliore. Tuttavia, con l’aumento della popolazione e la mancanza di servizi e perfino di uno spazio per ricevere un’istruzione superiore, sembra che i giovani di oggi siano generalmente frustrati nei confronti del governo e che molti giovani ricorrano alla criminalità, come lo spaccio di droghe illegali, l’alcol, i borseggi, i furti e così via, soprattutto in città, solo per guadagnarsi un reddito. In questa situazione non semplice, i salesiani si rimboccano le maniche per offrire speranze di futuro.

            Nella comunità di Tetere il lavoro si concentra nella scuola, un centro di formazione professionale che offre corsi di agraria, e nella parrocchia di Cristo Re. Oltre ai corsi formali di istruzione, nella scuola ci sono spazi da gioco per gli studenti, i giovani che frequentano la parrocchia e le comunità che vivono nella stessa zona, e nel fine settimana è aperto l’oratorio. La sfida che la comunità si trova ad affrontare è la distanza da Honiara e la mancanza di risorse necessarie per aiutare la scuola a soddisfare il benessere degli studenti. Per quanto riguarda la parrocchia, la cattiva condizione delle strade che conducono ai villaggi è una delle principali preoccupazioni, che spesso contribuisce a problemi ai veicoli e, quindi, rende più difficile il trasporto.

            La comunità di Honiara-Henderson porta avanti una scuola tecnica professionale che si rivolge ai giovani e alle giovani che hanno abbandonato la scuola e non hanno la possibilità di proseguire gli studi. I corsi tecnici vanno dalla tecnologia elettrica, alla fabbricazione di metalli e alla saldatura, all’amministrazione di uffici commerciali, all’ospitalità e al turismo, alla tecnologia dell’informazione, alla tecnologia automobilistica, alla costruzione di edifici e al corso sull’energia solare.
            Oltre a questo, la comunità sostiene anche un centro di apprendimento che si rivolge principalmente ai bambini e ai ragazzi della discarica di Honiara e delle comunità circostanti la scuola che non hanno la possibilità di frequentare le scuole normali.

Tuttavia, a causa della mancanza di strutture, non tutti possono essere ospitati nel centro, nonostante gli sforzi di tutta la comunità. Seguendo il Sistema Preventivo di Don Bosco, i salesiani non si limitano ad offrire opportunità educative, ma si occupano anche dell’aspetto spirituale degli studenti attraverso vari programmi e attività religiose, per formarli ad essere “buoni cristiani ed onesti cittadini”. Attraverso i suoi programmi, la scuola salesiana trasmette ai ragazzi messaggi positivi e li educa alla disciplina e all’equilibrio, per evitare che cadano nei problemi di abuso di droghe e alcol, molto diffusi tra i giovani. Una sfida che la comunità salesiana si trova ad affrontare per offrire un’educazione di qualità è la formazione del personale, affinché sia sempre professionale e allo stesso tempo condivida i valori carismatici salesiani, con spirito di corresponsabilità educativa. La scuola ha bisogno di missionari laici e di volontari che si impegnino ad aiutare i giovani a realizzare i loro sogni e a diventare una versione migliore di sé stessi.
Anche se la situazione attuale del Paese sarà probabilmente più difficile negli anni a venire, ci racconta Thomas: “credo che i giovani delle Isole Salomone desiderino e sperino in un futuro migliore, desiderino persone che li ispirino a sognare, che li accompagnino, che li ascoltino e li guidino a sperare e a guardare oltre le sfide e i problemi che sperimentano continuamente ogni giorno, soprattutto quando migrano in città”.

            Ma come può nascere la vocazione alla vita consacrata salesiana nelle isole Salomone?
Thomas Bwagaaro è uno degli unici due salesiani provenienti dalle Isole Salomone. “È un privilegio per me lavorare per i giovani nel mio Paese. Come locale, avere a che fare con i giovani e ascoltare le lotte che a volte affrontano mi dà forza e coraggio per essere un buon salesiano.” Il lavoro educativo e la testimonianza personale di vita possono essere fonte di ispirazione per altri giovani che vogliano unirsi alla congregazione salesiana e continuare il sogno di Don Bosco di aiutare i giovani in questa regione, come è accaduto nella storia di Thomas. Il suo percorso per diventare salesiano è iniziato come studente del Don Bosco Tetere nel 2011. Ispirato dal modo in cui i salesiani interagivano con gli studenti, è rimasto affascinato e ricorda i due anni trascorsi lì come la migliore esperienza studentesca, che gli ha donato la speranza e la possibilità di sognare un futuro luminoso, nonostante la situazione difficile e la mancanza di opportunità. Il percorso vocazionale in comunità è iniziato con la partecipazione ai momenti di preghiera dei Salesiani, al mattino e alla sera, con un graduale e crescente senso di condivisione. Così, nel 2013, Thomas è entrato nell’aspirantato salesiano “Savio Haus” a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, frequentando per quattro anni il collegio insieme ad altri compagni. La formazione salesiana di chiaro stampo internazionale è proseguita nelle Filippine, a Cebu, con il prenoviziato e il successivo noviziato, al termine del quale Thomas ha emesso i suoi primi voti come salesiano presso il Santuario di Maria Ausiliatrice a Port Moresby proprio nella solennità di Maria Ausiliatrice, il 24 Maggio 2019. Poi è tornato nelle Filippine per lo studio della filosofia e finalmente è tornato nella visitatoria “PGS”, ovvero la provincia salesiana che comprende Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. “Come salesiano locale, sono molto grato alla mia famiglia che mi ha sostenuto con tutto il cuore e ai confratelli che mi hanno dato il buon esempio e che mi hanno accompagnato nel mio cammino di giovane salesiano.” La vita religiosa, accanto ai giovani insieme a tanti laici esemplari, continua ad essere ancora oggi rilevante come lo è stata in passato. “Guardando al futuro, posso dire con sicurezza che le Isole Salomone continueranno ad avere molti giovani e la necessità di Salesiani, volontari salesiani e partner missionari laici per continuare questo meraviglioso apostolato di aiutare i giovani ad essere buoni cristiani e onesti cittadini sarà molto attuale.”

Marco Fulgaro




Missionari nei Paesi Bassi

Nell’immaginario comune le “missioni” riguardano il sud del mondo, in realtà non è un criterio geografico alla base e anche l’Europa è meta di missionari salesiani: in questo articolo parliamo dei Paesi Bassi.

Quando don Bosco sognò, tra il 1871 e il 1872, dei “barbari” e dei “selvaggi”, secondo il linguaggio dell’epoca, alti di statura e con facce feroci, vestiti con pelli di animali che camminavano in una zona a lui completamente sconosciuta con dei missionari in lontananza, nei quali riconobbe i suoi salesiani, allora non poteva prevedere l’enorme sviluppo della Congregazione Salesiana nel mondo. Trentacinque anni dopo – 18 anni dopo la sua morte – i Salesiani avrebbero fondato la loro prima ispettoria in India e 153 anni dopo l’India è diventato il primo Paese al mondo per numero di salesiani. Ciò che Don Bosco non poteva assolutamente immaginare è che i salesiani indiani sarebbero venuti in Europa, in particolare nei Paesi Bassi, per lavorare come missionari e per vivere e sperimentare la propria vocazione.

Incontriamo don Biju Oledath sdb, nato nel 1975 a Kurianad, nel Kerala, nel sud dell’India. Salesiano dal 1993, è arrivato nei Paesi Bassi come missionario nel 1998, dopo gli studi di filosofia presso il collegio salesiano di Sonada. Dopo il tirocinio ha compiuto gli studi teologici presso l’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio. Nel 2004 è stato ordinato sacerdote in India e come giovane sacerdote ha svolto il suo servizio nella parrocchia di Alapuzha, nel Kerala, per poi tornare l’anno dopo nei Paesi Bassi come missionario. Attualmente vive e lavora nella comunità salesiana di Assel.

Nel cuore di don Biju, quando era giovane, c’era il seme della missione ad gentes e, in particolare, il desiderio di essere destinato all’Africa, ispirato dai confratelli indiani partiti per il Kenya, la Tanzania e l’Uganda. Questo sogno missionario si alimentava grazie ai loro racconti e a tutto il materiale da loro scritto, lettere e articoli sul lavoro salesiano in Africa. Tuttavia, i superiori pensavano che fosse ancora troppo giovane e non ancora pronto per questo passo e anche la famiglia riteneva che fosse troppo pericoloso per lui in quel momento partire. Ci dice don Biju: “Ripensandoci, sono d’accordo con loro: dovevo prima completare la mia formazione iniziale e volevo davvero studiare teologia in una buona università. Non sarebbe stato così facile in quei Paesi all’epoca”.

Ma se il desiderio missionario è sincero e proviene da Dio, arriva sempre il momento della chiamata: la vocazione missionaria salesiana, infatti, è una chiamata dentro la comune chiamata alla vita consacrata per i Salesiani di Don Bosco. Così nel 1997 a don Biju è stata prospettata la missione ad gentes in Europa, nei Paesi Bassi, sicuramente un progetto molto diverso dalla vita missionaria in Africa. Dopo il tirocinio, avrebbe studiato teologia presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio). “Ho dovuto deglutire per un momento, ma ero comunque felice di poter partire per un nuovo Paese”, ammette don Biju, che era determinato a girare il mondo per il ben dei giovani.

Non è scontato conoscere il posto in cui si è inviati come missionari, magari si è sentito qualcosa del paese o qualche storia sul suo conto. “Avevo già sentito parlare dei Paesi Bassi, sapevo che si trovava sotto il livello del mare e avevo letto la storia di un bambino che aveva messo un dito in una diga per evitare un’inondazione, salvando così il paese. Ho iniziato subito a cercare un atlante mondiale e all’inizio ho avuto qualche difficoltà a trovarlo tra tutti gli altri grandi paesi europei.” Il padre di don Biju rimase contrario, preoccupato per la distanza e per il lungo viaggio, mentre sua madre lo invitò ad obbedire alla sua vocazione e seguire il suo sogno di felicità.

Prima di raggiungere l’Europa, passò una lunga attesa per ottenere il visto per i Paesi Bassi. Così, don Biju fu destinato al lavoro con i bambini di strada a Bangalore. A metà dicembre 1998, in una fredda giornata invernale, finalmente l’arrivo ad all’aeroporto di Amsterdam, dove l’ispettore e altri due salesiani attendevano il missionario indiano. L’accoglienza calorosa compensò lo shock culturale per l’approccio in un nuovo luogo, molto diverso dall’India, dove fa sempre caldo e tanta gente vive per strada. L’inculturazione richiede tempo per abituarsi, conoscere e comprendere dinamiche totalmente sconosciute a casa propria.
Il primo anno di don Biju è trascorso nella conoscenza delle diverse case e opere salesiane: “ho capito che ci sono persone davvero gentili e ho iniziato ad adattarmi a tutte queste nuove impressioni e abitudini”. I Paesi Bassi non sono solo freddi e piovosi, ma anche belli, soleggiati e caldi. I salesiani sono stati molto gentili ed ospitali con don Biju, preoccupati di farlo sentire a proprio agio e a casa. Sicuramente il modo di vivere la fede cristiana degli olandesi è molto differente dall’India e l’impatto può essere scioccante: grandi chiese con poche persone, per lo più anziani, canti e musiche diverse, uno stile più dimesso. Oltre a ciò, ci racconta don Biju, “mi è mancato molto il cibo, la famiglia, gli amici… soprattutto la vicinanza dei giovani salesiani della mia stessa età intorno a me.”  Ma con il tempo migliora la comprensione della situazione le differenze iniziano ad avere un senso e una logicità.

Per essere un missionario salesiano efficace in Europa, lavorare in una società secolarizzata richiede spesso adattabilità, sensibilità culturale e una comprensione graduale del contesto locale, che non può essere ottenuta da un giorno all’altro. Questo lavoro richiede pazienza, preghiera, studio e riflessione che aiutano a scoprire la fede alla luce di una nuova cultura. Questa apertura permette ai missionari di dialogare con sensibilità e rispetto con la nuova cultura, riconoscendo la diversità e la pluralità dei valori e delle prospettive religiose.
I missionari devono sviluppare nel posto in cui si trovano una fede e una spiritualità personale profondamente radicate, come uomini di preghiera, di fronte al calo dei tassi di affiliazione religiosa, al minore interesse o apertura alle questioni spirituali e all’assenza di nuove vocazioni alla vita religiosa/salesiana.
È forte il rischio di perdersi in una società secolarizzata dove il materialismo e l’individualismo sono prevalenti e ci può essere meno interesse o apertura verso le questioni spirituali. Se non si sta attenti, un giovane missionario può facilmente cadere nello scetticismo e nell’indifferenza religiosa e spirituale. In tutti questi momenti, è importante avere un direttore spirituale che possa guidare al giusto discernimento.

Come don Biju, ci sono circa 150 salesiani che sono stati inviati in tutta Europa dall’inizio del nuovo millennio, in questo continente da ricristianizzare, dove la fede cattolica ha bisogno di essere rinvigorita e sostenuta. I missionari sono un dono per la comunità locale, sia salesiana sia a livello di Chiesa e di società. La ricchezza della diversità culturale è un dono reciproco per chi accoglie e per chi è accolto ed aiuta ad aprire gli orizzonti mostrando un volto della Chiesa più “cattolico”, ovvero universale. I missionari salesiani, inoltre, portano una boccata di freschezza in alcune Ispettorie che hanno difficoltà a fare un ricambio generazionale, dove i giovani sono sempre meno interessati alle vocazioni alla vita consacrata.

Nonostante la tendenza alla secolarizzazione, ci sono segni di una rinascita dell’interesse spirituale nei Paesi Bassi, in particolare tra le generazioni più giovani. Negli ultimi anni si può notare un’apertura alla religiosità e un calo dei sentimenti antireligiosi. Questo si manifesta in varie forme, tra cui le forme alternative di essere chiesa, l’esplorazione di pratiche spirituali alternative, la mindfulness e la rivalutazione delle credenze religiose tradizionali. C’è sempre più bisogno di assistere i giovani, poiché un gruppo importante di giovani soffre di solitudine e depressione, nonostante il benessere generale della società. Come salesiani, dobbiamo leggere i segni dei tempi per stare vicino ai giovani e aiutarli.

Si vedono segni di speranza per la Chiesa, portati dai cristiani migranti che arrivano in Europa e dai cambiamenti demografici, culturali e di vita di molte comunità locali. Nella comunità salesiana di Hassel spesso si riuniscono giovani cristiani immigrati dal Medio Oriente che portano la loro fede vivace, le loro opportunità e contribuiscono positivamente alla nostra comunità salesiana.
“Tutto questo mi dà un’ottima sensazione e mi fa capire quanto sia bello poter lavorare qui, in quello che per me è inizialmente un Paese straniero.”

Preghiamo che l’ardore missionario possa rimanere sempre acceso e che non manchino missionari disposti ad ascoltare la chiamata di Dio per portare il suo Vangelo in tutti i continenti attraverso la semplice e sincera testimonianza di vita.

di Marco Fulgaro




Il lavoro dei salesiani nel Maghreb

I Salesiani sono presenti in 136 paesi del mondo, tra cui diversi paesi del Nord Africa, dove dallo scorso anno è stata creata una nuova circoscrizione che abbraccia Tunisia, Marocco ed Algeria.

Quando abbiamo contattato il missionario don Domenico Paternò, prete salesiano, per chiedere di condividerci qualche pennellata della presenza salesiana in Nord Africa, ha voluto iniziare con una riflessione sul Mar Mediterraneo.

Il Mediterraneo non è solo un mare geograficamente molto conosciuto ma è una vera e propria culla di civiltà che attorno ad esso sono cresciute nei millenni dando alla umanità intera contributi di culture, conoscenze, esperienze umane, sociali, politiche che ancora oggi sono oggetto di studio e approfondimento.
Tutti i paesi che sono bagnati da quello che i romani chiamavano “Mare Nostrum” hanno una storia ricchissima e sono tutti portatori in vario modo di ricchezze culturali e naturali importanti.
Inoltre, il Mediterraneo, confine naturale tra Europa e Africa, ha una rilevanza geopolitica e strategica non indifferente.

Se dall’Europa attraversiamo il Mediterraneo, giungiamo nel Maghreb, regione nordafricana che sta conoscendo sempre più il carisma di don Bosco. Lo scorso anno, infatti, è stata ufficialmente creata la Circoscrizione speciale del Africa Nord (“CNA”), il 28 Agosto, festa di sant’Agostino, a cui è stata dedicata la circoscrizione, che comprende Marocco, Algeria e Tunisia. Si tratta di una nuova frontiera missionaria piena di sfide e di opportunità.

Il Maghreb ha chiare radici romane, classiche, era denominato “Afriquia”, dando così il nome a tutto il continente che da qui ha inizio. I figli di don Bosco che, per inciso, sono presenti in quasi tutti i paesi che si affacciano nel Mediterraneo onde per cui hanno costituito la Regione Mediterranea della Congregazione, hanno di recente deciso di sviluppare la loro presenza e il loro servizio tra i giovani di questi paesi. Il Maghreb non è “la parte sbagliata” del Mediterraneo, come dicono soggetti male informati, ma è invece una zona geografica, umana e culturale che non si finisce mai di scoprire ed apprezzare!
I salesiani sono interessati all’educazione dei tantissimi giovani che affollano questi paesi: la popolazione sotto i 25 anni arriva ad essere quasi il 50% della popolazione totale. Si tratta, quindi, di paesi ricchi di speranza e di futuro. Lo scopo dei salesiani e dei loro collaboratori è di sostenere e di sviluppare il sogno di questi giovani.

Un “sogno che fa sognare” ci indica la Strenna del nostro Rettor Maggiore di quest’anno, ricordando il bicentenario del sogno dei nove anni di don Bosco, e se questo è vero nella vita salesiana di ogni luogo, in Maghreb è ancora più vero e significativo. La presenza attuale dei figli di don Bosco vuole concretizzare e attuare il sogno del Fondatore e far sì che i “lupi” possano diventare agnelli non solo pacifici ma costruttori di pace e di sviluppo. Ed ecco che, anche se con religioni diverse, cristiani gli uni e musulmani gli altri, tutti discendenti di Abramo, ci ritroviamo a camminare insieme per il bene dei giovani e delle famiglie che stanno attorno a noi e con noi. La scuola, l’oratorio, la formazione al lavoro, il cortile, la formazione umana e religiosa, la condivisone di gioie e dolori, la conoscenza reciproca e la dignità che ognuno riconosce agli altri, lo spirito di famiglia e collaborazione, tutto questo ci aiuta a camminare insieme e fare concretamente del bene a tutti.
Qual è l’obiettivo dei Salesiani che lavorano in questi paesi?
A questa domanda, la risposta è molto semplice: nel Maghreb i figli di don Bosco ogni giorno si impegnano per il bene comune, ovvero divenire, come voleva don Bosco “onesti cittadini” e “buoni credenti”, ognuno nella sua fede, senza rinunciare alla testimonianza di vita cristiana, nel rispetto della cultura e della religione altrui.

Pur con alcuni elementi comuni, ogni paese ha le sue peculiarità che lo contraddistinguono.

In Marocco i salesiani sono presenti dal 1950 a Kenitra, una grande città sulla costa atlantica tra Rabat e Tangeri.
Il lavoro non manca, in campo educativo, ricreativo, di fede di accoglienza. I salesiani animano scuole di vario livello e tipo: una scuola primaria, una scuola secondaria e un centro di formazione professionale. Si risponde così al bisogno di istruzione e di ricerca di occupazione dei tanti giovani marocchini per dare loro maggiori opportunità nella vita.
Inoltre, vengono organizzate tante attività sportive e associative in linea con il Sistema Preventivo di don Bosco.
La Parrocchia di Cristo Re sostiene la fede della minoranza cristiana ed è frequentata soprattutto da giovani studenti africani che studiano in Marocco e da europei che sono in città. Altre opere specifiche sono due case per giovani migranti, una casa per l’infanzia e la formazione al lavoro delle ragazze. Tutte queste iniziative coinvolgono oltre 1500 persone tra ragazzi, personale, famiglie ed altri destinatari, che sono, tranne la parrocchia, tutti musulmani e tutti uniti nello stile di don Bosco di famiglia inclusiva e di aiuto reciproco. La presenza salesiana in Marocco ha un punto di riferimento nell’arcivescovo di Rabat, il cardinale salesiano Cristóbal López Romero, già missionario in Paraguay, prima di approdare in Marocco dal 2003 al 2011 e tornare dopo nove anni come pastore dell’arcidiocesi. Fino allo scorso anno, il Marocco era affidato all’Ispettoria di Francia (FRB). Oltre che con la gente, l’esperienza interculturale si vive anche nella comunità salesiana, composta da quattro sacerdoti, da Francia, Spagna, Polonia e Rep. Democratica del Congo.

Altro paese maghrebino con due presenze salesiane è la Tunisia, dove, a Manouba e Tunisi, i salesiani gestiscono due scuole primarie, una scuola secondaria, un nascente centro di formazione professionale, due oratori, attività di collaborazione con la chiesa locale, una parrocchia ad Hammamet per residenti italiani ed europei ed altre iniziative particolari. È una presenza in crescita a cui recentemente sono stati affidati nuovi missionari, anche qui provenienti da diversi paesi: Italia, Siria, Libano, Spagna, Rep. Democratica Del Congo, Ciad.
È un’esperienza di famiglia e, in particolare, di Famiglia Salesiana, con due comunità di Figlie di Maria Ausiliatrice, gli “Amici di don Bosco”, gruppo di laici musulmani vicini al carisma di don Bosco, e tanti laici impegnati a vario titolo. La speranza è di far nascere anche un gruppo di Salesiani Cooperatori. Complessivamente almeno 3000 persone sono coinvolte nell’azione educativa. Fino allo scorso anno, l’ispettoria della Sicilia curava la presenza salesiana in Tunisia e proprio don Domenico Paternò, originario di Messina, arrivato a Manouba più di dieci anni fa, è stato nominato superiore.

Arriviamo così all’ultimo paese, una delle nuovissime frontiere missionarie per la Congregazione Salesiana, ancora in definizione per i dettagli sui luoghi e sul personale: l’Algeria, dove a breve arriveranno i primi salesiani.
In realtà, bisogna dire che l’Algeria è stato il primo paese in Africa in cui sono approdati i salesiani addirittura nel diciannovesimo secolo, nel lontano 1891, ad Orano, dove c’era un oratorio. Successivamente ci sono state altre due aperture nella capitale Algeri, ma dopo diversi anni la situazione politica instabile ed ostile non ha permesso di continuare il lavoro e ha costretto alla chiusura definitiva delle opere nel 1976. I salesiani rispondono così all’invito dell’arcivescovo di Algeri dopo un dialogo e uno studio di alcuni anni.

A questo quadro della presenza salesiana nel Maghreb, c’è da considerare che molteplici sono le attività con le comunità religiose e con la società civile nelle quali i Salesiani sono coinvolti. Per completezza e serietà di informazione non possiamo dimenticare le difficoltà che ci sono e che certamente danno anche motivi di difficoltà, non sempre superabili. Basti pensare la lingua che non è facile, il contesto socio-economico piuttosto fragile spesso per motivi di politica internazionale, le famiglie in difficoltà, la disoccupazione giovanile, grande piaga di tutta la regione, l’assenza di politiche giovanili efficaci e capaci di dare futuro. Ma nonostante le innegabili sfide, grande è la possibilità e la speranza di un positivo sviluppo non solo economico ma anche umano e sociale. Talvolta si manifestano segni di intolleranza e radicalismo irragionevole ma sono fenomeni molto ridotti. Sono società giovani e per questo aperte all’avvenire “più futuro che passato”, come diceva don Egidio Viganò.

Nei mesi passati, la Circoscrizione Speciale del Nord Africa ha vissuto le sessioni del primo Capitolo Ispettoriale sul tema del Capitolo Generale 29: “Appassionati per Gesù Cristo, dedicati ai giovani. Per un vissuto fedele e profetico della nostra vocazione salesiana”. Don Domenico Paternò ha sottolineato come sia una grazia vivere questo momento dopo pochi mesi di esistenza della Circoscrizione. I capitolari hanno elaborato il Direttorio Ispettoriale e il Progetto Educativo Pastorale Salesiano Ispettoriale, primi passi fondamentali per lo sviluppo futuro della presenza salesiana.

Nell’ultima spedizione missionaria salesiana, due salesiani sono stati assegnati alla circoscrizione Nord Africa: i coadiutori Joseph Ngo Duc Thuan (dal Vietnam) e Kerwin Valeroso (dalle Filippine), attualmente in Francia, a Parigi, per lo studio della lingua francese.
La Congregazione Salesiana, guidata dallo Spirito Santo, accoglie con coraggio e determinazione la sfida di queste nuove frontiere ed è pronta a scommetterci per donare un rinnovato entusiasmo missionario e raggiungere sempre più giovani poveri ed abbandonati in ogni parte del mondo.

Marco Fulgaro