Mons. Giuseppe Malandrino e il Servo di Dio Nino Baglieri

È tornato alla Casa del Padre, lo scorso 3 agosto 2025, nel giorno in cui si celebra la festa della Patrona della Diocesi di Noto, Maria Scala del Paradiso, monsignor Giuseppe Malandrino, IX vescovo della diocesi netina. 94 anni di età, 70 anni di sacerdozio e 45 anni di consacrazione episcopale sono numeri di tutto rispetto per un uomo che ha servito la Chiesa da Pastore con “l’odore delle pecore” come sottolineava spesso Papa Francesco.

Parafulmine dell’umanità
Nell’esperienza di pastore della Diocesi di Noto (19.06.1998 – 15.07.2007) ha avuto modo di coltivare l’amicizia con il Servo di Dio Nino Baglieri. Non mancava quasi mai una “sosta” a casa di Nino quando i motivi pastorali lo portavano a Modica. In una sua testimonianza mons. Malandrino dice: “…trovandomi al capezzale di Nino, avevo la percezione viva che questo nostro amato fratello infermo fosse veramente “parafulmine dell’umanità”, secondo una concezione dei sofferenti a me tanto cara e che ho voluto proporre anche nella Lettera Pastorale sulla missione permanente Mi sarete testimoni” (2003). Scrive mons. Malandrino: “È necessario riconoscere nei malati e sofferenti il volto di Cristo sofferente e assisterli con la stessa premura e con lo stesso amore di Gesù nella sua passione, vissuta in spirito di ubbidienza al Padre e di solidarietà ai fratelli”. Ciò è stato, pienamente incarnato dalla carissima mamma di Nino, la signora Peppina. Lei tipica donna siciliana, con un carattere forte e tanta determinazione, risponde al medico che gli propone l’eutanasia per suo figlio (viste le gravi condizioni di salute e la prospettiva di una vita da paralitico): “se il Signore lo vuole lo prende, ma se me lo lascia così sono contenta di accudirlo per tutta la vita”. La mamma di Nino, in quel momento era consapevole di quello a cui andava incontro? Maria, la madre di Gesù era consapevole di quanto dolore avrebbe dovuto soffrire, per il Figlio di Dio? La risposta, a leggerla con gli occhi umani, sembra non facile, soprattutto nella nostra società del XXI secolo dove tutto è labile, fluttuante, si consuma in un “istante”. Il Fiat di mamma Peppina divenne, come quello di Maria, un Sì di Fede e di adesione a quella volontà di Dio che trova compimento nel saper portate la Croce, nel saper dare “anima e corpo” alla realizzazione del Piano di Dio.

Dalla sofferenza alla gioia
Il rapporto di amicizia tra Nino e mons. Malandrino era già avviato quando quest’ultimo era ancora vescovo di Acireale, infatti già nel lontano 1993, per il tramite di Padre Attilio Balbinot, un camilliano molto vicino a Nino, lo omaggia del suo primo libro: “Dalla sofferenza alla gioia”. Nell’esperienza di Nino il rapporto con il Vescovo della sua diocesi era un rapporto di filiazione totale. Sin dal momento della sua accettazione del Piano di Dio su di lui, egli faceva sentire la propria presenza “attiva” offrendo le sofferenze per la Chiesa, il Papa e i Vescovi (nonché i sacerdoti e i missionari). Questo rapporto di filiazione veniva annualmente rinnovato in occasione del 6 maggio, giorno della caduta visto poi come inizio misterioso d’una rinascita. L’8 maggio 2004, pochi giorni dopo aver festeggiato Nino il 36.mo anniversario di Croce, mons. Malandrino si reca a casa sua. Egli in ricordo di quell’incontro scrive nelle sue memorie: “è sempre una grande gioia ogni volta che la vedo e ricevo tanta carica e forza per portare la mia Croce e offrila con tanto Amore per i bisogni della Santa Chiesa e in particolare per il mio Vescovo e per la nostra Diocesi, il Signore gli dia sempre più santità per guidarci per tanti anni sempre con più ardore e amore…”. Ancora: “… la Croce è pesante ma il Signore mi dona tante Grazie che rendono la sofferenza meno amara e diventa leggera e soave, la Croce si fa Dono, offerta al Signore con tanto Amore per la salvezza delle anime e la Conversione dei Peccatori…”. Infine, è da sottolineare come, in queste occasioni di grazia, non mancasse mai la pressante e costante richiesta di “aiuto a farsi Santo con la Croce di ogni giorno”. Nino, infatti, vuole assolutamente farsi santo.

Una beatificazione anticipata
Momento di grande rilevanza hanno rappresentato, in tal senso, le esequie del Servo di Dio il 3 marzo 2007, quando proprio mons. Malandrino, all’inizio della Celebrazione Eucaristica, con devozione si china, anche se con difficoltà, a baciare la bara che conteneva le spoglie mortali di Nino. Era un ossequio a un uomo che aveva vissuto 39 anni della sua esistenza in un corpo che “non sentiva” ma che sprigionava gioia di vivere a 360 gradi. Mons. Malandrino sottolineò che la celebrazione della Messa, nel cortile dei Salesiani divenuto per l’occasione “cattedrale” a cielo aperto, era stata un’autentica apoteosi (hanno partecipato migliaia di persone in lacrime) e si percepiva chiaramente e comunitariamente di trovarsi dinanzi non a un funerale, ma a una vera “beatificazione”. Nino, con la sua testimonianza di vita, era infatti diventato un punto di riferimento per tanti, giovani o meno giovani, laici o consacrati, madri o padri di famiglia, che grazie alla sua preziosa testimonianza riuscivano a leggere la propria esistenza e trovare risposte che non riuscivano a trovare altrove. Anche mons. Malandrino ha più volte sottolineato questo aspetto: «in effetti, ogni incontro con il carissimo Nino è stato per me, come per tutti, una forte e viva esperienza di edificazione e un potente – nella sua dolcezza – sprone alla paziente e generosa donazione. La presenza del Vescovo conferiva a lui ogni volta immensa gioia perché, oltre l’affetto dell’amico che veniva a visitarlo, vi percepiva la comunione ecclesiale. È ovvio che quanto ricevevo da lui era sempre molto di più quel poco che potevo donargli». Il “chiodo” fisso di Nino, era “farsi santo”: l’aver vissuto e incarnato appieno l’evangelo della Gioia nella Sofferenza, con i suoi patimenti fisici e il suo dono totale per l’amata Chiesa, hanno fatto sì che tutto non finisse con la sua dipartita verso la Gerusalemme del Cielo, ma continuasse ancora, come sottolineò mons. Malandrino alle esequie: “… la missione di Nino continua ora anche attraverso i suoi scritti, Egli stesso lo aveva preannunciato nel suo Testamento spirituale”: “… i miei scritti continueranno la mia testimonianza, continuerò a dare Gioia a tutti e a parlare del Grande Amore di Dio e delle Meraviglie che ha fatto nella mia vita”. Questo ancora si sta avverando perché non può stare nascosta “una città posta sopra un monte e non si accende una lampada per metterla sotto il moggio, ma sul candeliere, perché faccia luce a tutti coloro che sono in casa” (Matteo 5,14-16). Metaforicamente si vuole sottolineare che la “luce” (intesa in senso lato) deve essere visibile, prima o poi: ciò che è importante verrà alla luce e sarà riconosciuto.
Riandare in questi giorni – segnati dalla morte di mons. Malandrino, dai suoi funerali ad Acireale (5 agosto, Madonna della Neve) e a Noto (7 agosto) con tumulazione a seguire nella cattedrale di cui egli stesso volle fortemente la ristrutturazione dopo il crollo del 13 marzo1996 e che fu riaperta nel marzo 2007 (mese in cui Nino Baglieri morì) – significa ripercorrere questo legame tra due grandi figure della Chiesa netina, fortemente intrecciate ed entrambe capaci di lasciare in essa un segno che non passa.

Roberto Chiaramonte




Verso l’alto! San Pier Giorgio Frassati

“Carissimi giovani, la nostra speranza è Gesù. È Lui, come diceva San Giovanni Paolo II, «che suscita in voi il desiderio di fare della vostra vita qualcosa di grande […], per migliorare voi stessi e la società, rendendola più umana e fraterna» (XV Giornata Mondiale della Gioventù, Veglia Di Preghiera, 19 agosto 2000). Teniamoci uniti a Lui, rimaniamo nella sua amicizia, sempre, coltivandola con la preghiera, l’adorazione, la Comunione eucaristica, la Confessione frequente, la carità generosa, come ci hanno insegnato i beati Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, che presto saranno proclamati Santi. Aspirate a cose grandi, alla santità, ovunque siate. Non accontentatevi di meno. Allora vedrete crescere ogni giorno, in voi e attorno a voi, la luce del Vangelo” (Papa Leone XIV – omelia Giubileo dei giovani – 3 agosto 2025).

Pier Giorgio e don Cojazzi
Il senatore Alfredo Frassati, ambasciatore del Regno d’Italia a Berlino, era il proprietario e direttore del quotidiano La Stampa di Torino. I Salesiani avevano un grosso debito di riconoscenza verso di lui. In occasione della grande montatura scandalistica nota come “I fatti di Varazze”, in cui si era cercato di gettare fango sulla onorabilità dei Salesiani, Frassati ne aveva preso le difese. Mentre persino alcuni giornali cattolici sembravano smarriti e disorientati di fronte alle pesanti e penose accuse, La Stampa, condotta una rapida inchiesta, aveva precorso le conclusioni della magistratura proclamando l’innocenza dei Salesiani. Così, quando da casa Frassati giunse la richiesta di un salesiano che si occupasse di seguire negli studi i due figli del senatore, Pier Giorgio e Luciana, don Paolo Albera, Rettor Maggiore, si sentì in obbligo di accettare. Inviò don Antonio Cojazzi (1880-1953). Era l’uomo adatto: buona cultura, temperamento giovanile di un’eccezionale capacità comunicativa. Don Cojazzi si era laureato in lettere nel 1905, in filosofia nel 1906, e aveva conseguito il diploma di abilitazione all’insegnamento della lingua inglese dopo un serio perfezionamento in Inghilterra.
In casa Frassati don Cojazzi diventò qualcosa di più del ‘precettore’ che segue i ragazzi. Diventò un amico, specialmente di Pier Giorgio, di cui dirà: “Lo conobbi decenne e lo seguii per quasi tutto il ginnasio e il liceo con lezioni che nei primi anni erano quotidiane; lo seguii con crescente interesse e affetto”. Pier Giorgio, diventato uno dei giovani di punta dell’Azione Cattolica torinese, ascoltava le conferenze e le lezioni che don Cojazzi teneva ai soci del Circolo C. Balbo, seguiva con interesse la Rivista dei Giovani, saliva talvolta a Valsalice in cerca di luce e di consiglio nei momenti decisivi.

Un momento di notorietà
Pier Giorgio lo ebbe durante il Congresso Nazionale della Gioventù Cattolica italiana, nel 1921: cinquantamila giovani che sfilavano per Roma, cantando e pregando. Pier Giorgio, studente del politecnico, reggeva la bandiera tricolore del circolo torinese C. Balbo. Le truppe regie, ad un tratto, circondarono l’enorme corteo e lo presero d’assalto per strappare le bandiere. Si volevano impedire disordini. Un testimone raccontò: “Picchiano con i calci dei moschetti, afferrano, spezzano, strappano le nostre bandiere. Vedo Pier Giorgio alle prese con due guardie. Accorriamo in suo aiuto, e la bandiera, con l’asta spezzata, resta nelle sue mani. Imprigionati a forza in un cortile, i giovani cattolici vengono interrogati dalla polizia. Il testimone ricorda il dialogo condotto con i modi e le cortesie che usano in simili contingenze:
– E tu, come ti chiami?
– Pier Giorgio Frassati di Alfredo.
– Che cosa fa tuo padre?
– Ambasciatore d’Italia a Berlino.
Stupore, cambiamento di tono, scuse, offerta di immediata libertà.
– Uscirò quando usciranno gli altri.
Intanto lo spettacolo bestiale continua. Un sacerdote è buttato, letteralmente buttato nel cortile con l’abito talare strappato e una guancia sanguinante… Insieme ci inginocchiammo per terra, nel cortile, quando quel prete lacero alzò il rosario e disse: Ragazzi, per noi e per quelli che ci hanno percosso, preghiamo!”.

Amava i poveri
Pier Giorgio amava i poveri, li andava a cercare nei quartieri più lontani della città; saliva le scale strette e oscure; entrava nelle soffitte dove soltanto abitano la miseria e il dolore. Tutto quello che aveva in tasca era per gli altri, come tutto quello che teneva nel cuore. Arrivava a passare le notti al capezzale di ammalati sconosciuti. Una notte che non rincasava, il padre sempre più ansioso telefonò alla questura, agli ospedali. Alle due si sentì girare la chiave nella porta e Pier Giorgio entrò. Papà esplose:
– Senti, puoi stare fuori di giorno, di notte, nessuno ti dice niente. Ma quando fai così tardi, avverti, telefona!
Pier Giorgio lo guardò, e con la solita semplicità rispose:
– Babbo, dov’ero io, non c’era telefono.
Le Conferenze di S. Vincenzo de’ Paoli lo videro assiduo cooperatore; i poveri lo conobbero consolatore e soccorritore; le misere soffitte lo accolsero sovente fra le loro squallide mura come un raggio di sole per i suoi derelitti abitanti. Dominato da una profonda umiltà, quello che faceva non voleva che fosse conosciuto da alcuno.

Giorgetto bello e santo
Nei primi giorni del luglio 1925 Pier Giorgio fu assalito e stroncato da un violento attacco di poliomielite. Aveva 24 anni. Sul letto di morte, mentre un male terribile gli devastava la schiena, pensò ancora ai suoi poveri. Su un biglietto, con grafia ormai quasi indecifrabile, scrisse per l’ingegnere Grimaldi, suo amico: Ecco le iniezioni di Converso, la polizza è di Sappa. L’ho dimenticata, rinnovala tu.
Di ritorno dal funerale di Pier Giorgio, don Cojazzi scrive di getto un articolo per la Rivista dei Giovani: “Ripeterò la vecchia frase, ma sincerissima: non credevo di amarlo tanto. Giorgetto bello e santo! Perché mi cantano in cuore insistenti queste parole? Perché le udii ripetere, le udii pronunciare per quasi due giorni, dal padre, dalla madre, dalla sorella, con voce che diceva sempre e non ripeteva mai. E perché affiorano certi versi d’una ballata del Deroulède: «Si parlerà di lui a lungo, nei palazzi dorati e nei casolari sperduti! Perché di lui parleranno anche i tuguri e le soffitte, dove passò tante volte angelo consolatore». Lo conobbi decenne e lo seguii per quasi tutto il ginnasio e parte del liceo… lo seguii con crescente interesse e affetto fino alla sua odierna trasfigurazione… Scriverò la sua vita. Si tratta della raccolta di testimonianze che presentano la figura di questo giovane nella pienezza della sua luce, nella verità spirituale e morale, nella testimonianza luminosa e contagiosa di bontà e di generosità”.

Il best-seller dell’editoria cattolica
Incoraggiato e spinto anche dall’arcivescovo di Torino, Mons. Giuseppe Gamba, don Cojazzi si mise al lavoro di buona lena. Le testimonianze arrivarono numerose e qualificate, furono ordinate e vagliate con cura. La mamma di Pier Giorgio seguiva il lavoro, dava suggerimenti, forniva materiale. Nel marzo del 1928 esce la vita di Pier Giorgio. Scrive Luigi Gedda: “Fu un successo strepitoso. In soli nove mesi vennero esaurite 30 mila copie del libro. Nel 1932 erano già state diffuse 70 mila copie. Nel giro di 15 anni il libro su Pier Giorgio raggiunse 11 edizioni, e forse fu il best-seller dell’editoria cattolica in quel periodo”.
La figura illuminata da don Cojazzi fu una bandiera per l’Azione Cattolica durante il difficile tempo del fascismo. Nel 1942 avevano preso il nome di Pier Giorgio Frassati: 771 associazioni giovanili di Azione Cattolica, 178 sezioni aspiranti, 21 associazioni universitarie, 6o gruppi di studenti medi, 29 conferenze di S. Vincenzo, 23 gruppi del Vangelo… Il libro fu tradotto almeno in 19 lingue.
Il libro di don Cojazzi segnò una svolta nella storia della gioventù italiana. Pier Giorgio, fu l’ideale additato senza alcuna riserva: uno che ha saputo dimostrare che essere cristiano fino in fondo non è affatto utopistico, né fantastico.
Pier Giorgio Frassati segnò una svolta anche nella storia di don Cojazzi. Quel biglietto scritto da Pier Giorgio sul letto di morte gli rivelò in maniera concreta, quasi brutale, il mondo dei poveri. Scrive lo stesso don Cojazzi: “Il Venerdì Santo di quest’anno (1928) con due universitari visitai per quattro ore i poveri fuori Porta Metronia. Quella visita mi procurò una salutarissima lezione e umiliazione. Io avevo scritto e parlato moltissimo sulle Conferenze di S. Vincenzo… eppure non ero mai andato una sola volta a visitare i poveri. In quei luridi capannoni mi vennero spesso le lacrime agli occhi… La conclusione? Eccola chiara e cruda per me e per voi: meno parole belle e più opere buone”.
Il contatto vivo con i poveri non solo un’attuazione immediata del Vangelo, ma una scuola di vita per i giovani. Sono la migliore scuola per i giovani, per educarli e tenerli nella serietà della vita. Chi si reca a visitare i poveri e ne tocca con mano le piaghe materiali e morali, come può sprecare il suo denaro, il suo tempo, la sua giovinezza? Come può lamentarsi dei propri lavori e dolori, quando ha conosciuto, per diretta esperienza, che altri soffrono più di lui?

Non vivacchiare, ma vivere!
Pier Giorgio Frassati è un esempio luminoso di santità giovanile, attuale, «inquadrato» nel nostro tempo. Egli attesta ancora una volta che la fede in Gesù Cristo è la religione dei forti e dei veramente giovani, che sola può illuminare tutte le verità con la luce del «mistero» e che soltanto essa può regalare la perfetta letizia. La sua esistenza è il perfetto modello della vita normale alla portata di tutti. Egli, come tutti i seguaci di Gesù e del Vangelo, incominciò dalle piccole cose; giunse alle altezze più sublimi a forza di sottrarsi ai compromessi di una vita mediocre e senza senso e impiegando la naturale testardaggine nei suoi fermi propositi. Tutto, nella sua vita, gli fu gradino per salire; anche ciò che gli avrebbe dovuto essere di inciampo. Fra i compagni era l’intrepido ed esuberante animatore di ogni impresa facendo convergere intorno a sé tanta simpatia e tanta ammirazione. La natura gli era stata larga di favori: di famiglia rinomata, ricco, d’ingegno sodo e pratico, fisico prestante e robusto, educazione completa, nulla gli mancava per farsi largo nella vita. Ma egli non intendeva vivacchiare, bensì conquistarsi il suo posto al sole, lottando. Era una tempra di uomo ed un’anima di cristiano.
La sua vita aveva in sé stessa una coerenza che riposava nell’unità dello spirito e della esistenza, della fede e delle opere. La sorgente di questa personalità così luminosa era nella profonda vita interiore. Frassati pregava. La sua sete della Grazia gli faceva amare tutto ciò che riempie e arricchisce lo spirito. S’accostava ogni giorno alla Santa Comunione, poi restava ai piedi dell’altare, a lungo, senza che nulla valesse a distrarlo. Pregava sui monti e per la via. Non era però, la sua, una fede ostentata, anche se i segni di croce fatti sulla pubblica strada passando davanti alle chiese erano grandi e sicuri, anche se il Rosario era detto ad alta voce, in una carrozza ferroviaria o nella camera di un albergo. Ma era piuttosto una fede vissuta così intensamente e schiettamente che erompeva dalla sua anima generosa e franca con una semplicità di atteggiamento che convinceva e commoveva. La sua formazione spirituale si irrobustì nelle adorazioni notturne di cui fu fervido propugnatore ed immancabile partecipante. Fece più di una volta gli esercizi spirituali traendone serenità e vigoria spirituale.
Il libro di don Cojazzi si chiude con la frase: «Averlo conosciuto o averne udito parlare significa amarlo, ed amarlo significa seguirlo». L’augurio che la testimonianza di Piergiorgio Frassati sia “sale e luce” per tutti, soprattutto per i giovani di oggi.




Habemus Papam: Leone XIV

L’8 maggio 2025, memoria della Beata Vergine del Rosario di Pompei, è stato eletto il cardinale Robert Francis Prevost (69 anni) come 267º Pontefice. È il primo Papa nato negli Stati Uniti e ha scelto il nome Leone XIV.

Presentiamo il suo profilo biografico essenziale

Nascita: 14 settembre 1955, Chicago (Illinois, USA)
Famiglia: Louis Marius Prevost (di origini francesi e italiane) e Mildred Martínez (di origini spagnole); fratelli Louis Martín e John Joseph
Lingue: Inglese, spagnolo, italiano, portoghese e francese; legge latino e tedesco
Soprannome in Perù: “Latin Yankee” – sintesi della sua doppia anima culturale
Cittadinanza: statunitense e peruviana

Formazione
– Seminario minore agostiniano (1973)
– Laurea in Scienze matematiche, Villanova University (1977)
– Master of Divinity, Catholic Theological Union, Chicago (1982)
– Licenza in Diritto Canonico, Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – Angelicum (1984)
– Dottorato in Diritto Canonico, Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – Angelicum (1987), con la tesi: “Il ruolo del priore locale dell’Ordine di Sant’Agostino”
– Professione religiosa: noviziato di Saint Louis della provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio dell’Ordine di Sant’Agostino (1977)
– Voti solenni (29.08.1981)
– Ordinazione sacerdotale: 19.06.1982, Roma (dall’arcivescovo Jean Jadot)

Ministero e incarichi principali
1985-1986: Missionario a Chulucanas, Piura (Perù)
1987: Direttore delle vocazioni e direttore delle missioni della Provincia Agostiniana “Madre del Buon Consiglio” di Olympia Fields, in Illinois (USA)
1988: Invio nella missione di Trujillo (Perù) come direttore del progetto di formazione comune degli aspiranti agostiniani dei Vicariati di Chulucanas, Iquitos e Apurímac
1988-1992: Direttore della comunità
1992-1998: Insegnante dei professi
1989-1998: Vicario giudiziario nell’Arcidiocesi di Trujillo, professore di Diritto Canonico, Patristica e Morale nel Seminario Maggiore “San Carlos e San Marcelo”
1999: Priore provinciale della Provincia “Madre del Buon Consiglio” (Chicago)
2001-2013: Priore Generale degli Agostiniani per due mandati (ca. 2700 religiosi in 50 Paesi)
2013: insegnante dei professi e vicario provinciale nella sua Provincia (Chicago)
2014: Amministratore apostolico della Diocesi Chiclayo e vescovo titolare di Sufar, Perù (nomina episcopale nel 03.11.2014)
2014: consacrazione episcopale, nella festa di Nostra Signora di Guadalupe (12.12.2014)
2015: nominato vescovo di Chiclayo (26.09.2015)
2018: 2º vicepresidente della Conferenza Episcopale del Perù (08.03.2018 – 30.01.2023)
2020: Amministratore apostolico di Callao, Perù (15.04.2020 – 17.04.2021)
2023: Arcivescovo ad personam (30.01.2023 – 30.09.2023)
2023: Prefetto del Dicastero per i Vescovi (30.01.2023 [12.04.2023] – 09.05.2025)
2023: Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (30.01.2023 [12.04.2023] – 09.05.2025)
2023: Creato cardinale diacono, titolare di S. Monica degli Agostiniani (30.09.2023 [28.01.2024] – 06.02.2025)
2025: Promosso cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di Albano (06.02.2025 – 08.05.2025)
2025: Eletto Sommo Pontefice (08.05.2025)

Servizio nella Curia Romana
È stato membro dei dicasteri per l’Evangelizzazione, Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari; per la Dottrina della Fede; per le Chiese Orientali; per il Clero; per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; per la Cultura e l’Educazione; per i Testi Legislativi, e della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano

Che lo Spirito Santo illumini il suo ministero, come fece con il grande sant’Agostino.
Preghiamo per un pontificato fecondo e ricco di speranza!




Elezione del 266° successore di san Pietro

Ogni morte o rinuncia di un Pontefice apre una delle fasi più delicate della vita della Chiesa cattolica: l’elezione del Successore di san Pietro. Sebbene l’ultimo conclave risalga al marzo 2013, quando Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa Francesco, comprendere come si elegge un Papa resta fondamentale per cogliere il funzionamento di un’istituzione millenaria che incide su oltre 1,3 miliardi di fedeli e — indirettamente — sulla geopolitica mondiale.

1. La sede vacante
Tutto inizia con la sede vacante, ossia il periodo che intercorre fra la morte (o la rinuncia) del Pontefice regnante e l’elezione del nuovo. La Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, promulgata da Giovanni Paolo II il 22 febbraio 1996 e aggiornata da Benedetto XVI nel 2007 e 2013, stabilisce procedure dettagliate.

Accertamento della vacanza
In caso di decesso: il Cardinale Camerlengo — oggi il card. Kevin Farrell — constata ufficialmente la morte, chiude e sigilla l’appartamento pontificio, e notifica l’evento al Cardinale Decano del Collegio cardinalizio.
In caso di rinuncia: la sede vacante scatta nell’orario indicato dall’atto di dimissioni, come avvenne alle 20:00 del 28 febbraio 2013 per Benedetto XVI.

Amministrazione ordinaria
Durante la sede vacante, il Camerlengo governa materialmente il patrimonio della Santa Sede ma non può compiere atti che spettano esclusivamente al Pontefice (nomine vescovili, decisioni dottrinali, ecc.).

Congregazioni generali e particolari
Tutti i cardinali — elettori e non — presenti a Roma si riuniscono nella Sala del Sinodo per discutere questioni urgenti. Le “particolari” includono Camerlengo e tre cardinali estratti a sorte a rotazione; le “generali” convocano l’intero corpo cardinalizio e vengono impiegate, fra l’altro, per fissare la data di inizio del conclave.

2. Chi può eleggere e chi può essere eletto
Gli elettori
Dal motu proprio Ingravescentem aetatem (1970) di Paolo VI, solo i cardinali che non abbiano compiuto 80 anni prima dell’inizio della sede vacante hanno diritto di voto. Il numero massimo di elettori è fissato a 120, ma può essere superato temporaneamente a causa di concistori ravvicinati.
Gli elettori devono:
– essere presenti a Roma entro l’inizio del conclave (salvo motivi gravi);
– prestare giuramento di segretezza;
– alloggiare nella Domus Sanctae Marthae, la residenza voluta da Giovanni Paolo II per garantire dignità e discrezione.
La clausura non è un vezzo medievale: mira a tutelare la libertà di coscienza dei cardinali e a proteggere la Chiesa da indebite ingerenze. Violare il segreto comporta scomunica automatica.

Gli eleggibili
In teoria qualunque battezzato di sesso maschile può essere eletto Papa, in quanto l’ufficio petrino è di diritto divino. Tuttavia, dal Medioevo ad oggi il Papa è sempre stato scelto fra i cardinali. Qualora venisse scelto un non cardinale o addirittura un laico, egli dovrebbe ricevere immediatamente ordinazione episcopale.

3. Il conclave: etimologia, logistica e simbolismo
Il termine “conclave” deriva dal latino cum clave, “con chiave”: i cardinali vengono “rinchiusi” fino all’elezione, per evitare pressioni esterne. La clausura è garantita da alcune regole:
– Luoghi consentiti: Cappella Sistina (votazioni), Domus Sanctae Marthae (alloggio), un percorso riservato fra i due edifici.
– Divieto di comunicazione: apparecchi elettronici consegnati, jam di segnali, controllo anti microspy.
– Segretezza assicurata anche da un giuramento che prevede sanzioni spirituali (scomunica latae sententiae) e canoniche.

4. Ordine del giorno tipico del conclave
1. Messa “Pro eligendo Pontifice” nella Basilica di San Pietro la mattina dell’ingresso in conclave.
2. Processione in Sistina recitando il Veni Creator Spiritus.
3. Giuramento individuale dei cardinali, pronunciato davanti all’Evangeliario.
4. Extra omnes! (“Fuori tutti!”): il Maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie congeda i non aventi diritto.
5. Prima votazione (facoltativa) nel pomeriggio del giorno d’ingresso.
6. Doppia votazione quotidiana (mattina e pomeriggio) con, al termine, lo scrutinio.

5. Procedura del voto
Ogni tornata segue quattro momenti:
5.1. Praescrutinium. Distribuzione e compilazione in latino della scheda “Eligo in Summum Pontificem…”.
5.2. Scrutinium. Ciascun cardinale, portando la scheda piegata, pronuncia: “Testor Christum Dominum…”. Depone la scheda nell’urna.
5.3. Post-scrutinium. Tre scrutatores (scrutatori) estratti a sorte contano le schede, leggono ad alta voce ogni nome, lo registrano e perforano la scheda con ago e filo.
5.4. Bruciatura. Schede e appunti vengono bruciati in una stufa speciale; il colore del fumo indica l’esito.
Per essere eletto serve la maggioranza qualificata, ossia, due terzi dei voti validi.

6. Il fumo: nera attesa, bianca gioia
Dal 2005, per rendere inequivocabile il segnale ai fedeli in Piazza San Pietro, si aggiunge un reagente chimico:
– Fumo nero (fumata nera): nessun eletto.
– Fumo bianco (fumata bianca): Papa eletto; suonano anche le campane.
Dopo la fumata bianca, ci vorranno altri 30 minuti o un’ora prima che il nuovo Papa venga nominato dal Cardinale Diacono in Piazza San Pietro. Poco dopo (dai 5 ai 15 minuti), il nuovo Papa apparirà per impartire una benedizione Urbi et Orbi.

7. “Acceptasne electionem?” – Accettazione e nome pontificio
Quando qualcuno raggiunge la soglia necessaria, il Cardinale Decano (o il più anziano per ordine e anzianità giuridica, se il Decano è l’eletto) chiede: «Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem?» (Accetti l’elezione?). Se l’eletto acconsente — Accepto! — gli viene domandato: «Quo nomine vis vocari?» (Con quale nome vuoi essere chiamato?). L’assunzione del nome è un atto carico di significati teologici e pastorali: richiama modelli (Francesco d’Assisi) o intenzioni riformatrici (Giovanni XXIII).

8. Riti immediatamente successivi
8.1 Vestizione.
8.2 Ingresso nella Cappella del Pianto, dove il nuovo Papa può raccogliersi.
8.3 Oboedientia: i cardinali elettori sfilano per il primo atto di ubbidienza.
8.4 Annuncio al mondo: il cardinale Protodiacono compare sulla Loggia centrale con il celebre «Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!».
8.5 Prima benedizione “Urbi et Orbi” del nuovo Pontefice.

Da quel momento prende possesso dell’ufficio e inizia formalmente il suo pontificato, mentre l’incoronazione con il pallio petrino e l’anello del Pescatore avvengono nella Messa di inaugurazione (di solito la domenica successiva).

9. Alcuni aspetti storici e sviluppo delle norme
I–III secolo. Acclamazione del clero e del popolo romano. In assenza di una normativa stabile era forte l’influenza imperiale.
1059 – In nomine Domini. Collegio cardinalizio. Niccolò II limita l’intervento laicale; nascita ufficiale del conclave.
1274 – Ubi Periculum. Clausura obbligatoria. Gregorio X riduce le manovre politiche, introduce la reclusione.
1621–1622 – Gregorio XV. Scrutinio segreto sistematico. Perfezionamento delle schede; requisiti dei due terzi.
1970 – Paolo VI. Limite di età a 80 anni. Riduce l’elettorato, favorendo decisioni più rapide.
1996 – Giovanni Paolo II. Universi Dominici Gregis. Codifica moderna del processo, introduce Domus Sanctae Marthae.

10. Alcuni dati concreti di questo Conclave
Cardinali viventi: 252 (età media: 78,0 anni).
Cardinali votanti: 133 (135). Il Cardinale Antonio Cañizares Llovera, Arcivescovo emerito di Valencia, Spagna e il Cardinale John Njue, Arcivescovo emerito di Nairobi, Kenya, hanno comunicato che non potranno partecipare al conclave.
Dei 135 cardinali votanti, 108 (80%) sono stati nominati da Papa Francesco. 22 (16%) sono stati nominati da Papa Benedetto XVI. I restanti 5 (4%) sono stati nominati da Papa san Giovanni Paolo II.
Dei 135 cardinali votanti, 25 hanno partecipato come elettori al Conclave del 2013.
Età media dei 134 cardinali elettori partecipanti: 70,3 anni.
Anni medi di servizio come cardinale dei 134 cardinali elettori partecipanti: 7,1 anni.
Durata media di un papato: circa 7,5 anni.

Inizio del Conclave: 7 maggio, Cappella Sistina.
Cardinali votanti nel Conclave: 134. Numero dei voti richiesto per l’elezione è 2/3, ossia 89 voti.

Orario delle votazioni: 4 voti al giorno (2 al mattino, 2 al pomeriggio).
Dopo 3 giorni interi (ovvero da definire), il voto viene sospeso per un giorno intero (“per consentire una pausa di preghiera, una discussione informale tra gli elettori e una breve esortazione spirituale”).
Seguono altre 7 schede e un’altra pausa fino a un giorno intero.
Seguono altre 7 schede e un’altra pausa fino a un giorno intero.
Seguono altre 7 schede e poi una pausa per valutare come procedere.

11. Dinamiche “interne” non scritte
Pur nella rigida cornice giuridica, la scelta del Papa è un processo spirituale pero e anche umano influenzato da:
– Profili dei candidati (“papabili”): provenienza geografica, esperienze pastorali, competenze dottrinali.
– Correnti ecclesiali: curiale o pastorale, riformista o conservatrice, sensibilità liturgiche.
– Agenda globale: rapporti ecumenici, dialogo interreligioso, crisi sociali (migranti, cambiamento climatico).
– Lingue e reti personali: i cardinali tendono a riunirsi per regioni (gruppo dei “latinoamericani”, “africani”, ecc.) e a confrontarsi informalmente nei pasti o nelle “passeggiate” nei giardini vaticani.

Un evento spirituale e istituzionale insieme
L’elezione di un Papa non è un passaggio tecnico paragonabile a un’assemblea societaria. Nonostante la dimensione umana, è un atto spirituale guidato essenzialmente dallo Spirito Santo.
La cura di norme minuziose — dal sigillo delle porte della Sistina alla combustione delle schede — mostra come la Chiesa abbia trasformato la propria lunga esperienza storica in un sistema oggi percepito come stabile e solenne.
Sapere come si sceglie un Papa, quindi, non è soltanto curiosità: è comprendere la dinamica fra autorità, collegialità e tradizione che regge la più antica istituzione religiosa ancora operante su scala mondiale. E, in un’epoca di cambiamenti vertiginosi, quel “fumetto” che si leva dal tetto della Sistina continua a ricordare che decisioni secolari possono ancora parlare al cuore di miliardi di persone, dentro e fuori la Chiesa.
Questa conoscenza dei dati e delle procedure ci aiutino a pregare più intensamente, come si deve pregare davanti ad ogni decisione importante che affetti la nostra vita.




Il Vicario del Rettor Maggiore. Don Stefano Martoglio

Abbiamo la gioia di annunciare che don Stefano Martoglio è stato rieletto come Vicario del Rettor Maggiore.
I capitolari, lo hanno eletto oggi con maggioranza assoluta e dal primo scrutinio.

Auguriamo un fruttuoso apostolato a don Stefano e le assicuriamo le nostre preghiere.




Nuovo Rettor Maggiore: Fabius Attard

Abbiamo la gioia di annunciare che don Fabius Attard è il nuovo Rettor Maggiore, l’undicesimo successore di don Bosco.

Brevissime informazioni del nuovo Rettor Maggiore:
Nato: 23.03.1959 a Gozo (Malta), diocesi di Gozo.
Noviziato: 1979-1980 a Dublin.
Professione perpetua: 11.08.1985 a Malta.
Ordinazione presbiterale: 04.07.1987 a Malta.
Ha svolto diversi incarichi pastorali e formativi all’interno della sua ispettoria di origine.
È stato per 12 anni il Consigliere generale per la Pastorale Giovanile, 2008-2020.
Dal 2020 è stato il Delegato del Rettor Maggiore per la Formazione Permanente dei salesiani e dei laici in Europa.
Ultima comunità di appartenenza: Roma CNOS.
Lingue conosciute: Maltese, Inglese, Italiano, Francese, Spagnolo.

Auguriamo un fruttuoso apostolato a don Fabio e le assicuriamo le nostre preghiere.




Elezione del primo Rettor Maggiore

Durante l’undicesimo Capitolo Generale della Congregazione Salesiana venne eletto il primo Rettor Maggiore, don Paolo Albera. Sebbene formalmente rappresenti il secondo successore di don Bosco, in realtà fu il primo a essere eletto, poiché don Rua era stato già nominato personalmente da don Bosco, per ispirazione divina e su sollecitazione di Papa Pio IX (la nomina di don Rua fu ufficializzata il 27 novembre 1884 e successivamente confermata dalla Santa Sede l’11 febbraio 1888). A seguire, lasciamoci guidare dal racconto di don Eugenio Ceria, che narra l’elezione del primo successore di don Bosco e i lavori del Capitolo Generale.

            Non sembra quasi possibile parlare di antichi Salesiani senza prendere le mosse da Don Bosco. Questa volta è per ammirare la divina Provvidenza, che a Don Bosco lungo l’arduo cammino fece incontrare gli uomini a lui indispensabili nei vari gradi e uffici dell’istituenda sua Congregazione. Uomini, dico, non fatti, ma da fare. Toccò al fondatore cercarseli giovanetti, crescerli, educarli, istruirli, informarli del suo spirito, sicché, dovunque li mandasse, lo rappresentassero degnamente in mezzo ai Soci e di fronte agli estranei. Ecco il caso anche del suo secondo successore. Il piccolo ed esile Paolino Albera, quando dal paesello nativo venne all’Oratorio, non spiccava tra la turba dei compagni per alcuna di quelle caratteristiche, le quali richiamano l’attenzione sopra un nuovo arrivato; ma Don Bosco non tardò a scorgere in lui innocenza di costumi, capacità intellettuale velata da naturale timidezza, e indole di fanciullo, che gli dava bene a sperare. Portatolo su su fino all’altare, lo mandò Direttore a Sampierdarena, poi Direttore a Marsiglia e Ispettore per la Francia, dove lo chiamavano petit Don Bosco, finché nel 1886 la fiducia dei confratelli lo elesse Catechista generale ossia Direttore spirituale della Società. Ma lì non si arrestarono le sue ascensioni.
            Dopo la morte di Don Rua il governo della Società passò, secondo la Regola, nelle mani del Prefetto Generale Don Filippo Rinaldi, che perciò presiedeva il Capitolo Superiore e dirigeva i preparativi per il Capitolo Generale da tenersi entro l’anno 1910. Il grande convegno fu stabilito che si aprisse il 15 agosto, preceduto da un corso di esercizi spirituali, fatti dai Capitolari e predicati da Don Albera.
            Un diario intimo di Don Albera, in inglese, ci mette in grado di conoscere quali fossero i suoi sentimenti nel periodo dell’attesa. Sotto il 21 aprile troviamo: “Parlo a lungo con Don Rinaldi e con gran piacere. Io desidero di tutto cuore, che sia eletto alla carica di Rettor Maggiore della nostra Congregazione. Pregherò lo Spirito Santo per ottenere questa grazia». E sotto il 26: “Raramente si parla del successore di Don Rua. Io spero che si elegga il Prefetto. Ha le virtù necessarie per la carica. Ogni giorno prego per questa grazia». Di nuovo 1’11 maggio: “Accetto di andare a Milano per il funerale di Don Rua. Sono contentissimo di obbedire a Don Rinaldi, nel quale riconosco il mio vero Superiore. Prego tutti i giorni domandando che sia eletto Rettor Maggiore”. Sotto il 6 giugno rivela il perché di tanta propensione per Don Rinaldi scrivendo di lui: “Ho un’alta idea della sua virtù, della sua capacità e iniziativa”. Andando poco dopo a Roma in sua compagnia, scriveva l’8 in Firenze: “Vedo che Don Rinaldi è bene accetto dappertutto e considerato come il successore di Don Rua. Lascia buona impressione in quelli con i quali parla”.
            Se fosse dunque stato lecito fare propaganda, egli sarebbe stato suo grande elettore. Né erano pochi i Salesiani che la pensavano allo stesso modo. Non parliamo degli spagnoli, tra i quali aveva lasciato grande eredità d’affetti. Ispettori e delegati, quando arrivavano dalla Spagna per il Capitolo Generale, non facevano tanti misteri nemmeno parlando con lui. Ma egli a tali discorsi mostrava tutta l’indifferenza di un sordo, che non intenda sillaba di quanto gli si dice. In questo il suo atteggiamento era tale, che impressionava i suoi giocondi interlocutori. C’era veramente del mistero.
            La sera dell’Assunta si tenne l’adunanza di apertura, nella quale Don Rinaldi “parlò molto bene”, nota nel diario Don Albera. All’elezione del Rettor Maggiore si procedette nella seduta del mattino seguente. Dall’inizio dello scrutinio i nomi di Don Albera e di Don Rinaldi si avvicendavano a brevi intervalli. Il primo appariva sempre più turbato e sbigottito; l’altro invece non dava il menomo segno di commozione. La cosa era notata, e non senza una puntolina di curiosità. Un grande applauso salutò il voto, che raggiungeva la maggioranza assoluta, richiesta dalla Regola. Don Rinaldi, com’ebbe compiuto l’ultimo atto nella sua qualità di presidente dell’assemblea con la proclamazione dell’eletto, domandò di poter leggere un suo promemoria. Ottenuto l’assenso, si fece restituire da Don Lemoyne, Segretario del Capitolo1 Superiore, una busta chiusa, consegnatagli il 27 febbraio e recante la soprascritta: “Da aprirsi dopo le elezioni che avverrebbero alla morte del caro Don Rua”. Avutala nelle mani, la dissuggellò e lesse: “Il sig. Don Rua è gravemente ammalato ed io mi credo in dovere di consegnare per iscritto, quanto si conserva nel mio cuore, al suo successore. Il 22 novembre 1877 si celebrava a Borgo S. Martino la solita festa di S. Carlo. Alla tavola presieduta dal Ven. Giovanni Bosco e da Mons. Ferrò sedeva io pure al fianco di Don Belmonte. Ad un certo punto cadde la conversazione su Don Albera, raccontando Don Bosco le difficoltà, che gli mosse il clero del suo paese. Fu allora che Mons. Ferrò volle sapere, se Don Albera avesse superato quelle difficoltà: — Certamente, rispose Don Bosco. Egli è il mio secondo… — E passando una mano sulla fronte, sospese la frase. Ma io calcolai subito che non era il secondo entrato né il secondo in dignità, non essendo del Capitolo Superiore, né il secondo Direttore ed arguii che fosse il secondo successore; ma conservai queste cose nel mio cuore, aspettando gli eventi. Torino, 27 febbraio 1910». Gli elettori compresero allora il perché del suo contegno e si sentirono allargare il cuore: avevano dunque eletto colui che da Don Bosco era stato preconizzato trentatré anni prima.
            Venne subito incaricato Don Bertello di formulare due telegrammi di comunicazione al Santo Padre e al Card. Rampolla, Protettore della Società. Al Papa si diceva: “Don Paolo Albera, nuovo Rettor Maggiore Pia Società Salesiana e Capitolo Generale, che con massima concordia di animi oggi novantacinquesimo anniversario nascita Ven. Don Bosco lo elesse e col massimo giubilo lo festeggia eletto, ringraziano Vostra Santità preziosi consigli e preghiere e protestano profondo ossequio ed illimitata obbedienza”. Sua Santità rispose tosto inviando l’apostolica benedizione. Nel telegramma si allude a un autografo pontificio del 9 agosto. Era del tenore seguente: “Ai diletti figli della Congregazione Salesiana del Ven. Don Bosco raccolti per la elezione del Rettor Generale, nella certezza, che tutti, quacumque humana affectione postposita, daranno il loro voto a quel Confratello, che giudicheranno in Domino il più adatto per mantenere il vero spirito della Regola, per incoraggiare e dirigere alla perfezione tutti i Membri del religioso Istituto, e per far prosperare le molteplici opere di carità e di religione, alle quali si sono consacrati, impartiamo con paterno affetto l’Apostolica Benedizione. Dal Vaticano li 9 agosto 1910. Pius PP. X”.
            Anche il Cardinale Protettore aveva indirizzato il 12 agosto “al Regolatore ed Elettori del Capitolo “una parola paterna di augurio e di incoraggiamento, dicendo tra l’altro: “Il vostro amatissimo Don Bosco col più intenso affetto di padre già vi rivolge senza dubbio dal Cielo lo sguardo ed implora ferventemente dal Divino Paracleto che spanda su di voi i celesti lumi ispirandovi savi consigli. La santa Chiesa attende dai vostri suffragi un degno successore di Don Bosco e di Don Rua, il quale sappia sapientemente conservare l’opera loro, anzi accrescerla con nuovi incrementi. Ed anch’io col più vivo interessamento, unito a voi nella preghiera, formo caldissimi voti, affinché col divino favore la vostra scelta sia sotto ogni rapporto felice e tale da recarmi la dolce consolazione di vedere la Congregazione Salesiana ognora più rigogliosa fiorire a vantaggio delle anime e ad onore dell’Apostolato cattolico. Fate dunque che in atto così sacro e solenne gli animi vostri si tengano lungi da umani riguardi e personali sentimenti; onde guidati unicamente da rette intenzioni e ardente brama della gloria di Dio e del maggior bene dell’Istituto, congiunti nel nome del Signore nella più perfetta concordia e carità, possiate scegliere a vostro reggitore colui che per santità di vita vi sia esempio, per bontà di cuore padre amoroso, per prudenza e saggezza guida sicura, per zelo e fermezza vigile custode della disciplina, della religiosa osservanza e dello spirito del Venerabile Fondatore”. Sua Eminenza, ricevendo non molto dopo Don Albera, gli diede segni non dubbi di ritenere che la scelta fosse stata fatta conforme ai voti da lui espressi.
            Quale fosse nei primi istanti il sentimento dell’eletto, lo dice il diario, nel quale sotto il 16 agosto leggiamo: “Questo è un giorno di grande sfortuna per me. Sono stato eletto Rettor Maggiore della Pia Società di S. Francesco di Sales. Quale responsabilità sulle mie spalle! Ora più che mai debbo gridare: Deus, in adiutorium meum intende. Ho pregato moltissimo, specialmente davanti alla tomba di Don Bosco”. Nel suo portafoglio fu rinvenuto un foglietto ingiallito, nel quale si era tracciato e firmato questo programma: “Avrò sempre Dio in vista, Gesù Cristo qual modello, l’Ausiliatrice in aiuto, me stesso in sacrificio”.
            Erano scaduti nel medesimo tempo tutti i membri del Capitolo Superiore e bisognava farne l’elezione, il che si eseguì nella terza seduta. Primo fu eletto il Prefetto Generale. La votazione sul nome di Don Rinaldi risultò plebiscitaria. Dei 73 votanti, 71 diedero a lui il voto. Mancò dunque un voto solo, che andò a Don Paolo Virion, Ispettore francese. L’altro, assai probabilmente il suo, fu per Don Pietro Ricaldone, Ispettore nella Spagna, da lui molto stimato. Ripigliò pertanto la sua quotidiana fatica, che doveva durare ancora dodici anni, fino a quando diventò egli stesso Rettor Maggiore.
            Fatto questo, il Capitolo passò all’elezione dei rimanenti, che furono: Don Giulio Barberis, Catechista Generale; Don Giuseppe Bertello, Economo; Don Luigi Piscetta, Don Francesco Cerruti, Don Giuseppe Vespignani, Consiglieri. Quest’ultimo, Ispettore nell’Argentina, ringraziata l’assemblea per l’atto di fiducia, si disse obbligato da motivi particolari e anche dalla salute a declinare la nomina, pregando si volesse addivenire a un’altra elezione. Ma il Superiore non credette doversene accettare così su due piedi la rinuncia e lo pregò di sospendere fino al domani ogni decisione. Al domani, invitato dal Rettor Maggiore a notificare la risoluzione presa, rispose che, seguendo il consiglio del Superiore, si rimetteva interamente all’obbedienza con faccettare la carica.
            Primo atto del rieletto Prefetto Generale fu di portare ufficialmente a conoscenza dei Soci l’elezione del nuovo Rettor Maggiore. In una breve lettera, accennate di volo le varie fasi della sua vita, ricordava opportunamente il così detto “Sogno della Ruota”, nel quale Don Bosco aveva visto Don Albera con una lucerna in mano illuminare e guidare gli altri (MB VI,910). Quindi molto opportunamente conchiudeva: “Miei cari confratelli, risuonino ancora una volta alle vostre orecchie le amorose parole di Don Bosco nella lettera-testamento: “Il vostro Rettore è morto, ma ve ne sarà eletto un altro, che avrà cura di voi e della vostra eterna salvezza. Ascoltatelo, amatelo, ubbiditelo, pregate per lui, come avete fatto per me”.
            Alle Figlie di Maria Ausiliatrice Don Albera stimò opportuno fare senza troppo indugio una sua comunicazione, tanto più che da esse riceveva lettere in buon numero. Le ringraziava pertanto dei loro rallegramenti, ma soprattutto delle loro preghiere. “Spero, scriveva, che Iddio esaudirà i vostri voti e che non permetterà che la mia inettezza abbia ad essere di nocumento a quelle opere, a cui il Ven. Don Bosco e l’indimenticabile Don Rua consacrarono tutta la loro vita”. Si augurava infine che tra i due rami della famiglia di Don Bosco regnasse ognora una santa gara nel conservare lo spirito di carità e di zelo lasciato in eredità dal fondatore.
            Diamo ora un fuggevole sguardo ai lavori del Capitolo Generale. Tema fondamentale si può dire che ve ne fu uno solo. Il Capitolo antecedente, compiuta una revisione piuttosto sommaria dei Regolamenti, aveva deliberato che, così com’erano, si praticassero per sei anni ad experimentum e che il Capitolo XI li ripigliasse in esame fissandone il testo definitivo. Questi Regolamenti erano sei: per gl’Ispettori, per tutte le case salesiane, per le case di noviziato, per le parrocchie, per gli oratori festivi e per la Pia Unione dei Cooperatori. Il medesimo Capitolo X con una petizione firmata da 36 membri aveva chiesto che nell’XI si trattasse la questione amministrativa e soprattutto il modo di rendere sempre più proficui i cespiti d’entrata, che la Provvidenza concedeva a ogni casa salesiana. Ad agevolare l’arduo lavoro fu nominata per ogni Regolamento una Commissione, dirò così, di tecnici, extracapitolare con l’incarico di fare gli studi relativi e di presentare al Capitolo medesimo le conclusioni.
            Le discussioni, incominciate alla quinta seduta, si protrassero per altre 21. A voler esaurire la materia sarebbe stato necessario prolungare ben più i lavori; ma il Capitolo Generale con votazione unanime deferì il compito di ultimare la revisione al Capitolo Superiore, il quale promise di eseguirla, nominando un’apposita Commissione. Tuttavia il Capitolo Generale, per mostrare che non se ne disinteressava e per aiutare l’opera, manifestò il desiderio di creare una Commissione incaricata di formulare i principali criteri, che avrebbero dovuto guidare la nuova Commissione dei Regolamenti nella sua lunga e delicata fatica. Cosi fu fatto. Vennero pertanto portate a conoscenza dell’assemblea e approvate dieci norme direttive, elaborate da suoi delegati sotto la presidenza di Don Ricaldone. Lo sfondo di esse era di mantenere saldo lo spirito di Don Bosco, integri conservando quegli articoli che si riconoscevano suoi, e di eliminare dai Regolamenti quanto contenevano di puramente esortativo.
            Dell’XI Capitolo Generale altro più non ricorderò fuorché due episodi, i quali sembrano avere particolare importanza. Il primo si riferisce al Regolamento degli Oratori festivi. La Commissione extracapitolare aveva creduto bene di sfrondarlo, massime nella parte concernente le svariate cariche. A Don Rinaldi parve che ne risultasse distrutto il concetto di Don Bosco circa gli Oratori festivi; onde insorse dicendo; “Il Regolamento stampato nel 1877 fu veramente compilato da Don Bosco, e me lo assicurava Don Rua quattro mesi prima della morte. Faccio quindi voti, che sia conservato intatto, perché, se sarà praticato, si vedrà che è sempre buono anche oggi”.
            Qui si accese un’animata discussione, della quale colgo le battute più notevoli. Il relatore dichiarò che la Commissione ignorava affatto questa particolarità; ma osservò pure non essersi mai quel Regolamento praticato integralmente in nessun Oratorio festivo, nemmeno a Torino. Opinare la Commissione che il Regolamento fosse stato fatto compilare da Don Bosco su Regolamenti degli Oratori festivi lombardi; a ogni modo aver essa inteso soltanto di sfrondarlo e d’introdurvi quanto di pratico si riscontrasse nei migliori Oratori salesiani. Ma Don Rinaldi non si acquietò, e insistette nel desiderio di Don Rua che quel Regolamento venisse rispettato, come opera di Don Bosco, pur con l’introduzione di quanto si giudicasse utile per i giovani adulti.
            Rincalzò questa tesi Don Vespignani. Egli, venuto all’Oratorio già sacerdote nel 1876, aveva ricevuto da Don Rua l’incarico di trascrivere dall’originale di Don Bosco quel Regolamento e ne conservava ancora le prime bozze. Anche Don Barberis assicurò di aver veduto l’autografo. Gli oppositori l’avevano contro le cariche. Ma Don Rinaldi non disarmò, anzi proferì queste energiche parole: “Nulla si alteri del Regolamento di Don Bosco, che altrimenti perderebbe l’autorità”. Don Vespignani confermò un’altra volta il pensiero di lui con esempi dell’America e specialmente dell’Uruguay, dove, essendosi voluto al tempo di Mons. Lasagna provare diversamente, non si era riusciti a nulla. Finalmente la controversia fu chiusa col votare il seguente ordine del giorno: “Il Capitolo Generale XI delibera che si conservi intatto il “Regolamento degli Oratori festivi” di Don Bosco, quale fu stampato nel 1877, facendovi solo in appendice quelle aggiunte che vi si ritenessero opportune, specialmente per le sezioni dei giovani più adulti». Va encomiata la sensibilità dell’assemblea di fronte a un tentativo di riforma in cose sancite da Don Bosco.
            Il secondo episodio appartiene alla penultima seduta per una questione non estranea ai Regolamenti, come a prima vista potrebbe sembrare. La sollevò di nuovo Don Rinaldi, resosi interprete del desiderio di molti, che venisse definita la posizione dei Direttori nelle case dopo il decreto sulle confessioni. Fino al 1901 l’essere essi confessori ordinari dei soci e degli alunni faceva sì che nel dirigere agissero abitualmente con uno spirito paterno (questo argomento è ampiamente esposto in Annali III,170-194). Dopo d’allora invece si cominciava a osservare che veniva smettendosi il carattere paterno voluto da Don Bosco nei suoi Direttori e da lui insinuato nel Regolamento delle case e altrove; i Direttori infatti si davano ad accudire gli affari materiali, disciplinari e scolastici, sicché diventavano Rettori e non più Direttori. “Dobbiamo tornare, diceva Don Rinaldi, allo spirito e al concetto di Don Bosco, manifestatoci specialmente nei “Ricordi confidenziali “(Annali III,49-53) e nel Regolamento. Il Direttore sia sempre Direttore salesiano. Eccetto il ministero della confessione, nulla è mutato».
            Don Bertello deplorò che i Direttori avessero creduto di dover lasciare con la confessione anche la cura spirituale della casa, dedicandosi ad uffici materiali. “Speriamo, disse, che sia stata cosa di un momento. Bisogna tornare all’ideale di Don Bosco, descrittoci nel Regolamento. Si leggano quegli articoli, si meditino e si pratichino” (Li citò secondo l’edizione d’allora’; nella presente sarebbero i 156, 157, 158, 159, 57, 160, 91, 195). Conchiuse Don Albera dicendo: “È questione essenziale per la vita della nostra Società, che si conservi lo spirito del Direttore secondo l’ideale di Don Bosco; altrimenti cambiamo il modo di educare e non saremo più salesiani. Dobbiamo fare di tutto per conservare lo spirito di paternità, praticando i ricordi che Don Bosco ci lasciò: essi ci diranno come bisogna fare. Specialmente nei rendiconti noi potremo conoscere i nostri sudditi e dirigerli. Quanto ai giovani, la paternità non importa carezze o concessioni illimitate, ma l’interessarsi di loro, il dar loro facoltà di venirci a trovare. Non dimentichiamo poi l’importanza del discorsino della sera. Siano fatte bene e con cuore le prediche. Facciamo vedere che ci sta a cuore la salvezza delle anime e lasciamo ad altri le parti odiose. Così sarà conservata al Direttore l’aureola, di cui lo voleva circondato Don Bosco”.
            Anche questa volta i Capitolari trovarono aperta nell’Oratorio un’Esposizione generale delle Scuole Professionali e Agricole Salesiane, la terza, che durò dal 3 luglio al 16 ottobre. Avendo già descritte le due precedenti, non occorre più fermarci a ripetere su per giù le medesime cose (Annali III,452-472). Naturalmente l’esperienza passata servì a una migliore organizzazione della mostra. Prevalse il criterio enunciato già due volte dall’organizzatore Don Bertello, che cioè, secondo un ordinamento voluto da Don Bosco, ogni Esposizione di tal genere è un fatto destinato a ripetersi periodicamente ad ammaestramento e stimolo delle scuole. L’apertura e la chiusura ricevettero lustro dall’intervento delle autorità cittadine e di rappresentanti del Governo. Visitatori non ne mancarono mai, e fra essi personalità d’alto grado ed anche di vera competenza. Nell’ultimo giorno il prof. Piero Gribaudi fece al nuovo Rettor Maggiore la prima presentazione di ex-allievi torinesi in numero di circa 300. Il Deputato Cornaggia nel suo discorso finale pronunciò questo giudizio ben degno di restare (Bollettino Salesiano, nov.1910, p.332): “Chi ha avuto occasione di approfondire lo studio sull’ordinamento di queste scuole e dei concetti che le ispirano, non può non ammirare la sapienza di quel Grande, che ha compreso i bisogni operai nelle condizioni dei tempi nuovi, prevenendo filantropi e legislatori”.
            Avevano partecipato alla mostra 55 case con un numero complessivo di 203 scuole. L’esame dei lavori esposti fu affidato a nove giurie distinte, delle quali fecero parte 50 tra i più insigni professori, artisti e industriali di Torino. Dovendo avere l’Esposizione carattere esclusivamente scolastico, secondo tale criterio vennero giudicati i lavori e aggiudicati i premi. Questi ultimi furono cospicui, offerti dal Papa (una medaglia d’oro), dal Ministero di Agricoltura e Commercio (cinque medaglie d’argento), dal Municipio di Torino (una medaglia d’oro e due d’argento), dal Consorzio agrario di Torino (due medaglie d’argento), dalla “Pro Torino” (una medaglia vermeil, una d’argento e due di bronzo), dagli ex-allievi del Circolo “Don Bosco” (una medaglia d’oro), dalla Ditta “Augusta” di Torino (lire 500 in materiale tipografico da dividersi in tre premi), dal Capitolo Superiore salesiano (corona d’alloro in argento dorato per il gran premio) (Le assegnazioni stanno elencate nel citato numero del Bollettino Salesiano).
            Mette conto riportare gli ultimi periodi della relazione, che Don Bertello lesse prima che si proclamassero i premiati. Disse: “Circa tre mesi fa, nell’atto d’inaugurare la nostra piccola Esposizione, noi abbiamo deplorato che per la morte del Rev.mo sig. Don Rua fosse mancato Colui, al quale intendevamo di fare l’omaggio dei nostri studi e dei nostri lavori nel suo giubileo sacerdotale. La Divina Provvidenza ci ha dato un nuovo Superiore e Padre nella persona del Rev.mo sig. Don Albera. Orbene, chiudendo l’Esposizione, noi deponiamo nelle sue mani i nostri propositi e le nostre speranze, sicuri che l’artigiano, che fu già prima cura del Ven. Don Bosco e delizia del signor Don Rua, avrà sempre un posto conveniente nell’affetto e nelle sollecitudini del loro Successore”.
            Quello fu l’ultimo trionfo di Don Bertello. Poco più di un mese dopo, il 20 novembre, un malore improvviso spegneva d’un tratto un’esistenza così operosa. L’ingegno robusto, la soda cultura, la fermezza del carattere e la bontà dell’animo fecero di lui prima un saggio Direttore di collegio, poi un solerte Ispettore e infine per dodici anni un esperto Direttore Generale delle scuole professionali e agricole salesiane. Tutto egli doveva, dopo Dio, a Don Bosco, che l’aveva allevato nell’Oratorio fin da piccolo e se l’era formato a sua immagine e somiglianza.
            Don Albera non aveva frapposto il menomo indugio a compiere il gran dovere di rendere omaggio al Vicario di Gesù Cristo, a Colui che la Regola chiama “arbitro e supremo Superiore “della Società. Subito il 1° settembre partì per Roma, dove, giunto il 2, trovò già il biglietto di udienza per la mattina del 3. Sembrò quasi che Pio X fosse impaziente di vederlo. Dalle labbra del Papa raccolse alcune amabili espressioni, che si ripose nel cuore. Ai ringraziamenti per l’autografo e la benedizione rispose il Papa d’aver creduto di agire così per far conoscere quanto gli tornasse gradita l’attività mondiale dei Salesiani e soggiunse: -— Siete nati ieri, è vero, ma siete sparsi in tutto il mondo e dappertutto lavorate molto. — Essendo informato delle vittorie già ottenute nei tribunali contro i calunniatori di Varazze (Annali III,729-749), ammonì: — Vigilate, perché altri colpi vi preparano i vostri nemici. — Finalmente, richiesto umilmente di qualche norma pratica per il governo della Società, rispose; — Non vi scostate dagli usi e dalle tradizioni introdotti da Don Bosco e da Don Rua.
            Era già finito il 1910 e Don Albera non aveva ancora fatto una comunicazione all’intera Società. Occupazioni nuove per lui e incessanti, massime le molte conferenze con i 32 Ispettori, gl’impedivano sempre di raccogliersi al tavolino. Solo nella prima metà di gennaio, come si rileva dal diario, scrisse le prime pagine di una circolare, che doveva riuscirgli lunghetta. La spedi con la data del 25. Scusatosi del ritardo a farsi vivo, commemorato Don Rua ed elogiato Don Rinaldi per il suo buon governo interinale della Società, si diffondeva in particolari notizie sul Capitolo Generale, sulla propria elezione, sulla visita al Papa, sulla morte di Don Bertello. In tutto aveva l’aria di un padre che s’intrattiene familiarmente con i figli. Li mise pure a parte delle sue pene per i fatti del Portogallo. Spodestata a Lisbona la monarchia nell’ottobre 1910, i rivoluzionari avevano preso accanitamente di mira i religiosi, assalendoli con una furia selvaggia. I Salesiani non ebbero a lamentare vittime; tuttavia i confratelli del Pinheiro presso Lisbona passarono una brutta giornata. Un branco di energumeni invase e svaligiò quella casa, non solo prendendosi ludibrio dei sacerdoti e dei chierici, ma anche profanando sacrilegamente la cappella e più sacrilegamente disperdendo al suolo e perfino calpestando le ostie consacrate. Quasi tutti i Salesiani dovettero lasciare il Portogallo, rifugiandosi nella Spagna o nell’Italia. I rivoluzionari ne occuparono le scuole e i laboratori, donde furono scacciati gli alunni. Anche alle colonie si estese la persecuzione, sicché bisognò abbandonare Macao e Mozambico, dove si faceva gran bene (Annali III, 606 e 622-4). Ma già allora Don Albera poteva scrivere: “Coloro stessi che ci hanno dispersi, riconoscono che hanno privato il loro paese delle uniche scuole professionali che possedesse”.
            Egli, che tante volte aveva udito Don Bosco nei primordi della Società predire il moltiplicarsi de’ suoi figli in ogni nazione anche remota, e vedeva allora avverate mirabilmente quelle predizioni, sentiva certo tutto il peso dell’immensa eredità ricevuta e riteneva che per qualche tempo non fosse da metter mano a opere nuove, ma convenisse applicarsi a consolidare le esistenti. Stimava quindi doveroso inculcare la stessa cosa a tutti i Salesiani: a ottener ciò non bastando da soli i Superiori, si raccomandava caldamente alla cooperazione comune. Siccome poi in quegli anni il modernismo tendeva insidie anche alle famiglie religiose, metteva sull’avviso i Salesiani, supplicandoli a fuggire ogni novità, che Don Bosco e Don Rua non avrebbero potuto approvare.
            Insieme con la circolare inviava pure a ogni casa un esemplare delle circolari di Don Rua, che dal letto di morte aveva dato a lui l’incarico di raccoglierle in un volume. Il lavoro tipografico era già terminato da circa due mesi; infatti la pubblicazione recava in fronte una lettera di Don Albera con la data dell’8 dicembre 1910.
            Per il vicino anniversario della morte di Don Bosco inviava dunque alle case un doppio regalo, la circolare e il libro. A questo secondo egli teneva in modo speciale, perché sapeva di offrire in esso un gran tesoro di ascetica e di pedagogia salesiana. Le tracce di Don Rua egli si era proposto di seguire, prefiggendosi specialmente d’imitarne la carità e lo zelo nel procurare il bene spirituale di tutti i Salesiani.

Annali della Società salesiana, vol. IV (1910-1921), p. 1-13




Il nostro invitato: don Alphonse Owoudou, Regolatore del Capitolo

Domenica 16 febbraio 2025, a Valdocco, Torino, avrà inizio il ventinovesimo Capitolo Generale della Congregazione Salesiana. Questo evento è il principale segno di unità della Congregazione nella sua diversità. Ne parliamo con don Alphonse Owoudou, Consigliere Regionale per l’Africa-Madagascar e Regolatore del Capitolo.

Può presentarsi?
Mi chiamo Alphonse Owoudou, Salesiano di Don Bosco, originario del Camerun (visitatoria ATE) in Africa. Ad aprile 2025 festeggerò i miei 56 anni. Attualmente sono Consigliere Regionale per l’Africa-Madagascar. Prima di assumere questo ruolo all’interno del Consiglio Generale, sono stato Superiore della visitatoria ATE, Africa Tropicale Equatoriale.

Il mio percorso mi ha portato prima in Gabon come giovane sacerdote e cappellano diocesano dei giovani. Successivamente, ho proseguito gli studi di psicologia presso l’Università Pontificia Salesiana (UPS). Ho poi raggiunto Lomé, in Togo, dove avevo svolto il mio noviziato e il mio post noviziato; vi sono tornato dopo 12 anni come membro del team di formazione. Ho poi avuto la responsabilità dell’attuale Istituto Superiore Don Bosco.

Nel 2015, sono tornato in ATE per far parte del team di animazione ispettoriale. Felice di ritrovare i miei confratelli e il mio paese dopo 20 anni, ho servito inizialmente come vicario ispettoriale dal 2015 al 2017, prima di essere nominato Ispettore nel giugno 2017. Questo periodo mi ha permesso di scoprire la mia ispettoria, le sue opere e la grande comunità educativa e pastorale su un territorio di sei nazioni, ridotto in seguito a cinque con la nascita dell’ACC.

Dal CG28 nel 2020, ho l’immenso privilegio di servire come Consigliere Regionale, assicurando il legame tra i 15 ispettori l’Africa-Madagascar e il Consiglio Generale, in conformità con l’articolo 140 delle nostre Costituzioni. Questa missione mi ha permesso di scoprire e comprendere meglio la ricchezza, la complessità e la bellezza dell’Africa salesiana, una regione piena di storia, promesse, sfide e risorse.

Qual è il compito del Regolatore?
Nel contesto del Capitolo Generale, il ruolo del Regolatore è principalmente quello di garantire il coordinamento tecnico e la regolarità dei processi prima e durante il Capitolo. Presiede la Commissione Tecnica, incaricata dell’elaborazione del calendario dei lavori, del documento di lavoro preparato dalla Commissione Precapitolare, nonché delle raccomandazioni del Rettore Maggiore o del Vicario per il buon svolgimento dei Capitoli Ispettoriali e delle regole elettorali.

Assistito dal suo segretariato e dal Segretario Generale, il Regolatore si occupa anche della validazione dei delegati eletti verificando i numeri di ciascuna ispettoria, garantendo così la legittimità della loro partecipazione al Capitolo Generale. Invia agli ispettori i moduli necessari per i verbali e i modelli per i contributi provenienti dai Capitoli Ispettoriali, dai gruppi di confratelli e dai membri individuali. Una volta raccolti questi contributi, li ordina, li classifica e li prepara. Introduce i membri della Commissione Precapitolare al tema centrale del Capitolo Generale per elaborare insieme il documento che servirà da base per le riflessioni e i dibattiti durante le sessioni del Capitolo.

Il Capitolo Generale è spesso definito come “il segno principale dell’unità della Congregazione nella sua diversità”. È in questo spirito che il Regolatore deve orientare e facilitare gli scambi affinché questa unità si manifesti pienamente, grazie a una preparazione accurata e a discussioni ben strutturate.

Perché il Capitolo è così importante per la vita della Congregazione?
Il Capitolo Generale è cruciale per la vita della Congregazione perché rappresenta “il segno principale dell’unità della Congregazione nella sua diversità”. È un momento in cui i Salesiani si riuniscono per riflettere insieme su come rimanere fedeli al Vangelo, al carisma di Don Bosco e alle esigenze delle epoche e dei luoghi in cui esercitano la loro missione. Guidati dallo Spirito Santo, i Salesiani discernono la volontà di Dio per servire meglio la Chiesa e la gioventù in un momento preciso della storia.

Oltre a questa dimensione spirituale e di riflessione sulla missione, il Capitolo Generale gioca un ruolo centrale nel governo della Congregazione. È durante il Capitolo che si svolgono le elezioni o le rielezioni del Rettore Maggiore, del suo Vicario e degli altri membri del Consiglio Generale. Questo processo elettivo consente alla Congregazione di scegliere i responsabili che guideranno la missione salesiana per i prossimi anni. Queste elezioni sono fondamentali perché assicurano non solo la continuità, ma anche la vitalità e l’adattamento della Congregazione alle sfide attuali.

Il Capitolo è anche l’occasione per rivedere e adattare la missione salesiana ai tempi presenti. Ad esempio, durante il 29° Capitolo Generale, uno dei temi centrali è il “debilitarsi dell’identità carismatica” percepito all’interno della Congregazione, e sono previste discussioni per rispondere a questa preoccupazione. Inoltre, saranno affrontate anche questioni giuridiche rimaste in sospeso dal Capitolo precedente.

In sintesi, il Capitolo Generale è un tempo di discernimento, decisione e rinnovamento, che consente alla Congregazione di rispondere meglio ai bisogni del mondo di oggi, eleggendo al contempo i responsabili che guideranno questa missione nell’unità e nella fedeltà a Don Bosco.

Qual è il tema del Capitolo?
Il tema centrale del 29° Capitolo Generale è “Appassionati di Gesù Cristo, dedicati ai giovani”, con il sottotitolo “Vivere la nostra vocazione salesiana in modo fedele e profetico”. Questo tema ci invita a tornare all’essenza della nostra identità consacrata, centrata su Cristo e sui giovani. Si tratta di un appello a rinnovare il cuore stesso della vocazione salesiana, a ravvivare l’ardore spirituale e apostolico che deve animare ogni Salesiano.

Concretamente, ciò significa approfondire la nostra vita spirituale, dedicarci maggiormente alla preghiera e alla contemplazione, rimanendo fermamente impegnati con i giovani, soprattutto i più poveri e marginalizzati. Il Capitolo ci invita a essere non solo educatori e pastori, ma anche testimoni profetici del Vangelo in un mondo in cambiamento. In altre parole, non basta realizzare opere; è necessario che queste opere riflettano profondamente la nostra passione per Cristo e il nostro impegno verso i giovani.

Il tema mette anche in luce tre grandi priorità per il rinnovamento: la vita spirituale e la formazione, una collaborazione accresciuta con i laici e i membri della Famiglia Salesiana, e infine, una revisione coraggiosa delle strutture di governo della Congregazione per adattarle ai bisogni attuali della missione.

Chi sono i partecipanti?
Il 29° Capitolo Generale riunisce un totale di 226 capitolari e un team di 45 confratelli e collaboratori incaricati della logistica e di altri servizi. Concretamente, si tratta di:

14 membri del Consiglio Generale, compreso il Segretario Generale;
il Procuratore Generale e il Rettore Maggiore Emerito;
2 capitolare della Casa Generale (RMG);
2 dell’Università Pontificia Salesiana (UPS);
22 della Regione Cone Sud;
27 dell’Inter-America;
27 dell’Asia Est Oceania;
29 della Regione Mediterranea;
32 della Regione Africa;
33 dell’Asia Sud;
e, 36 i più numerosi, dell’Europa Centro-Nord.
Questi capitolari arrivano al Capitolo Generale portatori del discernimento e della speranza dei 13.544 Salesiani registrati in occasione di questo importante appuntamento. Durante il CG29, il 93% dell’assemblea sarà costituito da chierici e il 7% da confratelli coadiutori.

Quali sono le sue preoccupazioni?
Mi sento complessivamente sereno, soprattutto dopo tutto il percorso “sinodale” che abbiamo appena attraversato da quel famoso mese di luglio 2023, con una resilienza che ammiro.

Abbiamo lavorato intensamente nelle 92 ispettorie e nelle 7 regioni, così come all’interno del Consiglio Generale. Inoltre, la Commissione Tecnica, la Commissione Giuridica e la Commissione Precapitolare hanno lavorato con un grande senso di sacrificio e una flessibilità ammirevole per preparare questa importante e forse svolta unica. Sono convinto che Dio ci aiuterà ad affrontare le sfide di questo Capitolo che il Rettor Maggiore emerito, card. Àngel Fernández Artime, ha voluto profetico e portatore di rinnovamento.

Detto ciò, le mie “preoccupazioni” si allineano naturalmente a quelle di tutti i miei confratelli, le cui riflessioni sono state sintetizzate nell’Instrumentum Laboris, derivante da 244 documenti ricevuti. Tra le principali, c’è la questione dell’identità carismatica. Molti esprimono la paura che il nostro carisma salesiano perda gradualmente la sua specificità e che rischiamo di diventare simili a qualsiasi organizzazione sociale. Questo potrebbe indebolire l’efficacia della nostra missione, poiché ciò che ci rende unici è proprio la nostra capacità di unire azione sociale e testimonianza spirituale radicata nella fede. È per questo che la prima frase delle Costituzioni, come un credo, ci dice che siamo un’invenzione di Dio per la sua gloria e per la salvezza totale dei suoi figli.

C’è anche la preoccupazione per la crescente secolarizzazione e la decristianizzazione delle nostre società, non solo in Occidente. Questa realtà rende più difficile per noi, Salesiani—e scommetto che sia lo stesso per tutti i consacrati e le confessioni religiose—proclamare e vivere apertamente la fede nella sfera pubblica. Queste sfide richiedono un adattamento della nostra visione e dei nostri metodi pastorali, in particolare nell’accompagnamento dei giovani confratelli e delle nuove generazioni.

Un altro tema importante è quello dell’ecologia integrale e della cultura digitale. Il Capitolo sottolineerà certamente la necessità per noi, come hanno ripetuto i tre ultimi papi dall’inizio di questo millennio, di adattarci al mondo digitale in cui vivono i giovani oggi, integrando una maggiore attenzione all’ambiente, la nostra “casa comune”, in tutti gli aspetti della nostra missione.

Infine, c’è l’urgenza di un rinnovamento nella nostra vita spirituale, fraterna e apostolica. È importante non lasciarci assorbire esclusivamente dalle attività pratiche, ma ritrovare una vitalità spirituale al centro della nostra azione. Questo passa attraverso una preghiera più intensa, una formazione più solida e inculturata, e una migliore collaborazione all’interno della Famiglia Salesiana e con i laici, che sono chiamati a svolgere un ruolo importante nella nostra missione. Questo appello alla collaborazione non è nuovo, ma il contesto del sinodo sulla sinodalità porta un respiro più potente e meglio articolato.

Ci saranno sorprese?
Potrebbero esserci sorprese durante questo 29° Capitolo Generale, a causa dell’ampiezza della sua agenda e del desiderio espresso di prendere “decisioni coraggiose” e adottare una posizione “più profetica”. È in ogni caso ciò che molti di noi sperano.

Tra queste sorprese, uno degli aspetti chiave potrebbe riguardare la revisione delle strutture di governo e di animazione. Il Capitolo potrebbe scegliere di ripensare significativamente il Consiglio Generale, rendendolo più agile e meglio adattato ai bisogni attuali della Congregazione. Ripensare può anche significare mantenere la struttura esistente, ma viverla e gestirla meglio. Questo potrebbe includere anche una rivalutazione dei processi elettorali per garantire che i leader scelti siano il frutto di un processo più collegiale, lineare e trasparente.

Un altro punto potenzialmente significativo riguarda la sinodalità, in particolare in una collaborazione più stretta con i laici. Questo potrebbe tradursi in una governance condivisa più profonda, in linea con l’approccio “con e per i giovani”. Rafforzando questa sinodalità, la missione salesiana potrebbe non solo rinnovare il suo impegno verso i giovani, ma anche diventare veramente profetica incarnando un modello di leadership partecipativa e di corresponsabilità con i laici. Questo sarebbe un segno forte che lo spirito di comunione e collaborazione è al centro del nostro carisma.

Inoltre, come già sottolinea l’Instrumentum Laboris, ci sono forti aspettative affinché questo Capitolo sia un momento di coraggio e profezia. È probabile che il CG29, invece di moltiplicare le esortazioni, decida di focalizzarsi su alcune priorità chiave, in accordo con i segni dei tempi. Tra queste priorità, potrebbe esserci un’attenzione particolare all’attuazione e al rafforzamento del protocollo di protezione dei minori e delle persone vulnerabili, garantendo che ogni opera salesiana sia un luogo sicuro e protetto per tutti. L’educazione alla pace e alla convivenza pacifica potrebbe anche figurare tra i temi centrali, soprattutto nei contesti segnati dalla violenza o dai conflitti.

Infine, le questioni contemporanee come la missione digitale, l’ecologia integrale e la giustizia sociale potrebbero essere oggetto di decisioni audaci, tenendo conto della diversità dei contesti in cui il carisma salesiano deve esprimersi oggi. Focalizzandosi su aree concrete, il Capitolo potrebbe fornire risposte profonde e coerenti alle sfide attuali, rispettando al contempo la ricchezza delle diverse realtà locali.

Così, le decisioni prese potrebbero riflettere questa dinamica sinodale e profetica, centrata su Cristo e sul servizio dei giovani, aprendo la strada a un futuro salesiano rinnovato e fedele al suo impegno evangelico.

In sintesi:

Contesto
Il 29° Capitolo Generale della Congregazione Salesiana si terrà a Valdocco, Torino, tra il 16 febbraio e il 12 marzo 2025 e riunirà 226 capitolari per riflettere sul futuro della missione salesiana.

Ruolo del Regolatore
– coordinamento tecnico: elaborare il calendario, organizzare i lavori e preparare i documenti di base;
– validazione dei partecipanti: verificare l’eleggibilità dei delegati, garantire la loro legittimità e raccogliere i loro contributi;
– preparazione tematica: introdurre i membri della Commissione precapitolare al tema principale del Capitolo per elaborare un documento di lavoro che guiderà i dibattiti;
– garantire che gli scambi riflettano pienamente l’unità e la diversità della Congregazione, favorendo una riflessione collettiva e un discernimento spirituale.

Importanza del Capitolo
– dimensione spirituale: riflettere sulla fedeltà al carisma di Don Bosco, per rinnovare l’ardore missionario;
– dimensione di governance: eleggere i dirigenti per gli anni a venire;
– dimensione adattativa: rispondere alle sfide contemporanee, come il debilitarsi dell’identità carismatica o la crescente secolarizzazione.

Tema
Centrale: “Appassionati di Gesù Cristo, dedicati ai giovani – Vivere la nostra vocazione salesiana in modo fedele e profetico”.
Nuclei tematici:
– vita spirituale e formazione: rafforzare la preghiera, la contemplazione e la formazione spirituale;
– collaborazione con i laici: favorire una leadership condivisa con i membri della Famiglia Salesiana;
– revisione delle strutture di governance: adattare le strutture alle realtà attuali per una missione più efficace.

Sfide e problemi
– identità carismatica: riaffermare la specificità salesiana per evitare di diventare un’organizzazione sociale ordinaria;
– secolarizzazione: adattare i metodi pastorali per una proclamazione efficace della fede;
– digitale ed ecologia: integrare le questioni digitali e ambientali nella missione;
– rinnovamento spirituale e collaborazione: intensificare la preghiera e rafforzare la cooperazione con i laici e i giovani.




In memoriam. Cardinale Angelo Amato, sdb

La Chiesa universale e la Famiglia Salesiana hanno salutato per l’ultima volta, il 31 dicembre 2024, il Cardinale Angelo Amato, S.D.B., Prefetto emerito della Congregazione delle Cause dei Santi. Nato a Molfetta (in provincia di Bari, Italia) l’8 giugno 1938, egli ha servito a lungo la Santa Sede ed è stato un punto di riferimento per la teologia, la ricerca accademica e la promozione della santità nella Chiesa. Le esequie, presiedute il 2 gennaio 2025 dal Cardinale Giovanni Battista Re, Decano del Collegio Cardinalizio, si sono tenute all’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro. Al termine, il Santo Padre Francesco ha presieduto il rito dell’”Ultima Commendatio” e della “Valedictio”, rendendo il proprio omaggio a questo illustre figlio di san Giovanni Bosco.
Di seguito un profilo biografico che ne ripercorre la vita, le tappe più significative della sua formazione, le esperienze accademiche e pastorali, fino alla sua missione di Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

Le origini e la scelta salesiana
Angelo Amato nacque a Molfetta l’8 giugno 1938, primo di quattro figli di una famiglia di costruttori navali. Cresciuto in un ambiente che ne favorì lo spirito di impegno e responsabilità, compì i primi studi presso le scuole elementari dirette dalle suore alcantarine e dalle suore salesiane dei Sacri Cuori, a Molfetta. Successivamente, proseguì con la scuola media e, intravvedendo un possibile futuro nella carriera marittima, si iscrisse all’Istituto nautico di Bari, nella sezione dei capitani di lungo corso. Fu proprio durante il terzo anno di studi, nell’ottobre del 1953, che maturò la decisione di intraprendere la via del sacerdozio: lasciò l’Istituto nautico e fece ingresso nell’aspirantato salesiano di Torre Annunziata.
La sua vocazione religiosa, dunque, si inserì fin dall’inizio nella Famiglia Salesiana. Dopo un periodo di prova, effettuò il noviziato a Portici Bellavista dal 1955 al 1956. Il 16 agosto 1956, giorno che la tradizione salesiana riserva alla prima professione dei novizi, emise i voti religiosi diventando salesiano di Don Bosco. Da quel momento, la sua vita sarebbe stata profondamente legata al carisma salesiano, con particolare attenzione ai giovani e all’educazione.
Terminato il noviziato, Angelo Amato frequentò lo studentato filosofico di San Gregorio di Catania, dove ottenne il diploma liceale classico (nel 1959) e, a seguire, la licenza in Filosofia presso l’allora Pontificio Ateneo Salesiano di Roma (oggi Università Pontificia Salesiana). Nel 1962 emise la professione perpetua, consolidando definitivamente la sua appartenenza alla Congregazione salesiana. In quegli stessi anni svolse il tirocinio pratico al collegio salesiano di Cisternino (Brindisi), insegnando lettere nella scuola media: un’esperienza che lo mise fin da subito a contatto con l’apostolato giovanile e l’insegnamento, due dimensioni che segneranno tutta la sua missione.

L’ordinazione sacerdotale e gli studi teologici
La tappa successiva del percorso di Angelo Amato fu lo studio della Teologia nella Facoltà teologica dell’Università Salesiana, sempre a Roma, dove conseguì la licenza in Teologia. Ordinato sacerdote il 22 dicembre 1967, decise di specializzarsi ulteriormente e si iscrisse alla Pontificia Università Gregoriana. Nel 1974 vi ottenne il dottorato in Teologia, entrando così a far parte del corpo docente universitario. L’ambito teologico lo affascinava profondamente, e ciò si sarebbe riflesso nella grande mole di pubblicazioni e saggi di cui fu autore nel corso della sua carriera accademica.

L’esperienza in Grecia e la ricerca sul mondo ortodosso
Una fase determinante nella formazione di padre Angelo Amato fu il soggiorno in Grecia, a partire dal 1977, promosso dall’allora Segretariato per l’Unità dei Cristiani (oggi Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani). Inizialmente trascorse quattro mesi nella residenza ateniese dei gesuiti, dove si dedicò allo studio del greco moderno, sia scritto sia parlato, in vista dell’iscrizione all’Università di Salonicco. Ammesso ai corsi, ottenne una borsa di studio dal Patriarcato di Costantinopoli, grazie alla quale poté soggiornare al Monì Vlatadon (Vlatadon Monastery), sede di un istituto di studi patristici (Idrima ton Paterikon Meleton) e di una ricchissima biblioteca specializzata in teologia ortodossa, arricchita dai microfilm dei manoscritti del Monte Athos.
Presso l’Università di Salonicco seguì corsi di storia dei dogmi con il professore Jannis Kaloghirou e di dogmatica sistematica con Jannis Romanidis. Parallelamente, portò avanti un importante studio sul sacramento della penitenza nella teologia greco ortodossa dal XVI al XX secolo: la ricerca, sostenuta dal noto patrologo greco Konstantinos Christou, fu pubblicata nel 1982 nella collana «Análekta Vlatádon». Questo periodo di scambio ecumenico e di conoscenza approfondita del mondo cristiano orientale arricchì notevolmente la formazione di Amato, rendendolo un esperto di teologia ortodossa e delle dinamiche di dialogo tra Oriente e Occidente.

Il ritorno a Roma e l’impegno accademico all’Università Pontificia Salesiana
Rientrato a Roma, Angelo Amato assunse l’incarico di professore di Cristologia nella Facoltà di Teologia della Pontificia Università Salesiana. Le sue doti di studioso e la sua chiarezza espositiva non passarono inosservate: fu nominato Decano della stessa Facoltà di Teologia per due mandati (1981-1987 e 1994-1999). Inoltre, tra il 1997 e il 2000 ricoprì il ruolo di Vice-Rettore dell’Università.
In quegli anni egli maturò ulteriore esperienza all’estero: nel 1988 fu inviato a Washington per approfondire la teologia delle religioni e per completare il suo manuale di cristologia. Parallelamente al lavoro accademico, ebbe ruoli di consulenza per diversi organismi della Santa Sede: fu consultore della Congregazione per la Dottrina della Fede e dei Pontifici Consigli per la Promozione dell’Unità dei Cristiani e per il Dialogo Interreligioso. Svolse anche l’incarico di consigliere presso la Pontificia Accademia Mariana Internazionale, sottolineando il suo interesse per la mariologia, tipico della spiritualità salesiana incentrata su Maria Ausiliatrice.
Nel 1999 venne nominato prelato segretario della ristrutturata Pontificia Accademia di Teologia e direttore della neonata rivista teologica «Path». Inoltre, tra il 1996 e il 2000, fece parte della commissione teologico-storica del Grande Giubileo dell’Anno 2000, dando così un apporto significativo all’organizzazione delle celebrazioni giubilari.

Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede e l’episcopato
Il 19 dicembre 2002 arrivò una nomina di grande rilievo: Papa Giovanni Paolo II lo designò Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, elevandolo contestualmente alla dignità arcivescovile e assegnandolo alla sede titolare di Sila, con il titolo personale di Arcivescovo. Ricevette l’ordinazione episcopale il 6 gennaio 2003, nella Basilica Vaticana, dalle mani dello stesso Giovanni Paolo II (oggi San Giovanni Paolo II).
In questo ruolo, Monsignor Angelo Amato collaborò con il Prefetto dell’epoca, il Cardinale Joseph Ratzinger (futuro Benedetto XVI). Compito del Dicastero fu, ed è, quello di promuovere e tutelare la dottrina cattolica in tutto il mondo. Durante il suo mandato, il neo-Arcivescovo continuò ad avere un approccio accademico, coniugando le sue competenze specialistiche in teologia con il servizio ecclesiale rivolto all’ortodossia della fede.

Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e la porpora cardinalizia
Un ulteriore passo in avanti nella carriera ecclesiastica giunse il 9 luglio 2008: Papa Benedetto XVI lo nominò Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, in sostituzione del Cardinale José Saraiva Martins. In questo dicastero, Monsignor Amato fu responsabile di seguire l’iter di beatificazione e canonizzazione dei Servi di Dio, il discernimento sulle virtù eroiche, i miracoli e la testimonianza di quanti, nel corso della storia, sono divenuti santi e beati della Chiesa Cattolica.
Nel Concistoro del 20 novembre 2010, Benedetto XVI lo creò Cardinale, assegnandogli la Diaconia di Santa Maria in Aquiro. Il nuovo porporato poté così prendere parte al conclave del marzo 2013, che vide l’elezione di Papa Francesco. Durante il pontificato di quest’ultimo, il Cardinale Amato fu confermato “donec aliter provideatur” come Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi (19 dicembre 2013), proseguendo la propria attività sino al 31 agosto 2018, quando rassegnò le dimissioni per raggiunti limiti di età, lasciando un’impronta duratura grazie al numero di beatificazioni e canonizzazioni esaminate in quegli anni.

L’impegno per la Chiesa locale: l’esempio di don Tonino Bello
Una particolare testimonianza del legame del Cardinale Amato con la sua terra d’origine si ebbe nel novembre 2013, quando egli si recò nella Cattedrale di Molfetta per la chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione di don Tonino Bello (1935-1993). Quest’ultimo, Vescovo di Molfetta dal 1982 al 1986, fu figura amatissima per il suo impegno a favore della pace e dei poveri. In quell’occasione, il Cardinale Amato mise in risalto come la santità non sia appannaggio di pochi eletti, bensì una vocazione universale: tutti i credenti, ispirati dalla persona e dal messaggio di Cristo, sono chiamati a vivere profondamente la fede, la speranza e la carità.

Ultimi anni e la morte
Dopo aver lasciato la guida della Congregazione delle Cause dei Santi, il Cardinale Angelo Amato continuò a offrire il proprio servizio alla Chiesa, partecipando ad eventi, cerimonie e rendendo disponibile la sua profonda conoscenza teologica. Il suo impegno fu sempre contrassegnato da un tratto umano di grande finezza, da un evidente rispetto per l’interlocutore e da un’umiltà che spesso colpiva chiunque lo incontrasse.
Il 3 maggio 2021, la sua diaconia di Santa Maria in Aquiro venne elevata pro hac vice a titolo presbiteriale, onorando ulteriormente la sua lunga e fedele dedizione al ministero ecclesiale.
La morte del porporato, sopraggiunta il 31 dicembre 2024 a 86 anni, ha lasciato un vuoto nella Famiglia Salesiana e nel Collegio Cardinalizio, ora costituito da 252 cardinali, di cui 139 elettori e 113 non elettori. L’annuncio della sua scomparsa ha suscitato reazioni di cordoglio e di riconoscenza in tutto il mondo ecclesiale: l’Università Pontificia Salesiana, in particolare, ne ha ricordato i lunghi anni di insegnamento come docente di Cristologia, il suo duplice mandato di Decano della Facoltà di Teologia, nonché il periodo in cui rivestì la carica di Vice-Rettore dell’ateneo.

Un’eredità di fedeltà e ricerca della santità
Guardando alla figura del Cardinale Angelo Amato, non si possono non cogliere alcuni tratti che ne hanno caratterizzato il ministero e la testimonianza. Anzitutto, il suo profilo di religioso salesiano: la fedeltà ai voti, il profondo legame con il carisma di san Giovanni Bosco, l’attenzione ai giovani, alla formazione intellettuale e spirituale, rappresentano una linea guida costante nella sua vita. In secondo luogo, la vasta produzione teologica, in particolare in ambito cristologico e mariologico, e il suo contributo al dialogo con il mondo ortodosso, di cui fu studioso appassionato.
Indubbiamente, il servizio alla Santa Sede come Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi e cardinale, sottolinea l’importanza del suo ruolo nella promozione e nella tutela della dottrina cattolica, nonché nella valorizzazione dei testimoni di santità. Il Cardinale Amato fu testimone privilegiato della ricchezza spirituale che la Chiesa universale ha espresso lungo i secoli, e fu parte attiva nel riconoscimento di figure che rappresentano un faro per il popolo di Dio.
Inoltre, la partecipazione a un conclave (quello del 2013), la sua vicinanza a grandi Papi come Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco, e la sua collaborazione con numerosi dicasteri testimoniano un servizio a trecentosessanta gradi, in cui si fondono la dimensione accademica e l’esercizio pastorale di governo nella Chiesa.
La morte del Cardinale Angelo Amato lascia un’eredità di dottrina, di sensibilità ecumenica e di amore per la Chiesa. La diocesi di Molfetta, che già aveva potuto sperimentare la sua partecipazione al processo di beatificazione di don Tonino Bello, lo ricorda come uomo di fede e pastore instancabile, capace di unire le esigenze della disciplina teologica a quelle della carità pastorale. La Famiglia Salesiana, in particolare, coglie in lui il frutto di un carisma ben vissuto, intriso di quella “carità educativa” che da Don Bosco in poi accompagna il percorso di tanti consacrati e sacerdoti nel mondo, sempre a servizio dei più giovani e dei più bisognosi.
Oggi, la Chiesa lo affida alla misericordia del Signore, nella certezza che, come lo stesso Pontefice ha affermato, il Cardinale Amato, “servo buono e vigilante”, possa contemplare il volto di Dio nella gloria dei santi che egli stesso ha contribuito a riconoscere. La sua testimonianza, resa concreta da una vita donata e da una profonda preparazione teologica, resta come segno e incoraggiamento per tutti coloro che desiderano servire la Chiesa con fedeltà, mitezza e dedizione, fino al termine del loro pellegrinaggio terreno.
In questo modo, il messaggio di speranza e di santità che ha animato ogni sua azione trova compimento: chi semina nel solco dell’obbedienza, della verità e della carità, raccoglie un frutto che diviene bene comune, ispirazione e luce per le generazioni future. Ed è questa, in definitiva, l’eredità più bella che il Cardinale Angelo Amato lascia alla sua famiglia religiosa, alla diocesi di Molfetta e all’intera Chiesa.

E non possiamo trascurare l’eredità scritturistica che il Cardinale Angelo Amato ci ha lasciato. Presentiamo a continuazione un elenco, sicuramente non completo delle sue pubblicazioni.


























































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































Anno



Titolo



Info



1



1974



I
pronunciamenti tridentini sulla necessità della confessione
sacramentale nei canoni 6-9 della sessione XIV (25 novembre 1551)



Saggio
di ermeneutica conciliare



2



1975



Problemi
attuali di cristologia



Conferenze
della facoltà teologica Salesiana 1974-1975



3



1976



La
Chiesa locale: prospettive teologiche e pastorali



Conferenze
della Facoltà teologica salesiana 1975-1976



4



1977



Cristologia
metaecclesiale?



Considerazioni
sulla cristologia “metadogmatica” di E. Schillebeeckx



5



1977



Il
Gesù storico



Problemi
e interpretazioni



6



1977



Temi
teologico-pastorali







7



1978



Annuncio
cristiano e cultura contemporanea







8



1978



Studi
di cristologia patristica attuale



A
proposito di due recenti pubblicazioni di Alois Grillmeier



9



1979



Il
sacramento della penitenza nelle “Risposte” del
patriarca Geremia II ai teologi luterani di Tübingen
(1576,1579,1581)







10



1980



Annunciare
Cristo ai giovani



(coautore)



11



1980



Il
Cristo biblico-ecclesiale



Proposta
di una sintesi criteriologica sui contenuti essenziali
dell’annuncio cristologico contemporaneo



12



1980



Il
Cristo biblico-ecclesiale latinoamericano



Il
modulo cristologico “religioso-popolare” di Puebla



13



1980



La
figura di Gesù Cristo nella cultura contemporanea



Il
Cristo nel conflitto delle interpretazioni



14



1980



Selezione
orientativa sulle pubblicazioni cristologiche in Italia







15



1980



L’enciclica
del dialogo rivisitata



A
proposito del Colloquio internazionale di studio sull’”Ecclesiam
suam
” di
Paolo VI (Roma, 24-26 ottobre 1980)



16



1981



Il
Salvatore e la Vergine-Madre: la maternità salvifica di
Maria e le cristologie contemporanee



Atti
del 3º Simposio mariologico internazionale (Roma, ottobre
1980)



17



1981



La
risurrezione di Gesù nella teologia contemporanea







18



1981



Mariologia
in contesto



Un
esempio de teologia inculturata: “Il volto meticcio di Maria
di Guadalupe” (Puebla n.446)



19



1982



Il
sacramento della penitenza nella teologia greco-ortodossa



Studi
storico-dogmatici, sec. XVI-XX



20



1983



Inculturazione-Contestualizzazione:
teologia in contesto



Elementi
di bibliografia scelta



21



1983



La
dimension “thérapeutique” du sacrement de la
pénitence dans la théologie et la praxis de l’Église
gréco-orthodoxe







22



1984



Come
conoscere oggi Maria







23



1984



Inculturazione
e formazione salesiana



Dossier
dell’incontro di Roma, 12-17 settembre 1983 (coautore)



24



1984



Maria
e lo Spirito Santo



Atti
del 4º Simposio Mariologico Internazionale (Roma, ottobre,
1982)



25



1985



Come
collaborare al progetto di Dio con Maria



Princìpi
e proposte



26



1987



La
Madre della misericordia







27



1988



Gesù
il Signore



Saggio
di cristologia



28



1989



Essere
donna



Studi
sulla lettera apostolica “Mulieris
dignitatem

di Giovanni Paolo II (coautore)



29



1990



Cristologia
e religioni non cristiane



Problematica
e attualità: considerazioni introduttive



30



1991



Come
pregare con Maria







31



1991



Studio
dei Padri e teologia dogmatica



Riflessioni
a partire dall’Istruzione della Congregazione per
l’educazione cattolica del 10 novembre 1989 (=IPC)



32



1991



Verbi
revelati ‘accommodata praedicatio’ lex omnis
evangelizationis”

(GS n.44)



Riflessioni
storico-teologiche sull’inculturazione



33



1992



Angeli
e demoni Il dramma
della storia tra il bene e il male







34



1992



Dio
Padre – Dio Madre



Riflessioni
preliminari



35



1992



Il
mistero di Maria e la morale cristiana







36



1992



Il
posto di Maria nella “Nuova evangelizzazione”







37



1993



Cristologia
della Secunda
Clementis



Considerazioni
iniziali



38



1993



Lettera
cristologica dei primi concili ecumenici







39



1994



Trinità
in contesto







40



1996



Maria
presso la Croce, volto misericordioso di Dio per il nostro tempo



Convegno
mariano delle Serve di Maria Riparatrici, Rovigo, 12-15 settembre
1995



41



1996



Tertio
millennio adveniente
:
Lettera apostolica di Giovanni Paolo II



Testo
e commento teologico pastorale



42



1996



Vita
consecrata
. Una
prima lettura teologica







43



1997



Alla
ricerca del volto di Cristo: … ma voi chi dite che io sia?



Atti
della XXVII Settimana teologica diocesana, Figline Valdarno, 2-5
settembre 1997



44



1997



Gesù
Cristo verità di Dio e ricerca dell’uomo



Cristologia



45



1997



La
catechesi al traguardo. Studi sul Catechismo della Chiesa
cattolica



(coautore)



46



1997



Super
fundamentum Apostolorum



Studi
in onore di S. Em. il cardinale A.M. Javierre Ortas (coautore)



47



1998



El
Evangelio del Padre







48



1998



Gesù
Cristo morto e risorto per noi consegna lo Spirito



Meditazioni
teologiche sul mistero pasquale (coautore)



49



1998



Il
Vangelo del Padre







50



1998



Una
lettura cristologica della “Secunda
Clementis



Esistenza
di influssi paolini?



51



1999



Evangelización,
catequesis, catequistas



Una
nueva etapa para la Iglesia del tercer milenio



52



1999



La
Vergine Maria dal Rinascimento a oggi







53



1999



Missione
della Chiesa e Chiesa in missione]. Gesù Cristo, Verbo del
Padre



Ambito
II



54



1999



La
Chiesa santa, madre di figli peccatori



Approccio
ecclesiologico ed implicanze pastorali



55



2000



Dominus
Iesus
: l’unicità
e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e
della Chiesa



Dichiarazione



56



2000



Gesù
Cristo e l’unicità della mediazione



(coautore)



57



2000



Gesù
Cristo, speranza del mondo



Miscellanea
in onore di Marcello Bordoni



58



2000



La
Vierge dans la catéchèse, hier et aujourd’hui



Communications
présentées à la 55e Session de la Société
française d’études mariales, Sanctuaire
Notre-Dame-de-la-Salette, 1999 (coautore)



59



2000



Maria
e la Trinità



Spiritualità
mariana ed esistenza cristiana



60



2000



Maria
nella catechesi ieri e oggi



Un
sintetico sguardo storico



61



2001



Crescere
nella grazia e nella conoscenza di Gesù







62



2002



Dichiarazione
Dominus
Iesus
” (6
agosto 2000)



Studi
(coautore)



63



2003



Maria
Madre della speranza



Per
una inculturazione della speranza e della misericordia. [Parte
componente di monografia]



64



2005



La
Madre del Dio vivo a servizio della vita



Atti
del 12. Colloquio internazionale di mariologia, Santuario del
Colle, Lenola (Latina), 30 Maggio – 1° giugno 2002 (coautore)



65



2005



Lo
sguardo di Maria sul mondo contemporaneo



Atti
del XVII Colloquio internazionale di mariologia, Rovigo, 10-12
settembre 2004



66



2005



Maria,
sintesi di valori



Storia
culturale della mariologia (coautore)



67



2007



Sui
sentieri di Clotilde Micheli fondatrice delle Suore degli Angeli
adoratrici della SS. Trinità



Spiritualità
e promozione umana (coautore)



68



2007



San
Francesco Antonio Fasani apostolo francescano e culture
dell’Immacolata







69



2007



Il
vescovo maestro della fede



Sfide
contemporanee al magistero della verità



70



2008



Gesù,
identità del cristianesimo Conoscenza
ed esperienza







71



2008



La
Dominus Iesus
e le religioni







72



2009



Catholicism
and secularism in contemporary Europe







73



2009



Futuro
presente Contributi
sull’enciclica “Spe salvi” di Benedetto XVI



(coautore)



74



2009



La
santità dei papi e di Benedetto XIII







75



2009



Maria
di Nazaret. Discepola e testimone della parola







76



2009



Reflexiones
sobre la cristología contemporánea







77



2010



I
santi nella Chiesa







78



2010



Il
celibato di Cristo nelle trattazioni cristologiche contemporanee



Rassegna
critico-sistematico



79



2010



Il
celibato di Gesù







80



2010



Il
santo di Dio. Cristologia e santità







81



2011



Dialogo
interreligioso Significato
e valore







82



2011



I
santi si specchiano in Cristo







83



2011



Istruzione
Sanctorum
mater



Presentazione



84



2011



Le
cause dei santi



Sussidio
per lo “Studium



85



2011



Maria
la Theotokos.
Conoscenza ed esperienza







86



2012



I
santi testimoni della fede







87



2012



Santa
Ildegarda di Bingen







88



2012



Santi
e beati. Come
procede la Chiesa







89



2012



Testi
mariani del secondo millennio



(coautore)



90



2013



I
santi evangelizzano



Contributo
nel Sinodo dei Vescovi dell’ottobre 2012, che documenta
l’indispensabile natura evangelizzatrice dei Santi, che
grazie alla loro esemplare condotta cristiana, nutrita di fede,
speranza e carità, diventano così dei punti di
riferimento per la Chiesa Cattolica e per i fedeli di tutto il
mondo e tutte le culture, orientandoli verso una vita di santità.
Il volume è diviso in due parti: nella prima si trovano le
riflessioni dottrinali sul concetto di Santità e sulle
cause dei Santi, la seconda parte raccoglie invece omelie, lettere
e relazioni, tenute nell’arco del 2012, che descrivono la
vita e l’operato di Santi, Beati, Venerabili e Servi di Dio



91



2013



Il
Paradiso: di che si tratta?







92



2014



Accanto
a Giovanni Paolo II



Gli
amici e i collaboratori raccontano (coautore)



93



2014



I
santi profeti di speranza







94



2014



La
Santissima Eucaristia nella fede e nel diritto della Chiesa



(coautore)



95



2014



San
Pietro Favre







96



2014



Sant’Angela
da Foligno







97



2015



I
santi: apostoli di Cristo risorto







98



2015



Gregorio
di Narek. Dottore della Chiesa







99



2015



Beato
Oscar Romero







100



2015



Santa
Maria dell’incarnazione







101



2015



San
Joseph Vaz







102



2015



I
Santi apostoli di Cristo risorto







103



2016



I
santi: messaggeri di misericordia







104



2016



Misericordiosi
come il Padre



Esperienze
di misericordia nel vissuto di santità



105



2017



I
santi, ministri della carità



Contiene
considerazioni sulla carità e una galleria di uomini e
donne (santi, beati, venerabili e servi di Dio) esemplari per
l’esercizio eroico di questa energia divina che è la
carità



106



2017



Il
messaggio di Fatima tra carisma e profezia



Atti
del Forum Internazionale di Mariologia (Roma 7-9 maggio 2015)



107



2018



I
santi e la Madre di Dio







108



2019



Perseguitati
per la fede



Le
vittime del nazionalsocialismo in Europa centro-orientale



109



2019



Sufficit
gratia mea



Miscellanea
di studi offerti a Sua Em. il Card. Angelo Amato in occasione del
suo 80º genetliaco



110



2019



Un’inedita
Sicilia. Eventi e personaggi da riscoprire







111



2020



Il
segreto di Tiffany Grant







112



2021



Iesus
Christus heri et hodie, ipse et in saecula



Raccolta
di contributi promossa dalla Pontificia Università
Salesiana per il Card. Angelo Amato, in occasione del suo 80º
genetliaco



113



2021



Dici
l’anticu… La cultura popolare nel paese del Gattopardo.
Proverbi di Palma di Montechiaro







114



2023



Una
Sicilia ancora da scoprire. Eventi e personaggi inediti











Beato Luigi Variara: 150° della nascita

Quest’anno ricorre il 150° anniversario della nascita del Beato Luigi Variara, figura straordinaria di sacerdote e missionario salesiano. Nato il 15 gennaio 1875 a Viarigi, in provincia di Asti, Luigi crebbe in un ambiente ricco di fede, cultura e amore fraterno, che forgiò il suo carattere e lo preparò alla straordinaria missione che lo avrebbe portato a servire i più bisognosi in Colombia.
Dalla sua infanzia trascorsa nel Monferrato, in una famiglia segnata dall’influenza spirituale di Don Bosco, alla sua vocazione missionaria maturata a Valdocco, la vita del Beato Variara rappresenta un esempio luminoso di dedizione al prossimo e fedeltà a Dio. Ripercorriamo i momenti salienti della sua infanzia e formazione, offrendo uno sguardo sulla straordinaria eredità spirituale e umana che ci ha lasciato.

Da Viarigi ad Agua de Dios
            Luigi Variara nasce a Viarigi in provincia di Asti il 15 gennaio 1875, 150 anni or sono, da una famiglia profondamente cristiana. Il padre Pietro aveva ascoltato don Bosco nel 1856, quando era giunto in paese per predicare una missione. Quando nasce Luigi il papà Pietro aveva quarantadue anni ed era sposato in seconde nozze con Livia Bussa. Pietro aveva conseguito il diploma di maestro, amava la musica e il canto ed animava le funzioni parrocchiali come organista e come direttore del coro da lui stesso fondato. Era una presenza molto stimata e apprezzata nel paese di Viarigi. Quando Luigi nacque si era nel corso di un rigido inverno e per le circostanze della nascita, la levatrice giudicò prudente battezzare il neonato. Due giorni dopo vennero completati i riti battesimali.
            La fanciullezza di Luigi è contrassegnata dalle tradizioni locali e dalla vita di casa, un insieme culturale e spirituale che contribuì a modellare il carattere e a trasmettere validi contenuti alla crescita del ragazzetto e segnarne la futura vocazione missionaria in Colombia.
            Significativo è il rapporto di Luigi con papà Pietro, suo formatore e maestro, che gli trasmise il senso cristiano della vita, i primi rudimenti della scuola e l’amore per la musica e il canto: aspetti che, come sappiamo, segneranno la vita e la missione di Luigi Variara. Il fratello minore Celso così ricorda: “Pur non rivelando alcunché di eccezionale, Luigi era tutto bontà e amore nelle manifestazioni della sua vita, sia con i genitori, e in particolare con la mamma; sia con noi… Non ricordo che mio fratello abbia mai usato modi meno cortesi e meno fraterni con noi, fratelli più piccoli. Fedele e devoto frequentatore della chiesa e delle funzioni, passava il resto del tempo non già a divertirsi per strada, ma in casa, leggendo e studiando i suoi libri di scuola e tenendo compagnia alla mamma”.
            È bello ricordare anche il rapporto del piccolo Luigi con la sorella maggiore Giovanna, figlia del primo matrimonio e madrina al suo battesimo. Anche se si sposò giovane, Giovanna mantenne sempre un legame speciale con il piccolo Luigi contribuendo a rafforzare i lineamenti della sua personalità, la sua inclinazione alla pietà e allo studio. Dei figli di Giovanna uno, Ulisse, diventerà sacerdote, ed Ernestina, Figlia di Maria Ausiliatrice. Inoltre, Giovanna, che morirà novantenne nel 1947, mantenne i legami epistolari tra Luigi e la mamma Livia durante la vita missionaria del fratello.
            Un altro aspetto che influenzerà la crescita del piccolo Luigi è che la casa dei Variara era quasi sempre piena di fanciulli. Papà Pietro, al termine delle lezioni, portava con sé gli scolari più bisognosi e dopo aver fatto un po’ di ripetizione li affidava alle cure di mamma Livia. E così facevano le altre famiglie. Racconta una testimone: “La signora Livia era la mamma di tutto il vicinato; il suo cortile era sempre pieno di ragazzi e ragazze; essa ci insegnava a cucire, giocava con noi, si mostrava sempre di buon umore”. Luigi crebbe in questo clima “oratoriano”, dove ci si sentiva a casa, ci si sentiva amati e la presenza paterna di papà Pietro e quella materna di mamma Livia erano risorse educative e affettive di prima qualità non solo per i loro figli, ma per tanti altri bambini e ragazzi, soprattutto i più poveri e disagiati.
            In questi anni Luigi conosce e si dedica ad un compagno handicappato, Andrea Ferrari, prendendosi cura di lui e facendolo sentire a suo agio. In ciò si può scorgere un seme di quella sollecitudine e vicinanza che poi segnerà la vita e la missione di Luigi Variara a servizio dei malati di lebbra ad Agua de Dios in Colombia.
            Davvero Luigi Vararia da bambino e da fanciullo sperimentò, con i suoi fratelli e con i ragazzi del vicinato, l’amore sincero dei propri genitori e attraverso il loro esempio conobbe il vero volto di Dio Padre, sorgente dell’amore autentico.

Passando da Valdocco
           
Don Bosco era molto conosciuto nel Monferrato: lo aveva percorso in tutte le direzioni con le ben note passeggiate autunnali insieme ai suoi ragazzi che con i loro schiamazzi e l’allegria rumorosa e contagiosa portavano festa ovunque arrivavano. I ragazzi del posto si univano felici alla truppa allegra e chiassosa e in seguito non pochi se ne partivano per ritrovarsi con quel prete, affascinanti per farsi educare da lui nell’oratorio di Torino.
            A Viarigi era rimasto un ricordo molto sentito la visita di don Bosco avvenuta nel febbraio 1856. Don Bosco aveva accettato l’invito del parroco, don Giovanni Battista Melino, a predicare una missione, dato che il paese era profondamente turbato e diviso per gli scandali di un ex sacerdote, un certo Grignaschi, che radunava attorno a sé una vera e propria setta e riscuoteva grande popolarità. Don Bosco riuscì a guadagnare un uditorio molto numeroso e invitò la popolazione alla conversione; fu così che Viarigi ritrovò il suo equilibrio religioso e la pace spirituale. Il legame spirituale che si era creato tra questo paese astigiano e il Santo dei giovani si prolungò nel tempo e proprio il piccolo Luigi alla prima comunione fu preparato dal parroco don Giovanni Battista Melino, lo stesso che aveva invitato don Bosco a predicare la missione popolare.
            Nella famiglia Variara, secondo i desideri di papà Pietro, Luigi doveva orientarsi al sacerdozio, ma lui al termine delle elementari non aveva desideri o particolari inquietudini vocazionali. In ogni caso avrebbe dovuto continuare gli studi e a questo punto entra in gioco Don Bosco: il ricordo da lui lasciato a Viarigi, la sua fama di uomo di Dio, l’amicizia con il parroco, i sogni di papà Pietro, la fama dell’oratorio di Torino fecero sì che Luigi il 1° ottobre 1887 entrasse a Valdocco iscritto alla prima classe ginnasiale, con il desiderio del papà che voleva il figlio avviato al sacerdozio. Tuttavia, il giovane Luigi in tutta semplicità ma con fermezza non aveva esitato dichiarare che non sentiva vocazione, ma il papà ribatte: “Se non ce l’hai, Maria Ausiliatrice te la darà. Sii buono e studia!”. Don Bosco morirà quattro mesi dopo l’arrivo del giovane Variara all’oratorio di Valdocco, ma l’incontro che Luigi ne fece fu sufficiente a segnarlo per tutta la vita. Egli stesso così ricorda l’evento: «Eravamo nella stagione invernale e un pomeriggio stavamo giocando nell’ampio cortile dell’oratorio, quando all’improvviso s’intese gridare da una parte all’altra: “Don Bosco, Don Bosco!”. Istintivamente ci slanciammo tutti verso il punto dove appariva il nostro buon Padre, che facevano uscire per una passeggiata nella sua carrozza. Lo seguimmo fino al posto dove doveva salire sul veicolo; subito si vide Don Bosco circondato dall’amata turba infantile. Io cercavo affannosamente il modo per mettermi in un posto da dove potessi vederlo a mio piacere, poiché desideravo ardentemente di conoscerlo. Mi avvicinai più che potei e, nel momento in cui lo aiutavano a salire sulla carrozza, mi rivolse un dolce sguardo, e i suoi occhi si posarono attentamente su di me. Non so ciò che provai in quel momento… fu qualcosa che non so esprimere! Quel giorno fu uno dei più felici per me; ero sicuro d’aver conosciuto un Santo, e che quel Santo aveva letto nella mia anima qualcosa che solo Dio e lui potevano sapere».