John Lee Tae Seok (1962-2010), un salesiano di cui si parlerà ancora

John Lee Tae Seok, noto anche come “Fr. Jolly” (don Allegro), è stato un salesiano coreano che ha dedicato la sua vita alla cura dei più poveri e sofferenti, specialmente in Sud Sudan. Nonostante la sua vita sia stata purtroppo breve, ha lasciato un segno indelebile nel cuore delle persone che ha incontrato, grazie al suo impegno come medico, educatore e uomo di fede. La sua eredità continua a ispirare migliaia di persone in tutto il mondo.

Infanzia e radici della vocazione
Yohan Lee Tae Seok (John Lee) nacque il 19 settembre 1962 a Busan, città meridionale della Corea del Sud. Era il nono di dieci figli, quattro maschi e sei femmine, in una famiglia profondamente cattolica (un fratello, Tae-Young Lee, divenne frate francescano e una sorella, Cristina, consacrata nel Movimento dei Focolari).
Già da giovane mostrava segni di straordinaria leadership e un’inclinazione verso il servizio agli altri. Partecipava quotidianamente alla Messa ed era dotato per la musica. All’età di dieci anni perse il padre, e sua madre divenne il suo punto di riferimento, sostenendolo nel suo cammino di fede e negli studi.
Nonostante il desiderio di diventare sacerdote già all’età di quindici anni, la madre lo convinse a proseguire gli studi di medicina.
Nel 1987, dopo essersi laureato a pieni voti alla Inje University Medical School, John iniziò a lavorare come medico militare durante il servizio di leva obbligatorio. Fu in quel periodo che incontrò i Salesiani attraverso un cappellano militare, un incontro che avrebbe cambiato la sua vita per sempre. Deciso a seguire la vocazione salesiana, John provò per mesi a comunicare la sua decisione alla madre, senza riuscirci.
Egli stesso racconta:

«È stata direttamente Maria Ausiliatrice a prendere in mano la situazione. Mi ero deciso ad incamminarmi nella vita salesiana con grande gioia, ma avevo l’angoscia di comunicare la mia decisione alla mia mamma. Siccome mio papà era mancato quando avevo dieci anni, la mamma aveva dovuto faticare molto per farmi studiare medicina. E grazie ai suoi molti sacrifici ero potuto diventare medico. Avrei dovuto cominciare ad aiutare la mamma per ricompensarla dei sacrifici che aveva fatto senza rinfacciarmi mai niente. Per questo mi era tanto difficile comunicarle la mia decisione. Per me era quasi impossibile dirglielo.
Avevo tentato tante volte, ma non ci ero mai riuscito perché guardandola, mi veniva meno il coraggio. Tentai pure di dirlo ad una delle mie sorelle con la quale parlavo di tutto senza problemi e alla quale confidavo tutto. Ma non ci riuscivo proprio. Così sono passati mesi senza che riuscissi a dire qualcosa.
Ma venne un giorno bellissimo. Andai da mia sorella per un altro tentativo, ma rimasi a bocca aperta: mia sorella sapeva già tutto della mia decisione. Un sogno nella notte precedente le aveva spiegato tutto. Mi piacerebbe dirvi il contenuto del sogno, però non posso senza il permesso del Vescovo. Comunque mia sorella raccontò il suo sogno alla mamma e tutte le mie difficoltà si sciolsero in un attimo.
Non avevo pensato ad un diretto aiuto di Maria Ausiliatrice fino a quando non ho sentito, per la prima volta, dal maestro dei novizi che tutte le vocazioni di tutti i salesiani sono collegate a Maria Ausiliatrice.
Non avevo chiesto l’aiuto a Maria. Maria si era accorta della mia difficoltà e mi aveva aiutato in modo silenzioso e discreto. Questa è stata la prima esperienza di Maria che ho potuto avere. Per me, questa esperienza è stata preziosissima perché così ho potuto capire la realtà di “Maria aiuto dei cristiani” e imparare l’atteggiamento che dobbiamo avere quando aiutiamo gli altri: cioè stare attenti al bisogno degli altri ed essere pronti a dare loro l’aiuto necessario. D’allora in poi potevo parlare ai ragazzi con certezza della presenza di Maria Ausiliatrice
».

La vocazione salesiana e il servizio ai poveri
Inizia il noviziato il 24 gennaio 1993 e fa la sua prima professione il 30 gennaio 1994.
Dopo aver completato il suo corso di filosofia di due anni alla Gwangju Catholic University, svolge il tirocinio presso la Casa Salesiana a Dae Rim Dong, Seoul. Lì assisteva un’ottantina di ragazzi a rischio, con tanta creatività in classe e nel cortile. Teneva questa classe di ragazzi difficili, che imparavano — a 18 anni d’età — a scrivere l’alfabeto coreano. Con le sue doti musicali faceva cantare a questi ragazzi ogni domenica sera un Tantum Ergo in latino, a ritmo pop composto proprio da lui.

Continua i suoi studi teologici.
Inviato a Roma a studiare alla Pontificia Università Salesiana nel 1997, incontra un missionario, frate Comino, che per vent’anni aveva prestato il suo servizio in Corea del Sud e poi era stato inviato in Sudan nel 1991, e in quel momento si trovava in vacanza. Raccontando la sua esperienza missionaria, rafforza il desiderio di John Lee di diventare missionario.
La visione del film “Molokai”, un film biografico su padre Damian, un missionario belga che lavorava al Kalaupapa Leprosy Settlement sull’isola hawaiana di Molokai, lo spinse ancora di più a impegnarsi a vivere come padre Damian.
Durante le vacanze del 1999 fa un’esperienza missionaria in Kenya e incontra don James Pulickal, un salesiano di origine indiana attivo a Tonj, nel Sudan del Sud. Visita Tonj, quando ancora c’era la guerra, rimane fortemente colpito e decide di dedicare la sua vita ai bambini poveri di Tonj. Questo piccolo villaggio del Sud Sudan, distrutto dalla guerra civile, dove incontrò lebbrosi e poveri, cambia la sua vita per sempre.
Dopo essere stato ordinato sacerdote nel 2001, John Lee tornò a Tonj, determinato a servire la popolazione locale come medico, sacerdote e salesiano, e a trattare i malati come fossero Gesù. Si inserì nella comunità salesiana di Tonj, composta da confratelli di diverse nazionalità, con l’obiettivo di ricostruire — dopo la guerra — la comunità cristiana, l’oratorio, le scuole e le stazioni missionarie nei villaggi circostanti.

La missione in Sud Sudan: Tonj, un piccolo miracolo
Le condizioni dopo la guerra erano pessime. Questo spinse don John Lee Tae Seok a lavorare per migliorare la vita degli abitanti del villaggio. Prima di tutto, aprì una piccola clinica, che in breve tempo divenne l’unico centro medico disponibile in una vasta area. Curava ogni tipo di malattia, spesso con mezzi limitati, ma con un’immensa dedizione. Oltre a fornire cure mediche immediate, si impegnò a lungo termine per educare la popolazione locale riguardo alla prevenzione delle malattie e all’igiene, argomenti di cui la gente del posto era largamente inconsapevole a causa della mancanza di istruzione.

Oltre al suo lavoro come medico, Lee Tae Seok era un instancabile educatore. Fondò una scuola per i bambini del villaggio, in cui insegnava non solo materie scolastiche, ma anche valori di convivenza pacifica e rispetto reciproco, essenziali in un contesto post-bellico come quello del Sud Sudan. Grazie alla sua passione per la musica, insegnò anche ai bambini a suonare strumenti musicali, creando una banda musicale che divenne famosa nella regione. La banda non solo offriva ai giovani un modo per esprimersi, ma contribuiva anche a costruire un senso di comunità e di speranza per il futuro.

Un medico con un cuore di sacerdote
Il lavoro di John Lee Tae Seok non si limitava alla medicina e all’istruzione. Essendo sacerdote, il suo obiettivo principale era quello di portare speranza spirituale a una popolazione che aveva vissuto anni di sofferenze. Celebrava la Messa regolarmente, amministrava i sacramenti e offriva conforto spirituale a coloro che avevano perso tutto a causa della guerra. La sua fede profonda era evidente in ogni aspetto del suo lavoro, e la sua presenza portava un senso di pace e speranza anche nei momenti più difficili.

Uno degli aspetti più ammirevoli della sua missione era la sua capacità di vedere la dignità in ogni persona, indipendentemente dalla loro condizione sociale o dal loro stato di salute. Trattava i malati con immenso rispetto e dedicava il suo tempo a chiunque avesse bisogno di aiuto, anche quando era stremato dalle lunghe ore di lavoro nella clinica o dalla mancanza di risorse. Questa profonda compassione non passò inosservata: la gente del villaggio lo considerava non solo come un medico e un prete, ma come un vero e proprio amico e fratello.

La lotta contro la malattia e la sua eredità
Nonostante l’instancabile lavoro e l’amore che donava agli altri, John Lee Tae Seok stesso era afflitto da una grave malattia. Durante il suo soggiorno in Sud Sudan, iniziò a mostrare segni di una malattia avanzata, che in seguito si rivelò essere un tumore al colon. Quando la malattia fu diagnosticata, era già in uno stadio avanzato, ma Lee Tae Seok continuò il suo lavoro il più a lungo possibile, rifiutando di abbandonare le persone che dipendevano da lui.

Il 14 gennaio 2010, a soli 47 anni, John Lee Tae Seok morì a Seul, Corea del Sud, dopo tredici mesi di battaglia contro il cancro. La notizia della sua morte lasciò un profondo vuoto nella comunità di Tonj e tra tutti coloro che lo avevano conosciuto. Il suo funerale fu un evento commovente, con migliaia di persone che parteciparono per onorare un uomo che aveva dedicato la sua vita al servizio degli altri.

Nonostante la sua morte prematura, l’eredità di John Lee Tae Seok continua a vivere. Le sue ultime parole furono un invito a portare avanti i suoi sogni per Tonj: «Non sarò in grado di realizzare i miei sogni per Tonj, ma vi prego di portarli avanti». La clinica che ha fondato a Tonj continua la sua attività, e molte delle persone che ha formato, sia in campo medico che educativo, stanno continuando il suo lavoro. La banda musicale da lui creata continua a suonare e a portare gioia nella vita delle persone.

Testimonianze
Racconta don Václav KLEMENT, salesiano, che è stato suo superiore (missionario in Corea del Sud negli anni 1986-2002):

«Durante gli ultimi 22 anni, da quando l’obbedienza mi ha portato in tanti paesi dell’Asia Est-Oceania e in tutto il mondo salesiano, ho visto tanti piccoli “miracoli” che ha fatto don John Lee attraverso il film (“Don’t Cry for Me, Sudan” e altri), i suoi scritti (“The Rays of the Sun in Africa are still sad” e “Will you be my Friend?”) oppure le varie pubblicazioni che raccontano la sua vita.
Un giovane studente delle superiori in Giappone ha fatto il passo verso il catecumenato dopo aver visto il film “Don’t Cry for Me, Sudan”, un catecumeno tailandese – nel cammino verso il battesimo – è stato “confermato” nella sua fede grazie alla testimonianza della vita gioiosamente sacrificata di don John Lee. Un giovane salesiano vietnamita, che godeva tutta la felicità nella sua “zona di conforto”, è stato svegliato e motivato per la vita missionaria proprio dal film “Don’t Cry for Me, Sudan”. Sì, ci sono tanti cristiani e non, che sono stati svegliati, confermati nella fede o ispirati per un cammino vocazionale grazie a don John Lee.
I Salesiani dell’Ispettoria di Corea hanno avviato una nuova presenza salesiana a Busan, città natale di don John Lee. In 2020 hanno aperto una nuova comunità con sede nella “Fr. John Lee Memorial Hall” a Busan, proprio nel quartiere dove John è nato nel 1962. L’edificio di quattro piani costruito dal governo locale di Busan – Seogu è affidato ai Salesiani di Don Bosco. Cosi la storia di don John Lee viene raccontata dai suoi confratelli salesiani immersi nella vita del quartiere che accolgono tanti giovani e fedeli per avvicinarli alla radiante testimonianza di vita missionaria.»

L’impatto internazionale e l’eredità spirituale
La spiritualità di don John Lee era profondamente legata a Maria Ausiliatrice. Interpretò molti eventi della sua vita come segni della presenza materna di Maria. Questa devozione influenzò anche il suo approccio al servizio: aiutare gli altri in modo silenzioso e discreto, essere attenti ai bisogni altrui e pronti a offrire sostegno.
Don John Lee Tae Seok incarnò pienamente lo spirito salesiano, dedicando la sua vita ai giovani e ai poveri, seguendo l’esempio di don Bosco. La sua capacità di unire medicina, educazione e spiritualità fece di lui una figura unica, capace di lasciare un’impronta duratura in una terra segnata dalla sofferenza.
La sua attività continua nella “Fondazione John Lee”, che prosegue a sostenere le opere salesiane in Sudan.

Il suo ricordo è stato immortalato in numerosi premi internazionali e documentari.
Nel 2011, dopo la sua morte, il Ministero della Pubblica Amministrazione e della Sicurezza della Corea del Sud — su raccomandazione del pubblico — gli ha conferito un premio, insieme ad altre persone che hanno contribuito alla società attraverso il volontariato, le donazioni e le buone azioni contro ogni previsione. Il premio è il più alto, quello dell’Ordine Mugunghwa.
Il 9 settembre 2010 la televisione coreana KBS realizzò un film sulla sua opera a Tonj, intitolato “Don’t Cry For Me Sudan”. Il documentario toccò il cuore di centinaia di migliaia di persone e contribuì a far conoscere la figura di don John Lee e la sua missione in tutto il mondo.
Nel 2018 il ministro dell’Istruzione del Sudan del Sud, Deng Deng Hoc Yai, ha introdotto lo studio della vita di don John Lee nei libri di testo di studi sociali per le scuole elementari e in due pagine del libro di testo di cittadinanza per le scuole medie. È la prima volta che i libri di testo del Sudan del Sud includono la storia di uno straniero per il suo servizio di volontariato nel paese.
Il successo del film documentario “Don’t Cry for Me, Sudan” ha indotto i produttori a proseguire. Il 9 settembre 2020 il regista Soo-Hwan Goo ha lanciato un nuovo documentario intitolato “Resurrection” che segue la storia degli studenti di Lee un decennio dopo la sua morte e ne presenta circa settanta di loro, sia nella Repubblica del Sudan del Sud che in Etiopia.

John Lee Tae Seok è stato un esempio vivente di amore cristiano e solidarietà. La sua vita ci insegna che anche nelle circostanze più difficili, con fede e dedizione, possiamo fare la differenza nel mondo. I sogni di John per Tonj continuano a vivere grazie a coloro che, ispirati dalla sua figura, lavorano per costruire un futuro migliore per i più poveri e i più bisognosi.

Un salesiano di cui si parlerà ancora.




In memoriam. Don Sergio DALL’ANTONIA, sdb

Don Sergio Dall’Antonia, missionario salesiano e fondatore della presenza salesiana in Romania, ha finito il suo pellegrinaggio terreno a Bacau, Romania, il 21.02.2023, a 83 anni.

Sergio Dall’Antonia era nato a Pieve di Soligo (Treviso, Italia), l’11 aprile 1939. I suoi genitori furono Sonia e Angelo Lombardi. La famiglia comprendeva un fratello maggiore, Francesco, e una sorellina, Mariella, che morirà a un anno di età. Fu battezzato il 14 di aprile, ricevendo i nomi Sergio e Livio. All’età di sette anni rimarrà orfano di madre.

Frequenta le scuole elementari in paese e le scuole medie nell’istituto salesiano Astori, di Mogliano Veneto, dove si era trasferita la famiglia. Grazie al contatto con i salesiani capisce la chiamata divina e al termine della quinta ginnasiale chiede di essere salesiano. Finirà il noviziato il 15 agosto 1954 sotto la guida del maestro don Vigilio Uguccioni, ad Albarè di Costermano, diventando salesiano a pieno titolo.

Dopo gli studi liceali e filosofici a Nave (1955-1958) e a Foglizzo (1958-1959) rientra in ispettoria per il tirocinio pratico, svolto a Tolmezzo (1959-1961) e poi a Pordenone (1961-1962), facendo la professione perpetua nel 13 di agosto del 1961.

Dopo gli studi teologici a Monteortone (1962-1966), conclusi con l’ordinazione presbiterale (02.04.1966) nel Santuario Mariano di Monteortone, i superiori lo segnalano come possibile futuro docente nello studentato, e per questo viene inviato a Roma, presso l’Università Pontificia Salesiana, per studiare la morale (1966-1970). Per problemi di salute, dopo gli studi di morale, torna alla casa di Pordenone (1970-1973) come catechista e insegnante. Comincia così a manifestare doti da buon organizzatore, artistiche, di animazione, che lo renderanno celebre.

La casa salesiana di San Luigi di Gorizia lo avrà per una quindicina d’anni (1973-1986): qui diventerà l’anima dell’Associazione Turismo Giovanile Salesiano Isontino. Organizza feste per i ragazzi e genitori, mostre d’arte, ma soprattutto si fa promotore delle celebri “Marcia dell’Amicizia”, in primavera, e “Pedalando in amicizia”, in autunno. Rimarranno nella memoria locale come le uniche manifestazioni che negli anni della Cortina di ferro permettevano di attraversare il confine con la Jugoslavia esibendo unicamente il tagliando dell’iscrizione alla manifestazione. Questi eventi si concludevano con un piatto caldo di pastasciutta offerto a tutti i partecipanti, italiani e jugoslavi, dalle cucine da campo dell’Esercito, ospitate nei cortili del San Luigi.

Per un altro decennio torna a Pordenone (1986-1996), lavorando sempre nel campo della scuola, fino quando il Signore – attraverso i superiori – gli chiede di andare in Romania per aprire una presenza salesiana. Non è stato facile a 57 anni trasferirsi in un paese sconosciuto, ex-comunista, di maggioranza ortodossa e imparare una lingua che non gli servirà ad altro che comunicare l’amore di Dio ai giovani. Però, grazie alla sua disponibilità (che lo caratterizzò tutta la vita) parte e diventa così fondatore di due case salesiane: prima a Constanța (1996-2001) e poi a Bacău, dove rimarrà fino alla fine del suo pellegrinaggio terreno.

I ricordi di quelli che lo hanno conosciuto lo descrivono come una persona che parlava poco ma faceva tanto, essendo grande e instancabile lavoratore. Sempre in mezzo ai ragazzi, li intratteneva con intelligente fantasia e creatività. Nell’annuncio del messaggio cristiano era entrato con animo giovanile anche nel mondo di Internet animando ben quattro blog, tirando fuori dal suo repertorio per i giovani “cose vecchie e cose nuove”.

Uomo di fedelissima orazione, pregava la Liturgia delle Ore interamente davanti al tabernacolo e amava meditare il rosario con i confratelli disponibili ogni sera, dopo la cena. Era gran devoto non solo della Santissima Eucaristia, ma anche della Madonna. Dava prova della sua fede nelle visite ai vicini santuari mariani e non mancava alle feste della Santissima Vergine. Era fedele nella sua confessione quindicinale e disponibile come confessore, apprezzato dai confratelli, dai religiosi della zona e dai fedeli.
Lascia il ricordo come di un patriarca, come il “don Bosco della Romania”.

La sua salda fede rimane riflessa anche nel suo testamento spirituale, che riportiamo in calce.

Gesù mio, perdonami! Che io ti ami per sempre!
In caso di morte, consento di prelevare dal mio corpo alcuni organi utili per la vita di altra persona, consenziente il mio Superiore diretto della casa salesiana a cui appartengo. Li cedo volentieri come umile segno della Carità di Cristo che si è fatto tutto a tutti per ricondurre tutti al Padre.
Chiedo perdono ai miei cari, ai confratelli e ai giovani del male fatto, dei cattivi esempi dati e del bene non fatto o trascurato. La Chiesa mi accolga nel suo perdono e nella sua preghiera di suffragio. Se qualcuno ritenesse di avermi in qualche modo offeso sappia che lo perdono di cuore e per sempre.
Gesù e Maria siano i miei dolci amici per sempre. Essi mi accompagnino per mano al Padre nello Spirito Santo, ottenendomi misericordia e perdono. Dal Cielo, ove spero di giungere per l’Infinita Misericordia di Dio, vi amerò per sempre, pregherò per voi e chiederò ogni benedizione per voi dal Cielo.
don Sergio Dall’Antonia

L’eterno riposo dona a lui, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua. Riposi in pace!

Riportiamo sottostante ultimo suo video pubblicato.






In memoriam. Don Davide FACCHINELLO, sdb

Una vita spesa per gli altri. Don Davide FACCHINELLO, sdb

            Nato nella millenaria città di Treviso il 21 maggio 1974, è stato battezzato nella chiesa parrocchiale di Loria (Treviso) dove risiedeva la sua famiglia. Frequenta la scuola dell’obbligo nei suoi luoghi natali e continua da interno il biennio della scuola grafica dell’Istituto San Giorgio di Venezia dove conosce i salesiani. Inizia un’esperienza nella Comunità Proposta salesiana di Mogliano Veneto, continuando gli studi grafici a Noventa Padovana da dove riceve i suoi titoli di studio. Questa esperienza lo porta a conoscere le attività dell’oratorio parrocchiale di Mogliano, l’animazione estiva, i gruppi formativi, che diventeranno catalizzatori per la sua risposta ad una chiamata divina, entrando in noviziato nel 1993. La sua prima destinazione pastorale fu nella casa di Mogliano Veneto Astori con l’incarico di catechista della scuola media, dove fino al 2011. Di seguito riceve una nuova destinazione nella casa di Este con i compiti di vicario in comunità e di animatore pastorale tra gli allievi del Centro di Formazione Professionale. Nel suo cuore nasce il desiderio di svolgere un’esperienza pastorale in terra di missione e si mette alla disposizione delle necessità della Congregazione Salesiana a questo scopo. Come i superiori gli indicano come destinazione il Perù, subito comincia a studiare la lingua spagnola, lingua che continua ad approfondire nella realtà della missione, nello stesso tempo che si inserisce nella cultura locale.

            Dal suo arrivo a Perù nel 2017, dopo un periodo di accomodamento, è stato inviato alla comunità missionaria di Monte Salvado, nella regione di Cusco. Lì ha iniziato come vicario parrocchiale della Parrocchia Maria Ausiliatrice di Quebrada Honda, nella Valle di Yanatile, nella selva alta, dove i salesiani accompagniamo le missioni andine. Dopo quasi due anni è stato nominato parroco della stessa il 12 aprile 2019.

            Appena arrivato, si è dedicato a conoscere le persone e mettersi al loro servizio pastorale, essendo fedele alle indicazioni dell’Arcidiocesi di Cusco e in collaborazione don la comunità locale. Essendo una parrocchia missionaria, ha voluto e ha visitato periodicamente tutte le settantatré comunità, si è recato nei villaggi più remoti e ha raggiunto le case più umili e lontane di una vasta regione. Desideroso di avvicinarsi ancora di più alle anime che serviva, si era messo a imparare la lingua quechua.

            Ha avviato progetti di assistenza e promozione, come la mensa parrocchiale e un programma completo di assistenza psicologica, e, da buon salesiano, ha dato impulso a molti oratori nei vari villaggi. Ha sviluppato intensamente il rinnovamento della catechesi sulla linea dell’Iniziazione alla Vita Cristiana, in profonda sintonia con il Progetto Educativo-Pastorale dell’Ispettoria. Il suo impegno nella Chiesa locale era così grande che fu nominato dall’Arcivescovo di Cuzco decano della regione. Tra le testimonianze del popolo, spicca la particolare cura che egli ebbe per alcune persone (i più poveri tra i poveri) che David accompagnò e promosse in modo speciale e molto discreto.

            Le testimonianze ricevute, confermano che era gentile e attento ai fratelli della comunità, un religioso esemplare e un apostolo laborioso e impegnato. Fin dal primo momento ha conquistato il cuore di tutti con la sua gentilezza e la sua serena allegria; ha saputo conquistare la stima e la fiducia delle persone: compagni, collaboratori, parrocchiani e giovani, grazie al suo ottimismo, buon senso, prudenza e disponibilità.

            Oltre a tutto questo lavoro apostolico, Davide era un fratello molto amato: amava stare nella comunità salesiana, i fratelli apprezzavano il suo buon umore e la sua capacità di creare legami stretti.

            I giovani di Monte Salvado (la scuola per i giovani della giungla che frequentano la comunità missionaria salesiana) gli volevano molto bene, apprezzavano il fatto che fosse felice di passare del tempo con loro durante la pausa e rimanevano colpiti dal suo entusiasmo quando insegnava la catechesi: era un vero sacramento della presenza.

            Il suo percorso terreno finisce là: dopo aver condiviso con la comunità parrocchiale la festa della Madre Ausiliatrice nel 24 maggio 2022, nel viaggio di ritorno, parte per il cielo da un incidente stradale successo intorno alla mezzanotte. L’ultima sua celebrazione alla Madonna lo accompagni nel Paradiso.

            Due tratti fondamentali che Don Bosco avevo visto in San Francesco di Sales – carità apostolica e amorevolezza – sono quelli cha ha incarnato di più. È quasi un riflesso di quello che diceva un suo compaesano, don Antonio Cojazzi: “Faccia allegra, cuore in mano, ecco fatto il salesiano”.

            Speriamo che dal Cielo, ci ottenga molte e sante vocazioni per accompagnare i giovani nel loro cammino terreno. Intanto, preghiamo per lui.

            L’eterno riposo dona a lui, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua. Riposi in pace.


Video commemorativo