Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette

Don Bosco propone una dettagliata narrazione dell’“Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette”, avvenuta il 19 settembre 1846, sulla base di documenti ufficiali e delle testimonianze dei veggenti. Ricostruisce il contesto storico e geografico – due giovani pastorelli, Massimino e Melania, nell’asma delle Alpi – l’incontro prodigioso con la Vergine, il suo messaggio di ammonimento contro il peccato e la promessa di grazie e provvidenze, nonché i segni soprannaturali che ne accompagnarono le dimostrazioni. Presenta le vicende della diffusione del culto, l’influsso spirituale sugli abitanti e sul mondo intero, e il segreto rivelato solo a Pio IX per rinvigorire la fede dei cristiani e a testimoniare la perenne presenza dei prodigi nella Chiesa.

Protesta dell’Autore
Per ubbidire ai decreti di Urbano VIII mi protesto, che a quanto si dirà nel libro di miracoli, rivelazioni, o di altri fatti, non intendo di attribuire altra autorità, che umana; e dando ad alcuno titolo di Santo o Beato, non intendo darlo se non secondo l’opinione; eccettuate quelle cose e persone, che sono state già approvate dalla S. Sede Apostolica.

Al lettore
            Un fatto certo e meraviglioso, attestato da migliaia di persone, e che tutti possono anche oggidì verificare, è l’apparizione della beata Vergine, avvenuta il 19 settembre 1846 (Su questo fatto straordinario si possono consultare molte operette e parecchi giornali stampati contemporaneamente al fatto e segnatamente: Notizia sull’apparizione di Maria SS. Torino, 1847; Santo officiale dell’apparizione, ecc., 1848; Il libretto stampato per cura del sac. Giuseppe Gonfalonieri, Novara, presso Enrico Grotti)
Questa nostra pietosa Madre è apparsa in forma e figura di gran Signora a due pastorelli, cioè ad un fanciullo di 11 anni, e ad una villanella di 15 anni, là sopra una montagna della catena delle Alpi situata nella parrocchia di La Salette in Francia. Ed essa comparve non pel bene soltanto della Francia, come dice il Vescovo di Grenoble, ma pel bene di tutto il mondo; e ciò per avvertirci della gran collera del suo Divin Figlio, accesa specialmente pei tre peccati: la bestemmia, la profanazione delle feste e il mangiar grasso nei giorni proibiti.
A questo tengono dietro altri fatti prodigiosi raccolti eziandio da pubblici documenti, oppure attestati da persone la cui fede esclude ogni dubbio intorno a quanto riferiscono.
Questi fatti valgano a confermare i buoni nella religione, a confutare quelli che forse per ignoranza vorrebbero porre un limite alla potenza e alla misericordia del Signore dicendo: Non è più il tempo dei miracoli.
Gesù disse che nella sua Chiesa si sarebbero operati miracoli maggiori che Egli non operò: e non fissò né tempo né numero, perciò finché vi sarà la Chiesa, noi vedremo sempre la mano del Signore che farà manifesta la sua potenza con prodigiosi avvenimenti, perché ieri ed oggi e sempre G. C. sarà quello che governa e assiste la sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli.
Ma questi segni sensibili della Onnipotenza Divina sono sempre presagio di gravi avvenimenti che manifestano la misericordia e la bontà del Signore, oppure la sua giustizia e il suo sdegno, ma in modo che se ne tragga la sua maggior gloria e il maggior vantaggio delle anime.
Facciamo che per noi siano sorgente di grazie e di benedizioni; servano di eccitamento alla fede viva, fede operosa, fede che ci muova a fare il bene e a fuggire il male per renderci degni della sua infinita misericordia nel tempo e nella eternità.

Apparizione della B. Vergine sulle montagne della Salette
            Massimino, figlio di Pietro Giraud, falegname del borgo di Corps, era un fanciullo di 11 anni: Francesca Melania figlia di poveri parenti, nativa di Corps era una giovinetta di anni 15. Niente avevano di singolare: Ambedue ignoranti e rozzi, ambedue addetti a guardare il bestiame su pei monti. Massimino non sapeva altro che il Pater e l’Ave; Melania ne sapeva poco più, tanto che per la sua ignoranza non era ancora stata ammessa alla s. Comunione.
Mandati dai loro genitori a guidare il bestiame nei pascoli, non fu se non per puro accidente che il giorno 18 settembre, vigilia del grande avvenimento, s’incontrarono sul monte, mentre abbeveravano le loro vacche ad una fontana.
La sera di quel giorno, nel far ritorno a casa col bestiame, Melania disse a Massimino: «Domani chi sarà il primo a trovarsi sulla Montagna?» E all’indomani, 19 settembre, che era un sabato vi salivano insieme, conducendo ciascuno quattro vacche ed una capra. La giornata era bella e serena il sole brillante. Verso il mezzogiorno udendo suonare la campana dell’Angelus, fanno breve preghiera col segno della s. Croce; di poi prendono le loro provvisioni di bocca e vanno a mangiare presso una piccola sorgente, che era a sinistra d’un ruscelletto. Finito di mangiare, passano il ruscello, depongono i loro sacchi presso una fontana asciutta, discendono ancora qualche passo, e contro il solito si addormentano a qualche distanza l’uno dall’altro.
Ora ascoltiamo il racconto dagli stessi pastorelli tal quale essi lo fecero la sera del 19 ai loro padroni e di poi le mille volte a migliaia di persone.
Noi ci eravamo addormentati… racconta Melania, io mi sono svegliata la prima; e, non vedendo le mie vacche, svegliai Massimino dicendogli: Su andiamo a cercare le nostre vacche. Abbiamo passato il ruscello, siamo saliti un po’ in su, e le vedemmo dalla parte opposta coricate. Esse non erano lontane. Allora tornai giù a basso; e a cinque o sei passi prima di arrivare al ruscello, vidi un chiarore come il Sole, ma ancor più brillante, non però del medesimo colore, e dissi a Massimino: Vieni, vieni presto a veder là abbasso un chiarore (Erano tra le due e le tre ore dopo mezzogiorno).
Massimino discese subito dicendomi: Dov’è questo chiarore? E glielo indicai col dito rivolto alla piccola fontana; e lui si fermò quando lo vide. Allora noi vedemmo una Signora in mezzo alla luce; essa sedeva sopra un mucchio di sassi, col volto tra le mani. Per la paura io lasciai cadere il mio bastone. Massimino mi disse: tienilo il bastone; se la ci farà qualche cosa, le darò una buona bastonata.
In seguito questa Signora si levò in piedi, incrocicchiò le braccia e ci disse: «Avanzatevi, miei ragazzi: Non abbiate paura; son qui per darvi una gran nuova.» Allora noi passammo il ruscello, ed essa si avanzò sino al luogo, dove prima ci eravamo addormentati. Essa era in mezzo a noi due, e ci disse piangendo tutto il tempo che ci parlò (ho veduto benissimo le sue lagrime): «Se il mio popolo non si vuole sottomettere, sono costretta dì lasciar libera la mano di mio Figlio. Essa è così forte, così pesante, che non posso più trattenerla.»
«È gran tempo che soffro per voi! Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni, debbo pregarlo costantemente; e voi altri non ne fate conto. Voi potrete ben pregare, ben fare, giammai non potrete compensare la sollecitudine, che mi sono data per voi.»
«Vi ho dati sei giorni per lavorare, mi sono riservato il settimo, e non si vuole accordarmelo. Questo è ciò che rende tanto pesante la mano di mio Figlio.»
«Se le patate si guastano, è tutto per causa vostra. Ve lo feci vedere l’anno scorso (1845); e voi non avete voluto farne caso, e, trovando patate guaste, bestemmiavate mettendovi frammezzo il nome di mio Figlio.»
«Continueranno a guastarsi, e quest’anno per Natale non ne avrete più (1846).»
«Se avete del grano non dovete seminarlo: tutto ciò che voi seminerete, sarà dai vermi mangiato; e quello che nascerà andrà in polvere, quando lo batterete.»
«Verrà una grande carestia» (Avvenne difatti una grande carestia in Francia, e sulle strade si trovavano grandi torme di pezzenti affamati, che si recavano a mille a mille per le città per questuare: e mentre che da noi in Italia incari il grano in sul far della primavera 1847, in Francia per tutto l’inverno del 46 – 47 si patì gran fame. Ma la vera penuria di alimenti, la vera fame fu provata nei disastri della guerra del 1870-71. In Parigi da un grande personaggio fu imbandito ai suoi amici un lauto pranzo di grasso nel venerdì Santo. Pochi mesi dopo in questa medesima città i più agiati cittadini furono costretti a nutrirsi di vili alimenti e di carni dei più sozzi animali. Non pochi morirono di fame)
«Avanti che venga la carestia, i fanciulli al di sotto dei sette anni saranno presi da un tremore e moriranno tra le mani delle persone che li terranno: gli altri faranno penitenza per la carestia.»
«Le noci si guasteranno, e le uve marciranno…» (Nel 1849 le noci andarono a male da per tutto; e quanto alle uve tutti ne lamentano ancora il guasto e la perdita. Ognuno rammenta il guasto immenso che la crittogama cagionò all’uva in tutta l’Europa per lo spazio d’oltre a venti anni dal 1849 al 1869).
«Se si convertono, le pietre e gli scogli si cambieranno in mucchi di grano, e le patate verranno prodotte dalla terra stessa.»
Quindi ci disse:
«Dite voi bene le vostre orazioni, o miei ragazzi?»
Noi rispondemmo entrambi: «Non troppo bene, o Signora.»
«Ah miei fanciulli, dovete dirle bene la sera e la mattina. Quando non avete tempo dite almeno un Pater ed un’Ave Maria: e quando avrete tempo ditene di più.»
«Alla Messa non vanno che alcune donne vecchie, e le altre lavorano alla domenica tutta l’estate; e all’inverno i giovani, quando non sanno che fare, vanno alla Messa per mettere in ridicolo la religione. In quaresima si va alla macelleria a guisa di cani.»
Quindi ella disse: «Non hai tu veduto, o mio ragazzo, del grano guasto?»
Massimino rispose: «Oh! no, Signora.» Io, non sapendo a chi facesse questa domanda, risposi sotto voce.
«No, Signora, non ne ho ancora veduto.»
«Voi dovete averne veduto, mio ragazzo (rivolgendosi a Massimino), una volta verso il territorio di Coin con vostro padre. Il padrone del campo disse a vostro padre che andasse a vedere il suo grano guasto; voi ci siete andati entrambi. Prendeste alcune spighe nelle vostre mani, e strofinate andarono tutte in polvere, e voi vi ritornaste. Quando eravate ancora una mezz’ora distanti da Corps, vostro padre vi diede un pezzo di pane, e vi disse: Prendi, o figlio mio, mangia ancora del pane in quest’anno; non so chi ne mangerà l’anno venturo, se il grano continua a guastarsi in questo modo.»
Massimino rispose: «Oh! sì, Signora, ora me ne ricordo; poco fa non me ne sovveniva.»
Dopo ciò quella Signora ci disse: «Ebbene, miei ragazzi, voi lo farete sapere a tutto il mio popolo.»
Indi ella passò il ruscello, ed a due passi di distanza, senza rivolgersi verso di noi, ci disse di nuovo: «Ebbene, miei ragazzi, voi lo farete sapere a tutto il mio popolo.»
Ella salì di poi una quindicina di passi, sino al luogo ove eravamo andati per cercare le nostre vacche; ma essa camminava sopra l’erba; i suoi piedi non ne toccavano che la cima. Noi la seguivamo; io passai davanti alla Signora e Massimino un poco di fianco, a due o tre passi di distanza. E la bella Signora si è innalzata così (Melania fa un gesto levando la mano di un metro e più); Ella rimase così sospesa nell’aria un momento. Dopo Ella rivolse uno sguardo al Cielo, indi alla terra; dopo non vedemmo più la testa… non più le braccia… non più i piedi… sembrava che si fondesse; non si vide più che un chiarore nell’aria; e dopo il chiarore disparve.
Dissi a Massimino: «È forse una gran santa? Massimino mi rispose: Oh! se avessimo saputo ch’era una gran santa, noi le avremmo detto di condurci con essa. Ed io gli dissi: E se ci fosse ancora? Allora Massimino slanciò la mano per raggiungere un poco del chiarore, ma tutto era scomparso. Osservammo bene, per scorgere se non la vedevamo più.
E dissi: Essa non vuol farsi vedere per non farci sapere dove se ne vada. Dopo ciò andammo dietro alle nostre vacche.»
Questo è il racconto di Melania; la quale interrogata come quella Signora fosse vestita rispose:
«Essa aveva scarpe bianche con rose attorno… ve ne erano di tutti i colori; aveva le calze gialle, un grembiale giallo, una veste bianca tutta cospersa di perle, un fazzoletto bianco al collo contornato di rose, una cuffia alta un poco pendente avanti con una corona di rose attorno. Aveva una catenella, alla quale era appesa una croce col suo Cristo: a diritta una tenaglia, a sinistra un martello; all’estremità della Croce un’altra gran catena pendeva, come le rose intorno al suo fazzoletto da collo. Aveva il volto bianco, allungato; io non poteva riguardarla molto tempo, perché ci abbagliava.»
Interrogato separatamente Massimino fa lo stessissimo racconto, senza variazione alcuna, né per la sostanza e neppure per la forma; il quale perciò ci asteniamo di qui ripetere.
Sono infinite e stravaganti le insidiose domande che loro si fecero, specialmente per ben due anni, e sotto interrogatori di 5, 6, 7 ore di seguito coll’intento di imbarazzarli, di confonderli, di trarli in contraddizione. Certo è, che forse mai nessun reo fu dai tribunali di giustizia investito così con tante difficoltà e interrogazioni intorno ad un delitto imputatogli.

Segreto dei due pastorelli
            Subito dopo l’apparizione, Massimino e Melania, nel far ritorno a casa, s’interrogarono tra di loro, perché mai la gran Dama dopo che ebbe detto «le uve marciranno» ha tardato un poco a parlare e non faceva che muovere le labbra, senza far intendere che cosa dicesse?
Nell’interrogarsi su di ciò a vicenda, diceva Massimino a Melania «A me essa ha detto una cosa, ma mi ha proibito di dirtelo.» S’accorsero entrambi d’aver ricevuto dalla Signora, ciascuno separatamente, un segreto colla proibizione di non dirlo ad altri. Or pensa tu, o lettore, se i ragazzi possono tacere.
È cosa incredibile a dirsi quanto sia fatto e tentato per cavar loro di bocca in qualche modo questo secreto. Fa meraviglia a leggere i mille e mille tentativi adoperati a quest’uopo da centinaia e centinaia di persone per ben vent’anni. Preghiere, sorprese, minacce, ingiurie, regali e seduzioni d’ogni maniera, tutto andò a vuoto; essi sono impenetrabili.
Il vescovo di Grenoble, uomo ottuagenario, si credette in dovere di comandare ai due privilegiati fanciulli di far almeno pervenire il loro segreto al santo Padre, Pio IX. Al nome del Vicario di Gesù Cristo i due pastorelli ubbidirono prontamente e si decisero a rivelare un segreto, che fino allora nulla aveva potuto strappar loro di bocca. L’hanno dunque scritto essi medesimi (dal giorno dell’apparizione in poi erano stati messi alla scuola, e ciascheduno separatamente); quindi piegarono e suggellarono la loro lettera; e tutto ciò alla presenza di persone ragguardevoli, scelte dallo stesso vescovo a servir loro di testimoni. Indi il vescovo inviò due sacerdoti a portare a Roma questo misterioso dispaccio.
Il 18 luglio 1851 rimettevano a S. S. Pio IX tre lettere, una di Monsignor vescovo di Grenoble, che accreditava questi due inviati, le due altre contenevano il segreto dei due giovanetti della Salette; ciascun di essi aveva scritto e sigillata la lettera contenente il suo segreto alla presenza di testimoni che avevano dichiarato l’autenticità delle medesime sulla coperta.
S. S. aprì le lettere, e cominciata a leggere quella di Massimino, «Vi ha proprio, disse, il candore e la semplicità di un fanciullo.» Durante quella lettura si manifestò sul volto del Santo Padre una certa emozione; gli si contrassero le labbra, gli si gonfiarono le gote. «Trattasi, disse il Papa ai due sacerdoti, trattasi di flagelli, di cui la Francia è minacciata. Non essa sola è colpevole, lo sono pure l’Alemagna, l’Italia, l’Europa intiera, e meritano dei castighi. Io temo assai l’indifferenza religiosa ed il rispetto umano.»

Concorso alla Salette
            La fontana, presso alla quale erasi riposata la Signora, cioè la V. Maria, era come dicemmo, asciutta; e, a detta di tutti i pastori e paesani di quei contorni, non dava acqua se non dopo abbondanti piogge e dopo lo scioglimento delle nevi. Ora questa fontana, asciutta nello stesso giorno dell’apparizione, il giorno dopo cominciò a zampillare, e da quell’epoca l’acqua scorre chiara e limpida senza interruzione.
Quella montagna nuda, dirupata, deserta, abitata dai pastori, appena quattro mesi dell’anno, è divenuta il teatro di un concorso immenso di gente. Intere popolazioni traggono da ogni parte a quella privilegiata montagna; e piangendo per tenerezza, e cantando inni e cantici si vedono chinare la fronte sopra quella terra benedetta, dove ha risuonato la voce di Maria: si vedono baciare rispettosamente il luogo santificato dai piedi di Maria; e ne discendono pieni di gioia, di fiducia e di riconoscenza.
Ogni giorno un numero immenso di fedeli vanno devotamente a visitare il luogo del prodigio. Nel primo anniversario dell’apparizione (19 settembre 1847), oltre a settanta mila pellegrini d’ogni età, d’ogni sesso, d’ogni condizione ed anche d’ogni nazione coprivano la superficie di quel terreno…
Ma ciò che fa sentire vie più la potenza di quella voce venuta dal Cielo, è che si produsse un mirabile cambiamento di costumi negli abitanti di Corps, di La Salette, di tutto il cantone e di tutti i dintorni, e in lontane parti ancora si diffonde e si propaga… Hanno cessato di lavorare la Domenica: hanno dismessa la bestemmia… Frequentano la Chiesa, accorrono alla voce dei loro Pastori, si accostano ai santi Sacramenti, adempiono con edificazione il precetto della Pasqua fino a quel momento generalmente negletto. Taccio le molte e strepitose conversioni, e le grazie straordinarie nell’ordine spirituale.
Nel luogo dell’apparizione sorge ora una Chiesa maestosa con vastissimo edifizio, dove i viaggiatori dopo di aver soddisfatta la loro divozione possono agiatamente ristorarsi ed anche passarvi a gradimento la notte.

Dopo il fatto di La Salette Melania fu inviata alle scuole con meraviglioso progresso nella scienza e nella virtù. Ma si sentì ognora sì accesa di divozione verso alla B. V. Maria, che determinò di consacrarsi tutta a Lei. Entrò di fatto nelle carmelitane scalze tra cui, secondo il giornale Echo de Fourvière 22 ottobre 1870, sarebbe stata dalla s. Vergine chiamata al cielo. Poco prima di morire scrisse la seguente lettera a sua madre.

11 settembre 1870.

            Carissima ed amatissima madre,

Che Gesù sia amato da tutti i cuori. – Questa lettera non è solo per voi, ma è per tutti gli abitanti del mio caro paese di Corps. Un padre di famiglia, amorosissimo verso i suoi figli, vedendo che dimenticavano i loro doveri, che disprezzavano la legge loro imposta da Dio, che diventavano ingrati, si risolvette di castigarli severamente. La sposa del Padre di famiglia domandava grazia, e nello stesso tempo si recava dai due più giovani figli del Padre di famiglia, cioè i due più deboli e più ignoranti. La sposa che non può piangere nella casa del suo sposo (che è il Cielo) trova nei campi di questi miserabili figliuoli lagrime in abbondanza: essa espone i suoi timori e le sue minacce, se non si torna indietro, se non si osserva la legge del Padrone di casa. Un piccolissimo numero di persone abbraccia la riforma del cuore, e si mette ad osservare la santa legge del Padre di famiglia; ma ahimè! la maggioranza rimane nel delitto e vi si immerge sempre più. Allora il Padre di famiglia manda dei castighi per punirli e per trarli da questo stato di induramento. Questi figli sciagurati pensano di poter sottrarsi al castigo, afferrano e spezzano le verghe che li percuotono, invece di cader ginocchioni, domandar grazia e misericordia, e specialmente promettere di cambiar vita. Infine il padre di famiglia, irritato ancor di più, da mano ad una verga ancor più forte e batte e batterà infino a che lo si riconosca, si umilino e domandino misericordia a Colui che regna sulla terra e nei cieli.
Voi mi avete capito, cara madre e cari abitanti di Corps: questo Padre di famiglia è Dio. Noi siamo tutti suoi figli; né io né voi l’abbiamo amato come avremmo dovuto; non abbiamo adempito, come conveniva, i suoi comandamenti: ora Dio ci castiga. Un gran numero dei nostri fratelli soldati muoiono, famiglie e città intere son ridotte alla miseria; e se non ci rivolgiamo a Dio, non è finito. Parigi è colpevole assai perché ha premiato un uomo cattivo che ha scritto contro la divinità di Gesù Cristo. Gli uomini hanno un tempo solo per commettere peccati; ma Dio è eterno, e castiga i peccatori. Dio è irritato per la molteplicità dei peccati, e perché è quasi sconosciuto e dimenticato. Ora chi potrà arrestare la guerra che fa tanto male in Francia, e che fra poco ricomincerà in Italia? ecc. ecc. Chi potrà arrestare questo flagello?
Bisogna 1o che la Francia riconosca che in questa guerra vi è unicamente la mano di Dio; 2° che si umili e chieda colla mente e col cuore perdono dei suoi peccati; che prometta sinceramente di servire Dio colla mente e col cuore, e di obbedire ai suoi comandamenti senza rispetto umano. Alcuni pregano, domandano a Dio il trionfo di noi Francesi. No, non è questo che vuole il buon Dio: vuole la conversione dei francesi. La Beatissima Vergine è venuta in Francia, e questa non si è convertita: è perciò più colpevole delle altre nazioni; se non si umilia, sarà grandemente umiliata. Parigi, questo focolare della vanità e dell’orgoglio, chi potrà salvarla se fervorose preghiere non s’innalzano al cuore del buon Maestro?
Mi ricordo, cara madre e carissimi abitanti, del mio caro paese, mi ricordo, quelle devote processioni, che facevate sul sacro monte della Salette, perché la collera di Dio non colpisse il vostro paese! La S. Vergine ascoltò le vostre fervide preci, le vostre penitenze e tutto quanto faceste per amor di Dio. Penso e spero, che attualmente tanto più dovete fare delle belle processioni per la salvezza della Francia; cioè perché la Francia ritorni a Dio, perché Dio non aspetta che questo per ritirare la verga, di cui si serve per flagellare il suo popolo ribelle. Preghiamo dunque molto, sì, preghiamo; fate le vostre processioni, come le faceste nel 1846 e ‘47: credete che Dio ascolta sempre le preghiere sincere dei cuori umili. Preghiamo molto, preghiamo sempre. Non ho mai amato Napoleone, perché ricordo la intiera sua vita. Possa il divin Salvatore perdonargli tutto il male che ha fatto; e che fa ancora!
Ricordiamoci che siam creati per amare e servire Dio, e che fuori di questo non vi ha vera felicità. Le madri allevino cristianamente i loro figliuoli, perché il tempo delle tribolazioni non è finito. Se io ve ne svelassi il numero e le qualità, ne restereste inorriditi. Ma non voglio spaventarvi; abbiate fiducia in Dio, che ci ama infinitamente più dì quello che noi possiamo amarlo. Preghiamo, preghiamo, e la buona, la divina, la tenera Vergine Maria sarà sempre con noi: la preghiera disarma la collera di Dio; la preghiera è la chiave del Paradiso.
Preghiamo pei nostri poveri soldati, preghiamo per tante madri desolate per la perdita dei loro figliuoli, consacriamo noi stessi alla nostra buona Madre celeste: preghiamo per questi ciechi, che non vedono che è la mano di Dio, che ora percuote la Francia. Preghiamo molto e facciamo penitenza. Tenetevi tutti attaccati alla santa Chiesa, e al nostro S. Padre che ne è il Capo visibile e il Vicario di Nostro Signor Gesù Cristo sulla terra. Nelle vostre processioni, nelle vostre penitenze pregate molto per lui. Infine mantenetevi in pace, amatevi come fratelli, promettendo a Dio di osservare i suoi comandamenti e di osservarli davvero. E per la misericordia di Dio voi sarete felici, e farete una buona e santa morte, che desidero a tutti mettendovi tutti sotto la protezione dell’augusta Vergine Maria. Abbraccio di cuore (i parenti). La mia salute è nella Croce. Il cuore di Gesù veglia su di me.

Maria, della Croce, vittima di Gesù

Prima parte della pubblicazione “Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette con altri fatti prodigiosi, raccolti da pubblici documenti pel sacerdote Giovanni Bosco”, Torino, Tipografia dell’Oratorio di s. Francesco di Sales, 1871




La conversione

Dialogo tra un uomo convertito di recente a Cristo e un amico non credente:
«Così ti sei convertito a Cristo?».
«Sì».
«Allora devi sapere un sacco di cose su di lui. Dimmi, in che Paese è nato?».
«Non lo so».
«Quanti anni aveva quand’è morto?».
«Non lo so».
«Quanti libri ha scritto?».
«Non lo so».
«Sai decisamente ben poco per essere un uomo che afferma di essersi convertito a Cristo!».
«Hai ragione. Mi vergogno di quanto poco so di lui. Ma quello che so è questo: tre anni fa ero un ubriacone. Ero pieno di debiti. La mia famiglia cadeva a pezzi. Mia moglie e i miei figli temevano il mio ritorno a casa ogni sera. Ma ora ho smesso di bere; non abbiamo più debiti; la nostra è ora una casa felice; i miei figli attendono con ansia il mio ritorno a casa la sera. Tutto questo ha fatto Cristo per me. E questo è quello che so di Cristo!».

Ciò che conta di più è proprio come Gesù cambia la nostra vita. Lo dobbiamo ribadire con forza: seguire Gesù significa cambiare il modo di vedere Dio, gli altri, il mondo, se stessi. Rispetto a quello sponsorizzato dall’opinione corrente, è un altro modo di vivere e un altro modo di morire. È questo il mistero della «conversione».




La sindrome di Filippo e quella di Andrea

Nel racconto del vangelo di Giovanni, capitolo 6, versetti 4-14, che presenta la moltiplicazione dei pani, abbiamo alcuni dettagli sui quali mi soffermo un po’ a lungo tutte quelle volte che io medito o commento questo brano.

Tutto inizia quando davanti alla “grande” folla affamata, Gesù invita i discepoli a prendere la responsabilità di darle da mangiare.
I dettagli di cui parlo sono, il primo, quando Filippo dice che non è possibile assumere questa chiamata a causa della quantità di gente presente. Andrea, invece, mentre fa notare che “c’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci” per poi sottovalutare questa stessa possibilità con un semplice commento: “ma che cos’è questo per tanta gente?” (v.9).
Desidero semplicemente condividere con voi, carissimi lettrici e lettori, come noi cristiani, che abbiamo la chiamata di condividere la gioia della nostra fede, alcune volte, senza saperlo, possiamo essere contagiati dalla sindrome di Filippo o da quella di Andrea. Qualche volta forse anche da ambedue!
Nella vita della Chiesa, come anche nella vita della Congregazione e della Famiglia Salesiana le sfide non mancano e non mancheranno mai. La nostra non è una chiamata a formare un gruppo di persone dove si cerca soltanto di stare bene, senza disturbare e senza essere disturbati. Non è una esperienza fatta di certezze prefabbricate. Fare parte del corpo di Cristo non ci deve distrarre e neanche toglierci dalla realtà del mondo, così com’è. Al contrario, ci spinge ad esserne pienamente coinvolti nelle vicende della storia umana. Ciò significa innanzitutto guardare la realtà con soltanto con gli occhi umani, ma anche, e soprattutto, con gli occhi di Gesù. Siamo invitati a rispondere guidato dall’amore che trova la sua fonte nel cuore di Gesù, cioè vivere per gli altri come Gesù ci insegna e ci mostra.

La sindrome di Filippo
La sindrome di Filippo è sottile e per questo motivo che è anche molto pericolosa. L’analisi che fa Filippo è giusta e corretta. La sua risposta all’invito di Gesù non è sbagliata. Il suo ragionamento segue una logica umana molto lineare e senza difetti. Guardava la realtà con i suoi occhi umani, con una mente razionale e, a conti fatti, non percorribile. Davanti a questo modo “ragionato” di procedere, l’affamato smette di interpellarmi, il problema è suo, non mio. Per essere più precisi alla luce di ciò che viviamo quotidianamente: il rifugiato poteva stare a casa sua, non deve disturbarmi; il povero e il malato se la vedono loro e non spetta a me essere parte del loro problema, tantomeno per trovare loro la soluzione. Ecco la sindrome di Filippo. È un seguace di Gesù, però la sua maniera di vedere e interpretare la realtà ancora è ferma, non sfidata, lontana anni luce di quella del suo maestro.

La sindrome di Andrea
Segue la sindrome di Andrea. Non dico che è peggio della sindrome di Filippo, ma ci manca poco per essere più tragica. È una sindrome fine e cinica: vede qualche possibile opportunità, però non va oltre. C’è una piccolissima speranza, però umanamente non è percorribile. Allora si giunge a squalificare sia il dono come anche il donatore. E il donatore a chi in questo caso tocca “sfortuna”, è un ragazzo che è semplicemente pronto a condivider quello che ha!
Due sindromi che sono ancora con noi, nella Chiesa e anche tra noi pastori e educatori. Stroncare una piccola speranza è più facile che dare spazio alla sorpresa di Dio, una sorpresa che può far sbocciare una seppur piccola speranza. Lasciarsi condizionare da clichés dominanti per non esplorare opportunità che sfidano letture ed interpretazioni riduttive, è una tentazione permanente. Se non stiamo attenti, diventiamo profeti ed esecutori della nostra stessa rovina. A forza di restare chiusi in una logica umana, “accademicamente” raffinata e “intellettualmente” qualificata, lo spazio ad una lettura evangelica diventa sempre più limitato, e finisce per sparire.
Quando questa logica umana e orizzontale è messa in crisi, per difendersi uno dei segni che suscita è quello del “ridicolo”. Chi osa sfidare la logica umana perché lascia entrare l’aria fresca del Vangelo, sarà riempito di ridicolo, attaccato, preso in giro. Quando questo è il caso, stranamente possiamo dire che siamo davanti ad una strada profetica. Le acque si muovono.

Gesù e le due sindromi
Gesù supera le due sindromi “prendendo” i pani considerati pochi e per conseguenza irrilevanti. Gesù apre la porta a quello spazio profetico e di fede che ci è chiesto di abitare. Davanti alla folla non possiamo accontentarci di fare letture e interpretazioni autoreferenziali. Seguire Gesù implica andare oltre il ragionamento umano. Siamo chiamati a guardare alle sfide con i suoi occhi. Quando Gesù ci chiama, da noi non chiede soluzioni ma donazione di tutto noi stessi, con ciò che siamo e ciò che abbiamo. Eppure, il rischio è che davanti alla sua chiamata rimaniamo fermi, per conseguenza schiavi, del nostro pensiero e avidi di ciò che crediamo di possedere.
Solo nella generosità fondata sull’abbandono alla sua Parola arriviamo a raccogliere l’abbondanza dell’agire provvidenziale di Gesù. “Essi quindi li raccolsero e riempirono dodici ceste di pezzi che di quei cinque pani d’orzo erano avanzati a quelli che avevano mangiato” (v.13): il piccolo dono del ragazzo fruttifica in maniera sorprendente solo perché i due sindromi non hanno avuto l’ultima parola.
Papa Benedetto così commenta questo gesto del ragazzo: “Nella scena della moltiplicazione, viene segnalata anche la presenza di un ragazzo, che, di fronte alla difficoltà di sfamare tanta gente, mette in comune quel poco che ha: cinque pani e due pesci. Il miracolo non si produce da niente, ma da una prima modesta condivisione di ciò che un semplice ragazzo aveva con sé. Gesù non ci chiede quello che non abbiamo, ma ci fa vedere che se ciascuno offre quel poco che ha, può compiersi sempre di nuovo il miracolo: Dio è capace di moltiplicare il nostro piccolo gesto di amore e renderci partecipi del suo dono” (Angelus, 29 luglio 2012).
Davanti alle sfide pastorali che abbiamo, davanti a tanta sete e fame di spiritualità che i giovani esprimono, cerchiamo di non aver paura, di non restare attaccati alle nostre cose, ai nostri modi di pensare. Offriamo quel poco che abbiamo a Lui, affidiamoci alla luce della sua Parola e che questa e solo questa sia il criterio permanente delle nostre scelte e la luce che guida le nostre azioni.

Foto: Miracolo evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, vetrata dell’Abbazia Tewkesbury di Gloucestershire (Regno Unito), opera del 1888, realizzata dalla Hardman & Co




Le “Stazioni Romane”. Una tradizione millenaria

Le “Stazioni romane” sono un’antica tradizione liturgica che, durante la Quaresima e la prima settimana del Tempo di Pasqua, associa ogni giornata a una chiesa specifica di Roma, dentro di un cammino di pellegrinaggio. Il termine “statio” (dal latino stare, fermarsi) rimanda all’idea di una sosta comunitaria per la preghiera e la celebrazione. Nei secoli passati, il Papa e i fedeli si muovevano in processione dalla chiesa detta “collecta” fino alla stazione del giorno, dove si celebrava l’Eucaristia. Questo rito, pur avendo radici nei primi secoli della cristianità, conserva una sua vitalità anche oggi, quando l’indicazione della chiesa stazionale figura ancora nei libri liturgici. È un vero pellegrinaggio tra le basiliche e i santuari della Città Eterna che si può fare in quest’anno giubilare non solo come un cammino di conversione, ma anche una testimonianza di fede.

Origine e diffusione
Le origini delle Stazioni romane risalgono almeno al III secolo, quando la comunità cristiana subiva ancora le persecuzioni. Le prime testimonianze fanno riferimento al Papa Fabiano (236-250) che si recava nei luoghi di culto sorti presso le catacombe o le sepolture dei martiri, distribuendo ai bisognosi ciò che i fedeli offrivano come elemosina e celebrando l’Eucaristia. Questa consuetudine si rafforzò nel IV secolo, con la libertà di culto sancita da Costantino: sorsero grandi basiliche, e i fedeli iniziarono a riunirsi in giornate precise per celebrare la Messa nei siti legati alla memoria dei santi. Col passare del tempo, l’itinerario assunse un carattere più organico, creando un vero e proprio calendario di stazioni che toccavano i diversi rioni di Roma. La dimensione comunitaria – con la presenza del vescovo, del clero e del popolo – divenne così un segno visibile di comunione e di testimonianza della fede.

Fu Papa Gregorio Magno (590-604) a dare struttura e regolarità all’uso delle Stazioni, soprattutto in Quaresima. Egli stabilì un calendario che, giorno dopo giorno, assegnava a una specifica chiesa la celebrazione principale. La sua riforma non nacque dal nulla, ma organizzò una prassi già esistente: Gregorio volle che la processione partisse da una chiesa minore (collecta) e si concludesse in un luogo più solenne (statio), dove il popolo, unito al Papa, celebrava i riti penitenziali e l’Eucaristia. Era un modo per prepararsi alla Pasqua: il cammino stesso che indicava il pellegrinaggio terreno verso l’eternità, le chiese che con la loro architettura sacra e le opere d’arte svolgevano una funzione pedagogica in un’epoca in cui non tutti potevano leggere o accedere a libri, le reliquie dei martiri conservate in quelle chiese testimoniavano la fede vissuta fino dare la vita e la loro intercessione portavano grazie a coloro che le richiedevano, la celebrazione del Sacrificio della Messa santificava i fedeli partecipanti.

Nel corso del Medioevo, la pratica delle Stazioni romane si diffuse sempre di più, divenendo non solo un evento ecclesiale, ma anche un fenomeno sociale di grande rilievo. I fedeli, infatti, che provenivano dalle diverse regioni d’Italia e d’Europa, si univano ai romani per prendere parte a questi raduni liturgici.

Struttura della celebrazione stazionale
L’elemento caratteristico di queste celebrazioni era la processione. Al mattino, i fedeli si riunivano nella chiesa della collecta, dove, dopo un breve momento di preghiera, si avviavano in corteo verso la chiesa stazionale, intonando litanie e canti penitenziali. Giunti a destinazione, il Papa o il presule incaricato presiedeva la Messa, con letture e orazioni proprie del giorno. L’uso delle litanie aveva un forte senso spirituale e pedagogico: mentre si camminava fisicamente tra le strade, si pregava per i bisogni della Chiesa e del mondo, invocando i santi di Roma e di tutta la cristianità. La celebrazione culminava nell’Eucaristia, conferendo a questa “sosta” un valore sacramentale e di comunione ecclesiale.

La Quaresima divenne il tempo privilegiato per le Stazioni, a partire dal Mercoledì delle Ceneri fino al Sabato Santo o, secondo alcune consuetudini, fino alla seconda domenica dopo Pasqua. Ogni giornata era contraddistinta da una chiesa designata, scelta spesso per la presenza di reliquie importanti o per la sua storia particolare. Esempi notevoli includono Santa Sabina all’Aventino, dove di solito inizia il rito del Mercoledì delle Ceneri, e Santa Croce in Gerusalemme, collegata al culto delle reliquie della Croce di Cristo, meta tradizionale del Venerdì Santo. Partecipare alle Stazioni quaresimali significa entrare in un pellegrinaggio quotidiano, che unisce i fedeli in un percorso di penitenza e conversione, sostenuto dalla devozione verso i martiri e i santi. Ogni chiesa racconta una pagina di storia, offrendo immagini, mosaici e architetture che comunicano il messaggio evangelico in forma visiva.

Uno dei tratti più significativi di questa tradizione è il legame con i martiri della Chiesa di Roma. Nel periodo delle persecuzioni, molti cristiani trovarono la morte a causa della loro fede; in epoca costantiniana e successiva, sui loro sepolcri furono erette basiliche o cappelle. Celebrare una statio in questi luoghi significava richiamare la testimonianza di chi aveva donato la vita per Cristo, rafforzando la convinzione che la Chiesa è edificata anche sul sangue dei martiri. Ogni visita liturgica diventava così un atto di comunione tra i fedeli di ieri e quelli di oggi, uniti dal sacramento dell’Eucaristia. Questo “pellegrinaggio nella memoria” collegava il cammino quaresimale a una storia di fede tramandata di generazione in generazione.

Dal declino alla riscoperta
Nel Medioevo e nei secoli successivi, la pratica delle Stazioni conobbe alterne vicende. A volte, a causa di epidemie, invasioni o situazioni politiche instabili, fu ridotta o sospesa. I libri liturgici, tuttavia, continuarono a indicare le chiese stazionali per ogni giorno, segno che la Chiesa ne custodiva almeno il ricordo simbolico. Con la riforma liturgica tridentina (XVI secolo), la centralità del Papa in tali celebrazioni si fece meno frequente, ma l’uso di citare la chiesa stazionale rimase nei testi ufficiali. Con il rinnovato interesse per la storia e l’archeologia cristiana, la tradizione stazionale fu riscoperta e riproposta come via di formazione spirituale.
In epoca moderna, soprattutto a partire da Leone XIII (1878-1903) e successivamente con i papi del XX secolo, si è assistito a un crescente interesse verso il recupero di questa tradizione. Vari ordini religiosi e associazioni laicali hanno iniziato a promuovere la riscoperta del “pellegrinaggio delle stazioni”, organizzando momenti comunitari di preghiera e di catechesi nelle chiese designate.

Oggi, in un’epoca caratterizzata dalla frenesia e dalla velocità, la statio propone di riscoprire la dimensione della “sosta”: fermarsi per pregare, contemplare, ascoltare, fare silenzio e incontrare il Signore. La Quaresima è per definizione un tempo di conversione, di preghiera più intensa e di carità verso il prossimo: compiere un itinerario tra le chiese di Roma, anche solo in alcuni giorni significativi, può aiutare il fedele a riscoprire il senso di una penitenza vissuta non come rinuncia fine a sé stessa, ma come apertura al mistero di Cristo.

Ancora oggi, nel Calendario Romano, troviamo indicata la chiesa stazionale per ogni giornata: questo richiama all’unità del popolo di Dio, radunato attorno al successore di Pietro, e alla memoria dei santi che hanno speso la propria vita per il Vangelo. Chiunque partecipi a queste liturgie – anche saltuariamente – scopre una città che non è soltanto un museo a cielo aperto, ma un luogo in cui la fede si è espressa in modo originale e duraturo.

Chi desidera riscoprire il senso profondo della Quaresima e della Pasqua, può dunque lasciarsi guidare dall’itinerario stazionale, unendo la propria voce a quella dei cristiani di ieri e di oggi nel grande coro che conduce alla luce pasquale.

Presentiamo di seguito l’itinerario delle Stazioni Romane, corredato dall’elenco delle chiese e dalla loro collocazione geografica. È importante notare che l’ordine dell’elenco rimane invariato ogni anno; varia solo la data di inizio della Quaresima e, di conseguenza, le date successive. Auguriamo un proficuo pellegrinaggio a quanti vorranno percorrere, anche solo in parte, questo cammino nell’anno giubilare.


     

Stazione
romana

Martiri
e santi custoditi o reliquie

1

03.05

X

S.
Sabina all’Aventino

Santa Sabina e Santa Serapia, martire († 126); Santi Alessandro,
Evenzio e Teodulo
,
martiri

2

03.06

G

S.
Giorgio al Velabro

San Giorgio,
martire († 303)

3

03.07

V

SS.
Giovanni e Paolo al Celio

Santi Giovanni
e Paolo
,
martiri († 362); San Paolo
della Croce
(† 1775), fondatore della Congregazione della Passione di
Gesù Cristo (i Passionisti)

4

03.08

S

S.
Agostino in Campo Marzio

Santa Monica († 387), madre di Sant’Agostino; reliquie di
Sant’Agostino († 430)

5

03.09

D

S.
Giovanni in Laterano

Teste
di San Pietro e San Paolo:
Queste reliquie sono custodite in busti d’argento posti sopra
l’altare papale, visibili attraverso una grata dorata; la Scala
Santa
(nella vicina cappella del Sancta Sanctorum); Mensa dell’Ultima
Cena – la tavola sulla quale si celebrò l’Ultima Cena,
secondo la tradizione (reliquia significativa che si trova
sull’altare del Santissimo Sacramento)

6

03.10

L

S.
Pietro in Vincoli al Colle Oppio

Catene
di San Pietro; reliquie attribuite ai Sette Fratelli Maccabei,
personaggi dell’Antico Testamento venerati come martiri

7

03.11

M

S.
Anastasia al Palatino

Sant’Anastasia
di Sirmio
(† 304); Reliquie del Sacro Manto di San Giuseppe; Parte
del Velo della Vergine Maria

8

03.12

X

S.
Maria Maggiore

Sacro
Legno della Culla (la mangiatoia di Gesù Bambino); Panniculum (un piccolo pezzo di stoffa, parte delle fasce con cui fu avvolto
Gesù appena nato); San Matteo,
apostolo († 70 o 74); San Girolamo († 420); San Pio
V
,
papa († 1572)

9

03.13

G

S.
Lorenzo in Panisperna

Luogo
del martirio di San Lorenzo († 258); San Lorenzo, martire; Santa Crispina,
martire († 304); Santa Brigida
di Svezia
(† 1373)

10

03.14

V

SS.
XII Apostoli al Foro Traiano

San Filippo apostolo († 80); San Giacomo
il Minore
apostolo († 62); Santi Crisanto
e Daria
,
martiri († 283 ca.)

11

03.15

S

S.
Pietro in Vaticano

San Pietro († 67); San Lino († 76); San Cleto († 92); Sant’Evaristo († 105); Sant’Alessandro
I
(† 115); San Sisto
I
(† 126-128); San Telesforo († 136); Sant’Igino († 140) ; San Pio
I
(† 155); Sant’Aniceto († 166); Sant’Eleuterio († 189); San Vittore
I
(† 199); san Giovanni
Crisostomo
(† 407, parti, nella Cappella del Coro); San Leone
I, Magno
(† 461); San Simplicio († 483); San Gelasio
I
(† 496); San Simmaco († 514); Sant’Ormisda († 523); San Giovanni
I
(† 526); San Felice
IV
(† 530); Sant’Agapito
I
(† 536); San Gregorio
I, Magno
(† 604); San Bonifacio
IV
(† 615); Sant’Eugenio
I
(† 657); San Vitaliano († 672); Sant’Agatone († 681); San Leone
II
(† 683); San Benedetto
II
(† 685); San Sergio
I
(† 701); San Gregorio
II
(† 731); San Gregorio
III
(† 741); San Zaccaria († 752); San Paolo
I
(† 767); San Leone
III
(† 816); San Pasquale
I
(† 824); San Leone
IV
(† 855); San Niccolò
I
(† 867); San Leone
IX
(† 1054); Beato Urbano
II
(† 1099); Beato Innocenzo
XI
(† 1689); San Pio
X
(† 1914); San Giovanni
XXIII
(† 1963); San Paolo
VI
(† 1978); Beato Giovanni
Paolo I
(† 1978); San Giovanni
Paolo II
(† 2005); pezzo di croce di san Andrea; lancia di san
Logino; pezzo della Croce di Cristo

12

03.16

D

S.
Maria in Domnica alla Navicella

San Lorenzo,
martire († 258); Santa Ciriaca,
martire

13

03.17

L

S.
Clemente in Laterano

San Clemente
I
,
papa e martire († 101); Sant’Ignazio
di Antiochia
,
vescovo e martire († 110 ca.); San Cirillo († 869), apostolo degli Slavi

14

03.18

M

S.
Balbina all’Aventino

Santa Balbina,
vergine e martire († 130); San Felicissimo e San Quirino
(suo padre) associati al martirio di s. Balbina

15

03.19

X

S.
Cecilia in Trastevere

Santa Cecilia († 230); San Valeriano,
marito di Cecilia, convertito al cristianesimo e martirizzato (†
229); San Tiburzio, fratello di Valeriano e compagno di martirio;
San Massimo, il soldato o il funzionario preposto all’esecuzione
di Valeriano e Tiburzio, che poi si convertì e fu
martirizzato a sua volta; Papa Urbano
I
(† 230 ca.), avrebbe battezzato Cecilia e il suo sposo
Valeriano

16

03.20

G

S.
Maria in Trastevere

San Giulio
I
,
papa († 352); San Calisto
I
,
papa martire († 222 ca.); Santi Fiorentino, Corona, Sabino
e Alessandro, martiri

17

03.21

V

S.
Vitale in Fovea

Santi Vitale († 304), Valeria († II sec.), Gervasio
e Protasio
(† II sec.)

18

03.22

S

SS.
Pietro e Marcellino al Laterano

Santi Marcellino
e Pietro
,
martiri († 304); Santa Marzia, martire associata ai ss.
Marcellino e Pietro

19

03.23

D

S.
Lorenzo fuori le mura

San Lorenzo († 258); Santo Stefano Protomartire (I secolo); Sant’Ippolito († III sec.); San Giustino,
martire († 167); San Sisto
III
papa († 440); San Zosimo papa († 418); Beato Pio
IX
,
papa († 1878)

20

03.24

L

S.
Marco al Campidoglio

San Marco,
l’evangelista e martire († I sec.); San Marco Papa († 336); Santi Abdon
e Sennen
,
martiri persiani († III sec.)

21

03.25

M

S.
Pudenziana al Viminale

Santa Pudenziana,
martire († II sec.); Santa Prassede,
sua sorella († II sec.)

22

03.26

X

S.
Sisto (SS. Nereo e Achilleo)

San Sisto
I
,
papa († 125); Santi Nereo
e Achilleo
(† 300); Santa Flavia
Domitilla
martire († I sec.)

23

03.27

G

SS.
Cosma e Damiano in Via sacra

Santi Cosma
e Damiano
,
medici e martiri († 303); Antimo e Leonzio, fratelli e
martiri

24

03.28

V

S.
Lorenzo in Lucina

La
graticola di San Lorenzo sulla quale il santo sarebbe stato arso
vivo; vaso che contiene carne bruciata di San Lorenzo

25

03.29

S

S.
Susanna alle Terme di Diocleziano

Santa Susanna vergine e martire († 294)

26

03.30

D

S.
Croce in Gerusalemme

Frammenti
della Vera Croce, parte del Titulus Crucis (la scritta
“I.N.R.I.”); chiodi della crocifissione e alcune spine
della Corona; un frammento della croce del Buon Ladrone, san Disma;
la falange di San Tommaso Apostolo († I sec.)

27

04.31

L

SS.
Quattro Coronati al Celio

Santi Castorio,
Sinfroniano, Claudio e Nicostrato
,
martiri († IV sec.)

28

04.01

M

S.
Lorenzo in Damaso

San Lorenzo martire († 258); San Damaso,
papa e martire († 384); Giovino e Faustino, martiri

29

04.02

X

S.
Paolo fuori le mura

San Paolo apostolo († 67); Catena di San Paolo; Bastone di San Paolo

30

04.03

G

SS.
Silvestro e Martino ai Monti

Santi
Artemio, Paolina e Sisinnio, martiri; beato Angelo
Paoli
(† 1720)

31

04.04

V

S.
Eusebio all’Esquilino

Sant’Eusebio,
presbitero e martire († 353); Santi Orosio e Paolino,
sacerdoti e martiri

32

04.05

S

S.
Nicola in Carcere

San Nicola
di Bari
(† 270); Santi Marcellino e Faustino, martiri (†
250)

33

04.06

D

S.
Pietro in Vaticano

 

34

04.07

L

S.
Crisogono in Trastevere

San Crisogono,
martire († 303); Sant’Anastasia martire († 250); San Rufo, martire († I sec.); Beata Anna
Maria Taigi
,
(† 1837)

35

04.08

M

S.
Maria in via Lata

San Agapito,
martire († 273); Santi Ippolito e Dario,
martiri († IV sec. ); frammento della Vera Croce

36

04.09

X

S.
Marcello al Corso

San Marcello
I
,
papa († 309); Santa Digna e Santa Emerita, martire

37

04.10

G

S.
Apollinare in Campo Marzio

Sant’Apollinare († II sec.); Santi Eustrazio, Bardario, Eugenio, Oreste ed
Eusenzio, martiri

38

04.11

V

S.
Stefano al Celio

San Stefano,
protomartire († 36); Santi Primo
e Feliciano
,
martiri († 303); frammenti della Vera Croce

39

04.12

S

S.
Giovanni a Porta Latina

Frammenti
ossei o piccoli reliquiari contenenti parti del corpo o oggetti
personali attribuiti a San Giovanni Evangelista († 98); Santi Gordiano
e Epimaco
,
martiri († IV sec.)

40

04.13

D

S.
Giovanni in Laterano

 

41

04.14

L

S.
Prassede all’Esquilino

Santa Prassede,
martire († II sec.); Santa Pudenziana, martire († II
sec.); Santa Vittoria,
martire († 253); Colonna della Flagellazione

42

04.15

M

S.
Prisca all’Aventino

Santa Prisca,
una delle prime martire cristiane († I sec.); Santi Aquila
e Priscilla
,
sposi cristiani; frammenti della Vera Croce

43

04.16

X

S.
Maria Maggiore

 

44

04.17

G

S.
Giovanni in Laterano

 

45

04.18

V

S.
Croce in Gerusalemme

 

46

04.19

S

S.
Giovanni in Laterano

 

47

04.20

D

S.
Maria Maggiore

 

48

04.21

L

S.
Pietro in Vaticano

 

49

04.22

M

S.
Paolo fuori le mura

 

50

04.23

X

S.
Lorenzo fuori le mura

San Lorenzo,
martire († 258); Santo Stefano protomartire († 36); San Sebastiano,
martire († 288); San Francesco
d’Assisi
(† 1226); San Zosimo papa, († 418), San Sisto
III
papa, († 440), Sant’Ilario papa, († 468), San Damaso
II
papa, († 1048); Beato Pio
IX
,
papa († 1878); frammenti della Vera Croce

51

04.24

G

SS.
XII Apostoli

San Filippo apostolo († 80); San Giacomo
il Minore
(† 62)

52

04.25

V

S.
Maria ad Martyres (Pantheon)

San Longino,
soldato romano che trafisse il costato di Gesù Cristo
durante la crocifissione († I sec.); Santa Bibiana,
martire († 362-363); Santa Lucia,
martire († 304); San Rasio e Sant’Anastasio, martiri;
Durante la consacrazione della chiesa nel 609 d.C. da parte di
Papa Bonifacio IV, furono trasferite qui dai cimiteri romani le
ossa di ben 28 carri di martiri.

53

04.26

S

S.
Giovanni in Laterano

 

54

04.27

D

S.
Pancrazio

San Pancrazio,
martire († 304); frammenti della Vera Croce





Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (13/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Grazie ottenute per intercessione di Maria Ausiliatrice.I. Grazia ricevuta da Maria SS. Ausiliatrice.
            Correva l’anno del Signore 1866 quando la mia consorte nel mese d’ottobre fu colta da una gravissima malattia, vale a dire da una grande infiammazione congiunta con una gran costipazione, e con mal verminoso. In questi dolorosi frangenti si fece in prima ricorso ai periti dell’arte i quali non stettero molto a dichiarare che la malattia era pericolosissima. Vedendo io che il male molto più s’aggravava, e che a poco o nulla giovavano i rimedii umani, suggerii alla mia compagna che si raccomandasse a Maria Ausiliatrice, e che ella certamente le avrebbe concesso la salute se era necessaria per quella dell’anima; aggiunsi nello stesso tempo la promessa che se avesse ottenuto la sanità, appena terminata la chiesa, che si sta facendo in Torino, di portarci ambedue a visitarla e farvi qualche oblazione. A tal proposta essa rispose che poteva raccomandarsi a qualche Santuario più vicino per non aver poi l’obbligo di andar così lontano; a quella risposta io le dissi che non bisognava guardar tanto il comodo, quanto la grandezza del benefizio che si spera.
            Allora essa si raccomandò, e promise quanto si proponeva. O potenza di Maria! non erano ancora 30 minuti dacché essa aveva fatto la promessa quando interrogata da me come stava ella mi disse: sto molto più bene, ho la mente più libera, non ho più oppresso lo stomaco, sento abborrimento al ghiaccio che poco prima tanto desiderava, e son più vogliosa di brodo che poco prima tanto abborriva.
            A queste parole io mi sentii nascere a nuova vita, e se non fosse stato di notte sarei subito uscito di camera a pubblicare la grazia ricevuta da Maria SS. Il fatto sta che essa passò la notte tranquilla, ed al mattino seguente comparendo il medico la dichiarò immune da ogni pericolo. Chi la risanò se non Maria Ausiliatrice? Infatti essa dopo pochi giorni abbandonò il letto, ed intraprese le faccende domestiche. Ora aspettiamo ansiosamente che si compia la chiesa a lei dedicata, per quindi adempir la promessa fatta.
            Ho scritto questo, qual figlio umile dell’una, santa, cattolica ed apostolica Chiesa, e desidero che al medesimo si dia tutta quella pubblicità che si giudicherà bene per la maggior gloria di Dio e dell’augusta Madre del Salvatore.

COSTAMAGNA Luigi
di Caramagna.

II. Maria Ausiliatrice Protettrice delle campagne.
            Mornese è un paesello della diocesi di Acqui, provincia di Alessandria, di circa mille abitanti. Questo nostro paese, come tanti altri, era tristamente travaglialo dalla crittogama che da oltre venti anni divorava quasi tutto il raccolto dell’uva che è la nostra ricchezza principale. Avevamo già usato altri ed altri specifici per allontanare quel malanno, ma inutilmente. Quando si sparge la voce che alcuni contadini dei paesi confinanti avendo promesso una parte del frutto dei loro vigneti per la continuazione dei lavori della chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice in Torino furono meravigliosamente favoriti ed ebbero uva in abbondanza. Mossi i Mornesini dalla speranza di migliore raccolto e più ancora animati dal pensiero di concorrere ad un’opera di religione, determinarono di offrire per questo scopo la decima parte delle nostre vendemmie. La protezione della santa Vergine si fece sentire tra noi in modo veramente pietoso. Abbiamo avuto l’abbondanza dei tempi più felici, e fummo ben lieti di poter scrupolosamente offrire in genere o in danaro quanto avevamo promesso. All’occasione che il direttore dei lavori di quella chiesa invitato venne tra noi per raccogliere le offerte vi fu una festa di vera gioia e di pubblica esultanza.
            Egli apparve profondamente commosso per la prontezza e disinteresse con cui erano fatte le offerte, e per le cristiane parole con cui le accompagnavano. Ma un nostro patriota a nome di tutti diede ad alta voce ragione di quanto avveniva. Noi, esso prese a dire, siamo debitori di grandi cose alla santa Vergine Ausiliatrice. L’anno scorso molti di codesto paese dovendo andare alla guerra si posero tutti sotto alla protezione di Maria Ausiliatrice, mettendosi per lo più una medaglia al collo andarono coraggiosamente, e dovettero affrontare i più gravi pericoli, ma niuno restò vittima di quel flagello del Signore. Inoltre nei paesi confinanti fu strage del colera, della grandine, della siccità, e noi fummo affatto risparmiati. Quasi nulla è la vendemmia dei nostri vicini, e noi siamo stati benedetti con tale abbondanza che da venti anni non si è più veduta. Per questi motivi noi siamo lieti di poter manifestare in tal modo la incancellabile nostra gratitudine verso la grande Protettrice del genere umano.
            Credo di essere fedele interprete dei miei concittadini asserendo che quanto abbiamo fatto ora, lo faremo eziandio in avvenire, persuasi così di renderci sempre più degni delle celesti benedizioni.
            25 marzo 1868

Un Abitante di Mornese.

III. Pronta guarigione.
            Il giovanetto Bonetti Giovanni di Asti nel collegio di Lanzo ebbe il favore seguente. La sera dei 23 di dicembre ultimo scorso entrò improvvisamente in camera del direttore con passo incerto e col viso stravolto. Gli si avvicina, appoggia la sua persona a quella del pio Sacerdote, e colla destra si stropiccia la fronte e non dice parola. Meravigliato egli di vederlo così convulso, lo sorregge, e ponendolo a sedere lo richiede che cosa desideri. Alle replicate domande il poveretto non rispondeva che con sospiri sempre più stentati e profondi. Allora lo fissa più attentamente in fronte, e vede che i suoi occhi erano immobili, le labbra pallide, ed il corpo consentendo al peso della testa minacciava cadere. Vedendo allora in qual pericolo della vita stesse il giovanetto si manda tosto pel medico. Intanto il male peggiorava ad ogni istante, la sua fisonomia erasi contraffatta, e non sembrava più quella di prima, le braccia, le gambe, la fronte erano gelate, il catarro lo soffocava; il respiro sempre si faceva più breve, ed i polsi non si sentivano più che leggermente. Durò in questo stato cinque penosissime ore.
            Giunse il Dottore, applicò vari rimedi, ma sempre con nessun risultato. È finito, disse addolorato il medico, prima di domattina cotesto giovanetto sarà morto.
            Sfidato così delle speranze umane il buon Sacerdote si rivolse al cielo, pregando che se non era suo volere che il giovanetto vivesse, almeno gli concedesse un po’di tempo per confessarsi e comunicarsi. Prese quindi una piccola medaglia di Maria Ausiliatrice. Le grazie già ottenute dalla invocazione della Vergine con quella medaglina erano molte, ed aumentarono la speranza di ottenere aiuto dalla celeste Protettrice. Pieno adunque di fiducia in Lei si inginocchiò, gli mise sul cuor la medaglia e con altre pie persone accorse si dissero alcune preghiere a Maria ed al SS. Sacramento. E Maria ascoltò le preghiere che con tanta confidenza Le erano innalzate. Il respiro del piccolo Giovanni diventò più libero, gli occhi, che erano come impietriti, si volsero caramente intorno a mirare e a ringraziare gli astanti delle cure pietose che gli facevano. Né il miglioramento fu cosa di breve durata, anzi ognuno tenne certa la guarigione. Il medico stesso sbalordito dell’avvenuto ebbe ad esclamare: – Fu la grazia di Dio, che operò la salute. Nella mia lunga carriera ho veduto un gran numero di ammalati e moribondi, ma nessuno di quelli che si trovarono al punto del Bonetti vidi riaversi. Senza l’intervento benefico del cielo, è questo per me un fatto inesplicabile. E la scienza, usa oggidì a rompere quel mirabile vincolo che la unisce a Dio, rese umile omaggio a Lui giudicandosi essa impotente ad ottenere quello che solo Iddio compì. Il giovanetto che fu oggetto di gloria della Vergine, continua tuttora a stare molto e molto bene. Dice e predica a tutti che la sua vita la deve doppiamente a Dio ed alla potentissima sua Madre, dalla cui valida intercessione ottenne la grazia. Egli si crederebbe ingrato di cuore se non rendesse pubblica testimonianza di gratitudine, ed invitare così altri ed altri infelici che in questa valle di lagrime soffrono e vanno in cerca e di conforto e di aiuto.

(Dal giornale: La Vergine).

IV. Maria Ausiliatrice libera un suo devoto da forte mal di denti.
            In una casa d’educazione di Torino vi era un giovinetto di 19 o 20 anni, che già da parecchi giorni soffriva acerbissimi dolori ai denti. Tutto quello che l’arte medica suole in tali casi suggerire erasi già usato senza alcun felice esito. Onde il povero giovane era a tal punto di esacerbazione ridotto, che destava la pietà in tutti quelli che lo sentivano. Se il giorno gli pareva orrido, eterna e sciaguratissima la notte, in cui non poteva chiudere l’occhio al sonno che ad istanti interrotti e brevissimi. Che stato deplorabile era mai questo suo! Continuò così per qualche tempo; ma alla sera del 29 aprile il male parve diventar furiosissimo. Gemeva il giovanetto nel suo letto senza posa, sospirava ed altamente gridava senza che lo potesse qualcuno alleviare. I compagni inteneriti sulla condizione di lui infelice andarono a farne parte al direttore che volesse degnarsi di venirlo a confortare. Ci venne, e tentò a parole di ridonargli la calma tanto a lui necessaria e ai suoi compagni perché potessero riposare. Ma tanto era il furore del male, che egli sebben obbedientissimo, non poté cessare il lamento; dicendo che non sapeva se pur anche nell’inferno stesso si potevano soffrire più crudeli dolori. Il superiore allora pensò bene di collocarlo sotto alla protezione di Maria Ausiliatrice, al cui onore si solleva pur anche in questa nostra città maestoso tempio. C’inginocchiammo tutti, e facemmo breve preghiera. Ma che? L’aiuto di Maria non si fece molto aspettare. Nell’atto che il sacerdote compartiva al desolato giovane la benedizione, sull’istante ebbe calma, e prese placido e profondo sonno. In quell’istante ci balenò alla mente un terribile sospetto; che cioè il povero giovane soccombette al male, ma no, egli erasi già profondamente addormentato, e Maria aveva udita la preghiera del suo devoto, e Dio la benedizione del suo ministro.
            Passarono più mesi, e il giovane soggetto al male dei denti non ne fu più molestato.

(Dallo stesso).

V. Alcune meraviglie di Maria Ausiliatrice.
            Credo che il vostro nobile periodico farà buon viso ad alcuni avvenimenti succeduti tra di noi, che io espongo ad onore di Maria Ausiliatrice. Ne trascelgo solamente alcuni di cui sono stato testimonio in questa città, ommettendone molti altri che si raccontano ogni dì.
            Il primo riguarda ad una signora di Milano che da cinque mesi si andava consumando da una polmonite congiunta ad una totale prostrazione dell’economia vitale.
Passando da queste parti il Sac. B… venne da esso consigliata a fare ricorso a Maria Ausiliatrice, mercè una novena di preghiera ad onore di lei, con promessa di qualche oblazione per continuare i lavori della chiesa, che appunto sotto il titolo di Maria aiuto dei cristiani si va innalzando in Torino. Questa oblazione per altro era soltanto da farsi a grazia ottenuta.
            Meraviglia a dirsi! In quel giorno stesso l’inferma poté ripigliare le sue ordinarie e gravi occupazioni, accomodarsi a qualsiasi genere di cibi, andare a passeggio, entrare e uscire da casa liberamente, come se non fosse mai stata ammalata. Quando poi si terminava la novena, ella si trovava nello stato di florida sanità, quale non si ricordava mai aver in addietro goduta.
            Un’altra Signora da tre anni pativa un male di palpitazione, con molti incomodi che a questo male vanno congiunti. Ma la venuta di qualche febbre e di una specie di idropisia l’aveva resa immobile in letto. Il suo male era giunto a tal segno, che quando il mentovato sacerdote le dava la benedizione, il marito di lei dovette alzarle la mano, affinché potesse fare il segno della santa croce. Fu parimente raccomandata una novena ad onore di Gesù Sacramentato e di Maria Ausiliatrice, con promessa di qualche oblazione pel sopra citato sacro edifizio, ma a grazia compiuta. Nel giorno stesso, in cui si terminava la novena, la inferma era libera da ogni male, e poté ella medesima compilare la narrazione del suo male, in cui leggo quanto segue:
            “Maria Ausiliatrice mi ha fatto guarire da una malattia, per cui si reputava inutile ogni ritrovato dell’arte. Oggi, ultimo giorno della novena, io sono libera da ogni male, e vado a mensa colla mia famiglia, cosa che da tre anni non aveva più potuto fare. Finché vivrò, non cesserò di magnificare la potenza e la bontà dell’augusta Regina del cielo, e mi adopererò per promuovere il culto di lei, specialmente nella chiesa che si sta costruendo in Torino.”
            Aggiungo ancora un altro fatto, che è altresì più meraviglioso degli antecedenti.
            Un giovinetto sul fiore degli anni si vedeva aperta una delle più luminose carriere per la via delle scienze, quando fu colpito da crudo male ad una mano. Malgrado ogni cura, ogni sollecitudine dei medici più accreditati non si poterono ottenere miglioramenti, né poteva arrestarsi il progresso del male. Tutte le conclusioni dei periti dell’arte concorrevano a dire doversi venire all’amputazione, per impedire la totale rovina del corpo. Spaventato egli a questa sentenza, volle fare ricorso a Maria Ausiliatrice, mettendo in opera i medesimi rimedii spirituali, che altri con tanto frutto avevano praticato. L’acutezza dei dolori cessò sull’istante, le piaghe si mitigarono, e in breve tempo apparve compiuta guarigione. Chi volesse soddisfare alla propria curiosità potrebbe rimirare quella mano che presenta le tacche ed i fori delle piaghe cicatrizzate, che ricordano la gravezza del suo male e la meravigliosa guarigione del medesimo. Esso volle andare a compiere in persona la sua oblazione a Torino, per dimostrare viepiù la sua gratitudine verso l’augusta Regina del cielo.
            Ho ancora molti altri racconti di questo genere, che vi esporrò con altre mie lettere, se giudicherete questa essere materia opportuna pel vostro periodico. Vi prego di omettere i nomi delle persone, cui i fatti si riferiscono, per non esporle ad importune dimande ed osservazioni. Valgano tuttavia questi fatti a ravvivare ognora più fra i cristiani la fiducia nella protezione di Maria Ausiliatrice, per accrescerle i devoti in terra, e per avere un giorno più gloriosa corona dei suoi devoti in cielo.

(Dalla Vera Buona Novella di Firenze).

Con approvazione Ecclesiastica.

Fine




Il profumo

Una fredda mattina di marzo, in un ospedale, per colpa di complicazioni gravi, una bambina nacque molto prima del previsto, dopo solo sei mesi di gravidanza.
Era un esserino minuscolo e i neo genitori furono colpiti dolorosamente dalle parole del medico: «Non credo che la bambina abbia molte probabilità di sopravvivere. C’è solo il 10 per cento di possibilità che sopravviva alla notte, ed anche se ciò accadesse per qualche miracolo, la probabilità che abbia complicazioni future è molto alta». Paralizzati dalla paura, la mamma e il papà ascoltavano le parole del dottore che descriveva loro tutti i problemi che avrebbe dovuto affrontare la bambina. Non sarebbe mai stata in grado di camminare, parlare, vedere, sarebbe stata ritardata mentalmente e molto altro ancora.
Mamma, papà e il loro bambino di cinque anni avevano tanto atteso quella bambina. Nel giro di poche ore, vedevano tutti i loro sogni e desideri spezzati per sempre.
Ma i loro problemi non erano finiti, il sistema nervoso della piccola non era ancora sviluppato. Quindi qualunque carezza, bacio o abbraccio era pericoloso, i familiari sconsolati non potevano neanche trasmetterle il loro amore, dovevano evitare di toccarla.
Si presero per mano tutti e tre e pregarono, formando un piccolo cuore pulsante nell’immenso ospedale:
«Dio onnipotente, Signore della vita, fai tu quello che noi non possiamo fare: prenditi cura della piccola Diana, stringila al tuo petto, cullala tu e falle sentire tutto il nostro amore».
Diana era un batuffolo palpitante e lentamente cominciò a migliorare. Passavano le settimane e la piccola continuava a prendere peso e diventare più forte. Finalmente, quando Diana compì due mesi i suoi genitori poterono abbracciarla per la prima volta.
Cinque anni dopo, Diana era diventata una bambina serena che guardava verso il futuro con fiducia e con tanta voglia di vivere. Non c’erano segni di deficienza fisica o mentale, era una bambina normale vispa e piena di curiosità.
Ma non è questa la fine della storia.
Un caldo pomeriggio, in un parco non lontano da casa, mentre suo fratello giocava a calcio con gli amici, Diana era seduta in braccio della mamma. Come sempre chiacchierava felice, quando all’improvviso si zittì. Strinse le braccia come abbracciasse qualcuno e chiese alla mamma: «Lo senti?».
Sentendo nell’aria che si avvicinava la pioggia, la mamma rispose: «Sì. Profuma come quando sta per piovere».
Dopo un po’, Diana, alzò la testa e accarezzandosi le braccia esclamò: «No, profuma come Lui. Profuma come quando Dio ti abbraccia forte».
La mamma cominciò a piangere calde lacrime, mentre la bambina sgattaiolava verso le sue piccole amiche per giocare con loro.
Le parole della figlia avevano confermato ciò che la donna sapeva in cuor suo, da tanto tempo ormai. Durante tutto il periodo in ospedale, mentre lottava per la vita, Dio si era preso cura della piccola, abbracciandola così spesso che il suo profumo era rimasto impresso nella memoria di Diana.

In ogni bambino rimane il profumo di Dio. Perché abbiamo tutti tanta fretta di cancellarlo?




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (12/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Rimembranza della funzione per 1a pietra angolare della chiesa sacrata a Maria Ausiliatrice il giorno 27 Aprile 1865.

FILOTICO, BENVENUTO, CRATIPPO E TEODORO.

            Filot. Bella festa è quella di quest’oggi.
            Crat. Festa bellissima; io sono da molti anni in quest’Oratorio, ma festa pari non vidi mai, e difficilmente potremo farne altra simile in avvenire.
            Benv. Mi presento a voi, cari amici, pieno di meraviglia: non so darmi ragione.
            Filot. Di che?
            Benv. Non so darmi ragione di quello che ho veduto.
            Teod. Chi sei tu, donde vieni, che hai veduto?
            Benv. Io sono forestiere, e sono partito dalla mia patria per venire a far parte dei Giovani dell’Oratorio di S. Francesco di Sales. Giunto in Torino domando di essere qua condotto, ma appena entrato vedo vetture regalmente fornite, cavalli, staffieri, cocchieri tutti adornati con grande magnificenza. Possibile! dissi fra me, che questa sia la casa che io, povero orfanello, vengo ad abitare? Entro di poi nel recinto dell’Oratorio, vedo una moltitudine di giovanetti che van gridando inebbriati di gioia e quasi frenetici: Viva, gloria, trionfo, benevolenza da tutti e sempre. – Alzo lo sguardo verso il campanile e vedo una piccola campanella agitarsi in tutti i versi per produrre con ogni suo sforzo un armonioso scampanio. – Pel cortile musica di qua, musica di là: chi corre, chi salta, chi canta, chi suona. Che cosa è mai tutto questo?
            Filot. Ecco in due parole la ragione. Oggi fu benedetta la pietra angolare della novella nostra chiesa. Sua Altezza il Principe Amedeo si degnò di venire a deporvi sopra la prima calce; Sua Eccellenza il Vescovo di Susa ne venne a fare la religiosa funzione; gli altri poi sono una schiera di nobili personaggi e d’insigni nostri Benefattori, che intervennero a fine di prestar omaggio al Figlio del Re, e nel tempo stesso rendere più maestosa la solennità di questo bellissimo giorno.
            Benv. Ora comprendo la cagione di tanta allegria; ed avete ben motivo di celebrare una gran festa. Ma, se mi permettete una osservazione, sembrami che voi l’abbiate sbagliala nella parte principale. In un giorno così solenne per fare la debita accoglienza a tanti insigni personaggi, all’Augusto Figlio del nostro Sovrano, voi avreste dovuto preparare grandi cose. Voi avreste dovuto costruire archi trionfali, coprire di fiori le strade, inghirlandare ogni angolo di rose, ornare ogni parete di eleganti tappeti, con mille altre cose.
            Teod. Hai ragione, caro Benvenuto, hai ragione, questo era nostro comune desiderio. Ma che vuoi? Poveri giovanetti, come siamo, ne fummo impediti non dalla volontà, che in noi è grande, ma dall’assoluta nostra impotenza.
            Filot. A fine di ricevere degnamente questo nostro amato Principe, pochi giorni or sono ci siamo tutti radunati per trattare quanto era da farsi in un giorno cotanto solenne. Uno diceva: Se io avessi un regno lo vorrei offrirlo, poiché ne è veramente degno. Ottimo, risposero tutti; ma, poverini, abbiamo niente. Ah, i miei compagni soggiunsero, se non abbiamo un regno da offrirgli, possiamo almeno costituirlo Re dell’Oratorio di s. Francesco di Sales. Noi fortunati! tutti esclamarono, allora cesserebbe tra noi la miseria, e vi sarebbe una festa perenne. Un terzo poi, vedendo senza fondamento le altrui proposte, conchiuse, che noi potevamo farlo Re dei nostri cuori, padrone del nostro affetto; e poiché parecchi nostri compagni sono già sotto ai suoi comandi nella milizia, offrirgli la nostra fedeltà, la nostra sollecitudine, qualora venisse il tempo in cui noi dovessimo militare nel reggimento da lui diretto.
            Benv. Che risposero i tuoi compagni?
            Filot. Tutti accolsero con gioia quel progetto. In quanto poi agli apparecchi del ricevimento abbiamo detto unanimi: Questi Signori vedono già cose grandi, cose magnifiche, cose maestose a casa loro, e sapranno dare benigno compatimento alla nostra impotenza; e noi abbiamo motivo di tanto sperare dalla generosità e dalla bontà del loro Cuore.
            Benv. Bravo, hai detto bene.
            Teod. Benissimo, approvo quanto dite. Ma intanto non dobbiamo almeno loro in qualche modo manifestare la nostra gratitudine, e rivolgere loro qualche parola di ringraziamento?
            Benv. Sì, miei cari, ma prima vorrei che appagaste la mia curiosità intorno a parecchie cose riguardanti agli Oratorii ed alle cose che in essi si fanno.
            Filot. Ma noi faremo esercitare di troppo la pazienza a questi amati Benefattori.
            Benv. Credo che tal cosa tornerà loro eziandio di gradimento. Imperciocché siccome essi furono e sono tuttora nostri insigni Benefattori, ascolteranno con piacere l’oggetto della loro beneficenza.
            Filot. Io non sono in grado di fare tanto, perché è appena un anno dacché sono qui. Forse Cratippo, che è dei più anziani, sarà in grado di appagarci; non è vero, Cratippo?
            Crat. Se giudicate che io sia capace di tanto, volentieri mi adoprerò per appagarvi. – Dirò primieramente che gli Oratorii nella loro origine (1841) non erano altro che radunanze di giovanetti per lo più forestieri, che nei giorni festivi intervenivano in siti determinati per essere istruiti nel Catechismo. Quando poi si poterono avere locali più opportuni, allora gli Oratorii (1844) divennero luoghi in cui i giovani si radunavano per trattenersi in piacevole ed onesta ricreazione dopo avere soddisfatto ai loro religiosi doveri. Quindi giocare, ridere, saltare, correre, cantare, suonare, trombettare, battere i tamburi era il nostro trattenimento. – Poco dopo (1846) vi si aggiunse la scuola domenicale, di poi (1847) le scuole serali. – Il primo Oratorio è quello ove noi ci troviamo, detto di S. Francesco di Sales. Dopo questo se ne aprì un altro a Porta Nuova; quindi un altro più tardi in Vanchiglia, e pochi anni sono quello di S. Giuseppe a S. Salvano.
            Benv. Tu mi racconti la storia degli Oratorii festivi, e questa piace assai; ma io vorrei sapere qualche cosa di questa casa. Di quale condizione sono i giovanetti accolti in questa casa? In quale cosa sono essi occupati?
            Crat. Sono in grado di poterti soddisfare. Fra i giovani che frequentano gli Oratorii, ed anche di altri paesi, se ne incontrano alcuni, i quali o perché totalmente abbandonati, o perché poveri o scarsi di beni di fortuna li attenderebbe un tristo avvenire, se una mano benefica non prendesse di loro cura paterna, ed accoltili, loro non somministrasse quanto è necessario per la vita.
            Benv. Da quanto mi dici, pare che questa casa sia destinata a poveri giovanetti, e intanto io vi vedo tutti così ben vestiti che mi sembrate tanti signorini.
            Crat. Vedi, Benvenuto, attesa la festa straordinaria che oggi facciamo, ciascuno trasse fuori quanto aveva o poté avere di più bello, e così possiamo fare, se non maestosa, almeno compatibile comparsa.
            Benv. Siete molti in questa casa?
            Crat. Siamo circa ottocento.
            Benv. Ottocento! ottocento! E come soddisfare all’appetito di tanti distruggitori di pagnottelle?
            Crat. Di questo noi non ci occupiamo; ci pensi il panettiere.
            Benv. Ma come far fronte alle spese che occorrono?
            Crat. Dà uno sguardo a tutti questi personaggi che con bontà ci ascoltano, e tu saprai chi e come si provvede quanto occorre per vitto, vestito, ed altro che sia a tale scopo.
            Benv. Ma la cifra di ottocento mi sbalordisce! In qual cosa si possono mai occupare, tutti questi giovani e di giorno e di notte!
            Crat. È cosa facilissima occupargli di notte. Ciascuno a letto dorme il fatto suo e sta in disciplina, ordine e silenzio sino al mattino.
            Benv. Ma tu celi.
            Crat. Dico questo per secondare la celia che mi proponesti. Se poi vuoi sapere quali siano le nostre giornaliere occupazioni, te le dirò pure in poche parole. Essi si dividono in due principali categorie – Una di Artigiani, l’altra di Studenti. – Gli Artigiani sono applicati ai mestieri di sarti, calzolai, ferrai, falegnami, legatori, compositori, tipografi, musici e pittori. Per esempio, queste litografie, questi dipinti sono lavoro dei nostri compagni. Questo libro è stato stampato qui, e fu legato nel nostro laboratorio.
            In generale poi sono tutti studenti, perché devono tutti frequentare la scuola serale, ma coloro che manifestano maggior ingegno e miglior condotta sogliono dai nostri superiori essere applicati esclusivamente allo studio. Per questo noi abbiamo la consolazione di avere fra i nostri compagni alcuni medici, altri notai, altri avvocati, maestri, professori, ed anche parroci.
            Benv. E questa musica è tutta dei giovani di questa casa?
            Crat. Sì, i giovani che appena cantarono o suonarono sono giovani di questa casa; anzi la stessa composizione musicale è quasi tutta roba dell’Oratorio; imperciocché ogni giorno ad ora determinata vi è scuola apposita, e ciascuno oltre ad un mestiere od allo studio letterario, può avanzarsi nella scienza musicale.
            Per questo motivo noi abbiamo il piacere di aver eziandio parecchi nostri compagni che esercitano luminose cariche civili e militari per la scienza letteraria, mentre non pochi sono addetti alla musica in vari reggimenti, nella Guardia Nazionale, nel medesimo Reggimento di S. A. il Principe Amedeo.
            Benv. Questo mi piace assai; così quei giovanetti che sortirono dalla natura perspicace ingegno possono coltivarlo, e non sono costretti dalla indigenza a lasciarlo inoperoso, od a fare cose contrarie alle loro propensioni. – Ma ditemi ancora una cosa: entrando qui ho veduto una chiesa bella e fatta, e tu mi hai detto che se ne vuol fare un’altra: che necessità avi di questo?
            Crat. La ragione è semplicissima. La chiesa di cui ci siamo finora serviti era specialmente destinata ai giovanetti esterni che intervenivano nei giorni festivi. Ma pel numero sempre crescente di giovanetti accolti in questa casa, la chiesa divenne ristretta, e gli esterni ne sono quasi totalmente esclusi. Dimodoché possiamo calcolare che nemmeno un terzo dei giovani che interverrebbero possono aver posto. – Quante volte si dovettero respingere schiere di giovanetti e permettere che andassero a fare i monelli nelle piazze per la sola ragione che non vi era più posto in chiesa!
            Si aggiunga ancora che dalla chiesa parrocchiale di Borgo Dora fino a s. Donato esiste una moltitudine di case, e molte migliaia di abitanti, nel cui mezzo non avi né chiesa, né cappella, né poco, né molto spaziosa: né per i fanciulli, né per gli adulti che pure v’interverrebbero. Era pertanto necessaria una chiesa abbastanza spaziosa per accogliere i fanciulli, e che somministrasse anche spazio per gli adulti. A questo pubblico e grave bisogno tende a provvedere la costruzione della chiesa che forma l’oggetto della nostra festa.
            Benv. Le cose così esposte mi danno una idea giusta degli Oratorii e dello scopo della chiesa, e credo che ciò torni anche di gradimento a questi Signori, che così conoscono dove vada a terminare la loro beneficenza. Mi rincresce per altro molto di non essere un eloquente oratore od un valente poeta per improvvisare uno splendido discorso, od un sublime poema sopra quanto mi hai detto con qualche espressione di gratitudine e di ringraziamento a questi Signori.
            Teod. Io pure vorrei fare altrettanto, ma appena so che in poesia la lunghezza delle linee deve essere uguale e non più; perciò a nome dei miei compagni e dei nostri amati Superiori solo dirò a S. A. il Principe Amedeo e a tutti gli altri Signori che noi fummo contentissimi di questa bella festa; che faremo una iscrizione in carattere d’oro in cui si dica:

Viva eterno questo dì!
            Prima il sole dall’Occaso
            Fia che torni al suo Oriente;
            Ogni fiume a sua sorgente

Prima indietro tornerà,
            Che dal cuor ci si cancelli
            Questo dì che fra i più belli
            Tra di noi sempre sarà.

            A voi poi in particolare, Altezza Reale, dico che noi vi portiamo grande affetto, e ci avete procurato un grandissimo favore col venirci a visitare, e che ogni qualvolta avremo la bella ventura di vedervi per la città o altrove, oppure ascolteremo parlare di voi, sarà sempre per noi oggetto di gloria, di onore, di verace compiacenza. Prima per altro che parliate da noi, permettete che a nome dei miei amati Superiori e dei miei cari compagni vi domandi un favore; ed è che vi degniate ancora di venire altre volte a vederci per così rinnovarci la gioia di questo bel giorno. Voi poi, Eccellenza, continuateci quella paterna benevolenza che ci avete finora usato. Voi, o Signor Sindaco, che in tante guise prendeste parte al nostro bene, continuateci la vostra protezione, e procurateci il favore che la via Cottolengo venga rettificata di fronte alla novella chiesa; e noi vi accertiamo, che raddoppieremo verso di voi la profonda nostra gratitudine. Voi, signor Curato, degnatevi di considerarci sempre non solo come parrocchiani, ma come cari figli che in voi ravviseranno ognora un tenero e benevolo padre. A tutti poi ci raccomandiamo affinché vogliate continuare ad essere, come lo foste nel passato, insigni benefattori specialmente per compiere quel santo edifizio che forma l’oggetto dell’odierna solennità. Esso è già cominciato, già sorge fuori terra, e col fatto porge egli stesso la mano ai caritatevoli perché lo conducano a compimento. In fine mentre vi assicuriamo che rimarrà grata ed incancellabile nei nostri cuori la memoria di questo bel giorno, unanimi preghiamo la Regina del cielo, a cui è dedicato il novello tempio, che vi ottenga dal Datore di tutti i beni vita lunga e giorni felici.

(continua)




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (11/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Appendice di cose diverse

I. Antico uso della consacrazione delle chiese.

            Fabbricata che sia la chiesa, non si possono ivi cantare i divini uffizi, celebrarvi il santo sacrificio e le altre ecclesiastiche funzioni, se prima non venga benedetta o consacrata. Il vescovo colla molteplicità delle croci e colle aspersioni dell’acqua benedetta intende purgare e santificare il luogo cogli esorcismi contro ai maligni spiriti. Questa benedizione può eseguirsi dal vescovo o da un semplice sacerdote, ma colla diversità dei riti. Ove intervenga l’unzione del sagro crisma e dei santi olii la benedizione spetta al vescovo, e chiamasi solenne, reale e consecutiva perché ha il compimento di tutte le altre, e molto più perché la materia benedetta e consacrata non può convertirsi in uso profano; perciò rigorosamente dicesi consacrazione. Se poi in tali cerimonie si fanno solo alcune orazioni con riti e cerimonie analoghe, la funzione può essere eseguita da un sacerdote, e suole chiamarsi benedizione.
            La benedizione può essere fatta da qualunque sacerdote, colla licenza però dell’Ordinario, ma la consacrazione spetta al Papa, ed al solo vescovo. Il rito di consacrare le chiese è antichissimo non che pieno di gravi misteri, e G. Cristo ancor bambino ne santificò l’osservanza, mentre la sua capanna ed il presepio si cambiarono in tempio nell’offerta che fecero i Re Magi. La spelonca perciò divenne tempio, ed il presepio un altare. S. Cirillo ci avvisa che dagli apostoli fu consacrato in chiesa il cenacolo ove avevano ricevuto lo Spirito Santo, sala che raffigurò anche la Chiesa universale. Anzi secondo Niceforo Calisto, hist. lib. 2, cap. 33, fu tale la sollecitudine degli apostoli, che in ogni luogo ove predicavano il vangelo consacravano qualche chiesa od oratorio. Il Pontefice s. Clemente I, creato l’anno 93, successore non meno che discepolo di san Pietro, tra le altre sue ordinazioni decretò, che tutti i luoghi di orazione fossero a Dio consacrati. Certamente al tempo di s. Paolo le chiese erano consacrate, come vogliono alcuni dottori, scrivendo ai Corinti al c. III, aut Ecclesiam Dei contemnitis? S. Urbano I, eletto nell’anno 226, consacrò in chiesa la casa di santa Cecilia, come scrisse Burius in vita eius. S. Marcello I, creato l’anno 304, consacrò la chiesa di s. Lucina, come racconta il Papa s. Damaso. Vero è per altro che la solennità della pompa, con cui si compie oggidì la consacrazione, si aumentò in progresso di tempo, dopo che Costantino nel ridonare la pace alla Chiesa fabbricò sontuose basiliche. Anche i templi dei Gentili, già abitazione dei falsi numi, e nido di menzogna, si convertirono in chiese colla approvazione del pio imperatore, e furono consacrati colla santità delle venerande reliquie dei martiri. Laonde il Pontefice san Silvestro I a seconda delle prescrizioni dei suoi predecessori ne stabilì il rito solenne, il quale fu ampliato e confermato da altri Papi, massime da s. Felice III. Si rileva che s. Innocenzo I stabilì che le chiese non si consacrassero più di una volta. Il Pontefice s. Gio. I nel recarsi a Costantinopoli per le cose degli Ariani consacrò in cattoliche le chiese degli eretici, come si legge nel Bernini[1].

II. Spiegazione delle principali cerimonie che si usano nella consacrazione delle chiese.

            Lungo sarebbe descrivere le mistiche spiegazioni che i santi Padri e i Dottori danno ai riti e alle cerimonie della consacrazione della chiesa. Il Cecconi ne parla ai capi X e XI, ed il P. Galluzzi al capo IV, da cui ricaviamo compendiosamente quanto segue.
            I sacri Dottori pertanto non dubitarono di asserire, che la consacrazione della chiesa è una delle più grandi funzioni sacre ecclesiastiche, come si ricava dai sermoni dei santi Padri, e dai trattati liturgici dei più celebri autori dimostrando la eccellenza e nobiltà che racchiude sì bella funzione tutta diretta a far rispettare e venerare la casa di Dio. Si premettono le vigilie, i digiuni e le orazioni a fine di prepararsi agli esorcismi contro il demonio. Le reliquie rappresentano i nostri santi. E perché gli abbiamo sempre in mente e nel cuore si ripongono nella cassetta con tre grani di incenso. La scala per la quale ascende il vescovo all’unzione delle dodici croci ci ricorda che l’ultimo e primario nostro fine è il Paradiso. Le dette croci e le altrettante candele significano i dodici Apostoli, i dodici Patriarchi, e i dodici Profeti che sono la guida e le colonne della Chiesa.
            Inoltre nell’unzione delle dodici croci in altrettanti luoghi distribuite sulla muraglia consiste formalmente la consacrazione, e diconsi la chiesa e le sue mura consacrate, come nota s. Agostino, lib. 4, Contra Crescent. Si chiude la chiesa per figurare la celeste Sionne, ove non si entra se non purgali da ogni imperfezione, e colle diverse preghiere s’invoca l’aiuto dei santi, e il lume dello Spirito Santo. Il girare che fa tre volle il vescovo, in un col clero per la chiesa, si vuole alludere al giro che fecero i sacerdoti coll’arca intorno alle mura di Gerico, non perché cadano le mura della chiesa, ma perché venga fiaccata la superbia del demonio e la sua potenza mediante l’invocazione di Dio, ed alla replica delle sacre preghiere assai più efficaci delle trombe degli antichi sacerdoti o leviti. Le tre percosse che dà il vescovo colla punta del pastorale alla soglia della porta, ci dimostrano la potestà del Redentore sopra la sua Chiesa, non che la dignità sacerdotale che il vescovo esercita. L’alfabeto greco e latino figura l’antica unione dei due popoli prodotta dalla croce del medesimo Redentore; e lo scrivere che fa il vescovo colla punta del pastorale, significa la dottrina ed il ministero apostolico. La forma poi di questa scrittura indica la croce che deve essere l’ordinario e principale oggetto di ogni scienza dei cristiani fedeli. Significa inoltre la credenza e fede di Cristo passata dai Giudei ai Gentili, e da questi trasmessa a noi. Tutte le benedizioni sono ripiene di gravi significati, come lo sono tutte le cose che si adoperano nell’augusta funzione. Le sacre unzioni colle quali s’imbalsamo l’altare e le pareti della chiesa significano la grazia dello Spirito Santo, che non può arricchire il mistico tempio della nostra anima, se prima non è mondata dalle sue macchie. Termina la funzione colla benedizione secondo lo stile della santa Chiesa, la quale sempre incomincia le sue azioni colla benedizione di Dio, e con esse le termina, giacché tutto principia da Dio e in Dio finisce. Si compie col sacrificio non solo per eseguire il pontificio decreto di s. Igino, ma perché non è consacrazione compiuta ove colla Messa non si consuma interamente anche la vittima.
            Dall’imponenza del sacro rito, dall’eloquenza della sua mistica significazione, facilmente possiamo rilevare quanta importanza le attribuisca la santa Chiesa nostra madre e quindi quanta importanza dobbiamo darle noi. Ma ciò che deve accrescere la nostra venerazione verso la casa del Signore, è il vedere quanto questo rito sia fondato e informato dal vero spirito del Signore rivelato nell’Antico Testamento. Lo spirito che guida oggi la Chiesa a circondar di tanta venerazione, i templi del culto cattolico, è lo stesso che inspirava a Giacobbe di santificar coll’olio il luogo dove aveva avuta la visione della scala; è lo stesso che inspirava a Mosè ed a Davide, a Salomone ed a Giuda Maccabeo di onorar con riti speciali i luoghi destinati ai divini misteri. Oh quanto questa unione di spirito dell’uno e dell’altro Testamento, dell’una e l’altra Chiesa ci ammaestra e ci consola! Esso ci dimostra quanto gradisca Dio di essere adorato ed invocato nelle sue chiese, perciò quanto volentieri esaudisca le preghiere che in esse gli rivolgiamo. Quanto rispetto per un luogo, la profanazione del quale armò di flagello la mano di un Dio e lo cambiò di mansueto agnello in severo punitore!
            Accorriamo pertanto al sacro tempio, ma con frequenza, giacché quotidiano e il bisogno che abbiamo di Dio; interveniamovi, ma con fiducia e con religioso timore. Con fiducia, giacché vi troviamo un Padre pronto ad esaudirci, a moltiplicarci il pane delle sue grazie come già sul monte, ad abbracciarci come il figlio, prodigo, a consolarci come la Cananea, nei bisogni temporali come alle nozze di Cana, nei bisogni spirituali come sul Calvario; con timore, giacché quel Padre non cessa di esserci giudice, e se ha orecchi da sentire le nostre preghiere, ha pur occhi da vedere le nostre irriverenze, e se tace ora agnello paziente nel suo tabernacolo, parlerà con voce tremenda nel gran giorno del giudizio. Se lo offendiamo fuori di chiesa, ci resterà ancora la chiesa di scampo per averne il perdono; ma se lo offendiamo dentro la chiesa, dove andremo per essere perdonati?
            Nel tempio si placa la divina giustizia, si riceve la divina misericordia, suscepimus divinam misericordiam tuam in medio templi tui. Nel tempio Maria e Giuseppe trovarono Gesù quando lo ebbero smarrito, nel tempio lo troveremo noi se lo cercheremo con quello spirito di santa fiducia e di santo timore con cui lo cercarono Maria e Giuseppe.

Copia della inscrizione chiusa nella pietra angolare della chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice in Valdocco.

D. O. M.

UT VOLUNTATIS ET PIETATIS NOSTRAE
SOLEMNE TESTIMONIUM POSTERIS EXTARET
IN MARIAM AGUSTAM GENITRICEM
CHRISTIANI NOMINIS POTENTEM
TEMPLUM HOC AB INCHOATO EXTRUERE
DIVINA PROVIDENTIA UNICE FRETIS
IN ANIMO FUIT
QUINTA TANDEM CAL. MAI. AN. MDCCCLXV
DUM NOMEN CHRISTIANUM REGERET
SAPIENTIA AC FORTITUDINE
PIUS PAPA IX PONTIFEX MAXIMUS
ANGULAREM AEDIS LAPIDEM
IOAN. ANT. ODO EPISCOPUS SEGUSINORUM
DEUM PRECATUS AQUA LUSTRALI
RITE EXPIAVIT
ET AMADEUS ALLOBROGICUS V. EMM. II FILIUS
EAM PRIMUM IN LOCO SUO CONDIDIT
MAGNO APPARATU AC FREQUENTI CIVIUM CONCURSU
SALVE O VIRGO PARENS
VOLENS PROPITIA TUOS CLIENTES
MAIESTATI TUAE DEVOTOS
E SUPERIS PRAESENTI SOSPITES AUXILIO.

I. B. Francesia scripsit.

Traduzione.

A solenne testimonianza messo i posteri della nostra benevolenza e religione verso l’augusta Madre di Dio Maria Ausiliatrice abbiamo deliberato di edificare cotesto tempio dalle fondamenta addì XXVII aprile dell’anno MDCCCLXV governando la Chiesa Cattolica con sapienza e fortezza il Pontefice Massimo Pio IX secondo i riti religiosi si benedisse la pietra angolare della chiesa da Giovanni Antonio Odone vescovo di Susa ed Amedeo di Savoia figlio di Vittorio E. II la collocò per la prima volta a posto in mezzo a grande apparato e numeroso concorso di popolo. Salve, o Vergine Madre, soccorri benevola ai tuoi cultori alla tua maestà devoti e difendili dal cielo con efficace aiuto.

Inno letto nella solenne benedizione della pietra angolare.

Quando il cultor degli idoli
            Mosse a Gesù la guerra,
            Di quanti mila intrepidi
            S’insanguinò la terra!
            Da fiere lotte incolume
            Di Dio la Chiesa uscita
            Propaga ancor sua vita,
            Dall’uno all’altro mar.

E vanta pur suoi martiri
            Quest’umile vallea,
            Quivi fu morto Ottavio,
            Qui Solutor cadea.
            Bella immortal vittoria!
            Sulle sanguigne zolle
            Dei Martiri s’estolle
            Forse il divino altar.

E qui l’afflitto giovane
            Aprendo i suoi sospiri,
            Un refrigerio all’anima
            Trova nei suoi martiri;
            Qui la sprezzata vedova
            Dal cuor devoto e santo
            Depone l’umil pianto
            In seno al Re dei Re,

E a te che suoli vincere
            Più che non mille spade,
            A Te che vanti glorie
            In tutte le contrade,
            A Te potente ed umile
            Cui tutto il nome dice,
            MARIA AUSILIATRICE,
            Tempio innalziamo a Te.

Dunque, o pietosa Vergine,
            Si grande a’tuoi cultori,
            Sopra di loro in copia
            Deh! versa i tuoi favori.
            Già con pupilla tenera
            Il giovin PRENCE mira,
            Che a’tuoi allori aspira,
            Oh Madre al Redentor!

Egli di mente e d’indole,
            Di nobile sentire,
            A Te si dona, o Vergine,
            Degli anni in sul fiorire;
            Egli con vece assidua
            Ode a Te sacro carme,
            Ed or desia dell’arme
            Il solito fragor.

Ei di Amedeo la gloria,
            Le gran virtù d’Umberto
            Nutre nel cuor, e memora
            Il celestial lor serto;
            E dalle bianche nuvole,
            Dalle celesti squadre
            Della beata Madre
            Ascolta il pio parlar.

Caro e diletto Principe,
            Schiatta di santi eroi,
            Quale pensier benefico
            Ti mena qui fra noi?
            Uso alle aurate regie,
            Del mondo alto splendore
            Del miser lo squallore
            Degnasti visitar?

Bella speranza al popolo,
            In mezzo a cui tu vieni,
            Possa tuoi giorni vivere
            Calmi, dolci e sereni:
            Mai sul tuo capo giovane,
            Sull’alma tua secura
            Non strida la sventura,
            Non surga amaro dì.

Saggio e zelante Presule,
            E nobili Signori,
            Quanto all’Eterno piacciono
            I santi vostri ardori?
            Beata vita e placida
            Vive chi pel decoro
            Del Tempio il suo tesoro
            O l’opera largì.

O dolce e pio spettacolo!
            O giorno memorando!
            Giorno più bello e nobile,
            Qual mai si vide e quando?
            Ben mi favelli all’anima:
            Di questo ancor più bello
            Giorno fia certo quello
            Che il Tempio s’apra al ciel.

Nella difficil opera
            Benefici dorate,
            E presto giunti al termine,
            Con gioia in Dio posate;
            E allor sciogliendo fervido
            Sulla mia cetra un canto:
            Lode diremo al Santo
            Al Forte d’Israel.

(continua)


[1] Compendio delle eresie pag. 170. Sui templi dei gentili convertiti in chiese, vedasi il Butler Vite, novembre, p. 10.




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (10/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Capo XIX. Mezzi con cui fu edificata questa Chiesa.
            Quelli che hanno parlato o udito a parlare di questo sacro edifizio avranno desiderio di sapere donde si sono ricavati i mezzi che in complesso superano già il mezzo milione. Io mi trovo in grave difficoltà di rispondere a me stesso, perciò meno in grado di soddisfare agli altri. Dirò adunque che i corpi legali diedero da principio belle speranze; ma in pratica giudicarono di non concorrere. Alcuni agiati cittadini scorgendo la necessità di questo edifizio, fecero promessa di vistose largizioni, ma per lo più cangiarono divisamento e giudicarono meglio di impiegare altrove la loro beneficenza.
            È vero che alcuni benestanti devoti avevano promesso oblazioni, ma a tempo opportuno, cioè avrebbero fatte oblazioni quando avessero avuto certezza dell’opera ed avessero veduti i lavori inoltrati.
            Coll’offerta del Santo Padre e di qualche altra pia persona si poté far acquisto del terreno e non altro; sicché quando si trattò di cominciare i lavori io non aveva un soldo da spendere a questo scopo. Qui da una parte vi era certezza che quell’edifizio era di maggior gloria di Dio, dall’altra contrastava l’assoluta mancanza di mezzi. Allora si conobbe chiaro che la Regina del Cielo voleva non i corpi morali, ma i corpi reali, cioè i veri devoti di Maria dovessero concorrere alla santa impresa, e Maria volle essa medesima porvi la mano e far conoscere che essendo opera sua Ella stessa voleva edificarla: Aedificavit sibi domum Maria.
            Io adunque intraprendo il racconto delle cose come sono succedute, e racconto coscienziosamente la verità, e mi raccomando al benevolo lettore di darmi benigno compatimento se trova qualche cosa che a lui non torni gradita. Ecco adunque. Gli scavi erano cominciati, e si avvicinava il giorno di quindicina quando appunto si dovevano pagare gli zappatori, e non si aveva danaro di sorta; quando un fortunato avvenimento apri una via inaspettata alla beneficenza. A motivo del sacro ministero fui chiamato al letto di persona gravemente inferma. Giaceva immobile da tre mesi, travagliata da tosse e febbre con grave sfinimento di stomaco. Se mai, ella prese a dire, potessi riacquistare un poco di sanità, sarei disposta a fare qualunque preghiera, qualunque sacrificio; sarebbe per me un gran favore se potessi anche solo alzarmi di letto.
            – Che cosa intenderebbe di fare?
            – Quanto mi dice.
            – Faccia una novena a Maria Ausiliatrice.
            – Che cosa dire?
            – Per nove giorni reciti tre Pater, Ave e Gloria al SS. Sacramento con tre SalveRegina alla Beata Vergine.
            – Questo lo farò; e quale opera di carità?
            – Se giudica bene e se otterrà un vero miglioramento alla sua sanità, farà qualche offerta per la chiesa di Maria Ausiliatrice che si sta cominciando in Valdocco.
            – Sì, sì: ben volentieri. Se nel corso di questa novena io otterrò solamente di potermi alzare di letto e fare alcuni passi per questa camera, farò un’offerta per la chiesa di cui mi parla ad onore della Santa Vergine Maria.
            Si cominciò la novena ed eravamo già all’ultimo giorno; io doveva dare in quella sera non meno di mille franchi ai terrazzieri. Vado pertanto a visitare la nostra ammalata, nella cui guarigione erano tutte le mie risorse, e non senza ansietà ed agitazione suono il campanello dell’abitazione di lei. La fantesca mi apre e con gioia mi annunzia che la sua padrona era perfettamente guarita, aveva già fatte due passeggiate ed era già andata in chiesa per ringraziare il Signore.
            Mentre la fantesca in fretta quelle cose raccontava, si avanza giubilante la stessa padrona dicendo: Io sono guarita, sono già andata a ringraziare la Madonna Santissima; venga, ecco il pacco che le ho preparato; è questa la prima offerta, ma non sarà certamente l’ultima. Prendo il pacco, vado a casa, lo verifico, e ci trovo cinquanta napoleoni d’oro, che formavano appunto i mille franchi di cui abbisognava.
            Questo fatto, primo di questo genere, io tenni gelosamente celato; nulladimeno si dilatò come scintilla elettrica. Altri e poi altri si raccomandarono a Maria Ausiliatrice facendo la novena e promettendo qualche oblazione se ottenevano la grazia implorata. E qui so io volessi esporre la moltitudine dei fatti, dovrei farne non un piccolo libretto, ma grossi volumi.
            Male di capo cessato, febbri vinte, piaghe ed ulceri cancrenose sanate, reumatismi cessati, convulsioni risanate, male d’occhi, di orecchi, di denti, di reni istantaneamente guariti; tali sono i mezzi di cui servissi la misericordia del Signore per somministrarci quanto era necessario a condurre a termine questa chiesa.
            Torino, Genova, Bologna, Napoli, ma più di ogni altra città, Milano, Firenze, Roma furono le città che, avendo in modo speciale provata la benefica influenza della Madre delle grazie invocata sotto al nome di aiuto dei cristiani, dimostrarono eziandio la loro gratitudine colle oblazioni. Anche più remoti paesi come Palermo, Vienna, Parigi, Londra e Berlino ricorsero colla solita preghiera e colla solita promessa a Maria Ausiliatrice. Non mi consta che alcuno sia ricorso invano. Un favore spirituale o temporale più o meno segnalato fu sempre il frutto della dimanda e del ricorso fatto alla pietosa Madre, al potente aiuto dei cristiani. Ricorsero, ottennero il celeste favore, fecero la loro offerta senza esserne in alcun modo richiesti.
            Se tu, o lettore, entrerai in questa chiesa, vedrai un pulpito per noi di elegante costruzione; è una persona gravemente inferma, che ne fa promessa a Maria Ausiliatrice; guarisce ed ha compiuto il suo voto. L’altare elegante della cappella a destra è di una matrona romana che lo offre a Maria per grazia ricevuta.
            Se gravi motivi, che ognuno può di leggeri supporre, non persuadessero differirne la pubblicazione, potrei dire paese e nome delle persone che da ogni parte fecero ricorso a Maria. Anzi si potrebbe asserire che ogni angolo, ogni mattone di questo sacro edifizio ricorda un benefizio, una grazia ottenuta da questa augusta Regina del cielo.
            Persona imparziale raccoglierà questi fatti, che a tempo opportuno serviranno a far conoscere alla posterità le meraviglie di Maria Ausiliatrice.
            In questi ultimi tempi la miseria facendosi in modo eccezionale sentire, noi pure andavamo rallentando i lavori per attendere tempi migliori alla continuazione dei medesimi; quando altri mezzi provvidenziali vennero in soccorso. Il colera morbus che infieriva tra noi e nei paesi confinanti commosse i cuori più insensibili e spregiudicati.
            Fra le altre una madre vedendo un suo unico figliuolo strozzato dalla violenza del male, lo invitò a fare ricorso a Maria SS. aiuto dei cristiani. Nell’eccesso del dolore egli profferì queste parole: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Col più vivo affetto del cuore la madre ripeté la medesima giaculatoria. In quel momento si mitigò la violenza del morbo, l’infermo diede in un copioso sudore a segno che in poche ore restò fuori di ogni pericolo, e quasi interamente guarito. La notizia di questo fatto si dilatò, altri e poi altri si raccomandarono con fede in Dio onnipotente e nella potenza di Maria Ausiliatrice con promessa di fare qualche offerta per continuare la costruzione della sua chiesa. Non si sa che alcuno abbia in questo modo ricorso a Maria senza essere stato esaudito. Avverandosi così il detto di s. Bernardo, che non si è mai udito al mondo che alcuno sia con fiducia ricorso invano a Maria. Mentre scrivo ricevo (maggio 1868) un’offerta con una relazione di persona di molta autorità, che mi annunzia come un paese intiero fu in modo straordinario liberato dall’infestazione del colera mercè la medaglia, il ricorso e la preghiera fatta a Maria Ausiliatrice. In questa guisa sopravvennero oblazioni da tutte parti, oblazioni, è vero, di piccola entità, ma che messe insieme bastarono al bisogno.
            Neppure è da passarsi sotto silenzio altro mezzo di beneficenza per questa chiesa, quale è l’offerta di una parte del profitto del commercio, o del frutto delle campagne. Molti, che da parecchi anni non ricavavano più alcun frutto dai bachi da seta e dalle vendemmie, promisero di dare il decimo del prodotto che ne avrebbero ricevuto. Ne furono straordinariamente favoriti; contenti perciò di mostrare alla loro celeste benefattrice speciali segni di gratitudine colle loro offerte.
            Così noi abbiamo condotto questo per noi maestoso edifizio con un dispendio sorprendente senza che alcuno abbia mai fatto questua di sorta. Chi lo crederebbe? Un sesto della spesa fu coperta con oblazioni di persone devote; il rimanente furono tutte oblazioni fatte per grazie ricevute.
            Ora vi sono ancora alcune note da saldare, alcuni lavori da ultimare, molti ornamenti e suppellettili da provvedere, ma abbiamo viva fiducia in questa augusta Regina del cielo, che non cesserà di benedire i suoi devoti e concedere loro grazie speciali, così che per divozione verso di lei e per gratitudine dei benefizi ricevuti continueranno a porgere la loro mano benefica per condurre la santa impresa al termine totale dei lavori. E così, come dice il supremo Gerarca della Chiesa, si accrescano i devoti di Maria sopra la terra e sia maggiore il numero dei fortunati suoi figli, che un giorno le faranno gloriosa corona nel regno dei cieli per lodarla, benedirla e ringraziarla in eterno.

Inno pel vespro della festa di Maria A.
Te Redemptoris, Dominique nostri
            Dicimus Matrem, speciosa virgo,
            Christianorum decus et levamen
                                    Rebus in arctis.
Saeviant portae licet inferorum,
            Hostis antiquus fremat, et minaces,
            Ut Deo sacrum populetur agmen,
                                    Suscitet iras.
Nil truces possunt furiae nocere
            Mentibus castis, prece, quas vocata
            Annuens Virgo fovet, et superno
                                    Robore firmat.
Tanta si nobis faveat Patrona
            Bellici cessat sceleris tumultus,
            Mille sternuntur, fugiuntque turmae,
                                    Mille cohortes.
Tollit ut sancta caput in Sione
            Turris, arx firmo fabricata muro,
            Civitas David, clypeis, et acri
                                    Milite tuta.
Virgo sic fortis Domini potenti
            Dextera, caeli cumulata donis,
            A piis longe famulis repellit
                                    Daemonis ictus.
Te per aeternos veneremur annos,
            Trinitas, summo celebrando plausu,
            Te fide mentes resonoque linguae
                                    Carmine laudent. Amen.

Inno pel vespro della festa di Maria A. – TRADUZIONE
Vergin Madre del Signore,
            Nostr’aïta e nostro vanto,
            Dalla valle ria del pianto
            T’imploriam con fede e amore.
Dalle porte dell’inferno
            Frema l’oste minacciando,
            Tu pietosa stai vegliando
            Con lo sguardo tuo superno.
Le sue furie scatenate
            Passeran senz’onte e danni,
            Se di casti cuor sui vanni
            Son le preci a Te innalzate.
Te Patrona, in ogni guerra
            Diventiam gli eroi del campo;
            Della tua possanza il lampo
            Mille schiere fuga e atterra.
Sei baluardo che circonda
            Di Sion le case sante;
            Di Davide sei la fionda
            Che percote il fier gigante.
Sei lo scudo che respinge
            Di Satanno il brando ignito,
            L’asta sei che il risospinge
            Nell’abisso dond’è uscito.
[…]

Inno per le lodi
Saepe dum Christi populus cruentis
            Hostis infensis premeretur armis,
            Venit adiutrix pia Virgo coelo
                                    Lapsa sereno.
Prisca sic Patrum monumenta narrant,
            Templa testantur spoliis opimis
            Clara, votivo repetita cultu
                                    Festa quotannis.
En novi grates liceat Mariae
            Cantici laetis modulis referre
            Pro novis donis, resonante plausu,
                                    Urbis et orbis.
O dies felix memoranda fastis,
            Qua Petri Sedes fidei Magistrum
            Triste post lustrum reducem beata
                                    Sorte recepit!
Virgines castae, puerique puri,
            Gestiens Clerus, populusque grato
            Corde Reginae celebrare caeli
                                    Munera certent.
Virginum Virgo, benedicta Iesu
            Mater, haec auge bona: fac, precamur,
            Ut gregem Pastor Pius ad salutis
                                    Pascua ducat.
Te per aeternos veneremur annos,
            Trinitas, summo celebrando plausu,
            Te fide mentes, resonoque linguae
                                    Carmine laudent. Amen.

Inno per le lodi – TRADUZIONE.
Quando il nemico acerrimo
            Ad assalir fu visto
            Con l’armi più terribili
            Il popolo di Cristo,
            Sovente alle difese
            Maria dal ciel discese.
Colonne altari e cupule
            Onuste di trofei,
            E riti e feste e cantici
            Fur dedicati a Lei.
            Oh quante le memorie
            Di tante sue vittorie!
Ma nuove grazie rendansi
            Ai nuovi suoi favori;
            Tutte le genti uniscansi
            Ed i superni cori
            In armonia divina
            Con la Città regina.
La Chiesa inconsolabile
            Rasserenato ha il ciglio;
            Il dì spuntò che reduce
            Da lungo tristo esiglio
            Di Pietro all’alma Sede
            Tornava il Sommo Erede.
Le vereconde giovani,
            I casti adolescenti
            Col Clero e con il popolo
            Cantin sì fausti eventi:
            Gareggino in omaggio
            D’affetti e di linguaggio.
O Vergin delle vergini,
            Madre del Dio di pace,
            Possa il Pastor dell’anime
            Col labbro sì verace
            E l’alta sua virtute
            Guidarci alla salute.
[…]

Teol. PAGNONE

(continua)




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (9/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Capo XVII. Continuazione e termine dell’edifizio.

            Sembra che la santa Vergine abbia di fatto esaudita la preghiera fatta pubblicamente nella benedizione della pietra angolare. I lavori proseguirono colla massima celerità, e nel corso del 1865 l’edifizio fu condotto fino al tetto, coperto, compiuta la volta, ad eccezione del tratto compreso nella periferia della cupola. L’anno 1866 si compié la cupola, il cupolino, mentre ogni cosa venne coperta di rame stagnato.
            L’anno 1867 fu terminata la statua rappresentante Maria madre di misericordia in atto di benedire i suoi devoti. A piè della statua si trova questa iscrizione: Angela e Benedetto coniugi Chirio in ossequio a Maria Ausiliatrice FF. Queste parole ricordano i nomi dei benemeriti oblatori di questa statua che è di rame battuto. L’altezza è di circa quattro metri, sormontata da dodici stelle dorate che fanno corona sopra il capo della gloriosa Regina del cielo. Quando la statua venne collocata al suo posto era semplicemente bronzata: la qual cosa rilevava assai bene i lavori dell’arte, ma a qualche distanza diveniva appena visibile, laonde si giudicò bene di indorarla. Una pia persona già per molti titoli benemerita s’incaricò di quella spesa.
            Ora risplende luminosa, e a chi la guarda di lontano al momento che è battuta dai raggi del sole, sembra che parli e voglia dire:
            Io sono bella come la luna, eletta come il sole: Pulcra ut luna, electa ut sol. Io sono qui per accogliere le suppliche dei miei figli, per arricchire di grazie e di benedizioni quelli che mi amano. Ego in altissimis habito ut ditem diligentes me, et thesauros eorum repleam.
            Finiti i lavori di fregio e di ornamento della statua fu essa benedetta con una delle più devote solennità.
            Monsignor Riccardi nostro veneratissimo Arcivescovo assistito da tre canonici della Metropolitana e da molti Sacerdoti si compiacque di venire Egli stesso a fare quella sacra funzione. Dopo breve discorso diretto a dimostrare l’uso antico delle immagini presso al popolo Ebreo e nella Chiesa primitiva, si compartiva la benedizione col Venerabile.
            Coll’anno 1867 i lavori vennero quasi ultimati. Il rimanente dell’interno della chiesa fu fatto nei cinque primi mesi dell’anno corrente 1868.
            Sono pertanto cinque gli altari tutti di marmo lavorato con disegni e con fregi diversi. Per preziosità di marmi primeggia quello della cappella laterale a destra, che contiene verde antico, rosso di Spagna, alabastro orientale e della malachite. Le balaustre sono eziandio di marmo; i pavimenti ed i presbiteri sono l’atti in mosaico. Le pareti interne della chiesa furono semplicemente colorite senza pittura pel timore che la recente costruzione delle mura potesse contraffare la specie dei colori.
            Dalla prima base alla maggiore altezza sono metri 70; i basamenti, i legami, gli stillicidi, i cornicioni sono di granito. Nell’interno della chiesa e della cupola vi sono ringhiere in ferro per assicurare quelli che dovessero ivi eseguire qualche lavoro. Nell’esterno della cupola ve ne sono tre con una scala, se non molto comoda, certamente sicura per chi desiderasse salire fino al piedestallo della statua. Vi sono due campanili sormontati da due statue dell’altezza di due metri e mezzo caduno. Una di queste statue rappresenta l’Angelo Gabriele in atto di offrire una corona alla Santa Vergine; l’altro s. Michele che tiene una bandiera in mano, su cui è scritto in caratteri grossi: Lepanto. E ciò per ricordare la grande vittoria riportata dai Cristiani contro i Turchi presso Lepanto ad intercessione di Maria SS. Sopra uno dei campanili si trova un concerto in Mi bemolle di cinque campane che alcuni benemeriti devoti hanno promosso colle loro offerte. Sopra le campane sono incise parecchie immagini con analoghe iscrizioni. Una di queste campane è dedicata al supremo Gerarca della Chiesa Pio IX, un’altra a Mons. Riccardi nostro Arcivescovo.

Capo XVIII. Ancona maggiore. Dipinto di s. Giuseppe – Pulpito.

            Nella crociera a sinistra si trova l’altare dedicato a s. Giuseppe. Il quadro del santo è lavoro dell’artista Tomaso Lorenzone. La composizione è simbolica. Il Salvatore è presentato in età fanciullesca nell’atto che porge un canestro di fiori alla santa Vergine quasi dicendo: flores mei, flores honoris et honestatis. L’Augusta sua Madre dice di offrirlo a s. Giuseppe suo sposo, affinché per mano di esso siano regalati ai fedeli che a mani levate li stanno attendendo. I fiori figurano le grazie che Gesù offre a Maria, mentre essa ne costituisce s. Giuseppe assoluto dispensiere, come appunto lo saluta Santa Chiesa: constituit eum dominum domus suae.
            L’altezza del dipinto è di metri 4 per 2 di larghezza.
            Il pulpito è assai maestoso; il disegno è parimenti del cav. Antonio Spezia; la scultura con tutti gli altri lavori sono opera dei giovanetti dell’Oratorio di san Francesco di Sales. La materia è di noce lavorata e le tavole sono ben connesse. La posizione del medesimo è tale, che da qualunque angolo della chiesa si può vedere il predicatore.
            Ma il più glorioso monumento di questa chiesa è l’ancona ossia il gran dipinto che sovrasta all’altare maggiore in coro. Esso è parimenti lavoro del Lorenzone. La sua altezza è di oltre a sette metri per quattro. Si presenta allo sguardo come una comparsa di Maria Ausiliatrice nel modo seguente:
            La Vergine campeggia in un mare di luce e di maestà, assisa sopra di un trono di nubi. La copre un manto che è sostenuto da una schiera di Angeli, i quali facendole corona le porgono ossequio come loro Regina. Colla destra tiene lo scettro che è simbolo della sua potenza, quasi alludendo alle parole da Lei proferite nel santo Vangelo: Fecit mihi magna qui potens est. Colui, Dio, che è potente, fece a me cose grandi. Colla sinistra tiene il Bambino che ha le braccia aperte offrendo così le sue grazie e la sua misericordia a chi fa ricorso all’Augusta sua Genitrice. In capo ha il diadema ossia corona con cui è proclamata Regina del cielo e della terra. Da una parte superiore discende un raggio di luce celeste che dall’occhio di Dio va a posarsi sul capo di Maria. In esso sono scritte le parole: virtus altissimi obumbrabit tibi: la virtù dell’Altissimo Iddio ti adombrerà cioè ti coprirà e ti fortificherà.
            Dall’opposta parte superiore calano altri raggi dalla colomba, Spirito Santo, che vanno eziandio a posarsi sul capo di Maria con in mezzo le parole: Ave, gratia plena: Dio ti salvi, o Maria, tu sei piena di grazia. Questo fu il saluto fatto a Maria dall’Arcangelo Gabriele quando a nome di Dio le annunziò che doveva diventar Madre del Salvatore.
            Più in basso sono i santi Apostoli e gli Evangelisti s. Luca, s. Marco in figura alquanto maggiore del naturale. Essi trasportati da dolce estasi quasi esclamando: Regina Apostolorum, ora pro nobis, rimirano attoniti la Santa Vergine che loro appare maestosa sopra le nubi. Finalmente in fondo del dipinto si trova la città di Torino con altri devoti che ringraziano la S. Vergine dei benefizi ricevuti e la supplicano a continuare a mostrarsi madre di misericordia nei gravi pericoli della presente vita.
            In generale il lavoro è ben espresso, proporzionato, naturale; ma il pregio che non mai perderà è l’idea religiosa che genera una devota impressione nel cuore di chiunque la rimiri.

(continua)