Casa salesiana Tibidabo

Situata nella vetta più alta delle montagne di Collserola che offre una bella vista su Barcellona, la Casa salesiana Tibidabo ha una storia particolare, legata alla visita di don Bosco in Spagna, compiuta nel 1886.

Il nome della collina, “Tibidabo”, discende dal latino “Tibidabo”, che significa “ti darò”, e deriva da alcuni versetti della Sacra Scrittura: “… et dixit illi haec tibi omnia dabo si cadens adoraveris me”, “… e gli disse: Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” (Matteo 4,9). Questa frase viene pronunciata dal demonio a Gesù da una grande altezza, mostrandogli i regni della terra, cercando di tentarlo con le ricchezze di questo mondo.
Il vecchio nome della collina barcellonese era Puig de l’Àliga (Collina dell’Aquila). Il nuovo nome di “Tibidabo”, come altri nomi biblici (Valle di Hebron, il Monte Carmelo ecc.), è stato dato da alcuni religiosi che vivevano nella zona. La scelta di questo nuovo nome è stata fatta per la vista maestosa che offre sulla città di Barcellona, da un’altezza che dà la sensazione di dominare tutto.

Durante il suo viaggio in Spagna, don Bosco si recò nel pomeriggio del 5 maggio 1886, alla basilica di Nostra Signora della Misericordia, patrona della città di Barcellona, per ringraziarla dei favori ricevuti durante la sua visita alla città e per l’opera salesiana iniziata a Sarrià. Lì, alcuni signori delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli lo avvicinarono, gli diedero la proprietà di un terreno in cima al Tibidabo e lo pregarono di costruirvi un santuario del Sacro Cuore di Gesù. Gli chiesero questo favore “per mantenere salda e indistruttibile la religione che Lei ci ha predicato con tanto zelo ed esempio e che è l’eredità dei nostri padri”.

La reazione di don Bosco fu spontanea: “Sono confuso da questa nuova e inaspettata prova della sua religiosità e pietà. La ringrazio per questo; ma sappia che, in questo momento, lei è uno strumento della Provvidenza divina. Mentre lasciavo Torino per venire in Spagna, pensavo tra me e me: ora che la chiesa del Sacro Cuore a Roma è quasi terminata, dobbiamo studiare come promuovere sempre di più la devozione al Sacro Cuore di Gesù. E una voce interiore mi rassicurò che avrei trovato i mezzi per realizzare il mio desiderio. Questa voce mi ripeteva: Tibidabo, tibidabo (ti darò, ti darò). Sì, signori, voi siete gli strumenti della Divina Provvidenza. Con il vostro aiuto, presto sorgerà su questa montagna un santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù; lì tutti avranno la comodità di accostarsi ai santi Sacramenti, e la vostra carità e la fede di cui mi avete dato tante e così belle prove saranno sempre ricordate” (MB XVIII,114).

Il 3 di luglio dello stesso anno, 1886, l’ormai venerabile Dorotea de Chopitea, promotrice del lavoro salesiano a Barcellona e facilitatrice della visita di don Bosco alla città, finanziò la costruzione di una piccola cappella dedicata al Sacro Cuore sulla stessa collina.
Il progetto di costruzione del tempio subì un ritardo significativo, soprattutto a causa della comparsa di un nuovo progetto per la costruzione di un osservatorio astronomico sulla cima del Tibidabo, che alla fine fu costruito su una collina vicina (Osservatorio Fabra).
Nel 1902, fu posata la prima pietra della chiesa e nel 1911 fu inaugurata la cripta dell’attuale santuario del Tibidabo, alla presenza dell’allora Rettor Maggiore, don Paolo Albera. Alcuni giorni dopo l’inaugurazione, quest’ultimo fu nominato “Tempio Espiatorio e Nazionale del Sacro Cuore di Gesù” conforme a una decisione presa nell’ambito del XXII Congresso Eucaristico Internazionale, che si tenne a Madrid alla fine del mese di giugno del 1911. L’opera fu completata nel 1961 con l’erezione della statua del Sacro Cuore di Gesù, settantacinque anni dopo la visita di Giovanni Bosco a Barcellona. Nel 29 ottobre 1961, la chiesa ricevette il titolo di basilica minore, concesso da papa Giovanni XXIII.

Oggi, il tempio continua ad attirare un gran numero di pellegrini e visitatori da tutto il mondo. Accoglie cordialmente tutti coloro che vengono alla Basilica del Sacro Cuore di Gesù, per qualsiasi motivo, dando loro l’opportunità di ricevere il messaggio del Vangelo e di accostarsi ai sacramenti, in particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione. È allo stesso tempo una parrocchia affidata ai Salesiani, anche se ha pochi parrocchiani stabili.
Per coloro che sono venuti con l’intenzione di trascorrere un po’ di tempo in preghiera mette a disposizione anche i materiali offerti dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, di cui il Tempio è membro.
Si continua l’adorazione del Santissimo Sacramento durante il giorno, e si incoraggia la pratica dell’adorazione notturna.
E a coloro che voglio fare un ritiro, mette a disposizione alloggio e vitto all’interno della struttura salesiana.
Un’opera dedicata al Sacro Cuore di Gesù voluta dalla Provvidenza tramite san Giovanni Bosco, che continua la sua missione attraverso la storia.

don Joan Codina i Giol, sdb
direttore Tibibabo

Galleria foto – Casa salesiana al Tibidabo

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Benedizione della Cappella del Sacro Cuore, Tibidabo, 03.07.1886
Sentiero alla Cappella del Sacro Cuore, Tibidabo, 1902
Tempio Espiatorio del Sacro Cuore. Cripta nel 1911
Statua del Sacro Cuore al Tibidabo
Cupola dell'altare della cripta al Tibidabo
Dettaglio nella cupola dell'altare della cripta al Tibidabo. Don Bosco riceve la proprietà





Basilica del Sacro Cuore a Roma

Al tramonto della vita, ubbidendo a un desiderio di papa Leone XIII, don Bosco assume la difficile costruzione del tempio del Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio di Roma. Per portare a termine l’impresa gigantesca non ha risparmiato faticosi viaggi, umiliazioni, sacrifici, che hanno abbreviato la sua preziosa vita di apostolo della gioventù.

La devozione al Sacro Cuore di Gesù risale agli inizi della Chiesa. Nei primi secoli i Santi Padri invitavano a guardare il Costato trafitto di Cristo, simbolo di amore, anche se non rimandava in modo esplicito al Cuore del Redentore.
I primi riferimenti trovati sono quelli che provengono dai mistici Matilde di Magdeburgo (1207-1282), santa Matilde di Hackeborn (1241-1299), santa Gertrude di Helfta (ca. 1256-1302) e beato Enrico Suso (1295-1366).
Uno sviluppo importante arriva con le opere di san Giovanni Eudes (1601-1680), poi con le rivelazioni private della visitandina santa Margherita Maria Alacoque, diffuse da san Claude de la Colombière (1641-1682) e dai suoi confratelli gesuiti.
Alla fine dell’800 si diffondono le chiese consacrate al Sacro Cuore di Gesù, principalmente come templi espiatori.
Con la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù, tramite l’enciclica di Leone XIII, Annum Sacrum (1899) il culto si estende notevolmente e si rafforza con altre due encicliche che verranno più tardi: Miserentissimus Redemptor (1928) di Pio XI e soprattutto Haurietis Aquas (1956) di Pio XII.

Ai tempi di don Bosco, dopo la costruzione della stazione ferroviaria Termini da parte di papa Pio IX nel 1863, cominciano a popolarsi le vicinanze, e le chiese circostanti non riuscivano a servire i fedeli in modo adeguato. Nasce così il desiderio di edificare un tempio nella zona, ed si è inizialmente pensato di dedicarlo a san Giuseppe, nominato come patrono della Chiesa Universale l’8 dicembre 1870. Dopo una serie di avvenimenti, nel 1871 il papa cambia il patronaggio della voluta chiesa, dedicandola al Sacro Cuore di Gesù, e rimane in stato di progetto fino al 1879. Intanto il culto verso il Sacro Cuore continua a diffondersi, e nel 1875, a Parigi, sulla collina più alta della città, Montmartre (Monte dei Martiri), si pone la prima pietra alla chiesa omonima, Sacré Cœur, che verrà completata nel 1914 e consacrata nel 1919.

Dopo la morte di papa Pio IX, il nuovo papa Leone XIII (come arcivescovo di Perugia aveva consacrato la sua diocesi al Sacro Cuore) decide di riprendere il progetto, e il 16 agosto 1879 si pone la prima pietra. I lavori si interrompono poco dopo per la mancanza di sostegno finanziario. Uno dei cardinali, Gaetano Alimonda (futuro arcivescovo di Torino) consiglia al papa di affidare l’impresa a don Bosco e, anche se il pontefice inizialmente è titubante sapendo gli impegni delle missioni salesiane dentro e fuori l’Italia, fa la proposta al Santo nell’aprile del 1880. Don Bosco non ci pensa due volte e risponde: “Il desiderio del Papa è per me un comando: accetto l’impegno che Vostra Santità ha la benevolenza di affidarmi”. All’avvertimento del Papa che non potrà sostenerlo economicamente, il Santo chiede solo l’apostolica benedizione e i favori spirituali necessari per il compito affidato.

Posa della prima pietra della chiesa Sacro Cuore di Gesù a Roma

Di ritorno a Torino, vuole avere l’approvazione del Capitolo per questa impresa; dei sette voti, solo uno è positivo: il suo… Il Santo non si scoraggiò e argomentò: “Mi avete dato tutti un no rotondo e sta bene, perché avete agito secondo la prudenza necessaria in casi seri e di grande importanza come questo. Ma se invece di un no mi date un sì, io vi assicuro che il Sacro Cuore di Gesù manderà i mezzi per fabbricare la sua chiesa, pagherà i nostri debiti e ci darà una bella mancia” (MB XIV,580). Dopo questo intervento si è ripetuta la votazione e i risultati furono tutti positivi e la mancia principale fu l’Ospizio del Sacro Cuore che fu costruito accanto alla chiesa per i ragazzi poveri e abbandonati. Questo secondo progetto dell’Ospizio è stato inserito in una Convenzione fatta l’11 dicembre 1880, che garantiva l’uso perpetuo della chiesa alla Congregazione Salesiana.
L’accettazione gli causerà gravi preoccupazioni e gli costerà la salute, ma don Bosco che insegnava ai suoi figli il lavoro e la temperanza e diceva che sarebbe stato un giorno di trionfo quello in cui si fosse detto che un salesiano era morto sulla breccia affranto dalla fatica, li precedeva con l’esempio.

L’edificazione del Tempio del Sacro Cuore al Castro Pretorio in Roma venne realizzata non solo per l’obbedienza al Papa ma anche per la devozione.
Riprendiamo uno dei suoi interventi su questa devozione, fatto in una buonanotte rivolta agli allievi e confratelli a un solo mese di distanza dall’incarico, il 3 di giugno del 1880, vigilia della festa del Sacro Cuore.
Domani, miei cari figliuoli, la Chiesa celebra la festa del Sacro Cuore di Gesù. Bisogna che anche noi con grande impegno procuriamo di onorarlo. È vero che la solennità esterna la trasporteremo a domenica; ma domani incominciamo a far festa nel nostro cuore, a pregare in modo speciale, a far comunioni fervorose. Domenica poi ci sarà musica e le altre cerimonie del culto esterno, che rendono tanto belle e maestose le feste cristiane.
Qualcheduno di voi vorrà sapere che cosa sia questa festa e perché si onori specialmente il Sacro Cuore di Gesù. Vi dirò che questa festa non è altro che onorare con una speciale rimembranza l’amore che Gesù portò agli uomini. Oh l’amore grandissimo, infinito che Gesù ci portò nella sua incarnazione e nascita, nella sua vita e predicazione, e particolarmente nella sua passione e morte! Siccome poi sede dell’amore è il cuore, così si venera il Sacro Cuore, come oggetto che serviva di fornace a questo smisurato amore. Questo culto al Sacratissimo Cuor di Gesù, cioè all’amore che Gesù ci dimostrò, fu di tutti i tempi e sempre; ma non sempre vi fu una festa appositamente stabilita per venerarlo. Come sia comparso Gesù alla Beata Margherita una festa le abbia manifestato i grandi beni che verranno agli uomini onorando di culto speciale il suo amabilissimo cuore, e come se ne sia perciò stabilita la festa, lo sentirete nella predica di domenica a sera.
Ora facciamoci coraggio ed ognuno faccia del suo meglio per corrispondere a tanto amore che Gesù ci ha portato.
(MB XI,249)

Sette anni più tardi, nel 1887, la chiesa fu completata per il culto. Il 14 maggio di quell’anno don Bosco assistette con commozione alla consacrazione del tempio, presieduta solennemente dal cardinale vicario Lucido Maria Parocchi. Due giorni più tardi, il 16 maggio, celebrò l’unica Santa Messa in questa chiesa, all’altare dell’Ausiliatrice, interrotta ben più di quindici volte dalle lacrime. Erano lacrime di riconoscenza per la luce divina ricevuta: aveva capito le parole del suo sogno di nove anni: “A suo tempo tutto comprenderai!”. Un compito portato a termine tra tante incomprensioni, difficoltà e fatiche, ma che corona una vita spesa per Dio e per i giovani, premiato dalla stessa Divinità.

Recentemente è stato realizzato un video sulla Basilica del Sacro Cuore. Ve lo proponiamo a seguire.






Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (3/3)

(continuazione dall’articolo precedente)

Sempre in azione
Ma la Provvidenza bisogna anche “cercarla”. Ed ecco don Bosco in agosto tornare a scrivere al conte Cibrario, Segretario dell’Ordine Mauriziano, per ricordargli che era giunto il tempo di onorare la seconda parte dell’impegno economico assunto due anni prima. Da Genova per fortuna gli arrivano cospicue offerte da parte del conte Pallavicini e dei conti Viancino di Viancino; altre offerte gli pervengono in settembre dalla contessa Callori di Vignale e così da altre città, Roma e Firenze in particolare.
Arriva però presto un inverno freddissimo, con il conseguente incremento dei prezzi al consumo, pane compreso. Don Bosco va in crisi di liquidità. Fra lo sfamare centinaia di bocche e il sospendere i lavori edilizi, la scelta è obbligata. I lavori per la chiesa dunque ristagnano, mentre i debiti crescono. Il 4 dicembre don Bosco prende allora carta e penna (d’oca) e scrive a Roma al solito cavalier Oreglia: “Raccolga molti danari, poi ritorni, ché non sappiamo più dove prenderne. È vero che la Madonna fa sempre la sua parte, ma in fine dell’anno tutti i provveditori domandano denaro”. Splendido!

9 giugno 1868: solennissima consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice
Nel gennaio 1868 don Bosco si diede da fare per completare l’arredamento interno della chiesa di Maria Ausiliatrice.
A Valdocco la situazione si presentava comunque piuttosto seria. Scriveva don Bosco a Roma al cav. Oreglia: “Qui continuiamo con un freddo molto intenso: oggi toccò 18 gradi sotto zero; malgrado il fuoco della stufa il ghiaccio in mia camera non poté fondere.

Abbiamo ritardato la levata dei giovani, e siccome la maggior parte è vestita ancora da estate, così ciascuno si pose in dosso due camicie, giubba, corpetto, due paia di calzoni, cappotti militari; altri si tengono le coperte del letto sulle spalle lungo la giornata e sembrano proprio tante mascherate da carnevale”.
Fortunatamente una settimana dopo il freddo diminuì ed il metro di neve cominciò a sciogliersi.
Intanto a Roma si stava preparando la medaglia commemorativa. Don Bosco, avutala in mano, fece fare delle correzioni nella scritta e dimezzare lo spessore onde risparmiare. Il pur tanto denaro raccolto era sempre inferiore al bisogno. Così la colletta per la cappella di S. Anna promossa dalle nobildonne fiorentine, in particolare dalla contessa Virginia Cambray Digny, moglie del ministro di Agricoltura, Finanza e Commercio, a metà febbraio era ancora ad un sesto del totale (6000 lire). Don Bosco comunque non disperò e invitò la contessa a Torino: “Spero che Ella in qualche occasione potrà farci una visita ed osservare co’ propri occhi questo per noi maestoso edifizio, di cui si può dire che ogni mattone è una offerta fatta da quanti ora vicini ora lontani ma sempre per grazia ricevuta”.
E così era veramente, se ad inizio primavera lo ripeté al solito cavaliere (e lo avrebbe stampato poco dopo nel libro commemorativo Maraviglia della madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice): “Io sono ingolfato nelle spese, note molte da saldare, tutti i lavori da ripigliare; faccia quel che può ma preghi con fede. Credo tempo opportuno per chi vuole grazia da Maria! Noi ne vediamo ogni giorno una”.

Altare iniziale della chiesa di Maria Ausiliatrice

I preparativi della festa
A metà di marzo l’arcivescovo Riccardi fissò la consacrazione della chiesa per la prima quindicina di giugno. Tutto era ormai pronto: i due campanili della facciata sormontata da due arcangeli, la grande statua dorata sulla cupola già benedetta dall’arcivescovo, i cinque altari di marmo con i rispettivi quadri, fra cui quello meraviglioso di Maria Ausiliatrice con il bambino in braccio, circondata da angeli, apostoli, evangelisti, in un tripudio di luce e colori.
Scattò allora un piano eccezionale per la preparazione. Anzitutto si trattava di trovare il vescovo consacrante; poi di contattare vari vescovi per le solenni celebrazioni della mattina e della sera di ogni giorno dell’ottavario; inoltre di diramare gli inviti personali a decine di insigni benefattori, sacerdoti e laici di tutta Italia, molti dei quali da degnamente ospitare in casa; infine di preparare centinaia di ragazzi sia a solennizzare con canti i pontificali e le cerimonie liturgiche, sia a partecipare ad accademie, giochi, sfilate, momenti di gioia ed allegria.

Finalmente il gran giorno

Tre giorni prima del 9 giugno, a Valdocco arrivarono i ragazzi del collegio di Lanzo. Domenica 7 giugno “L’Unità Cattolica” pubblicò il programma delle celebrazioni, lunedì 8 giugno giunsero i primi invitati e si annunciò la venuta del duca d’Aosta in rappresentanza della Famiglia Reale. Arrivarono pure i ragazzi del collegio di Mirabello. Ecco allora i cantori passare ore ed ore a fare le prove della nuova Messa del maestro De Vecchi e del nuovo Tantum ergo di don Cagliero nonché della solennissima antifona Maria succurre miseris dello stesso Cagliero che si era ispirato al polifonico Tu es Petrus della basilica vaticana.
Il mattino seguente, 9 giugno alle 5,30 passando tra una duplice fila di 1200 ragazzi festosi e canterini, l’arcivescovo compì il triplice giro attorno alla chiesa e poi con il clero entrò nella chiesa per compiere a porte chiuse le previste cerimonie di consacrazione degli altari. Solo alle 10,30 la chiesa venne spalancata al pubblico che assistette alla messa dell’arcivescovo e a quella successiva di don Bosco. L’arcivescovo ritornò di pomeriggio per i vespri pontificali, solennizzati dal triplice coro dei cantori: 150 tenori e bassi ai piedi dell’altare di S. Giuseppe, 200 soprani e contralti sulla cupola, altri 100 tenori e bassi sul posto dell’orchestra. Don Cagliero li diresse, anche senza vederli tutti, attraverso un marchingegno elettrico studiato per l’occasione.

La vecchia sacrestia della chiesa di Maria Ausiliatrice

Fu un trionfo di musica sacra, un incantesimo, un qualcosa di paradisiaco. Indescrivibile fu la commozione dei presenti, che all’uscita della chiesa poterono pure ammirare l’illuminazione esterna della facciata e della cupola sormontata dalla statua di Maria Ausiliatrice pure illuminata.
E don Bosco? Tutto il giorno circondato da una folla di benefattori ed amici, commosso oltre ogni dire, non fece altro che lodare la Madonna. Un sogno “impossibile” si era realizzato.

Un ottavario altrettanto solenne
Celebrazioni solenni si alternarono mattina e sera lungo l’ottavario. Furono giornate indimenticabili, le più solenni che Valdocco avesse mai visto. Non per nulla don Bosco se ne fece propagatore subito con la robusta pubblicazione “Rimembranza di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice”.
Il 17 giugno a Valdocco tornò un po’ di pace, i ragazzi ospitati tornarono ai loro collegi, i devoti alle loro case; la chiesa mancava ancora di rifiniture interne, di ornamenti, suppellettili… Ma la devozione all’Ausiliatrice dei Cristiani, ormai diventata la “Madonna di don Bosco” gli sfuggì rapidamente di mano e dilagò per il Piemonte, l’Italia, l’Europa, l’America Latina. Oggi nel mondo si contano a centinaia le chiese a lei dedicate, a migliaia i suoi altari, a milioni i quadretti e le immaginette. Don Bosco ripete a tutti oggi, come a don Cagliero in partenza per le missioni nel novembre 1875: “Confidate ogni cosa in Gesù Cristo Sacramentato ed in Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli”.




Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (2/3)

(continuazione dall’articolo precedente)


La lotteria
L’autorizzazione venne concessa in tempi rapidissimi, per cui a Valdocco immediatamente si avviò la complessa macchina di raccolta e valutazione dei doni e di smercio dei biglietti: tutto come indicato nel piano di regolamento diffuso a mezzo stampa. Ad operare in prima persona per avere nominativi di personaggi di rilievo da inserire nel catalogo dei Promotori, per chiedere altri doni, per trovare acquirenti o “smerciatori” di biglietti della lotteria, fu il cav. Federico Oreglia di Santo Stefano, salesiano coadiutore. La lotteria venne ovviamente pubblicizzata sulla stampa cattolica della città, anche se solo dopo la chiusura, ai primi di giugno, di quella dei sordomuti.

I lavori continuano, le spese pure, i debiti anche
Il 4 giugno i lavori di muratura erano già due metri fuori dal suolo, ma il 2 luglio don Bosco fu costretto a ricorrere con urgenza ad un generoso benefattore, perché il capomastro Buzzetti potesse pagare la “quindicina agli operai” (8000 euro). Pochi giorni dopo nuovamente chiese ad un altro nobile benefattore se poteva impegnarsi a pagare lungo l’anno almeno qualcuno dei quattro lotti di tegole, assi ed assicelle per il tetto della chiesa, per un totale di spesa di circa 16 000 lire (64 000 euro). Il 17 luglio fu la volta di un sacerdote promotore della lotteria ad essere richiesto di pressante aiuto per poter pagare “un’altra quindicina per gli operai”: don Bosco gli propose di fargli avere il denaro con un immediato mutuo bancario, ovvero di prepararglielo per fine settimana quando lui stesso sarebbe andato a prenderlo o anche, meglio ancora, di portarglielo direttamente a Valdocco, dove avrebbe potuto vedere di persona la chiesa in costruzione. Insomma si navigava a vista ed il rischio di affondare per carenza di liquidità si rinnovava ogni mese.
Il 10 agosto mandò i moduli stampati alla contessa Virginia Cambray Digny, moglie del sindaco di Firenze, nuova capitale del Regno, invitandola a promuovere personalmente la lotteria. A fine mese una parte delle mura era già al tetto. E poco prima di Natale al marchese Angelo Nobili Vitelleschi di Firenze mandò 400 biglietti con preghiera di smerciarli fra le persone conosciute.
La ricerca di oggetti-dono per la lotteria di Valdocco e lo smercio dei relativi biglietti sarebbero proseguiti pure gli anni seguenti. Le circolari di don Bosco si sarebbero diffuse soprattutto al centro nord del Paese. Pure i benefattori di Roma, il papa in persona, avrebbe fatto la sua parte. Ma perché avrebbero dovuto impegnarsi a smerciare biglietti della lotteria per costruire una chiesa che non era la loro, per di più in una città che aveva appena cessato di essere capitale del Regno (gennaio 1865)?
Le motivazioni potevano essere varie, fra cui evidentemente quella di vincere qualche bel premio; ma di certo una fra le maggiori era di indole spirituale: a tutti coloro che avessero contribuito a costruire la “casa di Maria” in terra, a Valdocco, mediante elemosine in genere o il pagamento di strutture o di oggetti (finestre, vetrate, altare, campane, paramenti…) don Bosco, a nome della Vergine Maria, assicurava un premio speciale: un “bell’alloggio”, una “camera” ma non in un luogo qualunque, bensì “in paradiso”.

La Madonna fa la questua per la sua chiesa

Il 15 gennaio 1867 la Prefettura di Torino con apposito decreto fissa l’estrazione dei biglietti della lotteria il 1° aprile. Da Valdocco ci si affretta a spedire in tutta Italia i biglietti rimasti, con preghiera di restituire quelli invenduti entro metà marzo, così da poterli rispedire altrove prima dell’estrazione.
Don Bosco, che già da fine dicembre 1866 si era accinto ad un secondo viaggio a Roma (9 anni dopo il primo), con tappa a Firenze, per cercare di mettere d’accordo Stato e Chiesa sulla nomina di nuovi vescovi, ne approfitta per ripercorrere la rete delle sue amicizie fiorentine e romane. Riesce a smerciare molte mazzette di biglietti, tant’è che il compagno di viaggio, don Francesia sollecita la spedizione di altre, perché “tutti ne vogliono”.

La basilica e la primitiva piazza

Se al momento la benefica Torino, declassata dal ruolo di capitale del Regno, è in crisi, Firenze invece sta crescendo e così fa la sua parte con tante generose nobildonne; Bologna non è da meno, con il marchese Prospero Bevilacqua e la contessa Sassatelli. Non manca Milano, anche se proprio alla milanese Rosa Guenzati il 21 marzo don Bosco confida: “La lotteria si avvicina al suo termine ed abbiano ancora molti biglietti”.
Quale il risultato economico finale della lotteria? Circa 90 000 lire [328 000 euro], una bella cifra, si direbbe, ma che costituisce solo un sesto del denaro già speso; tant’è vero che il 3 aprile don Bosco deve chiedere ad un benefattore un urgente prestito di 5000 lire [18 250 euro] per un pagamento indilazionabile di materiale edilizio: gli era venuta meno un’entrata prevista.

La Madonna interviene
La settimana seguente don Bosco, trattando degli altari laterali con la contessa Virginia Cambray Digny di Firenze – si era fatta personalmente promotrice di una raccolta di fondi per un altare da dedicarsi a sant’Anna (madre della Madonna) – le comunica la ripresa dei lavori e la speranza (risultata poi vana) di potere inaugurare la chiesa entro l’anno. Conta sempre e soprattutto sulle offerte per le grazie che la Madonna concede di continuo agli oblatori e lo scrive a tutti, alla stessa Cambray Digny, alla signorina Pellico, sorella del famoso Silvio ecc. Qualche benefattrice, incredula, gliene chiede conferma e don Bosco lo ribadisce.

La basilica di Maria Ausiliatrice come la costruì Don Bosco

Le grazie aumentano, la loro fama si diffonde e don Bosco deve contenersi perché, come scrive il 9 maggio al cavaliere Oreglia di S. Stefano, salesiano inviato a Roma a cercare beneficenza: “Io non le posso scrivere perché ci sono interessato”. Invero non può mancare di aggiornare il suo elemosiniere il mese seguente: “Un signore guarito di un braccio portò immediatamente 3000 lire [11 000 euro] con cui si sono pagati una parte dei debiti dell’anno precedente… Io non ho mai vantato cose straordinarie; io ho sempre detto che M.SS. Ausiliatrice ha conceduto e concede tuttora grazie straordinarie a quelli che in qualche modo concorrono alla costruzione di questa chiesa. Io ho sempre detto e dico: ‘l’offerta si farà a grazia ricevuta, non prima’ [corsivo nell’originale]”. E il 25 luglio alla contessa Callori racconta di una ragazza da lui ricevuta, “pazza e furiosa” trattenuta da due uomini; appena benedetta si calmò e si confessò.

Se la Madonna si attiva, don Bosco non sta certo fermo. Il 24 maggio spedisce altra circolare per l’erezione e l’arredo della cappella dei SS. Cuori di Gesù e Maria: allega un modulo per l’iscrizione di offerta mensile, mentre chiede a tutti un’Ave Maria per gli oblatori. Lo stesso giorno, con una notevole “faccia tosta” domanda alla madre Galeffi delle Oblate di Tor de Specchi di Roma, se i 2000 scudi promessi tempo prima per l’altare dei SS. Cuori fanno parte, o no, della sua rinnovata disponibilità a fare altre cose per la chiesa. Il 4 luglio ringrazia il principe Orazio Falconieri di Carpegna di Roma per dono di calice e offerta per la chiesa. A tutti scrive che la chiesa avanza ed attende doni promessi, come gli altari delle cappelle, le campane, le balaustrine ecc. Le grandi offerte provengono dunque dagli aristocratici, dai principi della chiesa, ma non manca l’“obolo della vedova”, le offerte capillari della gente semplice: “La settimana scorsa in piccole offerte fatte per grazie ricevute vennero registrati 3800 franchi” [12 800 euro].
Il 20 febbraio 1867 la “Gazzetta Piemontese” dà la seguente notizia: “alle tante calamità ond’è afflitta l’Italia – [si pensi alla terza guerra d’indipendenza appena conclusa], ora dobbiamo aggiungere la ricomparsa del colera”. È l’inizio dell’incubo che minaccerà l’Italia per dodici mesi successivi, con decine di migliaia di morti in tutto il paese, Roma compresa, dove il morbo miete vittime anche fra personalità civili ed ecclesiastiche.
Sono preoccupatissimi i benefattori di don Bosco, che però li tranquillizza: “niuno di quelli che prendono parte alla costruzione della chiesa in onore di Maria sarà vittima di questi malanni, purché si riponga fiducia in lei”, scrive ad inizio luglio alla duchessa di Sora.

(continua)




Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (1/3)

Ha fatto tutto lei, la Madonna”, siamo soliti leggere nella letteratura spirituale salesiana, per indicare che la Vergine è stata all’origine di tutta la vicenda di don Bosco. Se applichiamo l’espressione alla costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice, essa trova un forte spessore di verità documentatissima, fermo restando sempre che, accanto all’intervento celeste, anche don Bosco ha fatto la sua parte, eccome!

Il lancio dell’idea e prime promesse di sussidi (1863)
A fine gennaio ­ inizio febbraio 1863 don Bosco diffuse un’ampia circolare circa lo scopo di una chiesa, intitolata a Maria Ausiliatrice, che aveva in animo di costruire a Valdocco: doveva servire per la massa dei giovani ivi accolti e per le ventimila anime del territorio circostante, con l’ulteriore possibilità di essere eretta a parrocchia dall’autorità diocesana.
Poco dopo, il 13 febbraio, comunicò al papa Pio IX, non solo che la chiesa era parrocchiale, ma che era già “in via di costruzione”. Da Roma ottenne l’esito sperato: a fine marzo ricevette 500 lire. Ringraziando il cardinale di Stato Antonelli per il sussidio ricevuto scriveva che “i lavori… sono per cominciarsi”. In effetti in maggio acquistò terreni e legname destinati alla cinta del cantiere e in estate si iniziarono i lavori di scavo, continuati poi fino all’autunno.
Alla vigilia della festa di Maria Ausiliatrice, il 23 maggio, il Ministero di Grazia, Giustizia e Culto, sentito il sindaco, marchese Emanuele Luserna, si dichiarò disponibile a concedere un sussidio. Don Bosco colse l’occasione per fare un immediato appello alla generosità del primo Segretario dell’Ordine Mauriziano e del sindaco. A questi, anzi, nella stessa data inviò un duplice appello: al primo, in forma privata, chiese il maggior sussidio possibile ricordandogli l’impegno che aveva assunto in occasione di una sua visita a Valdocco; con il secondo, in via formale, ufficiale, fece lo stesso, ma dilungandosi in particolari circa l’erigenda chiesa.

Le prime risposte interlocutorie
Agli appelli lanciati per ottenere offerte, seguirono le risposte. Quella del 29 maggio del segretario dell’Ordine Mauriziano fu negativa per l’anno in corso, ma non per l’anno successivo quando si sarebbe potuto mettere a bilancio un non meglio precisato sussidio. La risposta invece del 26 luglio da parte del Ministero fu positiva: venivano stanziate 6000 lire, ma la metà sarebbe stata consegnata all’uscita delle fondamenta al livello del suolo, l’altra metà alla copertura della chiesa; il tutto però condizionato dal sopralluogo e assenso di un’apposita commissione governativa. Infine l’11 dicembre giunse la risposta, purtroppo negativa, della Giunta comunale: il concorso economico del Comune era previsto solo per le chiese parrocchiali e quella di don Bosco non lo era. Ma neppure poteva esserlo facilmente, stante la sede vacante dell’arcidiocesi. Don Bosco si prese allora qualche giorno di riflessione e alla vigilia di Natale ribadì al sindaco la sua intenzione di costruire una grande chiesa parrocchiale a servizio del “popolatissimo quartiere”. In caso di mancato sussidio comunale, avrebbe dovuto limitarsi ad una chiesa di dimensioni molto più ridotte. Ma anche il nuovo appello cadde nel vuoto.
L’anno 1863 si chiudeva così per don Bosco con poco di concreto, salvo qualche generica promessa. C’era di che scoraggiarsi. Ma se le pubbliche autorità latitavano sul piano economico – pensava don Bosco – la divina Provvidenza non sarebbe venuta meno. Ne aveva sperimentato infatti la forte presenza una quindicina di anni prima, in occasione della costruzione della chiesa di San Francesco di Sales. Pertanto all’ingegner Antonio Spezia, già da lui conosciuto come ottimo professionista, affidò il compito di tracciare il progetto della nuova chiesa che aveva in mente. Fra l’altro avrebbe lavorato, ancora una volta, gratuitamente.

L’anno decisivo (1864)

In poco più di un mese il progetto era pronto, per cui a fine gennaio 1864 venne consegnato alla Commissione edilizia comunale. Intanto don Bosco aveva chiesto alla direzione delle ferrovie dello Stato dell’Alta Italia il trasporto gratuito a Torino delle pietre da Borgone nella bassa Val di Susa. Il favore venne accordato in tempi rapidi, ma non così avvenne per la Commissione edilizia. A metà marzo essa infatti respinse i disegni consegnati per “non regolarità di costruzione”, con l’invito all’ingegnere di modificarli. Ripresentati il 14 maggio, vennero trovati difettosi nuovamente il 23 maggio, con un ulteriore invito a tenerne conto; in alternativa si suggerì di pensare ad un diverso progetto. Don Bosco accolse la prima proposta, il 27 maggio il progetto, rivisto, venne approvato ed il 2 giugno il Comune rilasciò la licenza edilizia.

Prima foto della chiesa di Maria Ausiliatrice

Intanto don Bosco non aveva perso tempo. Aveva chiesto al sindaco di far tracciare l’esatta rettilineazione dell’infossata via Cottolengo, onde poter a proprie spese rialzarla con il materiale dello scavo della chiesa. Inoltre aveva diffuso al centro­nord Italia, tramite alcuni fidatissimi benefattori, una circolare a stampa in cui presentava le motivazioni pastorale della nuova chiesa, le dimensioni, i relativi costi (invero poi quadruplicati in corso d’opera). L’appello, indirizzato soprattutto ai “divoti di Maria”, era accompagnato da una scheda di iscrizione per quanti volessero indicare in anticipo la somma che avrebbero versato nel triennio 1864­1866. La circolare indicava anche la possibilità di offrire materiali per la chiesa o altri oggetti ad essa necessari. In aprile l’annunzio fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno e su “L’Unità Cattolica”.
I lavori proseguivano e don Bosco non poteva assentarsi per le continue richieste di modificazioni, soprattutto circa le linee di demarcazione sull’irregolare Via Cottolengo. In settembre ad una più ampia cerchia di benefattori inviò una nuova circolare, sul modello di quella precedente, ma con la precisazione che i lavori sarebbero terminati entro tre anni. Ne spedì copia pure ai principi Tommaso ed Eugenio di casa Savoia e al sindaco Emanuele Luserna di Rorà; a questi però chiese di nuovo solo di collaborare al progetto rettificando via Cottolengo.

Debiti, una lotteria e tanto coraggio
A fine gennaio 1865, in occasione della festa di san Francesco di Sales che vedeva radunati a Valdocco salesiani provenienti da varie case, don Bosco comunicò loro l’intenzione di avviare una nuova lotteria per raccogliere fondi per il prosieguo dei lavori (di scavo) per la chiesa. Dovette però rimandarla per la contemporanea presenza in città di un’altra in favore dei sordomuti. Di conseguenza i lavori, che sarebbero ripresi in primavera dopo la pausa invernale, non avevano copertura economica. Ecco allora don Bosco chiedere urgentemente all’amico e confratello di Mornese, don Domenico Pestarino, un prestito di 5000 lire (20 000 euro). Non voleva infatti ricorrere ad un mutuo bancario troppo oneroso nella capitale. Come non bastassero gli spinosi problemi finanziari, ne sorsero in concomitanza degli altri con i confinanti, in particolare con quelli della casa Bellezza. Don Bosco dovette pagare loro un indennizzo per la rinuncia al passaggio per Via della Giardiniera, che dunque veniva soppressa.

Solenne posa della prima pietra

Venne finalmente il giorno della posa della prima pietra della Basilica di Maria Ausiliatrice, il 27 aprile 1865. Don Bosco tre giorni prima, ne diramò gli inviti, nei quali annunciava che Sua Altezza reale il principe Amedeo di Savoia avrebbe messo la prima calce, mentre la funzione religiosa sarebbe stata presieduta dal vescovo di Casale, monsignor Pietro Maria Ferrè. Questi venne però a mancare all’ultimo minuto e la solenne cerimonia fu celebrata dal vescovo di Susa, monsignor Giovanni Antonio Odone, alla presenza del Prefetto della città, del Sindaco, di vari consiglieri comunali, di benefattori, di membri della nobiltà cittadina e della Commissione per la Lotteria. Il corteo del duca Amedeo venne accolto al suono della marcia reale dalla banda e dal coro di voci bianche degli allievi di Valdocco e del collegio di Mirabello. La stampa cittadina fece da cassa di risonanza al festoso evento e don Bosco, da par suo, cogliendone il grande significato politico-religioso, ne ampliò la storica portata con proprie pubblicazioni.

Piazza e chiesa di Maria Ausiliatrice

Tre giorni dopo, in una lunga e sofferta lettera a papa Pio IX per la difficile situazione in cui si trovava la Santa Sede a fronte della politica del Regno d’Italia, accennava alla chiesa ormai già con i muri fuori della terra. Chiedeva la benedizione sull’impresa in corso e dei doni per la lotteria che stava per lanciare. In effetti a metà maggio ne chiese formalmente l’autorizzazione alla Prefettura di Torino, motivandola con la necessità di saldare i debiti dei vari oratori di Torino, di provvedere vitto, vestito, alloggio e scuola ai circa 880 allievi di Valdocco e di continuare i lavori della chiesa di Maria Ausiliatrice. Ovviamente si impegnava ad osservare tutte le numerose disposizioni di legge al riguardo.

(continua)