Diventare un segno di speranza in eSwatini – Lesotho – Sudafrica dopo 130 anni

Nel cuore dell’Africa australe, tra le bellezze naturali e le sfide sociali di eSwatini, Lesotho e Sudafrica, i Salesiani celebrano 130 anni di presenza missionaria. In questo tempo di Giubileo, di Capitolo Generale e di anniversari storici, l’Ispettoria Africa Meridionale condivide i suoi segni di speranza: la fedeltà al carisma di Don Bosco, l’impegno educativo e pastorale tra i giovani e la forza di una comunità internazionale che testimonia fraternità e resilienza. Nonostante le difficoltà, l’entusiasmo dei giovani, la ricchezza delle culture locali e la spiritualità dell’Ubuntu continuano a indicare strade di futuro e di comunione.

Saluti fraterni dai Salesiani della più piccola Visitatoria e della più antica presenza nella Regione Africa-Madagascar (dal 1896, i primi 5 confratelli furono inviati da Don Rua). Quest’anno ringraziamo i 130 SDB che hanno lavorato nei nostri 3 Paesi e che ora intercedono per noi dal cielo. “Piccolo è bello”!

Nel territorio dell’AFM vivono 65 milioni di persone che comunicano in 12 lingue ufficiali, tra tante meraviglie della natura e grandi risorse del sottosuolo. Siamo tra i pochi Paesi dell’Africa sub-sahariana in cui i cattolici sono una piccola minoranza rispetto alle altre Chiese cristiane, con soli 5 milioni di fedeli.

Quali sono i segni di speranza che i nostri giovani e la società stanno cercando?
In primo luogo, stiamo cercando di superare i famigerati record mondiali del crescente divario tra ricchi e poveri (100.000 milionari contro 15 milioni di giovani disoccupati), della mancanza di sicurezza e della crescente violenza nella vita quotidiana, del collasso del sistema educativo, che ha prodotto una nuova generazione di milioni di analfabeti, alle prese con diverse dipendenze (alcool, droga…). Inoltre, a 30 anni dalla fine del regime di apartheid nel 1994, la società e la Chiesa sono ancora divise tra le varie comunità in termini di economia, opportunità e molte ferite non ancora rimarginate. In effetti, la comunità del “Paese dell’Arcobaleno” sta lottando con molte “lacune” che possono essere “riempite” solo con i valori del Vangelo.

Quali sono i segni di speranza che la Chiesa cattolica in Sudafrica sta cercando?
Partecipando all’incontro triennale “Joint Witness” dei superiori religiosi e dei vescovi nel 2024, ci siamo resi conto di molti segni di declino: meno fedeli, mancanza di vocazioni sacerdotali e religiose, invecchiamento e diminuzione del numero di religiosi, alcune diocesi in bancarotta, continua perdita/diminuzione di istituzioni cattoliche (assistenza medica, istruzione, opere sociali o media) a causa del forte calo di religiosi e laici impegnati. La Conferenza episcopale cattolica (SACBC – che comprende Botswana, eSwatini e Sudafrica) indica come priorità l’assistenza ai giovani dipendenti dall’alcool e da altre sostanze varie.

Quali sono i segni di speranza che i salesiani dell’Africa meridionale stanno cercando?
Preghiamo ogni giorno per nuove vocazioni salesiane, per poter accogliere nuovi missionari. È infatti finita l’epoca dell’Ispettoria anglo-irlandese (fino al 1988) e il Progetto Africa non comprendeva la punta meridionale del continente. Dopo 70 anni in eSwatini (Swaziland) e 45 anni in Lesotho, abbiamo solo 4 vocazioni locali da ciascun Regno. Oggi abbiamo solo 5 giovani confratelli e 4 novizi in formazione iniziale. Tuttavia, la Visitatoria più piccola dell’Africa-Madagascar, attraverso le sue 7 comunità locali, è incaricata dell’educazione e della cura pastorale in 6 grandi parrocchie, 18 scuole primarie e secondarie, 3 centri di formazione professionale (TVET) e diversi programmi di assistenza sociale. La nostra comunità ispettoriale, con 18 nazionalità diverse tra i 35 SDB che vivono nelle 7 comunità, è un grande dono e una sfida da accogliere.

Come comunità cattolica minoritaria e fragile dell’Africa australe
Crediamo che l’unica strada per il futuro sia quella di costruire più ponti e comunione tra i religiosi e le diocesi: più siamo deboli più ci sforziamo di lavorare insieme. Poiché tutta la Chiesa cattolica cerca di puntare sui giovani, Don Bosco è stato scelto dai vescovi come Patrono della Pastorale Giovanile e la sua Novena viene celebrata con fervore nella maggior parte delle diocesi e delle parrocchie all’inizio dell’anno pastorale.

Come Salesiani e Famiglia Salesiana, ci incoraggiamo costantemente a vicenda: “work in progress” (un lavoro costante)
Negli ultimi due anni, dopo l’invito del Rettor Maggiore, abbiamo cercato di rilanciare il nostro carisma salesiano, con la saggezza di una visione e direzione comune (a partire dall’assemblea annuale ispettoriale), con una serie di piccoli e semplici passi quotidiani nella giusta direzione e con la saggezza della conversione personale e comunitaria.

Siamo grati per l’incoraggiamento di don Pascual Chávez per il nostro recente Capitolo Ispettoriale del 2024: «Sapete bene che è più difficile, ma non impossibile, “rifondare” che fondare [il carisma], perché ci sono abitudini, atteggiamenti o comportamenti che non corrispondono allo spirito del nostro Santo Fondatore, don Bosco, e al suo Progetto di Vita, e hanno “diritto di cittadinanza” [nell’Ispettoria]. C’è davvero bisogno di una vera conversione di ogni confratello a Dio, tenendo il Vangelo come suprema regola di vita, e di tutta l’Ispettoria a Don Bosco, assumendo le Costituzioni come vero progetto di vita».

È stato votato il consiglio di don Pascual e l’impegno: “Diventare più appassionati di Gesù e dedicati ai giovani”, investendo nella conversione personale (creando uno spazio sacro nella nostra vita, per lasciare che Gesù la trasformi), nella conversione comunitaria (investendo nella formazione permanente sistematica mensile secondo un tema) e nella conversione ispettoriale (promuovendo la mentalità ispettoriale attraverso “One Heart One Soul” – frutto della nostra assemblea ispettoriale) e con incontri mensili online dei direttori.

Sull’immaginetta-ricordo della nostra Visitatoria del Beato Michele Rua, accanto ai volti di tutti i 46 confratelli e 4 novizi (35 vivono nelle nostre 7 comunità, 7 sono in formazione all’estero e 5 SDB sono in attesa del visto, con uno a San Callisto-catacombe e un missionario che sta facendo chemioterapia in Polonia). Siamo anche benedetti da un numero crescente di confratelli missionari che vengono inviati dal Rettor Maggiore o per un periodo specifico da altre Ispettorie africane per aiutarci (AFC, ACC, ANN, ATE, MDG e ZMB). Siamo molto grati a ciascuno di questi giovani confratelli. Crediamo che, con il loro aiuto, la nostra speranza di rilancio carismatico stia diventando tangibile. La nostra Visitatoria – la più piccola dell’Africa-Madagascar, dopo quasi 40 anni dalla fondazione, non ha ancora una vera e propria casa ispettoriale. La costruzione è iniziata, con l’aiuto del Rettor Maggiore, solo l’anno scorso. Anche qui diciamo: “lavori in corso”…

Vogliamo condividere anche i nostri umili segni di speranza con tutte le altre 92 Ispettorie in questo prezioso periodo del Capitolo Generale. L’AFM ha un’esperienza unica di 31 anni di volontari missionari locali (coinvolti nella Pastorale Giovanile del Centro Giovanile Bosco di Johannesburg dal 1994), il programma “Love Matters” per una sana crescita sessuale degli adolescenti dal 2001. I nostri volontari, infatti, coinvolti per un anno intero nella vita della nostra comunità, sono membri più preziosi della nostra Missione e dei nuovi gruppi della Famiglia Salesiana che stanno lentamente crescendo (VDB, Salesiani Cooperatori e Ex-allievi di Don Bosco).

La nostra casa madre di Città del Capo celebrerà già l’anno prossimo il suo cento trentesimo (130°) anniversario e, grazie al cento cinquantesimo (150°) anniversario delle Missioni Salesiane, abbiamo realizzato, con l’aiuto dell’Ispettoria della Cina, una speciale “Stanza della Memoria di San Luigi Versiglia”, dove il nostro Protomartire trascorse un giorno durante il suo ritorno dall’Italia in Cina-Macao nel maggio 1917.

Don Bosco ‘Ubuntu’ – cammino sinodale
 “Siamo qui grazie a voi!” – Ubuntu è uno dei contributi delle culture dell’Africa meridionale alla comunità globale. La parola in lingua Nguni significa “Io sono perché voi siete” (“I’m because you are!”. Altre possibili traduzioni: “Ci sono perché ci siete voi”). L’anno scorso abbiamo intrapreso il progetto “Eco Ubuntu” (progetto di sensibilizzazione ambientale della durata di 3 anni) che coinvolge circa 15.000 giovani delle nostre 7 comunità in eSwatini, Lesotho e Sudafrica. Oltre alla splendida celebrazione e alla condivisione del Sinodo dei Giovani 2024, i nostri 300 giovani [che hanno partecipato] conservano soprattutto Ubuntu nei loro ricordi. Il loro entusiasmo è una fonte di ispirazione. L’AFM ha bisogno di voi: Ci siamo grazie a voi!

Marco Fulgaro




Salesiani in Ukraina (video)

La Visitatoria salesiana di Maria Ausiliatrice di rito bizantino (UKR) ha rimodellato la propria missione educativo‑pastorale dall’inizio dell’invasione russa del 2022. Tra sirene antiaeree, rifugi improvvisati e scuole nei sotterranei, i salesiani si sono fatti prossimità concreta: ospitano sfollati, distribuiscono aiuti, accompagnano spiritualmente militari e civili, trasformano una casa in centro di accoglienza e animano il campus modulare “Mariapolis”, dove ogni giorno servono mille pasti e organizzano oratorio e sport, persino la prima squadra ucraina di Calcio Amputati. La testimonianza personale di un confratello rivela ferite, speranze e preghiere di chi ha perso tutto, ma continua a credere che, dopo questa lunga Via Crucis nazionale, per l’Ucraina sorgerà la Pasqua della pace.

La pastorale della Visitatoria di Maria Ausiliatrice di rito bizantino (UKR) durante la guerra
La nostra pastorale ha dovuto modificarsi quando iniziata la guerra. Le nostre attività educativo-pastorali hanno dovuto adattarsi a una realtà completamente diversa, segnata spesso da un suono incessante delle sirene che annunciano il pericolo di attacchi missilistici e bombardamenti. Ogni volta che scatta l’allarme, siamo costretti a interrompere le attività e a scendere con i ragazzi nei rifugi sotterranei o nei bunker. In alcune scuole, le lezioni si svolgono direttamente nei sotterranei, per garantire maggiore sicurezza agli allievi.

Sin dall’inizio ci siamo messi senza indugio ad aiutare e soccorrere la popolazione sofferente. Abbiamo aperto le nostre case per accogliere gli sfollati, abbiamo organizzato la raccolta e distribuzione degli aiuti umanitari: prepariamo con i nostri ragazzi e i giovani migliaia di pacchi con i viveri e vestiario e con tutto l’occorrente per mandare alla gente bisognosa nei territori vicini ai combattimenti o nelle zone dei combattimenti. Inoltre, alcuni nostri confratelli salesiani operano come cappellani nelle zone dei combattimenti. Dove danno un sostegno spirituale ai giovani militari, ma anche portando aiuto umanitario alle persone che sono rimaste nei paesi sotto continui bombardamenti, aiutando ad alcuni di loro a trasferirsi in un luogo più sicuro. Un confratello diacono che è stato nelle trincee si ha logorato la salute e ha perso la caviglia. Quando alcuni anni fa leggevo nel Bollettino salesiano in lingua italiana un articolo dove parlava dei salesiani in trincea, nella prima o seconda guerra mondiale non pensavo che questo si sarebbe avverato in quest’epoca moderna nel mio paese.  Mi hanno colpito una volta, le parole di un giovanissimo soldato ucraino, che citando uno storico e eminente ufficiale difensore e combattente per l’indipendenza del nostro popolo diceva: “Noi lottiamo difendendo la nostra indipendenza non perché odiamo chi ci sta davanti, ma perché amiamo chi ci sta dietro di noi.”

In questo periodo abbiamo trasformato anche una nostra Casa Salesiana in un centro di accoglienza per gli sfollati.

Per sostenere la riabilitazione fisica, mentale, psicologica e sociale dei giovani che hanno perso gli arti in guerra, abbiamo creato una squadra di Calcio Amputati, la prima squadra di questo tipo in Ucraina.
Sin dall’inizio dell’invasione nel 2022, abbiamo messo a disposizione del municipio di Leopoli un nostro terreno, destinato alla costruzione di una scuola salesiana, per realizzare un campus modulare per sfollati interni: “Mariapolis” dove noi salesiani operiamo in collaborazione con il Centro del Dipartimento Sociale del Municipio. Diamo un sostegno assistenziale e un accompagnamento spirituale rendendo l’ambiente più accogliente. Sostenuti dall’aiuto della nostra Congregazione, delle varie organizzazioni tra cui VIS e Missioni Don Bosco, le varie procure e altre fondazioni di beneficienza, agenzie anche statali di altri paesi, abbiamo potuto organizzare la cucina del campus con il rispettivo personale che ci permette a offrire il pranzo ogni giorno per circa 1000 persone. Inoltre, grazie al loro aiuto possiamo organizzare varie attività nello stile salesiano per 240 ragazzi e giovani che sono presenti nel campus.

Una piccola esperienza e una povera testimonianza personale
Vorrei condividere qui la mia piccola esperienza e testimonianza…Io davvero ringrazio il Signore che, tramite il mio Ispettore, mi ha chiamato a questo servizio particolare. Da tre anni lavoro nel campus che ospita circa 1.000 sfollati interni. Fin dall’inizio, sto accanto a persone che hanno perso in un momento tutto, tranne la dignità. Le loro case sono distrutte e saccheggiate, i risparmi e i beni accumulati con fatica lungo gli anni della vita sono svaniti. Molti hanno perso molto di più e di più prezioso: i loro cari, uccisi davanti ai loro occhi da missili o mine. Alcuni delle persone che sono nel campus hanno dovuto vivere per mesi nei sotterranei di palazzi crollati, nutrendosi di quel poco che trovano, anche se scaduto. Bevevano l’acqua dei termosifoni e bollivano le bucce di patate per sfamarsi. Poi, alla prima possibilità sono scappati o evacuati senza sapere dove andare, senza certezze su cosa li aspettava. Inoltre, alcuni hanno visto i loro paesi, come Mariupol, rasi al suolo. Infatti, in onore di questa bellissima città di Maria noi salesiani abbiamo chiamato il campus per gli sfollati con il nome “Mariapolis” affidando questo luogo e gli abitanti del campus alla Vergine Maria. E Lei come la mamma sta accanto ad ogni uno in questi momenti di prova. Nel campus, ho allestito una cappella dedicata a Lei, dove c’è un’icona disegnata da una signora del campus proveniente dalla martoriata città di Kharkiv. La cappella è diventata per tutti residenti indipendentemente a che confessione di fede cristiana loro appartengono, luogo di incontro con Dio e con sé stessi.

Stare con loro, voler loro bene, accoglierli, ascoltarli, consolarli, incoraggiarli, pregare per loro e con loro e sostenerli in quello che posso, sono i momenti che fanno parte del mio servizio che ormai è diventata la mia vita in questo periodo. È una vera scuola di vita, di spiritualità, dove imparo moltissimo stando accanto alla loro sofferenza. Quasi tutti loro sperano che la guerra finisca presto e arrivi la pace, per poter tornare a casa. Ma per molti, quel sogno è ormai irrealizzabile: le loro case non esistono più. Cosi come posso cerco di offrire loro qualche appiglio di speranza, aiutandoli a incontrare Colui che non abbandona nessuno, che è vicino nelle sofferenze e nelle difficoltà della vita.

A volte mi chiedono di prepararli alla Riconciliazione: con Dio, con sé stessi, con la dura realtà che sono costretti a vivere. Altre volte, li aiuto nei bisogni più concreti: medicine, vestiti, pannoloni, visite in ospedale. Faccio anche il lavoro di amministratore insieme ai mie tre colleghi laici.  Ogni giorno, alle 17:00, preghiamo per la pace, e un piccolo gruppo ha imparato a recitare il Rosario, pregandolo quotidianamente.

Come salesiano cerco di essere attento ai bisogni dei ragazzi: sin dall’inizio io con aiuto degli animatori abbiamo creato oratorio all’interno del campus. Inoltre attività, gite, campeggi in montagna durante l’estate. Inoltre, uno degli impegni che porto avanti è seguire la mensa, per assicurare che nessuno delle persone residenti al campus rimanga senza un pasto caldo.

Tra gli abitanti del campus c’è il piccolo Maksym, che si sveglia nel cuore della notte, terrorizzato da ogni rumore forte. Maria, una madre che ha perso tutto anche il marito e ogni giorno sorride ai figli per non far pesare loro il dolore. Poi c’è Petro, 25 anni, che con la sua ragazza era in casa quando un drone russo ha lanciato una bomba. L’esplosione gli ha amputato le due gambe, mentre la sua ragazza è morta poco dopo. Petro è rimasto tutta la notte in fin di vita, finché i soldati lo hanno trovato al mattino e lo hanno portato in salvo. L’ambulanza non poteva avvicinarsi a causa dei combattimenti.
In mezzo a tanta sofferenza, continuo il mio apostolato con l’aiuto del Signore e il sostegno dei miei confratelli.

Noi salesiani di rito bizantino, insieme ai nostri 13 confratelli di rito latino presenti in Ucraina – in gran parte di origine polacca e appartenenti all’Ispettoria salesiana di Cracovia (PLS) – condividiamo profondamente il dolore e le sofferenze del popolo ucraino. Come figli di Don Bosco, continuiamo con fede e speranza la nostra missione educativo-pastorale, adattandoci ogni giorno alle difficili condizioni imposte dalla guerra.

Siamo accanto ai giovani, alle famiglie, e a tutti coloro che soffrono e hanno bisogno di aiuto. Desideriamo essere segni visibili dell’amore di Dio, affinché la vita, la speranza e la gioia dei giovani non siano mai soffocate dalla violenza e dal dolore.

In questa testimonianza comune, riaffermiamo la vitalità del nostro carisma salesiano, che sa rispondere anche alle sfide più drammatiche della storia. Le nostre due peculiarità, quella di rito bizantino e quella di rito latino, rendono visibile quell’unità inscindibile del Carisma Salesiano quanto affermano le Costituzioni Salesiane all’art. 100: “Il carisma del Fondatore è principio di unità della Congregazione e, per la sua fecondità, è all’origine dei modi diversi di vivere l’unica vocazione salesiana.

Crediamo che il dolore, la sofferenza non hanno l’ultima parola: e che nella fede, ogni Croce contiene già il seme della Risurrezione. Dopo questa lunga Settimana Santa, giungerà inevitabilmente la Risurrezione per Ucraina: verrà la vera e giusta PACE.

Alcune informazioni
Alcuni confratelli capitolari chiedevano delle informazioni sulla guerra in Ucraina. Permettetemi di dire qualche cosa in modo di un Flash. Una precisazione cha guerra in Ucraina non può essere interpretata come un conflitto etnico o una disputa territoriale tra due popoli con rivendicazioni contrapposte o diritti su un determinato territorio. Non si tratta di una lite tra due parti in lotta per un pezzo di terra. E dunque non è una battaglia tra pari. Quella in Ucraina è un’invasione, un’aggressione unilaterale. Qui si tratta di un popolo che ha aggradito impropriamente un all’altro. Una nazione, che fabbricò delle motivazioni infondate, inventandosi un presunto diritto, violando l’ordine e le leggi internazionali, decise di attaccare un altro Stato, violandone la sovranità e l’integrità territoriale, il diritto di decidere la propria sorte e direzione del proprio sviluppo, occupandone e annettendone dei territori. Distruggendo città e paesi, molti dei quali rasi al suolo, togliendo la vita a migliaia di civili. Qui c’è un aggressore e un aggredito: è proprio questa la peculiarità e l’orrore di questa guerra.
Ed è partendo da questo presupposto che dovrebbe essere concepita anche la pace che attendiamo. Una pace che ha il sapore della giustizia e essere basata sulla verità, non temporanea, non opportunistica, non una pace fondata sulle convenienze nascoste e commerciali, evitando di creare precedenti per regimi autocratici nel mondo che potrebbero un giorno decidere ad invadere altri Paesi, occupare o annettere una parte di un paese vicino o lontano, semplicemente perché lo desiderano o perché li piace così, o perché sono più potenti.
Un’altra assurdità di questa guerra non provocata e non dichiarata che l’aggressore vieta alla vittima il diritto di difendersi, cerca intimidire e minacciare tutti quelli in questo caso altri paesi che si schierano dalla parte di chi è indifeso e si mettono ad aiutare a difendersi e a resistere la vittima aggredita ingiustamente.

Alcune tristi statistiche
Dall’inizio dell’invasione del 2022 fino ad oggi (08.04.2025), l’ONU ha registrato e confermato i dati relativi a 12.654 morti e 29.392 feriti tra I CIVILI in Ucraina.

Secondo le ultime notizie disponibili verificate dell’UNICEF almeno 2.406 BAMBINI sono stati uccisi o feriti dall’escalation della guerra in Ucraina dal 2022. Le vittime infantili comprendono 659 BAMBINI UCCISI e 1.747 FERITI – ovvero almeno 16 bambini uccisi o feriti ogni settimana. Milioni di bambini continuano ad avere vite sconvolte a causa degli attacchi in corso o nel dover scappare ed evacuarsi in altri posti e paesi. I bambini del Donbas soffrono dalla guerra già da 11 anni.
La Russia ha avviato insieme al piano di un’invasione dell’Ucraina anche un programma di deportazioni forzate dei bambini ucraini. Ultimi dati dicono 20 000 bambini prelevati dalle case, detenuti per mesi e sottoposti a una forzata russificazione attraverso un’intensa propaganda prima dell’adozione forzata.

don Andrii Platosh, sdb






Intervista al nuovo ispettore don Peter Končan

Piccola biografia
Ha completato il noviziato nella comunità di Pinerolo, in Italia, professando i primi voti l’8 settembre 1993 a Ljubljana Rakovnik, e i voti perpetui sei anni dopo. Ha ricevuto la propria formazione teologica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma dal 1997 al 2000 ed è stato ordinato sacerdote a Ljubljana il 29 giugno 2001.
In qualità di sacerdote, la maggior parte del suo lavoro educativo e pastorale è stata svolta all’interno dell’opera salesiana di Želimlje. Dal 2000 al 2003 ha operato come educatore e successivamente, fino al 2020, ha ricoperto il ruolo di direttore del convitto. In quegli anni è stato anche professore di religione presso il liceo salesiano e responsabile per la formazione salesiana dei laici.
Dal 2010 al 2016 ha esercitato la funzione di direttore della comunità di Želimlje e, dal 2021 al 2024, è stato direttore della Comunità salesiana di Ljubljana Rakovnik. Dal 2018 al 2024 ha ricoperto l’incarico di Vicario dell’Ispettore e di Delegato per la Formazione. Nel 2021 ha assunto il coordinamento di questo settore a livello europeo in qualità di coordinatore della RECN.
Il 6 dicembre 2023 è stato nominato 15° Ispettore dell’Ispettoria dei Santi Cirillo e Metodio di Ljubljana.

Puoi presentarti?
Sono nato il 30 maggio 1974 a Ljubljana, Slovenia, nella famiglia contadina in un piccolo paese chiamato Šentjošt. Sono il più piccolo dei 4 figli, che oggi tutti hanno una famiglia, allora ho 11 nipoti con cui siamo molto legati. Il mio paese nativo e anche la mia famiglia sono stati fortemente segnati dal terrore comunista durante e dopo la seconda guerra mondiale, alcuni dei parenti sono stati uccisi, le case distrutte … Nella situazione molto difficile i miei genitori hanno dovuto ricominciare a costruire la cascina da capo, hanno dovuto usare tutta la loro laboriosità e ingegnosità per provvedere a noi figli. I genitori hanno coinvolto noi figli nel lavoro quotidiano e in questo modo anch’io ho imparato, che per ottenere qualcosa d’importante bisogna lavorare forte.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
I miei genitori hanno sempre apertamente espresso la loro identità cristiana, anche se in quei tempi essere cristiano non era opportuno e hanno avuto per questo non pochi problemi. Ogni sera, dopo il lavoro compiuto ci siamo ritrovati come famiglia per pregare il rosario, le litanie e altre preghiere. A me piaceva fare il chierichetto e per questo spesso andavo a piedi nella chiesa che distava 2 chilometri da casa mia per partecipare alla messa. L’esempio dei genitori, la vita cristiana nella famiglia e nella parrocchia sono quindi le ragioni fondamentali per sentire la chiamata di Dio sin da piccolo.

Come hai conosciuto don Bosco?
I miei genitori andavano spesso nel pellegrinaggio a Ljubljana Rakovnik dove erano i salesiani e così ho conosciuto anch’io don Bosco, che mi ha affascinato subito. Ho iniziato a frequentare i ritiri organizzati dai salesiani e dopo la scuola elementare a 14 anni mi era molto naturale di andare nel seminario minore guidato dai salesiani a Želimlje. I miei genitori sono stati molto contenti della mia decisione e mi hanno sempre sostenuto nel mio cammino. Sono veramente molto grato a loro per tuto amore, per la famiglia serena in quale sono cresciuto e per tanti valori importanti che mi hanno trasmesso. Don Bosco ha affascinato anche loro e cosi nel processo della mia formazione anche loro hanno fatto le promesse come salesiani cooperatori.

Esperienza della formazione iniziale
Io stavo facendo la scuola superiore nel tempo quando è crollato il comunismo e la Slovenia diventava indipendente e allora anche i salesiani potevamo riprendere il nostro lavoro tipico. Per questo sono stato preso dall’entusiasmo di tante possibilità di lavoro giovanile che si stavano aprendo e negli anni vissuti nelle case formative internazionali in Italia mi si è anche allargato l’orizzonte perché ho avuto la possibilità di conoscere tanti salesiani da tutto il mondo e tante esperienze nuove. In questo periodo ho lavorato molto nella mia crescita umana e spirituale e ho anche imparato ad amare tantissimo don Bosco e il suo modo di stare e lavorare con i giovani. Sempre di più sono diventato convinto che questa è una strada pensata da Dio per me e che il carisma salesiano è un grandissimo dono per i giovani del nostro tempo.

Quale è la tua esperienza più bella?
Gli 20 anni vissuti nel convitto a Želimlje e dopo a Rakovnik, vivendo con quasi 300 giovani ogni giorno, sono stati veramente molto belli e hanno molto segnato la mia vita. Avevo il privilegio di seguire la loro crescita umana, intellettuale e spirituale e di toccare da vicino le loro gioie, speranze e ferite. I giovani mi hanno insegnato quanto è importante “perdere” il tempo stando con loro. In questo periodo ho imparato e sperimentato anche quanto sono preziosi i collaboratori laici, senza quali non possiamo portare avanti la nostra missione.

Come sono i giovani del luogo e quali sono le sfide più rilevanti?
Nelle opere salesiane e intorno ai nostri programmi ci sono ancora molti giovani generosi, con cuore aperto e disponibile per fare del bene ai loro coetanei. Sono molto fiero del loro entusiasmo e anche contento che molti nel don Bosco trovano il modello e la forza per la loro crescita umana e spirituale.
Dall’altra parte è anche vero che sono molto segnati dal mondo virtuale e di tutte le altre sfide del nostro tempo. Per fortuna i valori tradizionali non sono spariti del tutto, ma è anche vero, che non sono più abbastanza forti per guidare i giovani. Per questo i salesiani cerchiamo di aiutare i giovani con le proposte concrete di sostegno e camminando con loro. All’ultimo capitolo ispettoriale abbiamo individuato alcune povertà (sfide) del nostro contesto: la famiglia debole, la tiepidezza spirituale, il relativismo e la ricerca dell’identità, il passivismo, l’apatia e la mancanza della preparazione concreta dei giovani per la vita.

Dove trovi la forza di continuare?
Per prima nei confratelli. Per fortuna ho intorno a sé confratelli molto bravi e generosi che mi sono di grandissimo sostegno. L’ispettore da solo non può fare molto. Sono convinto che l’unico modo giusto di portare avanti le cose è quello che tutti (salesiani, giovani e laici) mettiamo i propri doni e forze per il bene comune.  E come secondo, noi tutti e la nostra missione siamo solo una piccola parte in un grande disegno di Dio. È Lui che è il vero protagonista e questa consapevolezza mi dà una grande serenità interiore.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Già nella famiglia ho imparato che Maria è un grande sostegno per la vita quotidiana. Molto volentieri e con tanta fiducia mi reco in pellegrinaggio nei vari santuari mariani, dove Maria mi riempie di pace e forza interiore per tutte le sfide della mia vita. Posso testimoniare molte delle grazie che attraverso Maria sono state concesse a me o ai miei cari.

don Peter KONČAN,
ispettore Slovenia




Intervista con il nuovo ispettore don Domingos LEONG

Don Domingos Leong è il Superiore dell’Ispettoria “Maria Ausiliatrice” (CIN) per il sessennio 2024-2030. Succede a don Joseph Ng Chi Yuen, che ha servito l’Ispettoria della Cina come Ispettore dal 2018. Lo abbiamo intervistato.

Può presentarsi?
Mi chiamo Domingos Leong, nato in una famiglia cattolica che viveva a Macao, allora colonia portoghese in Cina. Ho due sorelle e sono l’unico maschio della famiglia. Entrambi i miei genitori erano insegnanti in scuole gestite dai Salesiani e dalle FMA. Tutta la mia formazione è avvenuta in scuole salesiane, sia a Macao che a Hong Kong. Sono entrato nei Salesiani dopo la mia laurea al liceo e ho ricevuto la mia formazione a Hong Kong. Sono stato inviato a studiare filosofia negli Stati Uniti (Newton, New Jersey) dove si è aperta la mia visione globale della Congregazione. Dopo la mia ordinazione, sono andato a Roma per proseguire i miei studi sulla Liturgia a San Anselmo, Roma.

Di cosa sognavi da bambino?
Poiché i miei genitori erano insegnanti e alcuni dei miei parenti lavoravano nel campo dell’istruzione, sognavo di diventare un insegnante in futuro.

Ricordi qualche educatore in particolare?
Durante i miei anni alle scuole medie, andavo all’Oratorio la domenica. Ricordo che quando avevo solo 12 anni, con mia sorpresa, mi è stato chiesto di occuparmi di un gruppo di giovani, organizzare giochi per loro e insegnare loro il catechismo. Credo che sia stato il seme della vocazione salesiana piantato nel mio cuore.

Qual è la tua esperienza migliore?
Dopo la mia ordinazione, abbiamo avuto l’opportunità di organizzare un “gruppo di volontari” che serviva in Cina continentale durante le vacanze estive. Giovani provenienti dalle nostre scuole, sia a Hong Kong che a Macao, sono andati a servire nelle aree rurali. Insieme ai giovani locali, abbiamo condiviso esperienze bellissime, non solo servendo, ma anche testimoniando la nostra fede in un ambiente totalmente diverso. Credo che questo sia il modo migliore per promuovere la vocazione religiosa.

Quali sono i bisogni locali più urgenti e quelli dei giovani?
I giovani locali, pur non mancando di materiali, si sentono soli e hanno bisogno di accompagnamento, sia da parte dei loro coetanei che degli adulti. I giovani sono vittime di famiglie disfunzionali e non vengono ascoltati.

Cosa diresti ai giovani in questo momento?
Siate coraggiosi! Noi, i Salesiani, siamo sempre disponibili e pronti a darvi una mano ogni volta che ne avete bisogno, specialmente in quest’anno di Speranza. Insieme ai membri della Famiglia Salesiana, siamo il vostro GRANDE supporto e non esitate a chiedere.

don Domingos LEONG




Intervista al nuovo superiore don Eric CACHIA, superiore di Malta

Malta, terra benedetta dall’apostolo Paolo, è un’isola situata nel cuore del Mar Mediterraneo, tra l’Europa e il Nord Africa. Nel corso dei secoli ha accolto l’influsso di numerose culture, che ha arricchito il suo fascino. Questo piccolo Stato, tra i più densamente popolati al mondo, ospita i Salesiani di Don Bosco sin dal 1903, impegnati con passione nell’educazione dei giovani. Abbiamo intervistato, don Eric, nominato di recente alla guida della comunità salesiana maltese.

Puoi presentarti?
Mi chiamo don Eric Cachia, sono nato il 4 agosto 1976 a Malta. Sono il primogenito di tre figli: ho due sorelle più giovani di me e due adorabili nipotine. Ho frequentato le scuole materne nella scuola statale del mio paese, ħaż-Żebbuġ, per sei anni. Durante l’ultimo anno, era necessario sostenere un esame per accedere alla scuola desiderata. Sognavo di entrare nel seminario minore, ma per fare felice mia madre, ho sostenuto anche l’esame per il liceo statale e un altro per il Savio College, la scuola salesiana, di cui allora non sapevo quasi nulla e che inizialmente non desideravo frequentare. Ho affrontato quell’esame controvoglia, ma i disegni di Dio hanno voluto che fossi ammesso dai Salesiani.

Dopo sette anni di studio, ho conseguito il diploma di maturità e intrapreso il Noviziato a Lanuvio, vicino Roma, emettendo i primi voti religiosi nelle mani del neo-eletto Rettor Maggiore, don Juan E. Vecchi, presso il Sacro Cuore di Roma. Ero il più giovane del gruppo: avevo solo 19 anni. Tornato a Malta, ho ottenuto un Baccalaureato in Filosofia e Sociologia e successivamente ho svolto due anni di tirocinio come responsabile dell’Oratorio a Tas-Sliema.

Per gli studi teologici mi sono trasferito a Roma, frequentando l’Università Pontificia Salesiana (UPS) e vivendo presso la comunità del Gerini. Sono stato ordinato diacono nel 2004 e ho proseguito la mia formazione a Dublino, in Irlanda, conseguendo un Master in Holistic Development in Family Pastoral Ministry. Tornato a Malta, il 21 luglio 2005, insieme ad altri nove religiosi e diocesani, sono stato ordinato sacerdote.

La mia prima obbedienza è stata quella di responsabile dell’Oratorio a Tas-Sliema e di economo della comunità. Dopo alcuni mesi, sono stato nominato delegato per la Pastorale Giovanile nel Consiglio della Delegazione di Malta. Ho ricoperto questo incarico per un anno prima di essere nominato economo della Delegazione, ruolo che ho svolto per 10 anni e, successivamente, per altri 6 anni quando, nel 2018, Malta è diventata una Visitatoria.

Nel frattempo, ho ricoperto anche altri incarichi: preside del Savio College, accompagnatore nella formazione al post-noviziato di Malta per sei anni e, per quattro anni, assistente coordinatore dell’Associazione delle Scuole Cattoliche a Malta. Per rispondere alle esigenze pastorali, ho conseguito un Master in Psicoterapia Sistemica e della Famiglia e sono stato eletto segretario del Comitato dell’Associazione Nazionale della Psicoterapia a Malta.
Nel 2017 sono diventato direttore del St. Patrick’s, una realtà che include una scuola, un internato e una chiesa pubblica, oltre al ruolo di preside della scuola. Infine, nel dicembre 2023 sono stato nominato Ispettore, incarico assunto a partire dal luglio 2024.

Che cosa sognavi da piccolo?
A 7 anni sono diventato chierichetto e ancora oggi non riesco a spiegare l’esperienza vissuta durante la mia prima Messa da ministrante. Sentii una presenza d’amore nel cuore che mi invitava a diventare sacerdote. Già a casa giocavo a “fare il prete” e, a scuola, nonostante le tensioni tra Chiesa e Stato dell’epoca, dibattevo spesso su temi religiosi.

Il desiderio di diventare sacerdote includeva in sé quello di dare voce a chi non l’aveva. Mi piaceva scrivere storie, parlare in pubblico e organizzare eventi. A soli 14 anni, ad esempio, già organizzavo passeggiate per i ministranti.

Qual è la storia della tua vocazione?
La mia vocazione è nata dall’incontro con vari sacerdoti che consideravo modelli di vita. Tuttavia, fu nella scuola salesiana che trovai nuova energia: lì scoprii talenti nascosti e vissi esperienze che mi fecero sentire parte di una grande famiglia. In quel contesto gioioso e stimolante, il Signore parlò al mio cuore.

All’ultimo anno scolastico, capii che la mia strada sarebbe stata quella salesiana. Dopo un anno di discernimento e confronto con la mia famiglia e un sacerdote, trovai pace nel decidere: “Mi dono per i ragazzi del futuro. Sarò salesiano per portare avanti ciò che ho ricevuto”.

Un aneddoto curioso mi fu raccontato dalla nonna paterna quando ero ormai prossimo al diaconato. Mio padre era uno dei 18 figli di una famiglia numerosa e modesta. Un salesiano inglese, don Patrick McLoughlin, noto per la sua fama di santità, era solito, dopo la messa, passare dalle suore per portare una fetta di torta alla nonna. La sera, tornava con pasti avanzati per aiutare a sfamare la famiglia in difficoltà. Un giorno, la nonna gli chiese: “Come posso ripagare tanta gentilezza e provvidenza?”. Lui rispose: “Tu prega soltanto: chissà, magari uno dei tuoi figli diventerà salesiano”. Tra 51 cugini, sono stato il primo – e uno dei due – a scegliere la vita religiosa… e salesiana.

Come ha reagito la tua famiglia?
La mia famiglia è sempre stata di grande supporto. I miei genitori non hanno mai imposto le loro idee, ma hanno sempre cercato di sostenere le mie decisioni. Mio padre era un muratore e mia madre una casalinga. La semplicità e l’unione familiare erano tra i valori più forti che ci contraddistinguevano. Si facevano sacrifici che solo da adulto ho compreso come espressione di un amore vissuto in modo concreto. Non è stato facile lasciare il paese e iniziare il mio cammino a soli 18 anni, ma oggi i miei genitori sono orgogliosi e, in qualche modo, anche loro fanno parte della Famiglia Salesiana. Da oltre 30 anni preparano pasti per i ragazzi durante i campi estivi. Chissà quante volte mio padre, nonostante sia rimasto analfabeta, ha parlato con la saggezza del cuore a qualche giovane o genitore. E quante volte hanno spedito dépliant a livello ispettoriale per sostenere le nostre opere salesiane!

La gioia più bella e la fatica più grande
Ci sono tante gioie che si custodiscono nel cuore, ma una delle più grandi è quando incontro un exallievo e mi dice: “In te ho ritrovato il padre che non ho mai avuto”. Vivere in pienezza la propria vocazione significa anche offrire ciò che avrebbe potuto essere altrettanto bello, come costruire una famiglia. Questo comporta, talvolta, il dover soffrire in silenzio per questa scelta offerta.
La fatica più grande, invece, è vedere i bambini che soffrono a causa di guerre, violenze e abusi… vederli privati della capacità di sognare un mondo pieno di speranza e di possibilità. È altrettanto difficile restare credibili e ottimisti in un contesto di secolarismo feroce che spesso consuma le energie e tenta di spegnere l’entusiasmo.

Le necessità locali e dei giovani
Malta vive una realtà molto particolare. Culturalmente rimane profondamente cattolica, ma nella pratica quotidiana non lo è altrettanto. Negli ultimi anni, scelte politiche orientate principalmente al potenziamento dell’economia hanno generato una crisi profonda all’interno delle famiglie. Molti ragazzi crescono segnati dalla mancanza di figure di riferimento e di modelli che li accompagnino con amore. Mancano punti stabili di orientamento, e allo stesso tempo, molti giovani sono alla ricerca di un nuovo significato per la propria vita.
La fede, sempre più relegata alla sfera privata, può tuttavia risvegliare interesse quando riesce a parlare un linguaggio che sfida e invita a puntare in alto. In questi casi, i giovani sono felici di unirsi per vivere esperienze che chiedono di essere accompagnati. Circa il 20% della popolazione, ormai, non è più maltese. L’economia, che ha attratto persone da tutto il mondo, sta trasformando il volto dell’isola. Molti giovani non-maltesi si sentono soli, mentre altri iniziano o riprendono un cammino di fede. Si tratta di nuove frontiere e forme emergenti di povertà, segnate da sfide psico-affettive e problemi di salute mentale. Queste situazioni mettono in evidenza l’urgenza di affrontare l’isolamento, la precarietà e le carenze relazionali che caratterizzano questa complessa realtà.

Le grandi sfide dell’evangelizzazione
Tutto può essere riassunto in una parola: credibilità. I giovani, oggi più che mai, non hanno bisogno di semplici trasmettitori di contenuti, ma di persone con cuori autentici e orecchie capaci di ascoltare il battito di cuori in cerca di un senso per la propria vita. Hanno bisogno di educatori che sappiano creare processi, accompagnatori che non temano di mostrare la propria fragilità e i propri limiti, ma che siano guide autentiche. Guide che propongano ciò che loro stessi hanno vissuto: l’incontro con Gesù come meta e chiamata per ogni persona. Una guida che conduca a riscoprirsi parte di una Chiesa in cammino verso le periferie, pronta ad abbracciare e curare le ferite, ancor prima di indicare cosa si deve fare.
La vera sfida, almeno per l’Europa, è trovare giovani che abbiano il coraggio di scommettere la propria vita su Gesù. Come emerso durante il Sinodo, alcune strutture, contesti e linguaggi della Chiesa non sono più incisivi. A questo si aggiunge una Chiesa che, in alcuni casi, appare stanca e distratta, troppo concentrata sull’auto-preservazione. Questa situazione rispecchia anche quella delle famiglie, che devono essere rimesse al centro delle priorità in ogni nazione: sono il futuro dello Stato e della Chiesa.
Ecco perché gli ambienti salesiani, con il loro umanesimo che valorizza il bello presente in ogni persona, devono proporsi non solo come risposte immediate ma anche come modelli per altri gruppi e realtà. Forse solo oggi comprendiamo che la gioia e la speranza di don Bosco vanno ben oltre semplici emozioni: sono le fondamenta su cui costruire il rilancio di un’umanità rinnovata e redenta da Cristo.

Come vedi il futuro?
Guardo al futuro con speranza. Il presente che viviamo, secondo me, è segnato da numerose crisi su vari fronti: direi che non potrebbe andare peggio di così. È quindi un periodo di rinnovamento; ci si affida a Cristo in questo tempo di purificazione e trasformazione. Sì, ci sono sfide che sicuramente plasmeranno il futuro.

Quale posto occupa Maria Ausiliatrice nella tua vita?
Da bambino, pregavamo quotidianamente il Rosario in famiglia. Tuttavia, per me, era forse solo una pratica di pietà popolare. Col passare del tempo, soprattutto durante gli anni da Salesiano, ho potuto rendermi conto di quanto questa mamma celeste mi sia vicina. Ricordo numerosi momenti in cui, preso dalle difficoltà pratiche e dalle preoccupazioni legate alla pastorale, stavo per arrendermi. Ma Lei interveniva sempre al momento giusto. Ogni giorno mi rendo conto di come veramente “sia stata Lei a fare tutto”. Nutro un profondo affetto per la benedizione di Maria Ausiliatrice. Ogni mattina affido a Lei tutti i giovani e i laici collaboratori, ma in particolare quelli che si trovano nelle periferie della società. Un anno fa, in occasione della festa della Madonna di Guadalupe, ho condiviso sui social una frase che Maria disse a Juan Diego: “Non temere nulla. Non sono forse io, che sono tua Madre? Non sei sotto la mia ombra e protezione? Non sono io la fonte della tua gioia? Non sei nel cavo del mio mantello, nell’incrocio delle mie braccia? Hai bisogno di altro? Non lasciare che nient’altro ti preoccupi o ti turbi”. Due ore dopo, ricevo la chiamata del Rettor Maggiore e la richiesta di accettare o meno la nomina a Ispettore.

Che cosa diresti ai giovani?
Di non arrendersi! Riprenderei le parole di Papa Francesco rivolte ai giovani nell’aprile del 2024: “Alzarsi per stare in piedi di fronte alla vita, non seduti sul divano. Ci sono divani diversi che ci attirano e non ci permettono di alzarci.” Se solo i giovani comprendessero che sono la speranza di oggi e di domani, che sono come semi delicati e fragili, ma al contempo ricchi di infinite possibilità! Li esorterei a sfidare Cristo, ma anche a permettere a Cristo di sfidarli: solo così si comprende che con Lui si costruisce una relazione intima con un Dio vivo, non con un’immagine plasmata da paure o ansie. Sfiderei quei giovani che hanno già fatto esperienza di Don Bosco: è straordinario gettarsi nel Cuore di Cristo, donando la propria vita per i giovani che verranno. “Chi manderò?”, chiese Cristo ai suoi discepoli. Magari tanti altri avessero la stessa determinazione: “Mandi me!”

don Eric CACHIA, sdb
superiore di Malta




Intervista al nuovo superiore don Vincentius Prastowo

Don Vincentius Prastowo è il nuovo ispettore salesiano per l’Indonesia, Paese che con i suoi 279 milioni di abitanti e oltre 700 lingue si colloca al quarto posto nel mondo per popolazione. L’Indonesia è lo Stato-arcipelago più grande del pianeta, formato da 17.508 isole, e ospita la comunità musulmana più numerosa al mondo. La presenza salesiana in questa nazione risale al 1985, pur considerando che la prima esperienza nell’attuale Timor Est ebbe inizio già nel 1927. Lo abbiamo intervistato.

Puoi presentarti?
Mi chiamo Vincentius Prastowo. Sono nato il 28 novembre 1980 a Magelang, Giava Centrale. Sono la seconda generazione della mia famiglia ad abbracciare la fede cattolica. I miei genitori sono stati i primi nella nostra famiglia allargata a ricevere il sacramento del battesimo, una decisione che ha cambiato profondamente il corso delle nostre vite. Da loro, ho conosciuto Gesù Cristo e i valori cattolici che mi sono stati trasmessi fin dall’infanzia. Ho frequentato una scuola primaria cattolica gestita dalle Suore dell’Immacolata Concezione (SPM), dove la mia fede è cresciuta attraverso l’educazione religiosa, le attività liturgiche e le interazioni ravvicinate con le suore religiose.

Qual è la storia della tua vocazione?
Il mio interesse per la vita religiosa è iniziato durante l’adolescenza, ispirato dai sacerdoti gesuiti che servivano nella mia parrocchia. La loro genuina dedizione al servizio, la profondità intellettuale e la spiritualità profonda hanno lasciato un’impressione duratura su di me. Questa ispirazione mi ha portato a continuare la mia formazione al Seminario Minore Stella Maris a Bogor, gestito dai Francescani, dal 1994 al 1998.
Al seminario, non solo ho imparato teologia e filosofia di base, ma ho anche approfondito la mia comprensione della vita di preghiera, della disciplina e della vita comunitaria. Questi anni sono stati fondamentali nel plasmare il mio cammino e chiarire il mio desiderio di perseguire una vita di servizio a Dio e agli altri.

Come hai incontrato i salesiani?
Ogni anno, il Seminario Stella Maris ospitava visite di varie congregazioni religiose, introducendo i seminaristi a diverse spiritualità e missioni. Durante una di queste visite, ho incontrato il Padre Jose Llopiz Carbonell e il Padre Andress Calejja, due sacerdoti salesiani che venivano frequentemente al seminario. Portavano calendari annuali con l’immagine di Maria, Aiuto dei Cristiani, che ha immediatamente catturato la mia attenzione.
Attraverso conversazioni con loro, sono diventato curioso riguardo alla missione salesiana e ho deciso di esplorare ulteriormente la loro comunità. La mia curiosità mi ha portato a visitare regolarmente la comunità salesiana a Giacarta ogni fine anno. Sono rimasto profondamente colpito dal loro approccio all’educazione e dal loro impegno nell’accompagnare i giovani. Non predicavano solo la fede; la praticavano facendo da mentori a giovani provenienti da contesti umili.
Il calore e l’amore che ho sperimentato nella comunità salesiana hanno infine consolidato la mia decisione di scegliere questo cammino.

Quali sono state le difficoltà che hai incontrato?
Scegliere il cammino salesiano non è stato privo di sfide. La mia formazione iniziale si è svolta a Timor Est, una regione coinvolta in un conflitto politico all’epoca a causa della sua lotta per l’indipendenza dall’Indonesia. La situazione ha creato tensioni significative, sia per me che per la mia famiglia. I miei genitori erano profondamente preoccupati per la mia sicurezza e hanno persino suggerito di considerare una congregazione “più sicura”.
Tuttavia, la mia determinazione era ferma. Credevo che questa vocazione fosse la vita che Dio aveva pianificato per me. In mezzo al conflitto in corso, ho affrontato numerose prove, tra cui la minaccia di violenza, l’adattamento culturale e la nostalgia per la mia famiglia. Eppure, in ogni difficoltà, ho trovato forza attraverso la preghiera e la protezione di Dio.
Questa esperienza mi ha insegnato a superare la paura e ha rafforzato la mia convinzione. Una delle mie più grandi gioie è stata la libertà e il coraggio di determinare la mia vocazione, nonostante gli ostacoli lungo il cammino.

Come salesiano, ho realizzato le immense sfide affrontate dalle comunità nelle regioni insulari dell’Indonesia. La nostra nazione, composta da migliaia di isole, si confronta con disparità nell’accesso all’istruzione e alle opportunità economiche. Nelle aree remote, i bisogni più urgenti dei giovani sono un’istruzione di qualità e l’accesso a lavori dignitosi.
Credo fermamente che la collaborazione tra i governi centrali e locali sia essenziale per alleviare la povertà in queste regioni. Dare priorità allo sviluppo delle infrastrutture educative, offrire borse di studio per bambini svantaggiati e creare opportunità lavorative eque sono passi vitali.
Come parte della comunità salesiana, mi sento chiamato a contribuire a questi sforzi, specialmente attraverso programmi di educazione professionale volti a dare potere ai giovani con competenze che li preparino per il mercato del lavoro e promuovano l’autosufficienza.

Come è il vostro lavoro salesiano nel contesto del paese?
L’Indonesia è conosciuta come il paese con la più grande popolazione musulmana al mondo. Tuttavia, sono grato che il suo popolo sia generalmente moderato e aperto alla diversità. In questo contesto, i salesiani lavorano in aree prevalentemente musulmane con uno spirito di fratellanza e collaborazione. La nostra missione cerca di costruire ponti attraverso l’educazione e il servizio, rispettando le credenze individuali mentre si difendono valori universali come amore, giustizia e pace.
Questa consapevolezza della diversità è un tesoro che dobbiamo continuare a celebrare. Nella vita quotidiana, impariamo a rispettarci e a lavorare insieme con varie comunità. Credo che la diversità culturale, religiosa e tradizionale dell’Indonesia sia una benedizione che deve essere preservata e apprezzata.

Come vedi il futuro dei giovani e l’educazione salesiana?
Si prevede che l’Indonesia sperimenti un boom demografico a partire dal 2030. Ciò significa un significativo aumento della popolazione in età lavorativa, presentando sia opportunità che sfide. Sebbene questa crescita offra il potenziale per un avanzamento economico, comporta anche rischi di disoccupazione diffusa se non gestita bene.
Come comunità focalizzata sull’educazione, i salesiani svolgono un ruolo cruciale nel preparare i giovani ad affrontare il futuro. Ci concentriamo sulla formazione professionale che si allinea alle esigenze dell’industria, promuovendo al contempo un forte carattere e disciplina. Uno dei nostri principali progetti è elevare la dignità dei giovani nelle isole remote dotandoli di competenze per l’era digitale e tecnologica.
Per prosperare nell’era 5.0, i giovani indonesiani hanno bisogno di adattabilità, creatività e capacità di collaborazione. I programmi di formazione che offriamo mirano a soddisfare queste esigenze, dando potere ai giovani non solo per competere nel mercato del lavoro, ma anche per diventare agenti di cambiamento nelle loro comunità.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Maria ha sempre occupato un posto speciale nel mio cammino. Fin dall’infanzia, l’ho conosciuta e amata attraverso le preghiere del Rosario spesso recitate nel nostro quartiere. La sua immagine come Maria, Aiuto dei Cristiani, mi ha continuamente rafforzato e guidato attraverso le sfide della vita.
Nella tradizione salesiana, la devozione a Maria è altamente enfatizzata. Crediamo che sia sempre presente, accompagnandoci e proteggendoci in ogni passo del nostro cammino. Le mie esperienze personali confermano che attraverso la preghiera e affidandoci a Maria, difficoltà apparentemente insormontabili possono essere superate.

Che cosa diresti ai giovani in questo momento?
Ai giovani, il mio messaggio è questo: non perdete mai la speranza. Non lasciate che difficoltà, sfide o ostacoli schiaccino i vostri sogni. Credete che ci sia sempre una via da seguire, specialmente quando ci appoggiamo a Dio e cerchiamo l’intercessione di Maria.
La vita è un dono pieno di opportunità. Non temete di uscire dalla vostra zona di comfort, affrontare sfide e perseguire la vostra vera vocazione. In ogni viaggio, Dio fornisce la forza, e Maria sarà sempre presente come una madre amorevole e fedele.
Che i giovani indonesiani possano alzarsi, crescere e diventare agenti di cambiamento, portando speranza alla nazione e al mondo. Camminiamo insieme nella fede, nell’amore e nel servizio.

don Vincentius Prastowo
Ispettore dell’Indonesia




Intervista al nuovo ispettore don Simon Zakerian

Ha emesso la sua Prima Professione a Damasco l’8 settembre 2002 e la Professione Perpetua ad Aleppo il 2 Agosto 2008. È stato ordinato sacerdote nella sua città natale, Qamishli l’11 settembre 2010.
Dopo la formazione iniziale, ha servito l’Ispettoria in diversi ministeri, occupandosi di varie responsabilità. Dal 2010 al 2014 ad Aleppo, in Siria, ha servito come collaboratore pastorale; dal 2015 al 2017 a Damasco ha servito come Direttore. Dal 2017 al 2018 ad Alessandria, in Egitto, ha ricoperto ancora il ruolo di Direttore e, dal 2018 a luglio 2024 ad Al – Fidar e El Houssoum, in Libano, sempre con la responsabilità di Direttore. A livello ispettoriale ha servito come consigliere delegato della Pastorale Giovanile per circa 12 anni, finendo questo servizio a giugno 2024 e poi iniziando il nuovo servizio il 6 luglio 2024 come ispettore.
L’Ispettoria del Medio Oriente comprende Palestina – Israele, Siria, Egitto e Libano.

Puoi presentarti?
Sono nato in Siria, in una città che si chiama al-Qamishli (a nord est della Siria), il 2 luglio 1978 da una famiglia armena, e come tutti gli armeni della diaspora ha sopravvissuto al genocidio ottomano del 1915, quando i miei nonni sono scappati e sono arrivati fino a Qamishli.
Mio papà si chiama Aram e mia mamma Araxi; siamo una famiglia di due fratelli e sei sorelle.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
La mia famiglia ha sempre avuto una profonda fede cristiana che i miei mi hanno trasmesso fin da quando ero bambino, anche con l’aiuto di mia nonna che mi parlava di Gesù. Anche la Chiesa Armena mi è stata di aiuto perché da piccolo facevo il chierichetto e servivo la messa.  Poi ho cominciato a frequentare l’oratorio di don Bosco nella mia città, fin dalla quinta elementare. Siccome mi piaceva molto giocare a calcio, ho continuato a frequentare il don Bosco per anni e poi piano piano la mia appartenenza all’oratorio è cresciuta sempre di più facendomi coinvolgere non solo in attività sportive ma anche in quelle di animazione e servizio.

Qual è la storia della tua vocazione?
La mia vocazione è nata da un desiderio che Dio ha messo nel mio cuore. Quando servivo la messa mi dicevo: quando diventerò grande sarò anch’io sull’altare come questo sacerdote.  Dopo avere conosciuto i Salesiani, questo desiderio è maturato sempre di più e l’esempio dei Salesiani, che erano con noi in cortile, in chiesa e nei vari momenti della nostra vita, mi ha fatto pensare seriamente alla mia vita e al suo senso. Così ho iniziato a riflettere più profondamente e a chiedermi il perché della mia esistenza e il senso della mia vita. Ho perciò incominciato a domandarmi come potevo discernere la mia vocazione, a chiedermi che cosa volesse Dio da me. Con questi pensieri, con la preghiera e con il servizio ho camminato alla ricerca della volontà del Signore per me.
A Qamishli c’era un missionario italiano che era sempre con noi in cortile; organizzava i tornei di calcio, incoraggiava, ci accompagnava in chiesa per vivere la santa messa e l’adorazione eucaristica, e ci faceva vedere i film sulla vita dei santi per poi spingerci a fare opere di carità e servizio nell’oratorio e fuori. La sua testimonianza mi ha fatto riflettere che potevo anch’io vivere e fare come lui. Così con il suo aiuto e quello di altri salesiani ho iniziato il mio discernimento. Ho amato la vita di quel salesiano perché era vicino Dio, alla gente e ai giovani come don Bosco con una vita gioiosa e bella, semplice e profonda. Si capiva che il suo non era un lavoro ma una vocazione divina!

Come ha reagito la tua famiglia?
La mia è una famiglia semplice e all’inizio non voleva che io lasciassi la casa, ma poi ha capito che era una chiamata del Signore e così mi è stato permesso di iniziare il cammino. Da quel momento in poi la mia famiglia ha sempre incoraggiato la mia vocazione con l’affetto e la preghiera.

Quali sono state le sfide più grandi?
La sfida più grande è stata lasciare il mondo per seguire Cristo nella vita consacrata. Questo non è stato facile, perché la mia vita era legata a tanti amici e al calcio. Ero un calciatore, e giocavo in una squadra della mia città di serie A, quindi lasciare tutto questo è stato faticoso.

Qual è la tua esperienza più bella?
Devo però dire che una volta iniziato il cammino ho sperimentato quanto dice Gesù nel vangelo che chi segue Lui avrà in cambio tanti fratelli, sorelle, amici, confratelli, giovani e laici con cui condividere la vita e la missione. Questo è veramente un dono bellissimo.

Come sono i giovani del luogo?
I giovani della nostra ispettoria, sono degli eroi, sono stupendi. Come dico sempre a tutti, sono loro i veri protagonisti della storia delle nostre terre, perché hanno sempre vissuto in situazioni molto difficili e di guerra, perché hanno imparato a vivere in queste situazioni come cristiani e come testimoni, con tanta fede e speranza. Per me erano e sono ancora un esempio bellissimo.

Che cosa si potrebbe fare di più e meglio?
Il futuro dei giovani nelle nostre terre oggi è molto ambiguo e non facile, ma loro possono fare tanto, e prego Dio, che ci conceda la pace, perché possano costruire un futuro in queste terre e guardare al domani con speranza e senza paura perché Lui è con noi e non ci abbandona.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Nelle nostre case del Medio Oriente siamo abituati noi salesiani insieme ai giovani a invocare molto spesso Maria Ausiliatrice, perché sappiamo che è stata Lei ad aiutare don Bosco soprattutto nei momenti più faticosi.  E noi proprio in questi momenti di guerra non cessiamo di chiedere la sua intercessione materna, Lei il nostro rifugio, Lei la Madonna dei tempi difficili come diceva don Bosco.

Che cosa diresti ai giovani in questo momento?
Dico ai giovani di non aver paura della vita e delle difficoltà, ma di affrontare tutto con amore e speranza; non da soli, ma con Dio e con i fratelli e le sorelle, perché insieme possiamo cambiare noi stessi e il mondo; così hanno vissuto e fatto i nostri santi e il nostro padre fondatore don Bosco. Invito perciò i giovani ad aprire il cuore alla chiamata di Dio, a non essere indifferenti quando ascoltano la Sua voce… non indurite il cuore!
E concludo dicendo a me stesso e a tutti i giovani, le stesse parole di papa Francesco nella Cristus Vivit: “Lui vive e ti vuole vivo!”

don Simon ZAKERIAN
ispettore Medio Oriente




Intervista al nuovo ispettore don Milan Ivančević

La Croazia salesiana rappresenta una parte della Congregazione Salesiana, degna di particolare attenzione. In un paese che conta quasi 4 milioni di abitanti, stanno emergendo numerose vocazioni, non solo tra i salesiani, ma anche tra le Figlie di Maria Ausiliatrice. Recentemente, la comunità ha accolto un nuovo ispettore salesiano: don Milan Ivančević. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e vogliamo offrire la sua testimonianza.

Puoi presentarti?
Milan Ivančević, salesiano, nato il 25 ottobre 1962, a Šlimac (Rama – Prozor, BiH). Di tre fratelli e tre sorelle, ho 29 nipoti. Ho terminato le scuole elementari e superiori nella mia città natale. Dopo aver studiato matematica e fisica a Mostar e due anni di insegnamento in una scuola elementare, sono entrato nella comunità salesiana nell’autunno del 1989. Ho preso i voti permanenti l’8 settembre 1997 e sono stato ordinato sacerdote il 27 giugno 1998.
Come sacerdote salesiano ho svolto i seguenti servizi:
– 1998 – 1999: Vicario parrocchiale nella parrocchia di Maria Ausiliatrice a Knežija;
– 1999 – 2002: insegnante di religione a Žepče;
– 2002 – 2003: consigliere della Comunità per l’Educazione delle Vocazioni Salesiane a Podsused;
– 2003 – 2005: studio specialistico a Roma presso UPS, (licenza in spiritualità);
– 2005 – 2006: consigliere della Comunità per l’Educazione delle Vocazioni Salesiane a Podsused;
– 2006 – 2015: direttore nella stessa comunità e membro del Consiglio ispettoriale;
– 2015 – 2021: direttore della comunità salesiana di Žepče e direttore del KŠC Don Bosco;
– 2021 – 2024: parroco e direttore della comunità a Spalato;
– 2024 –: ispettore.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
Mia madre mi ha insegnato i primi passi nella fede, con la parola e con l’esempio. Più tardi, crescendo, anche tutti gli altri membri della famiglia ci hanno formato nella fede, perché in famiglia c’era la preghiera regolare: preghiera del mattino e della sera, prima e dopo i pasti.
Abitavamo in un villaggio a 7 km dalla chiesa, ma andavamo regolarmente alla Santa Messa domenicale. Tutto era intriso di fede ma anche di tanta sofferenza. La mia zona ha sofferto molto durante la seconda guerra mondiale. In un giorno la madre, quando aveva solo 11 anni, perse due fratelli che furono uccisi dai cetnici (serbi) nell’autunno del 1942 solo perché croati. Quella ferita segnò la famiglia per tutta la vita insieme alla povertà.

Come hai conosciuto Don Bosco / i salesiani?
Ho sentito parlare dei Salesiani abbastanza tardi. Durante i miei studi di matematica, ho espresso il desiderio a mia zia, ormai defunta, che era una suora in Germania, di voler diventare prete. Mi ha fornito quattro indirizzi dalla Germania a cui è possibile rivolgersi in relazione alla vocazione al sacerdozio. Tra questi il discorso dei Salesiani in Germania. Così ho cominciato a corrispondere con loro, e le lettere sono state tradotte dal salesiano croato don Franjo Crnjaković, che allora lavorava in Germania. Quando i tempi furono maturi per entrare in comunità, si presentò il problema di non conoscere la lingua tedesca. Poi don Franjo mi ha mandato l’indirizzo dei salesiani di Zagabria e così sono diventato salesiano croato.

Avevi fino gli studi superiori in matematica. Perché salesiano?
Amavo la matematica e lavorare con i bambini a scuola. Mi è piaciuto aiutare i giovani a risolvere problemi di matematica. Fin dalla mia infanzia, la vocazione sacerdotale in qualche modo covava in me. La prima che ricordo è stata un’esperienza con un parente anziano che era tra i pochi parenti a ricevere una pensione. Quando ero in terza elementare, un giorno mi vide felice per i miei ottimi voti e mi disse: “Promettimi che studierai per diventare prete, e d’ora in poi ti darò 5 stoi di ciascuna delle mie pensioni” (valore attuale 10 euro). E ovviamente l’ho promesso perché per me da bambino era un grande valore. Molti anni dopo, quando già lavoravo in una scuola ed ero vicino alla decisione di entrare in comunità, fui al suo funerale e sulla tomba aperta lo ringraziai e gli promisi che mi sarei fatto prete. Tra i bambini a cui insegnavo matematica c’erano anche quelli abbandonati dai genitori. Osservare la loro situazione mi ha aiutato a decidere di intraprendere la strada del servizio ai giovani come salesiano.

La gioia più bella e la fatica più grande
Le esperienze della confessione mi rendono felice soprattutto. Quando vedo davanti a me la trasformazione dell’anima umana e riconosco me stesso come il mezzo attraverso il quale avviene, essa non può essere paragonata a nulla sulla terra, è un evento celeste. Soprattutto quando si tratta di giovani, ma in queste situazioni ogni anima è giovane perché è bella. E ciò che mi ferisce di più è la disperazione dei bambini e dei giovani quando i loro genitori si separano. Sono sempre profondamente commosso dalla loro sofferenza. E anche la consapevolezza di quando le persone prendono alla leggera la decisione di abortire. Mi viene la pelle d’oca a causa della cecità in cui le persone non sono consapevoli di quanto grande sia l’errore che stanno commettendo. Queste cose penetrano nel profondo dell’umanità e la mettono in discussione.

Quali sono le necessità locali più urgenti e dei giovani? Che cosa si potrebbe fare di più e meglio?
Il bisogno più urgente della nostra popolazione è ridare speranza alle persone affinché non abbiano paura della vita e rafforzare le persone nella fede che Dio guida e sostiene questo mondo. La vita è tanto più bella e ricca quando è intrisa di fede, perché proprio nella fede essa ha un significato evidente e può trovare sempre motivi di gioia. La cultura moderna ruba questo valore ai giovani e lo sostituisce con valori di breve durata, che si consumano facilmente e velocemente, lasciando un vuoto nell’anima. Abbiamo la fortuna che un gran numero di giovani riescano a coltivare e vivere la propria fede, a volte anche controcorrente. Ma purtroppo molti sono ancora lontani dalla fede e cercano un senso in qualcosa di più piccolo di loro.
Forse potremmo uscire ancora di più e iniziare a cercare i randagi. Ma è necessario uscire preparati, se portiamo solo le nostre forze riusciremo un po’, ma se andiamo avanti con la forza di Dio, allora Lui fa molto per le nostre piccole cose. Penso che nei nostri cuori, che sono consacrati a Dio, abbiamo bisogno di recuperare quell’amore originario e testimoniare con rinnovata forza che Dio è realmente vivo e che ci invita a partecipare alla sua vita. E questo non può essere nascosto, le anime lo vedono.

Come vedi il futuro?
Il futuro, come il presente, è nelle mani di Dio. La Bibbia ci insegna che il mondo è in buone mani. Ecco perché non dobbiamo avere paura. “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31). È vero che i cambiamenti avvengono a una velocità incredibile, il mondo diventa sempre più piccolo perché tutto è facile e veloce da raggiungere. Culture e tradizioni si mescolano e nessuno può immaginare quali saranno le conseguenze. Ma se abbiamo fiducia nel Signore, che è la fonte della vita, Egli porterà tutto al bene. Sta a noi ascoltare, discernere e cercare il nostro posto e il nostro ruolo in ciò che Egli ci chiede. E se siamo su quella strada, allora siamo pronti alle meravigliose sorprese che il Signore sta preparando per noi.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Maria, la Madre di Gesù, ha un posto importante nella mia vita. Mia madre ci ha indicato la presenza della Madonna per tutta la sua vita e ha sussurrato e pregato il rosario fino al suo ultimo respiro. Faccio anche volentieri pellegrinaggi ai santuari della Madonna e testimonio come il suo sguardo infonde speranza nelle persone. Don Bosco ci ha lasciato la devozione a Maria Ausiliatrice e ci ha promesso che vedremo cosa sono i miracoli se avremo fiducia infantile nell’Immacolata Ausiliatrice. Il mistero del Natale e dell’Eucaristia non può essere compreso senza immergersi nel profondo, e il modo più semplice per riuscirci è pregare il rosario.

Che cosa diresti ai giovani in questo momento?
Il mio messaggio ai giovani è che non abbiano paura di essere credenti, anche se la moda la chiama arretratezza. E infatti nessuno è interessato al nostro domani quanto Dio, che nei suoi comandamenti ci dà la forza per il futuro. Ci prepara per il futuro con i suoi comandamenti. Se ogni giorno cerchiamo di armonizzare la nostra vita secondo il Decalogo, allora possiamo già dire di noi stessi: beati quelli che vengono dietro di noi perché avranno delle persone davanti a loro. Perciò giovani, siate coraggiosi, non abbiate paura della vita, è il dono più bello di Dio.

Milan Ivančević, sdb
ispettore CRO




Intervista al nuovo superiore don Gabriel NGENDAKURIYO

Abbiamo intervistato il nuovo Superiore don Gabriel NGENDAKURIYO, della Visitatoria Grandi Laghi dell’Africa (AGL), che comprende Uganda, Ruanda e Burundi. Il nome della Visitatoria richiama la prossimità al Lago Vittoria, il più grande d’Africa e il secondo al mondo.

Puoi presentarti?
Mi chiamo Gabriel NGENDAKURIYO, salesiano di Don Bosco e sacerdote. Sono nato il 3 luglio 1954 in Burundi, dove ho frequentato la scuola fino alla fine degli studi secondari. Subito dopo, sono entrato nella Congregazione salesiana: ho svolto il noviziato a Butare, in Ruanda (1978-1979), e poi ho studiato Filosofia al Seminario interdiocesano di Nyakibanda (Ruanda).
Nel 1981 mi sono trasferito a Lubumbashi (allora Zaire) per il tirocinio pratico. Ho completato la Teologia a Kolwezi, nello stesso Paese, e sono stato ordinato sacerdote a Lubumbashi l’11 agosto 1987. Un mese dopo ero già a Rukago, in Burundi, come vicario parrocchiale.
Nel 1991 sono stato inviato a Roma e poi a Gerusalemme per studi che mi preparavano al ruolo di formatore presso il nostro Istituto di Teologia San Francesco di Sales a Lubumbashi. Vi sono rimasto dal 1994 al 2006, finché il Rettor Maggiore (don Pascual Chávez) mi ha nominato Superiore provinciale di una nuova Circoscrizione chiamata Africa dei Grandi Laghi (AGL), con attività in tre Paesi: Burundi, Ruanda e Uganda.
Concluso il mandato di sei anni (2006-2012) e dopo un anno sabbatico in Terra Santa, sono stato nominato Direttore a Buterere (Burundi). Successivamente, per due anni, ho diretto la Comunità Don Rua all’UPS (Roma). Sei anni dopo (agosto 2021), sono tornato a Buterere come Rettore del Santuario dedicato a Maria Ausiliatrice. Da lì sono partito per Kigali per un nuovo mandato di Superiore provinciale. Ora mi trovo a Roma per una sessione di formazione destinata ai “nuovi” provinciali.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
Provengo da una famiglia profondamente cristiana e praticante. Ho conosciuto Gesù in modo “vitale e concreto” prima ancora che teorico: si recitava il rosario ogni giorno, si andava a Messa la domenica (due ore di cammino), facevo il chierichetto, e ho seguito mia sorella maggiore al catecumenato prima di iniziare la scuola elementare. Sono stati quindi i miei genitori i primi a raccontarmi di Gesù.

Qual è la storia della tua vocazione?
Alla fine della scuola primaria ho chiesto di entrare nel piccolo seminario diocesano, perché desideravo diventare sacerdote. Non mi fu possibile; così venni indirizzato in una scuola a ciclo breve, gestita dai Fratelli di Nostra Signora della Misericordia, per formare insegnanti di scuola elementare. Qui ho trovato persone che mi hanno molto edificato. Poi, a 17 anni, sono approdato in una scuola salesiana e ho sentito il “fuoco” di Don Bosco nel mio cuore.

Qual è il ricordo più caro?
Il momento della mia ordinazione sacerdotale è uno dei ricordi più preziosi. Un altro è legato al mio primo arrivo in Terra Santa e, più tardi, a Lourdes.

Quali sono le necessità locali più urgenti e quali quelle dei giovani?
Nella mia Provincia AGL, la priorità più urgente è la formazione ai valori umani e cristiani autentici. Oggi esistono tanti “maestri” di ogni genere ed è diventato complicato distinguere la zizzania dal buon grano. Lavoriamo quindi per un’evangelizzazione profonda, basandoci sui principi del “sistema preventivo” proprio di Don Bosco.

I cristiani della regione sono perseguitati?
No, assolutamente. Al momento i cristiani godono di una sufficiente libertà per vivere e proclamare la propria fede, ovviamente nel rispetto dell’ordine pubblico.

Rapporti con persone di altre religioni nella sua regione?
I rapporti non sono sempre idilliaci tra cristiani cattolici e alcune nuove forme di obbedienza protestante, ma le divergenze non sfociano mai in violenza.

Come vede il futuro?
Guardo al futuro con ottimismo e realismo. La storia dell’umanità è dinamica, fatta di alti e bassi. Oggi attraversiamo certamente un periodo delicato, che richiede di leggere bene i “segni dei tempi” e di prendere la giusta direzione.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Fin da bambino ho sempre avuto un rapporto molto importante con Maria (ho conosciuto il titolo di “Ausiliatrice” solo più tardi). Una volta scoperto che mi ascolta e si prende cura di me, le parlo con rispetto ma anche con spontaneità e familiarità. Faccio di tutto perché sia conosciuta e amata. Mi sento suo “figlio”, “confidente” e “discepolo”.

Che cosa diresti ai giovani in questo momento?
Direi loro che la vita è bella e degna di essere vissuta con pienezza. E che questa “vita in pienezza”, sebbene meravigliosa, richiede anche sforzo (in senso ascetico), capace di nobilitare la persona umana. Avanti, giovani!

don Gabriel NGENDAKURIYO,
superiore della Visitatoria Grandi Laghi dell’Africa




Progetto Missionario Basilicata – Calabria

All’interno del “Progetto Europa”, l’Italia Meridionale ha lanciato un nuovo progetto missionario nelle regioni della Calabria e della Basilicata accogliendo i primi missionari “ad gentes”, segno di generosità missionaria e opportunità di crescita nell’apertura mondiale del carisma di Don Bosco.

Europa come terra di missione: in una nuova prospettiva missiologica salesiana le missioni assumono sempre meno una connotazione geografica, come movimento verso “le terre di missione”, oggi i missionari provengono dai cinque continenti e sono inviati ai cinque continenti. Questo movimento missionario multidirezionale avviene già in molte diocesi e congregazioni. Con il “Progetto Europa” salesiani si sono messi a confronto con questo cambio di paradigma missionario, per il quale è necessario un cammino di conversione della mente e del cuore. Il “Progetto Europa”, nell’idea di don Pascual Chávez, è un atto di coraggio apostolico e un’opportunità di rinascita carismatica nel continente europeo da inserire nel più ampio contesto della nuova evangelizzazione. L’obiettivo è quello di impegnare tutta la congregazione salesiana nel rafforzamento del carisma salesiano in Europa, soprattutto mediante un profondo rinnovamento spirituale e pastorale dei confratelli e delle comunità, al fine di continuare il progetto di Don Bosco a favore dei giovani, specialmente i più poveri.

Le ispettorie salesiane coinvolte sono chiamate a ripensare le proprie presenze salesiane per un’evangelizzazione più efficace e rispondente al contesto odierno. Tra di esse, l’ispettoria dell’Italia meridionale ha elaborato un nuovo progetto missionario che coinvolge le regioni della Basilicata e della Campania.
Partendo da un’analisi del territorio, si può constatare come il Sud Italia sia caratterizzato da una presenza abbastanza consistente di giovani, con una denatalità minore rispetto ad altre regioni italiane, e come l’emigrazione sia un fenomeno molto presente che fa sì che tanti giovani vadano via per studiare o lavorare altrove. Le tradizioni religiose e familiari, che hanno da sempre costituito un riferimento identitario importante per la comunità, sono meno rilevanti che in passato e molti giovani vivono la fede come distante dalla propria vita, pur non mostrandosi totalmente contrari ad essa. I Salesiani sperimentano una buona adesione alle esperienze spirituali giovanili ma, allo stesso tempo, una scarsa ricettività a cammini sistematici e a proposte di vita definitive.
Altre problematiche che toccano il mondo giovanile sono l’analfabetismo emotivo e affettivo, le crisi relazionali delle famiglie, la dispersione scolastica e la disoccupazione. Tutto ciò alimenta fenomeni di povertà diffusa e la crescita di organizzazioni criminali che trovano un terreno fertile per coinvolgere e deviare i giovani.
In questo contesto, molti giovani esprimono un forte desiderio nell’impegno sociale, in modo particolare in ambiti politici ed ecologici e nel mondo del volontariato. 

L’ispettoria salesiana negli ultimi anni ha riflettuto su come agire per essere rilevante nel territorio e ha compiuto diverse scelte importanti, tra cui lo sviluppo delle opere e dei progetti per i giovani più poveri come le case-famiglia e i centri diurni che manifestano direttamente e chiaramente la scelta a favore dei giovani a rischio. La cura integrale dei giovani deve puntar ad una formazione non solo teorica affinché il giovane possa scoprire o prendere consapevolezza delle proprie capacità. Inoltre, è richiesta una prassi missionaria più coraggiosa per realizzare percorsi di educazione alla fede che aiuti i giovani a realizzare il compimento della propria vocazione cristiana.
Tutto ciò da realizzare con il coinvolgimento attivo di tutti: consacrati, laici, giovani, famiglie, membri della famiglia salesiana… in uno stile pienamente sinodale che promuova la corresponsabilità e la partecipazione.

La Basilicata e la Calabria sono state scelte come aree carismaticamente significative e bisognose di irrobustimento e di nuovo slancio educativo-pastorale, territori su cui scommettere aprendo nuove frontiere pastorali e ridimensionando alcune già presenti. Le presenze salesiane sono sei: Potenza, Bova Marina, Corigliano Rossano, Locri, Soverato e Vibo Valentia. Quali sono i salesiani richiesti per questo progetto missionario? Salesiani disposti a lavorare in contesti poveri, popolari e popolosi, con difficoltà economiche e a volte di mancanza di stimoli culturali e attenti in particolare al primo annuncio. Salesiani che siano ben preparati, a livello spirituale, salesiano, culturale e carismatico. È necessario aver ben presente la ragione per cui questo progetto è stato elaborato, ovvero prendersi cura della Basilicata e della Calabria, due regioni povere e con poche proposte pastorali sistematiche a favore dei giovani più bisognosi, in cui il primo annuncio diventa sempre più un’esigenza anche in contesti di tradizione cattolica. Il lavoro educativo-pastorale dei salesiani cerca di dare speranza a tanti giovani che spesso sono costretti a lasciare le proprie case spostarsi verso nord cercando una vita migliore. Il contrasto di questa realtà con offerte pastorali e formative lungimiranti, in particolare la formazione professionale, l’attenzione al disagio giovanile, il lavoro con le istituzioni per trovare risposta diventa sempre più urgente. Oltre ai salesiani consacrati, questo territorio è arricchito dalla bella presenza di laici e membri della Famiglia Salesiana e la chiesa locale, come anche la realtà sociale, nutre un grande rispetto e considerazione verso i figli di Don Bosco.

L’accoglienza di nuovi missionari ad gentes è una benedizione e una sfida che si inserisce in questo progetto pastorale. L’ispettoria Italia Meridionale (IME) quest’anno ha ricevuto quattro missionari, inviati nella 155ª spedizione missionaria salesiana. Tra loro, due sono diventati membri della nuova delegazione ispettoriale AKM (Albania, Kosovo, Montenegro), gli altri due sono stati invece destinati al Sud Italia e prenderanno parte al nuovo progetto missionario dell’IME per la Basilicata e la Campania: Henri Mufele Ngankwini e Guy Roger Mutombo, dalla Repubblica Democratica del Congo (Ispettoria ACC).
Per accompagnare al meglio i missionari che arrivano, l’Ispettoria IME si impegna affinché essi si sentano a casa e abbiano un graduale inserimento nella nuova realtà comunitaria e sociale. I missionari sono gradualmente inseriti nella storia e nella cultura del luogo che diventerà per loro casa e, sin dai primi giorni, frequentano corsi di lingua e cultura italiana, per una durata di almeno due anni, che li aiuterà per una piena inculturazione. Parallelamente, vengono introdotti nei processi formativi e compiono i primi passi nell’azione educativo-pastorale ispettoriale con i giovani e i ragazzi. Una dimensione fondamentale è l’attenzione al cammino spirituale personale: ad ogni missionario vengono garantiti adeguati momenti di preghiera personale e comunitaria, l’accompagnamento e la guida spirituale, la confessione, possibilmente in una lingua da essi compresa, e tempi di aggiornamento e formazione. In una fase successiva, al missionario viene garantita la formazione continua per un inserimento ancor più pieno nelle dinamiche ispettoriali, mantenendo alcune attenzioni specifiche. L’esperienza missionaria verrà valutata periodicamente per individuare punti di forza, fragilità ed eventuali correttivi, in uno spirito fraterno.

Come ci ricorda don Alfred Maravilla, Consigliere Generale per le Missioni, “essere missionari in un’Europa secolarizzata pone notevoli sfide interne ed esterne. La buona volontà non basta.” “Guardando indietro con gli occhi della fede ci rendiamo conto che attraverso il lancio del ‘Progetto Europa’ lo Spirito stava preparando la Società Salesiana ad affrontare la nuova realtà dell’Europa, in modo da poter essere più consapevoli delle nostre risorse e come pure delle sfide, e con speranza per rilanciare il carisma salesiano nel Continente.” 
Preghiamo affinché nelle regioni della Basilicata e della Calabria la presenza salesiana sia ispirata dallo Spirito per il bene dei giovani più bisognosi.

Marco Fulgaro