Intervista al nuovo ispettore di Shillong, India (INS), don John ZOSIAMA

Abbiamo intervistato il nuovo ispettore di Shillong, India, don John ZOSIAMA. Una regione particolare del Nord-Est dell’India, confinante con Bhutan, Bangladesh e Myanmar (Birmania).

Può presentarsi?
Sono nato il 20 agosto 1974 a Chhingchhip, nello Stato di Mizoram, nel Nord-Est dell’India. Ho ricevuto la mia prima istruzione nel villaggio, completando le scuole superiori, e successivamente ho seguito il corso pre-universitario ad Aizawl, la capitale del Mizoram.

Chi le ha raccontato per la prima volta la storia di Gesù?
Provengo da una famiglia cattolica tradizionale: pregavamo regolarmente insieme, specialmente la sera con il rosario. Mia madre era molto devota alla Santissima Vergine Maria e non rinunciava mai alla preghiera quotidiana. È stata lei a parlarci di Gesù e dei valori del Vangelo.

Qual è la storia della sua vocazione e perché salesiana?
Da bambino facevo il chierichetto in parrocchia e frequentavo il catechismo la domenica. In quel periodo desideravo diventare sacerdote, ma da adolescente questo desiderio si affievolì: volevo infatti proseguire gli studi, trovare un buon lavoro nel governo e costruire una famiglia felice.
Tuttavia, prima di iscrivermi all’università, iniziai a riflettere con serietà sulla mia vita e sulla vocazione. Sentivo nel cuore che Dio mi chiamava a servirlo come sacerdote, soprattutto per sostenere la Chiesa cattolica in un contesto in cui altre confessioni cristiane sono piuttosto forti. Avvertivo il desiderio di dare il mio contributo alla Chiesa, in particolare per i giovani che rischiavano di smarrirsi.
La nostra catechista, sapendo che ero interessato al seminario, mi parlò dei Salesiani e mi incoraggiò a unirmi a loro. Anch’io avevo già sentito parlare di quest’ordine e conoscevo alcune loro opere a Shillong. Decisi di contattare mia zia, suora Missionaria di Maria Ausiliatrice (MSMHC), che a sua volta informò il Viceprovinciale di Guwahati. Non appena mi fu chiesto di presentarmi, partii da solo dal mio villaggio, affrontando due giorni di viaggio fino a Guwahati. Così ebbe inizio il mio aspirantato salesiano.

Come ha reagito la sua famiglia?
Mia madre fu molto felice quando seppe della mia decisione di diventare sacerdote; mi disse di non preoccuparmi per loro, perché il Signore si sarebbe preso cura di tutto. Mio padre, invece, era più titubante, perché sperava che continuassi a studiare e mantenessi la famiglia. Alla fine accettò anche lui, e prima che partissi, durante la preghiera in famiglia, citò il passo di Mt 6,33: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.

La gioia più bella e la fatica più grande
Ho vissuto esperienze pastorali molto belle sia durante la formazione pratica sia durante il ministero diaconale. Stare con i ragazzi, insegnare loro, giocare insieme e farmi loro amico mi ha dato grande gioia. Ricordo con piacere i due anni in Aspirantato con circa 150 ragazzi: un periodo pieno di momenti felici. In seguito, durante il ministero diaconale, ho avuto la possibilità di visitare molti villaggi, incontrando persone semplici. Condividere con loro il messaggio della Buona Novella mi ha dato un profondo senso di gioia e realizzazione come salesiano.
La sfida più grande l’ho vissuta durante il Filosofato, a causa di alcune incomprensioni con i superiori. Arrivai a mettere in dubbio la mia vocazione, ma mi affidai a Dio, confidando che, se davvero mi voleva come sacerdote, mi avrebbe indicato la strada. Grazie alla fede e alla preghiera, sono riuscito a superare quei momenti difficili.

Com’è la gioventù locale e quali sono i bisogni più urgenti a livello locale e giovanile?
I ragazzi del luogo sono pieni di vita e talentuosi in molti campi; molti partecipano ancora attivamente alla vita della Chiesa e alle iniziative sociali. Tuttavia, l’influsso dei social media è sempre più forte: un gran numero di giovani è attratto dal materialismo, dalla secolarizzazione e da idee politiche viste online, e come Salesiani sentiamo l’urgenza di guidarli e sostenerli. Molti abbandonano la scuola e restano disoccupati: hanno bisogno di orientamento e di speranza per il futuro, di formazione e di accompagnamento per diventare cittadini responsabili e buoni cristiani.

I cristiani nella zona sono perseguitati?
Non ci sono vere e proprie persecuzioni nei confronti dei cristiani. In molti Stati in cui operiamo, infatti, la maggioranza della popolazione è cristiana. Godiamo inoltre di una buona collaborazione con persone di altre religioni. Tuttavia, il governo centrale limita sempre più le nostre attività di educazione ed evangelizzazione con nuove regole e normative, che rendono il nostro lavoro pastorale più complesso.

Quali sono le grandi sfide dell’evangelizzazione e della missione oggi?
La prima sfida viene dalle nuove normative finanziarie e politiche in materia di istruzione introdotte dal governo centrale, che complicano le nostre attività e il nostro operato a servizio della gente. Ciononostante, la Chiesa e le opere di evangelizzazione continuano a crescere nel Nord-Est dell’India. Sento che, in questa regione, il compito più urgente è rafforzare la fede attraverso un’istruzione catechistica solida e aiutare i credenti a vivere pienamente i valori del Vangelo, diventando promotori di pace e di trasformazione sociale.

Cosa si potrebbe fare di più e meglio?
Come Salesiani, potremmo intensificare il nostro impegno per i giovani delle periferie, in particolare per quelli che abbandonano la scuola, fanno uso di droghe o che sono disoccupati. È importante studiare a fondo la loro situazione, elaborare piani strategici insieme ai laici e ai membri della Famiglia Salesiana. Dobbiamo imparare a lavorare in rete, in equipe, per raggiungere in modo più efficace i ragazzi più bisognosi.

Il rapporto con le altre religioni nella vostra zona?
Finora è molto positivo. In molti casi, gli insegnanti delle nostre scuole e istituzioni appartengono ad altre religioni, ma collaborano con noi con grande impegno e spirito di apertura.

Ha qualche progetto che le sta particolarmente a cuore?
Penso che sia fondamentale studiare la situazione dei giovani di oggi, ascoltarne i problemi e le aspirazioni, per poi avviare un nuovo ministero salesiano rivolto a coloro che sono realmente poveri e trascurati. Forse sarà necessario compiere scelte coraggiose e impegnative, ma credo che sia questa la missione a cui Don Bosco ci ha chiamato. Preghiamo e speriamo che, come confratelli, ci lasciamo trasformare dai cambiamenti del nostro tempo.

Che posto occupa Maria Ausiliatrice nella sua vita?
Attraverso l’intercessione della Santissima Vergine Maria ho ricevuto innumerevoli grazie, soprattutto invocandola come Aiuto dei Cristiani. Se oggi sono qui, lo devo anche a Lei, che ha sempre ascoltato le mie preghiere e interceduto per me. Sono riconoscente per la sua presenza materna e per la testimonianza di mia madre, che mi ha insegnato a recitare il rosario con fede.

Ha un messaggio per la Famiglia Salesiana?
Come Famiglia Salesiana, abbiamo ricevuto un grande carisma attraverso Don Bosco. Dobbiamo custodirlo e ringraziare Dio per questo dono, mettendoci al servizio dei giovani – in particolare dei poveri e degli abbandonati – ovunque ci troviamo. Siamo presenti in 137 Paesi e possiamo essere segno concreto dell’amore di Dio per i ragazzi e le ragazze di oggi.

don John Zosiama
Provinciale di Shillong, India (INS)




Intervista al nuovo ispettore del Giappone, don Francesco HAMASAKI

Abbiamo intervistato il nuovo ispettore del Giappone, don Francesco HAMASAKI. Sempre fa piacere sentire notizie dai luoghi più lontani geograficamente dall’origine salesiana, da Valdocco.

Puoi presentarti?
Sono nato nella prefettura di Nagasaki, una regione del Giappone nota per i numerosi martiri che vi sono stati. Mi è stato detto che anche i miei antenati erano cristiani, cosiddetti “nascosti” a causa della persecuzione. Tuttavia, durante la mia infanzia, mi sono trasferito nella prefettura di Nara (vicino a Osaka e Kyoto, famosa per i suoi antichi templi e santuari) e lì sono cresciuto. La mia famiglia è composta da sette persone: i miei genitori, i miei quattro fratelli e sorelle, e io. Tutti siamo cattolici, e in particolare i miei genitori sono molto devoti.

Qual è la storia della tua vocazione?
All’epoca, i sacerdoti che svolgevano il loro ministero nella prefettura di Nara provenivano tutti dall’Australia ed erano missionari maristi. Il parroco della mia comunità era padre Tony Glynn, un uomo che si è impegnato per diventare un ponte di pace tra il Giappone e l’Australia. È stato persino protagonista di un film intitolato La ferrovia dell’amore. È stato grazie alla sua influenza che ho iniziato a desiderare di diventare sacerdote. Tuttavia, in quel momento non conoscevo ancora i Salesiani di Don Bosco, né Don Bosco stesso.
Successivamente, attraverso varie circostanze, come l’incontro con alcune suore, sono entrato nell’aspirantato salesiano durante il primo anno di liceo. Un evento curioso è accaduto proprio prima del mio ingresso: ricevevo ogni mese una rivista senza sapere chi me la inviasse. Dopo essere entrato nei Salesiani, mi sono reso conto che si trattava del Bollettino Salesiano giapponese (Katorikku Seikatsu; Vita Cattolica). Ancora oggi non so chi me lo mandasse, ma credo che fosse Don Bosco stesso a guidarmi verso la sua congregazione.
Oggi mi sento molto felice. Questo perché percepisco intensamente la grandezza e la misericordia di Dio, e provo gioia nell’essere sacerdote salesiano. Questo mi permette di vivere il carisma di Don Bosco, ossia dedicare la mia vita ai giovani.
Prima di essere ordinato sacerdote, ho lavorato per due anni e mezzo nella redazione di Katorikku Seikatsu presso la casa editrice Don Bosco Sha. Dopo l’ordinazione, ho trascorso 12 anni lavorando con i giovani nell’aspirantato. Successivamente, ho lavorato per 9 anni in una scuola e poi per 3 anni in una piccola parrocchia e un asilo. Ora, ricopro il ruolo di ispettore.
Ovunque sia stato, ho provato gioia nello stare con i giovani e ho vissuto tante esperienze e incontri straordinari. Tra tutte, quella che ha trasformato il mio modo di vivere, pensare e sentire come salesiano è stata l’esperienza di lavoro pastorale nel carcere minorile. Qui ho capito l’importanza dell’insegnamento di Don Bosco: “Non basta amare, bisogna che i giovani si sentano amati.” Ho compreso profondamente l’amore di Dio e la sua infinita misericordia.
Anche se, per via del mio ruolo attuale, sono spesso lontano dal lavoro pastorale diretto con i giovani, continuo a dedicarmi al ministero nelle carceri minorili per non dimenticare il cuore di Don Bosco.

Come sono i giovani del luogo?
Parlando dei giovani giapponesi di oggi, come in altri paesi, anche loro affrontano varie sfide. Ritengo che ci siano due problemi principali che richiedono attenzione:
1. Giovani immigrati e figli di famiglie immigrate: Negli ultimi decenni, sono aumentati i giovani provenienti dalle Filippine e dall’America Latina. Recentemente, molti giovani del sud-est asiatico, in particolare dal Vietnam, stanno venendo in Giappone. Si stima che ci siano circa 600.000 giovani vietnamiti nel paese. La nostra ispettoria si è già impegnata nel ministero per questi giovani, ma con il continuo invecchiamento della popolazione giapponese, è probabile che il numero di giovani stranieri aumenterà ulteriormente. Questo richiederà per loro una maggiore attenzione pastorale e spirituale.
2. Povertà giovanile: L’economia giapponese sta diventando più debole, e le disuguaglianze economiche stanno crescendo. Sempre più giovani vivono in povertà. Ad esempio, ci sono molte “mense per bambini” in Giappone, che offrono pasti gratuiti a famiglie bisognose. Inoltre, sta aumentando il numero di giovani coinvolti in “lavoretti illegali”, ovvero piccoli crimini che promettono guadagni facili ma che li trasformano in vittime di sistemi criminali.
In risposta a queste sfide, credo che sia giunto il momento per la nostra ispettoria di prendere decisioni coraggiose e di agire, come ci invitava don Àngel Fernández Artime, il precedente Rettor Maggiore e attuale cardinale. Dobbiamo occuparci in modo speciale dei giovani che non ricevono l’attenzione necessaria dalle istituzioni pubbliche, collaborando con la Famiglia Salesiana e i nostri collaboratori.
Infine, desidero sottolineare l’importanza della Madonna. Senza la fiducia e la devozione a Maria Ausiliatrice, come potremmo trasmettere il cuore di Don Bosco ai giovani? Con il passare degli anni, sento sempre più forte il bisogno della sua guida e del suo aiuto. Come Don Bosco, anch’io spesso dico: “E ora, Maria, iniziamo.”
Vi chiedo di pregare per i giovani del Giappone e per noi Salesiani in Giappone, affinché possiamo continuare a trasmettere il cuore di Don Bosco a tutti loro.

don Hamasaki Atsushi Francesco,
ispettore del Giappone




Intervista con Nelson Javier MORENO RUIZ, ispettore in Cile

Don Nelson ha 57 anni ed è nato nella città di Concepción l’11 settembre 1965. Ha conosciuto i Salesiani presso il Collegio Salesiano di Concepción, dove era studente e partecipava ai gruppi giovanili e alle attività pastorali.
I suoi genitori Fabriciano Moreno e María Mercedes Ruiz vivono attualmente nella città di Concepción.
Ha svolto tutta la sua formazione iniziale nella città di Santiago. Ha emesso la professione perpetua l’8 agosto 1992 a Santiago (La Florida). È stato ordinato sacerdote il 6 agosto 1994 a Santiago. I suoi primi anni da sacerdote sono stati trascorsi nella presenza salesiana del Colegio San José de Punta Arenas e nella scuola salesiana di Concepción, dove ha lavorato nella pastorale. Dal 2001 al 2006 è stato direttore della presenza salesiana a Puerto Natales e dal 2006 al 2012 direttore della presenza salesiana a Puerto Montt.
Dal 2012 al 2017 è stato economo provinciale e direttore della casa provinciale. Nel 2018 è stato direttore della presenza salesiana di Gratitud Nacional nel centro della città di Santiago e dal 2019 direttore dell’opera a Puerto Montt, dove si trova attualmente.
Don Moreno Ruiz succede a Don Carlo Lira Airola, che ha concluso il suo mandato di sei anni nel gennaio 2024.

Può farci un’autopresentazione?
Sono un salesiano contento della vita, che nella vocazione religiosa salesiana ha trovato la presenza di Dio nei giovani, che servo e accompagno come pastore educatore.
Sono Padre Nelson Moreno Ruiz, Ispettore dell’Ispettoria del Cile. Sono stato chiamato a questo servizio di animazione dal Vescovo Rettor Maggiore e Cardinale Ángel Fernández Artime, assumendo questa responsabilità dal gennaio di quest’anno.
Ho conosciuto i Salesiani in giovane età, quando sono entrato nella scuola salesiana della città di Concepción, che è la prima opera nel nostro Paese, dove i missionari inviati da Don Bosco arrivarono dall’Argentina al Cile nel 1887.
In questo ambiente scolastico salesiano sono cresciuto intorno alla proposta educativa pastorale offerta dalla scuola; incontri sportivi, attività pastorali missionarie e molte attività di servizio sociale, tutto questo ha avuto un’eco nella mia vita di giovane; era anche importante vedere e incontrare i salesiani nel cortile della scuola, e con queste esperienze si è sviluppata la mia vocazione e nel tempo mi sono sentito chiamato a seguire le orme di Don Bosco come salesiano.
Il mio gruppo familiare è composto dai miei genitori, ormai anziani, mio padre Fabriciano di 93 anni e mia madre di 83, i miei quattro fratelli, i tre ragazzi che hanno studiato alla scuola salesiana, e mia sorella maggiore, che spesso aveva il compito di prendersi cura di noi. Siamo una famiglia relativamente piccola, completata da quattro nipoti, che ora sono giovani professionisti.
Come salesiano, ho fatto la mia prima professione religiosa il 31 gennaio 1987, quindi sono stato religioso per 37 anni e sono stato ordinato sacerdote il 6 agosto 1994. Nella mia vita religiosa, ho avuto l’opportunità di animare alcune comunità come direttore delle opere, oltre a servire come economo provinciale prima di diventare ispettore.
Ritengo che una delle mie caratteristiche sia quella di essere attento a rendere un buon servizio ovunque il Signore lo voglia, quindi ho dedicato del tempo a prepararmi e a studiare per la missione. Dopo aver conseguito il diploma di scuola superiore presso la scuola salesiana di Concepción, sono entrato nella Congregazione dove ho studiato Filosofia presso la Congregazione, poi ho ottenuto la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Cattolica del Cile, la Laurea in Educazione Religiosa e la Licenza in Educazione in Gestione Scolastica presso l’Università Cattolica Raúl Silva Henríquez; in seguito, ho conseguito un Master in Gestione dell’Educazione presso l’Università di Concepción in Cile, un Master in Qualità ed Eccellenza nell’Educazione presso l’Università di Santiago de Compostela in Spagna e un Dottorato in Scienze dell’Educazione presso l’Università di Siviglia, Spagna.
E ora, con umiltà e semplicità, servo la mia Ispettoria, nei fratelli e nell’animazione delle opere.

Cosa sognava da bambino?
Da bambino, insieme ai miei fratelli e ai miei amici, ho avuto un’infanzia molto normale e felice, mi piaceva molto lo sport, giocavo regolarmente a calcio in un club locale e questo mi ha portato a sognare di dedicarmi allo sport in futuro, ciò che mi piaceva di più era condividere e avere amici, e questo era ciò che lo sport mi offriva.
Quando sono entrato a scuola e mi sono unito alle varie attività pastorali, mi sono reso conto che mi piaceva anche insegnare ai bambini e ai giovani con cui avevo contatti in queste attività pastorali. Il tema educativo e pedagogico aveva molto senso per me ed è diventato parte del mio progetto di vita, poiché lo vedevo come un sogno che era possibile realizzare.
Queste preoccupazioni si sono mescolate con la mia inclinazione a studiare qualcosa legato all’area della salute; questa motivazione era molto presente, dal momento che nella mia famiglia alcuni di loro erano impegnati in professioni in questo settore.
Vedo che il filo conduttore di queste inclinazioni che ho avvertito dall’infanzia all’adolescenza, sono sempre state orientate a lavorare con le persone, a essere al loro servizio, a essere utili a loro, a servirle, a insegnare loro, ad accompagnarle.

Qual è la storia della sua vocazione?
La mia storia vocazionale, senza dubbio, inizia nella mia famiglia, provengo da una casa in cui si viveva la fede, attraverso la devozione a San Sebastiano e a Santa Rita da Cascia, e sono stati i miei genitori a inculcarci la fede, permettendoci di ricevere il sacramento del battesimo e della cresima. La mia vocazione è iniziata a casa, in modo molto semplice, con un senso di Dio percepito in modo naturale e senza grandi pratiche religiose, ma con un profondo senso di gratitudine verso Dio nella vita quotidiana.
Nella scuola salesiana di Concepción, ho scoperto un mondo nuovo, perché era una scuola enorme e prestigiosa della città. Quando sono arrivato, mi sono sentito subito accolto e motivato a partecipare alle proposte che aveva per i suoi studenti, soprattutto alle attività pastorali, nelle quali sono stato gradualmente coinvolto, così come allo sport, che era una parte importante della mia vita a quell’età.
Quando studiavo alla scuola salesiana, ero molto interessato a tutte le attività pastorali e nell’ultimo anno di scuola elementare, ho avuto l’opportunità di partecipare come monitore ai “Campi estivi – Villa Feliz”, dove ho scoperto che potevo essere utile e dare qualcosa ai bambini più poveri; da quel momento in poi ho assunto l’impegno di continuare su questo percorso di servizio, che ha dato molto significato alle mie preoccupazioni adolescenziali.

È stato nei gruppi giovanili che la mia vocazione alla vita religiosa si è definita più chiaramente, sono entrato a far parte del ministero sacramentale, come monitore della Cresima, dove ho riaffermato la mia chiamata a servire.
Tutta questa vita pastorale mi ha dato l’opportunità di incontrare e condividere con i Salesiani che, con la loro testimonianza e vicinanza, mi hanno presentato una proposta vocazionale che ha catturato la mia attenzione, in quanto erano belle testimonianze di un servizio vicino ai giovani. Questo è stato già il seme della mia vocazione religiosa, che mi ha dato l’impulso di decidere di entrare nella Congregazione, l’inizio del cammino vocazionale nella chiamata che il Signore mi ha fatto, dove sono un sacerdote salesiano da 30 anni, accompagnato dal motto che ho scelto per la mia ordinazione sacerdotale: “Signore, tu conosci ogni cosa, tu sai che io ti amo” (Gv. 21,17),

Perché salesiano?
Perché salesiano? Perché è stato in una scuola della Congregazione dove ho studiato, dove mi sono formato, dove sono cresciuto, dove si sono formate le mie convinzioni, le mie certezze e il mio progetto di vita.
Con i Salesiani, attraverso le attività pastorali, ho conosciuto più a fondo la missione della Chiesa, tutto questo ambiente ha dato un senso pieno alla mia vita, confermando che il carisma della gioia, dei giovani e dell’educazione, era la strada che il Signore mi presentava, alla quale partecipavo attivamente, perché rispondeva alle mie preoccupazioni e ai miei desideri, e mi rendeva felice; non c’era possibilità di un’altra risposta, perché i Salesiani erano ciò che copriva tutto ciò che cercavo e desideravo e che conoscevo fin dalla mia infanzia.
Durante la mia formazione, ho avuto contatti con altre congregazioni e carismi, che mi hanno aiutato a confermare, ancora di più, che la spiritualità salesiana era il mio stile, ciò che copriva il significato di ciò che volevo fare; la vita di Don Bosco, il lavoro con i giovani, il lavoro pastorale, tutto, il frutto dell’esperienza che ho avuto con loro, dove mi sono formato, dove ho servito e dove la mia vocazione si è formata e consolidata.
Il Signore mi ha fatto il dono di conoscere Don Bosco e la spiritualità salesiana, è stata la proposta che mi ha invitato a seguire e io l’ho accettata, ho consacrato la mia vita qui, e ad oggi sento che la mia vocazione di salesiana mi rende tutto ciò che sono.

Come ha reagito la sua famiglia?
Una volta presa la decisione di fare il passo di entrare nei Salesiani, l’ho detto alla mia famiglia, soprattutto ai miei genitori. Erano sorpresi, e fu mia madre che per prima mi capì, mi sostenne e mi accompagnò, invitandomi a fare questo passo.
Il padre, preoccupato, mi chiese se ero davvero sicuro, se era quello che volevo veramente, cosa mi rendeva felice e se era la mia strada; a tutte queste domande risposi di sì. Lui, confermando che se era quello che volevo ed era disposto a vedere se era davvero il mio futuro, e chiarendo che potevo sempre contare su di loro e di non dimenticare che avrei sempre avuto la mia casa, nel caso in cui non fosse stata la mia strada, mi ha detto che potevo contare su tutto il suo sostegno.
Sentire così chiaramente il sostegno dei miei genitori è stato molto bello, mi ha dato molta gioia e serenità, dato che stavo iniziando un percorso senza essere sicuro che fosse davvero il percorso per una persona giovane.
Anche i miei fratelli sono rimasti sorpresi, perché avevo una vita molto naturale, legata allo sport, con gli amici, ma quando sono stati sicuri che volevo davvero seguire la chiamata del Signore, mi hanno sostenuto.
Mi sono sempre sentito molto accompagnato e sostenuto dai miei genitori e dai miei fratelli, il che mi ha dato molta serenità per iniziare il processo di formazione; ad oggi, conto su di loro, so che mi accompagnano con amore fatto preghiera.

Quali sono i bisogni locali e giovanili più urgenti?
In Cile, oggi, la popolazione da 0 a 17 anni è di 4.259.115 abitanti, pari al 24% della popolazione totale del Paese. E noi salesiani ci dedichiamo in modo particolare all’educazione formale di questo segmento della popolazione. Abbiamo 22 scuole, dove studiano bambini e giovani dai 4 ai 19 anni, con un totale di 31.000 studenti che vengono educati nelle nostre scuole. Oggi è la più grande rete scolastica del Paese che offre questo servizio ai giovani.
A ciò si aggiungono un’Università, che serve circa 7.000 studenti, e la Fondazione Don Bosco, dedicata all’accoglienza e all’accompagnamento dei bambini di strada, il segmento più vulnerabile tra loro, che serve più di 7.000 bambini e giovani.
La necessità più urgente che vivono e soffrono i nostri giovani è che sono molto esposti al consumo di alcol e droghe, oltre che all’uso indiscriminato della tecnologia. Questo, insieme alla solitudine che sperimentano a causa della disgregazione delle loro famiglie, li porta spesso a soffrire di situazioni di ‘salute mentale’, depressione, ansia, angoscia e crisi di panico o simili.
Questa realtà ci spinge a cercare di accompagnarli nella loro ricerca di significato, di benessere emotivo e di stabilità emotiva, tutti bisogni fondamentali degli esseri umani, soprattutto di quelli che si stanno sviluppando e crescendo. Cerchiamo anche di fornire loro i valori cristiani, affinché passo dopo passo si impegnino a vivere la loro fede nelle comunità giovanili e nella Chiesa cilena, oltre a fornire loro l’educazione necessaria per integrarsi nella società.
I giovani sono la parte preferita di Don Bosco e lo dobbiamo a loro, per cui ci impegniamo a fornire loro istruzione e strumenti affinché possano diventare “buoni cristiani e onesti cittadini”.

Quali sono le opere più significative nella sua area?
L’Ispettoria cilena ha una gamma variegata di opere di cui si occupa: parrocchie, centri di pastorale giovanile, centri di accoglienza, scuole e università. Ma la proposta pastorale si è concentrata fondamentalmente sull’educazione formale nelle scuole, che forniscono un’istruzione dall’età prescolare – 4 anni – all’istruzione secondaria – 19 anni.
L’istruzione cilena fornisce una formazione sia per preparare i giovani ad accedere all’istruzione superiore, alle università, sia per fornire un’istruzione tecnico-professionale, in cui gli studenti si diplomano con un diploma tecnico in una carriera di loro scelta.
Possiamo dire che l’istruzione tecnica professionale è uno dei lavori più significativi che abbiamo, perché costituisce una vera e propria promozione dei giovani, permettendo loro di entrare nel mondo del lavoro con un diploma tecnico che, anche se è vero che non è tutto, facilita la possibilità di collaborare con le loro famiglie, e spesso finanzia il loro proseguimento dell’istruzione superiore.
Vorrei anche sottolineare il lavoro che svolgiamo nella “Fundación don Bosco”, che si occupa di bambini in situazioni di strada, che non hanno o non hanno una famiglia, svolgendo con loro un lavoro di contenimento, riabilitazione, promozione e inserimento sociale, realizzando – come faceva Don Bosco – bambini e giovani evangelizzati con valori.

Comunicate attraverso riviste, blog, Facebook o altri media?
I social media oggi sono molto importanti e di grande aiuto per raggiungere molti giovani e adulti. Comunico regolarmente con la Famiglia Salesiana attraverso la rivista Bollettino Salesiano, il blog “Agorà”, i siti ufficiali dell’Ispettoria, il sito web e Instagram.

Quali sono le aree più importanti?
Della missione che devo svolgere oggi nell’Ispettoria, credo che la cosa più importante sia accompagnare e animare la vita dei miei confratelli, soprattutto quelli con cui lavoro e condivido la responsabilità dell’Ispettoria come consiglieri, e i confratelli che hanno la responsabilità di animare e accompagnare i confratelli come direttori di comunità e opere. In breve, la priorità è accompagnare i miei confratelli salesiani.
Allo stesso modo, mi sembra rilevante, il compito di animare la vita della Famiglia Salesiana, un compito importante, animando nella fedeltà al carisma, tutti coloro che ne fanno parte; Salesiani consacrati, Figlie di Maria Ausiliatrice, Salesiani Cooperatori, Volontarire di Don Bosco, Associazione di Maria Ausiliatrice e altri.
Non possiamo non menzionare come compito rilevante, quello di animare la vita dei giovani, attraverso la pastorale giovanile, le associazioni e i diversi gruppi che possono esistere sotto il carisma salesiano, dando un posto importante tra questi, alla pastorale vocazionale, e a quei giovani che sentono il desiderio di rispondere alla chiamata del Signore nella nostra Congregazione.

Come vede il futuro?
Di fronte a una società assetata di significato in ciò che è e in ciò che fa, mi sembra che noi Salesiani siamo chiamati a rispondere a queste ricerche e a dare un senso a ciò che facciamo, a dare un senso alla vita, soprattutto per i giovani.
Abbiamo un compito fondamentale, che è quello di educare i giovani, e coloro che li educano e lavorano con loro devono certamente essere portatori di sogni e di speranza.
Il mondo è in costante costruzione e spetta a noi Salesiani contribuire, con la nostra vita, le nostre azioni e la nostra missione, alla sua costruzione, attraverso l’educazione dei giovani di oggi, affinché sapendo di essere amati, preziosi, capaci e tirando fuori il meglio di loro, possano dare un senso alla loro vita ed essere costruttori di speranza nelle loro famiglie e nella società.

Ha un messaggio per la Famiglia Salesiana?
Il messaggio che posso condividere con tutta la Famiglia Salesiana, prima di tutto, è che siamo custodi e portatori di un dono, un dono che Dio fa alla Chiesa, che è il carisma salesiano, un dono e un compito per ciascuno di noi.
Quest’anno, il Cardinale e Rettor Maggiore della Congregazione, Padre Ángel Fernández Artime, ci invita a sognare, a imitazione di nostro padre Don Bosco, un padre sognatore. Don Bosco sognava cose che sembravano impossibili, ma la sua grande fiducia in Maria Ausiliatrice e il suo lavoro perseverante e tenace lo portarono a realizzare i suoi sogni. Anche noi, degni figli di questo padre, siamo chiamati a sognare e ad aggiungere i giovani a questi sogni, che non sono altro che desiderare un mondo migliore per loro, dove possano inserirsi, costruendo una società più amabile e più sensibile ai valori umani e cristiani. Insieme a loro, vogliamo contribuire e diventare buoni cristiani e onesti cittadini, sentendoci profondamente amati da Dio.




Intervista ad Aurelien MUKANGWA, Superiore della Visitatoria Africa Congo Congo

Abbiamo fatto a don Aurelien MUKANGWA, Superiore della Visitatoria Africa Congo Congo (ACC), alcune domande per i lettori del Bollettino Salesiano OnLine.

Don Aurélien è nato il 9 novembre 1975 a Lubumbashi, Repubblica Democratica del Congo. Ha compiuto il suo noviziato a Kansebula dal 24 agosto 1999 al 24 agosto 2000. Ha poi emesso la professione perpetua a Lubumbashi l’8 luglio 2006 ed è stato ordinato sacerdote il 12 luglio 2008.
Ha ricoperto gli incarichi, a livello locale, di Direttore a Uvira, Kinshasa, Lukunga e Le Gombe, e di Preside scolastico a Masina. Prima della nascita dell’attuale Visitatoria ACC, fu proprio lui ad essere scelto come Superiore della Delegazione di RDC-OVEST, per quattro anni, e al momento di questa nomina, era di nuovo Delegato dell’Ispettore nella nuova Delegazione AFC Est, con sede a Goma.
Don Mukangwa è figlio di Donatien Symba Mukangwa e Judith Munyampala Mwange, titolare di un Diploma in Pedagogia. Ha assunto questo nuovo servizio di animazione e di governo della Visitatoria ACC – che ricopre parte della Repubblica Democratica del Congo e la Repubblica del Congo – per il sessennio 2023-2029.

Può farci una autopresentazione?
Mi chiamo Mukangwa Mwanangoy Aurélien, sono nato a Lubumbashi (Haut Katanga), nella Repubblica Democratica del Congo, il 09 novembre 1975 da mio padre Donatien Symba Mukangwa e da mia madre Judith Munyampara Mwange. Sono il secondo di 11 figli, 7 maschi e quattro femmine.
Sono diventato salesiano di Don Bosco quasi 24 anni fa, il 24 agosto 2000. E dal 24 maggio 2023 sono stato insediato come secondo superiore provinciale della vice-provincia di Maria Ausiliatrice Africa Congo-Congo (ACC). Subito dopo la formazione iniziale, ho lavorato a Uvira, Kinshasa, Lubumbashi e Goma, e ora sono nella sede della Viceprovincia a Kinshasa.

Qual è la storia della tua vocazione?
Grazie mille per questa bella domanda, che trovo molto essenziale, perché per me è importante l’incontro con Don Bosco che mi ha portato a essere salesiano.
L’influenza vocazionale che ho avuto dipende dal luogo in cui sono nato, dalla mia infanzia e dalla mia giovinezza. Sono nato e cresciuto in un comune che era servito pastoralmente esclusivamente dai Salesiani di Don Bosco. All’epoca, tutte le parrocchie del comune del Kenya (Lubumbashi-RDC) erano gestite dai Salesiani di Don Bosco. Il mio primo contatto con i salesiani è stato alla scuola materna (4 anni), dove ho conosciuto salesiani come i padri Eugène, Carlos Sardo, Angelo Pozzi e Luigi Landoni. Nella mia parrocchia di Saint Benoit (Kenya), quando ero molto giovane, andavo all’oratorio e al parco giochi, dove ho incontrato anche padre Jacques Hantson, sdb, e i giovani salesiani in formazione che venivano da Kansebula (post-noviziato). Nella stessa parrocchia ho conosciuto anche padre André Ongenaert, sdb. Intorno al 1987, la famiglia si trasferì nel quartiere dietro la Cité des Jeunes de Lubumbashi, fondata dai Salesiani. Lì ho avuto il privilegio di conoscere molti salesiani e missionari africani.
Così, fin da piccolo, ho covato il desiderio di diventare come questi salesiani che venivano a fare pastorale nella mia parrocchia, perché mi ispiravano tanto il loro modo di fare e di stare con noi, il loro modo di accogliere i bambini e la disponibilità che avevano ad ascoltare i giovani, soprattutto il loro impegno al servizio dei giovani poveri e la gioia che mettevano intorno a tutti noi.

Come ha conosciuto Don Bosco / i Salesiani?
Come ho detto prima, ho conosciuto Don Bosco attraverso i Salesiani di Don Bosco nella mia parrocchia, nella mia scuola, nella mia formazione attraverso i Salesiani, i libri e i film su Don Bosco.

Ricorda un educatore in particolare?
Padre Jacques Hantson, per lo spirito salesiano e missionario con cui ci guidava nell’oratorio della parrocchia di Saint Benoît a Lubumbashi. Padre Hantson era un missionario belga e oggi riposa presso il Padre celeste.

Quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato?
Le maggiori difficoltà che abbiamo incontrato finora sono la miseria dei giovani abbandonati dallo Stato, dai genitori e dagli adulti; giovani che sono diventati vittime della guerra, della disoccupazione, della droga, della prostituzione, della povertà e dello sfruttamento in varie forme. L’altra difficoltà è la mancanza di soluzioni reali ai problemi dei giovani e la mancanza di risorse umane, materiali e finanziarie per fornire un’assistenza adeguata a questi giovani vulnerabili in difficoltà.

Qual è la tua esperienza più bella?
L’esperienza più bella della mia vita salesiana è stata quella di assistente nella casa di pre-noviziato, nelle attività oratoriane e nella pastorale scolastica e sociale.
Nel corso del tempo ho imparato che dalle esperienze positive e negative bisogna trarre buoni insegnamenti per la vita e cercare di essere positivi per realizzare l’ottimismo salesiano.

I cristiani nella regione sono perseguitati?
Devo dire che l’area geografica della nostra visitatoria è, per grazia, prevalentemente cristiana. Quindi i cristiani non sono perseguitati qui. Tuttavia, a volte sono vittime della situazione socio-politica e di sicurezza dei Paesi che compongono la nostra visitatoria.

Quali sono le grandi sfide dell’evangelizzazione e della missione oggi?
Oggi le grandi sfide dell’evangelizzazione e della missione sono quelle del mondo digitale, dove troviamo un numero abbastanza elevato di giovani che si confrontano con l’intelligenza artificiale, con tutte le sue insidie.
Un’altra sfida specifica per la nostra visitatoria è l’espansione della missione salesiana in tutta la nostra area geografica. Ci sono giovani in periferia che hanno bisogno del carisma di Don Bosco. Ma perché questo avvenga, dobbiamo investire molto nella formazione di salesiani di qualità che siano veramente “appassionati di Gesù Cristo e dedicati ai giovani”.

Che ruolo ha Maria Ausiliatrice nella sua vita?
Come cristiano cattolico e salesiano di Don Bosco, Maria ha un posto importante nella mia vita. Grazie alla spiritualità salesiana, ho imparato ad approfondire la dimensione della devozione a Maria Ausiliatrice. Ogni mattina, al termine della nostra meditazione, recitiamo la preghiera salesiana a Maria Ausiliatrice, e trovo il tempo, durante il giorno e la sera, di chiedere alla Vergine Maria aiuto per la mia vocazione, per la missione salesiana, per la famiglia salesiana e soprattutto per i giovani. Ho una grande fiducia in Lei. Lei è mia Madre. È intrinsecamente legata alla mia vocazione, anzi la devo a lei.

Cosa direbbe ai giovani di oggi?
Viste le sfide che i giovani di oggi devono affrontare, ci sono molte cose da dire. Ai giovani dico che Dio ha fatto loro un grande dono nella persona di Don Bosco attraverso il carisma salesiano. Ogni giovane che incontra Don Bosco ha il dovere di costruire la propria vita sui valori salesiani. Non c’è bisogno che vi ricordi l’ordine che Don Bosco ci ha lasciato: “Insegnate ai giovani la bruttezza del peccato e la bellezza della virtù”. Chi non ha ancora conosciuto Don Bosco dovrebbe rivolgersi a un’organizzazione salesiana. Cari giovani, voi siete i protagonisti del vostro futuro, un futuro migliore e radioso! Perciò non perdete tempo. Impegnatevi. Approfittate del carisma salesiano. È lì per voi.




Intervista a Philippe BAUZIERE, ispettore Brasile Manaus

Abbiamo chiesto a don Philippe BAUZIERE, nuovo ispettore di Brasile Manaus (BMA) che ci risponda a qualche domanda per i lettori del Bollettino Salesiano OnLine.

Don Philippe Bauzière è nato a Tournai, in Belgio, il 2 febbraio 1968. Ha svolto il noviziato salesiano presso la casa di Woluwe-Saint-Lambert (Bruxelles) e ha emesso la prima professione, sempre a Bruxelles, il 9 settembre 1989. Nel 1994 è arrivato per la prima volta in Brasile, a Manaus, dove ha emesso la professione perpetua il 5 agosto dell’anno successivo.
Ha ricevuto l’ordinazione diaconale ad Ananindeua il 15 novembre 1997 e, un anno più tardi, il 28 giugno 1998 è stato ordinato sacerdote presso la cattedrale della sua città natale, Tournai.
I primi anni da sacerdote li ha trascorsi presso la presenza salesiana di Manaus Alvorada (1998-2003). Dal 2004 al 2008 ha vissuto poi a Porto Velho, ricoprendo prima l’incarico di Parroco e poi di Direttore (2007-2008). Negli anni successivi ha vissuto a Belém, São Gabriel de Cachoeira e Ananindeua. Dal 2013-2018 è stato a Manicoré come Parroco e Direttore. Tornato a Manaus, ha vissuto nelle case di Alvorada, Domingos Savio e Aleixo fino al 2022. Quest’anno, 2023, è ad Ananindeua, dove accompagna la “Scuola Salesiana del Lavoro”. Dal 2019 fa parte del Consiglio Ispettoriale, dove ha ricoperto diversi incarichi di responsabilità: dal 2021 è Vicario Ispettoriale e anche Delegato Ispettoriale per la Famiglia Salesiana e per la Formazione.
Don Bauzière succede a don Jefferson Luís da Silva Santos che ha concluso il suo mandato di sei anni come Superiore dell’Ispettoria di Brasile-Manaus.

Può farci una autopresentazione?
            Sono Philippe Bauzière, salesiano di don Bosco, missionario da trent’anni in Brasile e sacerdote da ventisei. Ho capito la mia vocazione, la chiamata del Signore, soprattutto attraverso l’aspetto missionario. Una grande influenza l’ha avuta il parroco del mio villaggio in Belgio: era un Oblato di Maria Immacolata che aveva vissuto per molti anni in Sri Lanka e Haiti, che condivideva la sua esperienza missionaria… Così, all’età di diciott’anni, dopo un discernimento, ho capito che il Signore mi stava chiamando alla vita religiosa e al sacerdozio.
            Una curiosità: sono il maggiore dei miei due fratelli, e all’epoca loro frequentavano una scuola salesiana; io invece frequentavo una scuola diocesana… E sono stato io stesso a scoprire i salesiani! Ed è stato lo spirito salesiano a conquistarmi.
            Nel settembre 1989 ho fatto la mia prima professione religiosa chiedendo di andare nelle missioni. Il Consigliere per le Missioni di allora, don Luciano Odorico, mi inviò nell’Ispettoria Amazzonica (Manaus, Brasile), dove arrivai il 30 giugno 1994.
            Le prime sfide furono quelle dell’adattamento: una nuova lingua, il clima equatoriale, mentalità diverse… Pero tutto è stato controbilanciato di una bella sorpresa, quella dell’accoglienza che ho ricevuto dai miei confratelli e dalla gente.
            Dopo la mia ordinazione, sono stato mandato a lavorare nelle opere sociali e nelle parrocchie, dove ho avuto l’opportunità di incontrare tanti giovani e gente semplice. Come salesiano, sono molto felice di questo contatto, di poter servire il Signore insieme ai giovani e alle famiglie. Mi sento piccolo davanti all’azione del Signore in tanti giovani, e anche all’azione del Signore in me stesso.

Quali sono le difficoltà più grosse che hai incontrato?
            Oggi noi salesiani in Amazzonia sentiamo le potenti sfide che i giovani devono affrontare: la mancanza di opportunità, di formazione e di lavoro; il peso del traffico della droga, delle dipendenze e della violenza; molti giovani che non si sentono amati nelle loro case o famiglie (si sentono più a casa nelle nostre opere salesiane, che non nelle loro case…); i principali problemi di salute mentale (depressione, ansia, alcolismo, suicidio, ecc.); la mancanza di senso della vita tra i giovani; la mancanza di linee guida per un uso corretto delle nuove tecnologie.
Sentiamo anche la sfida di garantire che i gruppi etnici che si trovano in Brasile, non perdano la loro identità culturale, soprattutto i giovani. Di fronte a questo quadro, capiamo che la nostra vita deve essere donata al Signore, al servizio della difesa della VITA di tante persone, soprattutto dei giovani. Che il Signore ci illumini! Che Don Bosco interceda per noi!

Quali sono le necessità locali più urgenti?
            I tempi stanno cambiando rapidamente – come si può capire – e noi dobbiamo rispondere in modo adeguato a questi nuovi tempi. Le nostre opere hanno bisogno di molte risorse finanziarie (soprattutto perché la nostra posizione in Amazzonia comporta costi molto elevati, a causa delle grandi distanze), così come di una formazione adeguata e rinnovata per le nostre risorse umane (salesiani e laici). Le richieste sono tante: abbiamo bisogno di più salesiani! Sarebbe un gran bene se avessimo vocazioni, anche indigene.

Quale posto occupa nella vita Maria Ausiliatrice?
            Credo che, come nella vita di Don Bosco, la Madonna sia la nostra Ausiliatrice; Lei è presente e ci aiuta.




Intervista a don Francisco LEZAMA, ispettore dell’Uruguay

Abbiamo fatto a don Francisco LEZAMA, nuovo ispettore dell’Uruguay (URU), alcune domande per i lettori del Bollettino Salesiano OnLine.

Don Francisco Lezama è nato nella città di Montevideo l’11 settembre 1979. Ha conosciuto i Salesiani nell’opera salesiana di Las Piedras, dove ha partecipato ai gruppi giovanili e alle attività parrocchiali.
I suoi genitori, Luis Carlos Lezama e Graciela Pérez, vivono ancora attualmente nella città di Las Piedras.
Ha svolto tutta la sua formazione iniziale nella città di Montevideo. Ha compiuto il noviziato tra il 1999 e il 2000, ha emesso la professione perpetua il 31 gennaio 2006 a Montevideo, ed è stato ordinato sacerdote, nella sua città natale, l’11 ottobre 2008.
I primi anni di ministero sacerdotale li ha trascorsi nella presenza salesiana dell’Istituto “Juan XXIII” nella città di Montevideo. Poi, dal 2012 al 2015 ha studiato Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma.
Tra il 2018 e il 2020 è stato Direttore e parroco dell’Istituto “Pio IX” di Villa Colón, nonché membro dell’équipe ispettoriale per la Formazione e Delegato per la Pastorale Vocazionale. Nel 2021 ha assunto il servizio di Vicario ispettoriale e Delegato ispettoriale per la Pastorale Giovanile, incarichi mantenuti fino all’ottobre 2022, quando è stato designato come Economo ispettoriale. 
Don Lezama succede nell’incarico di Ispettore di URU a don Alfonso Bauer, che a gennaio 2024 ha concluso il suo sessennio di servizio.

Può farci una autopresentazione?
Sono Francisco Lezama, sacerdote salesiano, 44 anni… Mi appassiona l’educazione dei giovani, mi sento a mio aggio in mezzo a loro. Vengo da una famiglia che mi ha insegnato il valore della giustizia e dell’attenzione per gli altri. La vita mi ha regalato amici con cui posso condividere ciò che sono e che mi aiutano a crescere continuamente. Sogno un mondo in cui tutti e tutte abbiano una casa e un lavoro, e mi impegno – nella misura delle mie forze – per renderlo realtà.

Qual è la storia della tua vocazione?
Fin da bambino mi sono sentito chiamato a mettere la mia vita al servizio degli altri. Ho guardato in molte direzioni: mi sono impegnato nell’attivismo politico e sociale, ho pensato di dedicarmi professionalmente all’educazione come insegnante… Da adolescente mi sono avvicinato alla parrocchia per il mio desiderio di aiutare gli altri. Lì, partecipando all’oratorio, ho scoperto che quello era l’ambiente in cui potevo essere me stesso, in cui potevo dispiegare il mio io più profondo desiderio… e in questo contesto, un salesiano mi ha suggerito far un discernimento alla chiamata per la vita consacrata. Non l’avevo mai presa in considerazione nel modo cosciente, ma in quel momento sentivo una luce nel cuore che mi diceva che era in questa direzione.

Da allora, nella vocazione salesiana, ho sviluppato la mia vita e, anche con le spine in mezzo alle rose, ho scoperto passo a passo che le chiamate di Gesù hanno segnato il mio cammino: la mia professione come religioso, i miei studi universitari in educazione, la mia ordinazione sacerdotale, la mia specializzazione in Sacra Scrittura, e soprattutto ogni missione, ogni giovane con cui Dio mi ha fatto il dono di incontrare, mi permettono di continuare a essere grato e a svolgere la mia vocazione.

Perché salesiano?
Sono appassionato di educazione, mi sento chiamato a realizzare la mia vocazione in questo e credo anche che sia uno strumento per cambiare il mondo, per cambiare le vite. Ho anche scoperto che come salesiano posso dare tutta la mia vita, “fino all’ultimo respiro”, e questo mi rende molto felice.

Come ha reagito la tua famiglia?
Mi hanno sempre accompagnato, così come i miei fratelli, in modo che ognuno trovi la sua strada verso la felicità. Nella mia famiglia paterna ho uno zio e una zia che sono stati anch’essi chiamati alla vita consacrata, ma soprattutto ho nella mia famiglia molti esempi di amore fedele e generoso, a partire dai miei genitori, e ultimamente lo vedo nell’amore di mia sorella e di mio cognato per i loro figli, che mi hanno dato la vocazione di zio e mi aiutano a scoprire nuove sfaccettature dello stesso amore, che viene da Dio.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
Ricordo mia nonna e il mio padrino che mi hanno incoraggiato molto a conoscere Gesù… poi nella catechesi parrocchiale ho iniziato a seguire il percorso che mi ha permesso di crescere nella sua amicizia… Infine, con i Salesiani, ho scoperto questo Gesù vicino a me, che si rende presente nella vita di tutti i giorni e mi incoraggia a crescere nella sua amicizia.

Hai studiato la Sacra Scrittura presso il Pontificio Istituto Biblico di Roma. I giovani di oggi sono interessati della Bibbia? Come avvicinarli?
Ho scoperto che i giovani sono molto interessati alla Bibbia – persino in un centro giovanile universitario di Montevideo, un gruppo mi ha chiesto lezioni di greco per poter approfondire il testo! La realtà è che il testo biblico ci mostra la Parola di Dio sempre in dialogo con le culture, con le sfide del tempo e i giovani sono molto sensibili a queste realtà.

Quali sono state le sfide più grandi che hai incontrato?
Non c’è dubbio che le ingiustizie e le disuguaglianze vissute dalle nostre società siano sfide molto grandi, perché per noi non sono cifre o statistiche, ma hanno un nome e un volto, in cui si riflette il volto sofferente di Cristo.

Quali sono le tue più belle soddisfazioni?
Per me è una gioia immensa vedere Dio all’opera: nei cuori dei giovani, nelle comunità che ascoltano la sua voce, nelle persone che si impegnano ad amare anche di fronte alle difficoltà.

D’altra parte, è una grande gioia condividere il carisma con i fratelli salesiani e con tanti laici che oggi rendono possibile lo sviluppo dell’opera salesiana in Uruguay. Abbiamo fatto passi molto significativi verso la sinodalità, condividendo vita e missione, in uno stile che ci arricchisce e ci permette di lavorare dal profondo della nostra identità.

Quali sono le opere più significative della tua zona?
Ci sono molte opere di grande importanza in Uruguay. Alcune hanno un forte impatto sulla società, come il Movimento Tacurú, nella periferia di Montevideo, che è senza dubbio il progetto sociale più importante dell’intera società uruguaiana. Ci sono altre opere di grande importanza nella loro zona, come l’Istituto Paiva, nel dipartimento di Durazno, che permette agli adolescenti delle zone rurali di accedere all’istruzione secondaria (che altrimenti non sarebbe possibile per loro) e di aprire nuovi orizzonti nella loro vita. Oppure l’Obra Don Bosco, nella città di Salto, che oltre a vari progetti che li accompagnano dalla nascita ai 17 anni, ha un progetto specifico per gli adolescenti in conflitto con la legge, accompagnandoli in vari aspetti della loro vita.

Hai qualche progetto che ti sta particolarmente a cuore?
L’ultimo progetto che abbiamo avviato è una casa di accoglienza per bambini che lo Stato ha preso in custodia, perché i loro diritti venivano violati, e li ha affidati a noi salesiani.  La abbiamo chiamato col nome significativo di “Casa Valdocco”, dove i bambini sono accompagnati e allo stesso tempo cerchiamo di farli rientrare in una realtà familiare che possa aiutarli nel loro sviluppo.

Quale posto occupa nella vita Maria Ausiliatrice?
In Uruguay abbiamo molte chiese e opere dedicate a Maria Ausiliatrice. Infatti, è proprio nella nostra ispettoria che è nata la tradizione della commemorazione mensile, ogni 24 del mese. Pero sono due luoghi che per me sono significativi: uno è il Santuario Nazionale, a Villa Colón, la casa madre dei Salesiani in Uruguay, da cui poi sono partiti i missionari per tutta l’America. L’altro luogo, nel nord del paese, è Corralito, a Salto. Lì la devozione a Maria Ausiliatrice è arrivata prima dei Salesiani, grazie agli ex-allievi che hanno diffuso la loro devozione. Credo che questo sia un segno della vitalità della nostra famiglia e anche di come Lei sia sempre presente, utilizzando mezzi e modi che sempre ci sorprendono e ci meravigliano.




Intervista a don Alexandre Luís de Oliveira, ispettore dell’Ispettoria Salesiana di San Paolo

Abbiamo fatto a don Alexandre Luís de Oliveira, nuovo ispettore dell’Ispettoria Salesiana di San Paolo (BSP), alcune domande per i lettori del Bollettino Salesiano OnLine.

Don De Oliveira è nato a Campinas, nello Stato di San Paolo, il 18 ottobre 1975. Ha conosciuto i Salesiani proprio nell’opera salesiana di Campinas, dove è stato allievo dell’istituto e ha partecipato ai gruppi giovanili e alle attività parrocchiali.
Sua madre, Tamar A. Da Silva, vive ancora attualmente nella città di Campinas.
Ha svolto il noviziato a Indápolis, presso Dourados, il post-noviziato a Lorena, il tirocinio a San Carlos e Pindamonhangaba e gli studi teologici nella casa di Lapa, a San Paolo. Ha emesso la professione perpetua il 31 gennaio 2004 a San Paolo, ed è stato ordinato sacerdote il 17 dicembre 2005 a Campinas.
Ha trascorso i suoi primi anni da sacerdote nella presenza salesiana di Lorena, presso l’Istituto “San Joaquín” (2006-2008). Dal 2009 al 2011 è stato Direttore e Parroco dell’opera salesiana della città di Americana; nel 2012 è diventato Direttore della Casa Ispettoriale di San Paolo, e al contempo Delegato di Pastorale Giovanile; dal 2013 al 2017 è stato Direttore del Postnoviziato di Lorena e Delegato ispettoriale per la Formazione; dal 2018 al 2022 Direttore e parroco della casa “Maria Ausiliatrice” di Campinas e attualmente è Direttore della casa “San José”, sempre a Campinas. Ha inoltre ricoperto l’incarico di Consigliere Ispettoriale per tre trienni consecutivi, dal 2012 al 2020.
Don De Oliveira succede nell’incarico a don Justo Piccinini, che ha concluso il suo mandato di sei anni come Ispettore.

Può farci una autopresentazione?
Sono don Alexandre Luís de Oliveira, brasiliano, dell’Ispettoria Salesiana di San Paolo (BSP). Ho 49 anni, 25 anni di professione religiosa, 19 anni di ordinazione sacerdotale e attualmente sono ispettore.
Sono della città di Campinas SP. Ho frequentato la casa salesiana da bambino. Sono stato un piccolo corista, un oratoriano e un ex allievo del Centro Professionale Don Bosco presso la Scuola Salesiana di San Giuseppe. Insieme alla mia famiglia, frequentavo anche la cappella della Scuola Salesiana di San Giuseppe e della Parrocchia di Nostra Signora Ausiliatrice. Vivendo con i salesiani e frequentando questi ambienti, mi sono sentito chiamato ad un discernimento vocazionale.

Perché salesiano?
Salesiano, perché mi sento profondamente identificato con il carisma di Don Bosco: l’educazione e l’evangelizzazione dei giovani.

Come ha reagito la tua famiglia?
Fin dall’inizio, la mia famiglia mi ha accompagnato con il suo sostegno e le sue costanti preghiere affinché si compisse la volontà di Dio su di me e che fossi felice del mio progetto di vita.

L’incontro e la persona che più ti hanno colpito
Mi ha sempre colpito la presenza dei salesiani che sono molto vicini ai giovani. Questa facilità di accesso mi riporta sempre alla mente bei ricordi e mi ha anche stimolato nella mia risposta vocazionale.

La gioia più grande?
La mia gioia più grande è la mia consacrazione religiosa e il giorno della mia ordinazione sacerdotale. Essere un sacerdote salesiano mi appaga profondamente.

Quali sono le necessità locali più urgenti e dei giovani?
Credo che il bisogno più urgente dei giovani sia quello di avere riferimenti creativi nel loro processo di formazione/educazione ai valori.

Che cosa si potrebbe fare di più e meglio?
Credo che, come Salesiani di Don Bosco, possiamo essere più vicini ai giovani, possiamo offrire loro maggiori opportunità di contatto con noi consacrati e in questo modo, attraverso la nostra testimonianza, possiamo anche invitarli alle vocazioni.

Programmi per il futuro? Sogni? Iniziative?
Per il presente e per il futuro, possiamo essere segni vivi della presenza di Don Bosco tra i giovani, le nostre comunità possono essere più aperte ad accoglierli e ad offrire loro reali opportunità di crescita spirituale, umana, educativa e professionale.

Ha un messaggio per la Famiglia Salesiana?
Un messaggio di speranza viva, di ritorno alle origini, di ritorno a Don Bosco. Che possiamo sognare il suo sogno e i sogni dei giovani. Che le nostre comunità, le scuole, le opere sociali, le parrocchie e i centri universitari siano una casa per i giovani, un luogo per la loro realizzazione.




Missionari nei Paesi Bassi

Nell’immaginario comune le “missioni” riguardano il sud del mondo, in realtà non è un criterio geografico alla base e anche l’Europa è meta di missionari salesiani: in questo articolo parliamo dei Paesi Bassi.

Quando don Bosco sognò, tra il 1871 e il 1872, dei “barbari” e dei “selvaggi”, secondo il linguaggio dell’epoca, alti di statura e con facce feroci, vestiti con pelli di animali che camminavano in una zona a lui completamente sconosciuta con dei missionari in lontananza, nei quali riconobbe i suoi salesiani, allora non poteva prevedere l’enorme sviluppo della Congregazione Salesiana nel mondo. Trentacinque anni dopo – 18 anni dopo la sua morte – i Salesiani avrebbero fondato la loro prima ispettoria in India e 153 anni dopo l’India è diventato il primo Paese al mondo per numero di salesiani. Ciò che Don Bosco non poteva assolutamente immaginare è che i salesiani indiani sarebbero venuti in Europa, in particolare nei Paesi Bassi, per lavorare come missionari e per vivere e sperimentare la propria vocazione.

Incontriamo don Biju Oledath sdb, nato nel 1975 a Kurianad, nel Kerala, nel sud dell’India. Salesiano dal 1993, è arrivato nei Paesi Bassi come missionario nel 1998, dopo gli studi di filosofia presso il collegio salesiano di Sonada. Dopo il tirocinio ha compiuto gli studi teologici presso l’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio. Nel 2004 è stato ordinato sacerdote in India e come giovane sacerdote ha svolto il suo servizio nella parrocchia di Alapuzha, nel Kerala, per poi tornare l’anno dopo nei Paesi Bassi come missionario. Attualmente vive e lavora nella comunità salesiana di Assel.

Nel cuore di don Biju, quando era giovane, c’era il seme della missione ad gentes e, in particolare, il desiderio di essere destinato all’Africa, ispirato dai confratelli indiani partiti per il Kenya, la Tanzania e l’Uganda. Questo sogno missionario si alimentava grazie ai loro racconti e a tutto il materiale da loro scritto, lettere e articoli sul lavoro salesiano in Africa. Tuttavia, i superiori pensavano che fosse ancora troppo giovane e non ancora pronto per questo passo e anche la famiglia riteneva che fosse troppo pericoloso per lui in quel momento partire. Ci dice don Biju: “Ripensandoci, sono d’accordo con loro: dovevo prima completare la mia formazione iniziale e volevo davvero studiare teologia in una buona università. Non sarebbe stato così facile in quei Paesi all’epoca”.

Ma se il desiderio missionario è sincero e proviene da Dio, arriva sempre il momento della chiamata: la vocazione missionaria salesiana, infatti, è una chiamata dentro la comune chiamata alla vita consacrata per i Salesiani di Don Bosco. Così nel 1997 a don Biju è stata prospettata la missione ad gentes in Europa, nei Paesi Bassi, sicuramente un progetto molto diverso dalla vita missionaria in Africa. Dopo il tirocinio, avrebbe studiato teologia presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio). “Ho dovuto deglutire per un momento, ma ero comunque felice di poter partire per un nuovo Paese”, ammette don Biju, che era determinato a girare il mondo per il ben dei giovani.

Non è scontato conoscere il posto in cui si è inviati come missionari, magari si è sentito qualcosa del paese o qualche storia sul suo conto. “Avevo già sentito parlare dei Paesi Bassi, sapevo che si trovava sotto il livello del mare e avevo letto la storia di un bambino che aveva messo un dito in una diga per evitare un’inondazione, salvando così il paese. Ho iniziato subito a cercare un atlante mondiale e all’inizio ho avuto qualche difficoltà a trovarlo tra tutti gli altri grandi paesi europei.” Il padre di don Biju rimase contrario, preoccupato per la distanza e per il lungo viaggio, mentre sua madre lo invitò ad obbedire alla sua vocazione e seguire il suo sogno di felicità.

Prima di raggiungere l’Europa, passò una lunga attesa per ottenere il visto per i Paesi Bassi. Così, don Biju fu destinato al lavoro con i bambini di strada a Bangalore. A metà dicembre 1998, in una fredda giornata invernale, finalmente l’arrivo ad all’aeroporto di Amsterdam, dove l’ispettore e altri due salesiani attendevano il missionario indiano. L’accoglienza calorosa compensò lo shock culturale per l’approccio in un nuovo luogo, molto diverso dall’India, dove fa sempre caldo e tanta gente vive per strada. L’inculturazione richiede tempo per abituarsi, conoscere e comprendere dinamiche totalmente sconosciute a casa propria.
Il primo anno di don Biju è trascorso nella conoscenza delle diverse case e opere salesiane: “ho capito che ci sono persone davvero gentili e ho iniziato ad adattarmi a tutte queste nuove impressioni e abitudini”. I Paesi Bassi non sono solo freddi e piovosi, ma anche belli, soleggiati e caldi. I salesiani sono stati molto gentili ed ospitali con don Biju, preoccupati di farlo sentire a proprio agio e a casa. Sicuramente il modo di vivere la fede cristiana degli olandesi è molto differente dall’India e l’impatto può essere scioccante: grandi chiese con poche persone, per lo più anziani, canti e musiche diverse, uno stile più dimesso. Oltre a ciò, ci racconta don Biju, “mi è mancato molto il cibo, la famiglia, gli amici… soprattutto la vicinanza dei giovani salesiani della mia stessa età intorno a me.”  Ma con il tempo migliora la comprensione della situazione le differenze iniziano ad avere un senso e una logicità.

Per essere un missionario salesiano efficace in Europa, lavorare in una società secolarizzata richiede spesso adattabilità, sensibilità culturale e una comprensione graduale del contesto locale, che non può essere ottenuta da un giorno all’altro. Questo lavoro richiede pazienza, preghiera, studio e riflessione che aiutano a scoprire la fede alla luce di una nuova cultura. Questa apertura permette ai missionari di dialogare con sensibilità e rispetto con la nuova cultura, riconoscendo la diversità e la pluralità dei valori e delle prospettive religiose.
I missionari devono sviluppare nel posto in cui si trovano una fede e una spiritualità personale profondamente radicate, come uomini di preghiera, di fronte al calo dei tassi di affiliazione religiosa, al minore interesse o apertura alle questioni spirituali e all’assenza di nuove vocazioni alla vita religiosa/salesiana.
È forte il rischio di perdersi in una società secolarizzata dove il materialismo e l’individualismo sono prevalenti e ci può essere meno interesse o apertura verso le questioni spirituali. Se non si sta attenti, un giovane missionario può facilmente cadere nello scetticismo e nell’indifferenza religiosa e spirituale. In tutti questi momenti, è importante avere un direttore spirituale che possa guidare al giusto discernimento.

Come don Biju, ci sono circa 150 salesiani che sono stati inviati in tutta Europa dall’inizio del nuovo millennio, in questo continente da ricristianizzare, dove la fede cattolica ha bisogno di essere rinvigorita e sostenuta. I missionari sono un dono per la comunità locale, sia salesiana sia a livello di Chiesa e di società. La ricchezza della diversità culturale è un dono reciproco per chi accoglie e per chi è accolto ed aiuta ad aprire gli orizzonti mostrando un volto della Chiesa più “cattolico”, ovvero universale. I missionari salesiani, inoltre, portano una boccata di freschezza in alcune Ispettorie che hanno difficoltà a fare un ricambio generazionale, dove i giovani sono sempre meno interessati alle vocazioni alla vita consacrata.

Nonostante la tendenza alla secolarizzazione, ci sono segni di una rinascita dell’interesse spirituale nei Paesi Bassi, in particolare tra le generazioni più giovani. Negli ultimi anni si può notare un’apertura alla religiosità e un calo dei sentimenti antireligiosi. Questo si manifesta in varie forme, tra cui le forme alternative di essere chiesa, l’esplorazione di pratiche spirituali alternative, la mindfulness e la rivalutazione delle credenze religiose tradizionali. C’è sempre più bisogno di assistere i giovani, poiché un gruppo importante di giovani soffre di solitudine e depressione, nonostante il benessere generale della società. Come salesiani, dobbiamo leggere i segni dei tempi per stare vicino ai giovani e aiutarli.

Si vedono segni di speranza per la Chiesa, portati dai cristiani migranti che arrivano in Europa e dai cambiamenti demografici, culturali e di vita di molte comunità locali. Nella comunità salesiana di Hassel spesso si riuniscono giovani cristiani immigrati dal Medio Oriente che portano la loro fede vivace, le loro opportunità e contribuiscono positivamente alla nostra comunità salesiana.
“Tutto questo mi dà un’ottima sensazione e mi fa capire quanto sia bello poter lavorare qui, in quello che per me è inizialmente un Paese straniero.”

Preghiamo che l’ardore missionario possa rimanere sempre acceso e che non manchino missionari disposti ad ascoltare la chiamata di Dio per portare il suo Vangelo in tutti i continenti attraverso la semplice e sincera testimonianza di vita.

di Marco Fulgaro




Missionario in Patagonia

Patagonia, la regione meridionale dell’America del Sud, divisa tra Argentina e Cile, è un territorio presente nei primi sogni missionari di don Bosco. Anche questo “sogno” si è concretizzato in una missione che porta frutti anche oggi.

            Il nome deriva dagli indigeni di quelle terre, patagoni, termine usato da Ferdinando Magellano, indigeni che oggi sono identificati come tribù dei tehuelche e degli aonikenk. Questi nativi sono stati sognati da don Bosco nel 1872, come racconta don Lemoyne nelle sue MemorieBiografiche (MB X,54-55).

            “Mi parve di trovarmi in una regione selvaggia ed affatto sconosciuta. Era un’immensa pianura, tutta incolta, nella quale non scorgevansi né colline né monti. Nelle estremità lontanissime però tutta la profilavano scabrose montagne. Vidi in essa turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di un’altezza e statura straordinaria, di un aspetto feroce, coi capelli ispidi e lunghi, di colore abbronzato e nerognolo, e solo vestiti di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle. Avevano per armi una specie di lunga lancia e la fionda (il lazo).
Queste turbe di uomini, sparse qua e là, offrivano allo spettatore scene diverse: questi correvano dando la caccia alle fiere; quelli andavano, portavano conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Da una parte gli uni si combattevano fra di loro: altri venivano alle mani con soldati vestiti all’europea, ed il terreno era sparso di cadaveri. Io fremeva a questo spettacolo: ed ecco spuntare all’estremità della pianura molti personaggi, i quali, dal vestito e dal modo di agire, conobbi Missionari di varii Ordini. Costoro si avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Io li fissai ben bene, ma non ne conobbi alcuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi; ma i barbari, appena li vedevano, con un furore diabolico, con una gioia infernale, loro erano sopra e tutti li uccidevano, con feroce strazio li squartavano, li tagliavano a pezzi, e ficcavano i brani di quelle carni sulla punta delle loro lunghe picche. Quindi si rinnovavano di tanto in tanto le scene delle precedenti scaramucce fra di loro e con i popoli vicini.
Dopo di essere stato ad osservare quegli orribili in macelli, dissi tra me: – Come fare a convertire questa gente così brutale? – Intanto vedo in lontananza un drappello d’altri missionari che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovinetti.
Io tremava pensando: – Vengono a farsi uccidere. – E mi avvicinai a loro: erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per nostri Salesiani. I primi mi erano noti e sebbene non abbia potuto conoscere personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch’essi Missionari Salesiani, proprio dei nostri. 
 – Come mai va questo? – esclamava. Non avrei voluto lasciarli andare avanti ed era lì per fermarli. Mi aspettava da un momento all’altro che incorressero la stessa sorte degli antichi Missionari. Voleva farli tornare indietro, quando vidi che il loro comparire, mise in allegrezza tutte quelle turbe di barbari, le quali abbassarono le armi, deposero la loro ferocia ed accolsero i nostri Missionari con ogni segno di cortesia. Maravigliato di ciò diceva fra me: – Vediamo un po’ come ciò andrà a finire! – E vidi che i nostri Missionari si avanzavano verso quelle orde di selvaggi; li istruivano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce; insegnavano ed essi imparavano con premura; ammonivano, ed essi accettavano e mettevano in pratica le loro ammonizioni.
Stetti ad osservare, e mi accorsi che i Missionari recitavano il santo Rosario, mentre i selvaggi, correndo da tutte parti, facevano ala al loro passaggio e di buon accordo rispondevano a quella preghiera.
Dopo un poco i Salesiani andarono a porsi nel centro di quella folla che li circondò, e s’inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi per terra ai piedi dei Missionari, piegarono essi pure le ginocchia.
Ed ecco uno dei Salesiani intonare: Lodate Maria, o lingue fedeli, e quelle turbe, tutte ad una voce, continuare il canto di detta lode, così all’unisono e con tanta forza di voce, che io, quasi spaventato, mi svegliai.
Questo sogno l’ebbi quattro o cinque anni fa e fece molta impressione sul mio animo, ritenendo che fosse un avviso celeste. Tuttavia non ne capii bene il significato particolare. Intesi però che trattavasi di Missioni straniere, le quali prima d’ora avevano formato il mio più vivo desiderio.

Il sogno, adunque, avvenne verso il 1872. Dapprima don Bosco credette che fossero i popoli dell’Etiopia, poi pensò ai dintorni di Hong-Kong, quindi alle genti dell’Australia e delle Indie; e solo nel 1874, quando ricevette, come vedremo, i più pressanti inviti di mandare i Salesiani all’Argentina, conobbe chiaramente, che i selvaggi veduti in sogno erano gli indigeni di quell’immensa regione, allora quasi sconosciuta, che era la Patagonia.

            La missione, iniziata quasi 150 anni fa, continua anche oggi.
            Un salesiano, padre Ding, ha sentito la chiamata missionaria ai suoi 50 anni. È una chiamata dentro la chiamata: all’interno della vocazione a seguire Dio come consacrato nella Congregazione Salesiana, qualcuno sente la richiesta di un ulteriore passo, lasciare tutto e partire per portare il Vangelo in posti nuovi, la “missio ad gentes” per tutta la vita. Dopo aver finito l’incarico di delegato ispettoriale per le Missioni nei suoi ultimi anni nelle Filippine, si è reso disponibile per far parte della 152esima spedizione missionaria e, nel 2021, è stato assegnato alla Patagonia, nell’ispettoria Argentina-Sud (ARS).
            Dopo un corso per nuovi missionari salesiani, ridotto a causa del COVID, e la consegna della croce missionaria il 21 Novembre 2021, il primo impegno è stato quello dello studio della lingua spagnola, insieme al suo compagno padre Barnabé, dal Benin, a Salamanca, in Spagna. Ma una volta arrivati in Argentina, padre Ding si è reso conto di non riuscire a comprendere tanto per la velocità nel parlare e le differenze dell’accento. Continua ad inculturarsi a Buenos Aires, dopo di che raggiungerà la sua meta, la Patagonia, terra dei primi missionari salesiani. L’accoglienza e la gentilezza delle persone a Buenos Aires lo hanno fatto sentire a casa e lo hanno aiutato a superare gli “shock” culturali.

Ci racconta:
Come si arriva a confermarsi nella propria vocazione missionaria? Nel quotidiano, grazie alle attività di ogni giorno a scuola, in parrocchia e in oratorio. Lo spirito di don Bosco è vivo nel paese che accolse i primi missionari salesiani, proprio a La Boca dove iniziò il primo lavoro parrocchiale salesiano. Uno dei segreti che permette questa vitalità ancora oggi è l’impegno dei laici corresponsabili, che con fedeltà e creatività si mettono a disposizione, lavorando fianco a fianco con i salesiani. Un vero esempio di spirito di famiglia e dedizione alla missione, che realizza praticamente le riflessioni del Capitolo Generale 24 sulla collaborazione tra salesiani e laici.
            Un altro aspetto che colpisce in questa terra è l’instancabile lavoro a favore dei poveri e degli emarginati. Presso La Boca, la domenica viene preparato un pranzo per i poveri della città e si possono vedere collaboratori della scuola, parrocchiani e membri della Famiglia Salesiana, tutti insieme, a cucinare e aiutare i più bisognosi, tutti impegnati, iniziando dal direttore della comunità e preside della scuola. L’oratorio è molto attivo, con animatori ferventi e il gruppo degli “esploratori”, simili agli scout che seguono i valori del Vangelo e di don Bosco.

            Nonostante la sfida della barriera linguistica, padre Ding ci dice: Quello che ho imparato qui è che si comprende tutti e tutto, solo se ci si dona con l’intero cuore per la missione affidata, per le persone con cui e per cui si vive.
            Nei prossimi mesi, Villa Regina (Río Negro) sarà la sua nuova casa, in Patagonia. Gli auguriamo una santa missione.

Marco Fulgaro




Generosità missionaria in Africa del Sud

Il Sudafrica o Africa del Sud, ufficialmente Repubblica del Sudafrica, è un paese multiculturale, uno dei pochi paesi nel mondo con 11 lingue ufficiali parlate da altre tante etnie. È un paese che ha sofferto per più di 40 anni la segregazione razziale, istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca del paese e rimasta in vigore fino al 1991. Chiamata l’apartheid, era una politica di separazione per criteri razziali, condannata ufficialmente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1973, quando dichiarò l’apartheid un crimine contro l’umanità.
Oggi a distanza di tani anni, neri, bianchi, meticci e asiatici vivono insieme, anche se si sentono ancora le mentalità segregazioniste. In questo paese, una ventina di anni fa, è arrivato come missionario un salesiano paraguayano don Alberto Higinio Villalba, oggi economo ispettoriale e direttore della casa salesiana di Johannesburg. Le abbiamo chiesto che ci racconti un po’ della realizzazione del suo sogno missionario.

Sono nato ad Asunción, la capitale del Paraguay, un piccolo paese del Sud America, circondato da Argentina, Brasile e Bolivia. Provengo da una famiglia di 6 figli, tre maschi e tre femmine. Io sono il secondogenito. Tutta la mia famiglia è in Paraguay; i miei genitori sono ancora vivi, anche se con alcuni problemi di salute legati alla loro età. Il desiderio di diventare missionario viene da molto lontano, da giovane, insieme al Movimento Giovanile Salesiano, andavo a fare apostolato nei villaggi e nelle stazioni periferiche, aiutando i bambini con la catechesi e nelle attività degli oratori. Poi, quando ero prenovizio salesiano, ho incontrato un sacerdote spagnolo, don Martín Rodriguez, che ha condiviso con me la sua esperienza di missionario nel Chaco Paraguayo: in quel momento si rafforzò il desiderio di diventare missionario.
Ma fu grazie al Rettor Maggiore don Vecchi che decisi di partire: il suo appello missionario a tutte le ispettorie mi interpellò e, parlando con il mio Ispettore, don Cristóbal López, oggi cardinale e arcivescovo di Rabat, decisi di prendere parte alla spedizione missionaria del 2000.

Certo, non è stato facile, sin dall’inizio ho incontrato diversi shock culturali che ho dovuto superare con pazienza e impegno. Prima di arrivare in Africa, sono stato mandato in Irlanda per imparare l’inglese: tutto era molto nuovo per me, molto impegnativo. Una volta atterrato in Sudafrica, non più una sola lingua nuova che non capivo, ma molte di più! In effetti, il Sudafrica ha undici lingue ufficiali e l’inglese è solo una di queste. In compenso, l’accoglienza dei salesiani è stata molto calorosa e gentile.

Dico sempre che per diventare missionari non c’è bisogno di lasciare il paese, la cultura, la famiglia, e tutto il resto. Essere missionari significa portare Gesù alle persone ovunque ci troviamo; e questo possiamo farlo nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, dove lavoriamo. Tuttavia, diventare missionari “ad gentes” significa rispondere alla generosità di Dio che ha condiviso con noi suo Figlio attraverso i missionari che hanno evangelizzato i nostri continenti e alla generosità di don Bosco che ha inviato i suoi missionari a condividere con noi il carisma salesiano. Se ci sono state così tante persone che hanno lasciato i loro Paesi e la loro cultura per condividere con noi Cristo e don Bosco, allora possiamo anche noi rispondere a quell’amore e a quella gentilezza per condividere gli stessi doni con gli altri.

Parlando dell’Africa del Sud, la Visitatoria dell’Africa Meridionale comprende tre paesi: il Sudafrica, dove i salesiani sono arrivati nel 1896, il regno di Eswatini (arrivati 75 anni fa) e il regno del Lesotho. Tanti cambiamenti sono avvenuti negli anni: siamo passati dai centri tecnici alle scuole, alle parrocchie e ora ai progetti. Attualmente abbiamo sette comunità, la maggior parte delle quali con alcune parrocchie e centri di formazione o oratori annessi alle comunità.
Essendo in Africa ormai da più di 20 anni, direi che l’esperienza più bella della mia vita salesiana l’ho vissuta in Eswatini, lavorando per il Manzini Youth Care. Quando mi è stato chiesto di occuparmi del progetto, il MYC si trovava in una situazione finanziaria molto difficile e l’organizzazione aveva alcuni mesi di stipendio arretrati. Tuttavia, le persone che lavoravano per i progetti non si erano mai lamentate e ogni giorno arrivavano con lo stesso entusiasmo e la stessa energia per fare del loro meglio per contribuire alla vita dei giovani, per cui MYC lavorava.
È qui dove si vede veramente l’impegno dei nostri collaboratori laici e fa piacere lavorare con loro.
Vogliamo fare tanto, pero dal punto di vista vocazionale, siamo diminuiti e abbiamo bisogno dell’aiuto di salesiani che di buon cuore si offrano per aiutarci a diffondere la Buona Novella e la spiritualità salesiana qui in Africa del Sud. Molti salesiani e molte ispettorie continuano a mostrare generosità, mettendo a disposizione le loro risorse umane, inviando missionari nei nostri paesi d’origine. Pertanto, siamo invitati a condividere la stessa generosità e speriamo che si trasformi in una spirale di crescita. Per i figli di Don Bosco, è un dovere far conoscere alla gente chi è nostro padre don Bosco, e la ricca spiritualità del carisma salesiano.

Marco Fulgaro