Oggi vi saluto per l’ultima volta da questa pagina del Bollettino Salesiano. Il 16 agosto, nel giorno in cui si commemora la nascita di Don Bosco, termina il mio servizio come Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco. È sempre un motivo per ringraziare, sempre Grazie! Innanzitutto a Dio, alla Congregazione e alla Famiglia Salesiana, a tante persone care e amiche, a tanti amici del carisma di Don Bosco, i molti benefattori.
Anche in questa occasione il mio saluto trasmette qualcosa che ho vissuto recentemente. Di qui il titolo di questo saluto: Tra ammirazione e dolore. Vi racconto la gioia che ha riempito il mio cuore a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, ferita da una guerra interminabile, e alla gioia e alla testimonianza che ho ricevuto ieri. Tre settimane fa quando, dopo aver visitato l’Uganda (nel campo profughi di Palabek che, grazie all’aiuto e al lavoro salesiano di questi anni, non è più un campo per rifugiati sudanesi ma un luogo dove decine di migliaia di persone si sono insediate e hanno trovato una nuova vita), ho attraversato il Ruanda e sono arrivato al confine nella regione di Goma, una terra meravigliosa, bella e ricca di natura (e proprio per questo così desiderata e desiderabile). Ebbene, a causa dei conflitti armati, in quella regione ci sono più di un milione di sfollati che hanno dovuto lasciare le loro case e la loro terra. Anche noi abbiamo dovuto lasciare la presenza salesiana a Sha-Sha che è stata occupata militarmente. Questo milione di sfollati è arrivato nella città di Goma. A Gangi, uno dei quartieri, c’è l’opera salesiana “Don Bosco”. Sono stato immensamente felice di vedere il bene che là viene fatto. Centinaia di ragazzi e ragazze hanno una casa. Decine di adolescenti sono stati tolti dalla strada e vivono nella casa di Don Bosco. Proprio lì, a causa della guerra, hanno trovato casa 82 bambini neonati e ragazzini e ragazzine che hanno perso i genitori o sono stati lasciati indietro (“abbandonati”) perché i genitori non potevano occuparsene. E lì, in quella nuova Valdocco, una delle tante Valdocco del mondo, una comunità di tre suore di San Salvador, insieme a un gruppo di signore, tutte sostenute dalla casa salesiana con aiuti che arrivano grazie alla generosità dei benefattori e della Provvidenza, si prendono cura di questi bambini e bambine. Quando sono andato a trovarli, le suore avevano vestito tutti a festa, anche i bambini che dormivano nelle loro culle. Come non sentire il cuore pieno di gioia per questa realtà di bontà, nonostante il dolore causato dall’abbandono e dalla guerra! Ma il mio cuore è stato toccato quando ho incontrato alcune centinaia di persone che sono venute a salutarmi in occasione della mia visita. Sono tra i 32.000 sfollati che hanno lasciato le loro case e la loro terra a causa delle bombe e sono venuti a cercare rifugio. Lo hanno trovato nei campi da gioco e nei terreni della casa Don Bosco di Gangi. Non hanno nulla, vivono in baracche di pochi metri quadrati. Questa è la loro realtà. Insieme cerchiamo ogni giorno un modo per trovare da mangiare. Ma sapete cosa mi ha colpito di più? La cosa che mi ha colpito di più è che quando ero con queste centinaia di persone, per lo più anziani e madri con bambini, non avevano perso la loro dignità e non avevano perso la loro gioia o il loro sorriso. Sono rimasto stupito e il mio cuore si è rattristato per tanta sofferenza e povertà, anche se stiamo facendo la nostra parte nel nome del Signore.
Un concerto straordinario Un’altra grande gioia ho provato quando ho ricevuto una testimonianza di vita che mi ha fatto pensare agli adolescenti e ai giovani delle nostre presenze, e a tanti figli di genitori che forse mi leggono e che sentono che i loro figli sono demotivati, annoiati dalla vita, o che non hanno passione per quasi nulla. Tra gli ospiti della nostra casa, in questi giorni, c’era una straordinaria pianista che ha girato il mondo dando concerti e che ha fatto parte di grandi orchestre filarmoniche. È un’ex allieva dei Salesiani e ha avuto un salesiano, ora scomparso, come grande riferimento e modello. Ha voluto offrirci questo concerto nell’atrio del tempio del Sacro Cuore come omaggio a Maria Ausiliatrice, che tanto ama, e come ringraziamento per tutto ciò che è stata la sua vita finora. E dico quest’ultimo perché la nostra cara amica ci ha regalato un concerto meraviglioso, con una qualità eccezionale a 81 anni. Era accompagnata dalla figlia. E a quell’età, forse quando alcuni dei nostri anziani in famiglia hanno già detto da tempo che non hanno più voglia di fare nulla, né di fare nulla che richieda uno sforzo, la nostra cara amica, che si esercita ogni giorno al pianoforte, muoveva le mani con un’agilità meravigliosa ed era immersa nella bellezza della musica e della sua esecuzione. La buona musica, un sorriso generoso alla fine della sua esibizione e la consegna delle orchidee alla Vergine Ausiliatrice erano tutto ciò di cui avevamo bisogno in quella meravigliosa mattinata. E il mio cuore salesiano non ha potuto fare a meno di pensare a quei ragazzi, ragazze e giovani che forse non hanno avuto o non hanno più nulla che li motivi nella loro vita. Lei, la nostra amica concertista, a 81 anni vive con grande serenità e, come mi ha detto, continua a offrire il dono che Dio le ha fatto e ogni giorno trova sempre più motivi per farlo. Un’altra lezione di vita e un’altra testimonianza che non lascia il cuore indifferente.
Grazie, amici miei, grazie dal profondo del cuore per tutto il bene che stiamo facendo insieme. Per quanto piccolo possa essere, contribuisce a rendere il nostro mondo un po’ più umano e più bello. Che il buon Dio vi benedica.
Patagonia, nelle lettere dei primi missionari
Arrivo a Patagones e avvio dell’opera I primi salesiani impiantarono in modo definitivo la loro missione in Patagonia il 20 gennaio 1880. Accompagnati da monsignor Antonio Espinosa, vicario dell’arcivescovo Federico Aneyros, giunsero a Carmen de Patagones don Giuseppe Fagnano, don Emilio Rizzo, don Luigi Chiaria, il catechista coadiutore Luciani e un altro «giovane loro allievo», rimasto ignoto; con loro erano presenti anche quattro suore figlie di Maria Ausiliatrice: Giovanna Borgo, Angela Vallese, Angiolina Cassolo e Laura Rodriguez. I missionari si impegnarono per la catechesi e la formazione degli abitanti di Patagones e Viedma aprendo un collegio intitolato a san Giuseppe, mentre le figlie di Maria Ausiliatrice fondarono un istituto dedicato a Santa Maria de Las Indias. Vennero quindi avviate spedizioni presso le colonie che sorgevano lungo il corso del Rio Negro, con l’obiettivo di garantire sostegno spirituale e catechistico agli emigrati che abitavano quelle regioni e, allo stesso tempo, iniziare in modo sistematico la catechesi per la conversione delle comunità autoctone della Patagonia. La presenza dei salesiani in Argentina fu favorita e seguita con interesse dal governo argentino, che non fu ovviamente spinto in questa scelta da un fervido desiderio di vedere le comunità indigene convertite al cristianesimo, ma dalla necessità di calmare l’opinione pubblica indignata per le uccisioni indiscriminate e la vendita dei prigionieri: le campagne militari del 1879 per espandere i confini si erano scontrate con la resistenza delle comunità che abitavano i territori della Pampas e Patagonia.
Usi e costumi delle comunità autoctone della Patagonia Conoscere gli usi, i costumi, la cultura, le credenze delle comunità che si intendevano convertire fu un impegno importante per i primi missionari: già don Giacomo Costamagna, nel corso della sua missione esplorativa verso Patagones del 1879 annotò che, una volta superato il Rio Colorado, si era imbattuto in un albero «carico di drappi, o meglio dire, cenci, cui gli Indii avevano appesi come altrettanti voti». Il missionario spiegò che l’albero non era considerato una divinità, ma semplicemente la dimora «degli dei o spiriti buoni» e che i cenci dovevano essere una sorta di offerta per placarli e renderli benevoli. Costamagna scoprì successivamente che le comunità veneravano un «Dio supremo» chiamato Gùnechen. Le conoscenze aumentarono negli anni. Con il tempo i missionari compresero che le comunità della Patagonia credevano in un «Essere Supremo» che amministrava e reggeva l’universo e che il loro concetto di divinità benevola però – se paragonato a quello cristiano –appariva confuso, poiché spesso non era possibile «distinguere il principio del bene, che è Dio, dal genio del male che è il demonio». I membri della comunità temevano solo «le influenze del genio cattivo», per cui alla fine gli indios imploravano solo la divinità malvagia, affinché si astenesse da ogni male. I missionari annotarono tristemente che le comunità indigene «nulla sanno domandare al Signore di cose spirituali» e descrissero anche come veniva affrontata la malattia e la morte di un membro della comunità. Secondo la credenza comune il demonio, chiamato Gualicho, si impossessava degli infermi e, nel caso di morte del malato, il demone “aveva vinto”: «ed allora piangono, pregano e cantano lamentazioni accompagnate da mille esorcismi, coi quali pretendono di ottenere che il genio del male lasci in pace il defunto». Una volta sepolto il cadavere, iniziava il periodo del lutto, che in genere durava sei giorni in cui gli Indi «gettati colla faccia al suolo», cantavano «una specie di lamentazione»; abitare dove il defunto aveva risieduto ed entrare in contatto con qualche suo effetto personale era fortemente sconsigliato, perché in quel luogo aveva abitato Gualicho. Non esistevano cimiteri condivisi e sopra le tombe era possibile osservare «dove due e dove tre scheletri di cavalli», che venivano sacrificati al defunto perché fossero per lui di aiuto e sostegno nell’aldilà. I cavalli venivano così uccisi sopra la tomba lasciando lì i cadaveri in modo che il morto potesse usufruire della loro carne, mentre la sella, i rifornimenti vari e i gioielli venivano seppelliti con il cadavere. Nella vita ordinaria, solo i più ricchi avevano abitazioni in mattoni crudi, di forma quadrata, con null’altro «che l’uscio per entrarvi, ed una apertura nel mezzo del tetto per la luce e per l’uscita del fumo», mentre le comunità lungo il corso del Rio Negro erano stabilite presso fiumi o lagune e le abitazioni erano per lo più delle semplici tende: «cuoio di cavallo o di guanaco sospeso in alto con alcuni bastoncelli fissi nel suolo». A coloro che si erano arresi, il governo argentino aveva ordinato di costruirsi un rancio, cioè, «una cameretta più o meno grande formata ordinariamente di ghioggiuoli, piante di cui abbonda il campo nei luoghi umidi». I più fortunati avevano costruito case con pali di salice e malta. Nel 1883 i missionari annotarono: «Oggidì e specialmente nella cattiva stagione raro succede di vedere un Indio non vestito da capo a piedi, anche tra coloro che non si sono ancora arresi. Gli uomini vestono pressoché come i nostri, meno la pulitezza che non l’hanno, ed i pantaloni che li portano d’ordinario come i Garci, a modo, come dicono essi, di Ciripà. I più poveri, se non hanno altro, s’involgono dentro di una specie di manto di stoffa la più ordinaria. Le donne portano la manta, ed è una sopravveste, che copre tutto il corpo». Le donne rimasero più a lungo fedeli ai costumi tradizionali: «le donne hanno l’ambizione di portare grossi orecchini di argento, più anelli nelle dita, ed una specie di braccialetto sui polsi, fatto a filigrana d’argento con più giri attorno al braccio. Alcune di loro e le più agiate portano pure varii giri di filigrana sopra il petto. Esse sono di natura timidissime, e quando si avvicina alla loro abitazione alcun forastiero sconosciuto si nascondono frettolosamente». I matrimoni seguivano la tradizione: lo sposo consegnava ai genitori della futura moglie «varii oggetti preziosi in oro e argento, come sono anelli, braccialetti, staffe, freni e simili», oppure poteva più semplicemente versare «in danaro una somma convenuta fra loro»: i padri concedevano in sposa la propria figlia solo per denaro, e per di più, lo sposo era obbligato a restare presso la dimora della sposa e a provvedere al mantenimento dell’intera famiglia. Tra i capi o cacicchi era diffusa la poligamia e di conseguenza, come affermava don Costamagna in una lettera pubblicata nel gennaio 1880, era difficile convincerli a rinunciarvi per poter divenire cristiani.
Evangelizzazione delle comunità autoctone: “non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici” Un ruolo fondamentale nell’opera di catechesi ed evangelizzazione della Patagonia fu rivestito da don Domenico Milanesio, anche per la sua opera di mediatore tra le comunità e il governo argentino. Il missionario raggiunse i confratelli l’8 novembre 1880 dopo essere stato nominato vicario della parrocchia di N.S. Signora della Mercede di Viedma e in una lettera a don Michele Rua del 28 marzo 1881 raccontò la sua prima missione tra «gli indii del campo», sottolineando le notevoli difficoltà riscontrate nel tentativo di istruire e catechizzare: le comunità autoctone vivevano infatti distanti le une dalle altre e don Domenico doveva recarsi di persona presso i loro toldos, ossia le abitazioni. Talvolta riusciva a radunare più famiglie insieme e allora la catechesi veniva svolta all’esterno dove, seduti sui prati, i patagoni ascoltavano la lezione di catechismo. Don Domenico raccontò che anche una semplice preghiera come «Gesù mio, misericordia», da lui considerata semplice e di facile memorizzazione, richiese in realtà molto tempo per essere compresa: sebbene venisse fatta ripetere tra le cinquanta e cento volte, accadeva spesso che nel giro di un paio di giorni venisse dimenticata. Il desiderio però di vedere le comunità autoctone convertite e sinceramente cristiane fu una motivazione più che sufficiente per continuare nella missione: «Ma la nostra Religione ci comanda di amarli come nostri fratelli, come figli del Padre Celeste, come anime redente dal Sangue di Gesù Cristo; e perciò colla carità paziente, benigna, e che tutto spera, si dice, si ripete un giorno, due, dieci, venti finché basta, e finalmente si riesce a far loro imparare le cose necessarie. Se vedesse poi come sono contenti dopo; è una vera consolazione per essi e per noi, che ci ricompensa di tutto». Non fu semplice far accettare a queste comunità le verità della fede cattolica: don Domenico, in una relazione pubblicata sul Bollettino nel novembre 1883, raccontò che nel corso di una missione presso la comunità del cacicco (capo) Willamay, presso Norquin, rischiò seriamente la vita quando l’assemblea a cui stava predicando cominciò a discutere gli insegnamenti ricevuti fino a quel momento. Lo stesso Willamay, definendo Milanesio «un raccontator di sogni alla guisa delle vecchie», si ritirò nel suo toldo, mentre c’era chi parteggiava per il missionario e chi invece era dello stesso avviso del cacicco; di fronte a questa situazione Milanesio preferì rimanere in disparte e come annotò lui stesso: «Io poi me ne stava silenzioso aspettando l’esito di quell’agitamento di animi, il quale mi si faceva foriere di sinistra avventura. Ad un certo punto credetti veramente che fosse per me giunta l’ora di buscarmi almeno qualche bastonata da quei barbari, e forse anche di lasciare in mezzo di loro la mia pelle». Fortunatamente prevalse alla fine il partito che sosteneva il missionario, così il salesiano poté concludere la sua catechesi tra i ringraziamenti della comunità. Catechizzare queste popolazioni non fu quindi un’impresa facile e i salesiani furono ostacolati dai militari argentini che, con i loro atteggiamenti e con le loro abitudini, offrirono esempi negativi del vivere cristianamente. Don Fagnano registrò: «La conversione degli Indiani non è tanto facile ad ottenersi, quando sono obbligati a vivere presso a certi soldati, i quali non danno loro buon esempio di moralità; e nei loro toldos per ora non si può penetrare senza pericolo della vita, perché questi selvaggi si servono di tutti i mezzi per vendicarsi contro i Cristiani, che, secondo loro, vanno ad impadronirsi dei loro campi e dei loro bestiami». Lo stesso salesiano scrisse anche di due comunità che, stabilitesi a poca distanza da un accampamento argentino dove erano state aperte «botteghe da liquori», si abbandonarono «al vizio della ubriachezza». Don Fagnano rimproverò i militari che «per vile guadagno», posero le basi per rendere gli Indi ancora più propensi ad abbandonarsi a «bestiali disordini». Don Fagnano e don Milanesio continuarono però ad avvicinare, catechizzare e formare queste comunità, a «istruirli nelle verità del Vangelo, educarli colla parola, ma più con il buono esempio», nonostante il pericolo, perché, come da desiderio di don Bosco, potessero divenire «buoni cristiani e onesti cittadini”.
Giacomo Bosco
Preparazioni per il 150° Anniversario della Prima Spedizione Missionaria salesiana (1875-2025)
L’anno prossimo, 2025, si compiono 150 anni della partenza per la prima spedizione missionaria salesiana. In vista di quest’anniversario, il dicastero delle Missioni Salesiane vuole preparare l’evento e lancia un’introduzione per le comunità salesiane, in modo puntuale. Questo avvenimento viene proposto come: Ringraziare, Ripensare, Rilanciare.
Ringraziare: Ringraziamo Dio per il dono della vocazione missionaria che permette oggi ai figli di Don Bosco di raggiungere i giovani poveri e abbandonati in 136 paesi.
Ripensare: È un’occasione propizia per ripensare e sviluppare una visione rinnovata delle missioni salesiane alla luce delle nuove sfide e delle nuove prospettive che hanno portato a nuove riflessioni missiologiche.
Rilanciare: Non abbiamo solo una storia gloriosa da ricordare e di cui essere grati, ma anche una grande storia ancora da realizzare! Guardiamo al futuro con zelo missionario ed entusiasmo rinnovato per raggiungere un numero ancora maggiore di giovani poveri e abbandonati.
Il Logo Ufficiale: il globo terrestre attraversato da alcune onde, che simboleggiano il coraggio e le nuove sfide, ma anche il dinamismo e la temerarietà. Al centro si trova una nave, simbolo della prima spedizione missionaria salesiana (1875), e il fuoco di un rinnovato entusiasmo missionario. La forma della ruota allude all’unità e alla connessione reciproca. È possibile utilizzare il logo, ma solo nella versione ufficiale senza fare modifiche o cambiamenti in nessuna parte del logo. È possibile scaricarlo in diversi formati (http://tinyurl.com/49zh69je), oppure richiederlo via e-mail (cagliero11 @ sdb.org).
Non è un evento ma un processo di rinnovamento missionario Il 150° anniversario della prima spedizione missionaria non deve essere un evento commemorativo, ma un processo di rinnovamento missionario già iniziato con la stesura del piano sessennale di animazione missionaria. Il suo momento forte è il 2025, ma continua negli anni successivi. Ciò avviene a tre livelli.
1. A livello ispettoriale Le celebrazioni avverranno principalmente a livello di Ispettoria. Attraverso il CORAM(Coordinatori Regionali per l’Animazione Missionaria), il Settore Missioni continuerà a seguire il piano di animazione missionaria di ogni Ispettoria, di cui fanno parte le iniziative a livello Ispettoriale per il 2025.
Nel contesto delle celebrazioni, tramite il DIAM(Delegati Ispettoriali per l’Animazione Missionaria), ogni Ispettoria sarà attivamente incoraggiata a valutare come ha messo in pratica le Linee Programmatiche n. 2, 5, 7.
“È urgente dare priorità assoluta all’impegno per l’evangelizzazione dei giovani con proposte consapevoli, intenzionali ed esplicite. Siamo invitati a far conoscere loro Gesù e la Buona Novella del Vangelo per la loro vita. […] Rispondere alla «urgenza di riproporre con più convinzione il primo annuncio, perché “non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio”» (Christus Vivit, no. 214) (Linee Programmatiche, n. 2)
Ogni Ispettoria fa l’opzione radicale, preferenziale, personale – cioè da parte di ogni salesiano – e istituzionale a favore dei più bisognosi, dei ragazzi, delle ragazze e dei giovani poveri ed esclusi, con particolare attenzione alla difesa di coloro che sono sfruttati e vittime di qualsiasi abuso e violenza (“abuso di potere, economico, di coscienza, sessuale”) (Linee Programmatiche n. 5). Abbiamo concretizzato l’appello missionario invitando ogni Ispettoria ad aprire al proprio interno un progetto missionario (rifugiati, immigrati, valichi di frontiera, bambini sfruttati…) durante il sessennio precedente, dando priorità alla significatività e alle reali richieste di aiuto dei giovani di oggi (Linee Programmatiche n. 7).”
Ad ogni Ispettoria verrà chiesto di presentare un’iniziativa concreta per il 2025 (per esempio: le ispettorie ARS e ARN sta preparando un Congresso storico, la Visitatoria ZMB ha iniziato già una nuova presenza in Botswana, ecc.) che verrà socializzata attraverso l’ANS (Agenzia iNfo Salesiana), ecc.
2. A livello del Settore Missioni Tutto l’anno 2025 sarà un’occasione per socializzare il risultato del lavoro in corso nel Settore Missioni su rifugiati, rom, “Lo sviluppo dalla prospettiva salesiana”, identità dei Musei Salesiani, identità delle Procure Missionarie Ispettoriale, Tavola rotonda di missiologi e teologi sulle missioni salesiane oggi, Volontariato Missionario Salesiano, Bosco Food (per favorire una mentalità interculturale), sussidi per l’Animazione Missionaria, per la GMS (Giornata Missionaria Salesiana) 2025, ecc.
3. A livello di Congregazione L’invio missionario l’11 novembre 2025 nella Basilica di Maria Ausiliatrice, a Valdocco. È una celebrazione con la quale la Congregazione rinnova, davanti a Maria Ausiliatrice, il suo impegno missionario.
Il Rettor Maggiore invita ogni Ispettoria ad inviare il DIAM per la celebrazione. Trascorreranno alcuni giorni (9-12 novembre 2025) a Valdocco e Genova per “Ringraziare, Ripensare, Rilanciare.”
Anime e cavalli di forza
Don Bosco scriveva di notte al lume di candela, dopo una giornata trascorsa tra preghiere, colloqui, riunioni, studio, parlate, visite di cortesia. Sempre pratico, tenace, con una prodigiosa visione del futuro.
“Da mihi animas, cetera tolle” è il motto che ha ispirato tutta la vita e l’azione di don Bosco a partire dall’oratorio voltante di Torino (1844) fino alle ultime iniziative sul letto di morte (gennaio 1888) per l’andata dei salesiani in Inghilterra e in Ecuador. Ma per lui le anime non erano disgiunte dai corpi, tant’è che fin dagli anni cinquanta si era proposto di consacrare la vita perché i giovani fossero “felici in terra come poi in cielo”. Felicità che, in terra, per i suoi giovani “poveri ed abbandonati” consisteva nell’avere un tetto, una famiglia, la scuola, un cortile, amicizie e attività piacevoli (gioco, musica teatro, gite…) e soprattutto una professione che garantisse loro un sereno futuro. Si spiegano così i laboratori di “arti e mestieri” di Valdocco – le future scuole professionali – che don Bosco ha creato dal nulla: un’autentica startup, per dirla in termini attuali. Si era proposto lui stesso inizialmente come primo istruttore di sartoria, legatoria, calzoleria… ma il progresso non si fermava e don Bosco voleva essere all’avanguardia.
La disponibilità di forza motrice A partire dal 1868, per iniziativa del sindaco di Torino, Giovanni Filippo Galvagno, una parte delle acque del torrente Ceronda, che nasceva a 1350 m di quota, vennero captate dal Canale Ceronda per essere distribuite a varie industrie che sorgevano nell’area nord del capoluogo piemontese, quella di Valdocco per intendersi. Suddiviso poi il canale in due rami all’altezza del quartiere di Lucento, quello di destra, ultimato nel 1873, dopo aver superato con un ponte-canale la Dora Riparia, proseguiva correndo parallelo all’attuale corso Regina Margherita e via San Donato per andare poi a scaricarsi nel Po. Don Bosco, sempre vigile a quanto avveniva in città, immediatamente chiese al Municipio “la concessione di almeno 20 cavalli di forza d’acqua” del canale che sarebbe passato appunto a lato di Valdocco. Accolta la domanda, fece costruire a sue spese le due bocche di presa e di restituzione dell’acqua, dispose le macchine nei laboratori in modo da poter ricevere facilmente la forza motrice e fece studiare da un ingegnere i motori necessari allo scopo. Quando tutto era pronto, il 4 luglio 1874 chiese alle autorità di procedere, a proprie spese, all’allacciamento. Per vari mesi non ebbe risposta, per cui il 7 novembre rinnovò la richiesta. La risposta questa volta pervenne abbastanza celermente. Sembrava positiva, ma chiedeva prima alcune precisazioni. Don Bosco rispose nei seguenti termini:
“Illustrissimo Sig. Sindaco, Mi affretto di trasmettere a V. S. Ill.ma gli schiarimenti che compiacquesi dimandare colla sua lettera del 19 andante mese, ed ho l’onore di notificarle che l’industria cui verrà applicata la forza motrice dell’acqua della Ceronda sono: 1° La tipografia per cui sono impiegati operai non meno di numero 100. 2° Fabbrica di paste con operai non meno di 26. 3° Fondaria di caratteri tipografici, estortili, calcografia con operai oltre 30. 4° Labo[rato]rio in ferro mercé un martinetto con operai non meno di 30. 5° Falegnami, ebanisti, tornitori con una sega idraulica: operai non meno di 40. Totale degli operai oltre a 220”.
Il numero comprendeva istruttori e giovani allievi. Stante la situazione, essi, oltre ad essere soggetti a inutili fatiche fisiche, non avrebbero potuto reggere la concorrenza. Infatti don Bosco aggiungeva: “Questi lavori ora si compiono mercé il dispendio di una macchina a vapore per la tipografia, ma per gli altri laboratorii si fanno a forza di braccia, in guisa che non si potrebbe sostenere la concorrenza di chi usa l’acqua motrice”. E per evitare possibili ritardi e timori da parte delle pubbliche autorità offriva immediatamente una cauzione: “Non si dissente di depositare una cartella del debito pubblico per cauzione, appena si possa conoscere di quale ventura essa debba essere”.
Pensava sempre in grande… ma si accontentava del possibile Si doveva pensare al futuro, a nuovi laboratori, a nuove macchine e dunque la richiesta di energia elettrica sarebbe necessariamente aumentata. Don Bosco allora alzò la richiesta e ne addusse le ragioni esistenziali e congiunturali: “Ma mentre accetto la forza teorica di dieci cavalli, mi trovo nella necessità di osservare che tale forza è affatto insufficiente al mio bisogno, giacché il progetto di esecuzione, che si sta effettuando, basava sopra la forza di 30 [?] come ebbi l’onore di esporre nella lettera del novembre u. s. Per questo la prego di prendere in considerazione i lavori di costruzione già in corso, la natura di questo istituto, che vive di sola beneficienza, il numero degli operai che si occupano, l’essere noi stati dei primi ad iscriversi, e quindi volerci concedere, se non la forza di 30 cavalli promessa, almeno quella maggiore quantità di forza che fosse ancora disponibile…”. “A buon intenditor poche parole” si direbbe.
Un imprenditore di successo Non ci è pervenuta la quantità di acque concesse all’Oratorio in quella occasione. Resta il fatto che don Bosco dimostra ancora una volta quelle doti di capace imprenditore che tutti all’epoca gli hanno riconosciuto e che gli riconoscono tuttora: una storia di integrità morale, un giusto mix tra umiltà e fiducia in sé stesso, determinazione e coraggio, capacità comunicative e fiuto del futuro. Ovviamente quale carburante di tutte le sue ambizioni e aspirazioni stava una sola passione: quella per le anime. Aveva sì molti collaboratori, ma, in qualche modo, tutto cadeva sulle sue spalle. Ne sono la prova tangibile le migliaia di lettere, di cui abbiamo qui pubblicato una inedita, corretta e ricorretta più volte: lettere che solitamente scriveva di sera o di notte al lume di candela, dopo una giornata trascorsa tra preghiere, colloqui, riunioni, studio, parlate, visite di cortesia. Se di giorno architettava il suo progetto, di notte era poi capace di sognarne gli sviluppi. E questi sarebbero poi venuti nei decenni seguenti, con le centinaia di scuole professionali salesiane sparse nel mondo, con decine di migliaia di ragazzi (e poi di ragazze) che in esse avrebbero trovato un trampolino per un futuro carico di speranza.
Asia Meridionale. Don Bosco tra i giovani
Vediamo cosa significa vivere oggi la missione di don Bosco verso i giovani, specialmente quelli che sono poveri di risorse in Asia Meridionale.
Il Signore disse chiaramente a don Bosco che doveva rivolgere la sua missione innanzitutto ai giovani, soprattutto a quelli più poveri. Questa missione verso i giovani, soprattutto quelli più poveri, divenne la ragione dell’esistenza della Congregazione Salesiana.
Come nostro padre don Bosco, ogni salesiano dice a Dio il giorno della sua professione religiosa: “Mi offro totalmente a Te. Mi impegno a dedicare tutte le mie forze a coloro ai quali mi manderai, specialmente ai giovani più poveri”. Ogni collaboratore salesiano è impegnato in questa stessa missione.
L’ultimo Capitolo Generale della Congregazione ha rinnovato la richiesta di dare priorità assoluta ai più poveri, abbandonati e indifesi.
Quando mi è stata offerta l’opportunità di scrivere un articolo per il Bollettino Salesiano, il mio pensiero è andato immediatamente a quello che considero uno dei maggiori interventi a favore dei giovani più poveri nella Regione dell’Asia Meridionale della Congregazione Salesiana, ossia la preparazione dei giovani poveri all’occupazione attraverso una formazione professionale a breve termine. Dopo il 28° Capitolo Generale, la Regione Asia Meridionale ha fatto una scelta per aiutare i giovani a eliminare la povertà dalle loro famiglie. Ma prima di approfondire questo, permettetemi di presentarvi la Regione Asia Meridionale della Congregazione Salesiana.
La Regione Asia Meridionale comprende tutte le opere salesiane in India, Sri Lanka, Bangladesh, Nepal, Kuwait ed Emirati Arabi. Ci sono 11 Ispettorie e 1 Visitatoria. Con oltre 3000 salesiani professi, la Regione Asia Meridionale rappresenta il 21,5% dei salesiani nel mondo; questi lavorano in 413 Case religiose salesiane, pari al 23,8% delle Case salesiane della Congregazione. L’età media dei confratelli è di 45 anni. È provvidenziale che così tanti salesiani lavorino nella regione che ha la più grande popolazione di giovani e di giovani poveri al mondo.
La Famiglia Salesiana nella Regione comprende, oltre ai salesiani, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1789), l’Associazione dei Salesiani Cooperatori (3652), la Confederazione Mondiale degli Exallievi (34091), l’Istituto Secolare dei Volontari di Don Bosco (15), le Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice (915), l’Associazione di Maria Ausiliatrice (905), le Suore Catechiste di Maria Immacolata Ausiliatrice (748), I Discepoli – Istituto Secolare Don Bosco (317), le Suore di Maria Ausiliatrice (102) e le Suore della Visitazione di Don Bosco (109).
Le opere dei salesiani, in collaborazione con altri membri della Famiglia Salesiana e con altri religiosi e laici, raggiungono oltre 21.170.893 beneficiari. Una varietà di opere (istruzione tecnica formale e non formale, opere per i giovani a rischio [YaR, youth at risk], scuole, istruzione superiore, parrocchie, centri giovanili, oratori, lavoro sociale ecc.) sono rivolte al servizio dei beneficiari. Gli altri membri della Famiglia Salesiana hanno opere indipendenti che raggiungono molti altri.
Il mondo, sotto la guida delle Nazioni Unite, ha fissato l’obiettivo di “porre fine alla povertà in tutte le sue forme, ovunque” come primo degli Obiettivi di sviluppo sostenibile. Le opere salesiane raggiungono questi obiettivi in molti modi, ma un’opera di spicco tra queste è la formazione di competenze a breve termine offerta ai giovani poveri, che vengono poi aiutati a trovare un impiego e a guadagnarsi da vivere per essere i protagonisti che portano le loro famiglie fuori dalla povertà.
La Conferenza Ispettoriale Salesiana dell’Asia Meridionale (SPCSA) ha creato Don Bosco Tech (DBTech) come veicolo per coordinare gli sforzi di tutte le Ispettorie salesiane in quest’area di lavoro. Fondato nel 2006, il modello DBTech e il suo nome sono stati imitati in altre parti del mondo. In questi anni la rete (DBTech India) ha formato oltre 440.000 giovani. Il lavoro viene svolto attraverso le varie istituzioni salesiane, nonché attraverso un’ampia rete di collaborazione con altre Congregazioni diocesane e religiose e con un ampio pool di collaboratori laici altamente motivati, che si impegnano a lavorare per la parte più povera della gioventù.
Sebbene i risultati ottenuti nel corso degli anni a favore dei giovani più poveri siano stati grandi, vorrei sottolineare i risultati del 2022-2023 per apprezzare il lavoro di tutti i Salesiani e dei loro collaboratori per portare avanti il sogno di don Bosco di dedicarci ai giovani, soprattutto a quelli più poveri.
Ho scelto di presentarvi in particolare questo lavoro soprattutto perché ha raggiunto il risultato più grande e migliore per le famiglie più povere.
Qui abbiamo una rete con 26.243 studenti formati in un anno! Pochissime grandi istituzioni al mondo possono vantare così tanti studenti diplomati (20.121) in un anno. Anche fra queste, raramente i diplomati sarebbero così numerosi e provenienti dalle fasce più povere della società.
Di questi, circa 18.370 trovano un’occupazione al termine della loro formazione professionale (circa il 70% di quelli formati).
A tutti questi studenti sono stati offerti una formazione e un inserimento lavorativo totalmente gratuiti, senza addebiti. Questo risultato è stato ottenuto grazie al generoso contributo dei benefattori e dei partner della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI). DBTech ha oltre 30 partner finanziatori, tra cui aziende, fondazioni e governo.
La predilezione salesiana per i giovani più poveri è testimoniata dal fatto che quasi tutti i tirocinanti provengono dalle “fasce economicamente più deboli” della società, il 98%.
Ancora più importante da notare è che 10.987 (55%) dei 20.121 studenti già diplomati (gli altri sono in formazione, in attesa della conclusione dei loro corsi) provengono da famiglie che hanno un reddito annuo inferiore a 100.000 Rupie, ossia circa 1111 Euro all’anno (calcolato al cambio 1 Euro = 90 Rupie). Si tratta di un reddito familiare inferiore a 100 euro al mese. Ciò significa che le famiglie vivono con meno di 3 euro al giorno. Stiamo parlando di famiglie e non di individui!
Reddito familiare annuo
Reddito giornaliero approssimativo delle famiglie
Totale giovani formati
% dei giovani formati
Al di sotto di 1 Lakh / Al di sotto di 1.111 Euro
al di sotto di 3 Euro
10.987
55%
1-3 Lakh
Sotto 3-9 Euro
8144
40%
3-5 Lakh
Sotto 9-15 Euro
469
2%
5-7 Lakh
Sotto 15-21 Euro
161
1%
7 Lakh e oltre
21 euro e oltre
360
2%
Totale generale
20.121 (+ 6.302 in classe)
Nota: 1 Euro = 90 Rupie
Dopo la formazione gratuita, questi giovani poveri guadagnano oggi in media 10.000 rupie al mese, il che ha reso il loro reddito personale annuo superiore al reddito familiare annuo delle loro famiglie.
Nel contesto della necessità di interventi trasformativi basati sui risultati, la Famiglia Salesiana dell’Asia Meridionale, con il ruolo primario svolto dai giovani che vengono qualificati e assunti, sta veramente formando dei “cittadini onesti”. I giovani che sono stati formati e inseriti nel mondo del lavoro stanno oggi contribuendo alla costruzione della nazione. Il reddito annuale generato da questi studenti occupati dopo la formazione gratuita è di circa 2.204.400.000 Rupie, che equivale a circa 24.493.333 Euro all’anno.
La durata della formazione varia a seconda degli ambiti di intervento. I corsi di formazione vengono erogati in vari settori: Agricoltura e affini; Abbigliamento, Make up e arredamento per la casa; Automobile; Banche e Finanza; Bellezza e Benessere; Beni strumentali; Edilizia; Elettronica e Hardware IT; Trasformazione alimentare; Mobili e Arredi; Lavori verdi; Artigianato e Tappeti; Sanità; IT-ITES; Logistica; Media e Intrattenimento; Gestione degli uffici; Industria idraulica; Energia; Commercio al dettaglio; Turismo e Ospitalità e altri.
Va inoltre notato che nei Paesi in via di sviluppo, dove le ragazze e le donne sono più deboli e indifese, i servizi offerti dai Salesiani sono maggiormente al servizio delle donne: oltre il 53% dei tirocinanti che hanno completato il corso sono donne.
Le storie dei giovani che hanno trasformato la loro vita cogliendo le opportunità offerte dalle opere salesiane sono molto importanti nella narrazione dell’attenzione salesiana verso i più poveri.
I Salesiani hanno davvero ricevuto il sostegno di molte persone generose, di fondazioni, di aziende e di governi per realizzare la trasformazione di tanti giovani svantaggiati in cittadini onesti e produttivi. Siamo veramente grati a tutti loro. Dio ha benedetto la Regione anche con una crescita delle vocazioni salesiane.
Per maggiori informazioni, è possibile visitare il sito web di DBTech India, https://dbtech.in.
Questo lavoro, come ci direbbe don Bosco, è “la nostra più grande soddisfazione”! Si rivolge ai più poveri. Comporta una collaborazione su larga scala tra enti religiosi e secolari. È un grande esempio di collaborazione tra laici. Si rivolge a tutti i giovani: il 72% dei giovani beneficiari appartiene alla religione indù, che è la religione più numerosa nella Regione dell’Asia Meridionale.
Nelle Memorie Biografiche leggiamo le parole di don Bosco: “Procurate di attenervi sempre ai poveri figli del popolo. Non fallite il vostro scopo primiero e la vostra società l’abbia sempre sott’occhio: non aspiri a cose maggiori. […] Se educherete i poveri, se sarete poveri, se non farete chiasso, nessuno avrà invidia di voi, nessuno vi cercherà, vi lasceranno tranquilli e farete del bene.” (MB IX,566)
Presentiamo anche alcuni giovani che hanno cambiato la loro vita dopo l’incontro con il carisma di don Bosco.
Adna Javaid
Le lotte di Adna Javaid sono iniziate in giovane età. È cresciuta in povertà. È nata a Bemina, una regione nel cuore di Srinagar, la capitale estiva del Jammu e Kashmir, in India. Il padre di Adna, Javaid Ahmad Bhat, era un negoziante che riusciva a malapena a mantenere la famiglia. Ha abbandonato gli studi dopo aver completato la 12esima classe ed è rimasta a casa sua per alcuni anni. Voleva inseguire i suoi sogni, ma non riusciva a trovare un modo per realizzarli. Nonostante le circostanze difficili, ha iniziato a scrivere opere teatrali e a rappresentarle in piccoli locali della sua zona. Tuttavia, i suoi primi sforzi non hanno avuto successo e ha affrontato un rifiuto dopo l’altro. Nel 2021, Adna mise in scena la sua prima opera, “So di essere stata una ragazza”, nella sua comunità. Lo spettacolo è stato accolto male e Adna ha perso tutti i suoi risparmi. Tuttavia, ha continuato ad avere fede e ha costruito lentamente il suo futuro. Durante la mobilitazione del Don Bosco Tech di Srinagar vicino alla sua località, Adna ha visto il team del Don Bosco Tech e ha parlato con loro dei suoi problemi. Il team l’ha convinta a partecipare alla formazione e le ha assicurato l’assistenza al lavoro, così lei ha deciso di entrare a far parte del CRM Domestic Voice Domain.
La svolta di Adna è arrivata nel 2021, quando si è resa conto di essere più vicina ai suoi sogni dopo la formazione presso il Centro di formazione Don Bosco Tech di Srinagar. Da allora, Adna è diventata una delle figure più influenti e di successo del settore Business Process Outsourcing. Nonostante abbia affrontato ostacoli e battute d’arresto significative, ha perseverato, ha continuato a lavorare sodo e ha creduto in se stessa e nella sua visione. Ora lavora come Customer Care Executive Process presso la J&K Bank, supportata da DigiTech, Call System Pvt. Ltd, con una retribuzione mensile di 12.101 rupie. Adna ora è molto soddisfatta della sua vita e sta anche aiutando tante ragazze a partecipare al corso di formazione professionale presso il Don Bosco Tech Training Centre, Rajbagh, Srinagar.
Peesara Niharika
Peesara Niharika proviene da un luogo rurale situato lontano dal centro Don Bosco Tech, Karunapuram. Ha conseguito la laurea con il sostegno dei suoi genitori, che sono lavoratori salariati giornalieri. Difficoltà e carenze sono state le parole d’ordine della sua vita fin dalla più tenera età. A un certo punto della vita, ha persino abbandonato gli studi e ha sostenuto finanziariamente i suoi genitori, lavorando in un’azienda agricola con gli abitanti del villaggio. Ma desiderava proseguire gli studi superiori, quando vedeva i suoi compagni di scuola andare all’università, mentre lei lavorava nella risaia. Un giorno, mentre cercava un’opportunità di lavoro, Niharika si è imbattuta nell’ala di mobilitazione a Karunapuram, organizzata dal personale del Don Bosco Tech Centre e ha preso la ferma decisione di iscriversi al programma di formazione professionale. Avendo un interesse per la gestione delle relazioni con i clienti, si è iscritta al programma CRM Domestic Non-Voice presso il centro Don Bosco Tech, Karunapuram. Si è dimostrata molto attiva e versatile durante il programma di formazione, cercando di comunicare in modo efficace con tutti i partecipanti al suo gruppo. Ha un talento multiforme, con abilità come ballare, cantare e giocare, e diffonde con entusiasmo la positività intorno a sé. Grazie alle sessioni di life skill, è riuscita a liberarsi della timidezza e della paura del palcoscenico.
Al momento del colloquio, è stata assunta da Ratnadeep, a Hyderabad, per il ruolo di Rappresentante del Servizio Clienti con una retribuzione di 14.600 rupie al mese, assicurazioni incluse. Ora è in grado di occuparsi della sua famiglia e di sostenere i suoi genitori, che sono estremamente grati alla Don Bosco Tech Society per l’enorme trasformazione della vita della loro figlia. Niharika afferma con forza che il suo percorso presso il centro Don Bosco Tech Karunapuram rimarrà per sempre un ricordo felice per il resto della sua vita.
Chanti V.
“La differenza tra chi sei e chi vuoi essere, è ciò che fai”. Chanti proviene da una famiglia a basso reddito di Vepagunta, Vishkapattanam. Dopo aver completato la scuola media, voleva frequentare gli studi superiori, ma non poteva permettersi la spesa delle tasse. Poi, è venuto a conoscenza del centro di formazione Don Bosco Tech di Sabbavaram attraverso un amico del vicinato e dell’attività di mobilitazione nel suo villaggio. Ha saputo dai consulenti che questo istituto offre una formazione gratuita con certificazioni National Skill Development Corporation. Dopo essersi iscritto al Don Bosco Tech, oltre al corso di e-commerce, Chanti ha imparato anche l’inglese parlato e ad utilizzare il computer. I formatori ricordano ancora che nel suo primo giorno al Don Bosco Tech, avevano notato le sue scarse capacità comunicative e le sue conoscenze informatiche non proprio minime. Nel suo villaggio non c’era un sistema educativo adeguato o strutture che gli permettessero di acquisire tali competenze. Ma la sua perseveranza per consolidare l’apprendimento di una nuova materia e la necessità di un lavoro migliore hanno convinto i formatori a inserirlo nel settore dell’e-commerce. Riuscì a farsi inserire nell’azienda Ecom Express come fattorino. Dopo aver constatato il suo talento, l’azienda gli ha affidato una responsabilità maggiore e ora percepisce 20.000 rupie al mese.
Lui e i suoi genitori sono estremamente felici per il risultato ottenuto. È molto grato all’Istituto per averlo reso ciò che è oggi. Ora è diventato un esempio di ispirazione per i ragazzi del suo villaggio che stanno lottando per trovare un lavoro decente. Ha informato molti di loro su DB Tech, Sabbavaram, e molti hanno espresso il desiderio di iscriversi all’istituto.
Klerina N Arengh
Klerina N Arengh di Meghalaya ha completato il suo decimo anno nel 2009 come candidata privata. Poi ha sentito parlare della Don Bosco Tech Society, che offre una formazione gratuita e un collocamento fuori dallo Stato. Era molto interessata e ha deciso di partecipare alla formazione. Si è iscritta al corso Skill Meghalaya F& B Service Associate Batch-2 presso il centro Don Bosco Tech di Shillong. Tutti i suoi compagni di classe erano più giovani di lei, quindi la maggior parte di loro la prendeva in giro e la chiamava mamma, ma lei li ignorava. Era molto puntuale, rispettosa e imparava molto bene. Apprendeva tutto più velocemente dei suoi compagni di gruppo. In tutti i 2 mesi di formazione, ha dimostrato disciplina e conseguito risultati eccellenti. Infine, dopo il completamento della formazione, DB Tech le ha offerto un lavoro presso JW Marriott Sahar Mumbai, come Steward con uno stipendio mensile di 15.000 rupie. È molto grata a DBTech e a MSSDS Skill Meghalaya per averle dato l’opportunità di guadagnarsi da vivere in modo dignitoso. Ora, con lo stipendio sarà in grado di sostenere finanziariamente i suoi genitori.
don Biju Michael, SDB Consigliere generale per l’Asia Meridionale
La “Cronichetta” di don Giulio Barberis: giorno per giorno a Valdocco con don Bosco
Il 21 febbraio 1875 alcuni salesiani decisero di costituire una “commissione storica” per “raccogliere le memorie intorno alla vita di don Bosco”, impegnandosi a “scrivere e leggere insieme ciò che sarà scritto per ottenere la maggior precisione possibile” (così si legge nel verbale scritto da don Michele Rua). Tra essi c’era un giovane sacerdote di 28 anni, che da poco era stato incaricato da don Bosco di organizzare e dirigere il noviziato della congregazione salesiana, secondo le costituzioni ufficialmente approvate l’anno precedente. Il suo nome è don Giulio Barberis, conosciuto soprattutto per essere stato il primo maestro dei novizi dei Salesiani di don Bosco, ruolo che svolse per venticinque anni. In seguito fu ispettore e poi direttore spirituale della congregazione dal 1910 fino alla morte, avvenuta nel 1927. Egli s’impegnò più degli altri nella “commissione storica”, conservando ricordi e testimonianze dell’attività di don Bosco e della vita dell’oratorio di Valdocco dal maggio 1875 al giugno 1879, quando lasciò Torino per trasferirsi nella nuova sede del noviziato a San Benigno Canavese. Ci ha lasciato una copiosa documentazione tuttora conservata nell’Archivio Salesiano Centrale, tra cui spiccano per significatività i quindici quaderni manoscritti da lui stesso intitolati Cronichetta: da essi molti studiosi e biografi di san Giovanni Bosco hanno attinto (a cominciare da don Lemoyne per le sue Memorie Biografiche), ma finora erano rimasti inediti. L’anno scorso ne è stata pubblicata l’edizione critica, rendendo così disponibile a tutti questa importante e diretta testimonianza su don Bosco e sugli inizi della congregazione da lui fondata.
Don Giulio Barberis, laureato all’università di Torino, era un uomo attento e preciso nel suo lavoro e leggendo le pagine della sua Cronichetta si nota con quanta passione e cura abbia cercato di portare a termine anche quest’opera. Purtroppo più volte egli con rammarico e dispiacere segnala che o per motivi di salute o per i numerosi altri impegni dovette sospendere la redazione dei quaderni o limitarsi a riassumere o soltanto accennare alcuni fatti. Ad un certo punto si trova a dover scrivere: “Che dolorosa sospensione. Perdonami, cara Cronichetta mia: se ti sospendo tante volte e con sospensioni così lunghe, non è che non ti ami sopra ogni altro lavoro, ma è per necessità, cioè per compir prima, almeno nel più grosso, i miei doveri” (quaderno XI, pag. 36). Perciò non ci meravigliamo se la forma delle sue registrazioni non è sempre curata, con alcuni periodi non ben costruiti o qualche imprecisione ortografica; questo non toglie infatti valore a quello che ci ha trasmesso. I quaderni, infatti, sono una miniera di informazioni con il vantaggio dell’immediatezza rispetto ad altre narrazioni successive, letterariamente più curate, ma necessariamente rielaborate e reinterpretate. In essi troviamo testimonianza di eventi importanti, come la prima spedizione missionaria del 1875, di cui è raccontata dettagliatamente la preparazione, la partenza e gli effetti che produsse.
Vengono descritte le feste più importanti (ad es. Maria Ausiliatrice o la nascita di san Giovanni Battista, onomastico di don Bosco) e come venivano celebrate. Possiamo conoscere le attività ordinarie e straordinarie di Valdocco (la scuola, il teatro, la musica, visite di vari personaggi…): come erano preparate e gestite, cosa funzionava bene e quali aspetti erano da migliorare, in che modo i salesiani sotto la guida di don Bosco si organizzavano e lavoravano insieme, senza nascondere alcune criticità. Non mancano piccoli aspetti della quotidianità: la salute, il cibo, l’economia e molti altri particolari. Da queste cronache, però, emerge anche lo spirito che animava tutta l’opera: la passione che sosteneva l’impegno spesso soverchiante, l’affetto per don Bosco sia dei salesiani che dei ragazzi, lo stile e le scelte educative, la cura per la crescita delle vocazioni e la formazione dei giovani salesiani. L’autore ad un certo punto annota: “Oh, così fosse davvero che potessimo consumare tutta la vita fino all’ultimo fiato in lavorare nella congregazione a maggior gloria di Dio, ma in modo che nemmanco un respiro nella vita nostra avesse scopo diverso” (quaderno VII, pag. 9).
La Cronichetta presenta inoltre un preciso ritratto di don Bosco negli anni della maturità. Al giorno 15 agosto 1878 don Barberis scrive: “Compleanno di don Bosco. Nato com’è del 1815, compie i 63 anni. Si fece festa. Servì questa circostanza per distribuire i premi agli artigiani. Erano stampate al solito poesie e molte se ne lessero” (quaderno XIII, pag. 82). Molte registrazioni si soffermano sulle caratteristiche della personalità del padre e maestro dei giovani, tra cui alcuni aspetti che nelle narrazioni biografiche successive sono andate perdute, come l’interesse per le scoperte archeologiche e scientifiche del suo tempo. Ma soprattutto appare la totale dedizione alla sua opera, in quegli anni in particolare l’impegno per consolidare la congregazione salesiana e per espandere sempre più il suo raggio d’azione con la fondazione di nuove case in Italia e all’estero.
Risulta comunque difficile riassumere il ricchissimo contenuto di questi quaderni. Si è tentato nell’introduzione al volume di individuare alcuni nuclei tematici che spaziano dalla storia della congregazione salesiana e dalla vita di don Bosco (diversi sono i passaggi in cui Barberis riporta “cose antiche dell’oratorio”) al modello formativo di Valdocco e agli aspetti gestionali ed organizzativi. Sempre nell’introduzione si affrontano altre questioni relative al documento: l’uso che ne è stato fatto, con speciale riferimento alle Memorie Biografiche, il valore storico da dare alle informazioni, lo scopo per cui è stato scritto, nonché la lingua e lo stile utilizzati. Circa quest’ultimo punto notiamo come l’autore, secondo quanto appreso da don Bosco stesso, ha arricchito la sua cronaca con dialoghi, episodi ameni, “buone notti” e sogni di don Bosco, rendendo così la lettura anche interessante e piacevole.
Il volume è anche testimonianza più generale del momento storico in cui è stato scritto, in particolare del travagliato periodo seguito all’unificazione italiana. Nel marzo del 1876 ci fu il cambio di governo per la prima volta guidato dal partito della Sinistra storica. Nell’ottavo quaderno della Cronichetta alla data 6 agosto 1876 troviamo memoria del ricevimento tenutosi al collegio salesiano di Lanzo in occasione dell’inaugurazione della nuova ferrovia, in cui intervennero vari ministri. L’interazione di don Bosco con i politici e il suo interesse per le vicende dell’Italia e di altri stati è ben documentata e le note storiche apposte alla fine di ogni quaderno forniscono le informazioni essenziali. Anche notizie di attualità più spicciola trovano posto nelle varie registrazioni, come la posa dei cavi sottomarini per il telegrafo elettrico o alcune credenze di tipo salutistico e medico dell’epoca.
Questa pubblicazione è un’edizione critica, rivolta quindi principalmente agli studiosi di storia salesiana, ma anche chi volesse approfondire alcuni aspetti della persona del santo fondatore dei salesiani e della sua opera troverà grande utilità dalla lettura, che, superato l’ostacolo dell’italiano ottocentesco, è spesso piacevole.
Per gli interessati, la “Cronichetta” di Giulio Barberis si può acquistare da QUI.
don Massimo SCHWARZEL, sdb
Un centro di protezione per ragazzi di strada a Lagos, Nigeria
A Lagos, in Nigeria, in una città sovrappopolata e in continua crescita, dove più del 40% della popolazione è composto da giovani sotto i 18 anni, i salesiani hanno aperto una casa per i ragazzi di strada.
Lagos è uno dei 36 stati della Nigeria federale. È praticamente una città-stato, capitale del paese fino al 1991, quando avvenne il riconoscimento ufficiale della nuova capitale, Abuja, nel centro del paese. Con i suoi 16 milioni di abitanti, è la seconda area urbana più popolosa dell’Africa dopo quella de Il Cairo, e con la sua area metropolitana di 21 milioni di abitanti, è una delle più popolose al mondo. Inoltre, è in continuo aumento, tanto che è diventata la prima città in Africa e settima nel mondo per velocità della crescita demografica. Con un clima molto caldo, trovandosi appena 6° a nord dell’Equatore, è localizzata sulla terraferma, con apertura sul lago Lagoon e sull’Oceano Atlantico: grazie alla sua posizione, è sempre stata una città commerciale, tanto che, anche se la capitale è stata trasferita, rimane il centro commerciale ed economico dello Stato e uno dei più importanti porti dell’Africa occidentale. Con 230 milioni di abitanti, la Nigeria è il Paese più popoloso dell’Africa e il sesto Paese più popoloso del mondo. La Nigeria ha la terza popolazione giovanile più numerosa del mondo, dopo India e Cina, con oltre 90 milioni di abitanti di età inferiore ai 18 anni. La situazione giovanile in questa città è comparabile con Torino al tempo di don Bosco. Molti ragazzi poveri delle campagne e delle città affluiscono nella città di Lagos in cerca di lavoro e di una vita migliore, ma sono soggetti a sfruttamento, abbandono, povertà e privazioni. Sono a rischio di rimanere sulla strada, di essere maltrattati, di essere vittime della tratta di persone, di entrare in conflitto con la legge o di abusare delle droghe.
In aiuto di questi ragazzi e giovani sono venuti i salesiani, con una Casa Don Bosco, un centro di protezione per ragazzi di strada, approvato dal Ministero della Gioventù e dello Sviluppo Sociale dello Stato di Lagos, come casa di riabilitazione per ragazzi a rischio. È una Casa che si dedica a migliorare la vita dei ragazzi di strada, dei ragazzi vulnerabili, fornendo loro un ambiente familiare alternativo, un rifugio, istruzione, sostegno emotivo, protezione e potenziamento delle abilità di vita. Si parte dalla convinzione che ogni ragazzo abbia un potenziale positivo e che i giovani rappresentino il futuro del paese. Se l’ambiente è buono, se ricevono una buona formazione e vedono buoni esempi, possono crescere anche loro in modo da diventare una speranza per gli altri.
La Casa Don Bosco comprende ospiti residenziali e non residenziali. I ragazzi residenti sono quelli che vivono nella casa di accoglienza, frequentano la scuola all’interno della casa e partecipano a tutte le attività che li porteranno a diventare persone migliori e a reintegrarsi nelle loro famiglie e comunità. Alcuni dei programmi gestiti nella casa, nell’ambito dell’acquisizione di competenze e dell’empowerment, sono rappresentati da percorsi di sartoria, taglio capelli, produzione di scarpe, mentre nell’area dello sviluppo dei talenti sono musica, teatro, danza e coreografia. I ragazzi sono anche impegnati in diversi percorsi terapeutici, sport e attività ricreative per favorire il loro sviluppo sociale e fisico.
Nel loro lavoro con questi ragazzi, i salesiani si sono resi conto della potenzialità della musica, specialmente nella riabilitazione dei più piccoli. Aiutandoli a conoscere e usare gli strumenti musicali, si offre sollievo dal peso del loro vissuto, favorendo il superamento di vari traumi, rafforzando anche un buon rapporto familiare fra loro. Lo stesso succede anche con la danza. I ragazzi sono molto attratti dalla coreografia, vogliono provare e non si scoraggiano quando si accorgono di aver sbagliato, ma ritentano con perseveranza fino quando riescono, imparando dagli errori. La danza incoraggia i ragazzi a sperimentare e a trovare percorsi diversi per dimenticare i loro problemi.
Ma la Casa Don Bosco non chiude le porte a quelli che non vogliono restare. Gli ospiti non residenziali sono quelli che vivono per strada e che, spesso, vengono a cercare un rifugio temporaneo. La casa serve loro come tappa per riposare, giocare, fare una doccia, cambiare i vestiti, ricevere farmaci e vitto. In queste occasioni, si offre loro anche la possibilità di attività di follow-up: consulenza e riabilitazione psicologica, rintracciamento e reinserimento familiare, continuità dell’istruzione, acquisizione di competenze, assistenza medica e sanitaria complessa e inserimento lavorativo.
È un aiuto prezioso, perché la maggior parte di questi giovani ha un’età compresa tra i 14 e i 24 anni: tanti di loro sono impegnati in qualche lavoro, che permette loro di guadagnare qualcosa per coprire le spese quotidiane di cibo, abbigliamento e altre necessità. Una buona parte di loro lavora nel settore non organizzato, aiutando nei matrimoni, nei cantieri edili, trasportando carichi nel parcheggio degli autobus, vendendo sacchetti d’acqua e bevande sulla strada, svolgendo i lavori più umili. Ed è bello costatare questo, perché vuol dire che hanno voglia di guadagnarsi onestamente la vita, ma non sempre trovano qualcuno che li aiuti.
Come si può intuire, le ragazze non si trovano in una situazione migliore e ciò rappresenta una sfida per i salesiani: pensare in qualche modo anche a loro. Anche per questo i salesiani chiedono sostegno per migliorare le capacità del loro personale e la gestione in generale e sono aperti a ricevere assistenza per migliorare la qualità del lavoro. Da soli possono fare poco, ma insieme con gli altri possono fare molto.
don Raphael AIROBOMAN, sdb Direttore del “Don Bosco Home Child Protection Center”, Lagos, Nigeria
Don Bosco in Cambogia
La collaborazione tra laici e religiosi a favore dell’educazione della gioventù della Cambogia.
Cambogia è un paese nel sud-est asiatico che conta oltre il 90% della popolazione buddhista e con una piccolissima minoranza cristiana.
La presenza dei Salesiani di Don Bosco in Cambogia risale al 1991, quando i Salesiani arrivarono dalla Thailandia, dove si stavano occupando dell’educazione tecnica dei profughi di guerra lungo il confine tra i due Paesi, sotto la guida dal salesiano coadiutore Roberto Panetto e degli ex-allievi salesiani di Bangkok.
Dopo aver formato circa 3.000 giovani, questi ultimi, che stavano per essere rimpatriati in Cambogia, chiesero ai Salesiani di andare con loro. I Salesiani non lasciarono cadere quell’invito nel vuoto, intuendo che era quello il posto in cui Dio li voleva in quel momento, quelli erano i giovani che stavano chiamando Don Bosco. Le sfide erano e sono tante, in un ambiente culturale non cristiano ed in una società molto povera.
Il 24 maggio 1991, festa di Maria Ausiliatrice, iniziò la presenza salesiana in Cambogia, con un orfanotrofio e la scuola tecnica Don Bosco di Phnom Penh, inaugurata ufficialmente nella festa di Don Bosco, il 31 gennaio 1994. Nel 1992 anche le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno raggiunto il Paese e il loro lavoro offre speranze a molte ragazze povere e abbandonate in un Paese in cui più della metà della popolazione totale è di sesso femminile e in cui le donne sono vittime di violenze, abusi e traffico di esseri umani.
I Salesiani hanno creato istituti tecnici e scuole in cinque province del Paese: Phnom Penh, Kep, Sihanoukville, Battambang e Poipet. L’enorme lavoro educativo-pastorale è reso possibile solo grazie al preziosissimo contributo dei laici. Quasi la totalità del personale coinvolto nelle strutture salesiane è costituita da ex-allievi che si impegnano continuamente per dare il meglio agli studenti in formazione. Questa è un’applicazione concreta della corresponsabilità e dei tanti inviti a condividere la missione.
I Salesiani hanno costituito in Cambogia una ONG senza alcuna affiliazione religiosa. Conosciuti comunemente come i padri, i fratelli e le sorelle di Don Bosco, sono amati e rispettati da tutti. C’è un grande amore e una partnership tra i Salesiani e gli ex-allievi in Cambogia, che contribuisce alla popolarità e al 100% di inserimenti lavorativi degli studenti negli ultimi dieci anni, come ci dice don Arun Charles, missionario indiano in Cambogia dal 2010, di recente nomina come coordinatore dell’animazione missionaria nella regione Asia Est-Oceania. I Salesiani incoraggiano i minori a completare il ciclo di istruzione primaria, tramite progetti di sostegno per i bambini, costruzione di edifici scolastici elementari nei villaggi poveri, gestione di alcuni centri per l’alfabetizzazione. A Battambang le fabbriche di mattoni trattengono i bambini per farli lavorare come operai, lì l’educazione salesiana mira ad offrire un’alternativa e la speranza di un futuro diverso.
Una delle specialità della missione salesiana in Cambogia è la scuola alberghiera, che fornisce istruzione in ospitalità, cucina e gestione alberghiera, disponendo di un albergo completo per consentire agli studenti di fare un’esperienza pratica nel loro campo, oltre ai laboratori e alle esercitazioni.
È rimasta nella memoria la visita del Rettor Maggiore don Juan Edmundo Vecchi nel 1997, momento molto importante di incoraggiamento, incentrato sull’esortazione a costruire la comunità educativa pastorale e a mettere in pratica il Sistema Preventivo di Don Bosco.
Lo sguardo missionario di Don Bosco continua a vivere a quasi 10.000 km da Valdocco, sempre con e per i giovani, nelle presenze salesiane a Phnom Penh, Poipet e Sihanoukville.
“Life” è un gruppo di giovani, nato nel 1975 in Sicilia, che vuole vivere con impegno i valori umani e cristiani ed esprimerli attraverso il linguaggio artistico. Spettacoli, musica, canti, danze per proporre un messaggio al pubblico, per dire qualcosa che aiuti a riflettere e anche a pregare. Vogliono portare la proposta cristiana nei teatri e nelle piazze, in un nuovo modo di evangelizzare.
Li avevo visti all’opera sul palcoscenico di uno dei teatri più grandi di Catania, dinanzi a più di 1800 giovani delle scuole della città. Presentavano un musical che, con un linguaggio giovanile, aiutava a riflettere a 360° sul valore della vita. Canto, danza, luci, effetti speciali avevano tenuto inchiodati alle poltrone quei ragazzi per tutta la mattinata. All’uscita mi ero voluta mescolare agli spettatori per catturare qualche commento: “Forti davvero! A me sono piaciuti tanto i balletti!”… “Hai visto che c’era anche l’orchestra dal vivo? Vorrei chiedere se mi prendono con loro”… “Più o meno hanno la mia età, ma che voci!…”. Anch’io ero rimasta colpita da quel gruppo di giovani attori, non solo per la qualità della loro performance, ma anche perché già prima che arrivasse il pubblico avevo visto che si davano da fare per mettere in ordine ogni cosa: c’era chi posizionava i fari per le luci, chi provava i microfoni, chi metteva in ordine i costumi, chi si cimentava nell’ultima prova di un balletto e chi faceva i suoi vocalizzi per schiarire la voce. Ognuno sapeva cosa doveva fare e, con senso di responsabilità, svolgeva il suo compito. Quando il teatro fu pieno, prima di dare il via, sparirono tutti dietro al sipario chiuso. Volli sbirciare e vidi che, disposti in cerchio, erano tutti lì per una breve preghiera prima di iniziare lo spettacolo. Mi colpì questo fatto. Sapevo che era un gruppo salesiano appartenente all’Associazione del CGS (Cinecircoli Giovanili Socioculturali); decisi, così, di andare a trovarli presso la loro sede per saperne di più e conoscerli meglio. Trovai un ambiente molto semplice: un saloncino per le prove e per gli incontri, una saletta per le registrazioni, un soppalco con degli armadi per i costumi, un deposito per le scene e per l’attrezzatura di luci e fonica, ma soprattutto trovai tanta creatività e tanto spirito salesiano. Ad accogliermi c’era Armando B., fondatore e responsabile del gruppo, nonché compositore di tutte le musiche, ed altri cinque giovani. Chiesi che mi raccontassero un po’ della loro storia.
– Il nostro gruppo – intervenne Armando – si chiama LIFE, Vita! Sì, perché stiamo insieme per scoprire il senso della vita e per annunciare al mondo la gioia della vita. Siamo nati nel 1975 per il desiderio di alcuni di noi, allora quindicenni, di stare insieme, legati dall’amore per la musica. Da allora se n’è fatta di strada! Nel corso degli anni è maturato pian piano il bisogno di approfondire la nostra fede, di vivere con impegno i valori umani e cristiani ed esprimerli attraverso il linguaggio artistico. Sono nati così i nostri musical, spettacoli interamente ideati e realizzati da noi: dalle musiche ai testi, dai costumi alle scene, dalle luci alla fonica…e abbiamo inciso anche molte cassette e CD. – Puoi vedere qui alle pareti le locandine e le foto dei nostri spettacoli in tutti questi anni – aggiunse Paolo.
“Life” è stato il primo spettacolo originale che affronta il problema della droga e del dialogo in famiglia; poi c’è stato “Benvenuta Povertà” che aiuta a riflettere sul consumismo e sulla vera libertà che nasce dal distacco dalle ricchezze; la devianza giovanile e le proposte educative di Don Bosco in “Anch’io mi chiamo Giovanni”; la scelta negli ultimi nel musical “La Ragazza di Poitiers”, la cultura della vita contro la cultura della morte in “Apriti alla Vita”; la sapienza evangelica che si sovrappone a quella del mondo in “E se non fosse un Sogno?”; “Storie per Vivere”, piccole storie di oggi e di ieri alla luce della spiritualità salesiana; “3P” – Padre Pino Puglisi, la storia del sacerdote vittima della mafia; “Sulle ali dell’amore”, che presenta l’esperienza del Servo di Dio Nino Baglieri e Ciò che resta è amore, sul messaggio di San Paolo. – Ultimamente abbiamo messo in scena “Baraccopoli”, – intervenne Giuseppe – un musical che tocca il tema degli emarginati e della solidarietà. L’ultimo nato, invece, è un’opera su Papa Francesco e il suo messaggio agli uomini del nostro tempo. S’intitola “Dalla fine del mondo”. Sara lo interruppe e, mostrandomi dei DVD, aggiunse: – Vedi? Ci siamo cimentati anche nella produzione di film e, oltre alle versioni cinematografiche di “Storie per Vivere” e “Apriti alla Vita”, abbiamo realizzato altri tre film – “L’atleta di Dio, Placido e Nicolò” -, che hanno ricevuto premi e riconoscimenti particolari. Restai veramente stupefatta dinanzi al materiale che documentava tanti anni di attività, e azzardai una domanda: – Cosa vi spinge a fare tutto questo? Alessandra sorrise e rispose: – Il nostro vuole essere un modo nuovo di fare evangelizzazione, di portare la proposta cristiana nei teatri e nelle piazze. L’esperienza delle nostre tournées è sempre entusiasmante: abbiamo percorso l’Italia da un capo all’altro e siamo stati anche all’estero. Ogni volta è una carica nuova poiché nello stesso momento in cui si “annuncia” qualcosa, cresce la consapevolezza e la convinzione di ciò che proponiamo agli altri. Armando aggiunse: – Per poter dire qualcosa agli altri è indispensabile prima vivere una realtà! Per questo il nostro C.G.S. investe molto sulla formazione: ogni sabato ci si ritrova per pregare insieme ed ogni domenica abbiamo il nostro incontro formativo. Nel periodo estivo riserviamo una decina di giorni al “campo espressione”, giornate in cui si riflette sulla parola di Dio e si esprime in maniera creativa (musiche, danze, mimi…) la propria riflessione. Nei periodi dell’anno liturgico ci incontriamo per una giornata di ritiro spirituale. È una proposta, la nostra, che offriamo a tanti giovani del nostro territorio e non, di diverse fasce di età. I più grandi accompagnano i più piccoli. Molti arrivano a noi attratti dalla musica e dal desiderio di trovare amici e fare gruppo e pian piano si coinvolgono anche in un cammino di fede. – Sì – intervenne Simone – posso testimoniare con la mia storia: all’inizio venni in gruppo solo perché mi piaceva la recitazione e desideravo anche imparare a suonare uno strumento. Qui trovai l’uno e l’altro, ma soprattutto conobbi persone che mi hanno saputo ascoltare e che mi hanno mostrato un modo di vivere diverso da quello che avevo sperimentato fino a quel momento. Qui ho iniziato anche a conoscere il Vangelo.
Mi sentivo bene con loro e mi fermai a chiacchierare fino a sera. Seppi, così, di tante esperienze vissute da questi ragazzi, come quella di andare nei pub a suonare e coinvolgere i giovani clienti in dialoghi su alcuni temi che li invogliassero a riflettere sulla loro vita o quella di andare a portare aiuti ai senzatetto in serate particolarmente fredde o, ancora, quella di gestire nel quartiere un oratorio alla maniera di Don Bosco o animare degli incontri giovanili in occasione di raduni diocesani o della regione. Tornai ancora un sabato a trovarli. Era tutto un cantiere: Giuseppe animava l’incontro dei pre-adolescenti che se ne stavano stipati nella saletta di solito usata per le registrazioni, altri tre giovani dipingevano le scene dello spettacolo in programmazione, un gruppetto provava le varie voci di una canzone, mentre due erano intenti a scrivere su dei fogli. “Prepariamo l’incontro di domani sera per le famiglie – mi dissero. “Ci saranno le coppie di chi appartiene al gruppo, ma anche i genitori dei nostri ragazzi. Vogliamo coinvolgere anche loro in un cammino formativo”. Quanta vita in questo gruppo! – mi sono detta; hanno scelto veramente il nome giusto come chiamarsi: LIFE!
A soli 30 metri dal confine con gli Stati Uniti, una casa salesiana in Messico offre numerosi servizi ai giovani, ai poveri e ai migranti, nella zona di confine terrestre più trafficata del mondo, in una città la cui popolazione è triplicata negli ultimi 30 anni e in una zona famosa in tutto il mondo per il muro che separa il Messico dagli Stati Uniti.
I Salesiani sono arrivati nella città di Tijuana, Baja California (Messico), in occasione della festa di San Giuseppe, il 19 marzo 1987. Fu alla fine degli anni Ottanta che l’allora ispettore guardò verso il confine settentrionale del Messico, sottolineando che le presenze del Nord avrebbero dovuto rappresentare dei “polmoni” per garantire aria purificata alla missione e alla vita apostolica e religiosa dell’Ispettoria Salesiana. Con questa intenzione e volendo rispondere ai molti bisogni della città, i Salesiani si impegnarono a trovare spazi per realizzare oratori in città. In meno di un decennio, furono costruiti 9 oratori dove i giovani trovarono una casa, un parco giochi, una scuola e una chiesa. Con il passare del tempo si è concentrata l’attenzione su diverse esigenze, sono state create sei residenze-lavoro in diversi quartieri popolari della città, formando il Progetto Salesiano Tijuana. Ognuna di esse ospita diverse istituzioni, dando vita a più di dieci fronti di lavoro.
La prima delle opere è stata la Parrocchia e l’Oratorio Maria Auxiliadora, situata nella “Colonia Herrera”. Sia la parrocchia sia l’oratorio si occupano di vari problemi della colonia. Si stanno compiendo passi verso un accordo con l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) per offrire un centro sanitario comunitario con consulenza legale e psicologica e assistenza medica. Nel territorio della parrocchia c’è una casa di accoglienza per famiglie di migranti chiamata “Pro amore DEI”, che è accompagnata da varie attività. Questo Oratorio di Maria Ausiliatrice offre laboratori brevi e flessibili, che offrono diverse opportunità di apprendimento, il tutto per il bene delle famiglie; questi laboratori sono frequentati da bambini e famiglie in situazioni vulnerabili. Alcuni di questi laboratori sono: laboratorio di sartoria, laboratorio di bellezza, laboratorio di scuola calcio, laboratorio di zumba, laboratorio di chitarra e laboratorio di computer, consulenza psicologica e formazione per adulti o giovani al di fuori dell’ambito scolastico, in accordo con l’INEA (Istituto Nazionale per l’Educazione degli Adulti).
Un’altra presenza, collocata nel centro della città è l’Oratorio San Francisco de Sales, situato nella colonia Castillo. Questa presenza ospita anche diverse istituzioni, tra cui: una delle sedi della residenza della comunità religiosa, l’Oratorio, gli uffici della COMAR (Commissione Messicana per l’Aiuto ai Rifugiati) che, in collaborazione con l’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati), fornisce servizi ai richiedenti asilo (carte d’identità, offerte di lavoro, supporto legale) e gli uffici del Progetto Salesiano Tijuana. Si tratta di un insieme di servizi per i più svantaggiati, cioè gli stranieri che arrivano in città in cerca di rifugio con un’attenzione dignitosa verso i loro diritti. Nell’oratorio, le famiglie della colonia vengono assistite con laboratori flessibili e agili, offrendo uno spazio di crescita (è una colonia di lavoratori che negli ultimi anni ha sofferto molto per lo spaccio di droga e gli omicidi dovuti a questa situazione). Per il Progetto Salesiano Tijuana è stato e continua ad essere di grande importanza aprirsi alla creazione di reti e alleanze con varie istituzioni che rafforzano e promuovono l’aiuto ai giovani, ai migranti e alle famiglie in situazioni vulnerabili.
L’Oratorio Domingo Saviosi trova nel cuore della colonia “SánchezTaboada”. Questa colonia è molto particolare. Secondo recenti statistiche, il quartiere Sanchez Taboada occupa il primo posto nella classifica della violenza in città. In questo quartiere sono state uccise 146 persone in meno di cinque mesi, il che lo rende la colonia più violenta; qui è stato registrato il maggior numero di omicidi intenzionali. Qui si trova la nostra presenza salesiana, che sviluppa diversi servizi: una presenza che vuole soprattutto portare speranza alle famiglie e opportunità ai bambini. La situazione di violenza, povertà e la posizione orografica della casa salesiana richiedono un costante sostegno finanziario per mantenere le strutture e per trovare il personale adeguato a fornire i servizi educativi. Tra le attività attualmente offerte ci sono: laboratorio di calcio, laboratorio di chitarra, laboratorio di pallavolo, laboratorio di regolamento scolastico per bambini e adolescenti, laboratorio di inglese e laboratorio di informatica. In questo oratorio, come nelle altre cinque presenze, la catechesi sacramentale e i servizi e le celebrazioni liturgiche sono offerti nella cappella.
L’Oratorio San José Obrero si trova nella parte orientale della città, nella colonia chiamata “Ejido Matamoros”. Dispone di strutture sportive che offrono servizi a un gran numero di giovani, bambini e adulti che vengono a giocare a calcio; nel corso di una settimana, più di mille utenti passano per questo centro sportivo. In questo oratorio, anche il Movimento Giovanile Salesiano è molto attivo, soprattutto per gli adolescenti e i bambini, con il movimento Amici di Domenico Savio, gli accoliti e i cori. La Cappella dell’Oratorio offre servizi liturgici quotidiani aperti alla comunità. La presenza salesiana in questo oratorio comprende anche una scuola superiore che, essendo situata in una zona di così grande crescita della città, può continuare a fornire un servizio educativo indispensabile e, in prospettiva, dovrebbe crescere nel numero di studenti e nella qualità dei suoi servizi educativi.
L’Oratorio San Juan Bosco si trova nella colonia Mariano Matamoros a El Florido. È un’oasi di pace nella parte orientale della città e la chiamiamo così perché nel 2022, anche qui sono stati registrati 92 omicidi. Questa presenza salesiana si trova in una zona di insediamenti di famiglie che lavorano nelle “maquilas” e lì l’opera salesiana ha sviluppato una presenza ampia e complessa, composta da quattro istituzioni: la casa di accoglienza Don Bosco (una casa di accoglienza per donne e bambini, operativa dal dicembre 2021), la scuola Don Bosco (una scuola con 200 alunni, maschi e femmine, che frequentano l’istruzione primaria) l’oratorio – centro giovanile (accoglie bambini, gruppi giovanili, atleti del campionato di calcio e di basket, gruppo di balletto folcloristico, laboratori), la cappella San Juan Bosco (offre servizi liturgici con un grande afflusso di famiglie e bambini che frequentano la catechesi). L’insieme di queste istituzioni dà vita a un centro di integrazione per la comunità locale, essendo uno spazio per una varietà di persone (migranti, bambini, giovani, famiglie) che offre l’opportunità di attualizzare la missione salesiana, rispondendo alle esigenze sociali. Per realizzare queste istituzioni di grande opera sociale, i Salesiani lavorano attraverso accordi di collaborazione con varie organizzazioni civili e governative e creando accordi con le agenzie delle Nazioni Unite (UNHCR, OIM, UNICEF); lavorano anche con grande apertura e flessibilità con altre istituzioni che forniscono sostegno e supporto nelle aree della salute e dell’istruzione.
Il Desayunador Salesiano è un’opera di assistenza sociale che dà vita a due istituzioni (un centro per la colazione e una casa di accoglienza per uomini migranti), che a loro volta forniscono un’ampia gamma di servizi ai beneficiari. Quest’opera salesiana si trova nella zona centro-settentrionale della città di Tijuana. I suoi inizi risalgono al 1999, ma prima di quell’anno alcuni “tacos” venivano già offerti negli uffici del progetto salesiano. Questo servizio di alimentazione dei poveri e dei migranti che vagano per la città si è sviluppato ed evoluto, e nel 2007-2008 è stato istituito con una sede propria per questa attività nel luogo in cui opera attualmente: qui si presta attenzione ai migranti vulnerabili (deportati/rimpatriati, stranieri provenienti dal centro e dal sud del Messico), ai senzatetto, agli anziani, alle famiglie povere o estremamente povere, agli uomini, alle donne e ai bambini che hanno fame.
Tra la varietà di servizi offerti ci sono: colazioni (tra 900 e 1200 al giorno), telefonate all’estero (25 al giorno), docce (fino a 150 al giorno, tre volte alla settimana), tagli di capelli, consegna di cibo alle famiglie povere (3-5 al giorno), offerta di cambio di vestiti (fino a 150 al giorno, tre volte alla settimana), assistenza medica (40-60 al giorno), consulenza legale (8-20 al giorno) su questioni migratorie, assistenza psicologica, supporto e sostegno emotivo, workshop per la prevenzione della violenza contro le donne, laboratori (arte grafica, mosaico bizantino, alebrijes e piñatas, workshop radiofonico ecc.), scambio di lavoro formale e informale (8-20 al giorno), collegamenti con i centri di riabilitazione. L’attività del Desayunador e del rifugio è sostenuta con l’aiuto di volontari giornalieri (locali, nazionali e internazionali) in varie forme o periodi, sviluppando una grande apertura alla collaborazione interistituzionale.
L’impegno salesiano in questo grande Progetto Salesiano Tijuana è fondamentale perché la città continua a crescere, continua ad essere la città di confine con il maggior numero di persone in mobilità e in situazione di migrazione; parlare di Tijuana come confine significa parlare del confine terrestre più attraversato al mondo. Si tratta del passaggio di oltre 20 milioni di veicoli e di oltre 60 milioni di persone che in un anno entrano negli Stati Uniti attraverso questo confine. La migrazione rimane un tema di grande attualità. In questa città di confine, con così tanti migranti, ci sono problemi di traffico di esseri umani, di coinvolgimento nel mondo della vendita e del consumo di droga. La città di Tijuana continua ad offrire grandi opportunità per la realizzazione dei sogni, con un’ampia gamma di posti di lavoro, ma continua anche ad essere una città con un alto livello di criminalità, una delle più violente del Paese.
Senza dubbio, i migranti, i bambini, i giovani e le famiglie guardano al Progetto Salesiano di Tijuana per avere aiuto e speranza nella costruzione del loro futuro. La missione salesiana di Tijuana continua ad essere un luogo dove i sogni di don Bosco e la realizzazione del carisma della Famiglia Salesiana possono prendere vita.
È possibile seguire la presenza salesiana a Tijuana anche attraverso i suoi social network: Facebook, Twitter, Instagram, Youtube.
don Agustín NOVOA LEYVA, sdb direttore Casa Salesiana Tijuana, Messico