Alexandre Planas Saurì, il sordo martire (2/2)

(continuazione dal’articolo precedente)

Il salesiano
            È accanto ai malati, i bambini. L’Oratorio, che i salesiani avevano fondato all’inizio della casa, terminò con la sua partenza nel lontano 1903. Ma la parrocchia di Sant Vicenç raccolse la fiaccola attraverso un giovane, Joan Juncadella, catechista nato, e il Sordo, suo grande assistente. Tra loro nacque, come detto prima, una fortissima amicizia e una collaborazione permanente, a cui pose fine solo la tragedia del 1936. Alexandre si occupava della pulizia e dell’ordine del luogo, ma ben presto si dimostrò un vero animatore di giochi e delle escursioni che venivano organizzate. E, se necessario, non esitava a mettere a disposizione i soldi che risparmiava.
E aveva dentro di sé il cuore salesiano. La sordità non gli permise di professare come salesiano, cosa che sicuramente desiderava. Tuttavia, risulta che avesse fatto voti privati che emise con l’autorizzazione dell’allora ispettore, don Filippo Rinaldi, secondo la testimonianza di uno dei direttori della casa, padre Crescenzi.
            La sua identificazione con la causa salesiana la dimostrò in mille modi, ma in forma particolarmente significativa prendendosi personalmente cura della casa per quasi 30 anni e difendendola nella difficile situazione dell’estate e dell’autunno del 1936.
            “Sembrava il padre di ognuno di noi”. Quando nel 1935, tre ragazzi annegarono nel fiume “il dolore di quell’uomo era come quello di aver perso tre figli contemporaneamente”. Sappiamo che i salesiani non lo considerarono un dipendente, ma uno della famiglia, o un cooperatore. Oggi forse potremmo dire un laico consacrato nello stile dei Volontari con Don Bosco. “Un salesiano di grande statura spirituale”.

Abbracciato alla Croce, vero testimone di fede e di riconciliazione
            Nell’autunno del 1931 i salesiani tornarono a Sant Vicenç dels Horts. Le rivolte incontrollate che produssero la caduta della monarchia spagnola colpirono la casa di El Campello (Alicante) dove in quel tempo si trovava l’Aspirantato. Fu quindi presa la decisione di spostarlo a Sant Vicenç. La casa, anche se relativamente fatiscente, era pronta e poté ampliarsi con l’acquisto di una torre adiacente. Qui si svolse la vita degli aspiranti, la cui testimonianza sul Sordo ha permesso di disegnare il ritratto dell’uomo, dell’artista, del credente e del salesiano a cui abbiamo fatto riferimento.

Cristo inchiodato alla croce, nel cortile della casa, di Alexandre

La deposizione nelle mani di Maria, nel cortile della casa, di Alexandre

Il santo sepolcro, nel cortile della casa, di Alexandre

            Non è ora il caso di riferirsi alla situazione critica degli anni 1931-1936 in Spagna. Nonostante tutto questo, la vita dell’Aspirantato di Sant Vicenç trascorse abbastanza normalmente. Il motore della vita quotidiana era la coscienza vocazionale dei giovani che sempre li spingeva a guardare avanti nella speranza di legarsi in una data non lontana a don Bosco per sempre.
            Finché arrivò la rivoluzione del 18 luglio 1936. Lo stesso giorno salesiani e giovani fecero la loro escursione-pellegrinaggio al Tibidabo. Quando tornarono, nel pomeriggio, le cose stavano cambiando. In pochi giorni la casa parrocchiale del villaggio venne incendiata, il seminario salesiano fu sequestrato, un clima di intolleranza religiosa si era diffuso ovunque, il parroco e il vicario della parrocchia furono arrestati e uccisi, le forze dell’ordine non poterono o non seppero far fronte ai disordini. A Sant Vicenç prese il potere il “Comitato antifascista”, di matrice chiaramente anticristiana.
            Sebbene in un primo momento la vita degli educatori fosse rispettata, grazie all’attenzione verso i ragazzi che la casa ospitava, tuttavia dovettero assistere alla distruzione e al rogo di tutti gli oggetti religiosi, in particolare dei tre monumenti eretti dal Sordo. “Quanto soffrì” vedendosi nella necessità di collaborare alla distruzione di quella che era espressione della sua profonda spiritualità e di assistere all’espulsione dei sacerdoti.
            In quei giorni il Sordo prese chiaramente coscienza del nuovo ruolo che la rivoluzione lo costringeva ad assumere: senza cessare di essere il principale anello di congiunzione della comunità con il mondo esterno (si era sempre mosso liberamente come fattorino e in ogni tipo di necessità), doveva custodire come prima la proprietà e, soprattutto, proteggere i seminaristi. “In realtà era lui a rappresentare i salesiani e a farci da padre”. In pochi giorni, infatti, rimasero solo i coadiutori e un gruppo sempre più ristretto di ragazzi aspiranti.
            L’espulsione definitiva di entrambi avvenne il 12 novembre. A Sant Vicenç è rimasto solo il signor Alexandre. dei suoi ultimi giorni di vita abbiamo solo tre dati certi: due dei coadiutori espulsi tornò al villaggio il 16 per convincerlo a cercare un posto più sicuro fuori dal villaggio, cosa che Alexandre rifiutò. Non poteva lasciare la casa che aveva custodito per tanti anni e non rispettare lo spirito salesiano anche in mezzo a quelle difficili circostanze. Uno di loro, Eliseo García, non volendolo lasciare solo, rimase con lui. Entrambi furono arrestati nella notte tra il 18 e il 19. Pochi giorni dopo, vedendo che Eliseo non era tornato a Sarriá, un altro salesiano coadiutore e un seminarista si recarono a Sant Vicenç per avere loro notizie. “Non sanno cosa è successo?”, disse una signora amica che conoscevano e che gestiva un bar. “Ci ha raccontato in poche parole della scomparsa del Sordo e di Eliseo”.
            Come trascorse questa ultima settimana? Conoscendo a fondo il percorso di vita del Sordo, sempre fedele ai suoi principi e al suo modo di fare, non è difficile immaginarlo: aiutando gli uni e gli altri, senza nascondere la sua fede e la sua carità, con la consapevolezza di fare il bene, contemplando il mistero della passione e morte di Cristo reale e presente nella vita dei perseguitati, degli scomparsi e degli assassinati… Forse nella speranza che potesse essere il custode non solo delle proprietà dei salesiani ma il custode di tante persone del popolo che soffrivano. Del crocifisso, come abbiamo ricordato, non volle spogliarsi nemmeno nei mesi di persecuzione religiosa che culminarono nel suo martirio. Con questa fede, con questa speranza, con questo immenso amore ascolterebbe dal Signore della gloria: “Molto bene, servo buono e fedele. Sei rimasto fedele in piccole cose; Ti affiderò molto di più. Entra nella gioia del tuo Signore”. (Mt 25,21)

Il Vangelo del Sordo
            Arrivati a questo punto, ogni spirito, per quanto insensibile, non può che tacere e cercare di raccogliere, al meglio delle sue capacità, la preziosa eredità spirituale che Alexandre ha lasciato alla Famiglia Salesiana, la sua famiglia adottiva. Possiamo dire qualcosa sul “suo vangelo”, cioè sulla Buona Novella che Egli ha fatto sua e continua a proporci con la sua vita e la sua morte?
            Alexandre è come quel “sordo che sa a malapena parlare” di Mc 7,32. La supplica dei suoi genitori a Gesù per la guarigione sarebbe stata continua. Come lui, anche Gesù lo portò in un luogo solitario, lontano dalla sua gente e gli disse: “Effata!” Il miracolo non era nella guarigione dell’orecchio fisico, ma nell’orecchio spirituale. Mi sembra che l’accettazione della sua situazione con spirito di fede sia stata una delle esperienze fondanti della sua vita da credente che lo ha portato a proclamare, come il sordo del Vangelo, ai quattro venti: “Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti” (Mc 7,37).
            E da qui possiamo contemplare nella vita del Sordo “il tesoro nascosto del Regno” (Mt 13,44); “il lievito che fa fermentare tutta la pasta” (Mt 13,33); Gesù in persona “che accoglie i malati” e “benedice i bambini”; Gesù che prega il Padre per ore e ore e ci insegna il Padre nostro (dare gloria al Padre, desiderare il Regno, compiere la sua volontà, fidarsi del pane quotidiano, perdonare, liberare dal male…) (Mt 7,9-13); “l’amministratore della casa che tira fuori dalla sua borsa cose nuove e cose vecchie come meglio crede” (Mt 13,52); “il buon samaritano che ha pietà dell’uomo percosso, gli si avvicina, gli fascia le ferite e si fa carico della sua guarigione” (Lc 10,33-35); “il Buon Pastore, custode dell’ovile che entra dalla porta, ama le pecore fino a dare la vita per loro” (Gv 10,7-11)… In una parola, un’icona vivente delle Beatitudini, di tutte, nella vita di ogni giorno (Mt 5,3-12).
            Ma, e ancora di più, possiamo avvicinarci ad Alexandre e contemplare con lui il Mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Un mistero che si avvererà nella sua vita dalla nascita alla morte. Un mistero che lo rafforza nella sua fede, che alimenta la sua speranza e che lo riempie di amore, con cui dare gloria a Dio, fatto tutto per tutti con i bambini e i giovani della casa salesiana, e con i paesani del villaggio di Sant Vicenç specialmente i più poveri, compresi quelli che gli hanno tolto la vita: “Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Fammi, Signore, testimone di fede e di riconciliazione. Possano anche loro, un giorno, sentire dalle tue labbra: “Oggi sarai con me in Paradiso” (Lc 23,43).
            Beato Alexandre Planas Saurí, laico, martire salesiano, testimone di fede e di riconciliazione, seme fecondo della civiltà dell’Amore per il mondo di oggi, intercedi per noi.

don Joan Lluís Playà, sdb




Alexandre Planas Saurì, il sordo martire (1/2)

Alexandre Planas Saurì, nato a Mataró (Barcellona) nel 31 di dicembre 1878, è stato un laico collaboratore dei salesiani fino alla sua gloriosa morte come martire a Garraf (Barcellona) il 19 novembre 1936. La sua beatificazione avvenne insieme con altri salesiani e membri della famiglia salesiana, l’11 marzo del 2001, da parte di papa san Giovanni Paolo II.

            Nell’elenco dei martiri spagnoli beatificati da Giovanni Paolo II l’11 marzo 2001, c’è il laico Alexandre PLANAS SAURÌ. Il suo nome fa parte dei martiri salesiani dell’Ispettoria Tarraconense, sottogruppo di Barcellona. Le testimonianze sulla sua vita usano anche la parola “della famiglia” o “cooperatore”, ma tutte lo definiscono come “un autentico salesiano”. Il villaggio di Sant Vicenç dels Horts, dove visse per 35 anni, lo conobbe con il soprannome di “El Sord”, “El Sord dels Frares (Il Sordo dei frati)”. E questa è l’espressione che compare sulla bella lapide della Chiesa Parrocchiale, posta proprio su un lato della parte posteriore, nel punto preciso in cui si trovava Alexandre quando andava a pregare.
            La sua vita fu interrotta nella notte tra il 18 e il 19 novembre 1936 insieme a quella di un salesiano coadiutore, Eliseo García, che rimase con lui per non lasciarlo solo, poiché Alexandre non voleva abbandonare il villaggio e cercare un posto più sicuro. In poche ore entrambi furono arrestati, condannati dal comitato anarchico del comune, e portati sulle rive del Garraf, sul Mediterraneo, dove furono fucilati. I loro corpi non furono ricuperati. Alexandre aveva 58 anni.
            Questa è una nota che avrebbe potuto far parte della pagina degli eventi di qualsiasi giornale e cadere nel più assoluto oblio. Ma non è stato così. La Chiesa ha proclamato entrambi beati. Per la Famiglia Salesiana sono stati e saranno sempre “segni di fede e di riconciliazione”. In queste pagine si farà riferimento al sig. Alexandre. Chi era quest’uomo che la gente soprannominava “el Sord dels Frares”?

Le circostanze della sua vita
            Alexandre Planas Saurì nacque a Mataró (provincia di Barcellona) nel 1878, sei anni prima che il treno che portava don Bosco a Barcellona (per visitare e incontrarsi con i salesiani e i giovani della casa di Sarriá) si fermasse alla stazione di questa città, per prelevare la signora Dorotea de Chopitea e i Martí Codolar che desideravano accompagnarlo nell’ultimo tratto del viaggio verso Barcellona.
            Della sua infanzia e adolescenza si sa molto poco. Ricevette il battesimo nella parrocchia più popolare della città, San Giuseppe e San Giovanni. Era, senza dubbio, un ragazzo assiduo nelle celebrazioni domenicali, nelle attività e nelle feste della parrocchia. A giudicare dalla traiettoria della sua vita successiva, fu un giovane che seppe sviluppare una solida vita spirituale.
            Alexandre aveva una notevole menomazione fisica: era totalmente sordo e aveva un corpo sgraziato (basso di statura, con il corpo curvo). È sconosciuta la circostanza che lo ha portato a Sant Vicenç dels Horts, una città a circa 50 km dalla sua città natale. La verità è che nel 1900 era tra i salesiani della piccola città di Sant Vicenç come impiegato nelle attività quotidiane della casa salesiana: il giardino, le pulizie, l’agricoltura, le commissioni… Un giovane uomo di ingegno e laborioso. E, soprattutto, “buono e molto pio”.
            La casa di Sant Vicenç dels Horts fu acquistata da don Filippo Rinaldi, già ispettore di Spagna, nel 1895, per ospitare il noviziato e gli studi di filosofia che dovevano essere fatti in seguito. Fu il primo centro di formazione dei salesiani in Spagna. Alexandre vi arrivò nel 1900 come dipendente, guadagnandosi subito la stima di tutti. Si sentiva molto a suo agio, pienamente integrato nello spirito e nella missione di quella casa.
            Alla fine dell’anno scolastico 1902-1903, la casa subì un forte cambiamento di orientamento. Il Rettor Maggiore, don Michele Rua, aveva creato le tre province della Spagna. Quelle di Madrid e di Siviglia decisero di organizzare la formazione nelle rispettive province. Anche quella di Barcellona trasferì il noviziato e la filosofia a Girona. La casa di Sant Vicenç dels Horts restò praticamente vuota in pochi mesi, abitata solo dal signor Alexandre.
            Da quell’anno, fino al 1931 (28 anni!), divenne il guardiano di quella casa: non solo della proprietà, ma soprattutto delle tradizioni salesiane che in pochi anni si erano radicate fortemente nella popolazione. Una presenza e un lavoro benevoli, vivendo come un anacoreta, ma per nulla estraneo agli amici della casa che lo proteggevano, ai malati del paese che visitava, alla vita parrocchiale che frequentava, ai parrocchiani che edificava con l’esempio della sua pietà, e ai bambini della catechesi parrocchiale e dell’oratorio festivo che animava insieme a un giovane del paese, Joan Juncadella, con il quale strinse una forte amicizia. Distante e vicino allo stesso tempo, con non poca influenza sulle persone. Un personaggio singolare. Il referente dello spirito salesiano nel villaggio. “El sord dels frares”.

L’uomo

            Alexandre, una persona disabile e sorda, ma che capiva i suoi interlocutori grazie al suo sguardo penetrante, dal movimento delle labbra, rispondeva sempre con lucidità, anche se a bassa voce. Un uomo dal cuore buono e luminoso: “Un tesoro posto in un brutto vaso di terracotta, ma noi, i bambini, siamo stati in grado di percepire perfettamente la sua dignità umana”.
            Si vestiva poveramente, sempre con la borsa a tracolla sulla spalla, a volte accompagnato da un cane. I salesiani lo lasciarono stare in casa. Poteva vivere con ciò che l’orto produceva e l’aiuto che riceveva da alcune persone. La sua povertà era esemplare, più che evangelica. E se aveva qualcosa di troppo, lo dava ai poveri. Con queste abitudini di vita, svolgeva il compito di custode della casa con assoluta fedeltà.
           Accanto all’uomo fedele e responsabile, appare l’uomo buono, umile, sacrificato, di una amabilità invincibile, anche se ferma. “Non permetteva che si parlasse male di nessuno”. Fino a questo giungeva la delicatezza del suo cuore. “Il consolatore di tutte le famiglie”. Un uomo dal cuore trasparente, di retta intenzione. Un uomo che si faceva amare e rispettare. La gente era con lui.

L’artista
            Alexandre aveva anche un’anima d’artista. Di artista e di mistico. Isolato dai rumori esterni, viveva assorto in una costante contemplazione mistica. E riusciva a cogliere nella materia i sentimenti più intimi della sua esperienza religiosa, che quasi sempre ruotava attorno alla passione di Gesù Cristo.
            Eresse nel cortile della casa tre monumenti ben visibili: Cristo inchiodato alla croce, la deposizione nelle mani di Maria e il santo sepolcro. Tra i tre, spiccava la croce che presiedeva il cortile. I passeggeri del treno che correva accanto alla fattoria potevano vederlo perfettamente. D’altra parte, allestì un piccolo laboratorio in una delle dipendenze della casa dove eseguiva gli ordini che riceveva o piccole immagini con cui soddisfaceva i gusti della pietà popolare e che distribuiva gratuitamente tra i vicini.

Il credente
            Ma ciò che dominava la sua personalità era la sua fede cristiana. La professava nell’intimo del suo essere e la manifestava con totale chiarezza, a volte anche ostentatamente, professandola in pubblico. “Un vero santo”, un “uomo di Dio”, diceva la gente. “Quando arrivavamo alla cappella al mattino o al pomeriggio trovavamo sempre, immancabilmente, Alexandre che pregava, in ginocchio, facendo le sue pratiche di pietà”. “La sua pietà era profondissima”. Un uomo totalmente aperto alla voce dello Spirito, con la sensibilità che possiedono i santi. La cosa più ammirevole di quest’uomo era la sua sete e fame di Dio, “cercando sempre più spiritualità”.
            La fede di Alexandre si apriva anzitutto al mistero di Dio, davanti alla cui grandezza cadeva in ginocchio in profonda adorazione: “Piegato col corpo, con gli occhi abbassati, pieno di vita interiore… posto in un lato della chiesa, con il capo piegato, inginocchiato, assorto nel mistero di Dio, immerso pienamente nella meditazione della santa compiacenza, sfogava i suoi affetti e le sue emozioni…”.
            “Trascorreva ore davanti al tabernacolo, inginocchiato, con il corpo piegato quasi orizzontalmente a terra, dopo la comunione”. Dalla contemplazione di Dio e dalla sua grandezza salvifica, Alexandre traeva una grande fiducia nella Divina Provvidenza, ma anche una radicale avversione alle colpe contro la gloria di Dio e al suo santo nome. Non poteva tollerare che si bestemmiasse. “Percependo una bestemmia, o diventava teso guardando intensamente colui che l’aveva pronunciata, o sussurrava con compassione, in modo che la persona potesse sentire: ‘La Madonna piange, Nostro Signore piange’”.
            La sua fede si esprimeva nelle devozioni tradizionali dell’Eucaristia, come abbiamo visto, e nel rosario mariano. Ma dove il suo impulso religioso trovava il canale più adatto alle sue esigenze era senza dubbio nella meditazione della passione di Cristo. “Del Sordo, ricordo l’impressione che avevamo nel sentirlo parlare della Passione di Cristo”.
            Egli portava il mistero della croce nella sua carne e nella sua anima. In suo onore aveva eretto i monumenti della croce, della deposizione e della sepoltura di Cristo. Tutte le testimonianze ricordano anche il crocifisso di ferro che portava appeso al petto, e la cui catena era conficcata nella pelle. E dormiva sempre con un grande crocifisso accanto a sé. Non volle spogliarsi del crocifisso nemmeno nei mesi di persecuzione religiosa che culminarono nel martirio. “Faccio del male? – diceva – e se mi uccidono, tanto meglio, così ho già il cielo aperto”.
            Ogni giorno faceva l’esercizio della Via Crucis: “Quando saliva nella sala studio, il signor Planas entrava nella cappella, e quando dopo un’ora scendevamo, stava finendo la Via Crucis, che faceva totalmente inclinato, fino a toccare terra con la testa”.
            Fondata su questa esperienza della croce alla quale si aggiungeva la sua profonda devozione al Sacro Cuore, la spiritualità del Sordo fu proiettata verso l’ascesi e la solidarietà. Viveva da penitente, in povertà evangelica e spirito di mortificazione. Dormiva su assi senza materasso o cuscino, avendo accanto a sé un teschio che gli ricordava la morte e “alcuni strumenti di penitenza”. Questo non lo apprese dai salesiani. Lo aveva appreso precedentemente e lo spiegava ricordando la spiritualità del padre gesuita, sant’Alfonso Rodríguez, il cui manuale era solito leggere nella casa del noviziato e che talvolta meditava in quegli anni.
            Ma l’amore per la croce lo spingeva anche alla solidarietà. La sua austerità era impressionante. Si vestiva come i poveri e mangiava frugalmente. Dava tutto quello che poteva dare: non soldi, perché non ne aveva, ma sempre il suo aiuto fraterno: “Quando c’era da fare qualcosa per qualcuno, lasciava tutto e andava dove c’era bisogno”. Quelli che più ne hanno beneficiato sono stati i bambini della catechesi e i malati. “Non mancava mai al capezzale di una persona gravemente malata: vegliava su di lui mentre la famiglia riposava. E se non c’era nessuno in famiglia che potesse preparare il defunto, era pronto per questo servizio. I preferiti erano i malati poveri che, se poteva, aiutava con le elemosine che raccoglieva o con il frutto del suo lavoro”.

(continua)

don Joan Lluís Playà, sdb




Servi di Dio Giovanni Świerc e otto Compagni di martirio. Pastori che diedero la vita

Le ideologie estremiste, cioè le idee alzate a rango di verità assolute, portano sempre sofferenza e morte quando vogliono imporsi ad ogni costo contro coloro che non le accettano. A volte basta appartenere ad una nazione o a un gruppo sociale per soffrire le conseguenze. È il caso dei martiri salesiani polacchi presentati in questo articolo.

Al numero delle vittime del nazismo appartengono anche nove Salesiani sacerdoti polacchi, i Servi di Dio don Jan Świerc e gli VIII Compagni: don Ignacy Antonowicz, don Karol Golda, don Włodzimierz Szembek, don Franciszek Harazim, don Ludwik Mroczek, don Ignacy Dobiasz, don Kazimierz Wojciechowski e don Franciszek Miśka, uccisi in odium fidei nei campi di sterminio nazisti negli anni 1941-1942. Come sacerdoti, tutti i Servi di Dio furono impegnati in Polonia in diverse attività pastorali e di governo e nell’insegnamento. Furono del tutto estranei rispetto alle tensioni politiche che agitarono la Polonia durante l’occupazione bellica. Ciononostante, furono arrestati e martirizzati in odium fidei per il fatto stesso di essere sacerdoti cattolici.
La fortezza e la serena perseveranza conservata dai Servi di Dio nell’espletamento del proprio ministero sacerdotale anche durante la prigionia rappresentarono un vero e proprio atto di sfida per i nazisti: seppur sfiniti da umiliazioni e torture, in sfregio a qualsiasi divieto, i Servi di Dio furono custodi fino alla fine delle anime loro affidate e si dimostrarono pronti, nonostante l’umana debolezza, ad accogliere con Dio e per Dio la morte.
Il campo di concentramento di Auschwitz, noto a tutti come il campo della morte, e quello di Dachau per don Miśka, divennero dunque il luogo dell’impegno sacerdotale di questi salesiani sacerdoti: alla negazione della dignità umana e della vita, don Jan Świerc e 8 compagni risposero offrendo, attraverso i sacramenti, la forza della grazia e la speranza dell’eternità. Essi accolsero, sostennero per mezzo dell’Eucaristia e della confessione e prepararono ad una morte serena moltissimi compagni di prigionia. Tale servizio, non di rado, fu reso nel nascondimento, approfittando del buio della notte e sotto la costante e pressante minaccia di severe punizioni o più spesso della morte.
I Servi di Dio, come veri discepoli di Gesù, non pronunciarono mai parole di sdegno o odio nei confronti dei persecutori. Arrestati, percossi, umiliati nella loro dignità umana e sacerdotale, offrirono a Dio la loro sofferenza e si mantennero fedeli fino alla fine, certi che non rimane deluso chi tutto ripone nella divina volontà. La loro serenità interiore ed il loro contegno, manifestati anche nell’ora della morte, furono talmente straordinari da lasciare stupiti, ed in alcuni casi indignare, gli stessi aguzzini.
Presentiamo i loro profili biografici.

Don Ignacy Antonowicz

Ignacy Antonowicz nacque nel 1890 a Więsławice, contea di Włocławek, nella Polonia centro-settentrionale. Nel 1901 entrò nel ginnasio salesiano di Oświęcim, dove rimase fino al 1905. Tra il 1905 e il 1906 completò il noviziato a Daszawa. Emise la professione perpetua nell’agosto 1909 in Italia, a Lanzo Torinese. Fu ordinato sacerdote il 22 aprile 1916 a Roma. Don Ignacy insegnò dogmatica presso lo Studentato teologico di Foglizzo (Torino) tra il 1916 e il 1917. Nel 1919, durante la guerra russo-polacca, fu cappellano militare nell’armata polacca. Tra il 1919 e il 1920 fu a Cracovia come professore nello Studentato teologico. Il 1° luglio 1934 venne nominato consigliere dell’Ispettoria Polacca San Giacinto di Cracovia fino a tutto il 1936. Nel 1936 assunse l’incarico di direttore dello Studentato Teologico Salesiano Immacolata Concezione di Cracovia che mantenne fino all’arresto, avvenuto il 23 maggio 1941. Fu detenuto per un mese nella prigione di Montelupich a Cracovia, poi venne condotto nel campo di concentramento di Oświęcim. Venne ucciso il 21 luglio 1941. Aveva 51 anni di età, 34 di professione religiosa e 25 di sacerdozio.

Don Karol Golda

Karol Golda nacque il 23 dicembre 1914 a Tychy, in Alta Slesia. Terminata la quarta elementare, si trasferì nel ginnasio “Boleslaw Chrobry” di Pszczyna. Frequentò invece la sesta classe nel ginnasio dei salesiani a Oświęcim. Nel giugno 1931 si recò nella Casa di Czerwińsk per cominciare il noviziato. Il 15 gennaio 1937 emise la professione religiosa perpetua a Roma. Il 18 dicembre 1938 venne ordinato sacerdote a Roma, dove si trattenne per altri sei mesi per conseguire la licenza in teologia. Nel luglio 1939 tornò in Polonia. Scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e don Karol nell’ottobre 1939 si recò in Slesia e poi ad Oświęcim dove rimase, perché privo del necessario permesso di viaggiare verso l’Italia da parte delle autorità d’occupazione. A don Karol Golda fu affidato l’insegnamento della teologia nell’Istituto salesiano di Oświęcim e fu nominato consigliere scolastico. Fu arrestato dai funzionari della Gestapo il 31 dicembre 1941 ed ucciso il 14 maggio 1942, dopo appena tre anni e mezzo di sacerdozio.

Don Włodzimierz Szembek

Il Servo di Dio don Włodzimierz Szembek, figlio dei conti Zygmunt e Klementyna della famiglia Dzieduszycki, nacque il 22 aprile 1883 a Poręba Żegoty, vicino Cracovia. Nel 1907 conseguì la laurea in ingegneria agraria presso l’università Jagellonica di Cracovia. Per circa vent’anni si occupò dell’amministrazione dei poderi della madre e fu impegnato nell’apostolato laico. Compiuti i 40 anni, la vocazione religiosa del Servo di Dio giunse a maturazione. Il 4 febbraio 1928 entrò nell’aspirantato di Oświęcim. Sul finire del 1928 iniziò il noviziato a Czerwińsk. Emise la professione religiosa il 10 agosto 1929. Il 3 giugno 1934 ricevette l’ordinazione sacerdotale a Cracovia. Il 9 luglio 1942 viene arrestato dalla Gestapo e portato a Nowy Targ. Il successivo 19 agosto è condotto nel campo di concentramento di Auschwitz, dove muore il 7 settembre 1942 stremato dalle sofferenze e a seguito dei maltrattamenti subiti. Aveva 59 anni di età, 13 di professione e 9 di sacerdozio.

Don Franciszek Harazim

Franciszek Ludwik Harazim nacque il 22 agosto 1885 ad Osiny, distretto Rybnik in Slesia. Frequentò la scuola elementare dapprima a Baranowicze, in seguito a Osiny. Nel 1901 fece il suo ingresso nell’istituto salesiano di Oświęcim per frequentarvi il ginnasio. Completò il noviziato a Daszawa nel 1905/1906. Il 24 marzo 1910 emise i voti perpetui. Fu ordinato sacerdote a Ivrea il 29 maggio 1915.  Tra il 1915 e il 1916 insegnò nel ginnasio di Oświęcim, di cui fu nominato preside tra il 1916 e il 1918. Negli anni 1918-1920 insegnò filosofia nel seminario maggiore salesiano a Cracovia (Łosiówka). Negli anni 1922-1927 il Servo di Dio rivestì l’incarico di direttore del ginnasio salesiano ad Aleksandrów Kujawski. Nel 1927 tornò nuovamente al seminario maggiore di Cracovia come consigliere, insegnante ed educatore dei chierici. Nel luglio 1938 don Franciszek fu nominato professore presso la casa di Cracovia-Łosiówka. Venne arrestato dalla Gestapo a Cracovia il 23 maggio 1941. Fu trasportato dapprima in via Konfederacka e poi, insieme agli altri confratelli, nella prigione di Montelupich. Un mese dopo, il 26 giugno 1941, venne condotto nel campo di concentramento di Auschwitz. Venne ucciso il 27 giugno 1941 sul famoso Ghiaione. Non aveva ancora compiuto 56 anni: di questi 34 furono di professione religiosa e 26 di sacerdozio.

Don Ludwik Mroczek

Ludwik Mroczek nacque a Kęty (Cracovia) l’11 agosto 1905. Nel 1917, dopo aver frequentato la scuola a Kęty, venne ammesso nell’istituto salesiano di Oświęcim dove portò a termine gli studi ginnasiali. Svolse il noviziato a Klecza Dolna. Lo completò il 7 agosto del 1922. Emise i voti perpetui il 14 luglio 1928 a Oświęcim. A Przemyśl ricevette l’ordinazione sacerdotale il 25 giugno 1933. Ordinato sacerdote, lavorò a Oświęcim (nel 1933), a Leopoli (nel 1934), a Przemyśl (nel 1934 e nel 1938/39), a Skawa (nel 1936/37), a Częstochowa (nel 1939). Il 22 maggio 1941, appena terminata la celebrazione della messa, venne arrestato e trasferito insieme ad altri confratelli nel campo di concentramento di Oświęcim. Qui morì il 5 gennaio 1942: aveva 36 anni di età, 18 di professione religiosa e 8 di sacerdozio.

Don Jan Świerc

Jan Świerc nacque a Królewska Huta (oggi Chorzów, in Alta Slesia) il 29 aprile 1877. Completò gli studi ginnasiali a Torino Valsalice. Tra il 1897 e il 1898 svolse il noviziato ad Ivrea. Qui emise i voti perpetui il 3 ottobre 1899. Il 6 giugno 1903 fu ordinato sacerdote a Torino. Nel 1911 venne nominato direttore della casa di Cracovia dall’allora Rettor Maggiore don Paolo Albera. Dal settembre 1911 all’aprile 1918 ricoprì l’incarico di direttore dell’istituto Lubomirski a Cracovia. Nel 1924, per un periodo di sette mesi, fu impegnato come missionario in America. Dal novembre 1925 all’ottobre 1934 fu direttore e parroco a Przemyśl. Il 15 agosto 1934 venne nominato direttore della casa di Leopoli. Nel luglio 1938 assunse l’incarico di direttore e parroco della casa di via Konfederacka n. 6 a Cracovia per il triennio 1938-1941. Il 23 maggio 1941 venne arrestato dalla Gestapo insieme ad altri confratelli e condotto in carcere a Montelupich. Il 26 giugno 1941 fu trasferito nel campo di concentramento di Auschwitz e, dopo appena un giorno, venne ucciso: aveva 64 anni di età, 42 di professione religiosa e 38 di sacerdozio.

Don Ignacy Dobiasz

Ignacy Dobiasz nacque a Ciechowice (in Alta Slesia) il 14 gennaio 1880. Completata la scuola elementare, nel maggio 1894 si recò in Italia, a Torino Valsalice, per svolgervi gli studi ginnasiali. Il 16 agosto 1898 entrò nel noviziato salesiano di Ivrea. Emise i voti perpetui a San Benigno Canavese il 21 settembre 1903. Compì gli studi filosofici e teologici a San Benigno Canavese e a Foglizzo fra il 1904 e il 1908. Il 28 giugno 1908 venne ordinato sacerdote a Foglizzo. Tornò poi in Polonia: svolse la propria attività pedagogica e pastorale a Oświęcim (nel 1908, nel 1910, nel 1921 e nel 1923), a Daszawa (nel 1909), a Przemyśl (1912-1914) e a Cracovia (tra il 1916 e il 1920 e nel 1922). Nel 1931 fu a Varsavia come vicario. Nel novembre 1934 si recò invece a Cracovia dove rimase come confessore e collaboratore parrocchiale. Qui venne arrestato insieme ad altri confratelli salesiani il 23 maggio 1941. Dopo una breve detenzione nella prigione di Montelupich, fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. Il 27 giugno 1941 morì a causa dei maltrattamenti e del lavoro disumano. Aveva 61 anni d’età, 40 di professione e 32 di sacerdozio.

Don Kazimierz Wojciechowski

Kazimierz Wojciechowsky nacque a Jasło (Galizia) il 16 agosto 1904. Rimasto orfano di padre a soli cinque anni, venne accolto nell’istituto del principe Lubomirski a Cracovia. Intraprese il ginnasio nel 1916 presso l’istituto salesiano di Oświęcim. Nel 1920 iniziò il noviziato a Klecza Dolna. Emise i voti perpetui il 2 maggio 1928 a Oświęcim. Fra il 1924 e il 1925 insegnò musica e matematica a Ląd. Il 19 maggio 1935 venne ordinato sacerdote a Cracovia. Nel 1935-1936 fu a Daszawa e a Cracovia, dove insegnò religione e venne nominato direttore dell’oratorio e dell’Associazione Cattolica giovanile. Il Servo di Dio venne arrestato a Cracovia il 23 maggio 1941 con altri confratelli salesiani. Il 26 giugno 1941 fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz dove, dopo appena un giorno, venne ucciso. Aveva 37 anni di età, 19 di professione e 6 di sacerdozio.

Don Franciszek Miśka

Franciszek Miśka nacque a Swierczyniec (Alta Slesia) il 5 dicembre 1898. Portò a termine il ginnasio nell’istituto salesiano di Oświęcim. Entrò nel noviziato di Pleszów nel 1916. Emise la professione perpetua ad Oświęcim il 25 luglio 1923. Compì gli studi teologici a Torino-Crocetta. Fu ordinato sacerdote il 10 luglio 1927 a Torino. Fece poi ritorno in Polonia. Nel 1929 fu nominato consigliere e catechista nell’orfanotrofio di Przemyśl. Nel 1931 e per i cinque anni successivi fu a Jaciążek come direttore. Nel 1936 venne nominato parroco della parrocchia di Ląd. Nel 1941 divenne direttore della casa dei Figli di Maria e parroco di Ląd.  Il 6 gennaio 1941 l’istituto salesiano di Ląd viene trasformato dalla Gestapo in prigione per i sacerdoti della diocesi di Włocławek e di Gniezno-Poznań. A don Franciszek viene affidato dalle autorità tedesche il compito di mantenere l’ordine e provvedere al sostentamento dei detenuti. Per non precisate ragioni fu trasferito più volte a Inowrocław e qui brutalmente torturato. Il 30 ottobre del 1941 il Servo di Dio venne trasportato nel campo di concentramento di Dachau (Germania). Qui, sottoposto ai lavori forzati e a condizioni di vita disumane, il 30 maggio 1942, giorno della Santissima Trinità, spirò nella baracca-ospedale del campo. Aveva 43 anni di età, quasi 25 di professione religiosa e quasi 15 di sacerdozio.

La fama di santità e di martirio dei Servi di Dio don Jan Świerc e VIII Compagni, sebbene ostacolata durante il periodo comunista, si diffuse già a partire dalla loro morte e si manifesta viva ancora oggi. Furono considerati sacerdoti esemplari, dediti alla pastorale ed alle opere di carità, affabili, sempre disponibili, in tutto interessati a rendere gloria solo a Dio, per amore del quale furono fedeli fino all’effusione del sangue.

Nel 28 marzo 2023, i Consultori storici del Dicastero delle Cause dei Santi hanno espresso voti affermativi in merito alla Positio super martyrio dei Servi di Dio Giovanni Świerc e VIII Compagni, Sacerdoti Professi della Società di San Francesco di Sales, uccisi in odium fidei nei campi di sterminio nazisti negli anni 1941-1942. Preghiamo che siano più presto elevati agli onori degli altari.

Mariafrancesca Oggianu
Collaboratrice Postulazione Generale Salesiana




Gli invisibili altri don Bosco

I lettori del Bollettino Salesiano sanno già del viaggio intercontinentale che ha fatto l’urna di don Bosco alcuni anni fa. I resti mortali del nostro santo hanno raggiunto decine e decine di nazioni in tutto il mondo e si sono soffermati in un migliaio di città e paesi, accolti ovunque con ammirazione e simpatia. Non so quale salma di santo abbia viaggiato tanto e quale salma di italiano sia stata accolta con tanto entusiasmo oltre i confini del proprio paese. Forse nessuna.

Se questo “viaggio” è storia conosciuta, non lo è certamente il viaggio intercontinentale fatto dell’ACSSA (Associazione dei Cultori di Storia Salesiana) dal novembre 2018 al marzo 2019 per coordinare una serie di quattro Seminari di studio promossi dalla stessa Associazione nelle città di Bratislava (Slovacchia), Bangkok (Thailandia), Nairobi (Kenia), Buenos Aires (Argentina). Il quinto era stato celebrato a Hyderabad (India) nel giugno 2018.

Ebbene: in questi viaggi non ho visto le case, i collegi, le scuole, le parrocchie, le missioni salesiane, come ho fatto altre volte e come può fare chiunque viaggi un po’ ovunque dal nord al sud, dall’est all’ovest del mondo; ho invece incontrato una storia di don Bosco, tutta da scrivere.

Gli altri don Bosco

Il tema dei Seminari di studio era infatti quello di presentare figure di Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, defunti, che, in un periodo breve o lungo della loro vita, si fossero segnalate come particolarmente significative e rilevanti, e soprattutto abbiano lasciato traccia dopo la loro morte. Alcuni di loro poi, sono stati degli autentici “innovatori” del carisma salesiano, capaci di inculturarlo nelle modalità più varie, ovviamente nella più assoluta fedeltà a don Bosco e al suo spirito.

Ne è sorta una galleria di un centinaio di uomini e donne del XX secolo, tutti diversi fra loro, che hanno saputo farsi “altri don Bosco”: aprire cioè gli occhi sulla loro terra di nascita o di missione, rendersi conto dei bisogni materiali, culturali, spirituali dei giovani colà residenti, soprattutto dei più poveri, ed “inventarsi” il modo di soddisfarli il meglio possibile.

Vescovi, preti, suore, salesiani laici, membri della Famiglia salesiana: tutti personaggi, uomini e donne, che senza essere santi – nelle nostre ricerche abbiamo escluso per principio i santi e quelli già avviati agli altari – hanno realizzato in pienezza la missione educativa di don Bosco in ambiti e ruoli diversi: come educatori e sacerdoti, come professori e maestri, animatori di oratori e centri giovanili, fondatori e direttori di opere educative, formatori di vocazioni e di nuovi istituti religiosi, come scrittori e musici, architetti e  costruttori di chiese e collegi, artisti del legno e della pittura, missionari ad gentes, testimoni della fede in carcere, semplici salesiani e semplici Figlie di Maria Ausiliatrice. Fra loro non pochi hanno vissuto spesso una vita di duri sacrifici, superando ostacoli di ogni genere, imparando lingue difficilissime, rischiando sovente la morte per mancanza di condizioni igienico-sanitarie accettabili, per condizioni climatiche impossibili, per regimi politici ostili e persecutori, anche per attentati veri e propri. L’ultimo di questi è avvenuto proprio mentre ero in partenza per Nairobi: il salesiano spagnolo, don Cesare Fernández, assassinato a sangue freddo il 15 febbraio 2018 alla frontiera fra Togo e Burkina Faso. Uno dei più recenti “martiri” salesiani, potremmo definirlo con cognizione di causa, conoscendone la persona.

Una storia da conoscere

La Boca, quartiere di Buenos Aires, Argentina; prima missione fra gli emigrati

Che dire allora? Che anche questa è storia sconosciuta di don Bosco, o, se vogliamo, dei Figli e delle Figlie del santo. Se la l’urna del santo è stata accolta, come dicevamo, con tanto rispetto e stima da autorità pubbliche e dalla popolazione semplice anche in paesi non cristiani, significa che i suoi Figli e Figlie non ne hanno solo cantate le lodi – anche questo è stato fatto di sicuro, visto che l’immagine di don Bosco si ritrova un po’ ovunque –  ma ne hanno realizzato i sogni: far conoscere l’amore di Dio per i giovani, portare la buona novella del Vangelo dovunque, fino alla fine del mondo (nella Terra del Fuoco!).

Chi, come me ed i miei colleghi dell’ACSSA, ha potuto in febbraio e marzo del 2018 ascoltare esperienze di vita salesiana vissuta nel secolo XX in una cinquantina di paesi di quattro continenti, non può che affermare, come fece sovente don Bosco guardando lo sviluppo impressionante della congregazione sotto i suoi occhi: “Qui c’è il dito di Dio”.  Se il dito di Dio c’è stato nelle opere e fondazioni salesiane, c’è stato anche negli uomini e donne che all’ideale evangelico realizzato alla maniera di don Bosco hanno consacrato l’intera loro esistenza.

“Santi della porta accanto” questi personaggi presentati? Qualcuno certamente, pur considerando i loro limiti personali, i loro caratteri, i loro capricci, e, perché no, i loro peccati (ma che solo Dio conosce). Tutti però erano muniti di immensa fede, di tanta speranza, di forte carità e generosità, di tanto amore a don Bosco e alle anime. Alcuni poi – si pensi ai missionari e missionarie pionieri in Patagonia – si è tentati di definirli veri “pazzi”, pazzi per Dio e per le anime ovviamente.

Gli esiti concreti di questa storia sono sotto gli occhi di tutti, ma i nomi di molti protagonisti sono rimasti finora pressoché “invisibili”. Possiamo conoscerli leggendo “Volti di uno stesso carisma: Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice nel XX secolo”, un libro multilingue, dalla Editrice LAS, dentro la Collana, “Associazione Cultori Storia Salesiana – Studi”.

Se il male trascina, il bene fa altrettanto. “Bonum est diffusivum sui” scriveva san Tommaso d’Aquino secoli fa. I salesiani e le salesiane presentate nel corso dei nostri Seminari ne sono la prova; accanto a loro o al loro seguito altri hanno poi fatto altrettanto, fino ad oggi.

Presentiamo brevemente questi nuovi volti di don Bosco.

1 Antonio COJAZZI, don 1880-1953 educatore geniale Educatori sul campo EU
2 Domenico MORETTI, don 1900-1989 esperienza negli oratori salesiani con i giovani più poveri Educatori sul campo EU
3 Samuele VOSTI, don 1874-1939 ideatore e promotore di un rinnovato oratorio festivo a Valdocco Educatori sul campo EU
4 Karl ZIEGLER, don 1914-1990 amante della natura e scout Educatori sul campo EU
5 Alfonsina FINCO, suor 1869-1934 dedizione per l’infanzia abbandonata Educatori sul campo EU
6 Margherita MARIANI, suor 1858-1939 Figlie di Maria Ausiliatrice a Roma Educatori sul campo EU
7 Sisto COLOMBO, don 1878-1938 uomo di cultura e di animo mistico Educatori sul campo EU
8 Franc WALLAND, don 1887-1975 teologo e ispettore Educatori sul campo EU
9 Maria ZUCCHI, suor 1875-1949 l’impronta salesiana nell’Istituto Don Bosco di Messina Educatori sul campo EU
10 Clotilde MORANO, suor 1885-1963 l’insegnamento dell’educazione fisica femminile Educatori sul campo EU
11 Annetta URI, suor 1903-1989 dalla cattedra ai cantieri: il coraggio di costruire il futuro della scuola Educatori sul campo EU
12 Frances PEDRICK, suor 1887-1981 la prima Figlia di Maria Ausiliatrice a laurearsi all’Università di Oxford Educatori sul campo EU
13 Giuseppe CACCIA, coadiutore 1881-1963 una vita dedicata all’editoria salesiana Educatori sul campo EU
14 Rufillo UGUCCIONI, don 1891-1966 scrittore per ragazzi, evangelizzatore e divulgatore di valori salesiani Educatori sul campo EU
15 Flora FORNARA, suor 1902-1971 una vita per il teatro educativo Educatori sul campo EU
16 Gaspar MESTRE, coadiutore 1888-1962 la scuola salesiana di intaglio, scultura e decorazione di Sarriá (Barcellona) Educatori sul campo EU
17 Wictor GRABELSKI, don 1857-1902 un precursore dell’opera salesiana in Polonia Educatori sul campo EU
18 Antoni HLOND, don 1884-1963 musicista, compositore, fondatore di scuola per organisti Iniziatori EU
19 Carlo TORELLO, don 1886-1967 devozione popolare e memoria civica a Latina Iniziatori EU
20 Jan KAJZER coadiutore 1892-1976 ingegnere coautore dello stile polacco “art decò” e modernizzatore della scuola salesiana professionale di Oświęcim Iniziatori EU
21 Antonio CAVOLI, don 1888-1972 fondatore di congregazione religiosa in Giappone ispirata al carisma salesiano Iniziatori EU
22 Iside MALGRATI, suor 1904-1992 salesiana innovativa nella stampa, nella scuola e nella formazione professionale Iniziatori EU
23 Anna JUZEK, suor 1879-1957 contributo all’impianto delle opere delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Polonia Iniziatori EU
24 Mária ČERNÁ, suor 1928-2011 fondamento della rinascita delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Slovacchia Iniziatori EU
25 Antonio SALA, don 1836-1895 economo di Valdocco ed economo generale della prima ora salesiana SDB e FMA in ruoli dirigenziali EU
26 Francesco SCALONI, don 1861-1926 una straordinaria figura di superiore salesiano SDB e FMA in ruoli dirigenziali EU
27 Luigi TERRONE, don 1875-1968 maestro dei novizi e direttore SDB e FMA in ruoli dirigenziali EU
28 Marcelino OLAECHEA, monsignore 1889-1972 promotore di alloggi per lavoratori SDB e FMA in ruoli dirigenziali EU
29 Stefano TROCHTA, cardinale 1905-1974 martire del nazismo e del comunismo SDB e FMA in ruoli dirigenziali EU
30 Alba DEAMBROSIS, suor 1887-1964 costruttrice dell’opera salesiana femminile nell’area di lingua tedesca SDB e FMA in ruoli dirigenziali EU
31 Virginia FERRARO ORTÍ, suor 1894-1963 da sindacalista a direttrice salesiana SDB e FMA in ruoli dirigenziali EU
32 Raffaele PIPERNI, don 1842-1930 parroco “mediatore” dell’integrazione degli immigrati italiani nella mainstream di San Francisco Pionieri in missione AM, AS, AF
33 Remigio RIZZARDI, don 1863-1912 il padre dell’apicoltura in Colombia Pionieri in missione AM, AS, AF
34 Carlos PANE, don 1856-1923 pioniere della presenza salesiana in Spagna e Perù Pionieri in missione AM, AS, AF
35 Florencio José MARTÍNEZ EMBODAS, don 1894-1971 un modo salesiano di costruire Pionieri in missione AM, AS, AF
36 Martina PETRINI PRADO, suor 1874-1965 Figlie di Maria Ausiliatrice; origini in un Uruguay in via di modernizzazione Pionieri in missione AM, AS, AF
37 Anna María COPPA, suor 1891-1973 fondatrice e volto della prima scuola cattolica dell’Ecuador Pionieri in missione AM, AS, AF
38 Rose MOORE, suor 1911-1996 pioniera nella riabilitazione dei giovani tailandesi non vedenti Pionieri in missione AM, AS, AF
39 Mirta MONDIN, suor 1922-1977 alle origini della prima scuola cattolica femminile a Gwangju (Korea) Pionieri in missione AM, AS, AF
40 Terezija MEDVEŠEK, suor 1906-2001 una valorosa missionaria nel nord-est dell’India Pionieri in missione AM, AS, AF
41 Nancy PEREIRA, suor 1923-2010 instancabile dedizione per i poveri Pionieri in missione AM, AS, AF
42 Jeanne VINCENT, suor 1915-1997 una delle prime missionarie di Port-Gentil, Gabon Pionieri in missione AM, AS, AF
43 Maria Gertrudes DA ROCHA, suor 1933-2017 missionaria ed economa in Mozambico Pionieri in missione AM, AS, AF
44 Pietro GIACOMINI, monsignore 1904-1982 fioritura di un’obbedienza SDB e FMA in ruoli dirigenziali AM, AS, AF
45 José Luis CARREÑO ECHANDIA, don 1905-1986 un missionario poliedrico con un’opzione preferenziale per i poveri SDB e FMA in ruoli dirigenziali AM, AS, AF
46 Catherine MANIA, suor 1903-1983 prima ispettrice dell’India nordorientale SDB e FMA in ruoli dirigenziali AM, AS, AF
47 William Richard AINSWORTH, don 1908-2005 un saggio sulla leadership salesiana moderna SDB e FMA in ruoli dirigenziali AM, AS, AF
48 Blandine ROCHE, suor 1906-1999 la presenza salesiana negli anni difficili della Tunisia post-indipendenza SDB e FMA in ruoli dirigenziali AM, AS, AF