Corona dei sette dolori di Maria

La pubblicazione “Corona dei sette dolori di Maria” rappresenta una cara devozione che san Giovanni Bosco inculcava ai suoi giovani. Seguendo la struttura della “Via Crucis”, le sette scene dolorose sono proposte con brevi considerazioni e preghiere, per guidare a una più viva partecipazione alle sofferenze di Maria e del suo Figlio. Ricco di immagini affettive e di spiritualità contrita, il testo riflette il desiderio di unirsi all’Addolorata nella compassione redentrice. Le indulgenze concesse da vari Pontefici attestano l’alto valore pastorale del testo che è un piccolo tesoro di preghiera e riflessione, per alimentare l’amore verso la Madre dei dolori.

Proemio
II primario fine di questa Operetta è di facilitare la rimembranza e la meditazione degli acerbissimi Dolori del tenero Cuore di Maria, cosa a Lei molto gradita, come più volte ha rivelato ai suoi devoti, e mezzo per noi efficacissimo per ottenere il suo patrocinio.
Affinché poi si renda più facile lo esercizio di una tale Meditazione si praticherà primieramente con una corona in cui sono accennati i sette principali dolori di Maria, i quali si potranno quindi meditare in sette distinte brevi considerazioni nel modo che suole farsi la Via Crucis.
Ci accompagni il Signore colla sua celeste grazia e benedizione perché si ottenga il bramato intento, sicché l’anima di ciascuno resti vivamente penetrata dalla frequente memoria dei dolori di Maria con vantaggio spirituale dell’anima, e tutto a maggior gloria di Dio.

Corona dei sette dolori della Beata Vergine Maria con sette brevi considerazioni sopra i medesimi esposte in forma della Via Crucis

Preparazione
Carissimi fratelli e sorelle in Gesù Cristo, noi facciamo i nostri soliti esercizi meditando devotamente gli acerbissimi dolori che la B. V. Maria patì nella vita e morte del suo amato Figlio e nostro Divin Salvatore. Immaginiamoci di trovarci presenti a Gesù pendente in croce, e che l’afflitta sua madre dica a ciascuno di noi: Venite, e vedete se vi è dolore eguale al mio.
Persuasi che questa Madre pietosa ci voglia concedere speciale protezione nel meditare i suoi dolori, invochiamo il Divino aiuto colle seguenti preghiere:

Antif. Veni, Sancte Spiritus, reple tuorum corda fidelium, et tui amoris in eis ignem accende.

Emitte Spiritum tuum et creabuntur
Et renovabis faciem terrae.
Memento Congregationis tuae,
Quam possedisti ab initio.
Domine exaudi orationem meam.
Et clamor meus ad te veniat.

Oremus.
Mentes nostras, quaesumus, Domine, lumine tuae claritatis illustra, ut videre possimus quae agenda sunt, et quae recta sunt, agere valeamus. Per Christum Dominum Nostrum. Amen.

Primo dolore. Profezia di Simeone
Il primo dolore fu allora quando la Beata Vergine Madre di Dio avendo presentato l’unico suo Figlio al Tempio nelle braccia del santo vecchio Simeone, le fu dal medesimo detto: questo sarà una spada che trapasserà l’anima tua, la qual cosa denotava la passione e morte di Nostro Signore Gesù Cristo.
Un Pater e sette Ave Maria.

Orazione
O Vergine addolorata, per quell’acutissima spada, con cui il santo vecchio Simeone vi predisse che sarebbe stata trafitta l’anima vostra nella passione e morte del vostro caro Gesù, vi supplico ad impetrarmi grazia di aver sempre presente la memoria del vostro cuore trafitto e delle acerbissime pene sofferte dal vostro Figlio per la mia salute. Così sia.

Secondo dolore. Fuga in Egitto
Il secondo dolore della Beata Vergine fu quando le convenne fuggire in Egitto per la persecuzione del crudele Erode, che empiamente cercava di uccidere il suo amato Figlio.
Un Pater e sette Ave Maria.

Orazione
O Maria, mare amarissimo di lagrime, per quel dolore che provaste fuggendo in Egitto per assicurare il vostro Figliuolo dalla barbara crudeltà di Erode, vi supplico che vogliate essere mia guida, affinché per mezzo vostro io resti libero dalle persecuzioni dei visibili e invisibili nemici dell’anima mia. Così sia.

Terzo dolore. Perdita di Gesù nel tempio
Il terzo dolore della Beata Vergine fu quando al tempo della Pasqua, dopo di essere stata col suo sposo Giuseppe e coll’amato figlio Gesù Salvatore in Gerusalemme, nel ritornarsene alla sua povera casa, lo smarrì e per tre giorni continui sospirò la perdita del suo unico Diletto.
Un Pater e sette Ave Maria.

Orazione
O Madre sconsolata, voi che nella perdita della presenza corporale del vostro Figlio, lo andaste per tre giorni continui ansiosamente cercando, deh! impetrate grazia a tutti i peccatori onde ancora essi lo vadano cercando con atti di contrizione e lo ritrovino. Così sia.

Quarto dolore. Incontro di Gesù che porta la Croce
Il quarto dolore della Beata Vergine fu quando s’incontrò col suo dolcissimo Figlio che portava una pesante croce sulle delicate spalle al Monte Calvario a fine di essere crocifisso per la nostra salute.
Un Pater e sette Ave Maria.

Orazione
O Vergine più d’ogni altra appassionata, per quello spasimo che provaste nel cuore incontrandovi nel vostro Figlio mentre portava il legno della Santissima Croce verso il Monte Calvario, fate, vi prego, che io ancora l’accompagni di continuo col pensiero, pianga le mie colpe, manifesta cagione dei suoi e vostri tormenti. Così sia.

Quinto dolore. Crocifissione di Gesù
Il quinto dolore della B. Vergine fu quando vide il suo Figlio alzato sopra il duro tronco della Croce, che da ogni parte del suo Sacratissimo Corpo versava sangue.
Un Pater e sette Ave Maria.

Orazione
O Rosa fra le spine, per quegli amari dolori che trafissero il vostro seno rimirando cogli occhi propri trafitto e sollevato in Croce il vostro Figlio, ottenetemi, vi prego, che con assidue meditazioni solo ricerchi Gesù crocifisso a cagione dei miei peccati. Così sia.

Sesto dolore. Deposizione di Gesù dalla croce
Il sesto Dolore della Beata Vergine fu allora quando il suo amato Figliuolo essendo ferito nel costato dopo la sua morte e deposto dalla Croce, così spietatamente ucciso, venne posto tra le sue Santissime braccia.
Un Pater e sette Ave Maria.

Orazione
O Vergine travagliata, voi che sconfitto di Croce il vostro Figlio, l’accoglieste morto nel grembo, e baciando quelle sacratissime Piaghe, vi spargeste sopra un mare di lagrime, deh! fate che anch’io con lagrime di vera compunzione lavi di continuo le ferite mortali che vi fecero i miei peccati. Così sia.

Settimo dolore. Sepoltura di Gesù.
Il settimo Dolore di Maria Vergine Signora ed Avvocata di noi suoi servi e miseri peccatori fu quando accompagnò il Santissimo Corpo del suo Figlio alla sepoltura.
Un Pater e sette Ave Maria.

Orazione
O Martire dei Martiri Maria, per quell’acerbo tormento che soffriste allorché sepolto il vostro Figlio vi convenne allontanarvi da quella tomba amata, ottenete grazia, vi prego, a tutti i peccatori, affinché conoscano di quanto grave danno sia all’anima l’essere lontana dal suo Dio. Così sia.

Si reciteranno tre Ave Maria in segno di profondo rispetto alle lagrime che sparse la Beata Vergine in tutti i suoi Dolori per impetrare per mezzo suo un simile pianto per i nostri peccati.
Ave Maria etc.

Finita la Corona si recita il pianto della Beata Vergine, ossia l’inno Stabat Mater etc.

Inno – Pianto della Beata Vergine Maria

Stabat Mater dolorosa
Iuxta crucem lacrymosa,
Dum pendebat Filius.

Cuius animam gementem
Contristatam et dolentem
Pertransivit gladius.

O quam tristis et afflicta
Fuit illa benedicta
Mater unigeniti!

Quae moerebat, et dolebat,
Pia Mater dum videbat.
Nati poenas inclyti.

Quis est homo, qui non fleret,
Matrem Christi si videret
In tanto supplicio?

Quis non posset contristari,
Christi Matrem contemplari
Dolentem cum filio?

Pro peccatis suae gentis
Vidit Iesum in tormentis
Et flagellis subditum.

Vidit suum dulcem natura
Moriendo desolatum,
Dum emisit spiritum.

Eia mater fons amoris,
Me sentire vim doloris
Fac, ut tecum lugeam.

Fac ut ardeat cor meum
In amando Christum Deum,
Ut sibi complaceam.

Sancta Mater istud agas,
Crucifixi fige plagas
Cordi meo valide.

Tui nati vulnerati
Tam dignati pro me pati
Poenas mecum divide.

Fac me tecum pie flere,
Crucifixo condolere,
Donec ego vixero.

Iuxta Crucem tecum stare,
Et me tibi sociare
In planctu desidero.

Virgo virginum praeclara,
Mihi iam non sia amara,
Fac me tecum plangere.

Fac ut portem Christi mortem,
Passionis fac consortem,
Et plagas recolere.

Fac me plagis vulnerari,
Fac me cruce inebriari,
Et cruore Filii.

Flammis ne urar succensus,
Per te, Virgo, sim defensus
In die Iudicii.

Christe, cum sit hine exire,
Da per matrem me venire
Ad palmam victoriae.

Quando corpus morietur,
Fac ut animae donetur
Paradisi gloria. Amen.

Stava Maria dolente
Senza respiro e voce
Mentre pendeva in croce
Del mondo il Redentor.

E nel fatale istante
Crudo materno affetto
Le trafiggeva il petto,
Le lacerava il cor.

Qual di quell’Alma bella
Fosse lo strazio indegno,
No, che l’umano ingegno
Immaginar non può.

Vedere un Figlio… un Dio…
Che palpita, che more!
Sì barbaro dolore
Qual madre mai provò?

Alla funerea scena
Chi tiene il pianto a freno,
Un cuor di tigre ha in seno,
O core in sen non ha.

Chi può mirar in tante
Pene una Madre, un Figlio
E non bagnar il ciglio,
E non sentir pietà?

Per cancellar i falli
D’un popol empio, ingrato
Vide Gesù piagato
Languire e spasimar.

Vide sull’atro Golgota
Il figlio tuo diletto
Chinar la fronte al petto,
E l’anima sua spirar.

O dolce Madre, o puro
Fonte di santo amore,
Parte del tuo dolore
Fa che mi scenda al cor.

Fa, che il pensier profano
Sdegnosamente io sprezzi,
Che a sospirar m’avvezzi
Sol di celeste ardor.

Le barbare ferite
Prezzo del mio delitto,
Del figlio tuo trafitto
Passino, o Madre, in me.

A me dovuti sono
Gli strazi, ch’Ei soffri;
Deh! fa, che possa anch’io
Piangere almen con te.

Teca si strugga in lagrime
Quest’anima gemente:
È se non fu innocente,
Terga il suo fallo almen.

Teco alla Croce accanto
Star, cara Madre, io voglio,
Compagno a quel cordoglio,
Che ti trafigge il sen.

Ah! tu, che delle Vergini
Regina in Ciel ti assidi,
Ah tu propizia arridi
Ai voti del mio cor.

Del buon Gesù spirante
Sul fero tronco esangue
La croce, il fiele, il sangue
Fa ch’io rammenti ognor.

Del Salvator rinnova
In me lo scempio atroce,
Il sangue, il fiel, la Croce
Tutto provar mi fa.

Ma nell’estremo giorno,
Quando ci verrà sdegnato,
Rendalo a me placato,
Maria, la tua pietà.

Gesù che nulla nieghi
A chi tua Madre implora,
Del mio morir nell’ora
Non mi negar mercè.

E quando sia disciolto
Dal suo corporeo velo,
Fa che il mio spirto in Cielo
Voli a regnar con te.

Il Sommo Pontefice Innocenzo XI concede l’indulgenza di 100 giorni ogni volta che si recita lo Stabat Mater. Benedetto XIII accordò l’indulgenza di sette anni a chi reciterà la Corona dei sette dolori di Maria. Moltissime altre indulgenze furono concesse da altri sommi Pontefici specialmente ai Confratelli e Consorelle della compagnia di Maria Addolorata.

I sette dolori di Maria meditati in forma della Via Crucis

S’invochi il divino aiuto dicendo:
Actiones nostras, quaesumus Domine, aspirando praeveni, et adiuvando prosequere, ut cuncta nostra oratio et operatio a te semper incipiat, et per te coepta finiatur. Per Christum Dominum Nostrum. Amen.

Atto di Contrizione
Afflittissima Vergine, ahi! quanto sconoscente nel tempo trascorso io sono stato verso il mio Dio, con quanta ingratitudine ho corrisposto agl’innumerabili suoi benefizi! Ora me ne pento, e nell’amarezza del mio cuore e nel pianto dell’anima mia, domando a Lui umilmente perdono per avere oltraggiato la sua infinita bontà, resolutissimo in avvenire colla celeste grazia di non mai più offenderlo. Deh? per tutti i dolori che sopportaste nella barbara passione del vostro amato Gesù vi prego coi più profondi sospiri ad ottenermi dal medesimo, pietà e misericordia dei miei peccati. Gradite questo santo esercizio che sono per fare e ricevetelo in unione di quelle pene e di quei dolori che Voi soffriste per il vostro figliuolo Gesù. Ah concedetemi! sì concedetemi che quelle stesse spade che trafissero il vostro spirito, trapassino anche il mio, e che viva e muoia nell’amicizia del mio Signore, per partecipare eternamente della gloria che egli mi ha acquistato con il suo prezioso Sangue. Così sia.

Primo dolore
In questo primo dolore immaginiamoci di trovarci nel tempio di Gerusalemme, dove la Beatissima Vergine ascoltò la profezia del vecchio Simeone.

Meditazione
Ah! Quali ambasce avrà provato il cuore di Maria nel sentire le dolorose parole, con cui le era predetta dal Santo vecchio Simeone l’acerba passione e l’atroce morte del suo dolcissimo Gesù: mentre in quello stesso punto si affacciarono alla di lei mente gli affronti, gli strapazzi e le carneficine che gli empi Giudei avrebbero fatto del Redentore del mondo. Ma sai quale fu la spada più penetrante che in questa circostanza la trafisse? Fu il considerare l’ingratitudine con cui il diletto suo Figlio sarebbe stato contraccambiato dagli uomini. Ora riflettendo che, per cagione dei tuoi peccati sei miseramente nel numero di questi tali, ah! gettati ai piè di questa Madre Addolorata e dille piangendo così (ognuno s’inginocchia): Deh! Pietosissima Vergine, che provaste un sì acerbo spasimo nel vostro spirito vedendo l’abuso quale io indegna creatura avrei fatto del sangue del vostro amabile Figlio, fate, sì fate per il vostro afflittissimo Cuore, che io in avvenire corrisponda alle Divine Misericordie, mi approfitti delle celesti grazie, non riceva invano tanti lumi e tante inspirazioni che voi vi degnerete ottenermi onde abbia la sorte di essere nel numero di coloro per i quali l’amara passione di Gesù saia di eterna salvezza. Così sia. Ave Maria etc. Gloria Patri etc.

Maria, dolce mio bene,
Stampate nel mio cuor le vostre pene.

Secondo dolore
In questo secondo dolore consideriamo il penosissimo viaggio che la Vergine fece verso l’Egitto per liberare Gesù dalla crudele persecuzione di Erode.

Meditazione
Considera l’acerbo dolore che avrà provato Maria quando di notte tempo dovette mettersi in cammino per ordine dell’Angelo a fine di preservare il suo Figliuolo dalla strage ordinata da quel fierissimo Principe. Ah! che ad ogni grido di animale, ad ogni soffio di vento, ad ogni moto di foglia che sentiva per quelle strade deserte si riempieva di spavento per timore di qualche inconveniente al bambino Gesù che seco portava. Ora si rivolgeva da una parte, ora dall’altra, or affrettava il passo, ora si nascondeva credendosi di essere sopraggiunta dai soldati, che strappando dalle sue braccia il suo amabilissimo Figlio ne avessero fatto sotto gli sguardi suoi barbaro trattamento e fissando l’occhio lagrimoso sopra il suo Gesù e stringendolo fortemente al petto, dandogli mille baci, mandava dal cuore i più affannosi sospiri. E qui rifletti quante volte hai tu rinnovato questo acerbo dolore a Maria sforzando il suo Figliuolo coi tuoi gravi peccati a fuggire dall’anima tua. Ora che conosci il gran male commesso rivolgiti pentito a questa pietosa Madre e dille così:
Ah Madre dolcissima! Una volta Erode costrinse voi con il vostro Gesù a prendere la fuga per l’inumana persecuzione da esso comandata; ma io oh! quante volte obbligai il mio Redentore e per conseguenza ancora voi a partire rapidamente dal mio cuore, introducendo nel medesimo il maledetto peccato, spietato nemico vostro e del mio Dio. Deh! tutto dolente e contrito ve ne domando umilmente perdono.
Sì, misericordia, o cara Madre, misericordia, e vi prometto in avvenire col Divino aiuto di mantenere sempre il mio Salvatore e Voi nel totale possesso dell’anima mia. Così sia. Ave Maria etc. Gloria Patri etc.

Maria, dolce mio bene,
Stampate nel mio cuor le vostre pene.

Terzo dolore
In questo terzo dolore consideriamo l’afflittissima Vergine che lagrimosa va in traccia del suo smarrito Gesù.

Meditazione
Quanto mai fu grande la pena di Maria, quando si avvide di avere perduto l’amabile suo Figlio! e come si accrebbe il suo dolore allorché avendolo diligentemente ricercato presso gli amici, parenti e vicini non poté avere alcuna notizia di Lui. Essa non badando agl’incomodi, alla stanchezza, ai pericoli andò raminga tre giorni continui per le contrade della Giudea, ripetendo quelle parole di desolazione: forse alcuno ha veduto colui che veramente ama l’anima mia? Ah! che la grande ansietà con cui lo andava ricercando, le faceva immaginare ad ogni momento di vederlo, o di ascoltarne la voce: ma poi conoscendosi delusa, oh come si raccapricciava e più sensibile provava il rammarico di una tale deplorabilissima perdita! Confusione grande per le, o peccatore, il quale avendo tante volte smarrito il tuo Gesù coi gravi mancamenti commessi, non ti desti alcuna premura di andarlo a ricercare, chiaro segno, che poco o niuno conto fai del prezioso tesoro della Divina amicizia. Piangi dunque la tua cecità, e volgendoti a quest’Addolorata Madre, dille sospirando così:
Afflittissima Vergine, deh fate che impari da voi il vero modo di andare in cerca di Gesù ch’io ho smarrito per secondare le mie passioni e le inique suggestioni del demonio, acciocché mi riesca di ritrovarlo, e quando ne sarò tornato in possesso, ripeterò continuamente quelle vostre parole: Ho ritrovato quello che veramente ama il mio cuore; lo riterrò sempre con me, né lo lascerò mai più partire. Così sia. Ave Maria etc. Gloria Patri etc.

Maria, dolce mio bene,
Stampate nel mio cuor le vostre pene.

Quarto dolore
Nel quarto dolore consideriamo l’incontro che fece l’addolorata Vergine col suo appassionato Figliuolo.

Meditazione
Venite pure, o cuori indurati e provate se potete reggere a questo lagrimevolissimo spettacolo. È una madre la più tenera, la più amorosa che incontra un suo Figlio il più dolce, il più amabile; e come l’incontra? Oh Dio! in mezzo alla più empia ciurmaglia che lo strascina crudelmente alla morte, carico di piaghe, grondante di sangue, lacero per le ferite, con una corona di spine in testa e con un tronco pesante sopra le spalle, affannato, ansante, languente che pare ad ogni passo voglia esalare l’estremo respiro.
Ah! considera, anima mia, l’arresto mortale che fa la Santissima Vergine al primo sguardo che fissa sopra il suo tormentato Gesù; vorrebbe dargli l’ultimo addio, ma e come, se il dolore la impedisce di proferir parola? Vorrebbe gettarglisi al collo, ma resta immobile ed impietrita per la forza dell’interna afflizione; vorrebbe sfogarsi con il pianto, ma si sente talmente serrato ed oppresso il cuore, che non gli riesce di versare una lagrima. Oh! e chi può frenare le lagrime vedendo una povera Madre immersa in sì grande affanno? Ma chi mai è la cagione di una tale acerbissima pena? Ah, sano io, sì sono io con i miei peccati che ho fatto si barbara ferita al tenero vostro cuore, o Vergine Addolorata. Pure chi lo crederebbe? Resto insensibile senza punto essere commosso. Ma se fui ingrato per il passato, per l’avvenire non lo sarò più.
Intanto prostrato ai vostri piedi, o Vergine Santissima, vi domando umilmente perdono di tanto rammarico che vi ho cagionato. Lo conosco e lo confesso che non merito pietà, essendo io il vero motivo per cui cadeste di dolore all’incontrare il vostro Gesù tutto coperto di piaghe; ma ricordatevi, sì ricordatevi che siete madre di misericordia. Ah dimostratevi dunque tale verso di me, ch’io vi prometto in avvenire di essere più fedele al mio Redentore, e così compensare tanti disgusti che ho dato al vostro afflittissimo spirito. Così sia. Ave Maria etc. Gloria Patri etc.

Maria, dolce mio bene,
Stampate nel mio cuor le vostre pene.

Quinto dolore
In questo quinto dolore immaginiamoci di trovarci sul Monte Calvario dove l’afflittissima Vergine vide spirare in Croce il suo amato Figliuolo.

Meditazione
Eccoci al Calvario ove già sono innalzati due altari di sacrificio, uno nel corpo di Gesù, l’altro nel cuore di Maria. Oh funesto spettacolo! Miriamo la Madre affogata in un mare di affanni vedendosi rapito da spietata morte il caro ed amabile parto delle sue viscere. Ahimè! Ogni martellata, ogni piaga, ogni lacerazione che sopra le sue carni riceve il Salvatore, profondamente rimbombano nel cuore della Vergine. Essa sta ai piedi della Croce talmente penetrata dalla pena e trafitta per il cordoglio che non sapresti decidere chi sia per essere il primo a spirare, se Gesù, o Maria. Fissa l’occhio sul volto del suo Figlio agonizzante, considera le pupille languenti, il volto pallido, le labbra livide, il respiro difficile e conosce finalmente che egli più non vive e che già ha consegnato lo spirito in seno dell’eterno suo Padre. Ah che l’anima di Lei fa allora ogni sforzo possibile per dividersi dal corpo ed unirsi a quella di Gesù. E chi può reggere a tale vista.
Oh addoloratissima Madre, voi invece di ritirarvi dal Calvario, a fine di non sentire sì al vivo le angosce, là ve ne state immobile per assorbire fino all’ultima stilla l’amaro calice delle vostre afflizioni. Che confusione dev’essere questa per me che cerco tutti i modi per scansare le croci e quei piccioli patimenti che per mio bene si degna mandarmi il Signore? Vergine addoloratissima, io mi umilio dinanzi a voi, deh! fate, che conosca una volta chiaramente il pregio ed il valore grande del patire, onde ci prenda tanto attaccamento, che non mi sazi mai di esclamare con S. Francesco Saverio: Plus Domine, Plus Domine, più patire, mio Dio. Ah sì, più patire, o mio Dio. Così sia. Ave Maria etc. Gloria Patri etc.

Maria, dolce mio bene,
Stampate nel mio cuor le vostre pene.

Sesto dolore
In questo sesto dolore immaginiamoci di vedere la sconsolarsi ma Vergine che riceve fra le braccia il defunto suo Figlio deposto dalla Croce.

Meditazione
Considera l’acerbissima pena che penetrò l’anima di Maria, allorché vide nel suo seno posto il corpo defunto dell’amato Gesù. Ah! che nel fissare lo sguardo sopra le ferite e sopra le piaghe di lui, nel mirarlo rosseggiante del proprio sangue, fu tale l’impeto dell’interno cordoglio, che fu il suo cuore mortalmente trafitto, e se non morì fu l’onnipotenza Divina che la conservò in vita. O povera Madre, si, povera madre, che conducete alla tomba il caro oggetto delle vostre più tenere compiacenze, e che da un mazzo di rose è divenuto un fascio di spine per i maltrattamenti e lacerazioni fattegli dagli empi manigoldi. E chi non vi compatirà? Chi non si sentirà struggere dal dolore vedendovi in uno stato di afflizione da muovere a pietà anche il più duro macigno? Osservo Giovanni inconsolabile, la Maddalena colle altre Marie che si ciucciano acerbamente, Nicodemo che non può più reggere per l’afflizione. Ed io? io solo non verso una lagrima in mezzo a tanto duolo! Ingrato e sconoscente che sono!
Deh! Madre pietosissima, eccomi ai vostri piedi, ricevetemi sotto la potente vostra protezione e fate che questo mio cuore resti trafitto da quella medesima spada che passò parte a parte il vostro afflittissimo spirito, onde si ammollisca una volta e pianga davvero i miei gravi peccati che hanno portato a Voi sì crudo martirio. E così sia. Ave Maria etc. Gloria Patri etc.

Maria, dolce mio bene,
Stampate nel mio cuor le vostre pene.

Settimo dolore
In questo settimo dolore consideriamo l’addoloratissima Vergine che vede chiudere nel sepolcro il suo defunto Figliuolo.

Meditazione
Considera che mortale sospiro mandò l’afflitto cuore di Maria quando vide posto nella tomba il suo amabile Gesù! Oh che pena, che cordoglio provò il suo spirito allorché fu alzata la pietra con cui si doveva chiudere quel sacratissimo monumento! Non era possibile distaccarla dall’orlo del sepolcro, mentre il dolore era tale, che la rendeva insensibile ed immobile, non cessando mai di rimirare quelle piaghe e quelle crudeli ferite. Quando poi venne la tomba serrata o allora sì che tale fu la forza dell’interno rammarico, che sarebbe senza dubbio caduta estinta se Iddio non l’avesse in vita conservata. Oh travagliatissima madre! Voi partirete adesso col corpo da questo luogo, ma qui sicuramente resterà il vostro cuore, essendo qui il vostro vero tesoro. Ah fato, che in compagnia di lui resti tutto il nostro affetto, tutto il nostro amore, lì come potrà essere che non ci struggiamo di benevolenza verso il Salvatore, che ha dato tutto il suo sangue per nostra salvezza? Come potrà essere che noi non amiamo Voi che tanto avete sofferto per nostra cagione.
Ora noi dolenti e pentiti di aver cagionato tanti dolori al vostro Figlio e a voi tanta amarezza ci prostriamo ai vostri piedi e per tutte quelle pene che ci faceste la grazia di meditare, concedeteci questo favore: che la memoria delle medesime resti sempre vivamente impressa nella nostra mente, che si consumino i nostri cuori per amore del nostro buon Dio, e di Voi nostra dolcissima Madre, e che l’ultimo sospiro della nostra vita sia unito a quelli che versaste dal fondo dell’anima vostra nella dolorosa passione di Gesù, a cui sia onore, gloria, e rendimento di grazie per tutti i secoli dei secoli. Così sia. Ave Maria etc. Gloria Patri etc.

Maria, dolce mio bene,
Stampate nel mio cuor le vostre pene.

Quindi si dice lo Stabat Mater, come sopra.

Antifona. Tuam ipsius animam (ait ad Mariam Simeon) pertransiet gladius.
Ora pro nobis Virgo Dolorosissima.
Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

Oremus
Deus in cuius passionem secundum Simeonis prophetiam, dulcissimam animam Gloriosae Virginis et Matris Mariae doloris gladius pertransivit, concede propitius, ut qui dolorum eius memoriam recolimus, passionis tuae effectum felicem consequamur. Qui vivis etc.

Laus Deo et Virgo Dolorosissimae.

Con permissione della Revisione Ecclesiastica

La Festa dei Sette dolori di Maria Vergine Addolorata che si celebra dalla Pia Unione e Società, cade alla terza domenica di settembre nella Chiesa di S. Francesco d’Assisi.

Testo della 3a edizione, Torino, Tipografia di Giulio Speirani e figli, 1871




Devozione di don Bosco al Sacro Cuore di Gesù

La devozione al Sacro Cuore di Gesù, cara a don Bosco, nasce dalle rivelazioni a Santa Margherita Maria Alacoque nel monastero di Paray-le-Monial: Cristo, mostrando il suo Cuore trafitto e coronato di spine, chiese una festa riparatrice il venerdì dopo l’Ottava del Corpus Domini. Nonostante opposizioni, il culto si diffuse perché quel Cuore, sede dell’amore divino, ricorda la carità manifestata sulla croce e nell’Eucaristia. Don Bosco invita i giovani a onorarlo costantemente, soprattutto nel mese di giugno, recitando la Corona e compiendo atti di riparazione che ottengono copiose indulgenze e le dodici promesse di pace, misericordia e santità.

            La devozione al Sacratissimo Cuore di Gesù, che ogni dì più va crescendo, ascoltate, o cari giovani, come ebbe origine. Viveva in Francia nel monastero della Visitazione di Paray le Monial un’umile verginella per nome Margherita Alacoque, cara a Dio per la sua grande purezza. Un dì mentre ella se ne stava avanti al SS. Sacramento per adorarvi il benedetto Gesù, vide il Celeste suo Sposo nell’atto di scoprirsi il petto, e mostrarle il Sacratissimo suo Cuore, raggiante di fiamme, cinto di spine, trapassato da una ferita, sormontato da una croce. Nello stesso tempo lo udì lagnarsi della mostruosa ingratitudine degli uomini, e ordinarle di adoperarsi, affinché nel venerdì dopo l’Ottava del Corpus Domini fosse reso un culto speciale al Divin suo Cuore in riparazione delle offese, che Ei riceve nella SS. Eucaristia. La pia verginella piena di confusione espose a Gesù quanto fosse inetta a sì grande impresa, ma fu dal Signore confortata a proseguire nella sua opera, e la festa del Sacro Cuore di Gesù fu stabilita non ostante le vive opposizioni dei suoi avversari.
            I motivi poi di questo culto sono molteplici: 1° Perché G. Cristo ci offerse il suo S. Cuore come la sede delle sue affezioni: 2° Perché ci è simbolo di quella immensa carità, che Egli dimostrò specialmente col permettere che il SS. suo Cuore fosse ferito da una lancia: 3° Perché da questo Cuore siano mossi i fedeli a meditare i dolori di Gesù Cristo e a professargli riconoscenza.
            Onoriamo adunque costantemente questo Divin Cuore, il quale pei molti e grandi benefizi, che già ci ha fatto e ci farà, ben merita tutta la nostra più umile ed amorosa venerazione.

Mese di giugno
            Chi consacra l’intero mese di giugno ad onore del Sacro Cuore di Gesù con qualche quotidiana preghiera o devoto ossequio, acquista 7 anni d’Indulg. per ciascun giorno e Plenaria alla fine del mese.

Corona al Sacro Cuore di Gesù
            Intendete di recitar questa Corona al Divin Cuore di Gesù Cristo per risarcirlo degli oltraggi, che riceve nella SS. Eucaristia dagli infedeli, dagli eretici e dai cattivi Cristiani. Si dica adunque o da solo o con altre persone raccolte, se si può dinanzi all’Immagine del Divin Cuore o avanti al Santissimo Sacramento:
            V. Deus, in adjutorium meum intende (O Dio vieni a salvarmi).
            R. Domine ad adjuvandum me festina (Signore, vieni presto in mio aiuto).
            Gloria Patri, etc.

            1. O Cuore amabilissimo del mio Gesù, adoro umilmente quella dolcissima amabilità vostra, che in singolar modo usate nel Divin Sacramento colle anime ancor peccatrici. Mi dispiace di vedervi così ingratamente corrisposto, ed intendo risarcirvi di tante offese che ricevete nella SS. Eucaristia dagli eretici, dagl’infedeli e dai cattivi Cristiani.
            Pater, Ave e Gloria.

            2. O Cuore umilissimo del mio Sacramentato Gesù, adoro quella profondissima umiltà vostra nella Divina Eucaristia, nascondendovi per nostro amore sotto le specie del pane e del vino. Deh! vi prego, Gesù mio, ad insinuare nel mio cuore così bella virtù; io intanto procurerò di risarcirvi di tante offese che ricevete nel SS. Sacramento dagli eretici, dagl’infedeli e dai cattivi Cristiani.
            Pater, Ave e Gloria.

            3. O Cuore del mio Gesù, desiderosissimo di patire, adoro quei desideri così accesi d’incontrare la vostra Passione dolorosissima e di assoggettarvi a quei torti da Voi preveduti nel SS. Sacramento. Ah Gesù mio! intendo ben di cuore di risarcirvene colla mia vita stessa; vorrei impedire quelle offese, che pur troppo ricevete nella SS. Eucaristia dagli eretici, dagl’infedeli e dai cattivi Cristiani.
            Pater, Ave e Gloria.

            4. O Cuore pazientissimo del mio Gesù, io venero umilmente quell’invincibile pazienza vostra nel sostenere per amor mio tante pene sulla Croce, e tanti strapazzi nella Divina Eucaristia. Oh mio caro Gesù! Poiché non posso lavar col Sangue mio quei luoghi dove foste così maltrattato nell’uno e nell’altro Mistero, vi prometto, o mio Sommo Bene, di usare ogni mezzo per risarcire il vostro Divin Cuore di tanti oltraggi, che ricevete nella SS. Eucaristia dagli eretici, dagl’infedeli e dai cattivi Cristiani.
            Pater, Ave e Gloria.

            5. O Cuore del mio Gesù, amantissima delle anime nostre nell’istituzione ammirabile della SS. Eucaristia, io adoro umilmente quell’amore immenso, che ci portate donandoci per nutrimento il vostro Divin Corpo e Divin Sangue. Qual è quel cuore che struggere non si debba alla vista di così immensa carità? Oh mio buon Gesù! datemi abbondanti lacrime per piangere e risarcire tante offese, che ricevete nel SS. Sacramento dagli eretici, dagl’infedeli e dai cattivi Cristiani.
            Pater, Ave e Gloria.

            6. O Cuore del mio Gesù sitibondo della salute nostra, io venero umilmente quell’amore ardentissimo che vi spinse ad operare il Sacrificio ineffabile della Croce, rinnovandolo ogni giorno sugli Altari nella Santa Messa. Possibile che a tanto amore non arda il cuore umano pieno di gratitudine? Sì, pur troppo, o mio Dio; ma per l’avvenire vi prometto di fare quanto posso per risarcirvi di tanti oltraggi, che ricevete in questo Mistero d’amore dagli eretici, dagl’infedeli e dai cattivi Cristiani.
            Pater, Ave e Gloria.

            Chi reciterà anche solo i suddetti 6 Pater, Ave e Gloria davanti al SS. Sacramento, di cui l’ultimo Pater, Ave e Gloria sia detto secondo l’intenzione del Sommo Pontefice, acquista 300 giorni d’Indulgenza per ogni volta.

Promesse fatte da Gesù Cristo
alla beata Margherita Alacoque pei devoti del suo Divin Cuore
            Io darò loro tutte le grazie necessarie nel loro stato.
            Io farò regnare la pace nelle loro famiglie.
            Io li consolerò in tutte le loro afflizioni.
            Io sarò il loro sicuro rifugio in vita, ma specialmente in punto di morte.
            Ricolmerò di benedizioni ogni loro impresa.
            I peccatori troveranno nel mio Cuore la sorgente e l’oceano infinito della misericordia.
            Le anime tiepide diverranno fervorose.
            Le anime ferventi saliranno rapidamente ad una grande perfezione.
            Io benedirò alla stessa casa dove l’Immagine del mio Sacro Cuore sarà esposta ed onorata.
            Io darò ai Sacerdoti il dono di commuovere i cuori più induriti.
            Il nome delle persone che propagheranno questa Divozione sarà scritto nel mio Cuore, e non ne sarà mai più cancellato.

Atto di riparazione contro le bestemmie.
            Dio sia benedetto.
            Benedetto il suo Santo Nome.
            Benedetto Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo.
            Benedetto il Nome di Gesù.
            Benedetto Gesù nel Santissimo Sacramento dell’Altare.
            Benedetto il suo Amabilissimo Cuore.
            Benedetta la gran Madre di Dio Maria Santissima.
            Benedetto il Nome di Maria, Vergine e Madre.
            Benedetta la sua Santa ed Immacolata Concezione.
            Benedetto Dio nei suoi Angeli e nei suoi Santi.

            È concessa Indulgenza di un anno per ogni volta: e Plenaria a, chi lo recita per un mese, in quel giorno che farà la Santa Confessione e Comunione.

Offerta al SS. Cuore di Gesù avanti la sua s. Immagine
            Io NN. per esservi grato, e per riparare alle mie infedeltà vi dono il cuore, e interamente mi consacro a Voi, amabile mio Gesù, e col vostro aiuto propongo di non più peccare.

            Il Pontefice Pio VII concesse cento giorni d’Indulgenza una volta al giorno, recitandola con cuore contrito, e Plenaria una volta al mese, a chi la reciterà tutti i giorni.

Orazione al Sacratissimo Cuore di Maria
            Dio vi salvi, Augustissima Regina di pace, Madre di Dio; pel Sacratissimo Cuore del vostro Figlio Gesù, Principe della pace, fata che l’ira di Lui si plachi, e che regni sopra di noi in pace. Ricordatevi, o Piissima Vergine Maria, che non si è mai udito al mondo, che da Voi sia stato rigettato, od abbandonato alcuno, il quale implori i vostri favori. Io animato da questa fiducia mi presento a Voi: non vogliate, o Madre del Verbo Eterno, disprezzare le mie preghiere, ma uditele favorevolmente, ed esauditele, o Clemente, o Pia, o Dolce Vergine Maria.

            Pio IX accordò l’Indulgenza di 300 giorni ogni volta che si reciterà devotamente detta orazione, e Plenaria una volta al mese a chi l’avrà recitata ogni giorno.

O Gesù d’amor acceso,
            Non t’avessi mai offeso;
            O mio dolce e buon Gesù,
            Non ti voglio offender più.

Sacro Cuore di Maria,
            Fa, ch’io salvi l’alma mia.
            Sacro Cuor del mio Gesù,
            Fa, ch’io t’ami sempre più.

            A voi dono il mio cuore,
Madre del mio Gesù – Madre d’amore.

(Fonte: “Il Giovane Provveduto per la pratica de’ suoi doveri negli esercizi di cristiana pietà per la recita dell’Uffizio della b. Vergine dei vespri di tutto l’anno e dell’uffizio dei morti coll’aggiunta di una scelta di laudi sacre, pel sac. Giovanni Bosco, 101a edizione, Torino, 1885, Tipografia e Libreria Salesiana, S. Benigno Canavese – S. Per d’Arena – Lucca – Nizza Marittima – Marsiglia – Montevideo – Buenos-Aires”, pp. 119-124 [Opere Edite, pp. 247-253])

Foto: Statua del Sacro Cuore in bronzo dorato sul campanile della Basilica del Sacro Cuore a Roma, dono degli ex-allievi Salesiani dell’Argentina. Eretta nel 1931, è un lavoro eseguito a Milano da Riccardo Politi su progetto dello scultore Enrico Cattaneo di Torino.




Don Bosco e il Sacro Cuore. Custodire, riparare, amare

Nel 1886, alle soglie della consacrazione della nuova Basilica del Sacro Cuore al centro di Roma, il “Bollettino Salesiano” volle preparare i suoi lettori – cooperatori, benefattori, giovani, famiglie – a un incontro vitale con «il Cuore trafitto che continua ad amare». Per un anno intero, la rivista fece scorrere davanti agli occhi del mondo salesiano un vero “rosario” di meditazioni: ciascun numero legava un aspetto della devozione a un’urgenza pastorale, educativa o sociale che don Bosco – già stremato ma lucidissimo – considerava strategica per il futuro della Chiesa e della società italiana. A quasi centoquarant’anni di distanza quella serie resta un piccolo trattato di spiritualità del cuore, scritto con toni semplici ma pieni d’ardore, capace di coniugare contemplazione e prassi. Presentiamo qui, una lettura unitaria di quel percorso mensile, mostrando come l’intuizione salesiana sappia ancora parlare all’oggi.

Febbraio – La guardia d’onore: vegliare sull’Amore ferito
Il nuovo anno liturgico si apre, nel Bollettino, con un invito sorprendente: non solo adorare Gesù presente nel tabernacolo, ma “fargli la guardia” – un turno di un’ora scelta liberamente in cui ogni cristiano, senza interrompere le attività quotidiane, si fa sentinella amorosa che consola il Cuore trafitto dalle indifferenze del carnevale. L’idea, nata a Paray-le-Monial e fiorita in molte diocesi, diventa programma educativo: trasformare il tempo in spazio di riparazione, insegnare ai giovani che la fedeltà nasce da piccoli atti costanti, fare della giornata una liturgia diffusa. Il voto collegato – destinare il ricavato del Manuale della Guardia d’Onore alla costruzione della Basilica romana – rivela la logica salesiana: contemplazione che subito si traduce in mattoni, perché la preghiera vera edifica (letteralmente) la casa di Dio.

Marzo – Carità creativa: il timbro salesiano
Nella grande conferenza dell’8 maggio 1884, il cardinale Parocchi sintetizzò la missione salesiana in una parola: “carità”. Il Bollettino riprende quel discorso per ricordare che la Chiesa conquista il mondo più con gesti d’amore che con dispute teoriche. Don Bosco non fonda scuole d’elite ma ospizi popolari; non toglie i ragazzi dall’ambiente solo per proteggerli, bensì per restituirli alla società come cittadini solidi. È la carità “secondo le esigenze del secolo”: risposta al materialismo non con polemiche, bensì con opere che mostrano la forza del Vangelo. Da qui l’urgenza di un grande santuario dedicato al Cuore di Gesù: far svettare nel cuore di Roma un segno visibile di quell’amore che educa e trasforma.

Aprile – Eucaristia: “capolavoro del Cuore di Gesù”
Nulla, per don Bosco, è più urgente che riportare i cristiani alla Comunione frequente. Il Bollettino ricorda che «non v’è cattolicismo senza Madonna e senza Eucaristia». La mensa eucaristica è “genesi della società cristiana”: da lì nascono fraternità, giustizia, purezza. Se la fede languisce, bisogna riaccendere il desiderio del Pane vivo. Non a caso san Francesco di Sales consegnò alle Visitandine la missione di custodire il Cuore eucaristico: la devozione al Sacro Cuore non è sentimento astratto, ma strada concreta che conduce al tabernacolo e da lì si riversa nelle strade. Ed è ancora il cantiere romano a fare da verifica: ogni lira offerta per la basilica diventa “mattone spirituale” che consacra l’Italia al Cuore che si dona.

Maggio – Il Cuore di Gesù risplende nel Cuore di Maria
Il mese mariano porta il Bollettino a intrecciare le due grandi devozioni: tra i due Cuori esiste una comunione profonda, simboleggiata dall’immagine biblica dello “specchio”. Il Cuore immacolato di Maria riflette la luce del Cuore divino, rendendola sopportabile agli occhi umani: chi non osa fissare il Sole guarda il suo chiarore riflesso nella Madre. Culto di latria per il Cuore di Gesù, di “iperdulia” per quello di Maria: distinzione che evita gli equivoci dei polemisti giansenisti di ieri e di oggi. Il Bollettino smonta le accuse di idolatria e invita i fedeli a un amore equilibrato, dove contemplazione e missione si alimentano a vicenda: Maria introduce al Figlio e il Figlio conduce alla Madre. In vista della consacrazione del nuovo tempio, si chiede di unire le due invocazioni che campeggiano sulle colline di Roma e Torino: Sacro Cuore di Gesù e Maria Ausiliatrice.

Giugno – Consolazioni soprannaturali: l’amore operante nella storia
Duecento anni dopo la prima consacrazione pubblica al Sacro Cuore (Paray-le-Monial, 1686), il Bollettino afferma che la devozione risponde alla malattia del tempo: «raffreddamento della carità per sovrabbondanza d’iniquità». Il Cuore di Gesù – Creatore, Redentore, Glorificatore – viene presentato come centro di tutta la storia: dalla creazione alla Chiesa, dall’Eucaristia all’escatologia. Chi adora quel Cuore entra in un dinamismo che trasforma la cultura e la politica. Per questo il Papa Leone XIII ha chiesto a tutti di concorrere al santuario romano: monumento di riparazione ma anche “argine” contro la «fiumana immonda» dell’errore moderno. È un appello che suona attuale: senza carità ardente, la società si sfilaccia.

Luglio – Umiltà: la fisionomia di Cristo e del cristiano
La meditazione estiva sceglie la virtù più trascurata: l’umiltà, «gemma trapiantata dalla mano di Dio nel giardino della Chiesa». Don Bosco, figlio spirituale di san Francesco di Sales, sa che l’umiltà è la porta delle altre virtù e il sigillo di ogni vero apostolato: chi serve i giovani senza cercare visibilità rende presente «il nascondimento di Gesù per trent’anni». Il Bollettino smaschera la superbia mascherata da falsa modestia e invita a coltivare una doppia umiltà: dell’intelletto, che si apre al mistero, e della volontà, che obbedisce alla verità riconosciuta. La devozione al Sacro Cuore non è sentimentalismo: è scuola di pensiero umile e di azione concreta, capace di costruire pace sociale perché toglie dal cuore il veleno dell’orgoglio.

Agosto – Mansuetudine: la forza che disarma
Dopo l’umiltà, la mansuetudine: virtù che non è debolezza ma dominio di sé, «il leone che genera miele», dice il testo rimandando all’enigma di Sansone. Il Cuore di Gesù appare mite nell’accogliere i peccatori, fermo nel difendere il tempio. I lettori sono invitati a imitare quel duplice movimento: dolcezza verso le persone, fermezza contro l’errore. San Francesco di Sales torna modello: con un tono pacato riversò fiumi di carità nella turbolenta Ginevra, convertendo più cuori di quanti ne avrebbero vinti le polemiche aspre. In un secolo che «pecca di essere senza cuore», edificare il santuario del Sacro Cuore significa erigere una palestra di mansuetudine sociale – una risposta evangelica al disprezzo e alla violenza verbale che già allora avvelenavano il dibattito pubblico.

Settembre – Povertà e questione sociale: il Cuore che riconcilia ricchi e poveri
Il rombo del conflitto sociale, avverte il Bollettino, minaccia di «scagliare in rottami l’edificio civile». Siamo in piena “questione operaia”: i socialisti agitano le masse, i capitali si concentrano. Don Bosco non nega la legittimità della ricchezza onesta, ma ricorda che la vera rivoluzione comincia dal cuore: il Cuore di Gesù proclamò beati i poveri e vissuta in prima persona la povertà. Il rimedio passa per una solidarietà evangelica alimentata dalla preghiera e dalla generosità. Finché il tempio romano non sarà terminato – scrive il giornale – il segno visibile della riconciliazione mancherà. Nei decenni seguenti la dottrina sociale della Chiesa svilupperà queste intuizioni; ma il germe è già qui: la carità non è elemosina, è giustizia che nasce da un cuore trasformato.

Ottobre – Fanciullezza: sacramento della speranza
«Guai a chi scandalizza uno di questi piccoli»: sulle labbra di Gesù, l’invito diventa ammonimento. Il Bollettino ricorda gli orrori del mondo pagano contro i bambini e mostra come il Cristianesimo abbia cambiato la storia affidando ai piccoli un posto centrale. Per don Bosco, l’educazione è atto religioso: nella scuola e nell’oratorio si custodisce il tesoro della Chiesa futura. La benedizione di Gesù ai bimbi, riprodotta sulle prime pagine del giornale, è manifestazione del Cuore che «si stringe come un padre» e annuncia la vocazione salesiana: fare della gioventù un “sacramento” che rende presente Dio nella città. Scuole, collegi, laboratori non sono un optional: sono il modo concreto di onorare il Cuore di Gesù vivo nei ragazzi.

Novembre – Trionfi della Chiesa: umiltà che vince la morte
La liturgia ricorda i santi e i defunti; il Bollettino medita sul “trionfo mite” di Gesù che entra a Gerusalemme. L’immagine diventa chiave di lettura della storia ecclesiale: successi e persecuzioni si alternano, ma la Chiesa, come il Maestro, risorge sempre. I lettori sono invitati a non lasciarsi paralizzare dal pessimismo: le ombre del momento (leggi anticlericali, riduzione degli ordini, propaganda massonica) non cancellano il dinamismo del Vangelo. Il tempio del Sacro Cuore, sorto fra ostilità e povertà, sarà il segno tangibile che «la pietra con i suggelli viene ribaltata». Collaborare alla sua costruzione significa scommettere sul futuro di Dio.

Dicembre – Beatitudine del dolore: la Croce accolta dal cuore
L’anno si chiude con la più paradossale delle beatitudini: «Beati quelli che piangono». Il dolore, scandalo per la ragione pagana, diventa nel Cuore di Gesù via di redenzione e di fecondità. Il Bollettino vede in questa logica la chiave per leggere la crisi contemporanea: società fondate sul divertimento a tutti i costi producono ingiustizia e disperazione. Accettato in unione con Cristo, invece, il dolore trasforma i cuori, rende forte il carattere, stimola la solidarietà, libera dalla paura. Anche le pietre del santuario sono “lacrime trasformate in speranza”: offerte piccole, a volte frutto di sacrifici nascosti, che costruiranno un luogo da cui pioveranno, promette il giornale, «torrenti di caste delizie».

Un lascito profetico
Nel montare mensile del Bollettino Salesiano 1886 colpisce la pedagogia del crescendo: si parte dalla piccola ora di guardia e si approda alla consacrazione del dolore; dal singolo fedele al cantiere nazionale; dal tabernacolo turrito dell’oratorio ai bastioni dell’Esquilino. È un itinerario che intreccia tre assi portanti:
Contemplazione – Il Cuore di Gesù è prima di tutto mistero da adorare: veglia, Eucaristia, riparazione.
Formazione – Ogni virtù (umiltà, mansuetudine, povertà) viene proposta come medicina sociale, in grado di guarire le ferite collettive.
Costruzione – La spiritualità diventa architettura: la basilica non è ornamento, ma laboratorio di cittadinanza cristiana.
Senza forzare, possiamo riconoscere qui la pre-annunciazione di temi che la Chiesa svilupperà lungo il XX secolo: l’apostolato dei laici, la dottrina sociale, la centralità dell’Eucaristia nella missione, la tutela dei minori, la pastorale della sofferenza. Don Bosco e i suoi collaboratori colgono i segni dei tempi e rispondono con la lingua del cuore.

Il 14 maggio 1887, quando Leone XIII consacrò la Basilica del Sacro Cuore, tramite il suo vicario Cardinale Lucido Maria Parocchi, don Bosco – troppo debole per salire l’altare – assistette nascosto tra i fedeli. In quel momento, tutte le parole del Bollettino 1886 divennero pietra viva: la guardia d’onore, la carità educativa, l’Eucaristia centro del mondo, la tenerezza di Maria, la povertà riconciliatrice, la beatitudine del dolore. Oggi quelle pagine chiedono nuovo fiato: tocca a noi, consacrati o laici, giovani o anziani, continuare la veglia, erigere cantieri di speranza, imparare la geografia del cuore. Il programma resta lo stesso, semplice e audace: custodire, riparare, amare.

Nella foto: Dipinto del Sacro Cuore, collocato sull’altare maggiore della Basilica del Sacro Cuore di Roma. L’opera fu voluta da Don Bosco e affidata al pittore Francesco de Rohden (Roma, 15 febbraio 1817 – 28 dicembre 1903).




Don Bosco e le processioni eucaristiche

Un aspetto poco conosciuto ma importante del carisma di san Giovanni Bosco sono le processioni eucaristiche. Per il santo dei giovani, l’Eucaristia non era solo devozione personale, ma strumento pedagogico e testimonianza pubblica. In una Torino in trasformazione, don Bosco vide nelle processioni un’occasione per rafforzare la fede dei ragazzi e annunciare Cristo nelle strade. L’esperienza salesiana, proseguita in tutto il mondo, mostra come la fede possa incarnarsi nella cultura e rispondere alle sfide sociali. Ancora oggi, vissute con autenticità e apertura, queste processioni possono diventare segni profetici di fede.

Quando si parla di san Giovanni Bosco (1815-1888) si pensa immediatamente ai suoi oratori popolari, alla passione educativa per i giovani e alla famiglia salesiana nata dal suo carisma. Meno noto, ma non per questo meno decisivo, è il ruolo che la devozione eucaristica — e in particolare le processioni eucaristiche — ebbe nella sua opera. Per Don Bosco l’Eucaristia non era soltanto il cuore della vita interiore; costituiva anche un potente strumento pedagogico e un segno pubblico di rinnovamento sociale in una Torino in rapida trasformazione industriale. Ripercorrere il legame fra il santo dei giovani e le processioni con il Santissimo significa entrare in un laboratorio di pastorale in cui liturgia, catechesi, educazione civica e promozione umana si intrecciano in modo originale e, a tratti, sorprendente.

Le processioni eucaristiche nel contesto del XIX secolo
Per comprendere Don Bosco occorre ricordare che l’Ottocento italiano visse un intenso dibattito sul ruolo pubblico della religione. Dopo l’epoca napoleonica e il moto risorgimentale, le manifestazioni religiose nelle vie cittadine non erano più scontate: in molte regioni si andava delineando uno stato liberale che guardava con sospetto qualsiasi espressione pubblica del cattolicesimo, temendo raduni di massa o rigurgiti “reazionari”. Le processioni eucaristiche, tuttavia, mantenevano una forza simbolica potentissima: ricordavano la signoria di Cristo su tutta la realtà e, allo stesso tempo, facevano emergere una Chiesa popolare, visibile e incarnata nei rioni. Contro questo sfondo si staglia l’ostinazione di Don Bosco, che non rinunciò mai ad accompagnare i suoi ragazzi nel testimoniare la fede fuori dalle mura dell’oratorio, fossero i viali di Valdocco o le campagne circostanti.

Fin dagli anni di formazione al seminario di Chieri, Giovanni Bosco maturò una sensibilità eucaristica di sapore “missionario”. Le cronache raccontano che spesso si fermava in cappella, dopo le lezioni, a lungo in preghiera davanti al tabernacolo. Nelle “Memorie dell’Oratorio” egli stesso riconosce di aver imparato dal suo direttore spirituale, don Cafasso, il valore di “farsi pane” per gli altri: contemplare Gesù che si dona nell’Ostia significava, per lui, apprendere la logica dell’amore gratuito. Questa linea attraversa l’intera sua vicenda: “Tenetevi amici Gesù sacramentato e Maria Ausiliatrice” ripeterà ai giovani, indicando la comunione frequente e l’adorazione silenziosa come pilastri di un cammino di santità laicale e quotidiana.

L’oratorio di Valdocco e le prime processioni interne
Nei primi anni Quaranta dell’Ottocento, l’oratorio torinese non possedeva ancora una chiesa vera e propria. Le celebrazioni avvenivano in baracche di legno o in cortili adattati. Don Bosco, tuttavia, non rinunciò a organizzare piccole processioni interne, quasi “prove generali” di quella che sarebbe diventata una pratica stabile. I ragazzi portavano ceri e stendardi, cantavano lodi mariane e, al termine, si fermavano attorno ad un improvvisato altare per la benedizione eucaristica. Questi primi tentativi avevano una funzione eminentemente pedagogica: abituare i giovani a una partecipazione devota ma gioiosa, unendo disciplina e spontaneità. Nella Torino operaia, dove spesso la miseria sfociava in violenza, sfilare ordinati con il fazzoletto rosso al collo era già un segnale controcorrente: mostrava che la fede poteva educare al rispetto di sé e degli altri.

Don Bosco sapeva bene che una processione non si improvvisa: occorrono segni, canti, gesti che parlino al cuore ancor prima che alla mente. Per questo curava personalmente la spiegazione dei simboli. Il baldacchino diventava l’immagine della tenda del convegno, segno della presenza divina che accompagna il popolo in cammino. I fiori sparsi lungo il percorso ricordavano la bellezza delle virtù cristiane che devono adornare l’anima. I lampioni, indispensabili nelle uscite serali, alludevano alla luce della fede che rischiara le tenebre del peccato. Ogni elemento era oggetto di una piccola “predica” conviviale in refettorio o nella ricreazione, così che la preparazione logistica si intrecciasse alla catechesi sistematica. Il risultato? Per i ragazzi la processione non era un dovere rituale ma un’occasione di festa carica di significato.

Uno degli aspetti più caratteristici delle processioni salesiane era la presenza della banda formata dagli stessi allievi. Don Bosco considerava la musica un antidoto contro l’ozio e, al contempo, un potente strumento di evangelizzazione: “Un’allegra marcia eseguita bene — scriveva — attira la gente come la calamita il ferro”. La banda precedeva il Santissimo, alternando brani sacri ad arie popolari adattate con testi religiosi. Questo “dialogo” tra fede e cultura popolare riduceva le distanze con i passanti e creava attorno alla processione un’aura di festa condivisa. Non pochi cronisti laici testimonieranno di essere stati “intrigati” da quel drappello di giovanissimi suonatori disciplinati, così diverso dalle bande militari o filarmoniche dell’epoca.

Processioni come risposta alle crisi sociali
La Torino dell’Ottocento conobbe epidemie di colera (1854 e 1865), scioperi, carestie e tensioni anticlericali. Don Bosco reagì spesso proponendo processioni straordinarie di riparazione o di supplica. Durante il colera del ’54 portò i giovani per le vie più colpite, recitando ad alta voce le litanie per gli infermi e distribuendo pane e medicine. In quel frangente nacque la promessa — poi mantenuta — di costruire la chiesa di Maria Ausiliatrice: “Se la Madonna salva i miei ragazzi, le innalzerò un tempio”. Le autorità civili, inizialmente contrarie a cortei religiosi per timore di contagio, dovettero riconoscere l’efficacia della rete di assistenza salesiana, alimentata spiritualmente proprio dalle processioni. L’Eucaristia, portata fra i malati, diventava così segno tangibile della compassione cristiana.

Contrariamente a certi modelli devozionali chiusi entro le sacrestie, le processioni di Don Bosco rivendicavano un diritto di cittadinanza della fede nello spazio pubblico. Non si trattava di “occupare” le strade, ma di restituirle alla loro vocazione comunitaria. Passare sotto i balconi, attraversare piazze e portici voleva dire ricordare che la città non è solo luogo di scambio economico o di scontro politico, bensì di incontro fraterno. Per questo Don Bosco insisteva su un ordine impeccabile: mantelli spazzolati, scarpe pulite, file regolari. Voleva che l’immagine della processione comunicasse bellezza e dignità, persuadendo anche gli osservatori più scettici che la proposta cristiana elevava la persona.

L’eredità salesiana delle processioni
Dopo la morte di Don Bosco, i suoi figli spirituali diffusero la prassi delle processioni eucaristiche in tutto il mondo: dalle scuole agricole dell’Emilia alle missioni della Patagonia, dai collegi asiatici ai quartieri operai di Bruxelles. Ciò che contava non era duplicare pedissequamente un rito piemontese, ma trasmettere il nucleo pedagogico: protagonismo giovanile, catechesi simbolica, apertura alla società circostante. Così, in America Latina, i salesiani inserirono danze tradizionali all’inizio del corteo; in India adottarono tappeti di fiori secondo l’arte locale; in Africa subsahariana alternarono canti gregoriani a ritmi polifonici tribali. L’Eucaristia diventava ponte fra culture, realizzando il sogno di Don Bosco di “fare di tutti i popoli un’unica famiglia”.

Sotto il profilo teologico, le processioni di Don Bosco incarnano una forte visione della presenza reale di Cristo. Portare il Santissimo “fuori” significa proclamare che il Verbo non si è fatto carne per restare rinchiuso, ma per “piantare la sua tenda in mezzo a noi” (cfr. Gv 1,14). Tale presenza chiede di essere annunciata in forme comprensibili, senza ridursi a gesto intimista. In Don Bosco la dinamica centripeta dell’adorazione (raccogliere i cuori attorno all’Ostia) genera una dinamica centrifuga: i giovani, nutriti all’altare, si sentono inviati a servire. Dalla processione scaturiscono micro-impegni: assistere un compagno ammalato, pacificare un litigio, studiare con maggiore diligenza. L’Eucaristia si prolunga nelle “processioni invisibili” della carità quotidiana.

Oggi, in contesti secolarizzati o multireligiosi, le processioni eucaristiche possono sollevare interrogativi: sono ancora comunicative? Non rischiano di apparire folclore nostalgico? L’esperienza di Don Bosco suggerisce che la chiave sta nella qualità relazionale più che nella quantità di incenso o di paramenti. Una processione che coinvolge famiglie, spiega i simboli, integra linguaggi artistici contemporanei, e soprattutto si collega a gesti concreti di solidarietà, mantiene una sorprendente forza profetica. Il recente Sinodo sui giovani (2018) ha richiamato più volte l’importanza di “uscire” e di “mostrare la fede con la carne”. La tradizione salesiana, con la sua liturgia itinerante, offre un paradigma già collaudato di “Chiesa in uscita”.

Le processioni eucaristiche non erano per Don Bosco semplici tradizioni liturgiche, ma veri e propri atti educativi, spirituali e sociali. Esse rappresentavano una sintesi tra fede vissuta, comunità educante e testimonianza pubblica. Attraverso di esse, Don Bosco formava giovani capaci di adorare, di rispettare, di servire e di testimoniare.
Oggi, in un mondo frammentato e distratto, riproporre il valore delle processioni eucaristiche alla luce del carisma salesiano può essere un modo efficace per ritrovare il senso dell’essenziale: Cristo presente in mezzo al suo popolo, che cammina con lui, lo adora, lo serve e lo annuncia.
In un’epoca che cerca autenticità, visibilità e relazioni, la processione eucaristica – se vissuta secondo lo spirito di Don Bosco – può essere un segno potente di speranza e di rinnovamento.

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Patagonia: “La più grande impresa della nostra Congregazione

Appena giunti in Patagonia, i Salesiani – guidati da Don Bosco – puntarono a ottenere un Vicariato apostolico che garantisse autonomia pastorale e sostegno di Propaganda Fide. Tra il 1880 e il 1882 ripetute richieste a Roma, al presidente argentino Roca e all’arcivescovo di Buenos Aires si infransero contro disordini politici e diffidenze ecclesiastiche. Missionari come Rizzo, Fagnano, Costamagna e Beauvoir percorrevano il Río Negro, il Colorado e fino al lago Nahuel-Huapi, fondando presenze tra indios e coloni. La svolta giunse il 16 novembre 1883: un decreto eresse il Vicariato della Patagonia settentrionale, affidato a mons. Giovanni Cagliero, e la Prefettura meridionale, guidata da mons. Giuseppe Fagnano. Da quel momento l’opera salesiana si radicò «alla fine del mondo», preparandone la futura fioritura.

            Erano appena arrivati i Salesiani in Patagonia, che don Bosco il 22 marzo 1880 tornò nuovamente alla carica presso varie Congregazioni Romane e lo stesso papa Leone XIII
per l’erezione di Vicariato o Prefettura della Patagonia con sede a Carmen, che abbracciasse le colonie già costituite o che si sarebbero andate organizzando sulle sponde del Río Negro, dal 36° al 50° grado di latitudine Sud. Carmen sarebbe potuta divenire “il centro delle Missioni Salesiane fra gli Indi”.
            Ma i disordini militari al momento dell’elezione del generale Roca a Presidente della Repubblica (maggio-agosto 1880) e la morte dell’ispettore salesiano don Francesco Bodrato (agosto 1880) fecero sospendere le pratiche. Don Bosco insistette anche presso il Presidente in novembre, ma senza risultati. Il Vicariato non era voluto né dall’arcivescovo né era gradito all’autorità politica.
            Pochi mesi dopo, nel gennaio 1881 don Bosco incoraggiava il neoispettore don Giacomo Costamagna a darsi da fare per il Vicariato in Patagonia ed assicurava il direttore-parroco don Fagnano che a proposito della Patagonia – “la più grande impresa della nostra Congregazione” – una grande responsabilità sarebbe presto ricaduta su di lui. Ma si rimaneva nell’impasse.
            Intanto in Patagonia don Emilio Rizzo, che aveva accompagnato nel 1880 il vicario di Buenos Aires monsignor Espinosa lungo il Río Negro fino a Roca (50 km), con altri salesiani si apprestava ad ulteriori missioni volanti lungo lo stesso fiume. Don Fagnano poi nel 1881 poté accompagnare l’esercito fino alla Cordigliera. Don Bosco, impaziente, fremeva e don Costamagna ancora nel novembre 1881 lo consigliò di trattare direttamente con Roma.
            Fortuna volle che a fine 1881 venisse in Italia monsignor Espinosa; don Bosco ne approfittò per informare suo tramite l’arcivescovo di Buenos Aires, che nell’aprile del 1882 sembrò favorevole al progetto di un Vicariato affidato ai Salesiani. Più che altro forse per l’impossibilità di attendervi con il suo clero. Ma ancora una volta non se ne fece nulla.           Nell’estate 1882 e poi ancora nel 1883 don Beauvoir accompagnò l’esercito fino al lago Nahuel-Huapi sulle Ande (880 km); altrettante escursioni apostoliche avevano fatto altri salesiani in aprile lungo il Río Colorado, mentre don Beauvoir ritornava a Roca e in agosto don Milanesio si inoltrava fino a Ñorquín nel Neuquén (900 km).
            Don Bosco era sempre più convinto che senza un proprio Vicariato apostolico i Salesiani non avrebbero goduto della necessaria libertà di azione, visti i difficilissimi rapporti che aveva avuto lui con il suo arcivescovo di Torino e tenuto pure conto che lo stesso Concilio Vaticano I non aveva deciso nulla circa i non facili rapporti fra Ordinari e superiori di Congregazioni religiose nei territori di missione. Inoltre, cosa non di poco conto, solo un Vicariato missionario avrebbe potuto avere il sostegno finanziario dalla Congregazione di Propaganda Fide.
            Pertanto don Bosco riprese i suoi sforzi, avanzando alla Santa Sede la proposta di suddivisione amministrativa della Patagonia e Terra del Fuoco in tre Vicariati o Prefetture: dal Río Colorado al Río Chubut, da questi al Río Santa Cruz, e da questi alle isole della Terra del Fuoco, Malvine (Falkland) comprese.
            Papa Leone XIII alcuni mesi dopo acconsentì e gli fece chiedere i nominativi. Don Bosco allora suggerì al cardinale Simeoni l’erezione di un solo Vicariato per la Patagonia settentrionale con sede a Carmen, dal quale dipendesse una Prefettura apostolica per la Patagonia meridionale. Per quest’ultima proponeva don Fagnano; per il Vicariato don Cagliero o don Costamagna.

Un sogno che si avvera
            Il 16 novembre 1883 un decreto di Propaganda Fide eresse il Vicario apostolico della Patagonia settentrionale e centrale, che comprendeva il sud della provincia di Buenos Aires, i territori nazionali di La Pampa centrale, il Río Negro, il Neuquén e il Chubut. Quattro giorni dopo lo affidò a don Cagliero come Provicario apostolico (e successivamente Vicario apostolico). Il 2 dicembre 1883 fu la volta del Fagnano ad essere nominato Prefetto apostolico della Patagonia cilena, del territorio cileno di Magallanes-Punta Arenas, del territorio argentino di Santa Cruz, delle isole Malvinas e delle non meglio definite isole che si estendevano fino allo stretto di Magellano. Ecclesiasticamente la Prefettura copriva aree appartenenti alla diocesi cilena di San Carlos de Ancud.
            Il sogno del famoso viaggio in treno da Cartagena in Colombia a Punta Arenas in Cile del 10 agosto 1883 iniziava così a realizzarsi, tanto più che alcuni Salesiani da Montevideo in Uruguay all’inizio del 1883 erano arrivati a fondare la casa di Niteroi in Brasile. Il lungo processo di poter gestire una missione in piena libertà canonica era arrivato a conclusione. Nell’ottobre del 1884 don Cagliero sarebbe stato insignito della nomina di Vicario apostolico della Patagonia, là dove avrebbe fatto la sua entrata l’8 luglio successivo, sette mesi dopo la sua consacrazione episcopale avvenuta a Valdocco il 7 dicembre 1884.

Il seguito
            Sia pure in mezzo a difficoltà di ogni genere che la storia ricorda – comprese accuse e vere calunnie – l’opera salesiana da quei timidi inizi si dispiegò rapidamente sia nella Patagonia Argentina sia in quella cilena. Si radicò per lo più in piccolissimi centri di indios e di coloni, oggi diventati cittadine e città. Monsignor Fagnano nel 1887 si stabilì a Punta Arenas (Cile), da dove iniziò poco dopo le missioni nelle isole della Terra del Fuoco. Generosi e capaci missionari spesero generosamente la vita al di qua e al di là dello Stretto di Magellano “per la salvezza delle anime” e pure dei corpi (per quanto era nelle loro possibilità) degli abitanti di quelle terre “laggiù, alla fine del mondo”. Lo hanno riconosciuto in tanti, fra loro una persona che se ne intende, perché a sua volta venuto “quasi dalla fine del mondo”: papa Francesco.

Foto d’epoca: I tre Bororòs che accompagnarono i missionari salesiani a Cuyabà (1904)




Le profezie di Malachia. I papi e la fine del mondo

Le cosiddette “Profezie di Malachia” rappresentano uno dei testi profetici più affascinanti e controversi legati al destino della Chiesa cattolica e del mondo. Attribuite a Malachia di Armagh, arcivescovo irlandese vissuto nel XII secolo, queste previsioni descrivono brevemente, attraverso enigmatici motti latini, i pontefici da Celestino II fino all’ultimo papa, il misterioso “Pietro Secondo”. Nonostante siano considerate dagli studiosi moderne falsificazioni risalenti al tardo Cinquecento, le profezie continuano a suscitare dibattiti, interpretazioni apocalittiche e speculazioni su possibili scenari escatologici. Al di là della loro autenticità, esse rappresentano comunque un forte richiamo alla vigilanza spirituale e all’attesa consapevole del giudizio finale.

Malachia di Armagh. Biografia di un “Bonifacio d’Irlanda”
Malachia (in irlandese Máel Máedóc Ua Morgair, in latino Malachias) nacque intorno al 1094 nei pressi di Armagh, da una famiglia nobile. Ricevette la sua formazione intellettuale dal dotto Imhar O’Hagan e, nonostante la sua iniziale riluttanza, fu ordinato sacerdote nel 1119 dall’arcivescovo Cellach. Dopo un periodo di perfezionamento liturgico presso il monastero di Lismore, Malachia intraprese un’intensa attività pastorale che lo portò a ricoprire incarichi di crescente responsabilità. Nel 1123 come Abate di Bangor, avviò il ripristino della disciplina sacramentale; nel 1124: nominato Vescovo di Down e Connor, proseguì la riforma liturgica e pastorale e nel 1132: divenuto Arcivescovo di Armagh, dopo difficili contese con gli usurpatori locali, liberò la sede primaziale d’Irlanda e promosse la struttura diocesana sancita dal sinodo di Ráth Breasail.

Durante il suo ministero, Malachia introdusse significative riforme adottando la liturgia romana, sostituendo le eredità monastiche claniche con la struttura diocesana prescritta dal sinodo di Ráth Breasail (1111) e promosse la confessione individuale, il matrimonio sacramentale e la cresima.
Per questi interventi riformatori, san Bernardo di Chiaravalle lo paragonò a san Bonifacio, l’apostolo della Germania.

Malachia compì due viaggi a Roma (1139 e 1148) per ricevere il pallio metropolitano per le nuove province ecclesiastiche d’Irlanda, e in tale occasione fu nominato legato pontificio. Al ritorno dal primo viaggio, con l’aiuto di san Bernardo di Chiaravalle, fondò l’abbazia cistercense di Mellifont (1142), la prima di numerose fondazioni cistercensi in terra irlandese. Morì durante un secondo viaggio verso Roma, il 2 novembre 1148 a Clairvaux, tra le braccia di san Bernardo, che ne scrisse la biografia intitolata “Vita Sancti Malachiae”.

Nel 1190, papa Clemente III lo canonizzò ufficialmente, rendendolo il primo santo irlandese proclamato secondo la procedura formale della Curia romana.

La “Profezia dei Papi”: un testo che compare quattro secoli dopo
Alla figura di questo arcivescovo riformatore venne associata, solo nel XVI secolo, una raccolta di 112 motti che descriverebbero altrettanti pontefici: da Celestino II fino all’enigmatico “Pietro Secondo”, destinato ad assistere alla distruzione della “città dei sette colli”.
La prima pubblicazione di queste profezie risale al 1595, quando il monaco benedettino Arnold Wion le inserì nella sua opera Lignum Vitae, presentandole come un manoscritto redatto da Malachia durante la sua visita a Roma nel 1139.
Le profezie consistono in brevi frasi simboliche che dovrebbero caratterizzare ciascun papa attraverso riferimenti al nome, al luogo di nascita, allo stemma araldico o a eventi significativi del pontificato. Di seguito sono riportati i motti attribuiti agli ultimi pontefici:

109De medietate Lunae (“Dalla metà della luna”)
Attribuito a Giovanni Paolo I, che regnò per un solo mese. Fu eletto il 26.08.1978, quando la luna era nell’ultimo quarto (25.08.1978), e morì il 28.09.1978, quando la luna era nel primo quarto (24.09.1978).

110De labore solis (“Dalla fatica del sole”)
Attribuito a Giovanni Paolo II, che guidò la Chiesa per 26 anni, il terzo pontificato più lungo della storia dopo san Pietro (34-37 anni) e il beato Pio IX (più di 31 anni). Fu eletto il 16.10.1978, poco dopo un’eclissi solare parziale (02.10.1978), e morì il 02.04.2005, pochi giorni prima di un’eclissi solare anulare (08.04.2005).

111Gloria olivae (“Gloria dell’oliva”)
Attribuito a Benedetto XVI (2005-2013). Il cardinale Ratzinger, impegnato nel dialogo ecumenico e interreligioso, scelse il nome di Benedetto XVI in continuità con Benedetto XV, papa che si adoperò per la pace durante la Prima Guerra Mondiale, come egli stesso spiegò nella sua prima Udienza Generale del 27 aprile 2005 (la pace è simboleggiata dal ramo d’ulivo portato dalla colomba a Noè al termine del Diluvio). Questo collegamento simbolico venne ulteriormente rafforzato dalla canonizzazione, nel 2009, di Bernardo Tolomei (1272-1348), fondatore della congregazione benedettina di Santa Maria di Monte Oliveto (Monaci Olivetani).

112[a]In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit…
Questa non è propriamente un motto, ma una frase introduttiva. Nell’edizione originale del 1595 appare come riga a sé stante, suggerendo la possibilità di inserire ulteriori papi tra Benedetto XVI e il profetizzato “Pietro Secondo”. Ciò contraddirebbe l’interpretazione che identifica necessariamente Papa Francesco come l’ultimo pontefice.

112[b]Petrus Secundus
Riferito all’ultimo papa (la Chiesa ebbe come primo pontefice san Pietro e avrà come ultimo un altro Pietro) che guiderà i fedeli in tempi di tribolazione.
Il paragrafo intero della profezia recita:
“In persecutione extrema Sanctae Romanae Ecclesiae sedebit Petrus Secundus, qui pascet oves in multis tribulationibus; quibus transactis, Civitas septicollis diruetur, et Iudex tremendus judicabit populum suum. Amen.”
“Durante l’estrema persecuzione della Santa Chiesa Romana siederà Pietro Secondo, che pascerà le pecore tra molte tribolazioni; quando queste saranno terminate, la città dei sette colli [Roma] sarà distrutta, ed il terribile Giudice giudicherà il suo popolo. Amen.”
“Pietro Secondo” sarebbe dunque l’ultimo pontefice prima della fine dei tempi, con un chiaro riferimento apocalittico alla distruzione di Roma e al giudizio finale.

Speculazioni contemporanee
Negli ultimi anni si sono moltiplicate le interpretazioni speculative: chi identifica papa Francesco come il 112° e ultimo pontefice, chi ipotizza che lui è stato un papa di transizione verso il vero l’ultimo papa, chi addirittura calcola il 2027 come possibile data della fine dei tempi.
Quest’ultima ipotesi si basa su un curioso calcolo: dalla prima elezione papale menzionata nella profezia (Celestino II nel 1143) fino alla prima pubblicazione del testo (durante il pontificato di Sisto V, 1585-1590) trascorsero circa 442 anni; seguendo la stessa logica, aggiungendo altri 442 anni dalla pubblicazione si arriverebbe al 2027. Queste speculazioni, tuttavia, mancano di fondamento scientifico, poiché il manoscritto originale non contiene riferimenti cronologici espliciti.

L’autenticità contestata
Sin dalla comparsa del testo, numerosi storici hanno espresso dubbi sulla sua autenticità per diverse ragioni:
assenza di manoscritti antichi: non esistono copie databili a prima del 1595;
stile linguistico: il latino utilizzato è tipico del XVI secolo, non del XII;
precisione retrospettiva: i motti riferiti ai papi precedenti al conclave del 1590 sono sorprendentemente accurati, mentre quelli successivi risultano molto più vaghi e facilmente adattabili a eventi posteriori;
finalità politiche: in un’epoca di forti tensioni tra fazioni curiali, un simile elenco profetico avrebbe potuto influenzare l’elettorato cardinalizio nel Conclave del 1590.

La posizione della Chiesa
La dottrina cattolica insegna, come riportato nel Catechismo, che il destino della Chiesa non può essere diverso da quello del suo Capo, Gesù Cristo. Nei paragrafi 675-677 si descrive “L’ultima prova della Chiesa”:

Prima della venuta di Cristo, la Chiesa deve passare attraverso una prova finale che scuoterà la fede di molti credenti. La persecuzione che accompagna il suo pellegrinaggio sulla terra svelerà il «mistero di iniquità» sotto la forma di una impostura religiosa che offre agli uomini una soluzione apparente ai loro problemi, al prezzo dell’apostasia dalla verità. La massima impostura religiosa è quella dell’Anti-Cristo, cioè di uno pseudo-messianismo in cui l’uomo glorifica sé stesso al posto di Dio e del suo Messia venuto nella carne.
Questa impostura anti-cristica si delinea già nel mondo ogniqualvolta si pretende di realizzare nella storia la speranza messianica che non può essere portata a compimento se non al di là di essa, attraverso il giudizio escatologico; anche sotto la sua forma mitigata, la Chiesa ha rigettato questa falsificazione del regno futuro sotto il nome di millenarismo, soprattutto sotto la forma politica di un messianismo secolarizzato «intrinsecamente perverso».
La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest’ultima pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e risurrezione. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male che farà discendere dal cielo la sua Sposa. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell’ultimo giudizio dopo l’ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa.

Allo stesso tempo, la dottrina cattolica ufficiale invita alla prudenza, fondandosi sulle parole stesse di Gesù:
«Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti» (Mt 24,11).
«Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti» (Mt 24:24).

La Chiesa sottolinea, seguendo il Vangelo di Matteo (Mt 24,36), che il momento della fine del mondo non è conoscibile dagli uomini, ma soltanto da Dio stesso. E il Magistero ufficiale – Il Catechismo (n. 673-679) ribadisce che nessuno può “leggere” l’ora del ritorno di Cristo.

Le profezie attribuite a San Malachia non hanno mai ricevuto un’approvazione ufficiale dalla Chiesa. Tuttavia, al di là della loro autenticità storica, esse ci ricordano una verità fondamentale della fede cristiana: la fine dei tempi accadrà, come insegnato da Gesù.

Da duemila anni gli uomini riflettono su questo evento escatologico, spesso dimenticando che la “fine dei tempi” per ciascuno coincide con il proprio termine dell’esistenza terrena. Che importa se il nostro fine vita coinciderà con la fine dei tempi? Per molti non sarà così. Ciò che davvero conta è vivere autenticamente la vita cristiana nel quotidiano, seguendo gli insegnamenti di Cristo ed essendo sempre pronti a rendere conto al Creatore e Redentore dei talenti ricevuti. Resta sempre attuale l’ammonimento di Gesù: «Vegliate, dunque, perché non sapete in quale giorno il vostro Signore verrà» (Mt 24,42).
In quest’ottica, il mistero del “Pietro Secondo” non rappresenta tanto una minaccia di rovina, quanto piuttosto un invito alla costante conversione e alla fiducia nel disegno divino di salvezza.




È ancora necessario confessarsi?

Il Sacramento della Confessione, spesso trascurato nella frenesia contemporanea, rimane per la Chiesa cattolica una sorgente insostituibile di grazia e di rinnovamento interiore. Invitamo a riscoprirne il significato originario: non un rito formale, ma un incontro personale con la misericordia di Dio, istituito da Cristo stesso e affidato al ministero della Chiesa. In un’epoca che relativizza il peccato, la Confessione si rivela bussola per la coscienza, medicina per l’anima e porta spalancata alla pace del cuore.

Il Sacramento della Confessione: una necessità per l’anima
Nella tradizione cattolica, il Sacramento della Confessione – chiamato anche Sacramento della Riconciliazione o della Penitenza – occupa un posto centrale nel cammino di fede. Non si tratta di un semplice atto formale o di una pratica riservata a pochi fedeli particolarmente devoti, ma di una necessità profonda che coinvolge ogni cristiano, chiamato a vivere nella grazia di Dio. In un tempo che tende a relativizzare la nozione di peccato, riscoprire la bellezza e la forza liberatrice della Confessione è fondamentale per rispondere pienamente all’amore di Dio.

Gesù Cristo stesso ha istituito il Sacramento della Confessione. Dopo la sua Risurrezione, Egli apparve agli Apostoli e disse: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non li perdonerete, non saranno perdonati” (Gv 20,22-23). Queste parole non sono un simbolismo: esse stabiliscono un potere reale e concreto affidato agli Apostoli e, per successione, ai loro successori, i vescovi e i presbiteri.

Il perdono dei peccati, dunque, non avviene solo tra l’uomo e Dio in modo privato, ma passa anche attraverso il ministero della Chiesa. Dio, nel suo disegno di salvezza, ha voluto che la confessione personale davanti a un sacerdote fosse il mezzo ordinario per ricevere il Suo perdono.

La realtà del peccato
Per comprendere la necessità della Confessione, bisogna prima prendere coscienza della realtà del peccato.
San Paolo afferma: “Tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Rm. 3,23). E: “Se diciamo che non abbiamo peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi” (1Gv 1,8).
Nessuno può dirsi immune dal peccato, nemmeno dopo il Battesimo, che ci ha purificati dalla colpa originale. La nostra natura umana, ferita dalla concupiscenza, ci porta continuamente a cadere, a tradire l’amore di Dio con atti, parole, omissioni e pensieri.
Scrive san Agostino: “È vero: la natura dell’uomo fu creata in origine senza colpa e senza nessun vizio; viceversa la natura attuale dell’uomo, per la quale ciascuno nasce da Adamo, ha ormai bisogno del Medico, perché non è sana. Certo, tutti i beni che ha nella sua struttura, nella vita, nei sensi e nella mente, li riceve dal sommo Dio, suo creatore e artefice. Il vizio invece che oscura e indebolisce questi beni naturali, così da rendere la natura umana bisognosa d’illuminazione e di cura, non l’ha tratto dal suo irreprensibile artefice, ma dal peccato originale che fu commesso con il libero arbitrio.” (La natura e la grazia).

Negare l’esistenza del peccato equivale a negare la verità su noi stessi. Solo riconoscendo il nostro bisogno di perdono possiamo aprirci alla misericordia di Dio, che non si stanca mai di richiamarci a Sé.

La Confessione: incontro con la Misericordia Divina
Il Sacramento della Confessione è, innanzitutto, un incontro personale con la Misericordia divina. Non è semplicemente un’autoaccusa o una seduta di autoanalisi; è un atto di amore da parte di Dio che, come il padre nella parabola del figliol prodigo (Lc 15,11-32), corre incontro al figlio pentito, lo abbraccia e lo riveste di nuova dignità.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma: “Quelli che si accostano al sacramento della Penitenza ricevono dalla misericordia di Dio il perdono delle offese fatte a lui e insieme si riconciliano con la Chiesa, alla quale hanno inflitto una ferita col peccato e che coopera alla loro conversione con la carità, l’esempio e la preghiera.” (CCC, 1422).

Confessarsi è lasciarsi amare, guarire e rinnovare. È accogliere il dono di un cuore nuovo.

Perché confessarsi a un sacerdote?
Una delle obiezioni più comuni è: “Perché devo confessarmi a un sacerdote? Non posso confessarmi direttamente a Dio?” Certamente, ogni fedele può – e deve – rivolgersi direttamente a Dio con la preghiera di pentimento. Tuttavia, Gesù ha stabilito un mezzo concreto, visibile e sacramentale per il perdono: la confessione a un ministro ordinato. E questo è valido per ogni cristiano, ossia anche per i sacerdoti, vescovi, papi.

Il sacerdote agisce in persona Christi, cioè in persona di Cristo stesso. Egli ascolta, giudica, assolve, e offre consigli spirituali. Non si tratta di una mediazione umana che limita l’amore di Dio, bensì di una garanzia offerta da Cristo stesso: il perdono viene comunicato visibilmente, e il fedele ne può avere certezza.

Inoltre, confessarsi davanti a un sacerdote esige umiltà, una virtù indispensabile per la crescita spirituale. Riconoscere apertamente le proprie colpe ci libera dal giogo dell’orgoglio e ci apre alla vera libertà dei figli di Dio.

Non è sufficiente confessarsi solo una volta l’anno, come richiesto dal minimo della legge ecclesiastica. I santi e i maestri di spirito hanno sempre raccomandato la confessione frequente – anche bisettimanale o settimanale – come mezzo di progresso nella vita cristiana.

San Giovanni Paolo II si confessava ogni settimana. Santa Teresa di Lisieux, pur essendo monaca carmelitana e vivendo in clausura, si confessava regolarmente. La confessione frequente permette di affinare la coscienza, correggere difetti radicati, e ricevere nuove grazie.

Ostacoli alla confessione
Purtroppo, molti fedeli oggi trascurano il Sacramento della Riconciliazione. Tra i motivi principali troviamo:

Vergogna: temere il giudizio del sacerdote. Ma il sacerdote non è lì per condannare, bensì per essere strumento di misericordia.

Paura che i peccati riconosciuti vengano fatti pubblici: i sacerdoti confessori non possono rivelare a nessuno, in nessuna condizione (incluse le massime autorità ecclesiastiche) i peccati ascoltati in confessione, neanche se perde la propria vita. Se lo fanno, incorrono immediatamente nella scomunica latae sententiae (canone1386, Codice del Diritto Canonico). L’inviolabilità del sigillo sacramentale non ammette eccezioni né dispense. E le condizioni sono le stesse anche se la Confessione non è finita con l’assoluzione sacramentale. Anche dopo la morte del penitente, il confessore è tenuto ad osservare il sigillo sacramentale.

Mancanza di senso del peccato: in una cultura che minimizza il male, si rischia di non riconoscere più la gravità delle proprie colpe.

Pigrizia spirituale: rimandare la Confessione è una tentazione comune che porta a raffreddare il rapporto con Dio.

Errate convinzioni teologiche: alcuni credono erroneamente che basti “pentirsi nel cuore” senza bisogno della Confessione sacramentale.

La disperazione della salvezza: Alcuni pensano che per loro comunque non ci sarà più perdono. Dice san Agostino: “Alcuni infatti, dopo esser caduti in peccato, si perdono ancora di più per disperazione e non solo trascurano la medicina di pentirsi, ma si fanno schiavi di libidini e di desideri scellerati per soddisfare brame disoneste e riprovevoli, come se a non farlo perdessero pur quello a cui li istiga la libidine, convinti d’esser ormai già sull’orlo della sicura dannazione. Contro questa malattia estremamente pericolosa e dannosa giova il ricordo dei peccati in cui sono caduti anche i giusti e i santi.” (ibid.)

Per superare questi ostacoli bisogna chiedere consigli a chi li può dare, istruirsi, pregare.

Prepararsi bene alla confessione
Una buona confessione richiede una adeguata preparazione, che comprende:

1. Esame di coscienza: riflettere sinceramente sui propri peccati, aiutandosi anche con elenchi basati sui Dieci Comandamenti, sui vizi capitali o sulle Beatitudini.

2. Contrizione: dolore sincero per aver offeso Dio, non solo paura della punizione.

3. Proposito di emendarsi: desiderio reale di cambiare vita, di evitare il peccato futuro.

4. Accusa integrale dei peccati: confessare tutti i peccati mortali in modo completo, specificando la natura e il numero (se possibile).

5. Penitenza: accettare e compiere l’opera riparatrice proposta dal confessore.

Gli effetti della Confessione
Confessarsi non produce solo una cancellazione esterna del peccato. Gli effetti interiori sono profondi e trasformanti:

Riconciliazione con Dio: Il peccato rompe la comunione con Dio; la Confessione la ristabilisce, riportandoci alla piena amicizia divina.

Pace e serenità interiore: Ricevere l’assoluzione porta una pace profonda. La coscienza viene liberata dal peso della colpa e si sperimenta una gioia nuova.

Forza spirituale: Attraverso la grazia sacramentale, il penitente riceve una forza speciale per combattere le tentazioni future e per crescere nelle virtù.

Riconciliazione con la Chiesa: Poiché ogni peccato danneggia anche il Corpo Mistico di Cristo, la Confessione ricompone anche il nostro legame con la comunità ecclesiale.

La vitalità spirituale della Chiesa dipende anche dal rinnovamento personale dei suoi membri. I cristiani che riscoprono il Sacramento della Confessione diventano quasi senza accorgersi, più aperti al prossimo, più missionari, più capaci di irradiare la luce del Vangelo nel mondo.
Solo chi ha sperimentato il perdono di Dio può annunciarlo con convinzione agli altri.

Il Sacramento della Confessione è un dono immenso e insostituibile. È la via ordinaria attraverso la quale il cristiano può ritornare a Dio ogni volta che si allontana. Non è un peso, ma un privilegio; non una umiliazione, ma una liberazione.

Siamo chiamati, dunque, a riscoprire questo Sacramento nella sua verità e nella sua bellezza, a praticarlo con cuore aperto e fiducioso, e a proporlo con gioia anche a coloro che si sono allontanati. Come afferma il salmista: “Beato l’uomo a cui è tolta la colpa e rimesso il peccato” (Sal 32,1).

Oggi, più che mai, il mondo ha bisogno di anime purificate e riconciliate, capaci di testimoniare che la misericordia di Dio è più forte del peccato. Se non lo abbiamo fatto alla Pasqua, approfittiamo del mese mariano di maggio e accostiamoci senza paura alla Confessione: lì ci attende il sorriso di un Padre che non smette mai di amarci.




Finalmente in Patagonia

Tra il 1877 e il 1880 si compie la svolta missionaria salesiana verso la Patagonia. Dopo l’offerta del 12 maggio 1877 della parrocchia di Carhué, don Bosco sogna l’evangelizzazione delle terre australi, ma don Cagliero lo invita alla prudenza dinanzi alle difficoltà culturali. I tentativi iniziali subiscono ritardi, mentre la “campagna del deserto” del generale Roca (1879) ridefinisce gli equilibri con gli indios. Il 15 agosto 1879 l’arcivescovo Aneiros affida ai salesiani la missione patagonica: «È arrivato finalmente il momento, in cui posso offrirvi la Missione della Patagonia, verso la quale il vostro cuore ha tanto sospirato». Il 15 gennaio 1880 parte il primo gruppo guidato da don Giuseppe Fagnano, inaugurando l’epopea salesiana nel sud argentino.

            A far sospendere a don Bosco e don Cagliero, almeno temporaneamente, qualunque progetto missionario in Asia fu la notizia del 12 maggio 1877: l’arcivescovo di Buenos Aires aveva offerto ai salesiani la missione di Caruhé (a sud est della provincia di Buenos Aires), luogo di presidio e di frontiera tra numerose tribù di indigeni del vastissimo deserto della Pampa e della Provincia di Buenos Aires.
            Si aprivano così ai salesiani per la prima volta le porte della Patagonia: don Bosco ne rimase come elettrizzato, ma a raffreddare decisamente i suoi entusiasmi ci pensò subito don Cagliero: “Le ripeto però che a riguardo della Patagonia non bisogna correre con velocità elettrica, né andarci a vapore, perché a questa impresa i Salesiani non sono ancor preparati […] si è pubblicato troppo ed abbiamo potuto fare troppo poco a riguardo degli Indii. L’impresa non bisogna disconoscerla, facile assai ad idearsi, difficile a realizzarsi, ed è troppo poco tempo che siamo qui venuti, e ci conviene sì con zelo ed attività lavorare a questo scopo, ma non fare fracasso, per non suscitare ammirazione a questa gente di qui, per volere aspirare noi, arrivati jeri, alla conquista di un paese che ancora non conosciamo e di cui ignoriamo persino la lingua”.
            Venuta meno l’opzione di Carmen de Patagónes con la parrocchia affidata dall’arcivescovo ad un padre lazzarista, ai salesiani rimasero aperte quella appunto più a nord di Carhué e quella più a sud di Santa Cruz, per la quale don Cagliero ottenne un passaggio navale in primavera, che gli avrebbe fatto rimandare di sei mesi il previsto rientro in Italia.
            La decisione di chi dovesse “entrare il primo nella Patagonia” la lasciava così a don Bosco, che invece intendeva offrire a lui tale onore. Ma prima ancora di venirne a conoscenza, don Cagliero decise di rientrare: “La Patagonia mi attende, quei di Dolores, del Carhué, del Chaco ci domandano, ed io li contento tutti scappando!” (8 luglio 1877). Rientrò per partecipare al 1°Capitlo Generale della società salesiana che si sarebbe tenuto a Lanzo Torinese nel settembre. Fra l’altro era sempre membro del Capitolo superiore della congregazione, in cui ricopriva l’importante ruolo di Catechista generale (vale il numero tre della congregazione, dopo don Bosco e don Rua).
            L’anno 1877 si chiuse con la terza spedizione di 26 missionari capitanati da don Giacomo Costamagna e con la nuova richiesta di don Bosco alla Santa Sede di una Prefettura a Carhué e un Vicariato a Santa Cruz. Eppure, a dire il vero, in tutto l’anno l’evangelizzazione diretta dei salesiani fuori città si era limitata alla breve esperienza di don Cagliero e del chierico Evasio Rabagliati nella colonia italiana di Villa Libertad a Entre Ríos (aprile 1877) ai confini della Diocesi del Paranà e ad alcune escursioni nel campo pampeano dei salesiani di S. Nicolás de los Arroyos.

Il sogno si realizza (1880)
            Nel maggio 1878 falliva per una tormenta oceanica il primo tentativo di raggiungere Carhué da parte di don Costamagna e del chierico Rabagliati. Ma intanto don Bosco era già ritornato alla carica con il nuovo Prefetto di Propaganda Fide, cardinal Giovanni Simeoni proponendogli un Vicariato o Prefettura con sede a Carmen, come aveva suggerito lo stesso don Fagnano che lo vedeva come punto strategico per raggiungere gli indigeni.
            L’anno dopo (1879), proprio mentre veniva meno un progetto di entrata dei Salesiani in Paraguay, si aprivano loro finalmente le porte della Patagonia. Nell’aprile infatti il generale Julio A. Roca dava inizio alla famosa “campagna del deserto” con l’obiettivo di sottomettere gli indios e ottenere sicurezza interna, respingendoli oltre i fiumi Río Negro e Neuquén. Era il “colpo di grazia” al loro sterminio, dopo i numerosi massacri dell’anno precedente.
            Il vicario generale di Buenos Aires, monsignor Espinosa, come cappellano di un esercito forte di seimila uomini, si fece accompagnare dal chierico argentino Luigi Botta e da don Costamagna. Il futuro vescovo si rese subito conto dell’ambiguità della loro posizione, ne scrisse immediatamente a don Bosco, ma non vide altra via per aprire la strada della Patagonia ai missionari salesiani. Ed in effetti appena il governo chiese all’arcivescovo di stabilire alcune missioni sulle sponde del Río Negro e nella Patagonia, si pensò subito ai salesiani.
            Questi, dal loro canto, avevano in animo di chiedere al governo la concessione per dieci anni di un territorio da loro amministrato in cui costruire, con materiali pagati dal governo e con manodopera degli indios, gli edifici indispensabili per una sorta di reducción in quel territorio: gli indigeni avrebbero evitato la contaminazione dei coloni cristiani “corrotti e viziosi” ed i missionari vi avrebbero piantato la croce di Cristo e la bandiera argentina. Ma l’ispettore salesiano don Francesco Bodrato non se la sentì di decidere da solo e don Lasagna nel maggio lo sconsigliò per il fatto che il governo Avellaneda era alla fine del suo mandato e non era interessato al problema religioso. Meglio dunque conservare salesianamente indipendenza e libertà d’azione.
            Il 15 agosto 1879 monsignor Aneiros offriva formalmente a don Bosco la missione patagonica: “È arrivato finalmente il momento, in cui posso offrirvi la Missione della Patagonia, verso la quale il vostro cuore ha tanto sospirato, come la cura d’anime tra i Patagoni, che può servire di centro alla missione”.
            Don Bosco la accettò subito e di buon grado, anche se essa non era ancora il tanto sospirato consenso all’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche autonome rispetto all’arcidiocesi di Buenos Aires, realtà costantemente avversata dall’Ordinario diocesano.

La partenza
            Il drappello di missionari partì alla volta della sospirata Patagonia il 15 gennaio 1880: era composto da don Giuseppe Fagnano, direttore della Missione e parroco a Carmen de Patagónes (il padre lazzarista si era ritirato), due sacerdoti, di cui uno si occupava della parrocchia di Viedma sull’altra riva del Río Negro, un salesiano laico (coadiutore) e quattro suore. In dicembre a dar man forte arrivò don Domenico Milanesio e pochi mesi dopo don Giuseppe Beauvoir con un altro coadiutore novizio. L’epopea missionaria salesiana in Patagonia incominciava.




Habemus Papam: Leone XIV

L’8 maggio 2025, memoria della Beata Vergine del Rosario di Pompei, è stato eletto il cardinale Robert Francis Prevost (69 anni) come 267º Pontefice. È il primo Papa nato negli Stati Uniti e ha scelto il nome Leone XIV.

Presentiamo il suo profilo biografico essenziale

Nascita: 14 settembre 1955, Chicago (Illinois, USA)
Famiglia: Louis Marius Prevost (di origini francesi e italiane) e Mildred Martínez (di origini spagnole); fratelli Louis Martín e John Joseph
Lingue: Inglese, spagnolo, italiano, portoghese e francese; legge latino e tedesco
Soprannome in Perù: “Latin Yankee” – sintesi della sua doppia anima culturale
Cittadinanza: statunitense e peruviana

Formazione
– Seminario minore agostiniano (1973)
– Laurea in Scienze matematiche, Villanova University (1977)
– Master of Divinity, Catholic Theological Union, Chicago (1982)
– Licenza in Diritto Canonico, Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – Angelicum (1984)
– Dottorato in Diritto Canonico, Pontificia Università San Tommaso d’Aquino – Angelicum (1987), con la tesi: “Il ruolo del priore locale dell’Ordine di Sant’Agostino”
– Professione religiosa: noviziato di Saint Louis della provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio dell’Ordine di Sant’Agostino (1977)
– Voti solenni (29.08.1981)
– Ordinazione sacerdotale: 19.06.1982, Roma (dall’arcivescovo Jean Jadot)

Ministero e incarichi principali
1985-1986: Missionario a Chulucanas, Piura (Perù)
1987: Direttore delle vocazioni e direttore delle missioni della Provincia Agostiniana “Madre del Buon Consiglio” di Olympia Fields, in Illinois (USA)
1988: Invio nella missione di Trujillo (Perù) come direttore del progetto di formazione comune degli aspiranti agostiniani dei Vicariati di Chulucanas, Iquitos e Apurímac
1988-1992: Direttore della comunità
1992-1998: Insegnante dei professi
1989-1998: Vicario giudiziario nell’Arcidiocesi di Trujillo, professore di Diritto Canonico, Patristica e Morale nel Seminario Maggiore “San Carlos e San Marcelo”
1999: Priore provinciale della Provincia “Madre del Buon Consiglio” (Chicago)
2001-2013: Priore Generale degli Agostiniani per due mandati (ca. 2700 religiosi in 50 Paesi)
2013: insegnante dei professi e vicario provinciale nella sua Provincia (Chicago)
2014: Amministratore apostolico della Diocesi Chiclayo e vescovo titolare di Sufar, Perù (nomina episcopale nel 03.11.2014)
2014: consacrazione episcopale, nella festa di Nostra Signora di Guadalupe (12.12.2014)
2015: nominato vescovo di Chiclayo (26.09.2015)
2018: 2º vicepresidente della Conferenza Episcopale del Perù (08.03.2018 – 30.01.2023)
2020: Amministratore apostolico di Callao, Perù (15.04.2020 – 17.04.2021)
2023: Arcivescovo ad personam (30.01.2023 – 30.09.2023)
2023: Prefetto del Dicastero per i Vescovi (30.01.2023 [12.04.2023] – 09.05.2025)
2023: Presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina (30.01.2023 [12.04.2023] – 09.05.2025)
2023: Creato cardinale diacono, titolare di S. Monica degli Agostiniani (30.09.2023 [28.01.2024] – 06.02.2025)
2025: Promosso cardinale vescovo della diocesi suburbicaria di Albano (06.02.2025 – 08.05.2025)
2025: Eletto Sommo Pontefice (08.05.2025)

Servizio nella Curia Romana
È stato membro dei dicasteri per l’Evangelizzazione, Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari; per la Dottrina della Fede; per le Chiese Orientali; per il Clero; per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica; per la Cultura e l’Educazione; per i Testi Legislativi, e della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano

Che lo Spirito Santo illumini il suo ministero, come fece con il grande sant’Agostino.
Preghiamo per un pontificato fecondo e ricco di speranza!




Elezione del 266° successore di san Pietro

Ogni morte o rinuncia di un Pontefice apre una delle fasi più delicate della vita della Chiesa cattolica: l’elezione del Successore di san Pietro. Sebbene l’ultimo conclave risalga al marzo 2013, quando Jorge Mario Bergoglio è diventato Papa Francesco, comprendere come si elegge un Papa resta fondamentale per cogliere il funzionamento di un’istituzione millenaria che incide su oltre 1,3 miliardi di fedeli e — indirettamente — sulla geopolitica mondiale.

1. La sede vacante
Tutto inizia con la sede vacante, ossia il periodo che intercorre fra la morte (o la rinuncia) del Pontefice regnante e l’elezione del nuovo. La Costituzione apostolica Universi Dominici Gregis, promulgata da Giovanni Paolo II il 22 febbraio 1996 e aggiornata da Benedetto XVI nel 2007 e 2013, stabilisce procedure dettagliate.

Accertamento della vacanza
In caso di decesso: il Cardinale Camerlengo — oggi il card. Kevin Farrell — constata ufficialmente la morte, chiude e sigilla l’appartamento pontificio, e notifica l’evento al Cardinale Decano del Collegio cardinalizio.
In caso di rinuncia: la sede vacante scatta nell’orario indicato dall’atto di dimissioni, come avvenne alle 20:00 del 28 febbraio 2013 per Benedetto XVI.

Amministrazione ordinaria
Durante la sede vacante, il Camerlengo governa materialmente il patrimonio della Santa Sede ma non può compiere atti che spettano esclusivamente al Pontefice (nomine vescovili, decisioni dottrinali, ecc.).

Congregazioni generali e particolari
Tutti i cardinali — elettori e non — presenti a Roma si riuniscono nella Sala del Sinodo per discutere questioni urgenti. Le “particolari” includono Camerlengo e tre cardinali estratti a sorte a rotazione; le “generali” convocano l’intero corpo cardinalizio e vengono impiegate, fra l’altro, per fissare la data di inizio del conclave.

2. Chi può eleggere e chi può essere eletto
Gli elettori
Dal motu proprio Ingravescentem aetatem (1970) di Paolo VI, solo i cardinali che non abbiano compiuto 80 anni prima dell’inizio della sede vacante hanno diritto di voto. Il numero massimo di elettori è fissato a 120, ma può essere superato temporaneamente a causa di concistori ravvicinati.
Gli elettori devono:
– essere presenti a Roma entro l’inizio del conclave (salvo motivi gravi);
– prestare giuramento di segretezza;
– alloggiare nella Domus Sanctae Marthae, la residenza voluta da Giovanni Paolo II per garantire dignità e discrezione.
La clausura non è un vezzo medievale: mira a tutelare la libertà di coscienza dei cardinali e a proteggere la Chiesa da indebite ingerenze. Violare il segreto comporta scomunica automatica.

Gli eleggibili
In teoria qualunque battezzato di sesso maschile può essere eletto Papa, in quanto l’ufficio petrino è di diritto divino. Tuttavia, dal Medioevo ad oggi il Papa è sempre stato scelto fra i cardinali. Qualora venisse scelto un non cardinale o addirittura un laico, egli dovrebbe ricevere immediatamente ordinazione episcopale.

3. Il conclave: etimologia, logistica e simbolismo
Il termine “conclave” deriva dal latino cum clave, “con chiave”: i cardinali vengono “rinchiusi” fino all’elezione, per evitare pressioni esterne. La clausura è garantita da alcune regole:
– Luoghi consentiti: Cappella Sistina (votazioni), Domus Sanctae Marthae (alloggio), un percorso riservato fra i due edifici.
– Divieto di comunicazione: apparecchi elettronici consegnati, jam di segnali, controllo anti microspy.
– Segretezza assicurata anche da un giuramento che prevede sanzioni spirituali (scomunica latae sententiae) e canoniche.

4. Ordine del giorno tipico del conclave
1. Messa “Pro eligendo Pontifice” nella Basilica di San Pietro la mattina dell’ingresso in conclave.
2. Processione in Sistina recitando il Veni Creator Spiritus.
3. Giuramento individuale dei cardinali, pronunciato davanti all’Evangeliario.
4. Extra omnes! (“Fuori tutti!”): il Maestro delle Celebrazioni liturgiche pontificie congeda i non aventi diritto.
5. Prima votazione (facoltativa) nel pomeriggio del giorno d’ingresso.
6. Doppia votazione quotidiana (mattina e pomeriggio) con, al termine, lo scrutinio.

5. Procedura del voto
Ogni tornata segue quattro momenti:
5.1. Praescrutinium. Distribuzione e compilazione in latino della scheda “Eligo in Summum Pontificem…”.
5.2. Scrutinium. Ciascun cardinale, portando la scheda piegata, pronuncia: “Testor Christum Dominum…”. Depone la scheda nell’urna.
5.3. Post-scrutinium. Tre scrutatores (scrutatori) estratti a sorte contano le schede, leggono ad alta voce ogni nome, lo registrano e perforano la scheda con ago e filo.
5.4. Bruciatura. Schede e appunti vengono bruciati in una stufa speciale; il colore del fumo indica l’esito.
Per essere eletto serve la maggioranza qualificata, ossia, due terzi dei voti validi.

6. Il fumo: nera attesa, bianca gioia
Dal 2005, per rendere inequivocabile il segnale ai fedeli in Piazza San Pietro, si aggiunge un reagente chimico:
– Fumo nero (fumata nera): nessun eletto.
– Fumo bianco (fumata bianca): Papa eletto; suonano anche le campane.
Dopo la fumata bianca, ci vorranno altri 30 minuti o un’ora prima che il nuovo Papa venga nominato dal Cardinale Diacono in Piazza San Pietro. Poco dopo (dai 5 ai 15 minuti), il nuovo Papa apparirà per impartire una benedizione Urbi et Orbi.

7. “Acceptasne electionem?” – Accettazione e nome pontificio
Quando qualcuno raggiunge la soglia necessaria, il Cardinale Decano (o il più anziano per ordine e anzianità giuridica, se il Decano è l’eletto) chiede: «Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem?» (Accetti l’elezione?). Se l’eletto acconsente — Accepto! — gli viene domandato: «Quo nomine vis vocari?» (Con quale nome vuoi essere chiamato?). L’assunzione del nome è un atto carico di significati teologici e pastorali: richiama modelli (Francesco d’Assisi) o intenzioni riformatrici (Giovanni XXIII).

8. Riti immediatamente successivi
8.1 Vestizione.
8.2 Ingresso nella Cappella del Pianto, dove il nuovo Papa può raccogliersi.
8.3 Oboedientia: i cardinali elettori sfilano per il primo atto di ubbidienza.
8.4 Annuncio al mondo: il cardinale Protodiacono compare sulla Loggia centrale con il celebre «Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!».
8.5 Prima benedizione “Urbi et Orbi” del nuovo Pontefice.

Da quel momento prende possesso dell’ufficio e inizia formalmente il suo pontificato, mentre l’incoronazione con il pallio petrino e l’anello del Pescatore avvengono nella Messa di inaugurazione (di solito la domenica successiva).

9. Alcuni aspetti storici e sviluppo delle norme
I–III secolo. Acclamazione del clero e del popolo romano. In assenza di una normativa stabile era forte l’influenza imperiale.
1059 – In nomine Domini. Collegio cardinalizio. Niccolò II limita l’intervento laicale; nascita ufficiale del conclave.
1274 – Ubi Periculum. Clausura obbligatoria. Gregorio X riduce le manovre politiche, introduce la reclusione.
1621–1622 – Gregorio XV. Scrutinio segreto sistematico. Perfezionamento delle schede; requisiti dei due terzi.
1970 – Paolo VI. Limite di età a 80 anni. Riduce l’elettorato, favorendo decisioni più rapide.
1996 – Giovanni Paolo II. Universi Dominici Gregis. Codifica moderna del processo, introduce Domus Sanctae Marthae.

10. Alcuni dati concreti di questo Conclave
Cardinali viventi: 252 (età media: 78,0 anni).
Cardinali votanti: 133 (135). Il Cardinale Antonio Cañizares Llovera, Arcivescovo emerito di Valencia, Spagna e il Cardinale John Njue, Arcivescovo emerito di Nairobi, Kenya, hanno comunicato che non potranno partecipare al conclave.
Dei 135 cardinali votanti, 108 (80%) sono stati nominati da Papa Francesco. 22 (16%) sono stati nominati da Papa Benedetto XVI. I restanti 5 (4%) sono stati nominati da Papa san Giovanni Paolo II.
Dei 135 cardinali votanti, 25 hanno partecipato come elettori al Conclave del 2013.
Età media dei 134 cardinali elettori partecipanti: 70,3 anni.
Anni medi di servizio come cardinale dei 134 cardinali elettori partecipanti: 7,1 anni.
Durata media di un papato: circa 7,5 anni.

Inizio del Conclave: 7 maggio, Cappella Sistina.
Cardinali votanti nel Conclave: 134. Numero dei voti richiesto per l’elezione è 2/3, ossia 89 voti.

Orario delle votazioni: 4 voti al giorno (2 al mattino, 2 al pomeriggio).
Dopo 3 giorni interi (ovvero da definire), il voto viene sospeso per un giorno intero (“per consentire una pausa di preghiera, una discussione informale tra gli elettori e una breve esortazione spirituale”).
Seguono altre 7 schede e un’altra pausa fino a un giorno intero.
Seguono altre 7 schede e un’altra pausa fino a un giorno intero.
Seguono altre 7 schede e poi una pausa per valutare come procedere.

11. Dinamiche “interne” non scritte
Pur nella rigida cornice giuridica, la scelta del Papa è un processo spirituale pero e anche umano influenzato da:
– Profili dei candidati (“papabili”): provenienza geografica, esperienze pastorali, competenze dottrinali.
– Correnti ecclesiali: curiale o pastorale, riformista o conservatrice, sensibilità liturgiche.
– Agenda globale: rapporti ecumenici, dialogo interreligioso, crisi sociali (migranti, cambiamento climatico).
– Lingue e reti personali: i cardinali tendono a riunirsi per regioni (gruppo dei “latinoamericani”, “africani”, ecc.) e a confrontarsi informalmente nei pasti o nelle “passeggiate” nei giardini vaticani.

Un evento spirituale e istituzionale insieme
L’elezione di un Papa non è un passaggio tecnico paragonabile a un’assemblea societaria. Nonostante la dimensione umana, è un atto spirituale guidato essenzialmente dallo Spirito Santo.
La cura di norme minuziose — dal sigillo delle porte della Sistina alla combustione delle schede — mostra come la Chiesa abbia trasformato la propria lunga esperienza storica in un sistema oggi percepito come stabile e solenne.
Sapere come si sceglie un Papa, quindi, non è soltanto curiosità: è comprendere la dinamica fra autorità, collegialità e tradizione che regge la più antica istituzione religiosa ancora operante su scala mondiale. E, in un’epoca di cambiamenti vertiginosi, quel “fumetto” che si leva dal tetto della Sistina continua a ricordare che decisioni secolari possono ancora parlare al cuore di miliardi di persone, dentro e fuori la Chiesa.
Questa conoscenza dei dati e delle procedure ci aiutino a pregare più intensamente, come si deve pregare davanti ad ogni decisione importante che affetti la nostra vita.