Servi di Dio Giovanni Świerc e otto Compagni di martirio. Pastori che diedero la vita

Le ideologie estremiste, cioè le idee alzate a rango di verità assolute, portano sempre sofferenza e morte quando vogliono imporsi ad ogni costo contro coloro che non le accettano. A volte basta appartenere ad una nazione o a un gruppo sociale per soffrire le conseguenze. È il caso dei martiri salesiani polacchi presentati in questo articolo.

Al numero delle vittime del nazismo appartengono anche nove Salesiani sacerdoti polacchi, i Servi di Dio don Jan Świerc e gli VIII Compagni: don Ignacy Antonowicz, don Karol Golda, don Włodzimierz Szembek, don Franciszek Harazim, don Ludwik Mroczek, don Ignacy Dobiasz, don Kazimierz Wojciechowski e don Franciszek Miśka, uccisi in odium fidei nei campi di sterminio nazisti negli anni 1941-1942. Come sacerdoti, tutti i Servi di Dio furono impegnati in Polonia in diverse attività pastorali e di governo e nell’insegnamento. Furono del tutto estranei rispetto alle tensioni politiche che agitarono la Polonia durante l’occupazione bellica. Ciononostante, furono arrestati e martirizzati in odium fidei per il fatto stesso di essere sacerdoti cattolici.
La fortezza e la serena perseveranza conservata dai Servi di Dio nell’espletamento del proprio ministero sacerdotale anche durante la prigionia rappresentarono un vero e proprio atto di sfida per i nazisti: seppur sfiniti da umiliazioni e torture, in sfregio a qualsiasi divieto, i Servi di Dio furono custodi fino alla fine delle anime loro affidate e si dimostrarono pronti, nonostante l’umana debolezza, ad accogliere con Dio e per Dio la morte.
Il campo di concentramento di Auschwitz, noto a tutti come il campo della morte, e quello di Dachau per don Miśka, divennero dunque il luogo dell’impegno sacerdotale di questi salesiani sacerdoti: alla negazione della dignità umana e della vita, don Jan Świerc e 8 compagni risposero offrendo, attraverso i sacramenti, la forza della grazia e la speranza dell’eternità. Essi accolsero, sostennero per mezzo dell’Eucaristia e della confessione e prepararono ad una morte serena moltissimi compagni di prigionia. Tale servizio, non di rado, fu reso nel nascondimento, approfittando del buio della notte e sotto la costante e pressante minaccia di severe punizioni o più spesso della morte.
I Servi di Dio, come veri discepoli di Gesù, non pronunciarono mai parole di sdegno o odio nei confronti dei persecutori. Arrestati, percossi, umiliati nella loro dignità umana e sacerdotale, offrirono a Dio la loro sofferenza e si mantennero fedeli fino alla fine, certi che non rimane deluso chi tutto ripone nella divina volontà. La loro serenità interiore ed il loro contegno, manifestati anche nell’ora della morte, furono talmente straordinari da lasciare stupiti, ed in alcuni casi indignare, gli stessi aguzzini.
Presentiamo i loro profili biografici.

Don Ignacy Antonowicz

Ignacy Antonowicz nacque nel 1890 a Więsławice, contea di Włocławek, nella Polonia centro-settentrionale. Nel 1901 entrò nel ginnasio salesiano di Oświęcim, dove rimase fino al 1905. Tra il 1905 e il 1906 completò il noviziato a Daszawa. Emise la professione perpetua nell’agosto 1909 in Italia, a Lanzo Torinese. Fu ordinato sacerdote il 22 aprile 1916 a Roma. Don Ignacy insegnò dogmatica presso lo Studentato teologico di Foglizzo (Torino) tra il 1916 e il 1917. Nel 1919, durante la guerra russo-polacca, fu cappellano militare nell’armata polacca. Tra il 1919 e il 1920 fu a Cracovia come professore nello Studentato teologico. Il 1° luglio 1934 venne nominato consigliere dell’Ispettoria Polacca San Giacinto di Cracovia fino a tutto il 1936. Nel 1936 assunse l’incarico di direttore dello Studentato Teologico Salesiano Immacolata Concezione di Cracovia che mantenne fino all’arresto, avvenuto il 23 maggio 1941. Fu detenuto per un mese nella prigione di Montelupich a Cracovia, poi venne condotto nel campo di concentramento di Oświęcim. Venne ucciso il 21 luglio 1941. Aveva 51 anni di età, 34 di professione religiosa e 25 di sacerdozio.

Don Karol Golda

Karol Golda nacque il 23 dicembre 1914 a Tychy, in Alta Slesia. Terminata la quarta elementare, si trasferì nel ginnasio “Boleslaw Chrobry” di Pszczyna. Frequentò invece la sesta classe nel ginnasio dei salesiani a Oświęcim. Nel giugno 1931 si recò nella Casa di Czerwińsk per cominciare il noviziato. Il 15 gennaio 1937 emise la professione religiosa perpetua a Roma. Il 18 dicembre 1938 venne ordinato sacerdote a Roma, dove si trattenne per altri sei mesi per conseguire la licenza in teologia. Nel luglio 1939 tornò in Polonia. Scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e don Karol nell’ottobre 1939 si recò in Slesia e poi ad Oświęcim dove rimase, perché privo del necessario permesso di viaggiare verso l’Italia da parte delle autorità d’occupazione. A don Karol Golda fu affidato l’insegnamento della teologia nell’Istituto salesiano di Oświęcim e fu nominato consigliere scolastico. Fu arrestato dai funzionari della Gestapo il 31 dicembre 1941 ed ucciso il 14 maggio 1942, dopo appena tre anni e mezzo di sacerdozio.

Don Włodzimierz Szembek

Il Servo di Dio don Włodzimierz Szembek, figlio dei conti Zygmunt e Klementyna della famiglia Dzieduszycki, nacque il 22 aprile 1883 a Poręba Żegoty, vicino Cracovia. Nel 1907 conseguì la laurea in ingegneria agraria presso l’università Jagellonica di Cracovia. Per circa vent’anni si occupò dell’amministrazione dei poderi della madre e fu impegnato nell’apostolato laico. Compiuti i 40 anni, la vocazione religiosa del Servo di Dio giunse a maturazione. Il 4 febbraio 1928 entrò nell’aspirantato di Oświęcim. Sul finire del 1928 iniziò il noviziato a Czerwińsk. Emise la professione religiosa il 10 agosto 1929. Il 3 giugno 1934 ricevette l’ordinazione sacerdotale a Cracovia. Il 9 luglio 1942 viene arrestato dalla Gestapo e portato a Nowy Targ. Il successivo 19 agosto è condotto nel campo di concentramento di Auschwitz, dove muore il 7 settembre 1942 stremato dalle sofferenze e a seguito dei maltrattamenti subiti. Aveva 59 anni di età, 13 di professione e 9 di sacerdozio.

Don Franciszek Harazim

Franciszek Ludwik Harazim nacque il 22 agosto 1885 ad Osiny, distretto Rybnik in Slesia. Frequentò la scuola elementare dapprima a Baranowicze, in seguito a Osiny. Nel 1901 fece il suo ingresso nell’istituto salesiano di Oświęcim per frequentarvi il ginnasio. Completò il noviziato a Daszawa nel 1905/1906. Il 24 marzo 1910 emise i voti perpetui. Fu ordinato sacerdote a Ivrea il 29 maggio 1915.  Tra il 1915 e il 1916 insegnò nel ginnasio di Oświęcim, di cui fu nominato preside tra il 1916 e il 1918. Negli anni 1918-1920 insegnò filosofia nel seminario maggiore salesiano a Cracovia (Łosiówka). Negli anni 1922-1927 il Servo di Dio rivestì l’incarico di direttore del ginnasio salesiano ad Aleksandrów Kujawski. Nel 1927 tornò nuovamente al seminario maggiore di Cracovia come consigliere, insegnante ed educatore dei chierici. Nel luglio 1938 don Franciszek fu nominato professore presso la casa di Cracovia-Łosiówka. Venne arrestato dalla Gestapo a Cracovia il 23 maggio 1941. Fu trasportato dapprima in via Konfederacka e poi, insieme agli altri confratelli, nella prigione di Montelupich. Un mese dopo, il 26 giugno 1941, venne condotto nel campo di concentramento di Auschwitz. Venne ucciso il 27 giugno 1941 sul famoso Ghiaione. Non aveva ancora compiuto 56 anni: di questi 34 furono di professione religiosa e 26 di sacerdozio.

Don Ludwik Mroczek

Ludwik Mroczek nacque a Kęty (Cracovia) l’11 agosto 1905. Nel 1917, dopo aver frequentato la scuola a Kęty, venne ammesso nell’istituto salesiano di Oświęcim dove portò a termine gli studi ginnasiali. Svolse il noviziato a Klecza Dolna. Lo completò il 7 agosto del 1922. Emise i voti perpetui il 14 luglio 1928 a Oświęcim. A Przemyśl ricevette l’ordinazione sacerdotale il 25 giugno 1933. Ordinato sacerdote, lavorò a Oświęcim (nel 1933), a Leopoli (nel 1934), a Przemyśl (nel 1934 e nel 1938/39), a Skawa (nel 1936/37), a Częstochowa (nel 1939). Il 22 maggio 1941, appena terminata la celebrazione della messa, venne arrestato e trasferito insieme ad altri confratelli nel campo di concentramento di Oświęcim. Qui morì il 5 gennaio 1942: aveva 36 anni di età, 18 di professione religiosa e 8 di sacerdozio.

Don Jan Świerc

Jan Świerc nacque a Królewska Huta (oggi Chorzów, in Alta Slesia) il 29 aprile 1877. Completò gli studi ginnasiali a Torino Valsalice. Tra il 1897 e il 1898 svolse il noviziato ad Ivrea. Qui emise i voti perpetui il 3 ottobre 1899. Il 6 giugno 1903 fu ordinato sacerdote a Torino. Nel 1911 venne nominato direttore della casa di Cracovia dall’allora Rettor Maggiore don Paolo Albera. Dal settembre 1911 all’aprile 1918 ricoprì l’incarico di direttore dell’istituto Lubomirski a Cracovia. Nel 1924, per un periodo di sette mesi, fu impegnato come missionario in America. Dal novembre 1925 all’ottobre 1934 fu direttore e parroco a Przemyśl. Il 15 agosto 1934 venne nominato direttore della casa di Leopoli. Nel luglio 1938 assunse l’incarico di direttore e parroco della casa di via Konfederacka n. 6 a Cracovia per il triennio 1938-1941. Il 23 maggio 1941 venne arrestato dalla Gestapo insieme ad altri confratelli e condotto in carcere a Montelupich. Il 26 giugno 1941 fu trasferito nel campo di concentramento di Auschwitz e, dopo appena un giorno, venne ucciso: aveva 64 anni di età, 42 di professione religiosa e 38 di sacerdozio.

Don Ignacy Dobiasz

Ignacy Dobiasz nacque a Ciechowice (in Alta Slesia) il 14 gennaio 1880. Completata la scuola elementare, nel maggio 1894 si recò in Italia, a Torino Valsalice, per svolgervi gli studi ginnasiali. Il 16 agosto 1898 entrò nel noviziato salesiano di Ivrea. Emise i voti perpetui a San Benigno Canavese il 21 settembre 1903. Compì gli studi filosofici e teologici a San Benigno Canavese e a Foglizzo fra il 1904 e il 1908. Il 28 giugno 1908 venne ordinato sacerdote a Foglizzo. Tornò poi in Polonia: svolse la propria attività pedagogica e pastorale a Oświęcim (nel 1908, nel 1910, nel 1921 e nel 1923), a Daszawa (nel 1909), a Przemyśl (1912-1914) e a Cracovia (tra il 1916 e il 1920 e nel 1922). Nel 1931 fu a Varsavia come vicario. Nel novembre 1934 si recò invece a Cracovia dove rimase come confessore e collaboratore parrocchiale. Qui venne arrestato insieme ad altri confratelli salesiani il 23 maggio 1941. Dopo una breve detenzione nella prigione di Montelupich, fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. Il 27 giugno 1941 morì a causa dei maltrattamenti e del lavoro disumano. Aveva 61 anni d’età, 40 di professione e 32 di sacerdozio.

Don Kazimierz Wojciechowski

Kazimierz Wojciechowsky nacque a Jasło (Galizia) il 16 agosto 1904. Rimasto orfano di padre a soli cinque anni, venne accolto nell’istituto del principe Lubomirski a Cracovia. Intraprese il ginnasio nel 1916 presso l’istituto salesiano di Oświęcim. Nel 1920 iniziò il noviziato a Klecza Dolna. Emise i voti perpetui il 2 maggio 1928 a Oświęcim. Fra il 1924 e il 1925 insegnò musica e matematica a Ląd. Il 19 maggio 1935 venne ordinato sacerdote a Cracovia. Nel 1935-1936 fu a Daszawa e a Cracovia, dove insegnò religione e venne nominato direttore dell’oratorio e dell’Associazione Cattolica giovanile. Il Servo di Dio venne arrestato a Cracovia il 23 maggio 1941 con altri confratelli salesiani. Il 26 giugno 1941 fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz dove, dopo appena un giorno, venne ucciso. Aveva 37 anni di età, 19 di professione e 6 di sacerdozio.

Don Franciszek Miśka

Franciszek Miśka nacque a Swierczyniec (Alta Slesia) il 5 dicembre 1898. Portò a termine il ginnasio nell’istituto salesiano di Oświęcim. Entrò nel noviziato di Pleszów nel 1916. Emise la professione perpetua ad Oświęcim il 25 luglio 1923. Compì gli studi teologici a Torino-Crocetta. Fu ordinato sacerdote il 10 luglio 1927 a Torino. Fece poi ritorno in Polonia. Nel 1929 fu nominato consigliere e catechista nell’orfanotrofio di Przemyśl. Nel 1931 e per i cinque anni successivi fu a Jaciążek come direttore. Nel 1936 venne nominato parroco della parrocchia di Ląd. Nel 1941 divenne direttore della casa dei Figli di Maria e parroco di Ląd.  Il 6 gennaio 1941 l’istituto salesiano di Ląd viene trasformato dalla Gestapo in prigione per i sacerdoti della diocesi di Włocławek e di Gniezno-Poznań. A don Franciszek viene affidato dalle autorità tedesche il compito di mantenere l’ordine e provvedere al sostentamento dei detenuti. Per non precisate ragioni fu trasferito più volte a Inowrocław e qui brutalmente torturato. Il 30 ottobre del 1941 il Servo di Dio venne trasportato nel campo di concentramento di Dachau (Germania). Qui, sottoposto ai lavori forzati e a condizioni di vita disumane, il 30 maggio 1942, giorno della Santissima Trinità, spirò nella baracca-ospedale del campo. Aveva 43 anni di età, quasi 25 di professione religiosa e quasi 15 di sacerdozio.

La fama di santità e di martirio dei Servi di Dio don Jan Świerc e VIII Compagni, sebbene ostacolata durante il periodo comunista, si diffuse già a partire dalla loro morte e si manifesta viva ancora oggi. Furono considerati sacerdoti esemplari, dediti alla pastorale ed alle opere di carità, affabili, sempre disponibili, in tutto interessati a rendere gloria solo a Dio, per amore del quale furono fedeli fino all’effusione del sangue.

Nel 28 marzo 2023, i Consultori storici del Dicastero delle Cause dei Santi hanno espresso voti affermativi in merito alla Positio super martyrio dei Servi di Dio Giovanni Świerc e VIII Compagni, Sacerdoti Professi della Società di San Francesco di Sales, uccisi in odium fidei nei campi di sterminio nazisti negli anni 1941-1942. Preghiamo che siano più presto elevati agli onori degli altari.

Mariafrancesca Oggianu
Collaboratrice Postulazione Generale Salesiana




La “Cronichetta” di don Giulio Barberis: giorno per giorno a Valdocco con don Bosco

Il 21 febbraio 1875 alcuni salesiani decisero di costituire una “commissione storica” per “raccogliere le memorie intorno alla vita di don Bosco”, impegnandosi a “scrivere e leggere insieme ciò che sarà scritto per ottenere la maggior precisione possibile” (così si legge nel verbale scritto da don Michele Rua). Tra essi c’era un giovane sacerdote di 28 anni, che da poco era stato incaricato da don Bosco di organizzare e dirigere il noviziato della congregazione salesiana, secondo le costituzioni ufficialmente approvate l’anno precedente. Il suo nome è don Giulio Barberis, conosciuto soprattutto per essere stato il primo maestro dei novizi dei Salesiani di don Bosco, ruolo che svolse per venticinque anni. In seguito fu ispettore e poi direttore spirituale della congregazione dal 1910 fino alla morte, avvenuta nel 1927.
Egli s’impegnò più degli altri nella “commissione storica”, conservando ricordi e testimonianze dell’attività di don Bosco e della vita dell’oratorio di Valdocco dal maggio 1875 al giugno 1879, quando lasciò Torino per trasferirsi nella nuova sede del noviziato a San Benigno Canavese. Ci ha lasciato una copiosa documentazione tuttora conservata nell’Archivio Salesiano Centrale, tra cui spiccano per significatività i quindici quaderni manoscritti da lui stesso intitolati Cronichetta: da essi molti studiosi e biografi di san Giovanni Bosco hanno attinto (a cominciare da don Lemoyne per le sue Memorie Biografiche), ma finora erano rimasti inediti. L’anno scorso ne è stata pubblicata l’edizione critica, rendendo così disponibile a tutti questa importante e diretta testimonianza su don Bosco e sugli inizi della congregazione da lui fondata.

Don Giulio Barberis, laureato all’università di Torino, era un uomo attento e preciso nel suo lavoro e leggendo le pagine della sua Cronichetta si nota con quanta passione e cura abbia cercato di portare a termine anche quest’opera. Purtroppo più volte egli con rammarico e dispiacere segnala che o per motivi di salute o per i numerosi altri impegni dovette sospendere la redazione dei quaderni o limitarsi a riassumere o soltanto accennare alcuni fatti. Ad un certo punto si trova a dover scrivere: “Che dolorosa sospensione. Perdonami, cara Cronichetta mia: se ti sospendo tante volte e con sospensioni così lunghe, non è che non ti ami sopra ogni altro lavoro, ma è per necessità, cioè per compir prima, almeno nel più grosso, i miei doveri” (quaderno XI, pag. 36). Perciò non ci meravigliamo se la forma delle sue registrazioni non è sempre curata, con alcuni periodi non ben costruiti o qualche imprecisione ortografica; questo non toglie infatti valore a quello che ci ha trasmesso.
I quaderni, infatti, sono una miniera di informazioni con il vantaggio dell’immediatezza rispetto ad altre narrazioni successive, letterariamente più curate, ma necessariamente rielaborate e reinterpretate. In essi troviamo testimonianza di eventi importanti, come la prima spedizione missionaria del 1875, di cui è raccontata dettagliatamente la preparazione, la partenza e gli effetti che produsse.

Vengono descritte le feste più importanti (ad es. Maria Ausiliatrice o la nascita di san Giovanni Battista, onomastico di don Bosco) e come venivano celebrate. Possiamo conoscere le attività ordinarie e straordinarie di Valdocco (la scuola, il teatro, la musica, visite di vari personaggi…): come erano preparate e gestite, cosa funzionava bene e quali aspetti erano da migliorare, in che modo i salesiani sotto la guida di don Bosco si organizzavano e lavoravano insieme, senza nascondere alcune criticità. Non mancano piccoli aspetti della quotidianità: la salute, il cibo, l’economia e molti altri particolari.
Da queste cronache, però, emerge anche lo spirito che animava tutta l’opera: la passione che sosteneva l’impegno spesso soverchiante, l’affetto per don Bosco sia dei salesiani che dei ragazzi, lo stile e le scelte educative, la cura per la crescita delle vocazioni e la formazione dei giovani salesiani. L’autore ad un certo punto annota: “Oh, così fosse davvero che potessimo consumare tutta la vita fino all’ultimo fiato in lavorare nella congregazione a maggior gloria di Dio, ma in modo che nemmanco un respiro nella vita nostra avesse scopo diverso” (quaderno VII, pag. 9).

La Cronichetta presenta inoltre un preciso ritratto di don Bosco negli anni della maturità. Al giorno 15 agosto 1878 don Barberis scrive: “Compleanno di don Bosco. Nato com’è del 1815, compie i 63 anni. Si fece festa. Servì questa circostanza per distribuire i premi agli artigiani. Erano stampate al solito poesie e molte se ne lessero” (quaderno XIII, pag. 82). Molte registrazioni si soffermano sulle caratteristiche della personalità del padre e maestro dei giovani, tra cui alcuni aspetti che nelle narrazioni biografiche successive sono andate perdute, come l’interesse per le scoperte archeologiche e scientifiche del suo tempo. Ma soprattutto appare la totale dedizione alla sua opera, in quegli anni in particolare l’impegno per consolidare la congregazione salesiana e per espandere sempre più il suo raggio d’azione con la fondazione di nuove case in Italia e all’estero.

Risulta comunque difficile riassumere il ricchissimo contenuto di questi quaderni. Si è tentato nell’introduzione al volume di individuare alcuni nuclei tematici che spaziano dalla storia della congregazione salesiana e dalla vita di don Bosco (diversi sono i passaggi in cui Barberis riporta “cose antiche dell’oratorio”) al modello formativo di Valdocco e agli aspetti gestionali ed organizzativi. Sempre nell’introduzione si affrontano altre questioni relative al documento: l’uso che ne è stato fatto, con speciale riferimento alle Memorie Biografiche, il valore storico da dare alle informazioni, lo scopo per cui è stato scritto, nonché la lingua e lo stile utilizzati. Circa quest’ultimo punto notiamo come l’autore, secondo quanto appreso da don Bosco stesso, ha arricchito la sua cronaca con dialoghi, episodi ameni, “buone notti” e sogni di don Bosco, rendendo così la lettura anche interessante e piacevole.

Il volume è anche testimonianza più generale del momento storico in cui è stato scritto, in particolare del travagliato periodo seguito all’unificazione italiana. Nel marzo del 1876 ci fu il cambio di governo per la prima volta guidato dal partito della Sinistra storica. Nell’ottavo quaderno della Cronichetta alla data 6 agosto 1876 troviamo memoria del ricevimento tenutosi al collegio salesiano di Lanzo in occasione dell’inaugurazione della nuova ferrovia, in cui intervennero vari ministri. L’interazione di don Bosco con i politici e il suo interesse per le vicende dell’Italia e di altri stati è ben documentata e le note storiche apposte alla fine di ogni quaderno forniscono le informazioni essenziali. Anche notizie di attualità più spicciola trovano posto nelle varie registrazioni, come la posa dei cavi sottomarini per il telegrafo elettrico o alcune credenze di tipo salutistico e medico dell’epoca.

Questa pubblicazione è un’edizione critica, rivolta quindi principalmente agli studiosi di storia salesiana, ma anche chi volesse approfondire alcuni aspetti della persona del santo fondatore dei salesiani e della sua opera troverà grande utilità dalla lettura, che, superato l’ostacolo dell’italiano ottocentesco, è spesso piacevole.

Per gli interessati, la “Cronichetta” di Giulio Barberis si può acquistare da QUI.

don Massimo SCHWARZEL, sdb




Il miracolo

Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l’amore può fare meraviglie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.

Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: “Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo”.
La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito.
Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul banco tutte le monete.
“Per cos’è? Che cosa vuoi piccola?”.
“È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo”.
“Che cosa dici?” borbottò il farmacista.
“Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c’è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo”.
Il farmacista accennò un sorriso triste.
“Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli”.
“Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?”.

C’era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall’aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione.
Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine. L’uomo si avvicinò a lei.
“Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?”.
“Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa… È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un’operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho”.
“Quanto hai?”.
“Un dollaro e undici centesimi… Ma, sapete…” Aggiunse con un filo di voce, “posso trovare ancora qualcosa…”.
L’uomo sorrise “Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!”. Con una mano raccolse la piccola somma e con l’altra prese dolcemente la manina della bambina.
“Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno”.
Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano.

Quell’uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che poté tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.

“Questa operazione” mormorò la mamma “è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata…”.
La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi…. più, naturalmente l’amore e la fede di una bambina.

Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape, potreste dire a questo monte: “Spostati da qui a là e il monte si sposterà”. Niente sarà impossibile per voi (Vangelo di Matteo 17,20).




Cinquanta anni di servizio. Don Rolando Fernandez

Don Rolando Fernandez, salesiano missionario nelle Filippine, attualmente nella comunità di Dili – Comoro appartenente alla Visitatoria Timor Est (TLS), ha compiuto 50 anni di servizio nella vita sacerdotale, 40 dei quali nel Timor Est.

I fedeli di Baucau hanno celebrato 50 anni di vita sacerdotale di don Rolando Fernandez, sdb, missionario di Pangasinan, Filippine, nel giorno della festa di san Domenico Savio. Si sono uniti nella concelebrazione della Messa di ringraziamento l’Ispettore TLS, don Anacleto Pires, sacerdoti della Diocesi di Baucau e sacerdoti salesiani. Hanno partecipato tante persone, tra cui alcune religiose e Figlie di Maria Ausiliatrice, membri della Famiglia Salesiana, novizi e pre-novizi, rappresentanti del governo, studenti e giovani, riuniti nella cattedrale di Baucau e animati da un gioioso spirito di ringraziamento, celebrando l’amore di Dio attraverso la persona di don Rolando Fernandez, nei suoi quarant’anni di vita e di servizio a favore del popolo timorese.

Amu Orlando, come viene chiamato dalla gente, ha trascorso i suoi dieci anni di vita missionaria in Papua Nuova Guinea, prima di unirsi ad altri missionari che lavoravano a Timor Est a metà degli anni ’80. Questa celebrazione si è svolta a Baucau, perché don Rolando ha operato lì come parroco (1992-1994) e direttore e fondatore della nota Escola Secundária Santo António (ESSA) Teulale-Baucau. Assieme a questa, don Rolando ha portato a termine molte altre opere a Baucau. Solo per citarne alcune, le traduzioni della Parola di Dio nella lingua nazionale, il Tetum e altre opere di stampa. Ha fatto un grande sforzo per offrire ai fedeli preghiere e testi di culto per le celebrazioni liturgiche. L’ultimo dei suoi lasciti, ma non meno importante, che rimarrà nei cuori dei giovani timoresi di tutto il Paese, è l’organizzazione dell’evento Cruz Jovens, per i giovani di Timor Est, iniziato da papa san Giovanni Paolo II a Roma nel 22 aprile 1984 (la prima Giornata Mondiale della Gioventù).

Nell’omelia don Rolando è andato al cuore del significato di assistenza. In primo luogo, ha parlato della indegnità dell’uomo a diventare sacerdote. Il sacerdozio non è un diritto, ma è un dono di Dio. È Dio che chiama, nel suo grande amore, e dona questa grazia per diventare sacerdoti. È una fiducia di Dio quella di scegliere ed elevare uomini per servire il suo popolo. Questo si riflette anche nella seconda Preghiera Eucaristica, nella quale il sacerdote dice: “… ti rendiamo grazie perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”. Per questo grande dono, don Rolando ha ringraziato Dio per averlo chiamato e per avergli dato l’occasione di prestare il suo servizio.
Poi, guardando al passato, al suo percorso di vita, don Rolando ha visto come il dito di Dio gli ha indicato, mostrato e preparato la strada per questo dono del sacerdozio ordinato tramite le esperienze iniziate nella sua devota famiglia di genitori e fratelli, e tramite i missionari salesiani che ha conosciuto. Possiamo aggiungere che si conferma una volta in più il detto “il frutto non cade lontano dall’albero”.
Uno degli eventi memorabili che ha cambiato la sua vita, è che suo padre è rimasto impressionato dopo aver visitato una scuola tecnica di don Bosco. Lì, ha visto i ragazzi che fabbricavano scarpe, cucivano, svolgevano lavori di falegnameria, di meccanica e di elettricità. Suo padre comprò un paio di scarpe per lui e, in quella occasione, un sacerdote salesiano gli regalò un libretto con immagini di Maria Ausiliatrice, don Bosco e Domenico Savio. Una volta tornato a casa, suo padre gli disse: “L’anno prossimo, andrai alla scuola Don Bosco”. Infatti, ci andò. Lì ha visto la vita dei salesiani, ha imparato da loro, ha desiderato essere come loro e, alla fine, è diventato uno di loro, un fratello salesiano e poi un sacerdote salesiano per sempre. Infine, don Rolando ha sentito un grande desiderio di diventare un segno e un portatore dell’amore di Dio, soprattutto per i giovani. Per lui, l’amore dei confratelli e dei superiori che si sono fidati di lui, che hanno affidato alle sue cure alcune responsabilità al di là delle sue capacità, l’amore dei suoi exallievi, dei ragazzi e della gente, hanno arricchito di significato la sua vita. E non sono parole vuote: si potrebbero enumerare tanti eventi ed esperienze di amore da parte dei Salesiani e della gente. Ha potuto sentire profondamente il loro amore anche quando si è ammalato.
Poi, ricordando le parole di don Bosco che diceva: “Pane, lavoro e paradiso: ecco tre cose che ti posso offrire io in nome del Signore”, commentava che il pane, per lui, non è mai mancato, però se non c’era il lavoro, il rischio era di non avere neanche il paradiso. Il lavoro intenso consuma la vita rapidamente, ma non lui non ha paura della morte perché ha fiducia nelle parole che don Bosco ha lasciato come testamento: “Quando avverrà che un salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congregazione ha riportato un gran trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del Cielo”. E questa fiducia nelle parole di don Bosco continua, con dar credito alle Costituzioni salesiane che nell’articolo 54 recitano “Per il salesiano la morte è illuminata dalla speranza di entrare nella gioia del suo Signore”. E – diciamo noi – è giusta questa fiducia nelle Costituzioni, perché lo stesso don Bosco diceva: “Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre costituzioni”.

Dopo l’omelia, don Rolando ha rinnovato ancora una volta i suoi voti religiosi davanti all’ispettore, don Anacleto Pires, a don Manuel Ximenes, sdb, parroco di Baucau, e a don Agnelo Moreira, sdb, Rettore della comunità di Baucau. Ha dato una testimonianza vivente dell’amore di Dio per gli uomini, soprattutto per i giovani.
Dopo la benedizione finale, ci sono stati alcuni interventi da parte di diversi rappresentanti che hanno espresso la loro gratitudine a don Rolando per la sua presenza, la sua vita e il suo lavoro per la Chiesa a Timor Est, in particolare a Baucau. Grazie al suo esempio di vita, ci sono molte vocazioni alla vita religiosa, tante suore e sacerdoti. Don Rolando Fernandez, proprio come una goccia di miele, ha attirato tanti giovani, ragazzi e ragazze, ad abbracciare la vita religiosa o sacerdotale. Come segno di gratitudine a nome dei confratelli di Timor-Leste, don Anacleto ha consegnato a don Rolando una statua di don Bosco. E in ricordo di questo evento, a Baucau è stato piantato anche un albero da parte di don Anacleto e don Rolando.

don Julian Mota, sdb




Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (3/3)

(continuazione dall’articolo precedente)

Sempre in azione
Ma la Provvidenza bisogna anche “cercarla”. Ed ecco don Bosco in agosto tornare a scrivere al conte Cibrario, Segretario dell’Ordine Mauriziano, per ricordargli che era giunto il tempo di onorare la seconda parte dell’impegno economico assunto due anni prima. Da Genova per fortuna gli arrivano cospicue offerte da parte del conte Pallavicini e dei conti Viancino di Viancino; altre offerte gli pervengono in settembre dalla contessa Callori di Vignale e così da altre città, Roma e Firenze in particolare.
Arriva però presto un inverno freddissimo, con il conseguente incremento dei prezzi al consumo, pane compreso. Don Bosco va in crisi di liquidità. Fra lo sfamare centinaia di bocche e il sospendere i lavori edilizi, la scelta è obbligata. I lavori per la chiesa dunque ristagnano, mentre i debiti crescono. Il 4 dicembre don Bosco prende allora carta e penna (d’oca) e scrive a Roma al solito cavalier Oreglia: “Raccolga molti danari, poi ritorni, ché non sappiamo più dove prenderne. È vero che la Madonna fa sempre la sua parte, ma in fine dell’anno tutti i provveditori domandano denaro”. Splendido!

9 giugno 1868: solennissima consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice
Nel gennaio 1868 don Bosco si diede da fare per completare l’arredamento interno della chiesa di Maria Ausiliatrice.
A Valdocco la situazione si presentava comunque piuttosto seria. Scriveva don Bosco a Roma al cav. Oreglia: “Qui continuiamo con un freddo molto intenso: oggi toccò 18 gradi sotto zero; malgrado il fuoco della stufa il ghiaccio in mia camera non poté fondere.

Abbiamo ritardato la levata dei giovani, e siccome la maggior parte è vestita ancora da estate, così ciascuno si pose in dosso due camicie, giubba, corpetto, due paia di calzoni, cappotti militari; altri si tengono le coperte del letto sulle spalle lungo la giornata e sembrano proprio tante mascherate da carnevale”.
Fortunatamente una settimana dopo il freddo diminuì ed il metro di neve cominciò a sciogliersi.
Intanto a Roma si stava preparando la medaglia commemorativa. Don Bosco, avutala in mano, fece fare delle correzioni nella scritta e dimezzare lo spessore onde risparmiare. Il pur tanto denaro raccolto era sempre inferiore al bisogno. Così la colletta per la cappella di S. Anna promossa dalle nobildonne fiorentine, in particolare dalla contessa Virginia Cambray Digny, moglie del ministro di Agricoltura, Finanza e Commercio, a metà febbraio era ancora ad un sesto del totale (6000 lire). Don Bosco comunque non disperò e invitò la contessa a Torino: “Spero che Ella in qualche occasione potrà farci una visita ed osservare co’ propri occhi questo per noi maestoso edifizio, di cui si può dire che ogni mattone è una offerta fatta da quanti ora vicini ora lontani ma sempre per grazia ricevuta”.
E così era veramente, se ad inizio primavera lo ripeté al solito cavaliere (e lo avrebbe stampato poco dopo nel libro commemorativo Maraviglia della madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice): “Io sono ingolfato nelle spese, note molte da saldare, tutti i lavori da ripigliare; faccia quel che può ma preghi con fede. Credo tempo opportuno per chi vuole grazia da Maria! Noi ne vediamo ogni giorno una”.

Altare iniziale della chiesa di Maria Ausiliatrice

I preparativi della festa
A metà di marzo l’arcivescovo Riccardi fissò la consacrazione della chiesa per la prima quindicina di giugno. Tutto era ormai pronto: i due campanili della facciata sormontata da due arcangeli, la grande statua dorata sulla cupola già benedetta dall’arcivescovo, i cinque altari di marmo con i rispettivi quadri, fra cui quello meraviglioso di Maria Ausiliatrice con il bambino in braccio, circondata da angeli, apostoli, evangelisti, in un tripudio di luce e colori.
Scattò allora un piano eccezionale per la preparazione. Anzitutto si trattava di trovare il vescovo consacrante; poi di contattare vari vescovi per le solenni celebrazioni della mattina e della sera di ogni giorno dell’ottavario; inoltre di diramare gli inviti personali a decine di insigni benefattori, sacerdoti e laici di tutta Italia, molti dei quali da degnamente ospitare in casa; infine di preparare centinaia di ragazzi sia a solennizzare con canti i pontificali e le cerimonie liturgiche, sia a partecipare ad accademie, giochi, sfilate, momenti di gioia ed allegria.

Finalmente il gran giorno

Tre giorni prima del 9 giugno, a Valdocco arrivarono i ragazzi del collegio di Lanzo. Domenica 7 giugno “L’Unità Cattolica” pubblicò il programma delle celebrazioni, lunedì 8 giugno giunsero i primi invitati e si annunciò la venuta del duca d’Aosta in rappresentanza della Famiglia Reale. Arrivarono pure i ragazzi del collegio di Mirabello. Ecco allora i cantori passare ore ed ore a fare le prove della nuova Messa del maestro De Vecchi e del nuovo Tantum ergo di don Cagliero nonché della solennissima antifona Maria succurre miseris dello stesso Cagliero che si era ispirato al polifonico Tu es Petrus della basilica vaticana.
Il mattino seguente, 9 giugno alle 5,30 passando tra una duplice fila di 1200 ragazzi festosi e canterini, l’arcivescovo compì il triplice giro attorno alla chiesa e poi con il clero entrò nella chiesa per compiere a porte chiuse le previste cerimonie di consacrazione degli altari. Solo alle 10,30 la chiesa venne spalancata al pubblico che assistette alla messa dell’arcivescovo e a quella successiva di don Bosco. L’arcivescovo ritornò di pomeriggio per i vespri pontificali, solennizzati dal triplice coro dei cantori: 150 tenori e bassi ai piedi dell’altare di S. Giuseppe, 200 soprani e contralti sulla cupola, altri 100 tenori e bassi sul posto dell’orchestra. Don Cagliero li diresse, anche senza vederli tutti, attraverso un marchingegno elettrico studiato per l’occasione.

La vecchia sacrestia della chiesa di Maria Ausiliatrice

Fu un trionfo di musica sacra, un incantesimo, un qualcosa di paradisiaco. Indescrivibile fu la commozione dei presenti, che all’uscita della chiesa poterono pure ammirare l’illuminazione esterna della facciata e della cupola sormontata dalla statua di Maria Ausiliatrice pure illuminata.
E don Bosco? Tutto il giorno circondato da una folla di benefattori ed amici, commosso oltre ogni dire, non fece altro che lodare la Madonna. Un sogno “impossibile” si era realizzato.

Un ottavario altrettanto solenne
Celebrazioni solenni si alternarono mattina e sera lungo l’ottavario. Furono giornate indimenticabili, le più solenni che Valdocco avesse mai visto. Non per nulla don Bosco se ne fece propagatore subito con la robusta pubblicazione “Rimembranza di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice”.
Il 17 giugno a Valdocco tornò un po’ di pace, i ragazzi ospitati tornarono ai loro collegi, i devoti alle loro case; la chiesa mancava ancora di rifiniture interne, di ornamenti, suppellettili… Ma la devozione all’Ausiliatrice dei Cristiani, ormai diventata la “Madonna di don Bosco” gli sfuggì rapidamente di mano e dilagò per il Piemonte, l’Italia, l’Europa, l’America Latina. Oggi nel mondo si contano a centinaia le chiese a lei dedicate, a migliaia i suoi altari, a milioni i quadretti e le immaginette. Don Bosco ripete a tutti oggi, come a don Cagliero in partenza per le missioni nel novembre 1875: “Confidate ogni cosa in Gesù Cristo Sacramentato ed in Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli”.




Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (2/3)

(continuazione dall’articolo precedente)


La lotteria
L’autorizzazione venne concessa in tempi rapidissimi, per cui a Valdocco immediatamente si avviò la complessa macchina di raccolta e valutazione dei doni e di smercio dei biglietti: tutto come indicato nel piano di regolamento diffuso a mezzo stampa. Ad operare in prima persona per avere nominativi di personaggi di rilievo da inserire nel catalogo dei Promotori, per chiedere altri doni, per trovare acquirenti o “smerciatori” di biglietti della lotteria, fu il cav. Federico Oreglia di Santo Stefano, salesiano coadiutore. La lotteria venne ovviamente pubblicizzata sulla stampa cattolica della città, anche se solo dopo la chiusura, ai primi di giugno, di quella dei sordomuti.

I lavori continuano, le spese pure, i debiti anche
Il 4 giugno i lavori di muratura erano già due metri fuori dal suolo, ma il 2 luglio don Bosco fu costretto a ricorrere con urgenza ad un generoso benefattore, perché il capomastro Buzzetti potesse pagare la “quindicina agli operai” (8000 euro). Pochi giorni dopo nuovamente chiese ad un altro nobile benefattore se poteva impegnarsi a pagare lungo l’anno almeno qualcuno dei quattro lotti di tegole, assi ed assicelle per il tetto della chiesa, per un totale di spesa di circa 16 000 lire (64 000 euro). Il 17 luglio fu la volta di un sacerdote promotore della lotteria ad essere richiesto di pressante aiuto per poter pagare “un’altra quindicina per gli operai”: don Bosco gli propose di fargli avere il denaro con un immediato mutuo bancario, ovvero di prepararglielo per fine settimana quando lui stesso sarebbe andato a prenderlo o anche, meglio ancora, di portarglielo direttamente a Valdocco, dove avrebbe potuto vedere di persona la chiesa in costruzione. Insomma si navigava a vista ed il rischio di affondare per carenza di liquidità si rinnovava ogni mese.
Il 10 agosto mandò i moduli stampati alla contessa Virginia Cambray Digny, moglie del sindaco di Firenze, nuova capitale del Regno, invitandola a promuovere personalmente la lotteria. A fine mese una parte delle mura era già al tetto. E poco prima di Natale al marchese Angelo Nobili Vitelleschi di Firenze mandò 400 biglietti con preghiera di smerciarli fra le persone conosciute.
La ricerca di oggetti-dono per la lotteria di Valdocco e lo smercio dei relativi biglietti sarebbero proseguiti pure gli anni seguenti. Le circolari di don Bosco si sarebbero diffuse soprattutto al centro nord del Paese. Pure i benefattori di Roma, il papa in persona, avrebbe fatto la sua parte. Ma perché avrebbero dovuto impegnarsi a smerciare biglietti della lotteria per costruire una chiesa che non era la loro, per di più in una città che aveva appena cessato di essere capitale del Regno (gennaio 1865)?
Le motivazioni potevano essere varie, fra cui evidentemente quella di vincere qualche bel premio; ma di certo una fra le maggiori era di indole spirituale: a tutti coloro che avessero contribuito a costruire la “casa di Maria” in terra, a Valdocco, mediante elemosine in genere o il pagamento di strutture o di oggetti (finestre, vetrate, altare, campane, paramenti…) don Bosco, a nome della Vergine Maria, assicurava un premio speciale: un “bell’alloggio”, una “camera” ma non in un luogo qualunque, bensì “in paradiso”.

La Madonna fa la questua per la sua chiesa

Il 15 gennaio 1867 la Prefettura di Torino con apposito decreto fissa l’estrazione dei biglietti della lotteria il 1° aprile. Da Valdocco ci si affretta a spedire in tutta Italia i biglietti rimasti, con preghiera di restituire quelli invenduti entro metà marzo, così da poterli rispedire altrove prima dell’estrazione.
Don Bosco, che già da fine dicembre 1866 si era accinto ad un secondo viaggio a Roma (9 anni dopo il primo), con tappa a Firenze, per cercare di mettere d’accordo Stato e Chiesa sulla nomina di nuovi vescovi, ne approfitta per ripercorrere la rete delle sue amicizie fiorentine e romane. Riesce a smerciare molte mazzette di biglietti, tant’è che il compagno di viaggio, don Francesia sollecita la spedizione di altre, perché “tutti ne vogliono”.

La basilica e la primitiva piazza

Se al momento la benefica Torino, declassata dal ruolo di capitale del Regno, è in crisi, Firenze invece sta crescendo e così fa la sua parte con tante generose nobildonne; Bologna non è da meno, con il marchese Prospero Bevilacqua e la contessa Sassatelli. Non manca Milano, anche se proprio alla milanese Rosa Guenzati il 21 marzo don Bosco confida: “La lotteria si avvicina al suo termine ed abbiano ancora molti biglietti”.
Quale il risultato economico finale della lotteria? Circa 90 000 lire [328 000 euro], una bella cifra, si direbbe, ma che costituisce solo un sesto del denaro già speso; tant’è vero che il 3 aprile don Bosco deve chiedere ad un benefattore un urgente prestito di 5000 lire [18 250 euro] per un pagamento indilazionabile di materiale edilizio: gli era venuta meno un’entrata prevista.

La Madonna interviene
La settimana seguente don Bosco, trattando degli altari laterali con la contessa Virginia Cambray Digny di Firenze – si era fatta personalmente promotrice di una raccolta di fondi per un altare da dedicarsi a sant’Anna (madre della Madonna) – le comunica la ripresa dei lavori e la speranza (risultata poi vana) di potere inaugurare la chiesa entro l’anno. Conta sempre e soprattutto sulle offerte per le grazie che la Madonna concede di continuo agli oblatori e lo scrive a tutti, alla stessa Cambray Digny, alla signorina Pellico, sorella del famoso Silvio ecc. Qualche benefattrice, incredula, gliene chiede conferma e don Bosco lo ribadisce.

La basilica di Maria Ausiliatrice come la costruì Don Bosco

Le grazie aumentano, la loro fama si diffonde e don Bosco deve contenersi perché, come scrive il 9 maggio al cavaliere Oreglia di S. Stefano, salesiano inviato a Roma a cercare beneficenza: “Io non le posso scrivere perché ci sono interessato”. Invero non può mancare di aggiornare il suo elemosiniere il mese seguente: “Un signore guarito di un braccio portò immediatamente 3000 lire [11 000 euro] con cui si sono pagati una parte dei debiti dell’anno precedente… Io non ho mai vantato cose straordinarie; io ho sempre detto che M.SS. Ausiliatrice ha conceduto e concede tuttora grazie straordinarie a quelli che in qualche modo concorrono alla costruzione di questa chiesa. Io ho sempre detto e dico: ‘l’offerta si farà a grazia ricevuta, non prima’ [corsivo nell’originale]”. E il 25 luglio alla contessa Callori racconta di una ragazza da lui ricevuta, “pazza e furiosa” trattenuta da due uomini; appena benedetta si calmò e si confessò.

Se la Madonna si attiva, don Bosco non sta certo fermo. Il 24 maggio spedisce altra circolare per l’erezione e l’arredo della cappella dei SS. Cuori di Gesù e Maria: allega un modulo per l’iscrizione di offerta mensile, mentre chiede a tutti un’Ave Maria per gli oblatori. Lo stesso giorno, con una notevole “faccia tosta” domanda alla madre Galeffi delle Oblate di Tor de Specchi di Roma, se i 2000 scudi promessi tempo prima per l’altare dei SS. Cuori fanno parte, o no, della sua rinnovata disponibilità a fare altre cose per la chiesa. Il 4 luglio ringrazia il principe Orazio Falconieri di Carpegna di Roma per dono di calice e offerta per la chiesa. A tutti scrive che la chiesa avanza ed attende doni promessi, come gli altari delle cappelle, le campane, le balaustrine ecc. Le grandi offerte provengono dunque dagli aristocratici, dai principi della chiesa, ma non manca l’“obolo della vedova”, le offerte capillari della gente semplice: “La settimana scorsa in piccole offerte fatte per grazie ricevute vennero registrati 3800 franchi” [12 800 euro].
Il 20 febbraio 1867 la “Gazzetta Piemontese” dà la seguente notizia: “alle tante calamità ond’è afflitta l’Italia – [si pensi alla terza guerra d’indipendenza appena conclusa], ora dobbiamo aggiungere la ricomparsa del colera”. È l’inizio dell’incubo che minaccerà l’Italia per dodici mesi successivi, con decine di migliaia di morti in tutto il paese, Roma compresa, dove il morbo miete vittime anche fra personalità civili ed ecclesiastiche.
Sono preoccupatissimi i benefattori di don Bosco, che però li tranquillizza: “niuno di quelli che prendono parte alla costruzione della chiesa in onore di Maria sarà vittima di questi malanni, purché si riponga fiducia in lei”, scrive ad inizio luglio alla duchessa di Sora.

(continua)




Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (1/3)

Ha fatto tutto lei, la Madonna”, siamo soliti leggere nella letteratura spirituale salesiana, per indicare che la Vergine è stata all’origine di tutta la vicenda di don Bosco. Se applichiamo l’espressione alla costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice, essa trova un forte spessore di verità documentatissima, fermo restando sempre che, accanto all’intervento celeste, anche don Bosco ha fatto la sua parte, eccome!

Il lancio dell’idea e prime promesse di sussidi (1863)
A fine gennaio ­ inizio febbraio 1863 don Bosco diffuse un’ampia circolare circa lo scopo di una chiesa, intitolata a Maria Ausiliatrice, che aveva in animo di costruire a Valdocco: doveva servire per la massa dei giovani ivi accolti e per le ventimila anime del territorio circostante, con l’ulteriore possibilità di essere eretta a parrocchia dall’autorità diocesana.
Poco dopo, il 13 febbraio, comunicò al papa Pio IX, non solo che la chiesa era parrocchiale, ma che era già “in via di costruzione”. Da Roma ottenne l’esito sperato: a fine marzo ricevette 500 lire. Ringraziando il cardinale di Stato Antonelli per il sussidio ricevuto scriveva che “i lavori… sono per cominciarsi”. In effetti in maggio acquistò terreni e legname destinati alla cinta del cantiere e in estate si iniziarono i lavori di scavo, continuati poi fino all’autunno.
Alla vigilia della festa di Maria Ausiliatrice, il 23 maggio, il Ministero di Grazia, Giustizia e Culto, sentito il sindaco, marchese Emanuele Luserna, si dichiarò disponibile a concedere un sussidio. Don Bosco colse l’occasione per fare un immediato appello alla generosità del primo Segretario dell’Ordine Mauriziano e del sindaco. A questi, anzi, nella stessa data inviò un duplice appello: al primo, in forma privata, chiese il maggior sussidio possibile ricordandogli l’impegno che aveva assunto in occasione di una sua visita a Valdocco; con il secondo, in via formale, ufficiale, fece lo stesso, ma dilungandosi in particolari circa l’erigenda chiesa.

Le prime risposte interlocutorie
Agli appelli lanciati per ottenere offerte, seguirono le risposte. Quella del 29 maggio del segretario dell’Ordine Mauriziano fu negativa per l’anno in corso, ma non per l’anno successivo quando si sarebbe potuto mettere a bilancio un non meglio precisato sussidio. La risposta invece del 26 luglio da parte del Ministero fu positiva: venivano stanziate 6000 lire, ma la metà sarebbe stata consegnata all’uscita delle fondamenta al livello del suolo, l’altra metà alla copertura della chiesa; il tutto però condizionato dal sopralluogo e assenso di un’apposita commissione governativa. Infine l’11 dicembre giunse la risposta, purtroppo negativa, della Giunta comunale: il concorso economico del Comune era previsto solo per le chiese parrocchiali e quella di don Bosco non lo era. Ma neppure poteva esserlo facilmente, stante la sede vacante dell’arcidiocesi. Don Bosco si prese allora qualche giorno di riflessione e alla vigilia di Natale ribadì al sindaco la sua intenzione di costruire una grande chiesa parrocchiale a servizio del “popolatissimo quartiere”. In caso di mancato sussidio comunale, avrebbe dovuto limitarsi ad una chiesa di dimensioni molto più ridotte. Ma anche il nuovo appello cadde nel vuoto.
L’anno 1863 si chiudeva così per don Bosco con poco di concreto, salvo qualche generica promessa. C’era di che scoraggiarsi. Ma se le pubbliche autorità latitavano sul piano economico – pensava don Bosco – la divina Provvidenza non sarebbe venuta meno. Ne aveva sperimentato infatti la forte presenza una quindicina di anni prima, in occasione della costruzione della chiesa di San Francesco di Sales. Pertanto all’ingegner Antonio Spezia, già da lui conosciuto come ottimo professionista, affidò il compito di tracciare il progetto della nuova chiesa che aveva in mente. Fra l’altro avrebbe lavorato, ancora una volta, gratuitamente.

L’anno decisivo (1864)

In poco più di un mese il progetto era pronto, per cui a fine gennaio 1864 venne consegnato alla Commissione edilizia comunale. Intanto don Bosco aveva chiesto alla direzione delle ferrovie dello Stato dell’Alta Italia il trasporto gratuito a Torino delle pietre da Borgone nella bassa Val di Susa. Il favore venne accordato in tempi rapidi, ma non così avvenne per la Commissione edilizia. A metà marzo essa infatti respinse i disegni consegnati per “non regolarità di costruzione”, con l’invito all’ingegnere di modificarli. Ripresentati il 14 maggio, vennero trovati difettosi nuovamente il 23 maggio, con un ulteriore invito a tenerne conto; in alternativa si suggerì di pensare ad un diverso progetto. Don Bosco accolse la prima proposta, il 27 maggio il progetto, rivisto, venne approvato ed il 2 giugno il Comune rilasciò la licenza edilizia.

Prima foto della chiesa di Maria Ausiliatrice

Intanto don Bosco non aveva perso tempo. Aveva chiesto al sindaco di far tracciare l’esatta rettilineazione dell’infossata via Cottolengo, onde poter a proprie spese rialzarla con il materiale dello scavo della chiesa. Inoltre aveva diffuso al centro­nord Italia, tramite alcuni fidatissimi benefattori, una circolare a stampa in cui presentava le motivazioni pastorale della nuova chiesa, le dimensioni, i relativi costi (invero poi quadruplicati in corso d’opera). L’appello, indirizzato soprattutto ai “divoti di Maria”, era accompagnato da una scheda di iscrizione per quanti volessero indicare in anticipo la somma che avrebbero versato nel triennio 1864­1866. La circolare indicava anche la possibilità di offrire materiali per la chiesa o altri oggetti ad essa necessari. In aprile l’annunzio fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno e su “L’Unità Cattolica”.
I lavori proseguivano e don Bosco non poteva assentarsi per le continue richieste di modificazioni, soprattutto circa le linee di demarcazione sull’irregolare Via Cottolengo. In settembre ad una più ampia cerchia di benefattori inviò una nuova circolare, sul modello di quella precedente, ma con la precisazione che i lavori sarebbero terminati entro tre anni. Ne spedì copia pure ai principi Tommaso ed Eugenio di casa Savoia e al sindaco Emanuele Luserna di Rorà; a questi però chiese di nuovo solo di collaborare al progetto rettificando via Cottolengo.

Debiti, una lotteria e tanto coraggio
A fine gennaio 1865, in occasione della festa di san Francesco di Sales che vedeva radunati a Valdocco salesiani provenienti da varie case, don Bosco comunicò loro l’intenzione di avviare una nuova lotteria per raccogliere fondi per il prosieguo dei lavori (di scavo) per la chiesa. Dovette però rimandarla per la contemporanea presenza in città di un’altra in favore dei sordomuti. Di conseguenza i lavori, che sarebbero ripresi in primavera dopo la pausa invernale, non avevano copertura economica. Ecco allora don Bosco chiedere urgentemente all’amico e confratello di Mornese, don Domenico Pestarino, un prestito di 5000 lire (20 000 euro). Non voleva infatti ricorrere ad un mutuo bancario troppo oneroso nella capitale. Come non bastassero gli spinosi problemi finanziari, ne sorsero in concomitanza degli altri con i confinanti, in particolare con quelli della casa Bellezza. Don Bosco dovette pagare loro un indennizzo per la rinuncia al passaggio per Via della Giardiniera, che dunque veniva soppressa.

Solenne posa della prima pietra

Venne finalmente il giorno della posa della prima pietra della Basilica di Maria Ausiliatrice, il 27 aprile 1865. Don Bosco tre giorni prima, ne diramò gli inviti, nei quali annunciava che Sua Altezza reale il principe Amedeo di Savoia avrebbe messo la prima calce, mentre la funzione religiosa sarebbe stata presieduta dal vescovo di Casale, monsignor Pietro Maria Ferrè. Questi venne però a mancare all’ultimo minuto e la solenne cerimonia fu celebrata dal vescovo di Susa, monsignor Giovanni Antonio Odone, alla presenza del Prefetto della città, del Sindaco, di vari consiglieri comunali, di benefattori, di membri della nobiltà cittadina e della Commissione per la Lotteria. Il corteo del duca Amedeo venne accolto al suono della marcia reale dalla banda e dal coro di voci bianche degli allievi di Valdocco e del collegio di Mirabello. La stampa cittadina fece da cassa di risonanza al festoso evento e don Bosco, da par suo, cogliendone il grande significato politico-religioso, ne ampliò la storica portata con proprie pubblicazioni.

Piazza e chiesa di Maria Ausiliatrice

Tre giorni dopo, in una lunga e sofferta lettera a papa Pio IX per la difficile situazione in cui si trovava la Santa Sede a fronte della politica del Regno d’Italia, accennava alla chiesa ormai già con i muri fuori della terra. Chiedeva la benedizione sull’impresa in corso e dei doni per la lotteria che stava per lanciare. In effetti a metà maggio ne chiese formalmente l’autorizzazione alla Prefettura di Torino, motivandola con la necessità di saldare i debiti dei vari oratori di Torino, di provvedere vitto, vestito, alloggio e scuola ai circa 880 allievi di Valdocco e di continuare i lavori della chiesa di Maria Ausiliatrice. Ovviamente si impegnava ad osservare tutte le numerose disposizioni di legge al riguardo.

(continua)




Life

“Life” è un gruppo di giovani, nato nel 1975 in Sicilia, che vuole vivere con impegno i valori umani e cristiani ed esprimerli attraverso il linguaggio artistico. Spettacoli, musica, canti, danze per proporre un messaggio al pubblico, per dire qualcosa che aiuti a riflettere e anche a pregare. Vogliono portare la proposta cristiana nei teatri e nelle piazze, in un nuovo modo di evangelizzare.

Li avevo visti all’opera sul palcoscenico di uno dei teatri più grandi di Catania, dinanzi a più di 1800 giovani delle scuole della città. Presentavano un musical che, con un linguaggio giovanile, aiutava a riflettere a 360° sul valore della vita. Canto, danza, luci, effetti speciali avevano tenuto inchiodati alle poltrone quei ragazzi per tutta la mattinata. All’uscita mi ero voluta mescolare agli spettatori per catturare qualche commento: “Forti davvero! A me sono piaciuti tanto i balletti!”…  “Hai visto che c’era anche l’orchestra dal vivo? Vorrei chiedere se mi prendono con loro”… “Più o meno hanno la mia età, ma che voci!…”.
Anch’io ero rimasta colpita da quel gruppo di giovani attori, non solo per la qualità della loro performance, ma anche perché già prima che arrivasse il pubblico avevo visto che si davano da fare per mettere in ordine ogni cosa: c’era chi posizionava i fari per le luci, chi provava i microfoni, chi metteva in ordine i costumi, chi si cimentava nell’ultima prova di un balletto e chi faceva i suoi vocalizzi per schiarire la voce. Ognuno sapeva cosa doveva fare e, con senso di responsabilità, svolgeva il suo compito. Quando il teatro fu pieno, prima di dare il via, sparirono tutti dietro al sipario chiuso. Volli sbirciare e vidi che, disposti in cerchio, erano tutti lì per una breve preghiera prima di iniziare lo spettacolo. Mi colpì questo fatto. Sapevo che era un gruppo salesiano appartenente all’Associazione del CGS (Cinecircoli Giovanili Socioculturali); decisi, così, di andare a trovarli presso la loro sede per saperne di più e conoscerli meglio.
Trovai un ambiente molto semplice: un saloncino per le prove e per gli incontri, una saletta per le registrazioni, un soppalco con degli armadi per i costumi, un deposito per le scene e per l’attrezzatura di luci e fonica, ma soprattutto trovai tanta creatività e tanto spirito salesiano. Ad accogliermi c’era Armando B., fondatore e responsabile del gruppo, nonché compositore di tutte le musiche, ed altri cinque giovani. Chiesi che mi raccontassero un po’ della loro storia.

– Il nostro gruppo – intervenne Armando – si chiama LIFE, Vita! Sì, perché stiamo insieme per scoprire il senso della vita e per annunciare al mondo la gioia della vita. Siamo nati nel 1975 per il desiderio di alcuni di noi, allora quindicenni, di stare insieme, legati dall’amore per la musica. Da allora se n’è fatta di strada! Nel corso degli anni è maturato pian piano il bisogno di approfondire la nostra fede, di vivere con impegno i valori umani e cristiani ed esprimerli attraverso il linguaggio artistico. Sono nati così i nostri musical, spettacoli interamente ideati e realizzati da noi: dalle musiche ai testi, dai costumi alle scene, dalle luci alla fonica…e abbiamo inciso anche molte cassette e CD.
– Puoi vedere qui alle pareti le locandine e le foto dei nostri spettacoli in tutti questi anni – aggiunse Paolo.

Life” è stato il primo spettacolo originale che affronta il problema della droga e del dialogo in famiglia; poi c’è stato “Benvenuta Povertà” che aiuta a riflettere sul consumismo e sulla vera libertà che nasce dal distacco dalle ricchezze; la devianza giovanile e le proposte educative di Don Bosco in “Anch’io mi chiamo Giovanni”; la scelta negli ultimi nel musical “La Ragazza di Poitiers”, la cultura della vita contro la cultura della morte in “Apriti alla Vita”; la sapienza evangelica che si sovrappone a quella del mondo in “E se non fosse un Sogno?”; “Storie per Vivere”, piccole storie di oggi e di ieri alla luce della spiritualità salesiana; “3P” – Padre Pino Puglisi, la storia del sacerdote vittima della mafia; “Sulle ali dell’amore”, che presenta l’esperienza del Servo di Dio Nino Baglieri e Ciò che resta è amore, sul messaggio di San Paolo.
– Ultimamente abbiamo messo in scena “Baraccopoli”, – intervenne Giuseppe – un musical che tocca il tema degli emarginati e della solidarietà. L’ultimo nato, invece, è un’opera su Papa Francesco e il suo messaggio agli uomini del nostro tempo. S’intitola “Dalla fine del mondo”.
Sara lo interruppe e, mostrandomi dei DVD, aggiunse:
– Vedi? Ci siamo cimentati anche nella produzione di film e, oltre alle versioni cinematografiche di “Storie per Vivere” e “Apriti alla Vita”, abbiamo realizzato altri tre film – “L’atleta di Dio, Placido e Nicolò” -, che hanno ricevuto premi e riconoscimenti particolari.
Restai veramente stupefatta dinanzi al materiale che documentava tanti anni di attività, e azzardai una domanda:
– Cosa vi spinge a fare tutto questo?
Alessandra sorrise e rispose:
– Il nostro vuole essere un modo nuovo di fare evangelizzazione, di portare la proposta cristiana nei teatri e nelle piazze. L’esperienza delle nostre tournées è sempre entusiasmante: abbiamo percorso l’Italia da un capo all’altro e siamo stati anche all’estero. Ogni volta è una carica nuova poiché nello stesso momento in cui si “annuncia” qualcosa, cresce la consapevolezza e la convinzione di ciò che proponiamo agli altri.
Armando aggiunse:
– Per poter dire qualcosa agli altri è indispensabile prima vivere una realtà! Per questo il nostro C.G.S. investe molto sulla formazione: ogni sabato ci si ritrova per pregare insieme ed ogni domenica abbiamo il nostro incontro formativo. Nel periodo estivo riserviamo una decina di giorni al “campo espressione”, giornate in cui si riflette sulla parola di Dio e si esprime in maniera creativa (musiche, danze, mimi…) la propria riflessione. Nei periodi dell’anno liturgico ci incontriamo per una giornata di ritiro spirituale. È una proposta, la nostra, che offriamo a tanti giovani del nostro territorio e non, di diverse fasce di età. I più grandi accompagnano i più piccoli. Molti arrivano a noi attratti dalla musica e dal desiderio di trovare amici e fare gruppo e pian piano si coinvolgono anche in un cammino di fede.
– Sì – intervenne Simone – posso testimoniare con la mia storia: all’inizio venni in gruppo solo perché mi piaceva la recitazione e desideravo anche imparare a suonare uno strumento. Qui trovai l’uno e l’altro, ma soprattutto conobbi persone che mi hanno saputo ascoltare e che mi hanno mostrato un modo di vivere diverso da quello che avevo sperimentato fino a quel momento. Qui ho iniziato anche a conoscere il Vangelo.

Mi sentivo bene con loro e mi fermai a chiacchierare fino a sera. Seppi, così, di tante esperienze vissute da questi ragazzi, come quella di andare nei pub a suonare e coinvolgere i giovani clienti in dialoghi su alcuni temi che li invogliassero a riflettere sulla loro vita o quella di andare a portare aiuti ai senzatetto in serate particolarmente fredde o, ancora, quella di gestire nel quartiere un oratorio alla maniera di Don Bosco o animare degli incontri giovanili in occasione di raduni diocesani o della regione.
Tornai ancora un sabato a trovarli. Era tutto un cantiere: Giuseppe animava l’incontro dei pre-adolescenti che se ne stavano stipati nella saletta di solito usata per le registrazioni, altri tre giovani dipingevano le scene dello spettacolo in programmazione, un gruppetto provava le varie voci di una canzone, mentre due erano intenti a scrivere su dei fogli. “Prepariamo l’incontro di domani sera per le famiglie – mi dissero. “Ci saranno le coppie di chi appartiene al gruppo, ma anche i genitori dei nostri ragazzi. Vogliamo coinvolgere anche loro in un cammino formativo”.
Quanta vita in questo gruppo! – mi sono detta; hanno scelto veramente il nome giusto come chiamarsi: LIFE!

Galleria foto “Life”

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ADMA – Un itinerario di santificazione e apostolato secondo il carisma di don Bosco

L’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) è stata fondata il 18 aprile 1869 da don Bosco, come secondo gruppo della sua opera, dopo i salesiani, con lo scopo di “promuovere le glorie della divina Madre del Salvatore, per meritarsi la protezione di Lei in vita e particolarmente in punto di morte”.

            La Pia Associazione di Maria Ausiliatrice viene fondata dopo l’inaugurazione della Basilica dedicata alla Santissima Vergine, avvenuta il 9 giugno 1868 a Torino. Con l’edificazione della Basilica, don Bosco vede con i suoi occhi realizzarsi il famoso sogno del 1844, nel quale la Vergine Maria, nelle sembianze di una pastorella, gli fece vedere “una stupenda ed alta Chiesa” nel cui interno c’era “una fascia bianca, in cui a caratteri cubitali stava scritto: HIC DOMUS MEA, INDE GLORIA MEA”. Moltissime persone, soprattutto del popolo, avevano contribuito con offerte alla costruzione del Santuario in segno di gratitudine per le grazie ricevute dall’Ausiliatrice. I fedeli avevano fatto “ripetute domande perché venisse iniziata una pia Associazione di divoti, i quali, uniti nel medesimo spirito di preghiera e di pietà, facessero ossequio alla gran Madre del Salvatore, invocata sotto il titolo di Ausiliatrice”. Questa richiesta popolare – fatta anche se a Torino esisteva un’antica (XII secolo) e forte devozione alla Madonna sotto il titolo della Consolata – indica che l’iniziativa veniva dall’alto.

Cupola Basilica Maria Ausiliatrice, Torino

Così si capisce anche il motivo della richiesta di approvazione dell’Associazione avanzata proprio da don Bosco: “Il sottoscritto espone umilmente a V. E. Rev.ma che pel solo desiderio di promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime avrebbe in animo che nella chiesa di Maria Ausiliatrice, or fa un anno da V. E. consacrata al divin Culto, si iniziasse una pia unione di fedeli sotto il nome di Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice: scopo principale sarebbe di promuovere la venerazione al SS.mo Sacramento e la divozione a Maria Auxilium Christianorum: titolo che sembra tornare di vivo gradimento all’Augusta Regina del Cielo”. La sua richiesta non solo è stata accettata, ma in meno di un anno dalla fondazione (febbraio 1870) la Pia Associazione di Maria Ausiliatrice divenne eretta in Arciconfraternita.
            Il nome “ADMA” che don Bosco diede a questa associazione, significava Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice, dove la parola “devoti” rispecchia quanto insegnato da san Francesco di Sales: “La devozione altro non è che un’agilità e vivacità spirituale, con cui la carità compie in noi le sue operazioni, e noi operiamo mediante essa, prontamente ed affettuosamente”. Questa devozione viene ulteriormente specificata: “Don Bosco, consapevole delle nostre fatiche e fragilità, ha fatto un passo ulteriore, ancora più bello: noi non siamo devoti generici, ma Devoti di Maria Ausiliatrice. Nella sua esperienza il dono dell’amore che unisce al Padre e al Figlio (grazia) e che spinge all’azione (carità), passa esplicitamente, quasi sensibilmente, attraverso la mediazione materna di Maria”, come sottolinea il successore di don Bosco, don Ángel Fernández Artime.
            Don Bosco fonda l’ADMA per condividere la grazia e per diffondere e difendere la fede del popolo, irradiando nel mondo la venerazione a Gesù Eucarestia e la devozione alla Vergine Ausiliatrice, due colonne della nostra fede. Questo seme gettato dal santo è arrivato oggi a essere diffuso in 50 paesi del mondo, con circa 800 gruppi aggregati all’ADMA Primaria di Torino.
            Oggi nell’ADMA, alla scuola di don Bosco, si percorrono cammini di preghiera, di apostolato e di servizio, secondo uno stile familiare. Si vive e si diffonde la devozione all’Eucaristia e a Maria Ausiliatrice, valorizzando la partecipazione alla vita liturgica e alla riconciliazione. La formazione cristiana è intenta a imitare Maria nel vivere la “spiritualità del quotidiano”, cercando di coltivare in famiglia e nei propri luoghi di vita un ambiente cristiano di accoglienza e solidarietà.
            In occasione del 150° anno di fondazione dell’ADMA, il successore di don Bosco, nella sua lettera “Affida, confida, sorridi!”, ha lasciato all’Associazione alcune consegne. L’invito è quello di lasciarsi guidare dallo Spirito Santo per un rinnovato impulso evangelizzatore, ancorati alle due colonne, l’Eucarestia e la devozione a Maria Ausiliatrice, con alcune sottolineature:
            • di vivere un cammino di santità in famiglia, dando testimonianza principalmente con la perseveranza nell’amore tra i coniugi, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra giovani e anziani;
            • di prendere la Madonna in casa, imitando Maria in tutto ciò che si può;
            • di offrire un itinerario di santificazione e di apostolato, semplice e accessibile a tutti;
            • di partecipare all’Eucaristia, senza la quale non c’è via verso la santità;
            • di affidarsi a Maria, convinti che Lei ci prenderà “per mano” per condurci all’incontro con il suo Figlio Gesù.

            I momenti privilegiati per vivere e diffondere la dimensione popolare della devozione all’Ausiliatrice e per richiedere grazie, sono le pratiche di pietà: la commemorazione del 24 di ogni mese, il rosario, la novena in preparazione della festa di Maria Ausiliatrice, la benedizione di Maria Ausiliatrice, i pellegrinaggi ai santuari mariani, le processioni, la collaborazione alla vita parrocchiale.
            I membri dell’ADMA fanno parte del grande albero della Famiglia Salesiana, movimento di persone promosso da don Bosco, sotto la guida di Maria Ausiliatrice, per la missione giovanile e popolare: “Dobbiamo unirci – scriveva nel 1878 – tra noi e tutti con la Congregazione… col mirare allo stesso fine e con l’usare gli stessi mezzi… come in una sola famiglia coi vincoli della carità fraterna che ci sproni ad aiutarci e sostenerci vicendevolmente a favore del nostro prossimo”. Nella Famiglia Salesiana, l’ADMA conserva il compito di sottolineare la particolare devozione eucaristica e mariana vissuta e diffusa da san Giovanni Bosco, devozione che esprime l’elemento fondante del carisma salesiano. In questa prospettiva, tra l’altro, l’ADMA promuove per tutta la Famiglia Salesiana i Congressi Internazionali di Maria Ausiliatrice, il prossimo dei quali si terrà a Fatima dal 29 agosto al 1° settembre 2024. Il titolo scelto per questo evento sarà “Io ti darò la maestra”, in ricordo del sogno dei nove anni di don Bosco, di cui si celebrerà il 200° anniversario.
            Per conoscere meglio l’ADMA, all’infuori del sito web admadonbosco.org, si può seguire anche il loro foglio mensile di formazione e comunione “ADMA on line” e la loro collana di libri “Quaderni di Maria Ausiliatrice”, tutte e due presenti nello stesso sito. Inoltre si può seguire anche sui canali social media Facebook e Youtube e un dépliant si può scaricare da QUI.




Chi non prega?

Un contadino, durante un giorno di mercato, si fermò a mangiare in un affollato ristorante dove pranzava di solito anche il fior fiore della città. Il contadino trovò un posto in un tavolo a cui sedevano già altri avventori e fece la sua ordinazione al cameriere. Quando l’ebbe fatta, congiunse le mani e recitò una preghiera. I suoi vicini lo osservarono con curiosità piena di ironia, un giovane gli chiese:
– A casa vostra fate sempre così? Pregate veramente tutti?
Il contadino, che aveva incominciato tranquillamente a mangiare, rispose:
– No, anche da noi c’è qualcuno che non prega.
Il giovane ghignò:
– Ah, sì? Chi è che non prega?
– Be’, proseguì il contadino, per esempio le mie mucche, il mio asino e i miei maiali…

Mi ricordo che una volta, dopo aver camminato tutta la notte, ci addormentammo all’alba vicino a un boschetto. Un derviscio che era nostro compagno di viaggio lanciò un grido e s’inoltrò nel deserto senza riposarsi un solo istante.
Quando fu giorno gli domandai:
– Che ti è successo?
Rispose:
– Vedevo gli usignoli che cominciavano a cinguettare sugli alberi, vedevo le pernici sui monti, le rane nell’acqua egli animali nel bosco. Ho pensato allora che non era giusto che tutti fossero intenti a lodare il Signore, e che io solo dormissi senza pensare a lui.
(Sudi)