Intervista a don Klement VÁCLAV, nuovo Provinciale Africa Meridionale (AFM)

Don Václav Klement ha avuto vari incarichi nel Consiglio Generale: Consigliere per la Regione Asia Est-Oceania (2002-2008), Consigliere Generale per le Missioni (2008-2014), Consigliere per la Regione Asia Est-Oceania (2014-2020) e Visitatore Straordinario “ad nutum et pro tempore” (2020-2022). Nel dicembre 2022, il Rettor Maggiore, don Ángel Fernández Artime, con il consenso del Consiglio Generale, lo ha nominato come nuovo Superiore della Visitatoria Africa Meridionale per il sessennio 2023-2029. Ecco l’intervista concessa in occasione del nuovo incarico.

1. Parlaci un po’ del tuo background familiare e delle tue origini.
Rendo grazie a Dio per la mia famiglia di umili origini, ma profonda nella fede, cresciuta con tre fratelli più piccoli, un padre lavoratore e una madre teneramente amorevole. Entrambi i genitori sono cresciuti nel gruppo giovanile della stessa parrocchia e sono noti per il loro impegno di tutta una vita nell’educazione dei giovani nel tempo libero. La nostra vivace parrocchia, con molti eccezionali sacerdoti diocesani dopo il Concilio Vaticano II, è stata una scuola quotidiana di fede vissuta in azione, soprattutto nel contesto dell’educazione atea in tutte le scuole pubbliche che ho frequentato in Cecoslovacchia fino a 26 anni. Non è facile immaginare la persecuzione che si è protratta per 40 anni, con tutti i 15000 religiosi e religiose dispersi, le loro opere di missione distrutte e chiamati a consegnare il loro carisma nella clandestinità. Solo dopo il crollo del regime comunista venni a sapere che anche mio zio, operaio, che viveva nella stessa piccola casa, era un religioso, vescovo della Chiesa clandestina.

2. Che cosa ti ha attratto e ti ha fatto scegliere la vita religiosa, in particolare la vita consacrata salesiana? Quali salesiani ti hanno influenzato di più?

Direi che le mie aspirazioni, i miei sogni e la mia preparazione personale sono scattati “semplicemente” con il primo invito esplicito a partecipare al primo incontro vocazionale salesiano clandestino “Vieni e vedi”. Sono stato profondamente toccato, stupito, attratto da tutti quei salesiani anziani che hanno saputo trasmettere la vocazione e il carisma salesiano dopo anni di carcere, lavori forzati e vita sacrificata. Non posso dimenticare il mio primo incontro con il “Bollettino Salesiano”, le storie dei santi della famiglia salesiana e soprattutto l’ambiente della spiritualità salesiana: spirito di famiglia, slancio apostolico e fede profonda. Poiché fino al 1989 non esistevano “strutture formative ufficiali”, il carisma salesiano veniva trasmesso attraverso un accompagnamento spirituale personalizzato e chiuso. Non un solo maestro dei novizi, ma tre salesiani si sono presi cura di loro durante quell’anno speciale! A oggi i Salesiani di Don Bosco sono la congregazione religiosa maschile più numerosa della Repubblica Ceca.

3. Che cosa facevi prima di entrare nella vita religiosa?
In realtà, per me “entrare nella vita religiosa” non è stato come “entrare nella casa salesiana”. Durante quei tempi “benedetti” del regime totalitario comunista c’erano 400 salesiani nel mio paese, ma nessuna casa salesiana “ufficiale”. Metà dei salesiani viveva e lavorava in clandestinità, mentre un’altra metà era coinvolta nelle strutture diocesane della Chiesa. Nella mia vivace parrocchia d’origine (la seconda città ceca di Brno) fin dall’infanzia sono stato coinvolto in molti servizi come chierichetto, boy scout, membro del coro, volontario o animatore. All’età di 10 anni ho avuto per la prima volta tra le mani la biografia di don Bosco, ma il primo salesiano vivente l’ho incontrato solo all2età di 22 anni, al termine di due anni di servizio militare. Quegli anni “prima” di diventare salesiano sono stati un periodo di duro studio, di duro lavoro in parrocchia, come animatore giovanile in vari modi, mentre vivevo come cittadino di seconda classe, essendo un giovane fervente cattolico.

4. Dopo aver vissuto tanti anni di vita consacrata salesiana, come riassumeresti la tua vita di sacerdote salesiano fino a ora?
All’età di 65 anni probabilmente si è già raggiunto un momento per “tirare le somme” della propria vita, no? Difficile dirlo in poche parole. Il mio motto di vita è cambiato nel corso degli anni e dal 2008 mi attengo alla versione asiatica di Da mihi animas, cetera tolle: Tutti per Gesù, Gesù per tutti! Significa vivere ogni compito e missione della mia vita con entusiasmo, gioia e passione. Negli ultimi 20 anni al fianco del Rettor Maggiore non mi sono mai “guardato indietro”, cercando sempre di contribuire alla crescita del carisma salesiano con il meglio delle mie forze. Beh, la vita inizia a 65 anni!

5. Vuoi condividere con noi l’evento più memorabile della tua vita come salesiano di don Bosco?
Beh, conservo troppi ricordi salesiani. Prima di tutto il periodo di formazione clandestina in Cecoslovacchia, come le 24 ore di cammino in montagna per raggiungere una riunione segreta di un giorno dell’ispettoria o l’ascolto dei racconti di confratelli che hanno trascorso anni nelle prigioni e nei campi di lavoro forzato. Davvero, è molto difficile citare l’evento “più memorabile”: ogni giorno durante i 16 anni in Corea è stato un momento speciale, poi come primo consigliere regionale per l’Asia Orientale – Oceania (EAO – East Asia – Oceania) probabilmente è stata la nostra prima Visita d’équipe (2005) con il workshop Vision-Mission o il Congresso dei Fratelli Salesiani EAO in Vietnam (2018). Sono troppi gli eventi per i quali ringrazio Dio nel corso della mia vita. Non sono mai abbastanza per raccontare e ringraziare queste storie ed eventi! Se accedi al notiziario EAO (Asia Orientale-Oceania) “AustraLasia” sul sito www.bosco.link potrai saperne un po’ di più!

6. Hai qualche rimpianto nella vita?
Sì, i miei rimpianti sono sempre della stessa natura. Alla fine della giornata (dopo un evento, una missione apostolica, un compito affidato) mi pento di non aver dedicato tutto il mio cuore a questo compito o missione. In concreto, non ho ascoltato abbastanza il confratello o i partner laici della missione, non ho dato il meglio di me al processo in corso (forse un discernimento, la preparazione di un evento regionale).

7. Quale consiglio daresti a un giovane che sta considerando la vita religiosa? Quale messaggio vuoi inviare ai giovani riguardo alla vocazione missionaria?
Vorresti consacrarti a Dio? Vorresti seguire Gesù come don Bosco e i suoi famigliari? Dona il tuo cuore completamente a Gesù! – Vorrei condividere questo invito di don Bosco nel linguaggio dei giovani per essere attratti da questo stile di vita di “diventare pane per gli altri”.
Vuoi essere profondamente felice? Condividi la tua fede con coloro che non hanno il privilegio di incontrare Gesù faccia a faccia! Negli ultimi 30 anni ho incontrato la maggior parte dei 14000 salesiani e ho scoperto che i più felici tra loro sono solitamente i missionari che hanno lasciato tutto, il proprio paese e la propria cultura, per essere luce di Gesù come missionari! Senza la condivisione della fede la Chiesa cesserebbe di respirare.

8. Quando hai saputo di essere stato nominato provinciale, qual è stata la tua reazione?

Sì, è stata una grande sorpresa e in qualche modo scioccante. Solo due giorni prima del Natale 2022, già preparato per un’altra visita straordinaria, questa volta in Asia meridionale, sono stato chiamato dal Rettor Maggiore. Don Ángel mi chiese di accettare questa nuova e inaspettata obbedienza. In tutta la mia vita non ho mai detto “no” a don Bosco. Dal momento che questa nuova chiamata è avvenuta a Valdocco, ho avuto il tempo di digerire questo drammatico cambiamento nella mia vita e di pregare per ognuno dei confratelli dell’AFM il primo giorno, per poi iniziare lentamente il cambiamento di mentalità dalla Corea del Sud all’Africa del Sud. Il 1° gennaio 2023 mi sono recato in pellegrinaggio a piedi da Valdocco ai Becchi, per chiedere a don Bosco di benedire tutti noi dell’AFM!

Questa chiamata non fu molto diversa da quella del 1996, quando don Juan E. Vecchi mi raggiunse telefonicamente nelle Filippine durante un congresso regionale dell’Asia Orientale-Oceania dei Salesiani Cooperatori. È stato uno shock travolgente, che non mi ha fatto dormire per tutta la notte, assolutamente inaspettato, dato che non ero nemmeno un membro del consiglio provinciale e avevo appena raggiunto la Corea 10 anni prima di questa nuova chiamata.

9. Quali sono, secondo te, le qualità di leadership che apporti al tuo nuovo ruolo di provinciale?
Sono felice di condividere con i miei confratelli salesiani, i partner missionari laici, i membri della Gioventù Salesiana e della Famiglia Salesiana la mia vita, la mia fede e le mie convinzioni salesiane per i prossimi 6 anni. Guidare è possibile soprattutto attraverso la testimonianza di vita; questa è la mia profonda convinzione personale. Come ogni discepolo-missionario di Gesù, probabilmente il primo contributo è la mia personale testimonianza di vita di salesiano appassionato, missionario, comunicatore, amico dei giovani, profondamente innamorato di don Bosco.
Nel recente passato ho assistito molte ispettorie nel loro processo di discernimento per rimodellare, crescere, vedere e andare avanti. Dopo due anni come rettore, sei anni come provinciale di Corea e 20 anni con il consiglio del Rettor Maggiore come visitatore straordinario, vorrei condividere questa esperienza con le dinamiche di crescita carismatica salesiana. Come Salesiani di Don Bosco siamo molto ricchi di spirito, viviamo in famiglia con tanti santi (vivi o che aiutano dal cielo). Come mio stile di animazione personale, mi piace portare l’attenzione di tutti a custodire e far fruttare questi tesori in Lesotho, eSwatini e Sudafrica.
L’animazione e il governo della comunità cattolica e della famiglia salesiana sono radicati nell’ascolto profondo. Non a caso riflettiamo sulle 127 domande di Gesù nei Vangeli. Anche l’attuale tema del CG28 termina con un punto interrogativo: Che tipo di salesiani per i giovani dell’Africa meridionale? Mi piace condividere le domande e “perdere tempo” ascoltando e camminando con ogni confratello.
Tornare dopo 21 anni al servizio dell’autorità, dopo aver servito per molti anni come consigliere, è una sfida. Tuttavia, promuovere lo spirito di famiglia e il lavoro di squadra, investire nella formazione permanente di tutti i confratelli e avvicinarmi a don Bosco sono le qualità principali che desidero nel mio servizio di leadership iniziale.




Dio ha dato a don Bosco un cuore grande

…senza confini, come i lidi del mare. Di quel cuore ogni giorno sento il battito

Lui si chiama Alberto. Di lei, una giovane madre, non so il nome.
Lui vive in Perù. Lei vive a Hyderabad (India).
Ciò che unisce queste due storie, due vite, è che le ho incontrate in occasione del mio servizio, Alberto in Perù e la giovane madre in India la settimana successiva.
Ciò che le accomuna è il prezioso filo d’oro della carezza di Dio attraverso l’accoglienza che don Bosco ha riservato loro in una delle sue case. Il cuore dei Salesiani ha cambiato le loro vite, salvandole dalla situazione di povertà e forse di morte a cui erano condannate. E credo di poter dire che il frutto della Pasqua del Signore passa anche attraverso gesti umani che guariscono e salvano.
Queste sono le due storie.

Un giovane riconoscente
Qualche settimana fa mi trovavo a Huancayo (Perù). Stavo per celebrare l’Eucaristia con più di 680 giovani del movimento giovanile salesiano dell’Ispettoria, insieme a diverse centinaia di persone di quella città, a 3200 metri di altitudine sulle alte montagne del Perù, e mi è stato detto che un ex studente voleva salutarmi. Aveva impiegato quasi cinque ore di viaggio per arrivare e ne doveva affrontare altre cinque per tornare.
«Sarò veramente felice di incontrarlo e ringraziarlo per il suo bel gesto» risposi.
Poco prima dell’inizio dell’Eucaristia, quel giovane si avvicinò e mi disse che era molto contento di salutarmi. «Mi chiamo Alberto e ho voluto fare questo viaggio per ringraziare don Bosco di persona perché i Salesiani mi hanno salvato la vita».
Lo ringraziai e gli chiesi perché mi stava dicendo questo. Lui ha continuato con la sua testimonianza, e ogni parola mi toccava sempre di più il cuore. Mi disse che era un ragazzo difficile; che aveva dato molti problemi ai Salesiani che lo avevano accolto in una delle case per ragazzi in difficoltà. Aggiunse che avrebbero avuto decine di motivi per sbarazzarsi di lui perché «ero un povero diavolo, e potevo aspettarmi solo qualcosa di brutto dal mondo e dalla vita, ma loro sono stati molto pazienti con me».
E continuò: «Sono riuscito a farmi strada, ho continuato a studiare e, nonostante la mia ribellione, di volta in volta mi hanno dato nuove opportunità, e oggi sono un padre di famiglia, ho una bellissima bambina e sono un educatore sociale. Se non fosse stato per quello che i Salesiani hanno fatto per me, la mia vita sarebbe molto diversa, forse sarebbe addirittura già finita».
Ero senza parole e molto commosso. Gli dissi che gli ero molto grato per il suo gesto, le sue parole e il suo cammino, e che la sua testimonianza di vita era la più bella soddisfazione per un cuore salesiano.
Fece un gesto discreto e mi indicò un salesiano che era là presente in quel momento, che era stato uno dei suoi educatori e uno di quelli che avevano avuto molta pazienza con lui. Il salesiano si avvicinò sorridendo e, credo con una grande gioia nel cuore, mi confermò che era stato proprio così. Condividemmo il pranzo insieme e poi Alberto tornò dalla sua famiglia.

Una mamma felice
Cinque giorni dopo questo incontro, mi trovavo nel sud dell’India, nello stato di Hyderabad. In mezzo a tanti saluti e attività, un pomeriggio mi annunciarono una visita. Era una giovane madre con la sua bambina di sei mesi che mi aspettava alla reception della casa salesiana. Voleva salutarmi.
La bambina era bellissima e, poiché non era spaventata, non ho resistito a prenderla in braccio e a benedire anche lei. Abbiamo scattato alcune foto ricordo, come desiderava la giovane mamma. Questo è stato tutto in questo incontro.
Non ci sono state altre parole, ma la storia era dolorosa e splendida nello stesso tempo. Quella giovane madre un tempo era una bambina “buttata via”, che viveva per strada e senza nessuno. È facile immaginare il suo destino.
Ma un giorno, nella provvidenza del buon Dio, fu trovata da un salesiano che aveva iniziato ad accogliere i bambini di strada nello stato di Hyderabad. Fu una delle ragazze che riuscì ad avere una casa insieme ad altre ragazze. Insieme agli educatori, i miei fratelli salesiani si assicurarono che tutti i bisogni essenziali fossero soddisfatti e curati.
Così questa bambina, raccattata dalla strada, poté rifiorire, fare un percorso di vita che l’ha portata a essere oggi moglie e madre e, cosa per me incredibilmente inestimabile, insegnante nella grande scuola salesiana dove ci trovavamo in quel momento.
Non potevo fare a meno di pensare a quante altre vite così, salvate dalla disperazione e dall’ angoscia, ci sono nel mondo salesiano, quanti miei buoni fratelli e sorelle salesiani si inginocchiano ogni giorno a “lavare i piedi” dei Gesù piccoli e grandi delle nostre strade.
Questa è la chiave di come molte vite possono essere trasformate in meglio.
Come non vedere in questi due fatti la “mano di Dio” che ci raggiunge attraverso il bene che possiamo fare? E che siamo tutti noi che, in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi situazione di vita e professione, crediamo nell’umanità e crediamo nella dignità di ogni persona, e crediamo che si debba continuare a costruire un mondo migliore.
Scrivo questo perché anche le buone notizie devono essere rese note. Le cattive notizie si diffondono da sole o trovano persone interessate. Queste due storie di vita reale, così vicine nel tempo per me, confermano una volta e mille volte quanto valga il bene che cerchiamo di fare tutti insieme.
E anche quello che un canto salesiano poeticamente esprimeva: «Dico che Giovanni Bosco è vivo, non pensare che un Padre così possa abbandonarci. Non è morto, il Padre vive, c’è sempre stato e rimane, lui che si è preso cura di giovani abbandonati e orfani, di ragazzi di strada, soli, che aiutava a cambiare… Dico che Giovanni Bosco è vivo e ha intrapreso mille iniziative. Non vedi la sua sollecitudine di padre che opera adesso in tutto il mondo? Non lo senti intonare il suo canto a tante figlie, a tanti figli, che portano questi riflessi del Padre che amiamo? Lui vive, quando i suoi salesiani sono così».
Auguro a tutti voi una Buona Pasqua; e a chi si sente lontano da questa certezza di fede, auguro ogni bene, con tanta cordialità.




Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà

La missione salesiana in Uruguay condivisa da un vietnamita, padre Domenico Tran Duc Thanh: l’amore cristiano attraverso la vita vissuta con la gente del posto.

I Salesiani furono fondati ufficialmente come Congregazione nel 1859, ma il sogno era in cantiere da molto tempo. Già all’inizio del suo lavoro, don Bosco capì che l’opera doveva essere condivisa, come aveva intuito in molti dei suoi sogni. Così coinvolse persone di ogni estrazione sociale a collaborare in vari modi alla missione giovanile che Dio gli aveva affidato. Nel 1875, con l’inizio delle missioni, si apre una tappa importante nella storia della Congregazione. La prima destinazione sarebbe stata l’Argentina.

Il 13 dicembre del 1875, la prima spedizione missionaria salesiana, guidata da don Giovanni Cagliero, diretta a Buenos Aires, passò per Montevideo. Così l’Uruguay è diventato il terzo Paese fuori dall’Italia raggiunto dai Salesiani di Don Bosco. I salesiani si insediarono nel quartiere di Villa Colón, tra enormi difficoltà, iniziando il loro lavoro presso il Colegio Pío, che venne inaugurato il 2 febbraio 1877. Nello stesso anno, le Figlie di Maria Ausiliatrice arrivarono in Uruguay e si stabilirono anche loro in questo quartiere: in questo modo, Villa Colón divenne la culla da cui il carisma si diffuse non solo in Uruguay, ma anche in Brasile, Paraguay e altre terre del continente latino-americano.

Con il tempo, quella presenza salesiana è diventata un’Ispettoria e oggi ha una varietà di opere salesiane in diverse parti del paese: scuole, servizi sociali, parrocchie, basiliche, santuari, cappelle rurali e urbane, centri sanitari, residenze studentesche e universitarie, Movimento Giovanile Salesiano e altro. È una pluralità che mostra la risposta alle necessità del territorio e la flessibilità dei Salesiani di adeguarsi alla situazione locale. Visitando la gente del quartiere, cercando di capire ciò che la gente sta vivendo attraverso il dialogo e il vissuto quotidiano, si porta avanti l’adattamento alle nuove situazioni per poter rispondere meglio alla missione affidata. Questo uscire, andare incontro ai giovani, soprattutto ai più bisognosi, fa felici i Salesiani, permettendo loro giorno per giorno di continuare a scoprire la bellezza della vocazione salesiana.
Il lavoro in queste opere è stato condiviso con i fedeli laici e, avendo curato la loro formazione, oggi troviamo un bel numero di loro che lavorano in queste attività, condividendo la vita con i Salesiani e rafforzando la loro missione. L’apertura verso gli altri ha permesso di accogliere in queste terre anche Salesiani che non sono originari del luogo. È il caso di don Dominic che svolge lì la sua missione salesiana.

La risposta alla vocazione missionaria è quella che ha lasciato un forte segno nella sua vita. Ci racconta che si è trovato quasi all’improvviso in un paese sconosciuto, con una lingua e cultura diverse, avendo dovuto separarsi da tutte le persone conosciute, rimaste lontane. Bisognava ricominciare da zero, con una apertura diversa, con una nuova sensibilità. Se prima pensava che essere missionario significasse portare Gesù in un altro luogo, una volta giunto in Uruguay ha scoperto che Gesù era già lì, ad aspettarlo in altre persone. “Qui in Uruguay, attraverso gli altri, ho potuto incontrare un Gesù totalmente diverso: più vicino, più umano, più semplice”.
Quello che non si è perso, è stata la presenza materna di Maria che lo accompagna nella quotidianità della vita missionaria e che gli dà una forza profonda, che spinge ad amare Cristo negli altri. “Quando ero bambino, mia nonna mi portava ogni giorno in una chiesa a recitare il rosario. Da quei giorni ai suoi piedi fino ad oggi, mi sento ancora protetto sotto il manto di Maria”. Il culto mariano dà i suoi frutti; l’amore si paga con amore.

Ci confessa che: “In Uruguay sono un giovane che non ha nulla; ho solo la fede, la fede di sapere che Cristo e Maria sono sempre presenti nella mia vita; la speranza di una Chiesa sempre più vicina, piena di santità e di gioia”. Ma è forse questa povertà che lo aiuta a preparare il cuore a seguire Cristo, educare il cuore a stare con i fratelli e le sorelle che si incontrano lungo la strada. Questo lo porta a vedere la Chiesa come un luogo d’incontro gioioso, una festa che manifesta la fede dell’altro, un incontro che implica unità e santità.
E questo lo porta anche ad accorgersi che il suo posto è proprio lì dov’è, nella sua comunità con i suoi fratelli, con la gente del quartiere, con gli animatori, con i bambini, con i laici, con gli educatori.
Si manifesta così la bellezza della vocazione missionaria: lasciando agire la Provvidenza, tramite l’umiltà e la docilità verso lo Spirito Santo, si trasforma l’ordinario in straordinario.

Marco Fulgaro

Galeria foto Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà

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Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
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Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
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