Lettera del Rettor Maggiore dopo la nomina cardinalizia

A tutti i Confratelli Salesiani (SDB) Ai membri dei Gruppi della Famiglia Salesiana

Cari fratelli e sorelle,
giunga a ciascuno e a ciascuna di voi il mio sincero, fraterno e affettuoso saluto.

Dopo la notizia inaspettata (soprattutto per me), con la quale il Santo Padre Francesco ha annunciato anche il mio nome tra le 21 persone che ha scelto per essere “create” Cardinali della Chiesa nel prossimo Concistoro del 30 settembre, migliaia di persone si saranno domandate: e ora cosa accadrà? Chi guiderà la Congregazione nel prossimo futuro? Quali passi l’attendono?
Potete ben capire che sono gli stessi interrogativi che anch’io mi sono posto, mentre ringraziavo con fede il Signore per questo dono che Papa Francesco ci ha fatto come Congregazione salesiana e come Famiglia di Don Bosco.
Che grande affetto ha il Papa nei nostri confronti!!!
Pertanto, mentre ringrazio Dio per questo dono che è di tutta la Congregazione e della Famiglia Salesiana, esprimo la mia gratitudine a Papa Francesco assicurando per lui, da parte di tutti i membri della nostra grande Famiglia, una più fervida e intensa preghiera. Preghiera che, come detto, sarà sempre accompagnata dal nostro sincero e profondo affetto.
Dopo circa mezz’ora dall’annuncio della nomina in occasione della preghiera dell’Angelus di domenica scorsa, 9 luglio, il Santo Padre mi ha consegnato una lettera nella quale mi ha chiesto un incontro urgente con lui, per concordare i tempi necessari del mio servizio come Rettor Maggiore per il bene, innanzitutto, della Congregazione. Il Papa stesso, nella citata lettera, mi ha parlato esplicitamente della preparazione e del prossimo Capitolo Generale previsto per il 2026.
Quindi, ieri pomeriggio, martedì 11 luglio, sono stato ricevuto da Papa Francesco. Ho avuto con lui un dialogo fraterno. Come sempre il Papa si è mostrato attento, cordiale, profondo estimatore del carisma di don Bosco e particolarmente affettuoso. Sentimenti che, a nome mio personale e di tutta la Famiglia salesiana, ho ricambiato.
Ora sono in grado di condividere con la Congregazione salesiana e la nostra Famiglia sparsa nel mondo, le disposizioni che il Santo Padre mi ha comunicato.

Eccole:
– potremo anticipare il 29° Capitolo generale di un anno, cioè nel febbraio 2025;
– il Papa ha ritenuto che, per il bene della nostra Congregazione, dopo il Concistoro del 30 settembre 2023 io possa continuare il mio servizio come Rettore Maggiore fino al 31 luglio 2024, cioè fino alla conclusione della sessione plenaria estiva del Consiglio Generale;
– dopo tale data presenterò le mie dimissioni da Rettor Maggiore per assumere dalle mani del Santo Padre il servizio che mi affiderà. Questo è quanto il Papa stesso mi ha comunicato;
– a norma dell’art. 143 delle nostre Costituzioni, che dà le disposizioni nel caso della «cessazione dall’ufficio del Rettor Maggiore», essendo stato chiamato da Papa Francesco per un altro servizio, il mio Vicario, don Stefano Martoglio, assumerà il governo della Congregazione ad interim fino alla celebrazione del CG29;
– il Capitolo Generale 29° sarà convocato da me almeno un anno prima della sua celebrazione, come stabilito dalle nostre Costituzioni e dai Regolamenti generali (Reg. 111), e sarà il mio Vicario, don Stefano Martoglio, a presiederlo;
– per tutto questo tempo continueremo a seguire il programma del sessennio stabilito per l’animazione e nel governo della Congregazione. Al fine di completare tutte le visite straordinarie programmate (comprese quelle relative all’anno 2025), il Rettor Maggiore, udito il parere dei membri del Consiglio generale, procederà alla nomina di un ulteriore visitatore straordinario. In questo modo sarà possibile arrivare al CG29 con un quadro completo e aggiornato della situazione dell’intera Congregazione;
– per tutti gli altri elementi relativi al Capitolo generale, fornirò informazioni dettagliate nella lettera di convocazione ufficiale del CG29.

In conclusione mi rimane da dire e da rispondere ad un altro interrogativo che molti di voi avranno: quale compito mi affiderà il Santo Padre?
Papa Francesco non me l’ha ancora detto. Inoltre, con questo ampio margine di tempo ritengo che sia la cosa più opportuna.
In ogni caso, chiedo a tutti voi, cari Confratelli e membri dei gruppi della nostra Famiglia Salesiana di continuare a intensificare la preghiera. Soprattutto per Papa Francesco. Lui stesso l’ha espressamente richiesta al termine dell’udienza privata a me concessa.
E vi chiedo anche di pregare per quello che vivremo in questo anno come Congregazione e come Famiglia Salesiana.
Chiedo, infine, anche di pregare per me, posto di fronte alla prospettiva di un nuovo servizio nella Chiesa che, come figlio di Don Bosco, accetto in filiale obbedienza, senza averlo né cercato né voluto. Il nostro amato Padre Don Bosco mi è testimone davanti al Signore Gesù.
Vi ringrazio per l’affetto, la vicinanza espressa in questi giorni con i numerosi messaggi che mi sono pervenuti da ogni parte del mondo.
Dalla Basilica di Maria Ausiliatrice vi invio un affettuoso e riconoscente saluto affidando tutti e ciascuno a Lei, la Madre, la quale continuerà ad accompagnarci e a sostenerci.
Sento come rivolte a me le stesse espressioni che la Madonna disse a don Bosco nel sogno dei nove anni – di cui l’anno prossimo si celebrerà il secondo centenario: «A suo tempo tutto comprenderai». E sappiamo che per il nostro Padre ciò è effettivamente avvenuto quasi al termine della vita, davanti all’altare di Maria Ausiliatrice nella Basilica del Sacro Cuore di Gesù, che era stata consacrata il giorno prima, il 16 maggio 1887.
Mettiamo tutto nelle mani del Signore e di sua Madre.

Con immenso affetto vi saluto,
Prot. 23/0319
Torino, 12 luglio 2023




Basilica del Sacro Cuore a Roma

Al tramonto della vita, ubbidendo a un desiderio di papa Leone XIII, don Bosco assume la difficile costruzione del tempio del Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio di Roma. Per portare a termine l’impresa gigantesca non ha risparmiato faticosi viaggi, umiliazioni, sacrifici, che hanno abbreviato la sua preziosa vita di apostolo della gioventù.

La devozione al Sacro Cuore di Gesù risale agli inizi della Chiesa. Nei primi secoli i Santi Padri invitavano a guardare il Costato trafitto di Cristo, simbolo di amore, anche se non rimandava in modo esplicito al Cuore del Redentore.
I primi riferimenti trovati sono quelli che provengono dai mistici Matilde di Magdeburgo (1207-1282), santa Matilde di Hackeborn (1241-1299), santa Gertrude di Helfta (ca. 1256-1302) e beato Enrico Suso (1295-1366).
Uno sviluppo importante arriva con le opere di san Giovanni Eudes (1601-1680), poi con le rivelazioni private della visitandina santa Margherita Maria Alacoque, diffuse da san Claude de la Colombière (1641-1682) e dai suoi confratelli gesuiti.
Alla fine dell’800 si diffondono le chiese consacrate al Sacro Cuore di Gesù, principalmente come templi espiatori.
Con la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù, tramite l’enciclica di Leone XIII, Annum Sacrum (1899) il culto si estende notevolmente e si rafforza con altre due encicliche che verranno più tardi: Miserentissimus Redemptor (1928) di Pio XI e soprattutto Haurietis Aquas (1956) di Pio XII.

Ai tempi di don Bosco, dopo la costruzione della stazione ferroviaria Termini da parte di papa Pio IX nel 1863, cominciano a popolarsi le vicinanze, e le chiese circostanti non riuscivano a servire i fedeli in modo adeguato. Nasce così il desiderio di edificare un tempio nella zona, ed si è inizialmente pensato di dedicarlo a san Giuseppe, nominato come patrono della Chiesa Universale l’8 dicembre 1870. Dopo una serie di avvenimenti, nel 1871 il papa cambia il patronaggio della voluta chiesa, dedicandola al Sacro Cuore di Gesù, e rimane in stato di progetto fino al 1879. Intanto il culto verso il Sacro Cuore continua a diffondersi, e nel 1875, a Parigi, sulla collina più alta della città, Montmartre (Monte dei Martiri), si pone la prima pietra alla chiesa omonima, Sacré Cœur, che verrà completata nel 1914 e consacrata nel 1919.

Dopo la morte di papa Pio IX, il nuovo papa Leone XIII (come arcivescovo di Perugia aveva consacrato la sua diocesi al Sacro Cuore) decide di riprendere il progetto, e il 16 agosto 1879 si pone la prima pietra. I lavori si interrompono poco dopo per la mancanza di sostegno finanziario. Uno dei cardinali, Gaetano Alimonda (futuro arcivescovo di Torino) consiglia al papa di affidare l’impresa a don Bosco e, anche se il pontefice inizialmente è titubante sapendo gli impegni delle missioni salesiane dentro e fuori l’Italia, fa la proposta al Santo nell’aprile del 1880. Don Bosco non ci pensa due volte e risponde: “Il desiderio del Papa è per me un comando: accetto l’impegno che Vostra Santità ha la benevolenza di affidarmi”. All’avvertimento del Papa che non potrà sostenerlo economicamente, il Santo chiede solo l’apostolica benedizione e i favori spirituali necessari per il compito affidato.

Posa della prima pietra della chiesa Sacro Cuore di Gesù a Roma

Di ritorno a Torino, vuole avere l’approvazione del Capitolo per questa impresa; dei sette voti, solo uno è positivo: il suo… Il Santo non si scoraggiò e argomentò: “Mi avete dato tutti un no rotondo e sta bene, perché avete agito secondo la prudenza necessaria in casi seri e di grande importanza come questo. Ma se invece di un no mi date un sì, io vi assicuro che il Sacro Cuore di Gesù manderà i mezzi per fabbricare la sua chiesa, pagherà i nostri debiti e ci darà una bella mancia” (MB XIV,580). Dopo questo intervento si è ripetuta la votazione e i risultati furono tutti positivi e la mancia principale fu l’Ospizio del Sacro Cuore che fu costruito accanto alla chiesa per i ragazzi poveri e abbandonati. Questo secondo progetto dell’Ospizio è stato inserito in una Convenzione fatta l’11 dicembre 1880, che garantiva l’uso perpetuo della chiesa alla Congregazione Salesiana.
L’accettazione gli causerà gravi preoccupazioni e gli costerà la salute, ma don Bosco che insegnava ai suoi figli il lavoro e la temperanza e diceva che sarebbe stato un giorno di trionfo quello in cui si fosse detto che un salesiano era morto sulla breccia affranto dalla fatica, li precedeva con l’esempio.

L’edificazione del Tempio del Sacro Cuore al Castro Pretorio in Roma venne realizzata non solo per l’obbedienza al Papa ma anche per la devozione.
Riprendiamo uno dei suoi interventi su questa devozione, fatto in una buonanotte rivolta agli allievi e confratelli a un solo mese di distanza dall’incarico, il 3 di giugno del 1880, vigilia della festa del Sacro Cuore.
Domani, miei cari figliuoli, la Chiesa celebra la festa del Sacro Cuore di Gesù. Bisogna che anche noi con grande impegno procuriamo di onorarlo. È vero che la solennità esterna la trasporteremo a domenica; ma domani incominciamo a far festa nel nostro cuore, a pregare in modo speciale, a far comunioni fervorose. Domenica poi ci sarà musica e le altre cerimonie del culto esterno, che rendono tanto belle e maestose le feste cristiane.
Qualcheduno di voi vorrà sapere che cosa sia questa festa e perché si onori specialmente il Sacro Cuore di Gesù. Vi dirò che questa festa non è altro che onorare con una speciale rimembranza l’amore che Gesù portò agli uomini. Oh l’amore grandissimo, infinito che Gesù ci portò nella sua incarnazione e nascita, nella sua vita e predicazione, e particolarmente nella sua passione e morte! Siccome poi sede dell’amore è il cuore, così si venera il Sacro Cuore, come oggetto che serviva di fornace a questo smisurato amore. Questo culto al Sacratissimo Cuor di Gesù, cioè all’amore che Gesù ci dimostrò, fu di tutti i tempi e sempre; ma non sempre vi fu una festa appositamente stabilita per venerarlo. Come sia comparso Gesù alla Beata Margherita una festa le abbia manifestato i grandi beni che verranno agli uomini onorando di culto speciale il suo amabilissimo cuore, e come se ne sia perciò stabilita la festa, lo sentirete nella predica di domenica a sera.
Ora facciamoci coraggio ed ognuno faccia del suo meglio per corrispondere a tanto amore che Gesù ci ha portato.
(MB XI,249)

Sette anni più tardi, nel 1887, la chiesa fu completata per il culto. Il 14 maggio di quell’anno don Bosco assistette con commozione alla consacrazione del tempio, presieduta solennemente dal cardinale vicario Lucido Maria Parocchi. Due giorni più tardi, il 16 maggio, celebrò l’unica Santa Messa in questa chiesa, all’altare dell’Ausiliatrice, interrotta ben più di quindici volte dalle lacrime. Erano lacrime di riconoscenza per la luce divina ricevuta: aveva capito le parole del suo sogno di nove anni: “A suo tempo tutto comprenderai!”. Un compito portato a termine tra tante incomprensioni, difficoltà e fatiche, ma che corona una vita spesa per Dio e per i giovani, premiato dalla stessa Divinità.

Recentemente è stato realizzato un video sulla Basilica del Sacro Cuore. Ve lo proponiamo a seguire.






Il Rettor Maggiore, don Angel FERNANDEZ ARTIME, nominato cardinale

Papa Francesco, alla fine della preghiera mariana di domenica, 9 di luglio 2023, ha annunciato la creazione di 21 nuovi cardinali, fra i quali anche il Rettor Maggiore dei salesiani, don Angel FERNANDEZ ARTIME.

Auguriamo al nostro Rettor Maggiore tante grazie dal Signore che lo guidi nella nuova missione affidata dalla Chiesa Universale!

La notizia ufficiale si trova QUI.




San Francesco di Sales. La dolcezza (7/8)

(continuazione dall’articolo precedente)

LA DOLCEZZA, IN SAN FRANCESCO DI SALES (7/8)

Alcuni episodi della vita di Francesco che ci introducono nella contemplazione della “dolcezza salesiana”.

Francesco, per migliorare la situazione del clero nelle parrocchie, aveva stabilito che fossero messe a concorso: almeno tre candidati per una parrocchia. Sarebbe stato scelto il migliore.
Ora, era successo che un cavaliere di Malta, furibondo perché uno dei suoi servitori era stato escluso da un concorso (questo candidato sapeva più corteggiare le donne che commentare il Vangelo!), era entrato bruscamente nello studio del vescovo e lo aveva insultato con ingiurie e minacce e Francesco era rimasto in piedi, con il cappello in mano. Il fratello del vescovo gli domandò poi se mai la collera lo avesse preso qualche volta e il sant’uomo non gli nascose che “allora e spesso la collera ribolliva nel suo cervello come l’acqua che bolle in una pentola sul fuoco; ma che per grazia di Dio, quand’anche avesse dovuto morire per aver resistito con violenza a questa passione, non avrebbe mai detto una parola in suo favore”.

Si stava costruendo il primo monastero in città (la Sainte Source) e i lavori non andavano avanti perché i domenicani protestavano con gli operai in quanto, secondo loro, non esisteva la distanza richiesta tra i due edifici. Ci sono delle vivaci proteste e il vescovo con bontà e pazienza accorre per calmare gli animi. Questa calma e dolcezza non piacquero a Giovanna di Chantal, che sbottò dicendo:
“La vostra dolcezza non farà che aumentare l’insolenza di queste persone malevole”. “Non sarà, non sarà – rispose Francesco – e poi, Madre, volete che nel giro di un quarto d’ora io distrugga quell’edificio della pace interiore alla cui costruzione sto lavorando da oltre diciotto anni?”.

Una premessa è d’obbligo per comprendere bene cosa sia la dolcezza salesiana. Ce ne parla un esperto: il salesiano don Pietro Braido:
“Non è sentimentalismo, che richiama forme espressive sdolcinate; non è buonismo, tipico di chi chiude volentieri gli occhi sulla realtà per non avere problemi e seccature; non è la miopia di chi vede tutto bello e buono e per il quale tutto va sempre bene; non è l’atteggiamento inerte di chi non ha proposte da fare… La dolcezza salesiana (don Bosco userà il termine amorevolezza) è un’altra cosa: nasce indubbiamente da una profonda e solida carità ed esige un attento controllo delle proprie risorse emotive ed affettive; si esprime in un carattere di umore sereno costante, segno di una persona dall’umanità ricca; richiede capacità di empatia e di dialogo e crea un’atmosfera serena, priva di tensioni e di conflittualità. Dunque la dolcezza di Francesco non va confusa con la debolezza, anzi è forza che richiede controllo, bontà d’animo, chiarezza di intenti e forte presenza di Dio”.

Ma Francesco non è nato così! Dotato di spiccata sensibilità, era facile agli sbalzi di umore e agli scatti d’ira.
Scrive il Lajeunie:
“Francesco di Sales era un vero savoiardo, abitualmente calmo e dolce, ma capace di terribili collere; un vulcano sotto la neve. Per natura era molto pronto a montare in collera, ma che si impegnava tutti i giorni a correggersi.
Con questo temperamento vivo e sanguigno, la sua dolcezza abituale fu sovente messa alla prova. Era molto ferito da parole insolenti e spiacevoli, da gesti volgari. Nel 1619 a Parigi confessava che aveva ancora degli scatti di collera nel suo cuore e doveva tenerne a freno le briglie con due mani!
“Ho fatto un patto con la mia lingua di non dire una parola quando fossi stato in collera. Per grazia di Dio ho potuto avere la forza di frenare la passione della collera, cui naturalmente ero incline”. È per la grazia di Dio che aveva acquistato la capacità di dominare le sue passioni colleriche a cui la sua indole era portata. La sua dolcezza era dunque una forza, il frutto di una vittoria”.

Non è difficile scoprire dietro le prossime citazioni l’esperienza personale del santo, fatta di pazienza, di autocontrollo, di lotta interiore …
Ad una signora dice:
“Siate molto dolce e affabile in mezzo alle occupazioni che avete, perché tutti si attendono da voi questo buon esempio. È facile guidare la barca quando non è ostacolata dai venti; ma in mezzo ai fastidi, ai problemi, è difficile conservarsi sereni, come è difficile seguire la rotta in mezzo alle burrasche”.
Alla signora di Valbonne, che Francesco definisce “una perla”, scrive:
“Dobbiamo restare sempre saldi nella pratica delle nostre due care virtù: la dolcezza nei riguardi del prossimo e l’amabilissima umiltà nei riguardi di Dio”. Ritroviamo unite le due virtù care al Cuore di Gesù: dolcezza e umiltà.

Occorre esercitare la dolcezza anche verso sé stessi.
“Ogni volta che troverete il vostro cuore fuori della dolcezza, contentatevi di prenderlo molto delicatamente con la punta delle dita per rimetterlo al suo posto e non prendetelo a pugni chiusi o troppo bruscamente. Bisogna essere disposti a servire questo cuore nelle sue malattie e anche ad usargli qualche gentilezza; e dobbiamo legare le nostre passioni e le nostre inclinazioni con catene d’oro, cioè, con le catene dell’amore.”
“Chi sa conservare la dolcezza fra i dolori e le infermità e la pace fra il disordine delle sue molteplici occupazioni è quasi perfetto. Questa costanza d’umore, questa dolcezza e soavità di cuore è più rara che la perfetta castità, ma ne è tanto più desiderabile. Da questa, come dall’olio della lampada, dipende la fiamma del buon esempio, perché non vi è altra cosa che edifichi tanto come la bontà caritatevole.”

Ai genitori, educatori, insegnanti, superiori in genere Francesco ricorda di usare dolcezza soprattutto quando si tratta di muovere qualche osservazione o rimprovero a qualcuno. Qui emerge lo spirito salesiano:
“Anche rimproverandoli, com’è necessario, bisogna usare con essi molto amore e dolcezza. In questo modo, i rimproveri ottengono facilmente qualche buon risultato.
La correzione dettata dalla passione, anche quando ha basi ragionevoli, ha molto meno efficacia di quella che viene unicamente dalla ragione”.
“Vi garantisco che ogni volta che sono ricorso a repliche pungenti, ho dovuto pentirmene. Gli uomini fanno molto di più per amore e carità che per severità e rigore”.

La dolcezza va a braccetto con un’altra virtù: la pazienza. Ecco allora qualche lettera che la consiglia:
“Finché restiamo quaggiù, dobbiamo rassegnarci a portare noi stessi fino a che Dio ci porti in cielo. Bisogna dunque aver pazienza e non pensare mai che possiamo correggere in un giorno le cattive abitudini che abbiamo contratte per la poca cura che abbiamo avuto della nostra salute spirituale […]. Bisogna, riconosciamolo, aver pazienza con tutti, ma in primo luogo con sé stessi”.
Alla signora de Limonjon scrive:
“Non è possibile arrivare in un giorno là dove aspirate: bisogna guadagnare oggi questo punto, domani quell’altro; e così, un passo dopo l’altro, arriveremo a essere padroni di noi stessi; e non sarà una conquista da poco”.

Per Francesco la pazienza è la prima virtù da mettere in cantiere nella costruzione di un solido edificio spirituale.
“L’effetto della pazienza è quello di possedere bene la propria anima e la pazienza è tanto più perfetta quanto più è libera dall’inquietudine e dalla fretta”.
“Abbiate pazienza riguardo alla vostra croce interiore: il Salvatore la permette affinché, un giorno, possiate conoscere meglio quello che siete da voi stessa. Non vedete che l’agitazione del giorno viene calmata dal riposo della notte? Questo vuol dire che la nostra anima non ha bisogno di altro che di abbandonarsi completamente a Dio e di essere disposta a servirlo tanto fra le rose come tra le spine”.

Ecco due lettere concrete: alla signora de la Fléchère scrive:
“Che volete dunque che vi dica circa il ritorno delle vostre miserie, se non che occorre riprendere le armi e il coraggio e combattere più decisamente che mai? Per sistemare i vostri affari dovrete usare molta pazienza e rassegnazione. Dio benedirà il vostro lavoro”.

E alla signora di Travernay aggiunge:
“Dovete saper prendere con pazienza e dolcezza e per amore di Colui che le permette, le noie che vi toccano nel corso della giornata. Perciò elevate spesso il vostro cuore a Dio, implorate il suo aiuto e considerate come principale fondamento della vostra consolazione la fortuna che avete di essere sua!”.

Infine questo testo che io chiamo l’inno alla carità secondo san Francesco di Sales.
“Colui che è dolce non offende nessuno, sopporta volentieri coloro che gli fanno del male, soffre con pazienza i colpi che riceve e non rende male per male. Chi è dolce non si turba mai, ma conforma tutte le sue parole all’umiltà, vincendo il male col bene. Fate sempre le correzioni col cuore e con parole dolci.
In questo modo le correzioni produrranno migliori effetti. Non ricorrete mai alle rappresaglie verso coloro che vi hanno dato dei dispiaceri. Non risentitevi e non adiratevi mai per nessun motivo, perché questa è sempre un’imperfezione”.

(continua)






Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (3/3)

(continuazione dall’articolo precedente)

Sempre in azione
Ma la Provvidenza bisogna anche “cercarla”. Ed ecco don Bosco in agosto tornare a scrivere al conte Cibrario, Segretario dell’Ordine Mauriziano, per ricordargli che era giunto il tempo di onorare la seconda parte dell’impegno economico assunto due anni prima. Da Genova per fortuna gli arrivano cospicue offerte da parte del conte Pallavicini e dei conti Viancino di Viancino; altre offerte gli pervengono in settembre dalla contessa Callori di Vignale e così da altre città, Roma e Firenze in particolare.
Arriva però presto un inverno freddissimo, con il conseguente incremento dei prezzi al consumo, pane compreso. Don Bosco va in crisi di liquidità. Fra lo sfamare centinaia di bocche e il sospendere i lavori edilizi, la scelta è obbligata. I lavori per la chiesa dunque ristagnano, mentre i debiti crescono. Il 4 dicembre don Bosco prende allora carta e penna (d’oca) e scrive a Roma al solito cavalier Oreglia: “Raccolga molti danari, poi ritorni, ché non sappiamo più dove prenderne. È vero che la Madonna fa sempre la sua parte, ma in fine dell’anno tutti i provveditori domandano denaro”. Splendido!

9 giugno 1868: solennissima consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice
Nel gennaio 1868 don Bosco si diede da fare per completare l’arredamento interno della chiesa di Maria Ausiliatrice.
A Valdocco la situazione si presentava comunque piuttosto seria. Scriveva don Bosco a Roma al cav. Oreglia: “Qui continuiamo con un freddo molto intenso: oggi toccò 18 gradi sotto zero; malgrado il fuoco della stufa il ghiaccio in mia camera non poté fondere.

Abbiamo ritardato la levata dei giovani, e siccome la maggior parte è vestita ancora da estate, così ciascuno si pose in dosso due camicie, giubba, corpetto, due paia di calzoni, cappotti militari; altri si tengono le coperte del letto sulle spalle lungo la giornata e sembrano proprio tante mascherate da carnevale”.
Fortunatamente una settimana dopo il freddo diminuì ed il metro di neve cominciò a sciogliersi.
Intanto a Roma si stava preparando la medaglia commemorativa. Don Bosco, avutala in mano, fece fare delle correzioni nella scritta e dimezzare lo spessore onde risparmiare. Il pur tanto denaro raccolto era sempre inferiore al bisogno. Così la colletta per la cappella di S. Anna promossa dalle nobildonne fiorentine, in particolare dalla contessa Virginia Cambray Digny, moglie del ministro di Agricoltura, Finanza e Commercio, a metà febbraio era ancora ad un sesto del totale (6000 lire). Don Bosco comunque non disperò e invitò la contessa a Torino: “Spero che Ella in qualche occasione potrà farci una visita ed osservare co’ propri occhi questo per noi maestoso edifizio, di cui si può dire che ogni mattone è una offerta fatta da quanti ora vicini ora lontani ma sempre per grazia ricevuta”.
E così era veramente, se ad inizio primavera lo ripeté al solito cavaliere (e lo avrebbe stampato poco dopo nel libro commemorativo Maraviglia della madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice): “Io sono ingolfato nelle spese, note molte da saldare, tutti i lavori da ripigliare; faccia quel che può ma preghi con fede. Credo tempo opportuno per chi vuole grazia da Maria! Noi ne vediamo ogni giorno una”.

Altare iniziale della chiesa di Maria Ausiliatrice

I preparativi della festa
A metà di marzo l’arcivescovo Riccardi fissò la consacrazione della chiesa per la prima quindicina di giugno. Tutto era ormai pronto: i due campanili della facciata sormontata da due arcangeli, la grande statua dorata sulla cupola già benedetta dall’arcivescovo, i cinque altari di marmo con i rispettivi quadri, fra cui quello meraviglioso di Maria Ausiliatrice con il bambino in braccio, circondata da angeli, apostoli, evangelisti, in un tripudio di luce e colori.
Scattò allora un piano eccezionale per la preparazione. Anzitutto si trattava di trovare il vescovo consacrante; poi di contattare vari vescovi per le solenni celebrazioni della mattina e della sera di ogni giorno dell’ottavario; inoltre di diramare gli inviti personali a decine di insigni benefattori, sacerdoti e laici di tutta Italia, molti dei quali da degnamente ospitare in casa; infine di preparare centinaia di ragazzi sia a solennizzare con canti i pontificali e le cerimonie liturgiche, sia a partecipare ad accademie, giochi, sfilate, momenti di gioia ed allegria.

Finalmente il gran giorno

Tre giorni prima del 9 giugno, a Valdocco arrivarono i ragazzi del collegio di Lanzo. Domenica 7 giugno “L’Unità Cattolica” pubblicò il programma delle celebrazioni, lunedì 8 giugno giunsero i primi invitati e si annunciò la venuta del duca d’Aosta in rappresentanza della Famiglia Reale. Arrivarono pure i ragazzi del collegio di Mirabello. Ecco allora i cantori passare ore ed ore a fare le prove della nuova Messa del maestro De Vecchi e del nuovo Tantum ergo di don Cagliero nonché della solennissima antifona Maria succurre miseris dello stesso Cagliero che si era ispirato al polifonico Tu es Petrus della basilica vaticana.
Il mattino seguente, 9 giugno alle 5,30 passando tra una duplice fila di 1200 ragazzi festosi e canterini, l’arcivescovo compì il triplice giro attorno alla chiesa e poi con il clero entrò nella chiesa per compiere a porte chiuse le previste cerimonie di consacrazione degli altari. Solo alle 10,30 la chiesa venne spalancata al pubblico che assistette alla messa dell’arcivescovo e a quella successiva di don Bosco. L’arcivescovo ritornò di pomeriggio per i vespri pontificali, solennizzati dal triplice coro dei cantori: 150 tenori e bassi ai piedi dell’altare di S. Giuseppe, 200 soprani e contralti sulla cupola, altri 100 tenori e bassi sul posto dell’orchestra. Don Cagliero li diresse, anche senza vederli tutti, attraverso un marchingegno elettrico studiato per l’occasione.

La vecchia sacrestia della chiesa di Maria Ausiliatrice

Fu un trionfo di musica sacra, un incantesimo, un qualcosa di paradisiaco. Indescrivibile fu la commozione dei presenti, che all’uscita della chiesa poterono pure ammirare l’illuminazione esterna della facciata e della cupola sormontata dalla statua di Maria Ausiliatrice pure illuminata.
E don Bosco? Tutto il giorno circondato da una folla di benefattori ed amici, commosso oltre ogni dire, non fece altro che lodare la Madonna. Un sogno “impossibile” si era realizzato.

Un ottavario altrettanto solenne
Celebrazioni solenni si alternarono mattina e sera lungo l’ottavario. Furono giornate indimenticabili, le più solenni che Valdocco avesse mai visto. Non per nulla don Bosco se ne fece propagatore subito con la robusta pubblicazione “Rimembranza di una solennità in onore di Maria Ausiliatrice”.
Il 17 giugno a Valdocco tornò un po’ di pace, i ragazzi ospitati tornarono ai loro collegi, i devoti alle loro case; la chiesa mancava ancora di rifiniture interne, di ornamenti, suppellettili… Ma la devozione all’Ausiliatrice dei Cristiani, ormai diventata la “Madonna di don Bosco” gli sfuggì rapidamente di mano e dilagò per il Piemonte, l’Italia, l’Europa, l’America Latina. Oggi nel mondo si contano a centinaia le chiese a lei dedicate, a migliaia i suoi altari, a milioni i quadretti e le immaginette. Don Bosco ripete a tutti oggi, come a don Cagliero in partenza per le missioni nel novembre 1875: “Confidate ogni cosa in Gesù Cristo Sacramentato ed in Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli”.




San Paolo VI. Il papa più salesiano

Papa Montini ha conosciuto da vicino i salesiani, li ha apprezzati, li ha sempre incoraggiati e sostenuti nella loro missione educativa. Altri papi prima di lui, e dopo di lui, hanno dato grandi segni di affetto alla Società salesiana. Ne ricordiamo alcuni.

I due Papi all’origine e allo sviluppo dell’opera salesiana
Due sono stati i Papi con cui don Bosco ebbe direttamente a che fare. Anzitutto il beato Pio IX, il Papa che egli sostenne in momenti tragici per la Chiesa, di cui difese l’autorità, i diritti, il prestigio, tanto da essere qualificato dagli avversari come “il Garibaldi del Vaticano”. Ne fu ricambiato con numerose ed affettuose udienze private, molte concessioni ed indulti. Lo sostenne pure economicamente. Durante il suo pontificato furono approvate la Società salesiana, le sue costituzioni, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), la Pia Unione dei Cooperatori salesiani, l’Associazione dei devoti di Maria Ausiliatrice. Si autonominò protettore della Società.
Gli successe papa Leone XIII che a sua volta accettò di essere il primo Cooperatore salesiano, trattò don Bosco con insolita cordialità e gli concesse i privilegi che erano ormai indispensabili per il rapido e prodigioso sviluppo della Congregazione. Eresse il primo Vicariato Apostolico affidato ai Salesiani, nominando il primo vescovo nella persona di monsignor Giovanni Cagliero nel 1883. Nella prima udienza a don Rua dopo la morte di don Bosco, gli fu largo di consigli per il consolidamento della Società salesiana.

I due (futuri) Papi che sedettero alla mensa di don Bosco
San Pio X da semplice canonico s’incontrò con don Bosco a Torino nel 1875, sedette alla sua mensa e si fece iscrivere fra i Cooperatori salesiani. Se ne partì altamente edificato. Da vescovo e patriarca di Venezia diede prove di benevolenza verso la Società Salesiana. Nel 1907 firmò il decreto d’introduzione del processo apostolico di don Bosco e nel 1914 quello per san Domenico Savio. Nel 1908 nominò monsignor Cagliero delegato apostolico nel Centro America. È il primo cooperatore salesiano elevato all’onore degli altari.
Pure Pio XI, da giovane sacerdote nel 1883 andò a far visita a don Bosco all’Oratorio, fermandosi colà due giorni. Sedette alla mensa di don Bosco e se ne partì pieno di profondi e soavi ricordi. Non risparmiò mezzo per promuovere rapidamente il processo apostolico di don Bosco, per la cui canonizzazione volle stabilire nientemeno che il giorno di Pasqua del 1934, chiusura dell’Anno Santo. Grazie a lui la causa di Domenico Savio superò difficoltà, che parevano insuperabili: nel 1933 ne firmò il decreto dell’eroicità delle virtù; nel 1936 proclamò l’eroicità delle virtù di santa Maria Mazzarello, che beatificò il 20 novembre 1938. Altri segni di predilezione per la Società Salesiana furono la concessione dell’Indulgenza del lavoro santificato (1922) e l’elevazione alla porpora del cardinale polacco Augusto Hlond (1927).

Il papa più salesiano
Se Pio XI fu giustamente chiamato il “Papa di don Bosco”, forse altrettanto giustamente il “Papa più salesiano” per la conoscenza, stima ed affetto dimostrati alla società salesiana – senza voler con ciò sottovalutare altri Papi precedenti e successivi – è stato papa san Paolo VI. Il padre Giorgio, giornalista, era grande ammiratore di don Bosco (non ancora beato), di cui conservava nello studio un quadro con scritta autografa, sovente ammirato dal piccolo Giovanni Battista. Durante i suoi studi a Torino il giovane Montini aveva ondeggiato fra scegliere la vita benedettina conosciuta a San Bernardino di Chiari (diventata poi casa salesiana, lo è tuttora), e la vita salesiana. Pochi giorni dopo la sua ordinazione sacerdotale (Brescia 29 maggio 1920), chiese al vescovo, prima ancora di ricevere la destinazione pastorale, se poteva sceglierla lui. In tal caso avrebbe voluto andare con don Bosco. Il vescovo decise invece per gli studi a Roma. Ma ad un Montini “salesiano mancato” ne venne un altro. Pochi anni dopo quel colloquio, il cugino Luigi (1906-1963) gli espresse il desiderio di diventare pure lui sacerdote. Il futuro Papa, che lo conosceva bene, gli disse che per un temperamento dinamico e tumultuoso andava bene la vita salesiana e dunque si consigliasse con il famoso salesiano don Cojazzi. Il parere fu positivo e alla notizia don Giovanni fu così contento che il cugino prendesse il suo posto tanto da accompagnarlo lui stesso nell’aspirandato missionario salesiano di Ivrea. Sarà poi missionario per 17 anni in Cina e successivamente in Brasile fino alla morte. A completare la salesianità della famiglia Montini ci fu la presenza, per una decina di anni, nella casa salesiana del Colle Don Bosco di un fratello di Enrico, Luigi (1905­1973).
Non è necessario dire poi quanto monsignor Montini sia stato vicino ai salesiani nelle varie responsabilità assunte: ad esempio come Sostituto alla Segreteria di Stato o nel primissimo dopoguerra a Roma per l’incipiente opera del Borgo don Bosco per gli sciuscià, come arcivescovo di Milano a fine anni ’50 per la presa in consegna dell’opera dei barabitt di Arese, come Papa nel sostegno a tutta la Congregazione e la Famiglia salesiana, erigendo fra l’altro l’Università Pontificia Salesiana e la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium delle FMA. Della sua immensa stima per l’opera salesiana, missionaria in particolare, ha parlato più volte in udienze private al Rettor Maggiore don Luigi Ricceri ed in udienze pubbliche. Famosa quella confidenzialissima concessa ai Capitolari del Capitolo Generale 20 il 20 dicembre 1971. Ovviamente in molti discorsi tenuti ai salesiani, di Milano in particolare, ha dimostrato una profonda conoscenza del carisma salesiano e delle sue potenzialità.




Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (2/3)

(continuazione dall’articolo precedente)


La lotteria
L’autorizzazione venne concessa in tempi rapidissimi, per cui a Valdocco immediatamente si avviò la complessa macchina di raccolta e valutazione dei doni e di smercio dei biglietti: tutto come indicato nel piano di regolamento diffuso a mezzo stampa. Ad operare in prima persona per avere nominativi di personaggi di rilievo da inserire nel catalogo dei Promotori, per chiedere altri doni, per trovare acquirenti o “smerciatori” di biglietti della lotteria, fu il cav. Federico Oreglia di Santo Stefano, salesiano coadiutore. La lotteria venne ovviamente pubblicizzata sulla stampa cattolica della città, anche se solo dopo la chiusura, ai primi di giugno, di quella dei sordomuti.

I lavori continuano, le spese pure, i debiti anche
Il 4 giugno i lavori di muratura erano già due metri fuori dal suolo, ma il 2 luglio don Bosco fu costretto a ricorrere con urgenza ad un generoso benefattore, perché il capomastro Buzzetti potesse pagare la “quindicina agli operai” (8000 euro). Pochi giorni dopo nuovamente chiese ad un altro nobile benefattore se poteva impegnarsi a pagare lungo l’anno almeno qualcuno dei quattro lotti di tegole, assi ed assicelle per il tetto della chiesa, per un totale di spesa di circa 16 000 lire (64 000 euro). Il 17 luglio fu la volta di un sacerdote promotore della lotteria ad essere richiesto di pressante aiuto per poter pagare “un’altra quindicina per gli operai”: don Bosco gli propose di fargli avere il denaro con un immediato mutuo bancario, ovvero di prepararglielo per fine settimana quando lui stesso sarebbe andato a prenderlo o anche, meglio ancora, di portarglielo direttamente a Valdocco, dove avrebbe potuto vedere di persona la chiesa in costruzione. Insomma si navigava a vista ed il rischio di affondare per carenza di liquidità si rinnovava ogni mese.
Il 10 agosto mandò i moduli stampati alla contessa Virginia Cambray Digny, moglie del sindaco di Firenze, nuova capitale del Regno, invitandola a promuovere personalmente la lotteria. A fine mese una parte delle mura era già al tetto. E poco prima di Natale al marchese Angelo Nobili Vitelleschi di Firenze mandò 400 biglietti con preghiera di smerciarli fra le persone conosciute.
La ricerca di oggetti-dono per la lotteria di Valdocco e lo smercio dei relativi biglietti sarebbero proseguiti pure gli anni seguenti. Le circolari di don Bosco si sarebbero diffuse soprattutto al centro nord del Paese. Pure i benefattori di Roma, il papa in persona, avrebbe fatto la sua parte. Ma perché avrebbero dovuto impegnarsi a smerciare biglietti della lotteria per costruire una chiesa che non era la loro, per di più in una città che aveva appena cessato di essere capitale del Regno (gennaio 1865)?
Le motivazioni potevano essere varie, fra cui evidentemente quella di vincere qualche bel premio; ma di certo una fra le maggiori era di indole spirituale: a tutti coloro che avessero contribuito a costruire la “casa di Maria” in terra, a Valdocco, mediante elemosine in genere o il pagamento di strutture o di oggetti (finestre, vetrate, altare, campane, paramenti…) don Bosco, a nome della Vergine Maria, assicurava un premio speciale: un “bell’alloggio”, una “camera” ma non in un luogo qualunque, bensì “in paradiso”.

La Madonna fa la questua per la sua chiesa

Il 15 gennaio 1867 la Prefettura di Torino con apposito decreto fissa l’estrazione dei biglietti della lotteria il 1° aprile. Da Valdocco ci si affretta a spedire in tutta Italia i biglietti rimasti, con preghiera di restituire quelli invenduti entro metà marzo, così da poterli rispedire altrove prima dell’estrazione.
Don Bosco, che già da fine dicembre 1866 si era accinto ad un secondo viaggio a Roma (9 anni dopo il primo), con tappa a Firenze, per cercare di mettere d’accordo Stato e Chiesa sulla nomina di nuovi vescovi, ne approfitta per ripercorrere la rete delle sue amicizie fiorentine e romane. Riesce a smerciare molte mazzette di biglietti, tant’è che il compagno di viaggio, don Francesia sollecita la spedizione di altre, perché “tutti ne vogliono”.

La basilica e la primitiva piazza

Se al momento la benefica Torino, declassata dal ruolo di capitale del Regno, è in crisi, Firenze invece sta crescendo e così fa la sua parte con tante generose nobildonne; Bologna non è da meno, con il marchese Prospero Bevilacqua e la contessa Sassatelli. Non manca Milano, anche se proprio alla milanese Rosa Guenzati il 21 marzo don Bosco confida: “La lotteria si avvicina al suo termine ed abbiano ancora molti biglietti”.
Quale il risultato economico finale della lotteria? Circa 90 000 lire [328 000 euro], una bella cifra, si direbbe, ma che costituisce solo un sesto del denaro già speso; tant’è vero che il 3 aprile don Bosco deve chiedere ad un benefattore un urgente prestito di 5000 lire [18 250 euro] per un pagamento indilazionabile di materiale edilizio: gli era venuta meno un’entrata prevista.

La Madonna interviene
La settimana seguente don Bosco, trattando degli altari laterali con la contessa Virginia Cambray Digny di Firenze – si era fatta personalmente promotrice di una raccolta di fondi per un altare da dedicarsi a sant’Anna (madre della Madonna) – le comunica la ripresa dei lavori e la speranza (risultata poi vana) di potere inaugurare la chiesa entro l’anno. Conta sempre e soprattutto sulle offerte per le grazie che la Madonna concede di continuo agli oblatori e lo scrive a tutti, alla stessa Cambray Digny, alla signorina Pellico, sorella del famoso Silvio ecc. Qualche benefattrice, incredula, gliene chiede conferma e don Bosco lo ribadisce.

La basilica di Maria Ausiliatrice come la costruì Don Bosco

Le grazie aumentano, la loro fama si diffonde e don Bosco deve contenersi perché, come scrive il 9 maggio al cavaliere Oreglia di S. Stefano, salesiano inviato a Roma a cercare beneficenza: “Io non le posso scrivere perché ci sono interessato”. Invero non può mancare di aggiornare il suo elemosiniere il mese seguente: “Un signore guarito di un braccio portò immediatamente 3000 lire [11 000 euro] con cui si sono pagati una parte dei debiti dell’anno precedente… Io non ho mai vantato cose straordinarie; io ho sempre detto che M.SS. Ausiliatrice ha conceduto e concede tuttora grazie straordinarie a quelli che in qualche modo concorrono alla costruzione di questa chiesa. Io ho sempre detto e dico: ‘l’offerta si farà a grazia ricevuta, non prima’ [corsivo nell’originale]”. E il 25 luglio alla contessa Callori racconta di una ragazza da lui ricevuta, “pazza e furiosa” trattenuta da due uomini; appena benedetta si calmò e si confessò.

Se la Madonna si attiva, don Bosco non sta certo fermo. Il 24 maggio spedisce altra circolare per l’erezione e l’arredo della cappella dei SS. Cuori di Gesù e Maria: allega un modulo per l’iscrizione di offerta mensile, mentre chiede a tutti un’Ave Maria per gli oblatori. Lo stesso giorno, con una notevole “faccia tosta” domanda alla madre Galeffi delle Oblate di Tor de Specchi di Roma, se i 2000 scudi promessi tempo prima per l’altare dei SS. Cuori fanno parte, o no, della sua rinnovata disponibilità a fare altre cose per la chiesa. Il 4 luglio ringrazia il principe Orazio Falconieri di Carpegna di Roma per dono di calice e offerta per la chiesa. A tutti scrive che la chiesa avanza ed attende doni promessi, come gli altari delle cappelle, le campane, le balaustrine ecc. Le grandi offerte provengono dunque dagli aristocratici, dai principi della chiesa, ma non manca l’“obolo della vedova”, le offerte capillari della gente semplice: “La settimana scorsa in piccole offerte fatte per grazie ricevute vennero registrati 3800 franchi” [12 800 euro].
Il 20 febbraio 1867 la “Gazzetta Piemontese” dà la seguente notizia: “alle tante calamità ond’è afflitta l’Italia – [si pensi alla terza guerra d’indipendenza appena conclusa], ora dobbiamo aggiungere la ricomparsa del colera”. È l’inizio dell’incubo che minaccerà l’Italia per dodici mesi successivi, con decine di migliaia di morti in tutto il paese, Roma compresa, dove il morbo miete vittime anche fra personalità civili ed ecclesiastiche.
Sono preoccupatissimi i benefattori di don Bosco, che però li tranquillizza: “niuno di quelli che prendono parte alla costruzione della chiesa in onore di Maria sarà vittima di questi malanni, purché si riponga fiducia in lei”, scrive ad inizio luglio alla duchessa di Sora.

(continua)




Storia della costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice (1/3)

Ha fatto tutto lei, la Madonna”, siamo soliti leggere nella letteratura spirituale salesiana, per indicare che la Vergine è stata all’origine di tutta la vicenda di don Bosco. Se applichiamo l’espressione alla costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice, essa trova un forte spessore di verità documentatissima, fermo restando sempre che, accanto all’intervento celeste, anche don Bosco ha fatto la sua parte, eccome!

Il lancio dell’idea e prime promesse di sussidi (1863)
A fine gennaio ­ inizio febbraio 1863 don Bosco diffuse un’ampia circolare circa lo scopo di una chiesa, intitolata a Maria Ausiliatrice, che aveva in animo di costruire a Valdocco: doveva servire per la massa dei giovani ivi accolti e per le ventimila anime del territorio circostante, con l’ulteriore possibilità di essere eretta a parrocchia dall’autorità diocesana.
Poco dopo, il 13 febbraio, comunicò al papa Pio IX, non solo che la chiesa era parrocchiale, ma che era già “in via di costruzione”. Da Roma ottenne l’esito sperato: a fine marzo ricevette 500 lire. Ringraziando il cardinale di Stato Antonelli per il sussidio ricevuto scriveva che “i lavori… sono per cominciarsi”. In effetti in maggio acquistò terreni e legname destinati alla cinta del cantiere e in estate si iniziarono i lavori di scavo, continuati poi fino all’autunno.
Alla vigilia della festa di Maria Ausiliatrice, il 23 maggio, il Ministero di Grazia, Giustizia e Culto, sentito il sindaco, marchese Emanuele Luserna, si dichiarò disponibile a concedere un sussidio. Don Bosco colse l’occasione per fare un immediato appello alla generosità del primo Segretario dell’Ordine Mauriziano e del sindaco. A questi, anzi, nella stessa data inviò un duplice appello: al primo, in forma privata, chiese il maggior sussidio possibile ricordandogli l’impegno che aveva assunto in occasione di una sua visita a Valdocco; con il secondo, in via formale, ufficiale, fece lo stesso, ma dilungandosi in particolari circa l’erigenda chiesa.

Le prime risposte interlocutorie
Agli appelli lanciati per ottenere offerte, seguirono le risposte. Quella del 29 maggio del segretario dell’Ordine Mauriziano fu negativa per l’anno in corso, ma non per l’anno successivo quando si sarebbe potuto mettere a bilancio un non meglio precisato sussidio. La risposta invece del 26 luglio da parte del Ministero fu positiva: venivano stanziate 6000 lire, ma la metà sarebbe stata consegnata all’uscita delle fondamenta al livello del suolo, l’altra metà alla copertura della chiesa; il tutto però condizionato dal sopralluogo e assenso di un’apposita commissione governativa. Infine l’11 dicembre giunse la risposta, purtroppo negativa, della Giunta comunale: il concorso economico del Comune era previsto solo per le chiese parrocchiali e quella di don Bosco non lo era. Ma neppure poteva esserlo facilmente, stante la sede vacante dell’arcidiocesi. Don Bosco si prese allora qualche giorno di riflessione e alla vigilia di Natale ribadì al sindaco la sua intenzione di costruire una grande chiesa parrocchiale a servizio del “popolatissimo quartiere”. In caso di mancato sussidio comunale, avrebbe dovuto limitarsi ad una chiesa di dimensioni molto più ridotte. Ma anche il nuovo appello cadde nel vuoto.
L’anno 1863 si chiudeva così per don Bosco con poco di concreto, salvo qualche generica promessa. C’era di che scoraggiarsi. Ma se le pubbliche autorità latitavano sul piano economico – pensava don Bosco – la divina Provvidenza non sarebbe venuta meno. Ne aveva sperimentato infatti la forte presenza una quindicina di anni prima, in occasione della costruzione della chiesa di San Francesco di Sales. Pertanto all’ingegner Antonio Spezia, già da lui conosciuto come ottimo professionista, affidò il compito di tracciare il progetto della nuova chiesa che aveva in mente. Fra l’altro avrebbe lavorato, ancora una volta, gratuitamente.

L’anno decisivo (1864)

In poco più di un mese il progetto era pronto, per cui a fine gennaio 1864 venne consegnato alla Commissione edilizia comunale. Intanto don Bosco aveva chiesto alla direzione delle ferrovie dello Stato dell’Alta Italia il trasporto gratuito a Torino delle pietre da Borgone nella bassa Val di Susa. Il favore venne accordato in tempi rapidi, ma non così avvenne per la Commissione edilizia. A metà marzo essa infatti respinse i disegni consegnati per “non regolarità di costruzione”, con l’invito all’ingegnere di modificarli. Ripresentati il 14 maggio, vennero trovati difettosi nuovamente il 23 maggio, con un ulteriore invito a tenerne conto; in alternativa si suggerì di pensare ad un diverso progetto. Don Bosco accolse la prima proposta, il 27 maggio il progetto, rivisto, venne approvato ed il 2 giugno il Comune rilasciò la licenza edilizia.

Prima foto della chiesa di Maria Ausiliatrice

Intanto don Bosco non aveva perso tempo. Aveva chiesto al sindaco di far tracciare l’esatta rettilineazione dell’infossata via Cottolengo, onde poter a proprie spese rialzarla con il materiale dello scavo della chiesa. Inoltre aveva diffuso al centro­nord Italia, tramite alcuni fidatissimi benefattori, una circolare a stampa in cui presentava le motivazioni pastorale della nuova chiesa, le dimensioni, i relativi costi (invero poi quadruplicati in corso d’opera). L’appello, indirizzato soprattutto ai “divoti di Maria”, era accompagnato da una scheda di iscrizione per quanti volessero indicare in anticipo la somma che avrebbero versato nel triennio 1864­1866. La circolare indicava anche la possibilità di offrire materiali per la chiesa o altri oggetti ad essa necessari. In aprile l’annunzio fu pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno e su “L’Unità Cattolica”.
I lavori proseguivano e don Bosco non poteva assentarsi per le continue richieste di modificazioni, soprattutto circa le linee di demarcazione sull’irregolare Via Cottolengo. In settembre ad una più ampia cerchia di benefattori inviò una nuova circolare, sul modello di quella precedente, ma con la precisazione che i lavori sarebbero terminati entro tre anni. Ne spedì copia pure ai principi Tommaso ed Eugenio di casa Savoia e al sindaco Emanuele Luserna di Rorà; a questi però chiese di nuovo solo di collaborare al progetto rettificando via Cottolengo.

Debiti, una lotteria e tanto coraggio
A fine gennaio 1865, in occasione della festa di san Francesco di Sales che vedeva radunati a Valdocco salesiani provenienti da varie case, don Bosco comunicò loro l’intenzione di avviare una nuova lotteria per raccogliere fondi per il prosieguo dei lavori (di scavo) per la chiesa. Dovette però rimandarla per la contemporanea presenza in città di un’altra in favore dei sordomuti. Di conseguenza i lavori, che sarebbero ripresi in primavera dopo la pausa invernale, non avevano copertura economica. Ecco allora don Bosco chiedere urgentemente all’amico e confratello di Mornese, don Domenico Pestarino, un prestito di 5000 lire (20 000 euro). Non voleva infatti ricorrere ad un mutuo bancario troppo oneroso nella capitale. Come non bastassero gli spinosi problemi finanziari, ne sorsero in concomitanza degli altri con i confinanti, in particolare con quelli della casa Bellezza. Don Bosco dovette pagare loro un indennizzo per la rinuncia al passaggio per Via della Giardiniera, che dunque veniva soppressa.

Solenne posa della prima pietra

Venne finalmente il giorno della posa della prima pietra della Basilica di Maria Ausiliatrice, il 27 aprile 1865. Don Bosco tre giorni prima, ne diramò gli inviti, nei quali annunciava che Sua Altezza reale il principe Amedeo di Savoia avrebbe messo la prima calce, mentre la funzione religiosa sarebbe stata presieduta dal vescovo di Casale, monsignor Pietro Maria Ferrè. Questi venne però a mancare all’ultimo minuto e la solenne cerimonia fu celebrata dal vescovo di Susa, monsignor Giovanni Antonio Odone, alla presenza del Prefetto della città, del Sindaco, di vari consiglieri comunali, di benefattori, di membri della nobiltà cittadina e della Commissione per la Lotteria. Il corteo del duca Amedeo venne accolto al suono della marcia reale dalla banda e dal coro di voci bianche degli allievi di Valdocco e del collegio di Mirabello. La stampa cittadina fece da cassa di risonanza al festoso evento e don Bosco, da par suo, cogliendone il grande significato politico-religioso, ne ampliò la storica portata con proprie pubblicazioni.

Piazza e chiesa di Maria Ausiliatrice

Tre giorni dopo, in una lunga e sofferta lettera a papa Pio IX per la difficile situazione in cui si trovava la Santa Sede a fronte della politica del Regno d’Italia, accennava alla chiesa ormai già con i muri fuori della terra. Chiedeva la benedizione sull’impresa in corso e dei doni per la lotteria che stava per lanciare. In effetti a metà maggio ne chiese formalmente l’autorizzazione alla Prefettura di Torino, motivandola con la necessità di saldare i debiti dei vari oratori di Torino, di provvedere vitto, vestito, alloggio e scuola ai circa 880 allievi di Valdocco e di continuare i lavori della chiesa di Maria Ausiliatrice. Ovviamente si impegnava ad osservare tutte le numerose disposizioni di legge al riguardo.

(continua)




San Francesco di Sales. L’Eucaristia (6/8)

(continuazione dall’articolo precedente)

L’EUCARISTIA, IN SAN FRANCESCO DI SALES (6/8)

Francesco riceve la prima Comunione e la Cresima all’età di nove anni circa. Da allora si comunicherà ogni settimana o almeno una volta al mese.
Dio prende possesso del suo cuore e Francesco rimarrà fedele a questa amicizia che diventerà progressivamente l’amore della sua vita.

La fedeltà a una vita cristiana continua e si rafforza nei dieci anni di Parigi. “Si comunica, se non può più spesso, almeno una volta al mese.” E questo per dieci anni!

Sul periodo di Padova sappiamo che andava a messa tutti i giorni e che si comunicava una volta alla settimana. L’Eucaristia unita alla preghiera diventa l’alimento della sua vita cristiana e della sua vocazione. È in questa profonda unità con il Signore che percepisce la Sua volontà: qui matura il desiderio di essere “tutto di Dio”.

Francesco viene ordinato sacerdote il 18 dicembre 1593 e l’Eucaristia sarà il cuore delle sue giornate e la forza del suo spendersi per gli altri.
Ecco alcune testimonianze, tratte dai Processi di beatificazione:
“Era facile notare come si tenesse in profondo raccoglimento e attenzione davanti a Dio: gli occhi modestamente abbassati, il suo volto era tutto raccolto con una dolcezza e una serenità così grande che coloro che lo osservavano attentamente ne erano colpiti e commossi”.

“Quando celebrava la S. Messa era completamente diverso da com’era di solito: volto sereno, senza distrazioni e, al momento della comunione, quelli che lo vedevano erano profondamente colpiti dalla sua devozione.”

San Vincenzo de Paoli aggiunge:
“Richiamando alla mente le parole del servo di Dio, provo una tale ammirazione che sono portato a vedere in lui l’uomo che più di tutti ha riprodotto il Figlio di Dio vivente sulla terra”.

Sappiamo già della sua partenza nel 1594 come missionario per il Chiablese.
I primi mesi li trascorre al riparo della fortezza degli Allinges. Visitando quello che resta di questa fortezza, si rimane impressionati dalla cappella, rimasta intatta: piccola, buia, gelida, rigorosamente in pietra. Qui Francesco ogni mattino, verso le quattro, celebra l’Eucaristia e sosta in preghiera, prima di scendere a Thonon con il cuore colmo di carità e di misericordia, attinte al divino sacramento.
Francesco trattava la gente con rispetto, anzi con compassione e “se gli altri miravano a farsi temere, egli desiderava farsi amare ed entrare negli animi per la porta del compiacimento” (J.P. Camus).

È l’Eucaristia che sostiene le fatiche iniziali: non risponde agli insulti, alle provocazioni, al linciaggio; si relaziona con tutti con cordialità.
La sua prima predica da suddiacono era stata sul tema dell’Eucaristia e gli sarà certamente servita soprattutto ora, perché “questo augusto sacramento” sarà il suo cavallo di battaglia: nei sermoni tenuti nella chiesa di sant’Ippolito, sovente affronterà questo tema ed esporrà con chiarezza e passione il punto di vista cattolico.

Questa testimonianza, indirizzata all’amico A. Favre, dice la qualità e l’ardore della sua predicazione su un tema così importante:
“Ieri poco mancò che le persone più in vista della città venissero pubblicamente ad ascoltare la mia predica, avendo sentito dire che avrei parlato dell’augusto sacramento dell’Eucaristia. Avevano tanta voglia di sentirmi esporre il pensiero cattolico circa questo mistero che quelli che non avevano osato venire pubblicamente, mi ascoltarono da un posto segreto nel quale non potevano essere visti.”

Il Corpo del Signore trasfonde a poco a poco nel suo cuore di pastore dolcezza, mitezza, bontà per cui anche la sua voce di predicatore ne risente: tono tranquillo e benevolo, mai aggressivo o polemico!
“Sono convinto che chi predica con amore, predica a sufficienza contro gli eretici, anche se non dice una sola parola né discute con loro”.

Eloquente più di un trattato questa esperienza avvenuta il 25 maggio 1595.
Alle tre del mattino, mentre meditava profondamente sul santissimo e augustissimo sacramento dell’Eucaristia, si sentì rapito da una così grande abbondanza di Spirito Santo che il suo cuore si lasciò andare in un effluvio di delizie, in tal modo da essere costretto alla fine a gettarsi per terra ed esclamare: “Signore, ritirati da me perché non posso più sostenere la sovrabbondanza della tua dolcezza”.

Nel 1596, dopo più di due anni di catechesi, decide di celebrare le tre Messe di Natale. Furono celebrate tra l’entusiasmo e la commozione generale. Francesco era felice! Questa messa di mezzanotte del Natale 1596 fu uno dei vertici della sua vita. In questa Messa c’era la Chiesa, la Chiesa cattolica ristabilita nel suo fondamento vivente.

Il Concilio di Trento aveva caldeggiato la pratica delle sante Quarantore, che consistevano nell’adorazione del Santissimo Sacramento per tre giorni consecutivi da parte di tutta la comunità cristiana.
A inizio settembre 1597 si svolsero ad Annemasse, alle porte di Ginevra, con la presenza del vescovo, di Francesco e di altri collaboratori, con un frutto molto più grande di quello che si sperava. Furono giorni intensi di preghiera, processioni, prediche, messe. Oltre quaranta parrocchie vi parteciparono con un numero incredibile di persone.

Visto il successo, l’anno seguente si svolsero a Thonon. Fu una festa di vari giorni che superò ogni attesa. Tutto finì a notte inoltrata, con l’ultimo sermone tenuto da Francesco. Predicò sull’Eucaristia.

Molti studiosi della vita e delle opere del santo sostengono che solo il suo grande amore per l’Eucaristia può spiegare il “miracolo” del Chiablese, cioè come questo giovane prete in soli quattro anni abbia potuto ricondurre tutta la vasta regione alla Chiesa.
E questo amore durò tutta la vita, fino alla fine. Nell’ultimo incontro che ebbe a Lione con le sue Figlie, le Visitandine, ormai in fin di vita, parlò loro della confessione e della comunione.

Che cos’era l’Eucarestia per il nostro santo? Era anzitutto:

Il cuore della sua giornata, che lo faceva vivere in un’intima comunione con Dio.
“Non ti ho ancora parlato del sole degli esercizi spirituali: il santissimo e sommo Sacrificio e Sacramento della Messa, centro della religione cristiana, cuore della devozione, anima della pietà”.

È la consegna fiduciosa della sua vita a Dio al quale chiede forza per continuare la sua missione con umiltà e carità.
“Se il mondo vi chiede perché vi comunicate così spesso, rispondete che è per imparare ad amare Dio, per purificarvi dalle vostre imperfezioni, per liberarvi dalle vostre miserie, per trovare forza nelle vostre debolezze e consolazioni nelle vostre afflizioni. Due tipi di persone devono comunicarsi sovente: i perfetti, perché essendo ben disposti farebbero un torto a non accostarsi alla fonte e sorgente della perfezione; e gli imperfetti per poter tendere alla perfezione. I forti per non indebolirsi e deboli per rafforzarsi. I malati per guarire e i sani per non ammalarsi”.

L’Eucaristia crea in Francesco una profonda unità con tante persone.
“Questo sacramento non solo ci unisce a Gesù Cristo, ma anche al nostro prossimo, con quelli che partecipano allo stesso cibo e ci rende una cosa sola con loro. E uno dei principali frutti è la mutua carità e la dolcezza di cuore gli uni verso gli altri dal momento che apparteniamo allo stesso Signore e in Lui siamo uniti cuore a cuore gli uni gli altri”.

È una progressiva trasformazione in Gesù.
“Coloro che fanno una buona digestione corporale risentono un rafforzamento per tutto il corpo, per la distribuzione generale che si fa del cibo. Così, Figlia mia, quelli che fanno una buona digestione spirituale risentono che Gesù Cristo, che è il loro cibo, si diffonde e comunica a tutte le parti della loro anima e del loro corpo. Essi hanno Gesù Cristo nel cervello, nel cuore, nel petto, negli occhi, nelle mani, nelle orecchie, nei piedi. Ma che fa questo Salvatore dappertutto? Raddrizza tutto, tutto purifica, tutto mortifica, vivifica ogni cosa. Ama nel cuore, capisce nel cervello, anima nel petto, vede negli occhi, parla nella lingua, e così via: fa tutto in tutti e allora viviamo, non noi, ma è Gesù Cristo che vive in noi.
Trasforma anche i giorni e le notti, per cui “Le notti sono giorni quando Dio è nel nostro cuore e i giorni diventano notti quando Lui non c’è”.

(continua)