L’acqua benedetta, le benedizioni, e gli altri sacramentali hanno ancora valore?

Assistiamo oggi a una indifferenza o a un disprezzo dei sacramentali. Le benedizioni sulle persone, dell’acqua, delle immagini religiose e il loro uso, come altri sacramentali, non hanno più valore agli occhi di tanti cristiani di oggi. Sicuramente questo atteggiamento ha qualcosa a che vedere con gli abusi o superstizioni che hanno deformato il loro vero significato. Ma non si può negare che esiste anche una grande ignoranza su di essi. Proviamo a fare un po’ di chiarezza.

In origine, i sacramentali (chiamati anche piccoli sacramenti) erano semplici cerimonie che accompagnavano la celebrazione dei sette sacramenti, e anche le opere pie e tutta la preghiera canonica della Chiesa. Oggi si riserva la nozione di sacramentali a certi riti, istituiti dalla Chiesa, che di per sé non fanno parte della celebrazione dei sette sacramenti, ma sono di struttura simile a quella dei sacramenti, e che la Chiesa suole usare per ottenere, con la loro impetrazione, effetti principalmente spirituali.

I sacramentali sono segni sacri per mezzo dei quali, con una certa imitazione dei sacramenti, sono significati e, per impetrazione della Chiesa, vengono ottenuti effetti soprattutto spirituali. Per mezzo di essi gli uomini vengono disposti a ricevere l’effetto principale dei sacramenti e vengono santificate le varie circostanze della vita (Catechismo della Chiesa Cattolica – CCC, 1667).
Essi sono istituiti dalla Chiesa per la santificazione di alcuni ministeri ecclesiastici, di alcuni stati di vita, di circostanze molto varie della vita cristiana, così come dell’uso di cose utili all’uomo. Comportano sempre una preghiera, spesso accompagnata da un determinato segno, come l’imposizione della mano, il segno della croce, l’aspersione con l’acqua benedetta (CCC, 1668).
I sacramentali non conferiscono la grazia dello Spirito Santo alla maniera dei sacramenti; però mediante la preghiera della Chiesa preparano a ricevere la grazia e dispongono a cooperare con essa (CCC 1670).

Sono innanzi tutto benedizioni di persone, di oggetti, di luoghi.
Sono anche benedizioni che hanno una portata più duratura, le consacrazioni; hanno per effetto di consacrare delle persone a Dio e di riservare oggetti e luoghi all’uso liturgico, come la benedizione dell’abate o dell’abbadessa, di un monastero, la consacrazione delle vergini, il rito della professione religiosa e le benedizioni per alcuni ministeri ecclesiastici (lettori, accoliti, catechisti ecc.),  o come la dedicazione o la benedizione di una chiesa o di un altare, la benedizione degli olii santi, dei vasi e delle vesti sacre, delle campane ecc.
E sono anche gli esorcismi, cioè una domanda che la Chiesa fa pubblicamente e con autorità, in nome di Gesù Cristo, affinché una persona o un oggetto sia protetto contro l’influenza del Maligno e sottratto al suo dominio (CCC 1671-1673).

Sono stabiliti della Chiesa, e solo la Sede Apostolica può costituire nuovi sacramentali o interpretare autenticamente quelli già accolti, abolirne alcuni o modificarli (Codice di Diritto Canonico – CDC, can. 1167, §1).
I sacramentali sono presentati nel Rituale Romano (specialmente nel Rituale delle Benedizioni e nel Rituale degli esorcismi), dove sono raccolte le forme e modalità per impartirle, essendo richiesta l’osservanza accurata dei riti e delle formule approvate dalla Chiesa (CDC, can. 1167, §2).

Il loro valore risiede in primo luogo nella preghiera della Chiesa (opus operantis Ecclesiae), ma perché producano il loro effetto è necessaria la fede viva, perché i sacramentali non agiscono come i sacramenti ex opere operato, ma ex opere operantis, cioè sono condizionati dalla fede di colui che è beneficiario. Ed è qui dove appare la poca considerazione dei sacramentali: quando non si ricevono con fede, non producono effetti e questo conduce alla falsa opinione che non abbiano nessuna virtù.

Nel loro uso si deve evitare tanto la mancanza di riverenza e rispetto (sono un’intercessione della Chiesa), quanto un impiego di tipo superstizioso o magico. I sacramentali non mutano la natura della realtà sulla quale agiscono, ma sono un’espressione dell’appartenenza a Dio.
Gli oggetti benedetti non sono degli amuleti (oggetti di varie nature e forme a cui si attribuiscono per superstizione una virtù protettiva contro malattie o disgrazie, virtù che risiede nello stesso oggetto), ma sono segni sacri che ci ricordano che Dio ci è sempre vicino con la sua grazia.

Riassumendo, i sacramentali consistono immediatamente e in primo luogo in una preghiera d’impetrazione che la Chiesa indirizza a Dio, e solo in secondo luogo e mediatamente, cioè, mediante questa preghiera d’intercessione della Chiesa, in una santificazione, in quanto la Chiesa, per mezzo di questi riti, impetra da Dio la santificazione delle persone o delle cose.

Le persone e le cose, senza essere fatte vere cause strumentali della grazia, né essere perfezionate ed elevate nelle loro qualità naturali, tuttavia in considerazione della preghiera impetrativa della Chiesa, sono prese sotto la speciale protezione o accettazione divina per il bene spirituale di chi le possiede o ne userà con le debite disposizioni, offrendo l’occasione di operare meglio la propria salvezza.

Trattandosi di cose consacrate, quella stessa accettazione di Dio implica anche che Egli darà speciali grazie a coloro che le useranno con le debite disposizioni d’animo; e, trattandosi di persone consacrate, essa implica in queste persone un titolo morale presso Dio per ottenere a suo tempo le grazie di stato necessarie per adempiere i doveri che comporta quella permanente consacrazione.

Si ritiene che nei sacramentali, la Chiesa chieda ed ottenga immediatamente grazie attuali per la persona cui le impetra, come contrizione dei peccati, atti di fede, di speranza, di carità, che siano disposizioni favorevoli al buon uso dei sacramenti o agli atti di carità perfetta. All’uso dei sacramenti e agli atti di carità perfetta si ritiene che Dio abbia riservato di dare immediatamente la grazia santificante o il suo aumento (Cipriano Vagaggini, Il senso teologico della liturgia).

Queste sono alcune spiegazioni che tentano di fare un po’ di chiarezza intorno ai sacramentali. Però la conferma del loro valore viene, come sempre, dai santi.

San Giovanni Bosco le usava moltissimo, e basta qui ricordare solo uno di questi, l’acqua benedetta, che lui voleva fosse usata anche dai suoi ragazzi.

Nel suo Regolamento dell’Oratorio raccomandava ai ragazzi che: “… entrando in Chiesa, ciascuno prendendo l’acqua benedetta faccia bene il segno della santa Croce, e la genuflessione all’altare del Sacramento” (MB III, 100-101).

E non solo nella chiesa chiedeva l’uso dell’acqua benedetta, ma anche nei dormitori e nelle sale di studio:
            “La camerata tenevasi come un santuario. In ogni dormitorio, e poi nelle sale di studio, D. Bosco prescrisse vi fosse la conchiglia coll’acqua benedetta, della quale facevasi uso (MB III, 339).

Instillava ogni volta che poteva l’efficacia dell’acqua benedetta. Raccontava ai suoi giovani in una buonanotte:
            “In San Pietro in Vaticano vi è una pila d’acqua lustrale veramente bella. La conca è sorretta da un gruppo rappresentante la tentazione. Vi è un demonio spaventoso, colle corna e colla coda, che corre dietro ad un giovanetto per afferrarlo. Il poverino fugge, ma è vicino a cadere nelle unghie di quella brutta bestia: in atto di gridare spaventato solleva le braccia, mettendo le mani nell’acqua benedetta e il demonio spaventato a sua volta non osa accostarglisi.
L’acqua benedetta, miei cari giovani, serve a cacciare le tentazioni e lo dice il proverbio accennando ad uno che fugga con rapidità: – Scappa come il demonio dall’acqua benedetta.
Nelle tentazioni adunque, e quindi principalmente entrando in chiesa, fate bene il segno della Croce, perché è lì dove il demonio vi aspetta per farvi perdere il frutto della preghiera. Il segno della croce respinge il demonio per un momento; ma il segno della croce coll’acqua benedetta lo respinge per molto tempo. Santa Teresa un giorno era tentata. Ad ogni assalto essa faceva il segno della croce, e la tentazione cessava, ma l’assalto ritornava pochi minuti dopo. Finalmente stanca di lottare S. Teresa si asperse di acqua benedetta e il demonio dovette andarsene colla coda fra le gambe” (MB VIII, 723-724).

San Giovanni Bosco ha tenuto sempre in grande apprezzamento i sacramentali. La sua stessa semplice benedizione era tanto richiesta dalle persone perché produceva effetti davvero miracolosi. Bisognerebbe stilare un elenco troppo lungo per ricordare quante guarigioni spirituali e corporali hanno prodotto le sue benedizioni ricevute con fede. Basta per questo leggere la sua vita.




Le profezie di don Bosco e i re d’Italia

“La famiglia di chi ruba a Dio non giunge alla quarta generazione”.

            È morto pochi giorni fa il pretendente al trono d’Italia, Vittorio Emanuele di Savoia (n. 12.02.1937 – † 03.02.2024), il quinto discendente del primo Re d’Italia, Vittorio Emanuele II di Savoia. È stata concessa la sepoltura nella cripta della Basilica di Superga, Torino, dove si trovano altre decine di resti mortali della Casa di Savoia. Questo evento ci fa ricordare altri sogni di don Bosco che si sono avverati pienamente.

            Nel novembre 1854, si stava preparando una legge sulla confisca dei beni ecclesiastici e sulla soppressione dei conventi. Per la validità, doveva essere sancita dal Re d’Italia, Vittorio Emanuele II di Savoia. Alla fine di questo mese di novembre, don Bosco ebbe due sogni che erano delle vere profezie riguardanti il re e la sua famiglia. Ricordiamo con don Lemoyne i fatti.

            Don Bosco adunque anelava a dissipare una minacciosa nube che andava sempre più oscurandosi sulla Real Casa.
            Egli in una notte verso il fine del mese di novembre, aveva fatto un sogno. Gli era parso di trovarsi ove è il portico centrale dell’Oratorio, costrutto allora solo per metà, presso alla pompa idraulica fissa al muro della casetta Pinardi. Era circondato da preti e da chierici: ad un tratto vide avanzarsi in mezzo al cortile un valletto di Corte, col suo rosso uniforme, il quale, con passo affrettato venuto alla sua presenza, gli parve che gridasse:
            – Grande notizia!
             – E quale? gli chiese D. Bosco.
             – Annunzia: gran funerale in Corte! gran funerale in Corte!
            Don Bosco a questa improvvisa comparsa, a questo grido, restò come di sasso, e il valletto ripetè: – Gran funerale in Corte! – Don Bosco allora voleva domandargli spiegazione di questo suo ferale annunzio, ma quegli erasi dileguato. D. Bosco, risvegliatosi, era come fuori di sè e, inteso il mistero di quell’apparizione, prese la penna e preparò subito una lettera per Vittorio Emanuele, palesando quanto gli era stato annunziato, e raccontando semplicemente il sogno.
[…]
…era di conoscere ciò che Don Bosco aveva scritto al Re, tanto più che sapevano cosa egli pensasse intorno all’usurpazione dei beni ecclesiastici. Don Bosco non li tenne in indugio e loro palesò quanto aveva scritto pel Re, perché non permettesse la presentazione dell’infausta legge. Quindi narrò il sogno, concludendo: Questo sogno mi ha fatto star male e mi ha affaticato, molto. – Egli era sopra pensiero ed esclamava a quando, a quando: – Chi sa?… chi sa?… preghiamo!
            Sorpresi i chierici presero allora a discorrere, interrogandosi a vicenda se avessero sentito a dire che nel palazzo reale vi fosse qualche nobile signore infermo; ma tutti conchiusero, non constare in nessun modo questo. Don Bosco intanto, chiamato presso di sè il Ch. Angelo Savio, gli consegnò la lettera: – Copia, gli disse, ed annunzia al Re: Grande funerale in Corte! – E il Ch. Savio scrisse. Ma il Re, come Don Bosco venne a sapere dai suoi confidenti impiegati a palazzo, lesse con indifferenza quel foglio e non ne tenne conto.
            Erano passati cinque giorni da questo sogno, e Don Bosco, dormendo, nella notte, sognò di bel nuovo. Gli pareva di essere in sua camera a tavolino, scrivendo; quando udì lo scalpitare di un cavallo in cortile. Ad un tratto vede spalancarsi la porta ed apparire il valletto nella sua rossa livrea, che entrato fino a metà della camera gridò:
            Annunzia: non grande funerale in Corte, ma grandi funerali in Corte! -E ripetè queste parole due volte. Quindi ritirossi con passo rapido e chiuse la porta dietro di sè. Don Bosco voleva sapere, voleva interrogarlo, voleva chiedergli, spiegazione; quindi si alzò da, tavolino, corse sul balcone e vide il: valletto nel cortile che saliva a cavallo. Lo, chiamò, chiese perchè fosse venuto a ripetergli quell’annunzio; ma il valletto gridando: – Grandi funerali in Corte! – si dileguò. Venuta l’alba, Don Bosco stesso indirizzò al Re un’altra lettera, nella quale raccontavagli il secondo sogno e concludeva dicendo a sua Maestà “che pensasse a regolarsi in modo da schivare i minacciati castighi, mentre la pregava di impedire a qualunque costo quella legge”.
Alla sera dopo cena Don Bosco esclamò in mezzo a’ suoi chierici: – Sapete che ho da dirvi una cosa ancor più strana, che quella dell’altro giorno? – E raccontò ciò che aveva visto nella notte. Allora i chierici, più stupiti di prima, si domandavano che cosa indicassero questi annunzi di morte; e si può immaginare quale fosse la loro ansietà nell’attendere come si sarebbero verificate queste predizioni.
            Al chierico Cagliero e ad alcuni altri svelava intanto apertamente essere, quelle, minacce di castighi che il Signore faceva sentire a chi più danni e mali già aveva arrecati alla Chiesa ed altri stava preparandone. In quei giorni egli era addoloratissimo e ripeteva frequentemente: – Questa legge attirerà sulla casa del Sovrano gravi disgrazie. – Tali cose diceva a’ suoi alunni per impegnarli a pregare per il Re, e per intercedere dalla misericordia del Signore che impedisse la dispersione eli tanti religiosi e la perdita di tante vocazioni.
            Intanto il Re aveva confidate quelle lettere al Marchese Fassati, che avendole lette, venne all’Oratorio e diceva a D. Bosco: – Oh! le pare la maniera questa di mettere sossopra tutta la Corte? Il Re ne è rimasto più che impressionato e turbato!… Anzi montò sulle furie.
            E Don Bosco gli rispose – Ma se ciò che fu scritto è verità? Mi rincresce di aver cagionato questi disturbi al mio Sovrano; ma insomma, si tratta del suo bene e di quello della Chiesa.
            Gli avvisi di Don Bosco non furono ascoltati. Il 28 novembre 1854 il Ministro guardasigilli Urbano Rattazzi presenta va ai deputati un disegno di legge per la soppressione dei conventi. Il Conte Camillo di Cavour, Ministro delle finanze, era risoluto di farlo approvare a qualunque costo. Questi signori stabilivano come principio incontrastato e incontrastabile, che fuori del gran corpo civile, non v’ha e non può darsi società a lui superiore e da lui indipendente; che lo Stato è tutto, e che perciò nessun ente morale, e neppure la Chiesa Cattolica può sussistere giuridicamente senza il consenso e riconoscimento dell’autorità civile. Perciò tale autorità non riconoscendo nella Chiesa universale il dominio dei beni ecclesiastici, e attribuendo questo dominio a ciascun ente delle corporazioni religiose, sostenevano essere queste creazione della sovranità, civile e la loro esistenza modificarsi od estinguersi per volontà della sovranità medesima, e lo Stato, erede d’ogni personalità civile che non abbia successioni, divenire solo ed assoluto proprietario di tutti i loro beni quando fossero soppresse. Errore grossolano perchè tali patrimonii, per qualsivoglia causa una Congregazione Religiosa cessasse d’esistere, non rimanevano senza padroni, dovendo essere devoluti alla Chiesa di G. C., rappresentata dal Sommo Pontefice, per quanto gli statolatri perfidiassero a negarlo (MB V, 176-180).

            Che fossero ammonimenti che venivano dal Cielo, lo conferma anche la lettera scritta quattro anni prima, il 9 aprile 1850, che la madre de Re, Regina Madre Maria Teresa, vedova di Carlo Alberto, aveva indirizzato a suo figlio, il Re Vittorio Emanuele II di Savoia.

Iddio te ne compenserà, ti benedirà, ed invece chi sa quanti castighi, quanti flagelli di Dio ci attirerà per te, la famiglia ed il paese se la sanzioni [la legge Siccardi sull’abolizione del foro ecclesiastico]. Pensa qual sarebbe il tuo dolore se il Signore facesse ammalare gravemente od anche se si prendesse la tua cara Adele che tu con santa ragione tanto ami, o la tua Chichina (Clotilde’) oil tuo Betto (Umberto); e se potessi vedere dentro il mio cuore, quanto sono addolorata, angustiata, spaventata dal timore che tu sanzioni subito questa legge per le tante disgrazie, che son certa che ci porterà se sarà fatta senza il consentimento del Santo Padre, forse il tuo cuore che è proprio buono e sensibile, e che ha sempre tanto amato la sua povera Mammina si lascerebbe intenerire. (Antonio Monti, Nuova Antologia, 1° gennaio 1936, pag. 65; MB XVII, 898).

            Però il re non fece caso a questi avvertimenti e le conseguenze non tardarono. Le trattative per l’approvazione continuarono e anche le profezie si compirono:
            – il 12 gennaio 1855 morì Maria Teresa, Regina madre, a 53 anni;
            – il 20 gennaio 1855 morì la Regina Maria Adelaide, a 33 anni;
            – l’11 febbraio 1855 morì il Principe Ferdinando, fratello del Re, a 32 anni;
            – il 17 maggio 1855 morì il figlio del re, il principe Vittorio Emanuele Leopoldo Maria Eugenio, di appena 4 mesi.

            Don Bosco continuo ad avvertire, pubblicando la carta di fondazione di Altacomba (Hautecombe) con l’esposizione di tutte le maledizioni comminate a chi osasse distruggere od usurpare i beni dell’Abbazia d’Altacomba, inserite in quel documento proprio dagli antichi Duchi di Savoia per proteggere quel luogo, dove sono inumate decine di illustri antenati della casa Savoia.
E continuò anche pubblicando nel mese di aprile 1855, nelle «Letture Cattoliche» un opuscolo scritto dal Barone Nilinse intitolato: I beni della chiesa, come si rubino e quali siano le conseguenze; con breve appendice sulle vicende del Piemonte. Sul frontispizio stava scritto: Come! Per nessun diritto si può violare la casa di un privato, e tu hai ardimento di mettere la mano sopra la casa del Signore! S. Ambrogio. In quello scritto si dimostrava che non solo gli spogliatori della Chiesa e degli Ordini Religiosi, ma eziandio le loro famiglie ne andarono colpite quasi sempre, avverandosi il terribile detto: La famiglia di chi ruba a Dio non giunge alla quarta generazione! (MB V, 233-234).

            Il 29 maggio Vittorio Emanuele II firmò lui stesso la legge Rattazzi, con la quale si confiscavano i beni ecclesiastici e si sopprimevano le corporazioni religiose, senza tener conto di quanto predetto da don Bosco e dei lutti che avevano colpito la sua famiglia dal mese di gennaio… non sapendo che così firmava anche il destino della famiglia reale.

            Infatti, anche qui la profezia si avverò, come vediamo.
            – il re Vittorio Emanuele II di Savoia (n. 14.03.1820 – † 09.01.1878), regnante dal 17.03.1861 al 09.01.1878, morì a soli 58 anni di età;
            – il re Umberto I (n. 14.03.1844 – † 29.07.1900), figlio del re Vittorio Emanuele II di Savoia, regnante dal 10.01.1878 al 29.07.1900, fu ucciso a Monza a 56 anni;
            – il re Vittorio Emanuele III (n. 11.11.1869 – † 28.12.1947), nipote del re Vittorio Emanuele II di Savoia, regnante dal 30.07.1900 al 09.05.1946, fu costretto ad abdicare il 9 maggio 1946 e morì un anno dopo.
            – il re Umberto II (n. 15.09.1904 – † 18.03.1983) ultimo Re d’Italia, regnante dal 10.05.1946 al 18.06.1946, pronipote di Vittorio Emanuele II (la quarta generazione), dovette abdicare dopo soli 35 giorni di regno, a seguito del Referendum istituzionale del 2 giugno dello stesso anno. Morì il 18 marzo 1983 a Ginevra e fu sepolto nell’Abbazia di Altacomba…

            Alcuni interpretano questi avvenimenti come semplici coincidenze, perché non possono negare i fatti, ma chi conosce l’agire di Dio, sa che nella sua misericordia avverte sempre in un modo o in un altro delle gravi conseguenze che possono avere certe decisioni di grande importanza, che influiscono sul destino del mondo e della Chiesa.
            Ricordiamo solo il fine della vita del più saggio uomo della terra, il re Salomone.

Quando Salomone fu vecchio, le sue donne l’attirarono verso dei stranieri e il suo cuore non restò più tutto con il Signore suo Dio come il cuore di Davide suo padre.
Salomone seguì Astàrte, dea di quelli di Sidòne, e Milcom, obbrobrio degli Ammoniti.
Salomone commise quanto è male agli occhi del Signore e non fu fedele al Signore come lo era stato Davide suo padre.
Salomone costruì un’altura in onore di Camos, obbrobrio dei Moabiti, sul monte che è di fronte a Gerusalemme, e anche in onore di Milcom, obbrobrio degli Ammoniti.
Allo stesso modo fece per tutte le sue donne straniere, che offrivano incenso e sacrifici ai loro dei.
Il Signore, perciò, si sdegnò con Salomone, perché aveva distolto il cuore dal Signore Dio d’Israele, che gli era apparso due volte e gli aveva comandato di non seguire altri dei, ma Salomone non osservò quanto gli aveva comandato il Signore.
Allora disse a Salomone: “Poiché ti sei comportato così e non hai osservato la mia alleanza né i decreti che ti avevo impartiti, ti strapperò via il regno e lo consegnerò a un tuo suddito. (1Re 11,4-11).

            Basta leggere con attenzione la storia, sia sacra che profana…




Alberto Marvelli, il cristiano che piaceva anche ai comunisti

Alberto Marvelli (1918-1946), un giovane formato nell’oratorio salesiano di Rimini, ha vissuto la sua breve vita nell’impegno quotidiano di servizio per gli altri, con tutta l’intensità che le permettevano le forze. La sua vita normale ma intensamente cristiana lo ha portato alla santità, essendo beatificato nel 2004 dal papa san Giovanni Paolo II.

Alberto Marvelli, «ingegnere della carità», ha il fascino di una santità straordinariamente normale. Alberto ha un papà direttore di banca e una famiglia cristianissima. È nato a Ferrara nel 1918, ma a 13 anni con la sua famiglia si stabilisce definitivamente a Rimini, seguendo papà nei suoi spostamenti di lavoro. È un ragazzo di salute robusta e di temperamento impetuoso, ma è anche così serio che a tratti fa pensare a un uomo adulto. Il ginnasio lo supera tra tirate di studio e gare sportive clamorose. A 15 anni si iscrive al liceo classico. Ma proprio in quei mesi la famiglia è colpita duramente dalla morte di papà. Lui è già delegato aspiranti e animatore dell’oratorio nella parrocchia Maria Ausiliatrice. Insegna catechismo, anima le adunanze, organizza la messa dei giovani. A soli 18 anni diventerà presidente dell’Azione Cattolica.
Iniziando il liceo, Alberto comincia il suo Diario e scrive: «Dio è grande, infinitamente grande, infinitamente buono». Ma vi registrerà per tutta la vita la sua crescita di uomo e di cristiano. Vi leggiamo un «piccolo schema» rigido e forte che egli si dà. Si propone in particolare: preghiera e meditazione al mattino e alla sera, l’incontro con l’eucaristia, possibilmente anche tutti i giorni, la lotta contro i difetti più grossi: la pigrizia, la gola, l’impazienza, la curiosità… Un programma che Alberto attuerà per tutta la vita.

Studente pendolare
Tra i 60 candidati alla maturità classica Alberto si classifica secondo. Il 1° dicembre 1936 (a 18 anni) inizia il primo anno di ingegneria all’Università di Bologna. Comincia così la vita dello studente pendolare tra Rimini e Bologna. Studio e apostolato in entrambe le città. La donna di servizio della zia che lo ospita a Bologna testimonierà con le parole dei semplici: «Lo vedevo di giorno e di notte ammazzato di lavoro per l’università e l’apostolato. Qualche volta lo trovavo addormentato sui libri e con la corona in mano. Al mattino lo vedevo in chiesa alle 6 per messa e comunione. Se gli impegni non gli consentivano di comunicarsi prima, stava digiuno fino a mezzogiorno. Imponeva una formidabile penitenza al suo appetito».
Mentre Alberto sta terminando l’università, sull’Europa scoppia il ciclone della seconda guerra mondiale. Anche l’Italia vi è coinvolta. Laureando in ingegneria, dall’agosto al novembre 1940 Alberto è a Milano, impiegato nella fonderia Bagnagatti, sotto i primi bombardamenti. L’industriale testimonierà: «Trascorse presso di me alcuni mesi. Familiarizzò subito con tutti i dipendenti e particolarmente con i più giovani e i più umili. S’interessò dei bisogni familiari degli operai e mi prospettò le particolari necessità di ognuno, sollecitando gli aiuti che riteneva opportuni. Visitava gli ammalati, incitava gli apprendisti a frequentare le scuole serali. Infondeva in tutti un immediato e vivo senso di simpatia e cordialità».
30 giugno 1941. Mentre l’Italia inizia il suo secondo anno di guerra, Alberto si laurea in ingegneria industriale con il massimo dei voti. Subito dopo indossa pure lui la divisa grigioverde e parte per fare il soldato.

Il servizio militare e la guerra
Nel rigidissimo gennaio 1943 i russi scatenano l’offensiva su tutto il fronte ovest. L’Armir (armata italiana in Russia), che occupa il fronte sul Don, è costretta a una leggendaria ritirata sugli sconfinati campi ghiacciati, mentre i russi e il gelo uccidono. Lassù è appena arrivato Raffaello Marvelli, ed è ucciso in combattimento. Per mamma Maria è un’ora durissima. Alberto scrive sul Diario parole scarne, sanguinanti: «La guerra è un castigo per la nostra cattiveria, per punire il nostro poco amore a Dio e agli uomini. Manca lo spirito di carità nel mondo, e perciò ci odiamo come nemici invece di amarci come fratelli».
È destinato a una caserma di Treviso. Ed è qui che si compie il «miracolo» di Marvelli. Don Zanotto, parroco di S. Maria di Piave, ha scritto: «Quando l’ingegner Marvelli arrivò a Treviso, nella caserma di duemila soldati, tutti bestemmiavano e la malavita imperava. Dopo qualche tempo nessuno più bestemmiava, dico proprio nessuno, nemmeno i superiori. Il colonnello, da bestemmiatore, si diede a reprimere lui stesso, nei soldati, la bestemmia». In settembre l’Italia si ritira dalla guerra. L’esercito si sfascia. Alberto è a casa. Ma la guerra non è finita. I soldati tedeschi hanno occupato l’Italia, e gli alleati intensificano i bombardamenti sulle nostre città.

Tra i rifugiati a San Marino
Il 1° novembre Rimini è investita dal primo bombardamento aereo. Ne subirà trecento e sarà ridotta a un tappeto di macerie. Occorre fuggire lontano, nella libera Repubblica di San Marino. In poche settimane, quel francobollo di terra libera passa da 14 mila a 120 mila abitanti.
Alberto vi arriva reggendo la cavezza di un asino. Sul calesse è la mamma. Giorgio e Geltrude spingono biciclette cariche di cibo con cui sopravvivere. Vengono accettati in uno dei cameroni del collegio Belluzzi. Altre famiglie sono nei magazzini della Repubblica, moltissime altre si ammucchiano nelle gallerie ferroviarie.
È facilissimo, in momenti come questi, chiudersi in sé stessi, pensare alla sopravvivenza dei propri cari e basta. Alberto è invece al centro dell’assistenza, a disposizione di tutti. Scrive una testimone: «A sera recitava forte il rosario nei cameroni del collegio Belluzzi, poi andava a dormire alla meglio presso i conventuali; e al mattino, nella chiesa zeppa di sfollati, serviva la messa e si comunicava. Poi via di nuovo per tutte le vie e per andare incontro a tutti i bisognosi. Prendeva nota delle necessità, e quando non poteva arrivare, affidava ad altri il lavoro. C’era da andare nelle gallerie da dove la gente non osava uscire». Aggiunge Domenico Mondrone: «Ogni giorno faceva chilometri di strada in bicicletta, raccogliendo roba da mangiare. Talvolta tornò a casa con il tascapane forato dalle schegge di granate che scoppiavano da ogni parte. Ma lui, con gli amici che ne emulavano il coraggio, non si arrestava».

Lo volevano sindaco
21 novembre 1944. Gli alleati entrano in Rimini. Tutto intorno sono paesi e boschi che bruciano, ingorghi di carri, camion, macchine. Morti e desolazione. Alberto vi torna con la famiglia. Trova la sua casa (colpita, ma ancora abitabile) occupata da ufficiali inglesi. I Marvelli si sistemano alla meglio nello scantinato. In quel terribile inverno (l’ultimo di guerra) Alberto diventa servo di tutti. Il Comitato di Liberazione lo incarica dell’ufficio alloggi, il comune gli affida il genio civile per la ricostruzione, il vescovo gli consegna i «Laureati cattolici» della diocesi. I poveri assediano in permanenza le due stanzucce del suo ufficio, lo seguono a casa quando va a mangiare un boccone con sua madre. Alberto non ne allontana mai neppure uno. Dice: «I poveri passino subito, gli altri abbiano la cortesia di aspettare». Dopo la pace, la miseria della gente continua. Nella guerra molti hanno perso tutto.
L’anno 1946 è mangiato giorno per giorno da infinite necessità, tutte urgenti. Alberto va a messa, poi è a disposizione. Alla fine di quell’anno ci sono le prime elezioni amministrative. Battaglie roventi tra comunisti e democratici cristiani. Un comunista, che vede ogni giorno in Marvelli non un democristiano ma un cristiano, dice: «Anche se perde il mio partito… purché risulti sindaco l’ingegnere Marvelli». Non lo diventerà. La sera del 5 ottobre cena in fretta accanto alla mamma, poi esce in bicicletta per tenere un comizio a San Giuliano a Mare. A 200 metri da casa sua, un camion alleato correndo a velocità pazzesca lo investe, lo scaglia nel giardino di una villa e scompare nella notte. Viene raccolto dal filobus. Due ore dopo muore. Ha 28 anni. Quando la sua bara passa per le strade, i poveri piangono e mandano baci. Un manifesto proclama a caratteri cubitali: «I comunisti di Bellariva si inchinano riverenti a salutare il figlio, il fratello, che ha sparso su questa terra tanto bene».

don Mario PERTILE, sdb




Don Bosco e il dialogo ecumenico

            L’ecumenismo è un movimento sorto agli inizi del secolo XX tra le chiese protestanti, condiviso poi da quelle Ortodosse e dalla stessa Chiesa Cattolica, che mira all’unità dei cristiani. Il Decreto sull’Ecumenismo del Concilio Vaticano II, afferma che da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica e che la divisione delle Chiese non solo contraddice apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo. I tempi nostri, quindi, si differenziano non poco, a questo riguardo, da quelli di Don Bosco.
            Quando si parla di «Protestanti» in Piemonte il pensiero va anzitutto alla Chiesa Evangelica Valdese e cioè ai «Valdesi». E abbastanza nota la storia, a volte tragica ed eroica, di questo piccolo popolo-chiesa che trovò nelle valli pinerolesi rifugio, stabile dimora e il suo centro religioso. Meno noto è il forte spirito di proselitismo da parte dei Valdesi dopo l’Editto di emancipazione firmato da Re Carlo Alberto il 17 febbraio 1848, con il quale venivano loro riconosciuti i diritti civili e politici.
Tra le iniziative più vistose della loro crescente propaganda anti-cattolica, in Piemonte, e poi in tutta Italia, vi fu quella della stampa popolare, che, conseguentemente, suscitò viva reazione nell’Episcopato e corrispondenti iniziative di carattere apologetico in difesa della dottrina cattolica. In questo campo, dietro le direttive della Santa Sede e dei Vescovi piemontesi, si mosse anche Don Bosco fortemente preoccupato di preservare dall’eresia la gioventù e il popolo delle nostre terre.

Le «Letture Cattoliche» di Don Bosco
            Si può capire come Don Bosco abbia sentito il dovere di entrare nella mischia a difesa della fede nel popolo e tra la gioventù. S’impegnò in un’azione coraggiosa di stampa cattolica popolare, perché comprese ben presto che i Valdesi del Piemonte erano solo la testa di ponte del premeditato assedio protestante dell’Italia (G. SPINI, Risorgimento e Protestanti, Milano, Mondadori Ed., 1989, pp. 236-253).
            A questo proposito su «Il Secolo XIX» del 30 gennaio 1988 comparve un articolo di N. Fabretti, dal titolo: Don Bosco, santo “giovane”, dove, tra l’altro, lo si dichiarava: «ortodosso sino all’intolleranza, violento contro i protestanti che ritiene, se non si convertono, figli del diavolo e dannati», e «polemista furioso… che con le «Letture Cattoliche» svillaneggia ossessivamente Lutero e i protestanti e insulta pubblicamente i Valdesi». Ma queste accuse volgari non toccano il vero Don Bosco.
            Le «Letture Cattoliche», la cui pubblicazione ebbe inizio nel marzo del 1853, erano libretti popolari che Don Bosco mensilmente faceva stampare per l’educazione religiosa della gioventù e del popolo. Svolgendo una catechesi semplice, spesso in forma narrativa, egli con questi fascicoli periodici richiamava ai lettori la dottrina cattolica sui misteri della fede, sulla Chiesa, i sacramenti, la morale cristiana.
            Più che polemizzare direttamente con i Protestanti, metteva in rilievo le differenze che da essi ci separano, richiamandosi alla storia e alla teologia come erano a quel tempo conosciute. Sarà, però, inutile cercare in libretti da lui stampati, quali Avvisi ai Cattolici e Il Cattolico istruito nella sua religione, («Letture Cattoliche» 1853, n. 1, 2, 5, 8, 9, 12) gli elementi posti oggi più in risalto dalla dottrina sulla Chiesa. Essi riflettono piuttosto una catechesi che richiederebbe ormai una chiarificazione e una integrazione. Lo stile apologetico di Don Bosco, poi, rispecchiava quello di noti autori cattolici dai quali egli attingeva.
            Oggi, in clima ecumenico, certe iniziative possono apparire sproporzionate al pericolo, ma occorre tenere presente l’ambiente dell’epoca in cui la polemica partiva proprio dagli stessi Protestanti e «la controversia religiosa era sentita come una necessità quotidiana per evangelizzare il popolo» (V. VINAI, Storia dei Valdesi, Vol. III, Torino, Ed. Claudiana, 1980, p. 46).
            La letteratura protestante anticattolica dell’epoca, infatti, presentava il Cattolicesimo come ricettacolo di peccato, di ipocrisia religiosa, di superstizione, e di crudeltà verso Ebrei e Valdesi. Afferma, in proposito, un ben noto storico protestante: «Possiamo dire che nel 1847 l’Italia è circondata da una sorta di assedio protestante, stesole attorno dall’episcopalismo anglicano, dal presbiterianesimo scozzese e dall’evangelismo “libero” di Ginevra e di Losanna, con un appoggio anche da parte del protestantesimo americano. All’interno della penisola, oltre alle tradizionali comunità straniere, vi sono già due teste di ponte, costituite dai valdesi e dagli “evangelici” toscani. All’esterno, due comunità organizzate con propri organi di stampa a Londra e a Malta» (G. SPINI, o. c., p. 226).
Ma non basta. Don Bosco, oltre ad attentati di origine sospetta da lui subiti, venne svillaneggiato in vari numeri delle annate 1853-54 del settimanale protestante «La Buona Novella», con schemi ben pesanti alla sua persona («La Buona Novella», Annata 1853-54, Anno III, n. 1, pp. 8-11; n. 5, pp. 69-72; n. 11, pp. 166-168, n. 13, pp. 193-198; n. 27, pp. 423-424).
            Quelli erano tempi del «muro contro muro»!

Don Bosco intollerante?
            Don Bosco non meritava certo tali insulti. Luigi Desanctis, sacerdote cattolico passato alla Chiesa Valdese, con la sua presenza a Torino diede un grande impulso all’evangelizzazione protestante, polemizzando pure con le pubblicazioni di Don Bosco. Ma quando, per dissensi interni, finì per lasciare i Valdesi e orientarsi verso una Società Evangelica Italiana, ebbe molto da soffrire. Fu allora che Don Bosco gli scrisse per invitarlo a casa sua a condividere con lui «il pane e lo studio». Il Desanctis gli rispose che non credeva mai di trovare tanta generosità e gentilezza in un uomo che gli era apertamente nemico. «Non ci dissimuliamo – aggiungeva – V. S. combatte i miei princìpi come io combatto i suoi; ma mentre mi combatte mostra di amarmi sinceramente, porgendomi una mano benefica nel momento dell’afflizione. E così mostra di conoscere la pratica di quella carità cristiana, che in teoria è praticata così bene da tanti…» (ASC, Raccolta originale N. 1403-04).
            Anche se poi il Desanctis non si sentì di trarre le conseguenze logiche della sua situazione, rimane significativa questa lettera che scopre il vero Don Bosco, non certo «l’ortodosso sino all’intolleranza» o il «polemista furioso» definito dall’articolista di «Il Secolo XIX», bensì l’uomo di Dio interessato solo alla salvezza delle anime.




Venerabile Costantino Vendrame: apostolo di Cristo

La causa di canonizzazione del servo di Dio Costantino Vendrame, sta avanzando. Nel 19 settembre 2023 è stato consegnato il volume della “Positio super Vita, Virtutibus et Fama Sanctitatis” presso la Congregazione delle Cause dei Santi in Vaticano. Presentiamo brevemente questo sacerdote professo della Società di San Francesco di Sales.

Dalle colline venete alle colline del Nord-Est India
Il Servo di Dio don Costantino Vendrame nasce a San Martino di Colle Umberto (Treviso) il 27 agosto 1893. San Martino, frazione del più ampio abitato di Colle Umberto, è un ridente paese italiano del Veneto in provincia di Treviso: dalle sue colline, San Martino è orientato sia alla pianura lì solcata dal Piave, sia alle Prealpi del Bellunese, mantenendo di tale duplice natura – è paese collinare che guarda alle montagne e alla pianura – quelle caratteristiche, di vicinanza ai più grandi centri abitati e di ideale proiezione al mondo sobrio e schivo della montagna, che il futuro missionario don Costantino avrebbe ritrovato nel Nord-Est India, stretto tra i primi contrafforti della catena himalayana e la valle del Brahmaputra.

A quel mondo di gente semplice appartiene anche la sua famiglia: il papà Pietro, di professione fabbro, e la mamma Elena Fiori originaria del Cadore si conoscono molto probabilmente sui monti. Forti i legami di don Vendrame con i fratelli: Giovanni per il quale conserverà la fedeltà del ricordo; Antonia, madre di una famiglia numerosa; l’amatissima Angela cui lo unisce un affetto profondo, in sintonia di opere e intenti. Angela resterà – con una creatività esuberante – a servizio della parrocchia e offrirà sofferenze e meriti per l’impresa apostolico-missionaria del fratello. Viva era in famiglia anche la memoria del fratello maggiore Canciano, volato in Cielo a soli 13 anni.
Battezzato il giorno dopo la nascita (28 agosto) e cresimato nel novembre 1898, presto orfano di padre, per Costantino Vendrame – prima comunione il 21 luglio 1904 e un’infanzia trascorsa negli impegni quotidiani – la vocazione sacerdotale si delinea da bambino. Essa affonda forse le radici nell’affidamento del piccolo Costantino alla Madonna – per iniziativa della mamma –: affidamento maturato quindi in una più completa donazione.

La realtà del Seminario – che il Servo di Dio frequenta a Ceneda (Vittorio Veneto) con piena riuscita – manca però di quel respiro missionario che egli avverte proprio. Si orienta così ai Salesiani ed è nella casa salesiana di Mogliano Veneto che: “nella piccola portineria nel 1912 col buon Don Dones si decise la mia vocazione salesiana e missionaria”.
Compie dunque le tappe di formazione alla consacrazione religiosa tra i figli di don Bosco, in particolare come aspirante (dall’ottobre 1912 a Verona), novizio (dal 24 agosto 1913 a Ivrea), professo temporaneo (nel 1914) e perpetuo (dal 1° gennaio 1920 a Chioggia). Verrà ordinato sacerdote a Milano il 15 marzo 1924. Sin dall’ammissione al noviziato, è certificato «fermissimo anche nella pratica, e ben istruito». I suoi voti al Seminario erano stati sempre eccellenti ed egli fa buona riuscita nella Società di San Francesco di Sales.
L’iter preparatorio è segnato dalla ferma obbligatoria sotto le armi. Erano gli anni della Grande Guerra: 1914-1918 (per l’Italia: 1915-1918). In quei momenti il chierico Vendrame non retrocede; si apre ai superiori; tiene fede agli impegni presi. Gli anni del Primo Conflitto Mondiale forgiano ulteriormente in lui quel coraggio che tanto utile gli sarà in missione.

Missionario di fuoco

Don Costantino Vendrame riceve il crocifisso missionario nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Torino il 5 ottobre 1924. Alcune settimane più tardi si imbarca da Venezia alla volta dell’India: destinazione Assam, nel Nord-Est. Vi arriva in tempo per Natale. Su un’immaginetta scrisse: «Sacro Cuor di Gesù, tutto ho confidato in voi, tutto ho sperato da voi e non sono rimasto confuso». Con i confratelli, medita durante il viaggio Incontro al Re d’Amore: «Tutto è qui: tutto il Vangelo, tutta la Legge. Vi ho amato […]», «V’ho amato più della mia vita, perché la vita mia l’ho data per voi – e quando s’è data la propria vita, s’è dato tutto». È questo il programma del suo impegno missionario.

Rispetto ai Salesiani più giovani – che avrebbero compiuto in India la maggior parte del cammino alla consacrazione – egli vi giunge uomo fatto, nel pieno vigore: ha 31 anni e può avvantaggiarsi, oltre che della dura esperienza in guerra, del tirocinio negli oratori italiani. Lo attende una terra bella e difficile, dove il paganesimo di stampo “animista” domina e alcune sette protestanti nutrono verso la Chiesa Cattolica un atteggiamento di pregiudiziale diffidenza o aperta opposizione. Egli sceglie il contatto con la gente, decide di fare il primo passo: comincia dai bambini, cui insegna a pregare e permette di giocare. Saranno questi “piccoli amici” (pochi cattolici, alcuni protestanti, quasi tutti pagani) a parlare di Gesù e del missionario cattolico in famiglia, ad aiutare don Vendrame nell’apostolato. Lo affiancano i confratelli – che negli anni riconosceranno in lui il “pioniere” dell’attuazione missionaria salesiana in Assam – e validi collaboratori laici, formati nel tempo.
Di questo primo periodo resta traccia di un missionario di “fuoco”, animato dal solo interesse per la gloria di Dio e la salvezza delle anime. Il suo stile diventa quello dell’Apostolo delle genti, cui sarà paragonato per l’efficacia propulsiva dell’annuncio e la forte capacità attrattiva dei pagani a Cristo. «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (cf. 1 Cor 9,16), dice don Vendrame con la vita. Si espone a ogni usura, purché Cristo sia annunciato. Davvero anche per lui: «Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi […], pericoli dai pagani […]; disagi e fatiche, veglie senza numero, fame e sete, digiuni frequenti, freddo e nudità» (cf. 2 Cor 11,26-27). Il Servo di Dio diventa camminatore nel Nord-Est India infestato da rischi d’ogni sorta; si sostenta con un regime alimentare scarsissimo; affronta rientri a notte fonda o notti trascorse quasi all’addiaccio.

Sempre in trincea
Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e negli anni successivi, don Costantino Vendrame può dunque avvantaggiarsi – in frangenti di particolare fatica “ambientale” (campi militari; povertà estrema nel Sud dell’India) ed “ecclesiale” (durissime opposizioni nel Nord Est India) – di tutto un allenamento previo: sotto custodia dei Gurkha; a Deoli; a Dehra Dun; missionario a Wandiwash nel Tamil Nadu; a Mawkhar in Assam. A Deoli è “rettore” dei religiosi nel campo; anche a Dehra Dun è di esempio.
Liberato al termine della guerra, ma impossibilitato da ragioni politiche del tutto estranee alla sua persona a rientrare in Assam, don Vendrame – che aveva superato i 50 anni ed era usurato dalle privazioni – è assegnato da Mons. Louis Mathias, Arcivescovo di Madras, al Tamil Nadu. Lì don Costantino dovrà ricominciare tutto: ancora una volta, saprà farsi profondamente amare, cosciente – come scrive in una lettera del 1950 indirizzata ai confratelli sacerdoti della Diocesi di Vittorio Veneto – delle condizioni durissime del suo mandato missionario:
Egli era convinto che ovunque vi fosse del bene da fare e ovunque vi fossero anime da salvare. Rimasto “ad experimentum”, così da garantire continuità a quella missione povera, rientra infine in Assam: potrebbe riposarsi, ma si progetta di fondare la presenza cattolica a Mawkhar, quartiere di Shillong allora considerato il “fortino” dei protestanti.
Ed è proprio a Mawkhar che il Servo di Dio realizza il suo “capolavoro”: la nascita d’una comunità cattolica ancora oggi fiorente in cui – in anni lontani dall’attuale sensibilità ecumenica – la presenza cattolica fu dapprima osteggiata con durezza, quindi tollerata, poi accettata e infine stimata. L’unità e la carità testimoniante da don Vendrame furono per Mawkhar un annuncio inedito e “scandaloso”, che conquistò i cuori più duri e gli attrasse la benevolenza di molti: aveva portato il «miele di san Francesco» – cioè l’amorevolezza salesiana, ispirata alla dolcezza del Salesio – in una terra dove gli animi si erano chiusi.

Verso il traguardo
Quando i dolori alle ossa si fanno insistenti, egli ammette in una lettera: «con difficoltà ho potuto controllare il lavoro della giornata». Si dischiude l’ultimo tratto di cammino terreno. Arriva il giorno in cui chiede di controllare se fosse rimasto un po’ di cibo: richiesta unica per don Vendrame che si faceva bastare l’essenziale e, rientrando tardi, non voleva mai disturbare per la cena. Quella sera nemmeno riusciva ad articolare qualche frase: era stremato, invecchiato anzitempo. Aveva taciuto sino all’ultimo, preda di un’artrite che gli intaccò anche la colonna vertebrale.
Si profila allora il ricovero, ma a Dibrugarh: avrebbe evitato a lui il continuo accorrere della gente; alla gente il dolore di assistere impotente all’agonia del loro padre. Il Servo di Dio arriverà a svenire dal dolore: ogni movimento divenne per lui terribile.
Gli sono vicini Mons. Oreste Marengo – suo amico e antico chierico, Vescovo di Dibrugarh –, le Suore di Maria Bambina, alcuni laici, il personale medico-sanitario tra cui molte infermiere, conquistate dalla sua dolcezza.
Tutti lo riconoscono vero uomo di Dio: anche chi è non cristiano. Don Vendrame nel suo patire può dire, come Gesù: «io non sono solo, perché il Padre è con me» (cf. Gv 16,32).
Provato dalla malattia e dalle complicanze di una polmonite da stasi, muore il 30 gennaio 1957 nella vigilia della festa di san Giovanni Bosco. Pochi giorni prima (24 gennaio), nell’ultima lettera alla sorella Angela era ancora era proiettato al dinamismo apostolico, lucido nella sofferenza ma uomo di speranza sempre.
Era così povero da non aver nemmeno una vesta idonea alla sepoltura: Mons. Marengo gliene donò una sua perché fosse più degnamente rivestito. Una testimonianza racconta come in morte don Costantino fosse bello, stesse persino meglio che in vita, finalmente liberato dalle “fatiche” e dagli “strapazzi” che ne avevano segnato tanti decenni.
Dopo un primo funerale / momento di commiato a Diburgarh, le veglie funebri e le solenni esequie si svolsero a Shillong. La gente era accorsa con tanti fiori da sembrare la processione Eucaristica. Il concorso di popolo fu immenso, molti si accostarono ai sacramenti di Riconciliazione e Comunione: questo atteggiamento generalizzato di avvicinamento a Dio, anche da parte di chi se ne era allontanato, fu uno dei segni più grandi che accompagnarono la morte di don Costantino.




Cardinali salesiani

Durante la storia della Congregazione Salesiana, i papi hanno scelto alcuni suoi membri come cardinali, cioè come suoi collaboratori più stretti, nel governo della Chiesa Universale. Motivo sempre di gioia e di tristezza: gioia per l’apprezzamento del servizio svolto da certi salesiani, tristezza perché la Congregazione deve far a meno di uno dei suoi più preziosi membri.

Il nome di “cardinale” deriva dal latino e significa “cardine”, cioè un punto attorno al quale gira di solito una porta. O forse si può capire meglio se ricordiamo le virtù cardinali, ossia le virtù attorno le quali ruotano tutte le altre virtù umane.
I cardinali sono le persone che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine e che sono chiamate dal Papa a svolgere una missione accanto a lui nella Chiesa Universale, sia individualmente sia collegialmente. Ricoprono i più importanti incarichi nella Curia romana.
La loro importanza sta anche nel fatto che sono coloro che hanno la missione di eleggere il nuovo pontefice (si tratta solo degli elettori, cioè quelli che non hanno compiuto 80 anni), con il Collegio Cardinalizio riunito in Conclave, quando si verifica la Sede Vacante.
Ci sono tre gruppi di cardinali: Cardinali-vescovi, che sono i titolari delle diocesi suburbicarie (fuori dalle mura di Roma o nel circondario della città) e, per decisione successiva al Concilio Vaticano II, i patriarchi orientali elevati al cardinalato (che conservano il titolo della propria sede patriarcale); Cardinali-presbiteri – i più numerosi –, e i Cardinali-diaconi. A questi ultimi due ordini si assegnano rispettivamente titoli o diaconie (chiese) a Roma. Questi titoli onorifici rispecchiano la vicinanza che devono avere rispetto al Papa.
I Cardinali-vescovi sono di solito 6 (ci sono 6 Sedi suburbicarie), però oggi, in virtù di una dispensa papale, vengono nominati altri 4 Cardinali-vescovo ad personam (senza che il titolo cardinalizio sia elevato a titolo episcopale) e altri 2 patriarchi, in totale 12, dei quali 6 sono elettori.
I Cardinali-presbiteri sono 182, dei quali 97 sono elettori.
I Cardinali-diaconi sono 27, dei quali 16 sono elettori.
In totale sono 221 cardinali, dei quali 119 sono elettori.

Di solito i cardinali si scelgono tra i vescovi, gli arcivescovi, i metropoliti o i patriarchi, ma ci sono state nomine anche fra i sacerdoti. Papa san Giovanni Paolo II ha nominato 9 sacerdoti come cardinali, papa Benedetto XVI ha nominato 5 sacerdoti come cardinali e papa Francesco finora ha nominato 8 sacerdoti come cardinali, 10 se consideriamo l’ultimo annuncio del 9 luglio.

Il primo salesiano ad essere elevato alla dignità cardinalizia è stato l’arcivescovo Giovanni Cagliero, il 6 dicembre del 1915. Dopo di lui, altri 18 salesiani hanno ricevuto la berretta cardinalizia e il ventesimo, don Ángel FERNÁNDEZ ARTIME, la riceverà il prossimo 30 settembre. Lui è il primo Rettor Maggiore a ricevere la porpora cardinalizia.
Per molti che guardano dall’esterno la prima cosa che vedono è la dignità che implica; ma anche se è reale, papa Francesco ricorda che non è un privilegio, ma è un servizio, e il colore rosso significa che deve essere svolto fino all’effusione del sangue. Ed è un servizio non specificato che richiede la disponibilità totale. Ad Abramo, Dio ha chiesto di mettersi in cammino senza specificare dove andrà, per provare la sua fede; similmente succede anche ai nuovi cardinali.

Auguriamo al nostro Rettor Maggiore, don Ángel tante grazie dal Signore che lo guidi nella nuova missione e gli assicuriamo la nostra preghiera.

Nella speranza di far conoscere sempre più i cardinali salesiani, presentiamo di seguito l’elenco di tutti questi porporati con le date e gli incarichi più importanti che hanno avuto o che continuano a ricoprire fino ad oggi.

Giovanni CAGLIERO  
Nato 11.01.1838, Castelnuovo d’Asti, Italia
Ordinato sacerdote 14.06.1862
Consacrato Vescovo 07.12.1884
Creato Cardinale 06.12.1915
Stemma  
Motto Recto fixus Calli ero
Vicario Apostolico della Patagonia Settentrionale (Argentina) 30.09.1884 – 24.03.1904
Vescovo titolare di Magyddus 30.10.1884 – 24.03.1904
Arcivescovo titolare di Sebastia 24.03.1904 – 06.12.1915
Delegato apostolico in Costa Rica, Nicaragua e Honduras 07.08.1908 – 06.12.1915
Cardinale-Parroco di S. Bernardo alle Terme 09.12.1915 – 16.12.1920
Cardinale vescovo di Frascati 16.12.1920 – 28.02.1926
Fu ispettore per 2 anni, vescovo per 41 anni di cui 10 Cardinale  
Morto 28.02.1926, Roma, Italia, † 88
   
Agosto HLOND, Venerabile  
Nato 05.07.1881, Brzęczkowice, Polonia
Ordinato sacerdote 23.09.1905
Consacrato Vescovo 03.01.1926
Creato Cardinale 20.06.1927
Stemma  
Motto Da mihi animas cetera tolle
Amministratore apostolico dell’Alta Slesia (Polonia) 07.11.1922 – 28.10.1925
Vescovo di Katowice (Polonia) 28.10.1925 – 24.06.1926
Presidente della Conferenza Episcopale della Polonia 1926 – 22.10.1948
Arcivescovo metropolita di Poznań (Polonia) 24.06.1926 – 03.05.1946
Arcivescovo metropolita di Gniezno (Polonia) 24.06.1926 – 22.10.1948
Cardinale-Presbitero di S. Maria della Pace 22.12.1927 – 22.10.1948
Fondatore della Società di Cristo per gli immigrati polacchi 08.09.1932
Arcivescovo metropolita di Warszawa (Polonia) 13.06.1946 – 22.10.1948
Cardinale e religioso dei Salesiani di San Giovanni Bosco  
Servus Dei. Fu per 3 anni ispettore, per 3 anni amministratore apostolico, per 23 anni Arcivescovo di Warszawa e per 21 anni Cardinale primate di Polonia. E’ in corso la causa di canonizzazione  
Morto 22.10.1948, Varsavia, Polonia, † 67
   
Raúl SILVA HENRÍQUEZ  
Nato 27.09.1907, Talca, Chile
Ordinato sacerdote 03.07.1938
Consacrato Vescovo 29.11.1959
Creato Cardinale 19.03.1962
Stemma  
Motto Caritas christi urget nos
Vescovo di Valparaíso (Cile) 24.10.1959 – 14.05.1961
Arcivescovo metropolita di Santiago (Cile) 14.05.1961 – 03.05.1983
Presidente di Caritas Internationalis 1962 – 1965
Cardinale-Presbitero di S. Bernardo alle Terme 22.03.1962 – 09.04.1999
Presidente della Conferenza episcopale del Cile 1963 – 1968
Presidente della Conferenza Episcopale del Cile 1972 – 1976
Fu vescovo di Valparaiso per 3 anni, arcivescovo di Santiago del Cile per 11 anni e cardinale per 22 anni  
Morto 09.04.1999, Santiago, Chile, † 91
   
Stepán TRÓCHTA  
Nato 26.03.1905, Francova Lhota, Repubblica Ceca
Ordinato sacerdote 29.06.1932
Consacrato Vescovo 16.11.1947
Creato Cardinale in pectore 28.04.1969
Rivelato come cardinale 05.03.1973
Stemma  
Motto Actio sacrificium caritas
Vescovo di Litoměřice (Cechia) 27.09.1947 – 06.04.1974
Cardinale-Presbitero di S. Giovanni Bosco in Via Tuscolana 12.04.1973 – 06.04.1974
Fu vescovo di Litoměřice (Cechia) per 26 anni e Cardinale per 5 anni  
Morto 06.04.1974, Litoměřice, Repubblica Ceca, † 69
   
Ignacio Antonio VELASCO GARCÍA  
Nato 17.01.1929, Acarigua, Venezuela
Ordinato sacerdote 17.12.1955
Consacrato Vescovo 06.01.1990
Creato Cardinale 21.02.2001
Stemma  
Motto Servus Christi pro fratribus
Vescovo titolare di Utimmira 23.10.1989 – 27.05.1995
Vicario apostolico di Puerto Ayacucho (Venezuela) 23.10.1989 – 27.05.1995
Amministratore Apostolico di San Fernando de Apure (Venezuela) 27.05.1992 – 12.07.1994
Arcivescovo metropolita di Caracas (Venezuela) 27.05.1995 – 06.07.2003
Cardinale-Presbitero di S. Maria Domenica Mazzarello 21.02.2001 [24.05.2001] – 06.07.2003
Fu ispettore per 6 anni, consigliere regionale per 6 anni, vescovo per 13 anni, e Cardinale per 2 anni  
Morto 06.07.2003, Caracas, Venezuela, † 74
   
Alfons Maria STICKLER  
Nato 23.08.1910, Neunkirchen, Austria
Ordinato sacerdote 27.03.1937
Consacrato Vescovo 01.11.1983
Creato Cardinale 25.05.1985
Stemma  
Motto Omnia et in omnibus Christus
Rettore Magnifico dell’Ateneo Pontificio Salesiano 1958 – 1966
Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana 1971 – 07.09.1983
Arcivescovo titolare di Bolsena 07.09.1983 – 25.05.1985
Pro-Librario della Biblioteca Apostolica Vaticana 07.09.1983 – 27.05.1985
Pro-Archivista dell’Archivio Segreto Vaticano 09.07.1984 – 27.05.1985
Cardinale-diacono di S. Giorgio in Velabro 25.05.1985 – 29.01.1996
Archivista dell’Archivio Segreto Vaticano 27.05.1985 – 01.07.1988
Bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana 27.05.1985 – 01.07.1988
Cardinale-Parroco di S. Giorgio in Velabro 29.01.1996 – 12.12.2007
Fu Arcivescovo titolare di Bolsena per 2 anni e Cardinale per 22 anni  
Morto 12.12.2007, Stato della Città del Vaticano, † 97
   
Rosalio José CASTILLO LARA  
Nato 04.09.1922, San Casimiro, Venezuela
Ordinato sacerdote 04.09.1949
Consacrato Vescovo 24.05.1973
Creato Cardinale 25.05.1985
Stemma  
Motto Misericordia et veritas
Vescovo coadiutore di Trujillo (Venezuela) 26.03.1973 – 05.10.1981
Vescovo titolare di Præcausa 26.03.1973 – 26.05.1982
Segretario della Pontificia Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico 12.02.1975 – 22.05.1982
Presidente della Commissione disciplinare della Curia romana 05.10.1981 – 1990
Pro-Presidente della Pontificia Commissione per l’Interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico 22.05.1982 – 18.01.1984
Arcivescovo titolare di Præcausa 26.05.1982 – 25.05.1985
Pro-Presidente della Pontificia Commissione per l’Interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico 18.01.1984 – 27.05.1985
Cardinale-diacono di Nostra Signora di Coromoto in S. Giovanni di Dio 25.05.1985 – 29.01.1996
Presidente del Pontificio Consiglio per l’Interpretazione dei Testi Legislativi 27.05.1985 – 06.12.1989
Presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica 06.12.1989 – 24.06.1995
Presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano 31.10.1990 – 14.10.1997
Cardinale-Presbitero di Nostra Signora di Coromoto in S. Giovanni di Dio 29.01.1996 – 16.10.2007
Fu presidente della Commissione Pontificia per lo Stato della Città del Vaticano per 7 anni  
Morto 16.10.2007, Caracas, Venezuela, † 85
   
Miguel OBANDO BRAVO  
Nato 02.02.1926, La Libertad, Nicaragua
Ordinato sacerdote 10.08.1958
Consacrato Vescovo 31.03.1968
Creato Cardinale 25.05.1985
Stemma  
Motto Omnibus omnia factus
Vescovo titolare di Putia in Byzacena 18.01.1968 – 16.02.1970
Vescovo ausiliare di Matagalpa (Nicaragua) 18.01.1968 – 16.02.1970
Arcivescovo metropolita di Managua (Nicaragua) 16.02.1970 – 01.04.2005
Presidente della Conferenza episcopale del Nicaragua 1971 – 1975
Presidente del Segretariato episcopale dell’America centrale e di Panama 1976 – 1981
Presidente della Conferenza episcopale del Nicaragua 1979 – 1983
Presidente della Conferenza episcopale del Nicaragua 1985 – 1989
Cardinale-Presbitero di S. Giovanni Evangelista a Spinaceto 25.05.1985 – 03.06.2018
Presidente della Conferenza episcopale del Nicaragua 1993 – 1997
Presidente della Conferenza episcopale del Nicaragua 1999 – 2005
Fu per 2 anni Vescovo ausiliare di Matagalfa, per 15 anni Vescovo di Managua, per 15 anni Cardinale  
Morto 03.06.2018, Managua, Nicaragua, † 92
   
Antonio María JAVIERRE ORTAS  
Nato 21.02.1921, Siétamo, Spagna
Ordinato sacerdote 24.04.1949
Consacrato Vescovo 29.06.1976
Creato Cardinale 28.06.1988
Stemma  
Motto Ego vobiscum sum
Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana 1971 – 1974
Segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica 20.05.1976 – 26.05.1988
Arcivescovo titolare di Meta 20.05.1976 – 28.06.1988
Cardinale-diacono di S. Maria Liberatrice a Monte Testaccio 28.06.1988 – 09.01.1999
Archivista dell’Archivio Segreto Vaticano 01.07.1988 – 24.01.1992
Bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana 01.07.1988 – 24.01.1992
Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti 24.01.1992 – 21.06.1996
Cardinale-Presbitero di S. Maria Liberatrice a Monte Testaccio 09.01.1999 [24.04.1999] – 01.02.2007
Fu arcivescovo titolare di Meta per 12 anni e Cardinale per 18 anni  
Morto 01.02.2007, Roma, Italia, † 85
   
Óscar Andrés RODRÍGUEZ MARADIAGA  
Nato 29.12.1942, Tegucigalpa, Honduras
Ordinato sacerdote 28.06.1970
Consacrato Vescovo 08.12.1978
Creato Cardinale 21.02.2001
Stemma  
Motto Mihi vivere Christus est
Vescovo titolare di Pudentiana 28.10.1978 – 08.01.1993
Vescovo ausiliare di Tegucigalpa (Honduras) 28.10.1978 – 08.01.1993
Segretario Generale della Conferenza Episcopale dell’Honduras 1980 – 1988
Amministratore Apostolico di Santa Rosa de Copán (Honduras) 1981 – 27.01.1984
Segretario generale del Consiglio episcopale latinoamericano 1987 – 1991
Amministratore Apostolico di San Pedro Sula (Honduras) 1993 – 11.11.1994
Arcivescovo metropolita di Tegucigalpa (Honduras) 08.01.1993 – 26.01.2023
Presidente del Consiglio episcopale latinoamericano 1995 – 1999
Presidente della Conferenza episcopale dell’Honduras 1996 – 13.06.2016
Cardinale-Presbitero di S. Maria della Speranza 21.02.2001 [27.05.2001] – …
Presidente di Caritas Internationalis 05.06.2007 [09.06.2007] – 15.05.2015
Coordinatore del Consiglio dei Cardinali 13.04.2013 – 07.03.2023
Cardinale emerito 2023
Anni 80
   
Tarcisio BERTONE  
Nato 02.12.1934, Romano Canavese, Italia
Ordinato sacerdote 01.07.1960
Consacrato Vescovo 01.08.1991
Creato Cardinale 21.10.2003
Stemma  
Motto Fidem custodire concordiam servare
Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana 01.06.1989 – 04.06.1991
Arcivescovo metropolita di Vercelli (Italia) 04.06.1991 – 13.06.1995
Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede 13.06.1995 – 10.12.2002
Arcivescovo metropolita di Genova (Italia) 10.12.2002 – 29.08.2006
Cardinale-Presbitero di S. Maria Ausiliatrice in Via Tuscolana 21.10.2003 [24.03.2004] – 10.05.2008
Segretario di Stato della Segreteria di Stato 15.09.2006 – 15.10.2013
Presidente della Commissione Interdicasteriale sulle Chiese particolari 15.09.2006 – 15.10.2013
Presidente della Commissione Interdicasteriale per la Chiesa nell’Europa Orientale 15.09.2006 – 15.10.2013
Cardinale Protettore della Pontificia Accademia Ecclesiastica 15.09.2006 – 15.10.2013
Membro della Commissione cardinalizia di vigilanza sull’Istituto per le Opere di Religione 14.10.2006 – .03.2008
Camerlengo di Santa Romana Chiesa della Camera Apostolica 04.04.2007 – 20.12.2014
Presidente della Commissione cardinalizia di vigilanza sull’Istituto per le Opere di Religione 03.2008 – 15.01.2014
Cardinale vescovo di Frascati 10.05.2008 [03.10.2009] – …
Cardinale Camerlengo emerito di S.R.C. 2014
Anni 88
   
Giuseppe ZEN ZE-KIUN  
Nato 13.01.1932, Shanghai, Cina
Ordinato sacerdote 11.02.1961
Consacrato Vescovo 09.12.1996
Creato Cardinale 24.03.2006
Stemma  
Motto Ipsi cura est
Cardinale-Presbitero di S. Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca  
Vescovo coadiutore di Hong Kong 13.09.1996 – 23.09.2002
Vescovo di Hong Kong 23.09.2002 – 15.04.2009
Cardinale-Presbitero di S. Maria Madre del Redentore a Tor Bella Monaca 24.03.2006 [31.05.2006] – …
Cardinale emerito di Hong Kong  
Anni 91
   
Raffaele FARINA  
Nato 24.09.1933, Buonalbergo, Italia
Ordinato sacerdote 01.07.1958
Consacrato Vescovo 16.12.2006
Creato Cardinale 24.11.2007
Stemma  
Motto Dominus spes nostra
Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana 1977 – 1983
Segretario del Pontificio Comitato di Scienze Storiche 1981 – 1989
Sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura 1986 – 1991
Rettore Magnifico dell’Università Pontificia Salesiana 1991 – 1997
Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana 25.05.1997 – 25.06.2007
Vescovo titolare di Oderzo 15.11.2006 – 25.06.2007
Arcivescovo titolare di Oderzo 25.06.2007 – 24.11.2007
Archivista dell’Archivio Segreto Vaticano 25.06.2007 – 09.06.2012
Bibliotecario della Biblioteca Apostolica Vaticana 25.06.2007 – 09.06.2012
Cardinale-diacono di S. Giovanni della Pigna 24.11.2007 [05.04.2008] – 19.05.2018
Presidente della Pontificia Commissione di Riferimento per l’Istituto per le Opere di Religione 24.06.2013 – 22.05.2014
Cardinale-Presbitero di S. Giovanni della Pigna 19.05.2018 – …
Cardinale emerito 2014
Anni 89
   
Angelo AMATO  
Nato 08.06.1938, Molfetta, Italia
Ordinato sacerdote 22.12.1967
Consacrato Vescovo 06.01.2003
Creato Cardinale 20.11.2010
Stemma  
Motto Sufficit gratia mea
Prorettore dell’Università Pontificia Salesiana 01.10.1991 – 02.12.1991
Prelato-Segretario della Pontificia Accademia di Teologia 1999 – 19.12.2002
Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede 19.12.2002 – 09.07.2008
Arcivescovo titolare della Sila 19.12.2002 – 20.11.2010
Prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi 09.07.2008 – 31.08.2018
Cardinale diacono di S. Maria in Aquiro 20.11.2010 [11.02.2011] – 03.05.2021
Cardinale-Presbitero di S. Maria in Aquiro 03.05.2021 – …
Cardinale emerito 2018
Anni 85
   
Ricardo EZZATI ANDRELLO  
Nato 07.01.1942, Campiglia dei Berici, Italia
Ordinato sacerdote 18.03.1970
Consacrato Vescovo 08.09.1996
Creato Cardinale 22.02.2014
Stemma  
Motto Para evangelizar
Vescovo di Valdivia (Cile) 28.06.1996 – 10.07.2001
Vescovo titolare di La Imperial 10.07.2001 – 27.12.2006
Vescovo ausiliare di Santiago (Cile) 10.07.2001 – 27.12.2006
Arcivescovo metropolita di Concepción (Cile) 27.12.2006 – 15.12.2010
Presidente della Conferenza episcopale del Cile .11.2010 – 11.11.2016
Arcivescovo metropolita di Santiago (Cile) 15.12.2010 – 23.03.2019
Cardinale-Presbitero del SS. Redentore a Valmelaina 22.02.2014 [11.10.2014] – …
Cardinale emerito 2019
Anni 81
   
Carlo MAUNG BO  
Nato 29.10.1948, Mohla, Myanmar
Ordinato sacerdote 09.04.1976
Consacrato Vescovo 16.12.1990
Creato Cardinale 14.02.2015
Stemma  
Motto Omnia possum in Eo
Amministratore Apostolico di Lashio (Myanmar) 1985 – 1986
Prefetto apostolico di Lashio (Myanmar) 1986 – 07.07.1990
Vescovo di Lashio (Myanmar) 07.07.1990 – 13.03.1996
Vescovo di Pathein (Myanmar) 13.03.1996 – 24.05.2003
Presidente della Conferenza episcopale cattolica di Myanmar 2000 – 2006
Arcivescovo metropolita di Yangon (Myanmar) 24.05.2003 – …
Cardinale-Presbitero di S. Ireneo a Centocelle 14.02.2015 [21.10.2015] – …
Presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia 16.11.2018 [01.01.2019] – …
Presidente della Conferenza episcopale del Myanmar 2020 – …
Amministratore Apostolico di Myitkyina (Myanmar) 18.11.2020 – …
Anni 74
   
Daniel Fernando STURLA BERHOUET  
Nato 04.07.1959, Montevideo, Uruguay
Ordinato sacerdote 21.11.1987
Consacrato Vescovo 04.03.2012
Creato Cardinale 14.02.2015
Stemma  
Motto Servir al Señor con alegría
Vescovo titolare di Phelbes e 10.12.2011 – 11.02.2014
Vescovo ausiliare di Montevideo (Uruguay) 10.12.2011 – 11.02.2014
Arcivescovo Metropolita di Montevideo (Uruguay) 11.02.2014 – …
Cardinale-Presbitero di S. Galla 14.02.2015 [17.05.2015] – …
Vicepresidente della Conferenza episcopale dell’Uruguay 16.11.2021 [01.04.2022] – …
Anni 64
   
Cristóbal LÓPEZ ROMERO  
Nato 19.05.1952, Vélez-Rubio, Spagna
Ordinato sacerdote 19.05.1979
Consacrato Vescovo 10.03.2018
Creato Cardinale 05.10.2019
Stemma  
Motto Adveniat Regnum Tuum
Arcivescovo di Rabat (Marocco) 29.12.2017 – …
Amministratore Apostolico di Tánger (Marocco) 24.05.2019 – 25.02.2022
Cardinale-Presbitero di S. Leone I 05.10.2019 [16.02.2020] – …
Presidente della Conferenza Episcopale Regionale del Nord Africa 15.02.2022 – …
Anni 71
   
Virgilio DO CARMO DA SILVA  
Nato 27.11.1967, Venilale, Timor-Este
Ordinato sacerdote 18.12.1998
Consacrato Vescovo 19.03.2016
Creato Cardinale 27.08.2022
Stemma  
Motto Ad Deum Patrem Omnipotentem
Vicepresidente della Conferenza Episcopale di Timor 2016 – …
Vescovo di Díli (Timor Est) 30.01.2016 – 11.09.2019
Arcivescovo Metropolita di Díli (Timor Est) 11.09.2019 – …
Cardinale-Presbitero di S. Alberto Magno 27.08.2022 [07.05.2023] – …
Anni 55
   
Ángel FERNÁNDEZ ARTIME  
Nato 21.08.1960, Gozón-Luanco, Spagna
Ordinato sacerdote 04.07.1987
Creato Cardinale 30.09.2023
Consacrato Vescovo 2024 – ?
Stemma  
Motto Sufficit tibi gratia mea
Anni 63



Stemma del cardinal Ángel Fernández Artime

Presentiamo la Stemma di Sua Eminenza Reverendissima, il signor cardinale Ángel FERNÁNDEZ ARTIME SdB, Rettor Maggiore della Pia Società di San Francesco di Sales (Salesiani di don Bosco).

Ogni clerico che viene nominato dal papa come cardinale deve comporsi uno stemma che lo rappresenti.
Uno stemma non è una semplice formalità tradizionale. Rappresenta lo più importante per una persona, una famiglia o un’istituzione, e permette la identificazione al largo dello spazio e del tempo. Sono apparse, secondo alcune ricerche, nella epoca delle Crociate, quando i cavalieri cristiani le applicavano sugli abiti, sulle bardature dei cavalli, sugli scudi e sugli stendardi, per riconoscere chiaramente gli alleati e gli avversari. Dopo, sono diversificate e sono passate alle famiglie nobiliari e anche nella Chiesa, tanto che è apparsa anche una scienza, araldica, che si occupa del loro studio.
Nella Chiesa, gli stemmi ecclesiastici sono stati standardizzati nel 1905, dal papa san Pio X, nel motu proprio “Inter multiplices cura”. Così, uno stemma ecclesiastico comprende uno scudo personale (blasone), numerosi ornamenti esterni che riprendono le insegne delle dignità a cui si riferiscono (quello del cardinale è un galero rosso con 15 nappe rosse), e un motto personale, di solito in latino, come una dichiarazione di fede. Gli elementi dello stemma fanno riferimenti al nome del titolare, alle sue origini, alla sua sede e ai simboli religiosi che richiamano messaggi teologici e valori spirituali o sintetizzano ideali di vita e programmi pastorali.

BLASONATURA
“D’argento, cappato[i] di azzurro. Nel I alla caratteristica figura di Gesù buon Pastore, presente nelle Catacombe di San Callisto, in Roma, il tutto al naturale[ii]; Nel II al monogramma MA, d’oro, timbrato[iii] da una corona dello stesso; nel III all’ancora di due uncini[iv], d’argento, cordata di rosso. Lo scudo è timbrato da un cappello[v] con cordoni e nappe di rosso. Le nappe, in numero di trenta, sono disposte quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5[vi], Sotto lo scudo, nella lista d’argento, il motto in lettere maiuscole di nero: “SUFFICIT TIBI GRATIA MEA”.

ESEGESI
“L’uomo medievale (…) vive in una ‘foresta di simboli’. L’ha detto sant’Agostino: il mondo si compone di ‘signa’ e di ‘res’, di segni, ossia di simboli, e di cose. Le ‘res’ che sono la vera realtà restano nascoste; l’uomo afferra solo dei segni. Il libro essenziale, la Bibbia, racchiude una struttura simbolica. A ciascun personaggio, a ciascun avvenimento del Vecchio Testamento corrisponde un personaggio, un avvenimento del Nuovo Testamento. L’uomo medievale è continuamente impegnato a ‘decifrare’, e questo rafforza la sua dipendenza dai chierici, dotti nel campo del simbolismo. Il simbolismo presiede all’arte e in particolare all’architettura in cui la chiesa è prima di tutto una struttura simbolica. S’impone in politica, dove il peso delle cerimonie simboliche come la consacrazione del re è considerevole, dove le bandiere, le armi, gli emblemi, hanno un’importanza fondamentale. Regna in letteratura, dove spesso assume la forma dell’allegoria”[vii].
Gesti e simboli rimandano, quindi, a qualche cosa di più profondo: a un messaggio, a un valore, a un’idea che oltrepassa il segno stesso.

“Nella vita umana segni e simboli occupano un posto importante. In quanto essere corporale e spirituale insieme, l’uomo esprime e percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali. In quanto essere sociale, l’uomo ha bisogno di segni e simboli per comunicare con gli altri per mezzo del linguaggio, di gesti, di azioni. La stessa cosa avviene nella sua relazione con Dio”[viii].

“Il dotto e famoso araldista Goffredo di Crollalanza in Genesi e Storia del Linguaggio Blasonico (1876) tra l’altro scrive; ‘L’araldica ebbe la cavalleria per autore, il bisogno per movente, il trofeo per scopo, i tornei e le crociate per occasione, il campo di battaglia per culla, l’armatura per campo, il disegno per mezzo, il simbolo per ausiliare, il creato per materia, l’ideologia per concetto, il blasone per conseguenza. Ed aggiunge: ‘Il blasone non è l’illustrazione; come la mente non è l’anima, ma la manifestazione dell’anima”[ix].

“L’araldica è un linguaggio complesso e particolare costituito da una miriade di figure e lo stemma è un contrassegno che deve esaltare una particolare impresa, un fatto importante, un’azione da perpetuare.

Questa scienza documentaria della storia dapprima era riservata ai cavalieri ed ai partecipanti ai fatti d’armi, sia guerreschi che sportivi, che si rendevano riconoscibili grazie allo stemma, posto sullo scudo, sull’elmo, sulla bandiera e anche sulla gualdrappa, rappresentante l’unico modo per distinguersi gli uni dagli altri.

L’araldica dei cavalieri venne quasi subito imitata dalla Chiesa, anche se gli enti ecclesiastici in periodo pre-araldico avevano già propri segni distintivi, tanto che al sorgere dell’araldica, nel secolo XII, tali figure assunsero i colori e l’aspetto propri di quella simbologia.

L’araldica ecclesiastica al nostro tempo è viva, attuale e largamente utilizzata. Per un prelato, tuttavia, l’uso di uno stemma deve oggi essere definito quale simbolo, figura allegorica, espressione grafica, sintesi e messaggio del suo ministero.

Occorre ricordare che agli ecclesiastici fu sempre vietato l’esercizio della milizia e il porto delle armi e per tale motivo non si sarebbe dovuto adottare il termine ‘scudo’ o ‘arme’ propri dell’araldica; tuttavia va detto che sino a tempi recenti gli ecclesiastici usavano il loro stemma di famiglia, molto spesso privo di qualunque simbologia religiosa.

La stessa simbologia della Chiesa Romana è attinta dal Vangelo ed è rappresentata dalle chiavi consegnate da Cristo all’apostolo Pietro.

L’araldica ecclesiastica al nostro tempo è viva, attuale e largamente utilizzata. Per un porporato, l’uso di uno stemma deve oggi essere definito quale simbolo, figura allegorica, espressione grafica, sintesi e messaggio del suo ministero”[x].

Nel primo periodo gli stemmi ecclesiastici risultavano con lo scudo timbrato dalla mitria con le infule svolazzanti; con il passare del tempo si consoliderà, invece, alla sommità dello scudo il cappello prelatizio con i cordoni e i vari ordini di nappe o fiocchi, di diverso numero secondo la dignità, il tutto di verde se vescovi, arcivescovi e patriarchi, il tutto di rosso se cardinali di Santa Romana Chiesa.

Annotiamo, inoltre, che con “L’Istruzione sulle vesti, i titoli e gli stemmi dei cardinali, dei vescovi e dei prelati inferiori” del 31 marzo 1969, a firma del cardinale segretario di Stato Amleto Cicognani, all’art. 28 si recita testualmente: “Ai cardinali e ai vescovi è permesso l’uso dello stemma. La configurazione di tale stemma dovrà essere conforme alle norme che regolano l’araldica e risultare opportunamente semplice e chiaro. Dallo stemma si tolgono sia il pastorale che la mitra”[xi].

Nel successivo art. 29 si precisa che ai cardinali è permesso di far apporre il proprio stemma sulla facciata della chiesa che è attribuita loro come titolo o diaconia.

Gli eccellentissimi e reverendissimi vescovi timbrano, infatti, lo scudo, accollato ad una croce astile semplice (a una traversa), d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi in numero di dodici sono disposti sei per parte, in tre ordini di 1, 2, 3.

Gli eccellentissimi e reverendissimi arcivescovi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi, in numero di venti, sono disposti dieci per parte, in quattro ordini di 1, 2, 3, 4.

Gli eccellentissimi e reverendissimi patriarchi timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di verde. I fiocchi, in numero di trenta, sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5[xii].

Gli eminentissimi e reverendissimi signori cardinali di Santa Romana Chiesa timbrano lo scudo, accollato ad una croce astile patriarcale d’oro, trifogliata, posta in palo, con il cappello, cordoni e nappe di rosso. I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.

L’origine e l’uso dei cappelli di verde, per i patriarchi, arcivescovi e vescovi, si vuole derivato dalla Spagna, dove, nel Medioevo, i prelati usavano un cappello di verde. Per tale motivo gli scudi dei vescovi, arcivescovi e patriarchi risultano timbrati con un cappello di verde.

Nel 1245, nel corso del Concilio di Lione, il papa Innocenzo IV (1243-1254) concesse ai cardinali un cappello di rosso, quale particolare distintivo d’onore e di riconoscimento tra gli altri prelati, da usarsi nelle cavalcate in città. Lo prescrisse di rosso per ammonirli a essere sempre pronti a spargere il proprio sangue per difendere la libertà della Chiesa e del popolo cristiano. Ed è per questo motivo che dal XIII secolo i cardinali timbrano il loro scudo con un cappello di rosso, ornato di cordoni e di nappe dello stesso colore.

Infine, l’eminentissimo e reverendissimo signor cardinale camerlengo di Santa Romana Chiesa porta lo scudo con lo stesso cappello degli altri cardinali, ma timbrato dal gonfalone papale, durante munere, ossia durante la sede vacante apostolica. Il gonfalone papale o stendardo papale, chiamato anche basilica, è a forma di ombrellone a gheroni rossi e gialli con i pendenti tagliati a vajo e di colori contrastati, sostenuto da un’asta a forma di lancia coll’arresto ed è attraversata dalle chiavi pontificie una d’oro e l’altra d’argento, decussate, addossate, con gli ingegni rivolti verso l’alto, legate da nastro di rosso.

Gli stessi colori di verde o di rosso vanno usati, altresì, nell’inchiostro dei sigilli e negli stemmi riportati negli atti, quest’ultimi con i previsti segni convenzionali indicanti gli smalti.

La blasonatura – descrizione araldica – dello stemma del cardinale Ángel FERNÁNDEZ ARTIME SdB non porta lo scudo accollato a una croce astile, d’oro, posta in palo, perché non è vescovo. Verrà consacrato nell’ordine episcopale, il prossimo anno, dopo la cessazione dal servizio di Rettor Maggiore dei Salesiani di don Bosco e in tale momento al suo scudo verrà accollata una croce astile, posta in palo.

L’Antico ed il Nuovo Testamento, la Patristica, i legendaria dei Santi, la Liturgia hanno offerto, nei secoli, alla Chiesa i temi più svariati per i suoi simboli, destinati a divenire figure araldiche.

Quasi sempre tali simboli alludono a compiti pastorali o di apostolato degli istituti ecclesiastici, sia secolari che regolari, oppure tendono ad indicare la missione del clero, richiamano antiche tradizioni di culto, memorie di santi patroni, pie devozioni locali.

GLI SMALTI
Una delle norme fondamentali che regola l’araldica asserisce che chi ha meno ha più, con riguardo alla composizione degli smalti, figure e positure dello scudo.
E l’arme che ora andremo a esaminare è composta dai metalli oro e argento e dai colori d’azzurro e di rosso.

Cercare il proprio stemma, quindi, quello vero, da poter innalzare come vessillo, con il quale segnare le proprie carte, comprenderne compiutamente i simboli, non è, in qualche modo, cercare sé stessi, la propria immagine, la propria dignità?
Ecco come un atto, che potrebbe essere letto solo formalmente, può acquisire invece un significato simbolico e fortemente pregnante.

D’oro, d’argento, d’azzurro e di rosso, quindi, sono gli smalti che figurano nello stemma dell’em.mo cardinale Ángel FERNÁNDEZ ARTIME SdB., ma quali simboli racchiudono e sprigionano tali smalti, quali messaggi ne derivano per l’uomo, spesso frastornato, giunto, oramai, al XXI secolo?

I “metalli”, di oro e d’argento, araldicamente rappresentano e ricordano le antiche armature dei cavalieri che, secondo il rispettivo grado di nobiltà, erano appunto dorate o argentate; l’oro, inoltre, è simbolo della regalità divina, mentre l’argento allude a Maria. Il “colore” d’azzurro ricorda il mare attraversato dai crociati per portarsi in Terra Santa, mentre il di rosso che era considerato, da molti araldisti, il primo fra i colori dell’arme, il sangue vivo versato dai crociati.

Addentrandoci più specificatamente nel simbolismo araldico degli “smalti”, ricordiamo che fra i “metalli”, l’oro rappresenta la Fede fra le virtù, il sole fra i pianeti, il leone nei segni zodiacali, luglio fra i mesi, la domenica fra i giorni della settimana, il topazio fra le pietre preziose, l’adolescenza sino ai vent’anni fra le età dell’uomo, il girasole fra i fiori, il sette fra i numeri e se stesso fra i metalli; l’argento rappresenta la Speranza fra le virtù, la luna fra i pianeti, il cancro nei segni zodiacali, giugno fra i mesi, il lunedì fra i giorni della settimana, la perla fra le pietre preziose, l’acqua fra gli elementi, l’infanzia sino a sette anni fra le età dell’uomo, il flemmatico fra i temperamenti, il giglio fra i fiori, il due fra i numeri e se stesso fra i metalli.

Fra i “colori”, l’azzurro, simboleggia la Giustizia fra le virtù, Giove fra i pianeti, il toro e la bilancia nei segni zodiacali, aprile e settembre fra i mesi, il martedì fra i giorni della settimana, lo zaffiro fra le pietre preziose, l’aria fra gli elementi, l’estate fra le stagioni, la fanciullezza sino ai quindici anni fra le età dell’uomo, il collerico fra i temperamenti, la rosa fra i fiori, il sei fra i numeri e lo stagno fra i metalli, mentre il di rosso, la Carità fra le virtù teologali, Marte fra i pianeti, l’ariete e lo scorpione nei segni zodiacali, marzo e ottobre fra i mesi, il mercoledì fra i giorni della settimana, il rubino fra le pietre preziose, il fuoco fra gli elementi, l’autunno fra le stagioni, la virilità sino a cinquant’anni fra le età dell’uomo, il sanguigno fra i temperamenti, il garofano fra i fiori, il tre fra i numeri e il rame fra i metalli.

Il rosso: “è anche un ricordo dell’Oriente e delle spedizioni d’oltremare, come pure dimostra giustizia, crudeltà e collera. Ignescunt irae, disse Virgilio. Finalmente, siccome dagli antichi era consacrato a Marte, significa slanci d’animo intrepido, grandioso e forte. Gli Spagnoli chiamano il campo rosso ‘sangriento’, ossia sanguinoso, perché richiama alla memoria le battaglie sostenute contro i Mori. Un nome analogo lo troviamo in Germania nel blütige Fahne, vexillum, cruentum, campo tutto rosso senza alcuna figura, che indica i diritti di regalìa, e si trova nell’armi di Prussia, d’Anhalt, ecc. Il rosso è coll’azzurro uno dei due colori più usati nel blasone; ma più frequentemente si trova nelle armi di famiglie borgognone, normanne, guascone, brettone, spagnole, inglesi, italiane e polacche… Nelle bandiere il rosso rappresenta ardire e valore, e pare sia stato adottato in principio dagli adoratori del fuoco”[xiii].

 Fra i “colori”, “al naturale” è “una figura riprodotta con il suo colore naturale (ossia come si presenta in natura) e non come uno smalto araldico”[xiv].

Ci preme evidenziare che fu necessario, altresì, creare dei segni convenzionali per comprendere e individuare gli “smalti” dello scudo, quando lo stemma risulta riprodotto nei sigilli e nelle stampe in bianco e nero. Così gli araldisti, nel tempo, usarono vari sistemi; ad esempio, scrissero nei vari campi occupati dagli smalti, l’iniziale della prima lettera corrispondente al colore dello smalto, oppure individuarono i colori con l’iscrivere le prime sette lettere dell’alfabeto o, ancora riprodussero, sempre nei campi dello smalto, i primi sette numeri cardinali.

Nel XVII secolo, l’araldista francese Vulson de la Colombière propose, invece, dei particolari segni convenzionali per riconoscere il colore degli smalti negli scudi riprodotti in bianco e nero. L’araldista padre Silvestro di Pietrasanta della Compagnia di Gesù, per primo, ne fece uso nella sua opera Tesserae gentilitiae ex legibus fecialium descriptae, diffondendone, così, la conoscenza e l’uso.

Tale sistema di classificazione, tuttora usato, identifica il rosso con fitte linee perpendicolari, l’azzurro con orizzontali, il verde con diagonali da sinistra a destra, il porpora con diagonali da destra a sinistra, il nero con orizzontali e verticali incrociate, mentre l’oro si rende punteggiato e l’argento senza tratteggio.

Per rappresentare il colore “al naturale” alcuni araldisti prevedono altri segni convenzionali, ma intendiamo sposare la tesi dell’araldista Goffredo di Crollalanza dove, per il colore “al naturale”, dopo aver ricordato che si può porre sopra metallo e sopra colore indifferentemente, senza ledere la legge della sovrapposizione degli smalti, chiarisce che si esprime[xv] nei disegni lasciando in bianco il pezzo e ombreggiando la figura nei luoghi acconci.

Dello stesso avviso è stato anche l’insigne araldista arcivescovo mons. Bruno Bernard Heim, che negli stemmi pontificali dei Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo I da Lui ideati, in quelli riprodotti in bianco e nero, nel capo patriarcale di Venezia raffigura il leone marciano senza alcun segno convenzionale, alla presenza di un capo tra i più famosi e belli.

LE FIGURE

Gesù buon Pastore
La figura di Gesù buon Pastore risponde a un’aspirazione profonda dell’uomo antico. Gli ebrei vedevano in Dio il vero e proprio pastore che guida il suo popolo. Mosè, a sua volta, aveva ricevuto il compito di essere per il suo popolo pastore e guida. I Greci conoscevano l’immagine del pastore che sta in un grande giardino e porta una pecora sulle spalle. Il giardino ricorda il paradiso.

I Greci associano al pastore la loro nostalgia di un mondo puro, non corrotto. In molte culture, il pastore è una figura paterna, di padre accorto e premuroso nei confronti dei figli, un’immagine della sollecitudine paterna di Dio per gli uomini.

I primi cristiani fanno propria l’aspirazione di Israele e della Grecia. Gesù è, come Dio, il pastore che conduce il suo popolo alla vita. I cristiani di cultura ellenista associano la figura del buon pastore a quella dì Orfeo, il cantore divino. Il suo canto addomesticava le bestie feroci e risuscitava i morti. Orfeo è solitamente rappresentato all’interno di un paesaggio idillico, circondato da pecore e leoni.

Per i cristiani ellenisti Orfeo è una figura di Gesù. Gesù è il cantore divino, che con le sue parole rende pacifico ciò che di selvaggio, di feroce c’è in noi e fa rivivere ciò che è morto. Gesù, presentandosi nel vangelo di Giovanni come il buon pastore, realizza le immagini archetipiche dì salvezza racchiuse nell’animo umano sotto le immagini del pastore. Tale figura, nello scudo, proprio per la sua valenza, viene caricata nella positura principale.

Monogramma di Maria Ausiliatrice
Tale monogramma, MA, timbrato da una corona, il tutto d’oro, simboleggia Maria AUSILIATRICE, la Madonna di don Bosco. Dopo il nome di Gesù, non figura, infatti, nome più dolce, più potente, più consolante che quello di Maria; nome dinanzi a cui s’inchinano riverenti gli Angeli, la terra si allieta, l’inferno trema.

San Giovanni Bosco un giorno confidò ad uno dei suoi primi Salesiani, don Giovanni Cagliero, grande missionario in America Latina e futuro cardinale che la: “La Madonna vuole che la onoriamo sotto il titolo di Ausiliatrice”, aggiungendo che: “I tempi corrono così tristi che abbiamo bisogno che la Vergine Santa ci aiuti a conservare e difendere la fede cristiana”.

Tale titolo mariano, in verità, esisteva giù dal sec. XVI nelle Litanie lauretane e il papa Pio VII istituì la festa di Maria Ausiliatrice nel 1814 e la fissò per il 24 maggio, quale segno di ringraziamento, per il ritorno a Roma, in tal giorno, acclamato dal popolo, dopo l’esilio decretato da Napoleone. Ma é proprio grazie a don Bosco e alla costruzione del Santuario di Maria Ausiliatrice, in Torino Valdocco – voluto dalla stessa Madonna, che apparsa in una visione al Santo, indicò di voler essere onorata nel luogo esatto dove subirono la morte i primi martiri torinesi Avventore, Ottavio e Solutore, soldati cristiani della Legione Tebea – che il titolo di Ausiliatrice tornò attuale nella Chiesa. Don Lemoyne, segretario particolare del Santo, nella sua monumentale biografia scrive testualmente: “Ciò che appare chiaro e inconfutabile è che fra don Bosco e la Madonna c’era di sicuro un patto. Tutto il suo gigantesco lavoro fu fatto non solo in collaborazione, ma addirittura in associazione con la Vergine”.

Don Bosco, di conseguenza, raccomandava ai suoi Salesiani, di diffondere la devozione alla Madonna, con il titolo di Ausiliatrice, in qualunque parte del mondo si trovassero. Ma don Bosco non lasciava alla sola devozione spontanea il culto a Maria Ausiliatrice; le dava stabilità con un’Associazione che da Lei prendeva nome. I testimoni diretti hanno visto nell’Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice, una delle iniziative più care a don Bosco e di più vasta risonanza, dopo quella delle due congregazioni religiose (Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice) e dell’Associazione dei Cooperatori.

Infatti: “non è Don Bosco che ha scelto Maria; è Maria che, mandata dal suo Figlio, ha preso l’iniziativa di scegliere Don Bosco e di fondare per mezzo suo l’opera salesiana, che è opera sua, ‘affare suo’, per sempre”[xvi].

L’ancora
L’ancora ricorda, in primo luogo, che il cardinale Ángel FERNÁNDEZ ARTIME SdB, è figlio di un pescatore del mare di Spagna.

Doveroso ricordare, poi, che “Lo stemma salesiano risulta un condensato di stimoli essenziali per qualificare ogni vero figlio di don Bosco. San Giovanni Bosco volle rappresentate nello scudo anche le virtù teologali: per la Fede, la stella; per la Speranza, l’ancora e per la Carità, il cuore. Potrebbe sembrare assente, sempre nello stemma salesiano, l’imprescindibile presenza di Maria Ausiliatrice da cui – diceva don Bosco – tutto ciò che è salesiano deriva. Ma lo stesso fondatore, e tutti i primi confratelli, identificarono sempre ne simboli dell’ancora, della stella e del cuore, anche il riferimento a Gesù e a sua Madre; e questo è un altro aspetto della densità significativa che lo stemma racchiude”[xvii].

Infatti, la vita e l’azione del salesiano sono espressione: della sua fede, la stella raggiante, della sua speranza, la grande ancora e della sua carità pastorale, il cuore infiammato.

L’ancora, in araldica, invece, simboleggia la costanza[xviii]. “Strumento usato nella navigazione mediterranea, al quale già nell’antichità era attribuita importanza come simbolo del dio del mare. L’ancora prometteva stabilità e sicurezza e perciò divenne il simbolo di fede e speranza. Impiegata in un primo tempo nelle immagini sepolcrali precristiane come indicazione professionale e come contrassegno delle tombe di marinai, per la sua forma a croce, essa divenne nel protocristianesimo un simbolo mascherato della redenzione”[xix].

Come l’uomo, così il simbolo è anche ciò che è stato per essere autenticamente ciò che sarà.
Necessita quindi fare memoria e speranza di questa sorgente ricchissima e inesausta, a cui è possibile attingere ancora per il nostro oggi.

Giorgio ALDRIGHETTI

Blasonatura ed esegesi a cura dell’araldista Giorgio Aldrighetti di Chioggia (Venezia), socio ordinario dell’Istituto Araldico Genealogico Italiano. Miniature a cura dell’araldista Enzo Parrino di Monterotondo (Roma).


[i] Partizione araldica costituita da uno scudo diviso in tre sezioni, di due diversi smalti, ottenute da due linee curve che, dal punto di mezzo del lato superiore dello scudo, raggiungono i punti mediani dei due lembi laterali dello scudo. (L. Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, Milano 1997, p. 50. voce Cappato.

[ii] “È una figura riprodotta con il suo colore naturale (ossia come si presenta in natura) e non come uno smalto araldico (Ibidem, p. 18, voce al naturale).

[iii] “Sono tutte le diverse ornamentazioni esterne di uno stemma, poste al di sopra di uno scudo”. In questo caso. sul monogramma). (Ibidem, p: 203, voce timbro).

[iv] “Sono i ramponi dell’ancora”, (La Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, cit., p. 211, voce uncini).

[v] Cappello prelatizio, segno di dignità ecclesiastica, rappresentato con calotta emisferica e la tesa rotonda piana caratteristiche del galero, copricapo a larghe falde usato dal tardo medioevo fino a tempi recenti da cardinali e altri prelati. Usato come ornamento esterno non liturgico dello scudo. Assume colori diversi, ed è ornato di cordoni dai quali pendono uno o più fiocchi ordinariamente pendenti a piramide su ambio i lati; la dignità ed il ruolo rivestiti dal titolare si desumono dal loro numero e dagli smalti dell’insieme. (A. Cordero Lanza di Montezemolo-A. Pompili, Manuale di Araldica Ecclesiastica, cit., p. 116, voce Cappello prelatizio)

[vi] Gli eminentissimi e reverendissimi signori cardinali di Santa Romana Chiesa timbrano lo scudo – accollato ad una croce astile d’oro, trifogliata, posta in palo, se hanno la consacrazione episcopale – con il cappello, cordoni e nappe di rosso. I fiocchi in numero di trenta sono disposti quindici per parte, in cinque ordini di 1, 2, 3, 4, 5.

[vii] Jacques Le Goff, L’uomo medievale, Bari 1994, p. 34.

[viii] Catechismo della Chiesa Cattolica, Città del Vaticano 1999, p. 335.

[ix] A. Cordero Lanza di Montezemolo – A. Pompili, Manuale di Araldica Ecclesiastica, cit., p. 18.

[x] P. F. degli Uberti, Gli Stemmi Araldici dei Papi degli Anni Santi, Ed. Piemme, s. d

[xi] da L’Osservatore Romano, 31 marzo 1969.

[xii] L’araldista Sua Ecc.za Rev.ma mons. Bruno Bernard Heim per lo stemma patriarcale così recita: “I patriarchi ornano il loro scudo con un cappello di color verde dal quale scendono due cordoni pure verdi che terminano in quindici fiocchi verdi per ciascun lato”. (B. B. Heim, L’Araldica della Chiesa Cattolica, origini, usi, legislazione, Città del Vaticano 2000, p. 106.).

[xiii] G. Crollalanza (di), Enciclopedia araldico-cavalleresca, Pisa 1886, pp. 516-517, voce Rosso.

[xiv] L Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, Milano 1997, p. 18, voce al naturale.

[xv] A. Cordero Lanza di Montezemolo – A. Pompili, Manuale di Araldica Ecclesiastica, cit., p. 28, voce Al naturale.

[xvi] Cooperatori di Dio, Roma 1976-1977, Edizioni Cooperatori, p. 69

[xvii] G. Aldrighetti, Il bosco e le rose. Il nostro stemma. Bollettino Salesiano, dicembre 2018.

[xviii] L Caratti di Valfrei, Dizionario di Araldica, cit., p. 21, voce Ancora.

[xix] H. Biedermann, Enciclopedia dei simboli, Milano 1989, p.30, voce Ancora.




Desidero continuare a servire gli altri… in un modo diverso. LA MIA NOMINA A CARDINALE

Sento di condividere l’affermazione del 1884 del nostro santo fondatore: «Vedo sempre più quale glorioso avvenire è preparato alla nostra Società, l’estensione che avrà e il bene che potrà compiere».

Cari amici del carisma salesiano, giunga a ciascuno e a ciascuna di voi il mio sincero, fraterno e affettuoso saluto.
Mi è stato “suggerito” dal Bollettino Salesiano di preparare questo saluto non come altre volte, raccontando qualcosa di significativo che ho vissuto, ma parlando di me, di questa nuova realtà che mi aspetta. E ho sperimentato qualcosa che avevo studiato a proposito della persona del nostro padre Don Bosco. Per lui era difficile parlare di sé e ancor più difficile esprimere i propri sentimenti. Nel mio caso, devo ammettere che mi è un po’ difficile parlare o scrivere degli ultimi avvenimenti che mi sono capitati; ma ammetto che prima o poi devo farlo, e il messaggio del Bollettino Salesiano che arriva nelle mani e nei cuori di tanti amici del carisma di Don Bosco è un buon modo per mandare questo messaggio personale.
Dopo la notizia inaspettata (soprattutto per me), con la quale il Santo Padre Francesco ha annunciato anche il mio nome tra le 21 persone che ha scelto per essere “create” Cardinali della Chiesa nel prossimo Concistoro del 30 settembre, migliaia di persone si sono domandate, soprattutto tra i Salesiani di Don Bosco e i membri della famiglia salesiana nel mondo: e ora cosa accadrà? Chi accompagnerà la vita della Congregazione nel prossimo futuro? Quali passi la attendono? Potete ben capire che sono gli stessi interrogativi che anch’io mi sono posto, mentre ringraziavo con fede il Signore per questo dono che Papa Francesco ci ha fatto come Congregazione salesiana e come Famiglia di Don Bosco.
Con una lettura di fede, conoscendo le grandi cose che Dio ha fatto e ciò che sappiamo attraverso la sua Parola, si potrebbe dire che Dio ama le sorprese.  Di solito, nella Bibbia, Dio dice: “Parti! Il cammino si rivelerà».  Una cosa importante abbiamo imparato da don Bosco: niente ci turbi e fidiamoci della Provvidenza di Dio.
Sento di condividere l’affermazione del 1884 del nostro santo fondatore: «Vedo sempre più quale glorioso avvenire è preparato alla nostra Società, l’estensione che avrà e il bene che potrà compiere».
Ho potuto parlare personalmente con il Santo Padre, Papa Francesco, dopo l’annuncio dell’Angelus assicurandogli la mia disponibilità a contare su di me per qualsiasi servizio. Ho risposto come don Bosco quando gli fu chiesto di costruire il tempio del Sacro Cuore a Roma, nel suo caso un don Bosco anziano e malato, che sentiva anche il peso e la responsabilità di una Congregazione nascente: Don Bosco rispose: “Se questo è l’ordine del Papa, io obbedisco!”
Con semplicità, ho detto al Santo Padre che noi salesiani abbiamo imparato da don Bosco a essere sempre disponibili per il bene della Chiesa, e in particolare per qualsiasi cosa il Papa possa chiedere. Pertanto, mentre ringrazio Dio per questo dono che è di tutta la Congregazione e della Famiglia Salesiana, esprimo la mia gratitudine a Papa Francesco assicurando per lui, da parte di tutti i membri della nostra grande Famiglia, una più fervida e intensa preghiera. Preghiera che, come detto, sarà sempre accompagnata dal nostro sincero e profondo affetto.

Che cosa succederà adesso?
Devo condividere con voi che sono stato profondamente toccato dalla sensibilità del nostro Papa Francesco nel rendersi conto che il mio servizio come Rettor Maggiore non doveva cambiare immediatamente da un giorno all’altro. Per questo motivo, dopo circa mezz’ora dall’annuncio della nomina in occasione della preghiera dell’Angelus di domenica 9 luglio, il Santo Padre mi ha inviato una lettera in cui mi parlava del tempo necessario per prepararmi al Capitolo generale della nostra Congregazione prima di assumere quanto intende affidarmi. Come sempre il Santo Padre si è mostrato attento, cordiale, profondo estimatore del carisma di don Bosco e particolarmente affettuoso. Sentimenti che, a nome mio personale e di tutta la Famiglia salesiana, ho ricambiato.
Vorrei condividere con voi le disposizioni che il Santo Padre mi ha comunicato.
Il Papa ha ritenuto che, per il bene della nostra Congregazione, dopo il Concistoro del 30 settembre 2023 io possa continuare il mio servizio come Rettore Maggiore fino al 31 luglio 2024. Dopo tale data presenterò le mie dimissioni da Rettor Maggiore, come chiedono le nostre Costituzioni e Regolamenti, per assumere dalle mani del Santo Padre il servizio che mi affiderà.
Questo è quanto il Papa stesso mi ha comunicato. Potremo anticipare il 29° Capitolo generale di un anno, cioè nel febbraio 2025. Il mio Vicario, don Stefano Martoglio, assumerà il governo della Congregazione ad interim, come è stabilito nelle nostre Costituzioni fino alla celebrazione della CG29. Infine mi rimane da dire e da rispondere ad un altro interrogativo che molti di voi avranno: quale compito mi affiderà il Santo Padre? Papa Francesco non me l’ha ancora detto. Inoltre, con questo ampio margine di tempo ritengo che sia la cosa, più opportuna.
In ogni caso, chiedo a tutti voi, cari Confratelli e membri dei gruppi della nostra Famiglia Salesiana di continuare a intensificare la preghiera. Soprattutto per Papa Francesco. Lui stesso l’ha espressamente richiesta al termine dell’udienza privata a me concessa.
Chiedo, infine, anche di pregare per me, posto di fronte alla prospettiva di un nuovo servizio nella Chiesa che, come figlio di Don Bosco, accetto in filiale obbedienza, senza averlo cercato perché credo veramente che nella Chiesa, i servizi che svolgiamo non possono e non devono mai essere cercati o pretesi come se si trattasse di fare carriera personale. Ciò che è proprio del “mondo” per noi è improprio come servitori nel nome di Gesù. E noi dobbiamo differire (spero di molto) da alcuni standard del mondo. Da tutto questo mi è testimone il nostro amato Padre Don Bosco davanti al Signore Gesù.
Vi ringrazio per l’affetto, la vicinanza espressa in queste settimane con i numerosi messaggi che mi sono pervenuti da ogni parte del mondo.
Sento come rivolte a me le stesse espressioni che la Madonna disse a don Bosco nel sogno dei nove anni – di cui l’anno prossimo si celebrerà il secondo centenario: «A suo tempo tutto comprenderai». E sappiamo che per il nostro Padre ciò è effettivamente avvenuto quasi al termine della vita, davanti all’altare di Maria Ausiliatrice nella Basilica del Sacro Cuore di Gesù, che era stata consacrata il giorno prima, il 16 maggio 1887. Dalla Basilica di Maria Ausiliatrice vi invio un affettuoso e riconoscente saluto affidando tutti e ciascuno a Lei, la Madre, la quale continuerà ad accompagnarci e a sostenerci. Come sempre vi saluto con immenso affetto.




La GMG come esperienza sinodale di rinnovamento della Chiesa

Interrompere la vita di una città è sempre un atto straordinario. Riempire le strade di giovani provenienti da ogni angolo del mondo è un ricordo commovente. Una Giornata Mondiale della Gioventù è questo e molto di più.

L’organizzazione di una GMG richiede tantissime di ore di lavoro, mettendo a disposizione dei giovani, risorse di ogni tipo. Se porterà frutti spirituali in proporzione allo sforzo, ne sarà valsa la pena, il tutto per una ragione educativa, comunicativa ed evangelizzatrice: l’obiettivo di un evento come questo è quello di far conoscere Gesù Cristo a moltissimi giovani, e di riuscire a far capire loro che seguire Lui è un modo sicuro per trovare la felicità.

È ai giovani che dobbiamo guardare in questi giorni con particolare predilezione e scoprire il segreto di un fenomeno sorprendente: nel mondo dei giovani è in atto una “rivoluzione silenziosa”, il cui palcoscenico più grande sono le Giornate Mondiali della Gioventù. Giovani che sollevano domande tra i cristiani e non hanno paura di mostrarsi come tali, giovani che non vogliono essere intimiditi e tanto meno ingannati, giovani che portano l’entusiasmo e la passione per realizzare il cambiamento.

Questi incontri continuano a sorprendere sia all’interno sia all’esterno della Chiesa. E sono un’istantanea di una gioventù molto diversa da quella proposta da alcuni, assetata di valori, alla ricerca del significato più profondo della vita, con un desiderio di un mondo diverso da quello che abbiamo trovato al nostro arrivo.

Oggi, una percentuale significativa dei partecipanti alla GMG proviene da contesti familiari, sociali e culturali molto diversi. Molti di questi giovani pellegrini non hanno punti di riferimento cristiani nei loro contesti. In questo senso, la vita di molti di loro assomiglia al surf: non possono pretendere di cambiare l’onda, ma si adattano ad essa per dirigere la tavola dove vogliono che vada. Questi volti radiosi della Chiesa si svegliano ogni giorno con il desiderio di essere migliori seguaci di Gesù in mezzo ai loro familiari, amici e conoscenti.

I giovani hanno la forza di dare il meglio di sé, ma devono sapere che questo impegno è fattibile, hanno bisogno della complicità degli adulti, devono credere che questa lotta non sia sterile né destinata al fallimento. Per questo motivo, le giornate sono un modo per far sperimentare ai giovani la sinodalità, lo stile particolare che caratterizza la vita e la missione della Chiesa. L’appartenenza alla loro comunità ecclesiale locale implica l’appartenenza a una comunità molto più grande e universale. Una comunità in cui abbiamo bisogno che tutti, giovani e adulti, si “prendano carico del mondo”.

Per questo, è necessario coltivare alcune attitudini per questa nuova spiritualità sinodale. La GMG ci permette di:
– condividere le piccole storie degli altri, sperimentando il coraggio di parlare liberamente e di portare in tavola conversazioni profonde che vengono da dentro;
– imparare a crescere insieme agli altri e di apprezzare come ci stiamo aggiungendo a vicenda, anche se a “velocità” diverse (stili, età, visioni, culture, doni, carismi e ministeri nella Chiesa);
– prendersi cura degli “spazi verdi comunitari” per la nostra relazione con Dio, per occuparci della nostra connessione con la fonte della vita, con Colui che si prende cura di noi, per radicare la nostra fiducia e le nostre speranze in Lui, per scaricare le nostre preoccupazioni su di Lui, per essere in grado di “prendere in carico” la missione che Lui lascia nelle nostre mani;
– accettare e accogliere la nostra fragilità, che ci collega alla fragilità del nostro mondo e della madre Terra;
– essere una voce che si unisce a molte altre per denunciare gli eccessi che si stanno commettendo attualmente nei confronti del Pianeta e per intraprendere azioni comuni che contribuiscano alla nascita di una cittadinanza più responsabile ed ecologica;
– riorientare insieme i processi pastorali da una prospettiva più aperta e inclusiva, che ci renda pronti ad “andare incontro” a tutti i giovani dove si trovano, e rendere visibile e reale il desiderio di essere una “Chiesa in movimento” che si avvicini a credenti e non credenti, e che diventi una compagna di viaggio per coloro che lo desiderano o ne hanno bisogno.

In breve, una Chiesa sinodale che favorisca un cambiamento di cuore e di mente che ci permetta di affrontare la nostra missione in MODO GESÙ. Un invito a sentire dentro di noi il tocco e lo sguardo di Gesù che ci rende sempre nuovi.

Sito ufficiale del GMG 2023: https://www.lisboa2023.org
Sito saleisani al GMG 2023: https://wyddonbosco23.pt




Casa salesiana Tibidabo

Situata nella vetta più alta delle montagne di Collserola che offre una bella vista su Barcellona, la Casa salesiana Tibidabo ha una storia particolare, legata alla visita di don Bosco in Spagna, compiuta nel 1886.

Il nome della collina, “Tibidabo”, discende dal latino “Tibidabo”, che significa “ti darò”, e deriva da alcuni versetti della Sacra Scrittura: “… et dixit illi haec tibi omnia dabo si cadens adoraveris me”, “… e gli disse: Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” (Matteo 4,9). Questa frase viene pronunciata dal demonio a Gesù da una grande altezza, mostrandogli i regni della terra, cercando di tentarlo con le ricchezze di questo mondo.
Il vecchio nome della collina barcellonese era Puig de l’Àliga (Collina dell’Aquila). Il nuovo nome di “Tibidabo”, come altri nomi biblici (Valle di Hebron, il Monte Carmelo ecc.), è stato dato da alcuni religiosi che vivevano nella zona. La scelta di questo nuovo nome è stata fatta per la vista maestosa che offre sulla città di Barcellona, da un’altezza che dà la sensazione di dominare tutto.

Durante il suo viaggio in Spagna, don Bosco si recò nel pomeriggio del 5 maggio 1886, alla basilica di Nostra Signora della Misericordia, patrona della città di Barcellona, per ringraziarla dei favori ricevuti durante la sua visita alla città e per l’opera salesiana iniziata a Sarrià. Lì, alcuni signori delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli lo avvicinarono, gli diedero la proprietà di un terreno in cima al Tibidabo e lo pregarono di costruirvi un santuario del Sacro Cuore di Gesù. Gli chiesero questo favore “per mantenere salda e indistruttibile la religione che Lei ci ha predicato con tanto zelo ed esempio e che è l’eredità dei nostri padri”.

La reazione di don Bosco fu spontanea: “Sono confuso da questa nuova e inaspettata prova della sua religiosità e pietà. La ringrazio per questo; ma sappia che, in questo momento, lei è uno strumento della Provvidenza divina. Mentre lasciavo Torino per venire in Spagna, pensavo tra me e me: ora che la chiesa del Sacro Cuore a Roma è quasi terminata, dobbiamo studiare come promuovere sempre di più la devozione al Sacro Cuore di Gesù. E una voce interiore mi rassicurò che avrei trovato i mezzi per realizzare il mio desiderio. Questa voce mi ripeteva: Tibidabo, tibidabo (ti darò, ti darò). Sì, signori, voi siete gli strumenti della Divina Provvidenza. Con il vostro aiuto, presto sorgerà su questa montagna un santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù; lì tutti avranno la comodità di accostarsi ai santi Sacramenti, e la vostra carità e la fede di cui mi avete dato tante e così belle prove saranno sempre ricordate” (MB XVIII,114).

Il 3 di luglio dello stesso anno, 1886, l’ormai venerabile Dorotea de Chopitea, promotrice del lavoro salesiano a Barcellona e facilitatrice della visita di don Bosco alla città, finanziò la costruzione di una piccola cappella dedicata al Sacro Cuore sulla stessa collina.
Il progetto di costruzione del tempio subì un ritardo significativo, soprattutto a causa della comparsa di un nuovo progetto per la costruzione di un osservatorio astronomico sulla cima del Tibidabo, che alla fine fu costruito su una collina vicina (Osservatorio Fabra).
Nel 1902, fu posata la prima pietra della chiesa e nel 1911 fu inaugurata la cripta dell’attuale santuario del Tibidabo, alla presenza dell’allora Rettor Maggiore, don Paolo Albera. Alcuni giorni dopo l’inaugurazione, quest’ultimo fu nominato “Tempio Espiatorio e Nazionale del Sacro Cuore di Gesù” conforme a una decisione presa nell’ambito del XXII Congresso Eucaristico Internazionale, che si tenne a Madrid alla fine del mese di giugno del 1911. L’opera fu completata nel 1961 con l’erezione della statua del Sacro Cuore di Gesù, settantacinque anni dopo la visita di Giovanni Bosco a Barcellona. Nel 29 ottobre 1961, la chiesa ricevette il titolo di basilica minore, concesso da papa Giovanni XXIII.

Oggi, il tempio continua ad attirare un gran numero di pellegrini e visitatori da tutto il mondo. Accoglie cordialmente tutti coloro che vengono alla Basilica del Sacro Cuore di Gesù, per qualsiasi motivo, dando loro l’opportunità di ricevere il messaggio del Vangelo e di accostarsi ai sacramenti, in particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione. È allo stesso tempo una parrocchia affidata ai Salesiani, anche se ha pochi parrocchiani stabili.
Per coloro che sono venuti con l’intenzione di trascorrere un po’ di tempo in preghiera mette a disposizione anche i materiali offerti dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, di cui il Tempio è membro.
Si continua l’adorazione del Santissimo Sacramento durante il giorno, e si incoraggia la pratica dell’adorazione notturna.
E a coloro che voglio fare un ritiro, mette a disposizione alloggio e vitto all’interno della struttura salesiana.
Un’opera dedicata al Sacro Cuore di Gesù voluta dalla Provvidenza tramite san Giovanni Bosco, che continua la sua missione attraverso la storia.

don Joan Codina i Giol, sdb
direttore Tibibabo

Galleria foto – Casa salesiana al Tibidabo

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Benedizione della Cappella del Sacro Cuore, Tibidabo, 03.07.1886
Sentiero alla Cappella del Sacro Cuore, Tibidabo, 1902
Tempio Espiatorio del Sacro Cuore. Cripta nel 1911
Statua del Sacro Cuore al Tibidabo
Cupola dell'altare della cripta al Tibidabo
Dettaglio nella cupola dell'altare della cripta al Tibidabo. Don Bosco riceve la proprietà