Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (11/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Appendice di cose diverse

I. Antico uso della consacrazione delle chiese.

            Fabbricata che sia la chiesa, non si possono ivi cantare i divini uffizi, celebrarvi il santo sacrificio e le altre ecclesiastiche funzioni, se prima non venga benedetta o consacrata. Il vescovo colla molteplicità delle croci e colle aspersioni dell’acqua benedetta intende purgare e santificare il luogo cogli esorcismi contro ai maligni spiriti. Questa benedizione può eseguirsi dal vescovo o da un semplice sacerdote, ma colla diversità dei riti. Ove intervenga l’unzione del sagro crisma e dei santi olii la benedizione spetta al vescovo, e chiamasi solenne, reale e consecutiva perché ha il compimento di tutte le altre, e molto più perché la materia benedetta e consacrata non può convertirsi in uso profano; perciò rigorosamente dicesi consacrazione. Se poi in tali cerimonie si fanno solo alcune orazioni con riti e cerimonie analoghe, la funzione può essere eseguita da un sacerdote, e suole chiamarsi benedizione.
            La benedizione può essere fatta da qualunque sacerdote, colla licenza però dell’Ordinario, ma la consacrazione spetta al Papa, ed al solo vescovo. Il rito di consacrare le chiese è antichissimo non che pieno di gravi misteri, e G. Cristo ancor bambino ne santificò l’osservanza, mentre la sua capanna ed il presepio si cambiarono in tempio nell’offerta che fecero i Re Magi. La spelonca perciò divenne tempio, ed il presepio un altare. S. Cirillo ci avvisa che dagli apostoli fu consacrato in chiesa il cenacolo ove avevano ricevuto lo Spirito Santo, sala che raffigurò anche la Chiesa universale. Anzi secondo Niceforo Calisto, hist. lib. 2, cap. 33, fu tale la sollecitudine degli apostoli, che in ogni luogo ove predicavano il vangelo consacravano qualche chiesa od oratorio. Il Pontefice s. Clemente I, creato l’anno 93, successore non meno che discepolo di san Pietro, tra le altre sue ordinazioni decretò, che tutti i luoghi di orazione fossero a Dio consacrati. Certamente al tempo di s. Paolo le chiese erano consacrate, come vogliono alcuni dottori, scrivendo ai Corinti al c. III, aut Ecclesiam Dei contemnitis? S. Urbano I, eletto nell’anno 226, consacrò in chiesa la casa di santa Cecilia, come scrisse Burius in vita eius. S. Marcello I, creato l’anno 304, consacrò la chiesa di s. Lucina, come racconta il Papa s. Damaso. Vero è per altro che la solennità della pompa, con cui si compie oggidì la consacrazione, si aumentò in progresso di tempo, dopo che Costantino nel ridonare la pace alla Chiesa fabbricò sontuose basiliche. Anche i templi dei Gentili, già abitazione dei falsi numi, e nido di menzogna, si convertirono in chiese colla approvazione del pio imperatore, e furono consacrati colla santità delle venerande reliquie dei martiri. Laonde il Pontefice san Silvestro I a seconda delle prescrizioni dei suoi predecessori ne stabilì il rito solenne, il quale fu ampliato e confermato da altri Papi, massime da s. Felice III. Si rileva che s. Innocenzo I stabilì che le chiese non si consacrassero più di una volta. Il Pontefice s. Gio. I nel recarsi a Costantinopoli per le cose degli Ariani consacrò in cattoliche le chiese degli eretici, come si legge nel Bernini[1].

II. Spiegazione delle principali cerimonie che si usano nella consacrazione delle chiese.

            Lungo sarebbe descrivere le mistiche spiegazioni che i santi Padri e i Dottori danno ai riti e alle cerimonie della consacrazione della chiesa. Il Cecconi ne parla ai capi X e XI, ed il P. Galluzzi al capo IV, da cui ricaviamo compendiosamente quanto segue.
            I sacri Dottori pertanto non dubitarono di asserire, che la consacrazione della chiesa è una delle più grandi funzioni sacre ecclesiastiche, come si ricava dai sermoni dei santi Padri, e dai trattati liturgici dei più celebri autori dimostrando la eccellenza e nobiltà che racchiude sì bella funzione tutta diretta a far rispettare e venerare la casa di Dio. Si premettono le vigilie, i digiuni e le orazioni a fine di prepararsi agli esorcismi contro il demonio. Le reliquie rappresentano i nostri santi. E perché gli abbiamo sempre in mente e nel cuore si ripongono nella cassetta con tre grani di incenso. La scala per la quale ascende il vescovo all’unzione delle dodici croci ci ricorda che l’ultimo e primario nostro fine è il Paradiso. Le dette croci e le altrettante candele significano i dodici Apostoli, i dodici Patriarchi, e i dodici Profeti che sono la guida e le colonne della Chiesa.
            Inoltre nell’unzione delle dodici croci in altrettanti luoghi distribuite sulla muraglia consiste formalmente la consacrazione, e diconsi la chiesa e le sue mura consacrate, come nota s. Agostino, lib. 4, Contra Crescent. Si chiude la chiesa per figurare la celeste Sionne, ove non si entra se non purgali da ogni imperfezione, e colle diverse preghiere s’invoca l’aiuto dei santi, e il lume dello Spirito Santo. Il girare che fa tre volle il vescovo, in un col clero per la chiesa, si vuole alludere al giro che fecero i sacerdoti coll’arca intorno alle mura di Gerico, non perché cadano le mura della chiesa, ma perché venga fiaccata la superbia del demonio e la sua potenza mediante l’invocazione di Dio, ed alla replica delle sacre preghiere assai più efficaci delle trombe degli antichi sacerdoti o leviti. Le tre percosse che dà il vescovo colla punta del pastorale alla soglia della porta, ci dimostrano la potestà del Redentore sopra la sua Chiesa, non che la dignità sacerdotale che il vescovo esercita. L’alfabeto greco e latino figura l’antica unione dei due popoli prodotta dalla croce del medesimo Redentore; e lo scrivere che fa il vescovo colla punta del pastorale, significa la dottrina ed il ministero apostolico. La forma poi di questa scrittura indica la croce che deve essere l’ordinario e principale oggetto di ogni scienza dei cristiani fedeli. Significa inoltre la credenza e fede di Cristo passata dai Giudei ai Gentili, e da questi trasmessa a noi. Tutte le benedizioni sono ripiene di gravi significati, come lo sono tutte le cose che si adoperano nell’augusta funzione. Le sacre unzioni colle quali s’imbalsamo l’altare e le pareti della chiesa significano la grazia dello Spirito Santo, che non può arricchire il mistico tempio della nostra anima, se prima non è mondata dalle sue macchie. Termina la funzione colla benedizione secondo lo stile della santa Chiesa, la quale sempre incomincia le sue azioni colla benedizione di Dio, e con esse le termina, giacché tutto principia da Dio e in Dio finisce. Si compie col sacrificio non solo per eseguire il pontificio decreto di s. Igino, ma perché non è consacrazione compiuta ove colla Messa non si consuma interamente anche la vittima.
            Dall’imponenza del sacro rito, dall’eloquenza della sua mistica significazione, facilmente possiamo rilevare quanta importanza le attribuisca la santa Chiesa nostra madre e quindi quanta importanza dobbiamo darle noi. Ma ciò che deve accrescere la nostra venerazione verso la casa del Signore, è il vedere quanto questo rito sia fondato e informato dal vero spirito del Signore rivelato nell’Antico Testamento. Lo spirito che guida oggi la Chiesa a circondar di tanta venerazione, i templi del culto cattolico, è lo stesso che inspirava a Giacobbe di santificar coll’olio il luogo dove aveva avuta la visione della scala; è lo stesso che inspirava a Mosè ed a Davide, a Salomone ed a Giuda Maccabeo di onorar con riti speciali i luoghi destinati ai divini misteri. Oh quanto questa unione di spirito dell’uno e dell’altro Testamento, dell’una e l’altra Chiesa ci ammaestra e ci consola! Esso ci dimostra quanto gradisca Dio di essere adorato ed invocato nelle sue chiese, perciò quanto volentieri esaudisca le preghiere che in esse gli rivolgiamo. Quanto rispetto per un luogo, la profanazione del quale armò di flagello la mano di un Dio e lo cambiò di mansueto agnello in severo punitore!
            Accorriamo pertanto al sacro tempio, ma con frequenza, giacché quotidiano e il bisogno che abbiamo di Dio; interveniamovi, ma con fiducia e con religioso timore. Con fiducia, giacché vi troviamo un Padre pronto ad esaudirci, a moltiplicarci il pane delle sue grazie come già sul monte, ad abbracciarci come il figlio, prodigo, a consolarci come la Cananea, nei bisogni temporali come alle nozze di Cana, nei bisogni spirituali come sul Calvario; con timore, giacché quel Padre non cessa di esserci giudice, e se ha orecchi da sentire le nostre preghiere, ha pur occhi da vedere le nostre irriverenze, e se tace ora agnello paziente nel suo tabernacolo, parlerà con voce tremenda nel gran giorno del giudizio. Se lo offendiamo fuori di chiesa, ci resterà ancora la chiesa di scampo per averne il perdono; ma se lo offendiamo dentro la chiesa, dove andremo per essere perdonati?
            Nel tempio si placa la divina giustizia, si riceve la divina misericordia, suscepimus divinam misericordiam tuam in medio templi tui. Nel tempio Maria e Giuseppe trovarono Gesù quando lo ebbero smarrito, nel tempio lo troveremo noi se lo cercheremo con quello spirito di santa fiducia e di santo timore con cui lo cercarono Maria e Giuseppe.

Copia della inscrizione chiusa nella pietra angolare della chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice in Valdocco.

D. O. M.

UT VOLUNTATIS ET PIETATIS NOSTRAE
SOLEMNE TESTIMONIUM POSTERIS EXTARET
IN MARIAM AGUSTAM GENITRICEM
CHRISTIANI NOMINIS POTENTEM
TEMPLUM HOC AB INCHOATO EXTRUERE
DIVINA PROVIDENTIA UNICE FRETIS
IN ANIMO FUIT
QUINTA TANDEM CAL. MAI. AN. MDCCCLXV
DUM NOMEN CHRISTIANUM REGERET
SAPIENTIA AC FORTITUDINE
PIUS PAPA IX PONTIFEX MAXIMUS
ANGULAREM AEDIS LAPIDEM
IOAN. ANT. ODO EPISCOPUS SEGUSINORUM
DEUM PRECATUS AQUA LUSTRALI
RITE EXPIAVIT
ET AMADEUS ALLOBROGICUS V. EMM. II FILIUS
EAM PRIMUM IN LOCO SUO CONDIDIT
MAGNO APPARATU AC FREQUENTI CIVIUM CONCURSU
SALVE O VIRGO PARENS
VOLENS PROPITIA TUOS CLIENTES
MAIESTATI TUAE DEVOTOS
E SUPERIS PRAESENTI SOSPITES AUXILIO.

I. B. Francesia scripsit.

Traduzione.

A solenne testimonianza messo i posteri della nostra benevolenza e religione verso l’augusta Madre di Dio Maria Ausiliatrice abbiamo deliberato di edificare cotesto tempio dalle fondamenta addì XXVII aprile dell’anno MDCCCLXV governando la Chiesa Cattolica con sapienza e fortezza il Pontefice Massimo Pio IX secondo i riti religiosi si benedisse la pietra angolare della chiesa da Giovanni Antonio Odone vescovo di Susa ed Amedeo di Savoia figlio di Vittorio E. II la collocò per la prima volta a posto in mezzo a grande apparato e numeroso concorso di popolo. Salve, o Vergine Madre, soccorri benevola ai tuoi cultori alla tua maestà devoti e difendili dal cielo con efficace aiuto.

Inno letto nella solenne benedizione della pietra angolare.

Quando il cultor degli idoli
            Mosse a Gesù la guerra,
            Di quanti mila intrepidi
            S’insanguinò la terra!
            Da fiere lotte incolume
            Di Dio la Chiesa uscita
            Propaga ancor sua vita,
            Dall’uno all’altro mar.

E vanta pur suoi martiri
            Quest’umile vallea,
            Quivi fu morto Ottavio,
            Qui Solutor cadea.
            Bella immortal vittoria!
            Sulle sanguigne zolle
            Dei Martiri s’estolle
            Forse il divino altar.

E qui l’afflitto giovane
            Aprendo i suoi sospiri,
            Un refrigerio all’anima
            Trova nei suoi martiri;
            Qui la sprezzata vedova
            Dal cuor devoto e santo
            Depone l’umil pianto
            In seno al Re dei Re,

E a te che suoli vincere
            Più che non mille spade,
            A Te che vanti glorie
            In tutte le contrade,
            A Te potente ed umile
            Cui tutto il nome dice,
            MARIA AUSILIATRICE,
            Tempio innalziamo a Te.

Dunque, o pietosa Vergine,
            Si grande a’tuoi cultori,
            Sopra di loro in copia
            Deh! versa i tuoi favori.
            Già con pupilla tenera
            Il giovin PRENCE mira,
            Che a’tuoi allori aspira,
            Oh Madre al Redentor!

Egli di mente e d’indole,
            Di nobile sentire,
            A Te si dona, o Vergine,
            Degli anni in sul fiorire;
            Egli con vece assidua
            Ode a Te sacro carme,
            Ed or desia dell’arme
            Il solito fragor.

Ei di Amedeo la gloria,
            Le gran virtù d’Umberto
            Nutre nel cuor, e memora
            Il celestial lor serto;
            E dalle bianche nuvole,
            Dalle celesti squadre
            Della beata Madre
            Ascolta il pio parlar.

Caro e diletto Principe,
            Schiatta di santi eroi,
            Quale pensier benefico
            Ti mena qui fra noi?
            Uso alle aurate regie,
            Del mondo alto splendore
            Del miser lo squallore
            Degnasti visitar?

Bella speranza al popolo,
            In mezzo a cui tu vieni,
            Possa tuoi giorni vivere
            Calmi, dolci e sereni:
            Mai sul tuo capo giovane,
            Sull’alma tua secura
            Non strida la sventura,
            Non surga amaro dì.

Saggio e zelante Presule,
            E nobili Signori,
            Quanto all’Eterno piacciono
            I santi vostri ardori?
            Beata vita e placida
            Vive chi pel decoro
            Del Tempio il suo tesoro
            O l’opera largì.

O dolce e pio spettacolo!
            O giorno memorando!
            Giorno più bello e nobile,
            Qual mai si vide e quando?
            Ben mi favelli all’anima:
            Di questo ancor più bello
            Giorno fia certo quello
            Che il Tempio s’apra al ciel.

Nella difficil opera
            Benefici dorate,
            E presto giunti al termine,
            Con gioia in Dio posate;
            E allor sciogliendo fervido
            Sulla mia cetra un canto:
            Lode diremo al Santo
            Al Forte d’Israel.

(continua)


[1] Compendio delle eresie pag. 170. Sui templi dei gentili convertiti in chiese, vedasi il Butler Vite, novembre, p. 10.




Ricordare la predica

Una domenica, verso mezzogiorno, una giovane donna stava lavando l’insalata in cucina, quando le si avvicinò il marito che, per prenderla in giro, le chiese:
«Mi sapresti dire che cosa ha detto il parroco nella predica di questa mattina?».
«Non lo ricordo più», confessò la donna.
«Perché allora vai in chiesa a sentir prediche, se non le ricordi?».
«Vedi, caro: l’acqua lava la mia insalata e tuttavia non resta nel paniere; eppure la mia insalata è completamente lavata».

Non è importante prendere appunti. È importante lasciarsi «lavare» dalla Parola di Dio.




Che cos’è l’azione ordinaria del demonio e come contrastarla

La tentazione diabolica non produce le sue devastanti conseguenze se la nostra volontà umana, con l’aiuto di Dio, si impegna a resisterle. Noi, infatti, siamo liberi di accettare o di respingere le suggestioni del demonio. E Dio, da parte sua, tra i diversi aiuti, ci dà la possibilità di sapere distinguere quello che ci suggerisce Lui e quello che ci suggerisce il demonio.

La catechesi di Papa Francesco ci offre l’occasione per riflettere sull’azione ordinaria del demonio. Essa corrisponde alla tentazione e coinvolge tutti, nessuno escluso. L’azione straordinaria, come la vessazione o la possessione, certamente impressiona per le sue manifestazioni, ma è quella ordinaria l’azione diabolica più pericolosa perché vuole portarci alla definitiva ed assoluta prospettiva della sofferenza eterna. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica al n. 74 è chiaro: “Tutta l’opera dei demoni in mezzo agli uomini è tentare di associarli alla loro ribellione contro Dio”.

A questo fine, Satana e i demoni studiano a fondo i punti deboli di ciascuno di noi agendo con la tentazione sulla nostra sfera psichica con l’intento di alterare il giudizio del nostro intelletto ed ottenere il consenso della nostra volontà. Per tentarci, si servono di due potenti alleati: la “carne” e il “mondo”.

La carne è la nostra natura umana ferita dal peccato originale e che anche dopo il battesimo resta vulnerabile, perché inclinata al male da quella che il linguaggio tradizionale indica col termine concupiscenza. Il mondo non è semplicemente l’ambiente in cui viviamo o il genere umano in generale, ma, come scrive l’evangelista Giovanni, coloro che, con diversi gradi di consapevolezza, vivono separati da Dio, formando l’insieme di quanti, in effetti, servono il “principe di questo mondo”, cioè Satana, diffondendo il peccato nella società.
Come ha ricordato il Papa, il mondo, compresi i mezzi tecnologici creati e gestiti dall’uomo, ci presenta continuamente occasioni di peccato istigandoci a fare il contrario di quello che Gesù ci ha insegnato.

Ecco che allora il demonio, attraverso il mondo, ci propone come amabili e imitabili gli scandali e i cattivi esempi, gli spettacoli corrotti, i piaceri e divertimenti raffinati e immorali.

E allo stesso tempo semina discordie, scatena guerre, crea divisioni, confonde le menti anche attraverso ideologie rivestite di falso umanitarismo. Egli oggi utilizza i potenti mezzi di comunicazione sociale, media e social, per orientare e condizionare il pensiero dell’umanità contro Dio, separandola dal suo Amore.
Una tentazione con cui da sempre Satana insidia gli esseri umani, e che Papa Francesco ha indicato nella sua catechesi, è quella dell’esoterismo, dell’occultismo, della stregoneria e del satanismo. Satana si sforza di far credere agli uomini che mediante queste pratiche si possa ottenere elevazione spirituale, poteri straordinari, autorealizzazione e l’appagamento dei propri desideri e felicità. In realtà è esattamente il contrario.
L’uomo aderendo alla mentalità magica e alle pratiche occulte percorre la strada indicata da Satana, poiché cresce sempre più nel desiderio di voler diventare come Dio, facendo propria l’antica sfida degli angeli ribelli, giungendo a porsi illusoriamente al posto di Dio. La sua rovina a quel punto è inevitabile.
Concludendo, non va mai dimenticato che la tentazione diabolica non produce le sue devastanti conseguenze se la nostra volontà umana, con l’aiuto di Dio, si impegna a resisterle.

Noi, infatti, siamo liberi di accettare o di respingere le suggestioni del demonio.

E Dio, da parte sua, tra i diversi aiuti, ci dà la possibilità di sapere distinguere quello che ci suggerisce Lui e quello che ci suggerisce il demonio.
San Paolo nella lettera agli Efesini ci insegna come respingere il demonio: “Rivestitevi dell’armatura di Dio per poter resistere alle insidie del diavolo” (Ef 6, 11) e poi aggiunge “attingete forza dal Signore” (Ef 6, 10).
Dobbiamo essere vigilanti nella preghiera, assidui ai Sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia, intrattenendoci spesso con Gesù nell’adorazione eucaristica. In particolare, dobbiamo coltivare una vera devozione mariana, amando con amore di predilezione la preghiera del Rosario e, uniti alla Madonna, compiere bene il nostro dovere quotidiano in spirito di fede e d’amore verso tutti.
Se poi, per poca vigilanza o per altro, dovesse talvolta prevalere la tentazione e ci capitasse di cadere nel peccato, non dobbiamo perdere la speranza. Il Signore è sempre pronto a perdonare i suoi figli che, sinceramente pentiti, bussano alla porta della sua Misericordia. A tal fine ha istituito il sacramento della Confessione, che, lo ricordiamo, non serve solo a rimettere i peccati, ma è anche un mezzo per attuare quella conversione continua di cui abbiamo bisogno.

Padre Francesco Bamonte, Servo del Cuore Immacolato di Maria (I.C.S.M.)
esorcista e vicepresidente
dell’Associazione Internazionale Esorcisti (ex presidente per due mandati consecutivi dal 2012 al 2023), autore di vari libri.
Fonte: agensir.it, col permesso dell’autore.




Il serpente e il Rosario (1862)

I parte

            Il 20 agosto 1862 recitate le preghiere della sera D. Bosco, dopo dati alcuni avvisi spettanti l’ordine della casa, disse:

            – Voglio contarvi un mio sogno fatto poche notti sono. (Deve essere la notte che precedeva la festa dell’Assunzione di Maria SS.)
            Sognai di trovarmi con tutti i giovani a Castelnuovo d’Asti a casa di mio fratello. Mentre tutti facevano ricreazione, viene a me uno ch’io non sapeva chi fosse, e mi invita ad andar con lui. Lo seguii e mi menomai in un prato attiguo al cortile e là mi indicò fra l’erba un serpentaccio lungo sette od otto metri e di una grossezza straordinaria. Inorridii a tal vista e voleva fuggirmene:
            – No, no, mi disse quel tale; non fugga; venga qui e veda.
            – E come, risposi, vuoi che io osi avvicinarmi a quella bestiaccia? Non sai che è capace d’avventarmisi addosso e divorarmi in un istante?
            – Non abbia paura non le recherà alcun male; venga con me.
            – Ah! non son così pazzo di andarmi a gettare in tal pericolo.
            – Allora, continuò quello sconosciuto, si fermi qui! E poi andò a prendere una corda e con questa in mano ritornò presso di me e disse:
            – Prenda questa corda per un capo e lo tenga ben stretto fra le mani; io prenderà l’altro capo e andrò alla parte opposta e così sospenderemo la corda sul serpente.
            – E poi?
            – E poi gliela lasceremo cadere attraverso la schiena.
            – Ah! no, per carità! Perché, guai se noi faremo questo. Il serpe salterà su indispettito e ci farà a pezzi.
            – No, no; lasci fare da me.
            – Là, là! Io non voglio prendermi questa soddisfazione che può costarmi la vita. E già me ne voleva fuggire. Ma quel tale insistette di nuovo, mi assicurò che non avevo di che temere, che il serpe non mi avrebbe fatto male alcuno e tanto disse che io rimasi e acconsentii a far il suo volere. Egli intanto passò dall’altra parte del mostro, alzò la corda e poi con questa diede una sferzata sulla schiena del serpe. Il serpente fa un salto volgendo la testa indietro per mordere ciò che l’aveva percosso, ma invece di mordere la corda, resta da essa allacciato come in cappio corsoio. Allora mi gridò quell’uomo:
            – Tenga stretto, tenga stretto e non lasci sfuggire la corda. E corse ad un pero che era là vicino, e legò a quello il capo di corda che aveva tra le mani: corse quindi da me, mi tolse il mio capo di corda e andò a legarlo all’inferriata di una finestra della casa. Frattanto il serpente si dimenava, si dibatteva furiosamente e dava giù tali colpi in terra colla testa e colle immani sue spire, che si lacerava le sue carni e ne faceva saltare i pezzi a grande distanza. Così continuò finché ebbe vita; e morto che fu, più non rimase di lui che il solo scheletro spolpato.
            Morto il serpente, quel medesimo uomo slegò la corda dall’albero e dalla finestra, la trasse a sé, la raccolse, ne formò come un gomitolo e poi mi disse:
            – Stia attento neh! Così mise la corda in una cassetta che chiuse e poi dopo qualche istante aprì. I giovani erano accorsi attorno a me. Gettammo l’occhio dentro alla cassetta e fummo tutti stupiti. Quella corda si era disposta in modo che formava le parole Ave Maria!
            – Ma come vai ho detto. Tu hai messa quella corda nella cassetta così alla rinfusa ed ora è così ordinata.
            – Ecco, disse colui; il serpente figura il demonio, e la corda l’Ave Maria o piuttosto il Rosario che è una continuazione di Ave Maria, colla quale e colle quali si possono battere, vincere, distruggere tutti i demoni dell’inferno.
            Fin qui, concluse D. Bosco, è la prima parte del sogno. V’è n’è un’altra parte, la quale sarà, ancor più curiosa e interessante per tutti. Ma l’ora è già tarda e perciò differiremo a contarla domani a sera. Frattanto teniamo in considerazione ciò che disse quel mio amico riguardo all’Ave Maria ed al Rosario. Recitiamola devotamente ad ogni assalto di tentazione, sicuri di uscirne sempre vittoriosi. Buona notte!

            E qui domandiamo che ci si permettano alcuni commenti, giacché D. Bosco non diede su questa scena alcuna interpretazione.
            Il pero di cui si tratta nel sogno è quello stesso al quale D. Bosco fanciullo aveva tante volte attaccata una fune, assicurandone l’altra estremità ad un secondo albero poco distante, per intrattenere coi giuochi di ginnastica i conterrazzani e così obbligarli ad ascoltare i suoi catechismi. Questo pero ci pare di poterlo raffrontare con quella pianta, della quale si legge nel Cantico dei Cantici, al Capitolo II, versicolo 3. Sicut malus inter ligna silvarum, sic dilectus meus inter filios (Come un melo tra gli alberi del bosco, così l’amato mio tra i giovani, Cant. 2,3). Il Tirino e molti altri celebri commentatori della Sacra Scrittura, notano che il melo è qui posto per qualunque pianta che porti frutto. Simile pianta, che spande un’ombra gradita e salubre, è un simbolo di Gesù Cristo, della, sua croce, dalla virtù della quale viene l’efficacia della preghiera e la sicurezza della vittoria. Sarà questo il motivo pel quale un capo della corda, fatale al serpe, è primieramente assicurato al pero? E l’altra estremità annodata alle spranghe della finestra non può essere indizio che all’abitante di quella casa ed ai suoi figli era affidata la missione di propagare la pratica del Rosario.
            E D. Bosco da tempo l’aveva intesa.
            Egli ai Becchi ne aveva istituita la festa annuale; ogni giorno volle che ne fosse recitata una terza parte dagli alunni di tutte le sue case; e colle prediche e colle stampe cercò di rimetterne l’antica usanza nelle famiglie. Ei reputava essere il Rosario un’arma che avrebbe data la vittoria non solo agli individui, ma anche alla Chiesa. Perciò dai suoi discepoli furono poi pubblicate tutte le Encicliche di Leone XIII su questa preghiera così cara a Maria; e col Bollettino Salesiano caldeggiarono l’esecuzione dei voti del Vicario di Gesù Cristo.

Reverendissimo Padre (Don Rua),

Tornato a Roma dal Congresso Eucaristico di Napoli, apprendo con molto piacere che l’esortazione diretta ai Parroci nel Bollettino Salesiano incomincia a portare frutti. Rendo perciò le migliori grazie alla S. V. R.ma, e Le accerto che Ella ha fatto opera ben gradita al Santo Padre, il quale tanto desidera che si tengano vive le sue Encicliche sul Rosario, mediante l’erezione della Confraternita sotto lo stesso titolo.
Ai sentimenti di riconoscenza aggiungo per altro una preghiera; ed è che a quando a quando rinnovi con poche linee la memoria ai parroci e Rettori di Chiese, acciocché la dimenticanza non faccia loro perdere di vista la fondazione della Confraternita dei S. Rosario.
E Dio prosperi sempre la S. V. R.ma della quale rimango
Dev.mo Oss.mo Servo in G. Maria

Roma, Palazzo S. Uffizio, 27 novembre 1891.
                        † Fr. VINCENZO LEONE SALLUA, Comm. Gle.
Arcivescovo di Calcedonia.

II parte

            – Il domani 22 agosto, lo pregammo più volte a volerci raccontare se non in pubblico, almeno in privato quella parte di sogno che aveva taciuta. Non voleva accondiscendere. Dopo però molte suppliche si piegò e disse che alla sera avrebbe ancor parlato del sogno. Così fece. Dette le orazioni, incominciò:

            Dietro molte vostre istanze racconterò la seconda parte del sogno.
Se non tutta, almeno vi dirò quel tanto che potrò raccontarvi. Ma prima debbo premettere una condizione, cioè che nessuno scriva o dica fuori di casa quello che io racconterò. Parlatene tra di voi, ridetene, fatene tutto quel che volete, ma fra di voi soli.
            Mentre adunque io e quel personaggio parlavamo della corda, del serpente e dei loro significati, mi volgo indietro e vedo giovani che raccoglievano di quei pezzi di carne del serpente e mangiavano. Io allora gridai subito:
            – Ma che cosa fate? Pazzi che siete! Non sapete che quella carne è velenosa e vi farà molto male?
            – No, no, mi rispondevano i giovani: è tanto buona!
            Ma intanto, mangiato che avevano, cadevano in terra, gonfiavano e restavano duri come pietra. Io non sapeva darmi pace, perché non ostante quello spettacolo altri e altri giovani continuavano a mangiare. Io gridava all’uno, gridava all’altro; dava schiaffi a questo, pugni a quello, cercando di impedire che mangiassero: ma inutilmente. Qui uno cadeva, là un altro si metteva a mangiare. Allora chiamai i chierici in aiuto e dissi loro che si mettessero in mezzo ai giovani e si adoperassero in ogni modo perché più nessuno mangiasse di quella carne. Il mio ordine non ottenne l’effetto desiderato, che anzi alcuni degli stessi chierici si misero a mangiare le carni del serpe e caddero egualmente che gli altri. Io era fuori di me stesso, allorché vidi tutto intorno a me un gran numero di giovani distesi per terra in quello stato miserando.
            Mi rivolsi allora A quello sconosciuto e gli dissi:
            – Ma che cosa vuol dire ciò? Questi giovani conoscono che quella carne reca loro la morte, tuttavia la vogliono mangiare! E perché?
            Egli rispose: – Sai bene: che animalis homo non percipit ea quae Dei sunt. (l’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio, Cor 2,14)
            – Ma e ora non c’è più rimedio per riaver di nuovo questi giovani?
            – Sì che c’è
            – Quale sarebbe?
            – Non vi è altro che l’incudine ed il martello.
            – L’incudine? il martello? E che cosa fare di tali cose?
            – Bisogna sottoporre i giovani alle azioni di questi strumenti.
            – Come? Debbo forse io metterli su di un’incudine e poi batterli con un martello?
            Allora l’altro spiegando il suo pensiero, disse:
            – Ecco; il martello significa la confessione; l’incudine la S. Comunione: bisogna fare uso di questi due mezzi. Mi misi all’opera e trovai giovevolissimo questo rimedio, ma non per tutti. Moltissimi ritornavano in vita e guarivano, ma per alcuni il rimedio fu inutile. Questi sono coloro che non facevano buone confessioni.

            Come i giovani si furono ritirati nelle camerate, io chiesi privatamente a D. Bosco perché il suo ordine ai chierici, di impedire ai giovani che mangiassero le carni del serpe, non avesse ottenuto l’effetto desiderato. Mi rispose:
            – Non fui obbedito da tutti: anzi vidi alcuni degli stessi chierici, come ho già detto, a mangiare quelle carni”.
            Questi sogni in buona sostanza rappresentano la realtà della vita e colle parole e fatti di D. Bosco manifestano lo stato intimo di una, di cento comunità, ove in mezzo a preziosissime virtù si trovano non poche miserie. E non è da farne le meraviglie. Pur troppo che il vizio di sua natura si espande assai più che la virtù, quindi la necessità di una vigilanza continua.
            Qualcuno potrebbe osservare che sarebbe stato conveniente attenuare od anche omettere qualche descrizione troppo disgustosa, ma non è tale il nostro parere. Se la storia deve effettivamente adempiere al suo nobile ufficio di maestra della vita, essa deve descrivere la vita passata quale fu realmente, acciocché le future generazioni possano non solo trarre coraggio e fervore dalle virtù di quelli che li precedettero, ma al tempo stesso dai loro mancamenti ed errori imparino con quale prudenza debbano regolarsi. Una narrazione che rappresenti un lato solo della realtà storica non può condurre che ad un falso concetto. Errori e difetti altre volte commessi, quando non siano conosciuti o non riconosciuti come tali, torneranno ad essere commessi, senza emendazione. Una malintesa apologia, non giova nulla ai benevoli e non converte i mal disposti, potendo sola una franchezza illimitata generare credito e fiducia.
            Quindi noi per esporre tutto il nostro pensiero, diremo di vantaggio come D. Bosco avesse dato al sogno le spiegazioni più ovvie all’intelligenza de’ giovani, ma che però altre ne lasciava travedere di non minore importanza. Non le svelò perché forse in quel momento non li riguardavano. Infatti nei sogni lo vediamo tratteggiare non solo il presente, ma anche l’avvenire lontano, come in quello della Ruota e in altri che verremo esponendo. Ma intanto le carni imputridite di quel mostro non potrebbero indicare scandalo che fa perdere la fede, lettura di libri immorali, irreligiosi? Che cosa indica la disobbedienza al Superiore, la caduta, la gonfiezza, la durezza come di pietra, se non colpa, superbia, ostinazione, malizia?
            È il veleno che in loro ha trasfuso quel cibo maledetto, quel dragone descritto da Giobbe nel Capo XLI, che asseriscono i Santi Padri essere figura di Lucifero. Il versicolo 15° dice così: Il cuore di lui è duro come la pietra. E cosi diventa il cuore dei miseri avvelenati, ribelle e ostinato nel male. E quale sarà il rimedio a tale durezza? D. Bosco si esprime con un simbolo alquanto oscuro, ma che in sostanza indica un aiuto soprannaturale. A noi sembra che si possa spiegare così: Essere necessario che la grazia preveniente, ottenuta colla preghiera e coi sacrifici dei buoni, accenda i cuori induriti e li renda malleabili; che i due sacramenti, cioè il martello dell’umiltà e l’incudine dell’eucaristia sulla quale il ferro riceve una forma costante, artistica per essere poi temperato, possano esercitare la loro efficacia divina; che il martello che batte, e l’incudine che sostiene, concorrano insieme a compiere l’opera che nel nostro caso è la riforma di un cuore ulcerato, ma divenuto docile. Ed è allora che questo, circondato come da un nimbo di splendenti scintille, ritorna ad essere quel che era una volta.
            Espressa così la nostra idea, ripigliamo le cronache. Colla protezione di Maria SS., D. Bosco era sicuro nel sostenere e vincere gli urti del nemico infernale, e quindi preparava i suoi alunni alla festa della Natività della Madre di Dio. Il 29 agosto diede il primo fioretto e quindi altri cinque nelle sere successive. D. Bonetti li trascrisse.

            1° Tutti facciamo uno sforzo per passar questa novena senza commettere alcun peccato, né mortale né veniale.
            2° Dare un buon consiglio ad un amico.
            Egli la sera dopo lo diede pure a tutti in generale e disse che ci facessimo una generosa violenza per correggere i nostri cattivi abiti mentre siamo ancora giovani; e che avessimo coi superiori una grande confidenza, sia nelle cose dell’anima, sia anche nelle cose del corpo.
            3° Pensare se sia bene di fare una confessione generale, e ciò per quelli che non l’hanno ancor fatta; quelli che l’hanno già fatta procurino di recitare un atto di contrizione per tutti i peccati della vita passata.
            4° Ci raccontò quello che disse una volta Don Cafasso ad un brentatore, il quale gli aveva domandato qual cosa piacesse più alla Madonna. Interrogò egli il brentatore: – Quale è la cosa che molto piace alle madri?
            L’altro rispose:
            – Alle madri molto piace che si accarezzino i loro figli.
            – Bravo, riprese D. Cafasso; hai risposto bene. Se adunque vuoi fare una cosa molto gradevole alla Madonna, fa molte carezze al suo Divin figliuolo Gesù, prima col mezzo di una santa Comunione, quindi col tener lontano dal tuo cuore ogni sorta di peccato anche solo veniale. – Così disse D. Cafasso a quel tale e così io dico a voi tutti.
(MB VII, 238-239.242-245)




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (10/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Capo XIX. Mezzi con cui fu edificata questa Chiesa.
            Quelli che hanno parlato o udito a parlare di questo sacro edifizio avranno desiderio di sapere donde si sono ricavati i mezzi che in complesso superano già il mezzo milione. Io mi trovo in grave difficoltà di rispondere a me stesso, perciò meno in grado di soddisfare agli altri. Dirò adunque che i corpi legali diedero da principio belle speranze; ma in pratica giudicarono di non concorrere. Alcuni agiati cittadini scorgendo la necessità di questo edifizio, fecero promessa di vistose largizioni, ma per lo più cangiarono divisamento e giudicarono meglio di impiegare altrove la loro beneficenza.
            È vero che alcuni benestanti devoti avevano promesso oblazioni, ma a tempo opportuno, cioè avrebbero fatte oblazioni quando avessero avuto certezza dell’opera ed avessero veduti i lavori inoltrati.
            Coll’offerta del Santo Padre e di qualche altra pia persona si poté far acquisto del terreno e non altro; sicché quando si trattò di cominciare i lavori io non aveva un soldo da spendere a questo scopo. Qui da una parte vi era certezza che quell’edifizio era di maggior gloria di Dio, dall’altra contrastava l’assoluta mancanza di mezzi. Allora si conobbe chiaro che la Regina del Cielo voleva non i corpi morali, ma i corpi reali, cioè i veri devoti di Maria dovessero concorrere alla santa impresa, e Maria volle essa medesima porvi la mano e far conoscere che essendo opera sua Ella stessa voleva edificarla: Aedificavit sibi domum Maria.
            Io adunque intraprendo il racconto delle cose come sono succedute, e racconto coscienziosamente la verità, e mi raccomando al benevolo lettore di darmi benigno compatimento se trova qualche cosa che a lui non torni gradita. Ecco adunque. Gli scavi erano cominciati, e si avvicinava il giorno di quindicina quando appunto si dovevano pagare gli zappatori, e non si aveva danaro di sorta; quando un fortunato avvenimento apri una via inaspettata alla beneficenza. A motivo del sacro ministero fui chiamato al letto di persona gravemente inferma. Giaceva immobile da tre mesi, travagliata da tosse e febbre con grave sfinimento di stomaco. Se mai, ella prese a dire, potessi riacquistare un poco di sanità, sarei disposta a fare qualunque preghiera, qualunque sacrificio; sarebbe per me un gran favore se potessi anche solo alzarmi di letto.
            – Che cosa intenderebbe di fare?
            – Quanto mi dice.
            – Faccia una novena a Maria Ausiliatrice.
            – Che cosa dire?
            – Per nove giorni reciti tre Pater, Ave e Gloria al SS. Sacramento con tre SalveRegina alla Beata Vergine.
            – Questo lo farò; e quale opera di carità?
            – Se giudica bene e se otterrà un vero miglioramento alla sua sanità, farà qualche offerta per la chiesa di Maria Ausiliatrice che si sta cominciando in Valdocco.
            – Sì, sì: ben volentieri. Se nel corso di questa novena io otterrò solamente di potermi alzare di letto e fare alcuni passi per questa camera, farò un’offerta per la chiesa di cui mi parla ad onore della Santa Vergine Maria.
            Si cominciò la novena ed eravamo già all’ultimo giorno; io doveva dare in quella sera non meno di mille franchi ai terrazzieri. Vado pertanto a visitare la nostra ammalata, nella cui guarigione erano tutte le mie risorse, e non senza ansietà ed agitazione suono il campanello dell’abitazione di lei. La fantesca mi apre e con gioia mi annunzia che la sua padrona era perfettamente guarita, aveva già fatte due passeggiate ed era già andata in chiesa per ringraziare il Signore.
            Mentre la fantesca in fretta quelle cose raccontava, si avanza giubilante la stessa padrona dicendo: Io sono guarita, sono già andata a ringraziare la Madonna Santissima; venga, ecco il pacco che le ho preparato; è questa la prima offerta, ma non sarà certamente l’ultima. Prendo il pacco, vado a casa, lo verifico, e ci trovo cinquanta napoleoni d’oro, che formavano appunto i mille franchi di cui abbisognava.
            Questo fatto, primo di questo genere, io tenni gelosamente celato; nulladimeno si dilatò come scintilla elettrica. Altri e poi altri si raccomandarono a Maria Ausiliatrice facendo la novena e promettendo qualche oblazione se ottenevano la grazia implorata. E qui so io volessi esporre la moltitudine dei fatti, dovrei farne non un piccolo libretto, ma grossi volumi.
            Male di capo cessato, febbri vinte, piaghe ed ulceri cancrenose sanate, reumatismi cessati, convulsioni risanate, male d’occhi, di orecchi, di denti, di reni istantaneamente guariti; tali sono i mezzi di cui servissi la misericordia del Signore per somministrarci quanto era necessario a condurre a termine questa chiesa.
            Torino, Genova, Bologna, Napoli, ma più di ogni altra città, Milano, Firenze, Roma furono le città che, avendo in modo speciale provata la benefica influenza della Madre delle grazie invocata sotto al nome di aiuto dei cristiani, dimostrarono eziandio la loro gratitudine colle oblazioni. Anche più remoti paesi come Palermo, Vienna, Parigi, Londra e Berlino ricorsero colla solita preghiera e colla solita promessa a Maria Ausiliatrice. Non mi consta che alcuno sia ricorso invano. Un favore spirituale o temporale più o meno segnalato fu sempre il frutto della dimanda e del ricorso fatto alla pietosa Madre, al potente aiuto dei cristiani. Ricorsero, ottennero il celeste favore, fecero la loro offerta senza esserne in alcun modo richiesti.
            Se tu, o lettore, entrerai in questa chiesa, vedrai un pulpito per noi di elegante costruzione; è una persona gravemente inferma, che ne fa promessa a Maria Ausiliatrice; guarisce ed ha compiuto il suo voto. L’altare elegante della cappella a destra è di una matrona romana che lo offre a Maria per grazia ricevuta.
            Se gravi motivi, che ognuno può di leggeri supporre, non persuadessero differirne la pubblicazione, potrei dire paese e nome delle persone che da ogni parte fecero ricorso a Maria. Anzi si potrebbe asserire che ogni angolo, ogni mattone di questo sacro edifizio ricorda un benefizio, una grazia ottenuta da questa augusta Regina del cielo.
            Persona imparziale raccoglierà questi fatti, che a tempo opportuno serviranno a far conoscere alla posterità le meraviglie di Maria Ausiliatrice.
            In questi ultimi tempi la miseria facendosi in modo eccezionale sentire, noi pure andavamo rallentando i lavori per attendere tempi migliori alla continuazione dei medesimi; quando altri mezzi provvidenziali vennero in soccorso. Il colera morbus che infieriva tra noi e nei paesi confinanti commosse i cuori più insensibili e spregiudicati.
            Fra le altre una madre vedendo un suo unico figliuolo strozzato dalla violenza del male, lo invitò a fare ricorso a Maria SS. aiuto dei cristiani. Nell’eccesso del dolore egli profferì queste parole: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Col più vivo affetto del cuore la madre ripeté la medesima giaculatoria. In quel momento si mitigò la violenza del morbo, l’infermo diede in un copioso sudore a segno che in poche ore restò fuori di ogni pericolo, e quasi interamente guarito. La notizia di questo fatto si dilatò, altri e poi altri si raccomandarono con fede in Dio onnipotente e nella potenza di Maria Ausiliatrice con promessa di fare qualche offerta per continuare la costruzione della sua chiesa. Non si sa che alcuno abbia in questo modo ricorso a Maria senza essere stato esaudito. Avverandosi così il detto di s. Bernardo, che non si è mai udito al mondo che alcuno sia con fiducia ricorso invano a Maria. Mentre scrivo ricevo (maggio 1868) un’offerta con una relazione di persona di molta autorità, che mi annunzia come un paese intiero fu in modo straordinario liberato dall’infestazione del colera mercè la medaglia, il ricorso e la preghiera fatta a Maria Ausiliatrice. In questa guisa sopravvennero oblazioni da tutte parti, oblazioni, è vero, di piccola entità, ma che messe insieme bastarono al bisogno.
            Neppure è da passarsi sotto silenzio altro mezzo di beneficenza per questa chiesa, quale è l’offerta di una parte del profitto del commercio, o del frutto delle campagne. Molti, che da parecchi anni non ricavavano più alcun frutto dai bachi da seta e dalle vendemmie, promisero di dare il decimo del prodotto che ne avrebbero ricevuto. Ne furono straordinariamente favoriti; contenti perciò di mostrare alla loro celeste benefattrice speciali segni di gratitudine colle loro offerte.
            Così noi abbiamo condotto questo per noi maestoso edifizio con un dispendio sorprendente senza che alcuno abbia mai fatto questua di sorta. Chi lo crederebbe? Un sesto della spesa fu coperta con oblazioni di persone devote; il rimanente furono tutte oblazioni fatte per grazie ricevute.
            Ora vi sono ancora alcune note da saldare, alcuni lavori da ultimare, molti ornamenti e suppellettili da provvedere, ma abbiamo viva fiducia in questa augusta Regina del cielo, che non cesserà di benedire i suoi devoti e concedere loro grazie speciali, così che per divozione verso di lei e per gratitudine dei benefizi ricevuti continueranno a porgere la loro mano benefica per condurre la santa impresa al termine totale dei lavori. E così, come dice il supremo Gerarca della Chiesa, si accrescano i devoti di Maria sopra la terra e sia maggiore il numero dei fortunati suoi figli, che un giorno le faranno gloriosa corona nel regno dei cieli per lodarla, benedirla e ringraziarla in eterno.

Inno pel vespro della festa di Maria A.
Te Redemptoris, Dominique nostri
            Dicimus Matrem, speciosa virgo,
            Christianorum decus et levamen
                                    Rebus in arctis.
Saeviant portae licet inferorum,
            Hostis antiquus fremat, et minaces,
            Ut Deo sacrum populetur agmen,
                                    Suscitet iras.
Nil truces possunt furiae nocere
            Mentibus castis, prece, quas vocata
            Annuens Virgo fovet, et superno
                                    Robore firmat.
Tanta si nobis faveat Patrona
            Bellici cessat sceleris tumultus,
            Mille sternuntur, fugiuntque turmae,
                                    Mille cohortes.
Tollit ut sancta caput in Sione
            Turris, arx firmo fabricata muro,
            Civitas David, clypeis, et acri
                                    Milite tuta.
Virgo sic fortis Domini potenti
            Dextera, caeli cumulata donis,
            A piis longe famulis repellit
                                    Daemonis ictus.
Te per aeternos veneremur annos,
            Trinitas, summo celebrando plausu,
            Te fide mentes resonoque linguae
                                    Carmine laudent. Amen.

Inno pel vespro della festa di Maria A. – TRADUZIONE
Vergin Madre del Signore,
            Nostr’aïta e nostro vanto,
            Dalla valle ria del pianto
            T’imploriam con fede e amore.
Dalle porte dell’inferno
            Frema l’oste minacciando,
            Tu pietosa stai vegliando
            Con lo sguardo tuo superno.
Le sue furie scatenate
            Passeran senz’onte e danni,
            Se di casti cuor sui vanni
            Son le preci a Te innalzate.
Te Patrona, in ogni guerra
            Diventiam gli eroi del campo;
            Della tua possanza il lampo
            Mille schiere fuga e atterra.
Sei baluardo che circonda
            Di Sion le case sante;
            Di Davide sei la fionda
            Che percote il fier gigante.
Sei lo scudo che respinge
            Di Satanno il brando ignito,
            L’asta sei che il risospinge
            Nell’abisso dond’è uscito.
[…]

Inno per le lodi
Saepe dum Christi populus cruentis
            Hostis infensis premeretur armis,
            Venit adiutrix pia Virgo coelo
                                    Lapsa sereno.
Prisca sic Patrum monumenta narrant,
            Templa testantur spoliis opimis
            Clara, votivo repetita cultu
                                    Festa quotannis.
En novi grates liceat Mariae
            Cantici laetis modulis referre
            Pro novis donis, resonante plausu,
                                    Urbis et orbis.
O dies felix memoranda fastis,
            Qua Petri Sedes fidei Magistrum
            Triste post lustrum reducem beata
                                    Sorte recepit!
Virgines castae, puerique puri,
            Gestiens Clerus, populusque grato
            Corde Reginae celebrare caeli
                                    Munera certent.
Virginum Virgo, benedicta Iesu
            Mater, haec auge bona: fac, precamur,
            Ut gregem Pastor Pius ad salutis
                                    Pascua ducat.
Te per aeternos veneremur annos,
            Trinitas, summo celebrando plausu,
            Te fide mentes, resonoque linguae
                                    Carmine laudent. Amen.

Inno per le lodi – TRADUZIONE.
Quando il nemico acerrimo
            Ad assalir fu visto
            Con l’armi più terribili
            Il popolo di Cristo,
            Sovente alle difese
            Maria dal ciel discese.
Colonne altari e cupule
            Onuste di trofei,
            E riti e feste e cantici
            Fur dedicati a Lei.
            Oh quante le memorie
            Di tante sue vittorie!
Ma nuove grazie rendansi
            Ai nuovi suoi favori;
            Tutte le genti uniscansi
            Ed i superni cori
            In armonia divina
            Con la Città regina.
La Chiesa inconsolabile
            Rasserenato ha il ciglio;
            Il dì spuntò che reduce
            Da lungo tristo esiglio
            Di Pietro all’alma Sede
            Tornava il Sommo Erede.
Le vereconde giovani,
            I casti adolescenti
            Col Clero e con il popolo
            Cantin sì fausti eventi:
            Gareggino in omaggio
            D’affetti e di linguaggio.
O Vergin delle vergini,
            Madre del Dio di pace,
            Possa il Pastor dell’anime
            Col labbro sì verace
            E l’alta sua virtute
            Guidarci alla salute.
[…]

Teol. PAGNONE

(continua)




San Francesco di Sales catechista dei bambini

Formato secondo la dottrina cristiana fin dall’infanzia, nel suo ambiente familiare, poi nelle scuole, e infine a contatto con i gesuiti, Francesco di Sales aveva assimilato in modo perfetto i contenuti e il metodo della catechesi dell’epoca.

Una esperienza di catechismo a Thonon
            Come catechizzare la gioventù di Thonon cresciuta tutta impregnata di calvinismo, si chiedeva il missionario del Chiablese. I mezzi autoritari non erano necessariamente i più efficaci. Non era meglio attirare la gioventù e interessarla? Era il metodo seguito di solito dal prevosto di Sales durante tutto il tempo della missione nel Chiablese.
            Aveva pure tentato un’esperienza che merita di essere ricordata. Il 16 luglio 1596, approfittando della visita dei suoi due giovani fratelli, Jean-François di diciotto anni e Bernard di tredici anni, organizzò una specie di recitazione pubblica del catechismo allo scopo di attirare la gioventù di Thonon. Ne compose egli stesso un testo sotto forma di domande e risposte sulle verità fondamentali della fede, e invitò il fratello Bernard a rispondergli.
            Il metodo del catechista è interessante. Leggendo questo piccolo catechismo dialogato, occorre ricordare che non si tratta semplicemente di un testo scritto, bensì di un dialogo destinato a essere rappresentato davanti a un pubblico di giovani nella fattispecie di un «teatrino». La «rappresentazione» ebbe effettivamente luogo su un «palco», o podio, come soleva avvenire presso i gesuiti nel collegio di Clermont. In effetti, all’inizio si leggono delle indicazioni scenografiche:

Francesco, parlando per primo, dirà: Fratello mio, sei cristiano?
Bernard, posto vis-à-vis di Francesco, risponderà: Si, fratello mio, per grazia di Dio.

            Molto probabilmente l’autore aveva previsto l’uso di gesti per conferire maggiore vivacità alla recitazione. Alla domanda: «Quante cose devi conoscere per essere salvo?», la risposta recita: «Quante le dita della mano!», espressione che Bernardo dovette pronunciare con gesti, cioè indicando le cinque dita della mano: il pollice per la fede, l’indice per la speranza, il medio per la carità, l’anulare per i sacramenti, il mignolo per le buone opere. Parimenti, trattando delle diverse unzioni del battesimo, Bernard dovette portare la mano prima sul petto, per indicare che la prima unzione consiste «nell’essere abbracciati dall’amore di Dio»; poi sulle spalle, perché la seconda unzione è diretta a «renderci forti nel portare il peso dei comandamenti e dei precetti divini»; infine sulla fronte per rivelare che l’ultima unzione ha come scopo quello di «far in modo che confessiamo la fede in Nostro Signore pubblicamente, senza timore e senza vergogna».
            Grande importanza è data al «segno della croce», normalmente accompagnato dalla formula Nel nome del Padre con cui iniziava il catechismo, segno che col gesto della mano segue, sulle parti del corpo, un percorso inverso rispetto all’unzione battesimale: la fronte, il petto e le due spalle. Il segno della croce, doveva dire Bernard, è «il vero segno del cristiano», aggiungendovi che «il cristiano lo deve fare in tutte le sue preghiere e nelle azioni principali».
            Conviene anche notare che l’uso sistematico dei numeri serviva da mezzo mnemonico. In tal modo, infatti, il catechizzato impara che ci sono tre promesse battesimali (rinunciare al diavolo, professare la fede e osservare i comandamenti), dodici articoli del Credo, dieci comandamenti di Dio, tre tipi di cristiani  (eretici, cattivi cristiani e veri cristiani), quattro parti del corpo destinati a essere unti (il petto, le due spalle e la fronte), tre unzioni, cinque cose necessarie per essere salvi (fede, speranza, carità, sacramenti e buone opere), sette sacramenti e tre buone opere (preghiera, digiuno e elemosina).
            Se si esamina attentamente il contenuto di questo catechismo dialogato, è facile rilevarne l’insistenza su parecchi punti contestati dai protestanti. Il tono deciso di certe affermazioni richiama la vicinanza di Thonon a Ginevra e l’ardore polemico dell’epoca.
            Fin dagli inizi figura un’invocazione alla «benedetta Vergine Maria». In tema di osservanza dei dieci comandamenti si precisa che bisogna aggiungervi i precetti della «nostra santa Madre Chiesa». Nei tre tipi di cristiani, gli eretici sono coloro che «altro non hanno se non il nome», «essendo fuori della Chiesa cattolica, apostolica e romana». I sacramenti sono in numero di sette. I riti e le cerimonie della Chiesa non sono solo azioni simboliche, essi infatti producono nell’animo del credente un vero cambiamento dovuto all’efficacia della grazia. Si nota anche l’insistenza sulle «buone opere» per essere salvi e la pratica del «santo segno della Croce».
            Nonostante la «messa in scena» piuttosto eccezionale con la partecipazione del fratello più giovane, questo tipo di catechesi dovette ripetersi sovente e in forme abbastanza simili. Si sa, infatti, che l’apostolo del Chiablese «insegnava il catechismo, il più sovente possibile, in pubblico o in case particolari».

Il vescovo catechista
            Diventato vescovo di Ginevra, ma residente ad Annecy, Francesco di Sales insegnava di persona il catechismo ai fanciulli. Occorreva dare l’esempio ai canonici e ai parroci che esitavano ad abbassarsi a questo tipo di ministero: è noto, dirà un giorno, che «molti vogliono predicare, ma pochi fare il catechismo». Secondo un testimone, il vescovo «si prese la briga di insegnare di persona il catechismo per due anni nella città, senza essere aiutato da altri».
            Un testimone lo descrive assiso «su un piccolo teatro creato allo scopo, e, mentre di là interroga, ascolta, ammaestra non solamente il suo piccolo pubblico, ma anche tutti coloro che accorrono da ogni parte, accogliendoli con una spigliatezza e affabilità incredibili». La sua attenzione era concentrata sui rapporti personali da stabilire con i fanciulli: prima di interrogarli, «li chiamava tutti per nome, come se» ne «avesse in mano la lista».
            Per farsi capire usava un linguaggio semplice, ricavando a volte dalla vita di ogni giorno i paragoni più inattesi, come quello del cagnolino: «Quando veniamo al mondo come nasciamo? Nasciamo come i cagnolini, i quali, leccati dalla loro madre aprono gli occhi. Così, quando nasciamo, la nostra santa madre Chiesa ci apre gli occhi con il battesimo e la dottrina cristiana che ci insegna».
            Il vescovo preparò, con l’aiuto di qualche collaboratore, dei «biglietti» sui quali erano scritti i punti principali da imparare a memoria durante la settimana per saperli recitare la domenica. Ma come fare se i fanciulli non sapevano ancora leggere e le loro famiglie erano anch’esse formate da analfabeti? Era necessario contare sull’aiuto di persone benevole: parroci, viceparroci, maestri di scuola, che durante la settimana fossero disponibili a fare delle ripetizioni.
            Da buon educatore, anch’egli ripeteva sovente le stesse domande con le medesime spiegazioni. Quando il fanciullo sbagliava nella recita dei suoi biglietti o nella pronuncia di parole difficili, «sorrideva così gentilmente e, correggendone lo sbaglio, rimetteva in carreggiata l’interrogato in maniera così amabile da sembrare che se non avesse sbagliato, non avrebbe potuto pronunciarlo tanto bene; il che raddoppiava il coraggio dei piccoli e aumentava in maniera singolare la soddisfazione dei grandicelli».
            La tradizionale pedagogia dell’emulazione e della ricompensa aveva un suo ruolo negli interventi di questo ex-allievo dei gesuiti. Un testimone riferisce questa scenetta: «I piccoli correvano esultanti di gioia, facendo a gara, gli uni contro altri; andavano orgogliosi allorché potevano ricevere dalle mani del Beato qualche regaluccio come immaginette, medaglie, corone e agnus dei, che dava loro, quando avevano risposto bene, e anche carezze particolari che faceva loro per incoraggiarli a imparare bene il catechismo e a rispondere correttamente».
            Ora, questa catechesi ai fanciulli attirava gli adulti, e non soltanto i genitori, ma anche grandi personaggi, «dottori, presidenti di camera, consiglieri e maestri di camera, religiosi e superiori di monasteri». Tutti gli strati sociali erano rappresentati, «sia nobili, che ecclesiastici, che gente del popolo», e la folla era così ammassata che «non ci si poteva muovere». Si accorreva dalla città e dai dintorni.
            S’era quindi creato un movimento, una specie di fenomeno contagioso. Secondo alcuni, «non era più il catechismo dei fanciulli, ma l’istruzione pubblica dell’intero popolo». Il paragone con il movimento creato a Roma mezzo secolo prima dalle vivaci e gioiose assemblee di san Filippo Neri si affaccia spontaneamente alla memoria. Secondo l’espressione del padre Lajeunie, «l’Oratorio di san Filippo sembrava rinascere ad Annecy».
            Il vescovo non si accontentava di formule imparate a memoria, benché fosse lungi da lui deprezzare il ruolo della memoria. Insisteva perché i fanciulli sapessero quello che devono credere e comprendere l’insegnamento.
            Voleva soprattutto che la teoria appresa durante il catechismo diventasse pratica nella vita di ogni giorno. Come scrisse un suo biografo, «insegnava non soltanto ciò che occorre credere, ma persuadeva anche a vivere secondo ciò che si crede». Incoraggiava i suoi uditori di ogni età «ad accostarsi con frequenza ai sacramenti della confessione e della comunione», «insegnava loro personalmente la maniera di prepararsi convenientemente», e «spiegava i comandamenti del decalogo e della Chiesa, i peccati capitali, usando appropriati esempi, similitudini ed esortazioni tanto amorosamente coinvolgenti, che tutti si sentivano dolcemente forzati a fare il loro dovere e ad abbracciare la virtù loro insegnata».
            In ogni caso, il vescovo catechista era felicissimo di ciò che faceva. Quando si trovava in mezzo ai bambini, afferma un testimone, sembrava «essere tra le sue delizie». Uscendo da una di queste scuole di catechismo, nel periodo del carnevale, prese la penna per descriverla a Giovanna di Chantal:

Ho terminato or ora la scuola di catechismo, dove mi sono abbandonato un po’ all’allegria, mettendo alla berlina le maschere e i balli per far ridere l’uditorio; ero in un momento di buon umore, e un grande uditorio mi invitava coi suoi applausi a continuare a fare il bambino coi bambini. Mi si dice che, in questo, riesco bene, e io ci credo!

            Gli piaceva raccontare le belle espressioni dei fanciulli, talvolta strabilianti per la profondità. Nella lettera appena citata riferiva alla baronessa la risposta che gli era appena stata data alla domanda: Gesù Cristo è nostro? «Non bisogna dubitarne minimamente: Gesù Cristo è nostro», gli aveva risposto una bambina, la quale aggiungeva: «Sì, egli è più mio di quanto io sia sua e più di quanto sia mia io stessa».

San Francesco di Sales e il suo “piccolo mondo”
            Il clima familiare, cordiale e gaio che regnava al catechismo era un importante fattore di successo, favorito dalla naturale armonia esistente tra la limpida anima amante di Francesco e i fanciulli, che chiamava il suo «piccolo mondo», perché era riuscito a «conquistarne il cuore».
            Camminando per le strade, i fanciulli gli correvano davanti; lo si vide talvolta attorniato talmente da loro da non poter procedere oltre. Lungi dall’irritarsi, li accarezzava, si intratteneva con loro, chiedendo: «Tu di chi sei figlio? come ti chiami?».
            Secondo il suo biografo, un giorno avrebbe detto «che vorrebbe avere il piacere di vedere e considerare come lo spirito di un fanciullo si va poco a poco aprendo e espandendo».




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (9/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Capo XVII. Continuazione e termine dell’edifizio.

            Sembra che la santa Vergine abbia di fatto esaudita la preghiera fatta pubblicamente nella benedizione della pietra angolare. I lavori proseguirono colla massima celerità, e nel corso del 1865 l’edifizio fu condotto fino al tetto, coperto, compiuta la volta, ad eccezione del tratto compreso nella periferia della cupola. L’anno 1866 si compié la cupola, il cupolino, mentre ogni cosa venne coperta di rame stagnato.
            L’anno 1867 fu terminata la statua rappresentante Maria madre di misericordia in atto di benedire i suoi devoti. A piè della statua si trova questa iscrizione: Angela e Benedetto coniugi Chirio in ossequio a Maria Ausiliatrice FF. Queste parole ricordano i nomi dei benemeriti oblatori di questa statua che è di rame battuto. L’altezza è di circa quattro metri, sormontata da dodici stelle dorate che fanno corona sopra il capo della gloriosa Regina del cielo. Quando la statua venne collocata al suo posto era semplicemente bronzata: la qual cosa rilevava assai bene i lavori dell’arte, ma a qualche distanza diveniva appena visibile, laonde si giudicò bene di indorarla. Una pia persona già per molti titoli benemerita s’incaricò di quella spesa.
            Ora risplende luminosa, e a chi la guarda di lontano al momento che è battuta dai raggi del sole, sembra che parli e voglia dire:
            Io sono bella come la luna, eletta come il sole: Pulcra ut luna, electa ut sol. Io sono qui per accogliere le suppliche dei miei figli, per arricchire di grazie e di benedizioni quelli che mi amano. Ego in altissimis habito ut ditem diligentes me, et thesauros eorum repleam.
            Finiti i lavori di fregio e di ornamento della statua fu essa benedetta con una delle più devote solennità.
            Monsignor Riccardi nostro veneratissimo Arcivescovo assistito da tre canonici della Metropolitana e da molti Sacerdoti si compiacque di venire Egli stesso a fare quella sacra funzione. Dopo breve discorso diretto a dimostrare l’uso antico delle immagini presso al popolo Ebreo e nella Chiesa primitiva, si compartiva la benedizione col Venerabile.
            Coll’anno 1867 i lavori vennero quasi ultimati. Il rimanente dell’interno della chiesa fu fatto nei cinque primi mesi dell’anno corrente 1868.
            Sono pertanto cinque gli altari tutti di marmo lavorato con disegni e con fregi diversi. Per preziosità di marmi primeggia quello della cappella laterale a destra, che contiene verde antico, rosso di Spagna, alabastro orientale e della malachite. Le balaustre sono eziandio di marmo; i pavimenti ed i presbiteri sono l’atti in mosaico. Le pareti interne della chiesa furono semplicemente colorite senza pittura pel timore che la recente costruzione delle mura potesse contraffare la specie dei colori.
            Dalla prima base alla maggiore altezza sono metri 70; i basamenti, i legami, gli stillicidi, i cornicioni sono di granito. Nell’interno della chiesa e della cupola vi sono ringhiere in ferro per assicurare quelli che dovessero ivi eseguire qualche lavoro. Nell’esterno della cupola ve ne sono tre con una scala, se non molto comoda, certamente sicura per chi desiderasse salire fino al piedestallo della statua. Vi sono due campanili sormontati da due statue dell’altezza di due metri e mezzo caduno. Una di queste statue rappresenta l’Angelo Gabriele in atto di offrire una corona alla Santa Vergine; l’altro s. Michele che tiene una bandiera in mano, su cui è scritto in caratteri grossi: Lepanto. E ciò per ricordare la grande vittoria riportata dai Cristiani contro i Turchi presso Lepanto ad intercessione di Maria SS. Sopra uno dei campanili si trova un concerto in Mi bemolle di cinque campane che alcuni benemeriti devoti hanno promosso colle loro offerte. Sopra le campane sono incise parecchie immagini con analoghe iscrizioni. Una di queste campane è dedicata al supremo Gerarca della Chiesa Pio IX, un’altra a Mons. Riccardi nostro Arcivescovo.

Capo XVIII. Ancona maggiore. Dipinto di s. Giuseppe – Pulpito.

            Nella crociera a sinistra si trova l’altare dedicato a s. Giuseppe. Il quadro del santo è lavoro dell’artista Tomaso Lorenzone. La composizione è simbolica. Il Salvatore è presentato in età fanciullesca nell’atto che porge un canestro di fiori alla santa Vergine quasi dicendo: flores mei, flores honoris et honestatis. L’Augusta sua Madre dice di offrirlo a s. Giuseppe suo sposo, affinché per mano di esso siano regalati ai fedeli che a mani levate li stanno attendendo. I fiori figurano le grazie che Gesù offre a Maria, mentre essa ne costituisce s. Giuseppe assoluto dispensiere, come appunto lo saluta Santa Chiesa: constituit eum dominum domus suae.
            L’altezza del dipinto è di metri 4 per 2 di larghezza.
            Il pulpito è assai maestoso; il disegno è parimenti del cav. Antonio Spezia; la scultura con tutti gli altri lavori sono opera dei giovanetti dell’Oratorio di san Francesco di Sales. La materia è di noce lavorata e le tavole sono ben connesse. La posizione del medesimo è tale, che da qualunque angolo della chiesa si può vedere il predicatore.
            Ma il più glorioso monumento di questa chiesa è l’ancona ossia il gran dipinto che sovrasta all’altare maggiore in coro. Esso è parimenti lavoro del Lorenzone. La sua altezza è di oltre a sette metri per quattro. Si presenta allo sguardo come una comparsa di Maria Ausiliatrice nel modo seguente:
            La Vergine campeggia in un mare di luce e di maestà, assisa sopra di un trono di nubi. La copre un manto che è sostenuto da una schiera di Angeli, i quali facendole corona le porgono ossequio come loro Regina. Colla destra tiene lo scettro che è simbolo della sua potenza, quasi alludendo alle parole da Lei proferite nel santo Vangelo: Fecit mihi magna qui potens est. Colui, Dio, che è potente, fece a me cose grandi. Colla sinistra tiene il Bambino che ha le braccia aperte offrendo così le sue grazie e la sua misericordia a chi fa ricorso all’Augusta sua Genitrice. In capo ha il diadema ossia corona con cui è proclamata Regina del cielo e della terra. Da una parte superiore discende un raggio di luce celeste che dall’occhio di Dio va a posarsi sul capo di Maria. In esso sono scritte le parole: virtus altissimi obumbrabit tibi: la virtù dell’Altissimo Iddio ti adombrerà cioè ti coprirà e ti fortificherà.
            Dall’opposta parte superiore calano altri raggi dalla colomba, Spirito Santo, che vanno eziandio a posarsi sul capo di Maria con in mezzo le parole: Ave, gratia plena: Dio ti salvi, o Maria, tu sei piena di grazia. Questo fu il saluto fatto a Maria dall’Arcangelo Gabriele quando a nome di Dio le annunziò che doveva diventar Madre del Salvatore.
            Più in basso sono i santi Apostoli e gli Evangelisti s. Luca, s. Marco in figura alquanto maggiore del naturale. Essi trasportati da dolce estasi quasi esclamando: Regina Apostolorum, ora pro nobis, rimirano attoniti la Santa Vergine che loro appare maestosa sopra le nubi. Finalmente in fondo del dipinto si trova la città di Torino con altri devoti che ringraziano la S. Vergine dei benefizi ricevuti e la supplicano a continuare a mostrarsi madre di misericordia nei gravi pericoli della presente vita.
            In generale il lavoro è ben espresso, proporzionato, naturale; ma il pregio che non mai perderà è l’idea religiosa che genera una devota impressione nel cuore di chiunque la rimiri.

(continua)




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (8/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Capo XV. Divozione e progetto di una chiesa a Maria A. in Torino.

            Prima di parlare della chiesa eretta in Torino ad onore di Maria Ausiliatrice stimo bene di notare, come la divozione dei Torinesi verso di questa celeste Benefattrice rimonta ai primi tempi del cristianesimo. S. Massimo primo vescovo di questa città ne parla come di un fatto pubblico ed antico.
            Il santuario della Consolata è un meraviglioso monumento parlante di quanto diciamo. Ma dopo la vittoria di Lepanto i Torinesi furono dei primi ad invocare Maria sotto al titolo speciale di Ausiliatrice. Il cardinale Maurizio principe di Savoia ha grandemente promossa questa divozione, e sul principio del secolo decimosettimo fece costruire nella chiesa di s. Francesco di Paola una cappella con altare e con una bellissima statua dedicata a Maria Ausiliatrice, di marmo prezioso ed elegante. La Vergine è presentata tenente in mano il Divin Fanciullo.
            Questo principe era fervoroso devoto di Maria Ausiliatrice, e siccome vivendo faceva sovente l’offerta del cuore alla sua celeste Madre, così morendo lasciò per testamento che appunto il cuore, qual pegno più caro di sé stesso, fosse deposto in una cassa e collocato nel muro a destra dell’altare[1].
            Il tempo avendo logorato e resa questa cappella alquanto abbietta, il re Vittorio Emanuele II ordinò che ogni cosa fosse a sue spese ristorata.
            Così il pavimento, la predella, e lo stesso altare furono come rinnovati.
            Osservando i Torinesi il ricorso a Maria Ausiliatrice essere mezzo efficacissimo per ottenere grazie straordinarie, cominciarono ad aggregarsi alla Confraternita di Monaco in Baviera, ma pel numero stragrande dei confratelli fu instituita in questa medesima chiesa una Confraternita. Essa ebbe l’apostolica approvazione del Pontefice Pio VI, che con rescritto 9 febbraio 1798 concedeva molte indulgenze con altri favori spirituali.
            Così andava ognora più dilatandosi la divozione dei Torinesi all’augusta Madre del Salvatore, e ne provavano i più salutari effetti, quando fu ideato il progetto di una chiesa da dedicarsi appunto a Maria Ausiliatrice in Valdocco popolatissimo quartiere di questa città. Qui adunque abitano molte migliaia di cittadini senza chiesa di sorta fuori quella di Borgo Dora, la quale tuttavia non può contenere più di 1500 persone[2].
            In questo distretto esistevano le chiesette della Piccola Casa della divina Provvidenza e dell’Oratorio di s. Francesco di Sales, ma si l’una che l’altra appena bastavano al servizio delle rispettive loro comunità.
            Nel vivo desiderio pertanto di provvedere all’urgente bisogno degli abitanti di Valdocco, e dei molti giovani che nei di festivi vengono all’Oratorio dalle varie parti della città, e che non possono più contenersi nella chiesetta attuale, si deliberò di tentare la costruzione di una chiesa abbastanza capace per questo doppio scopo. Ma un motivo tutto speciale della costruzione di questa chiesa era un bisogno comunemente sentito di dare un segno pubblico di venerazione alla B. Vergine Maria, che con viscere di Madre veramente misericordiosa aveva protetto i nostri paesi scampandoci dai mali cui tanti altri soggiacquero.
            Due cose si presentavano davanti per dar mano alla pia impresa; il luogo dell’edifizio, il titolo sotto cui dovesse consacrarsi. Affinché si potessero secondare i disegni della Divina Provvidenza, questa chiesa doveva edificarsi nella via Cottolengo in sito spazioso, libero, nel centro di quella grande popolazione. Venne pertanto scelto un’area posta fra la detta via Cottolengo e l’Oratorio di s. Francesco di Sales.
            Mentre poi si stava deliberando intorno al titolo sotto cui porre il novello edifizio, un incidente sciolse ogni dubbio. Il sommo Pontefice il regnante Pio IX, cui nulla sfugge di quanto può tornare vantaggioso alla Religione, informato della necessità di una chiesa nel luogo sopra indicato, mandò la sua prima graziosa offerta di franchi 500, facendo sentire che Maria Ausiliatrice sarebbe stato un titolo certamente gradito all’augusta Regina del cielo. Accompagnava poi la caritatevole offerta con una speciale benedizione agli oblatori aggiungendo queste parole: “Questa tenue offerta abbia più potenti e generosi oblatori che cooperino a promuovere la gloria dell’augusta Madre di Dio in terra, e così si accresca il numero di quelli che un giorno le faranno gloriosa corona in cielo.”
            Stabilito così il luogo e il nome dell’edifizio, un benemerito ingegnere, cav. Antonio Spezia, ne concepì il disegno, lo sviluppò in forma di croce latina sopra una superficie di 1200 metri quadrati. In questo tratto di tempo nacquero non piccole difficoltà, ma la Santa Vergine, che voleva questo edifizio a sua maggior gloria, dileguò, o meglio allontanò tutti gli ostacoli che si presentavano allora e che più gravi ancora si sarebbero in appresso presentati. Laonde non si pensò più ad altro che a dar cominciamento al sospirato edifizio.

Capo XVI. Principio dell’edifizio e funzione della pietra fondamentale.

            Fatti gli scavi all’ordinaria profondità, eravamo in procinto di gettare giù le prime pietre, e la prima calce, quando ci siamo accorti che le fondamenta appoggiavano sopra terreno di alluvione e perciò inetto a sostenere le basi di un edifizio di quella fatta. Si dovettero perciò approfondare di più gli scavi, fare una forte e larga palificata corrispondente alla periferia della progettata costruzione.
            Il palificare e scavare a notabile profondità fu cagione di maggiori spese sia per l’aumento dei lavori, sia per la copia di materiali e di legnami che dovevano collocarsi sotto terra. Ciò nonostante i lavori furono alacremente continuati, e il 27 aprile 1865 si poterono benedire le fondamenta e porre la pietra angolare.
            Per comprendere il significato di questa funzione conviene osservare essere disciplina della Chiesa Cattolica che niuno debba incominciare la fabbrica di un sacro edifizio senza espressa licenza del vescovo, sotto la cui giurisdizione si ritrova il terreno che si vuole destinare a questo scopo. Aedificare ecclesiam nemo potest, nisi auctoritate dioecesani[3].
            Conosciuta la necessità della Chiesa e stabilitone il luogo, il vescovo in persona o per mezzo di un suo incaricato va a porre la pietra fondamentale. Questa pietra figura Gesù Cristo che nei libri santi è detto pietra angolare, ovvero il fondamento di ogni autorità, di ogni santità. Il vescovo poi con quell’atto indica che egli riconosce la sua autorità da Gesù Cristo, cui quell’edificio appartiene, e da cui deve dipendere ogni esercizio religioso che sia per farsi in avvenire in quella chiesa, mentre il vescovo ne prende possesso spirituale mettendo la pietra fondamentale.
            I fedeli della Chiesa primitiva, quando volevano fabbricare qualche chiesa, ne contrassegnavano prima il luogo colla croce per denotare che quel sito, destinandosi al culto del vero Dio, non poteva più servire ad uso profano.
            La benedizione poi si fa dal vescovo ad esempio di quanto fece il patriarca Giacobbe allora che in un deserto alzò una pietra sopra cui fece sacrificio al Signore: Lapis iste, quem erexi in titulum, vocabitur domus Dei.
            È pur bene qui di notare che ogni chiesa, ed ogni culto che in quella si esercita è sempre rivolto a Dio, cui ogni atto, ogni parola, ogni segno è dedicato e consacrato. Questo atto religioso si dice Latria ossia culto supremo, o servizio per eccellenza che si presta solamente a Dio. Le chiese si sogliono anche dedicare ai santi con un secondo culto che si dice Dulia, che vuol dire servizio prestato ai servi del Signore.
            Quando poi il culto è indirizzato alla Beata Vergine dicesi Iperdulia, vale a dire servizio sopra eminente a quello che si rende ai santi. Ma la gloria e l’onore che si tributano ai santi ed alla B. Vergine non si fermano in loro, ma per loro mezzo vanno a finire in Dio che è il termine delle nostre preghiere e delle nostre azioni. Quindi le chiese sono tutte consacrate primieramente a DioOttimo Massimo, poi alla B. Vergine; quindi a qualche santo a beneplacito dei fedeli. Così leggiamo che s. Marco Evangelista in Alessandria d’Egitto consacrò una chiesa a Dio ed al suo maestro s. Pietro apostolo[4].
            Conviene eziandio osservare intorno a queste funzioni, che talvolta il vescovo benedice la pietra angolare e qualche distinto personaggio la depone al suo posto, e mette sopra la prima calce. Così abbiamo dalla storia che il Sommo Pontefice Innocenzo X nell’anno 1652 benedisse la pietra fondamentale della chiesa di s. Agnese in Piazza Navona, mentre il principe Pamfili Duca di Carpinete la depose giù nelle fondamenta.
            Così nel nostro caso Mons. Odone di felice memoria vescovo di Susa era incaricato di fare la funzione religiosa mentre il Principe Amedeo di Savoia collocava a suo posto la pietra angolare, e vi metteva sopra la prima calce.
            Pertanto il giorno 27 aprile 1865, alle due di sera si cominciò la religiosa funzione. Il tempo era sereno, una moltitudine di gente, la prima nobiltà torinese ed anche non torinese era intervenuta. I giovanetti appartenenti alla casa di Mirabello in quella occasione erano venuti a formare coi loro compagni torinesi una specie di esercito.
            Il venerando Prelato dopo le preci e i salmi prescritti asperse con acqua lustrale le fondamenta del disegnato edifizio, di poi si portò presso al pilastro della cupola nel lato del Vangelo, il quale sorgeva già al livello dell’attuale pavimento. Qui fu redatto un verbale di quanto si faceva, e si lesse ad alta voce nel tenore seguente:
            “L’anno del Signore mille ottocento sessantacinque, il ventisette aprile, ore due di sera; l’anno decimonono del Pontificato di Pio IX, dei Conti Mastai Ferretti felicemente regnante; l’anno decimosettimo di Vittorio Emanuele II; essendo vacante la sede arcivescovile di Torino per la morte di Monsignor Luigi dei Marchesi Franzoni, Vicario Capitolare il Teologo Collegiato Giuseppe Zappata; curato della Parrocchia di Borgo Dora il Teologo Cattino Cav. Agostino; direttore dell’Oratorio di san Francesco il sacerdote Bosco Giovanni; alla presenza di S. A. R. il Principe Amedeo di Savoia, Duca d’Aosta; del conte Costantino Radicati Prefetto di Torino; della Giunta Municipale rappresentata dal Sindaco di questa città Lucerna di Rorà marchese Emanuele, e dalla Commissione promotrice di questa chiesa[5] da dedicarsi a Dio OttimoMassimo ed a Maria Ausiliatrice, Monsignor Odone G. Antonio vescovo di Susa, avuta l’opportuna facoltà dall’Ordinario di questa Archidiocesi, ha proceduto alla benedizione delle fondamenta di questa chiesa e collocazione della pietra angolare della medesima nel pilastro grande della cupola nel lato del Vangelo dell’altare maggiore. In questa pietra sono state chiuse alcune monete di metallo e di valore diverso, alcune medaglie portanti l’effigie del Sommo Pontefice Pio IX e del nostro Sovrano, una iscrizione in latino che ricorda l’oggetto di questa sacra funzione. Il benemerito ingegnere architetto cav. Spezia Antonio, il quale ne concepì il disegno e con spirito cristiano prestò e presta tuttora l’opera sua nella direzione dei lavori.
            La forma della chiesa è di croce latina, della superficie di mille duecento metri; motivo di questa costruzione è la mancanza di chiese fra i fedeli di Valdocco, e per dare un pubblico attestato di gratitudine alla gran Madre di Dio pei grandi benefizi ricevuti, per quelli che in maggior copia si attendono da questa celeste Benefattrice. L’opera fu cominciata, e si spera che sarà condotta a felice termine colla carità dei devoti.
            Gli abitanti di questo Borgo di Valdocco, i Torinesi ed altri fedeli da Maria beneficati, riuniti ora in questo benedetto recinto, mandano unanimi al Signore Iddio, alla Vergine Maria, aiuto dei cristiani, una fervida preghiera per ottenere dal cielo copiose benedizioni sopra i Torinesi sopra i cristiani di tutto il mondo, e in modo particolare sopra il Capo supremo della Chiesa cattolica, promotore ed insigne benefattore di questo sacro edifizio, sopra tutte le autorità ecclesiastiche, sopra l’augusto nostro Sovrano, e sopra tutta la reale Famiglia, e specialmente sopra S. A. R. il Principe Amedeo, che accettando l’umile invito diede un segno di venerazione alla gran Madre di Dio. L’augusta Regina del Cielo assicuri un posto nella eterna beatitudine a tutti quelli che hanno dato o daranno opera a condurre a termine questo sacro edifizio, o in qualche altro modo contribuiranno ad accrescere il culto e la gloria di Lei sopra la terra.”
            Letto ed approvato questo verbale, fu sottoscritto da tutti quelli che furono sopra nominati e dai più illustri personaggi che si trovano presenti. Di poi fu piegato e fasciato col disegno della chiesa e con qualche altro scritto, e riposto in un vaso di vetro appositamente preparato. Chiuso questo ermeticamente venne collocato nel cavo fatto in mezzo alla pietra fondamentale. Benedetta ogni cosa dal vescovo, fu sopra posta altra pietra, e il Principe Amedeo vi pose la prima calce. Dopo i muratori continuarono il loro lavoro fino all’altezza di oltre un metro di costruzione.
            Compiuti ancora gli altri riti religiosi, i prelodati personaggi visitarono lo stabilimento, di poi assistettero ad una rappresentazione dei giovani stessi. Loro si lessero varie poesie di opportunità, si eseguirono diversi pezzi di musica vocale e strumentale con un dialogo, in cui si dava un cenno storico sulla solennità del giorno[6].
            Terminato il piacevole trattenimento chiudeva la giornata una devota azione di grazie al Signore colla benedizione del SS. Sacramento. S. A. R. col suo corteggio lasciavano l’Oratorio alle ore 5 1/2 mostrandosi ognuno pienamente soddisfatto.
            L’Augusto Principe fra gli altri segni di gradimento offrì la graziosa somma di fr. 500 della sua cassetta particolare, e regalò gli attrezzi di sua ginnastica ai giovani di questo stabilimento. Poco dopo l’ingegnere era decorato della croce dei santi Maurizio e Lazzaro.

(continua)


[1] Alla morte di quel principe, il conte Tesauro fece la seguente epigrafe, che venne scolpita nel pavimento dell’altare.
D. O. M.
SERENISSIMIS PRINCEPS MAURITIUS SABAUDIAE
MELIOREM SUI PARTEM
COR
QUOD VIVENS
SUMMAE REGINAE COELORUM LITAVERAT
MORIENS CONSECRAVIT
HICQUE AD MINIMOS QUOS CORDE DILIGERAT
APPONI VOLUIT
CLAUSIT ULTIMUM DIEM
QUINTO NONAS OCTOBRIS MDCLVII.

[2] Questo quartiere si chiama Valdocco dalle iniziali Val. Oc. Vallis Occisorum ossia valle degli uccisi, perché essa fu innaffiata dal sangue dei santi Avventore ed Ottavio, i quali qui riportarono la palma del martirio.

Dalla chiesa parrocchiale di Borgo Dora tirando una linea fino alla chiesa della Consolata ed a quella di Borgo s. Donato; di poi volgendo alla regia fucina delle canne sino al fiume Dora, avvi uno spazio coperto di case, ove hanno stanza oltre a 35,000 abitanti, tra cui non esisteva alcuna pubblica chiesa.

[3] Concilio Aurelian. dist. l, De consacr.

[4] Vedi Moroni, articolo Chiese.

[5] Membri della commissione promotrice della lotteria per questa chiesa.

LUCERNA DI RORA’ March. Emanuele Sindaco della città di Torino Presidente onorario

SCARAMPI DI PRUNEY March. LODOVICO Presidente

FASSATI March. DOMENICO V. Presidente

MORIS Comm. GIUSEPPE Consigliere Municipale V. Presidente

GRIBAUDI sig. GIOVANNI Dott. in Medicina e Chirurgia. Segretario

OREGLIA DI S. STEFANO Cav. FEDERICO Segretario

COTTA Commendatore GIUSEPPE Senatore del Regno Cassiere

ANZINO Teol. Can. VALERIO Cappellano di Sua Maestà

BERTONE DI SAMBUY Conte ERNESTO Direttore dell’esposizione

BOGGIO Bar. GIUSEPPE Direttore dell’esposizione

BOSCO DI RUFFINO Cav. ALERAMO

BONA COMRNEN. Direttore generale delle ferrovie meridionali

BOSCO sac. GIOVANNI Direttore degli Oratorii

CAYS DI GILEITA Conte CARLO Direttore dell’esposizione

DUPRA’ Cav. GIO. Batt. Ragioniere alla Camera dei Conti

DUPRÈ Cav. GIUSEPPE Consigliere Municipale

FENOGLIO Commendatore PIETRO Economo generale

FERRARI DI CASTELNUOVO March. EVASIO

GIRIODI Cav. CARLO Direttore dell’esposizione

MINELLA sac. VINCENZO Direttore dell’esposizione

PERNATI DI MOMO Cav. Comm. Ministro di Stato, Senatore del Regno

PATERI Cav. ILARIO Prof. e Consigliere Municipale

PROVANA DI COLLEGNO Conte ed Avvocato ALESSANDRO

RADICATI Conte COSTANTINO Prefetto

REBAUDENGO Comm. Gio. Segretario Generale del Ministro della Casa Reale

SCARAMPI DI VILLANUOVA Cav. CLEMENTE Direttore dell’esposizione

SOLARO DELLA MARGHERITA Conte ALBERTO

SPERINO Comm. CASIMIRO Dottore in Medicina e Chirurgia

UCCELLETTI sig. CARLO Direttore dell’esposizione

VOGLIOTTI Cav. ALESSANDRO Can. Teol. Pro-Vicario Generale

VILLA DI MOMPASCALE Conte GIUSEPPE Direttore dell’esposizione

VIRETTI sig. Avvocato MAURIZIO Direttore dell’esposizione

[6] Una delle poesie col dialogo e colla iscrizione si possono leggere nell’Appendice posta in fine del libretto.




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (7/13)

(continuazione dall’articolo precedente)

Capo XIII. Istituzione della festa di Maria aiuto dei cristiani
            Il modo meraviglioso con cui Pio VII fu liberato dalla sua prigionia è il grande avvenimento che ha dato occasione alla istituzione della festa di Maria aiuto dei cristiani.
            L’Imperatore Napoleone I aveva già in più guise oppresso il sommo Pontefice, spogliandolo dei suoi beni, disperdendo Cardinali, Vescovi, Preti e Frati, privandoli parimenti dei loro beni. Dopo ciò Napoleone chiedeva al Papa cose che egli non poteva concedere. Al rifiuto di Pio VII l’Imperatore rispose colla violenza e col sacrilegio. Il Papa venne arrestato nel proprio palazzo e col Cardinal Pacca suo segretario tradotto in viaggio forzato a Savona dove il perseguitato, ma sempre glorioso Pontefice, passò oltre a cinque anni in severa prigionia. Ma siccome dove c’è il Papa là vi è il Capo della religione e quindi il concorso di tutti i veri cattolici, così Savona divenne in certo modo un’altra Roma. Tante dimostrazioni di affetto mossero ad invidia l’Imperatore, che voleva umiliato il Vicario di Gesù Cristo; e perciò comandò che il Pontefice fosse traslocato a Fontainebleau, che è un castello non molto distante da Parigi.
            Mentre il Capo della Chiesa gemeva prigioniero separato dai suoi consiglieri ed amici, ai cristiani altro più non rimaneva che imitar i fedeli della Chiesa primitiva quando s. Pietro era in prigione, pregare. Pregava il venerando Pontefice e con lui pregavano tutti i Cattolici implorando l’aiuto di Colei che è detta: Magnum in Ecclesia praesidium: Grande presidio nella Chiesa. Si crede comunemente che il Pontefice abbia promesso alla Santa Vergine di instituire una festa per onorare l’Augusto titolo di Maria aiuto dei Cristiani, qualora egli avesse potuto ritornare a Roma sul trono Pontificio. Intanto tutto sorrideva al terribile conquistatore. Dopo aver fatto risuonare il temuto suo nome in tutta la terra camminando di vittoria in vittoria aveva portate le sue armi nelle regioni più fredde della Russia, credendo trovare colà nuovi trionfi; ma la divina Provvidenza invece gli aveva preparato disastri e sconfitte.
            Maria mossa a pietà dai gemiti del Vicario di Gesù Cristo e dalle preghiere dei suoi figliuoli cangiò in un momento le sorti d’Europa e di tutto il mondo.
            Il rigor dell’inverno nella Russia e l’infedeltà di molti generali francesi delusero tutte le speranze di Napoleone. La maggior parte di quel formidabile esercito perì assiderato dal gelo o sepolto nella neve. Le poche truppe risparmiate dai rigori del freddo abbandonarono l’Imperatore ed egli dovette fuggire, ritirarsi a Parigi e consegnarsi nelle mani degli Inglesi, che lo tradussero prigioniero nell’isola d’Elba. Allora la giustizia poté fare di nuovo il suo corso; il Pontefice venne tosto messo in libertà; Roma l’accolse col massimo entusiasmo, e il Capo della Cristianità fatto libero e indipendente poté ripigliare l’amministrazione della Chiesa universale. Fatto così libero Pio VII volle tosto dare un pubblico segno di gratitudine alla Beata Vergine dalla cui intercessione tutto il mondo riconosceva l’inaspettata sua libertà. Accompagnato da alcuni Cardinali andò a Savona dove incoronò la prodigiosa immagine detta della Misericordia che si venera in quella città; e con inaudito concorso di popolo in presenza del re Vittorio Emanuele I e di altri Principi fu fatta la maestosa funzione in cui il Papa pose una corona di gemme e di diamanti sul capo della veneranda effigie di Maria.
            Ritornato di poi a Roma volle compiere la seconda parte della sua promessa instituendo nella Chiesa una festa speciale, che attestasse alla posterità quel gran prodigio.
            Considerando egli adunque come in ogni tempo la santa Vergine fu sempre proclamata aiuto dei cristiani, appoggiato a quanto s. Pio V aveva fatto dopo la vittoria di Lepanto ordinando d’inserire nelle Litanie Lauretane le parole: Auxilium Christianorum ora pro nobis; spiegando e dilatando ognor più quanto aveva decretato il Pontefice Innocenzo XI quando instituì la festa del nome di Maria; Pio VII per rendere perpetuala memoria della prodigiosa liberazione sua, dei Cardinali, dei Vescovi e della libertà ridonata alla Chiesa, e perché ne esistesse perpetuo monumento fra tutti i popoli Cristiani instituì la festa di Maria Auxilium Christianorum da celebrarsi ogni anno al giorno 24 maggio. Fu scelto quel giorno perché appunto in esso l’anno 1814 Egli era stato fatto libero e poté ritornare a Roma fra i più vivi applausi dei Romani (chi volesse istruirsi di più intorno a quanto abbiamo qui brevemente esposto può consultare Artaud: Vita di Pio VII. Moroni articolo Pio VII. P. Carini: Il sabato santificato. Carlo Ferreri: Corona di fiori ecc. Discursus praedicabiles super litanias Lauretanas del P. Giuseppe Miecoviense). Il glorioso Pontefice Pio VII finché visse promosse il culto verso Maria; approvò associazioni e Confraternite a Lei dedicate, concedette molte Indulgenze alle pratiche di pietà che a onore di Lei si fossero fatte. Valga per tutti un solo fatto per dimostrare la grande venerazione di questo Pontefice verso Maria Ausiliatrice.
            L’anno 1817 era compiuto un dipinto che doveva essere collocato in Roma nella chiesa di s. Maria in Monticelli diretta dai Sacerdoti della dottrina cristiana. All’11 maggio quel dipinto fu portato al Pontefice in Vaticano affinché lo benedicesse, e gli imponesse un titolo. Appena egli vide la devota immagine, provò sì grande emozione di cuore, che senza prevenzione alcuna, proruppe all’istante nel magnifico preconio: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. A queste voci del Santo Padre fecero eco i Figli devoti di Maria e nel primo scoprimento di quello (15 dello stesso mese) vi fu un vero trasporto di popolo, di gioia e di divozione. Le offerte, i voti e le fervorose preghiere hanno continuato fino al giorno presente. Così che si può dire che quella immagine è continuamente circondata dai devoti che domandano ed ottengono grazie per intercessione di Maria aiuto dei cristiani.

Capo XIV. Ritrovamento dell’immagine di Maria Auxilium Christianorum di Spoleto
            Nel raccontar la storia del ritrovamento della prodigiosa immagine di Maria Auxilium Christianorum nelle vicinanze di Spoleto noi trascriviamo letteralmente la relazione che n’ha fatto Monsignor Arnaldi Arcivescovo di quella città.
            Nella Parrocchia di s. Luca tra Castelrinaldi e Montefalco Archidiocesi di Spoleto nell’aperta campagna lungi dall’abitato e fuori di strada esisteva sul culmine di una piccola collina un’antica immagine di Maria SS. dipinta a fresco in una nicchia nell’atteggiamento di abbracciare il Bambino Gesù. Di fianco a questa appaiono pure alterate dal tempo quattro immagini rappresentanti i ss. Bartolomeo, Sebastiano, Biagio e Rocco. Esposte da lunga pezza all’intemperie hanno perduto non solo la loro vivacità, ma sono quasi interamente scomparse. La sola veneranda immagine di Maria e del Bambino Gesù si è conservata benissimo. Sussiste tuttora un avanzo di muro che fa vedere esservi esistita una chiesa. Del resto da oltre a memoria d’uomo era questo luogo totalmente dimenticato, ed era ridotto a covile di rettili e particolarmente di serpi.
            Già da vari mesi questa veneranda immagine aveva eccitato in qualche modo il suo culto per mezzo di una voce più volte udita da un fanciullo non ancora di cinque anni, nominato Enrico, chiamandolo per nome e col darglisi a vedere in maniera non bene espressa dal fanciullo medesimo. Tuttavia non attirò l’attenzione del pubblico se non ai 19 marzo dell’anno 1862.
            Un giovane contadino di quei dintorni dell’età di anni trenta aggravato successivamente da molti mali, divenuti cronici, abbandonato dai medici, sentissi inspirato di recarsi a venerare la suddetta immagine. Egli dichiarò che, dopo essersi raccomandato alla SS. Vergine in detto luogo, si senti tutto rinfrancato nelle perdute forze, ed in pochi giorni senza uso di alcun naturale rimedio è ritornato in perfetta sanità. Altre persone ugualmente, senza sapere spiegare il come ed il perché, hanno sentito un naturale impulso di recarsi a venerare questa santa immagine e ne riportarono segnalate grazie. Questi avvenimenti richiamarono a memoria e a discussione fra quei terrazzani la sopita voce del sopraccennato fanciullo, al quale non si era dato naturalmente, come si doveva, alcun credito ed importanza. Fu allora che in ordine al fanciullo medesimo si poté risapere come la madre nella circostanza della supposta apparizione lo avesse smarrito, né lo potesse trovare, e finalmente lo rinvenne da presso alta diroccata chiesolina. Si riseppe pure come una donna di buona vita tribolata da Dio con gravi afflizioni, nella sua morte avvenuta da un anno indietro, annunziasse che la Vergine SS. in quel luogo voleva riscuotere culto e venerazione, che si sarebbe costrutto un tempio e vi sarebbero accorsi in gran copia i fedeli.
            È vero in fatti che affollatissimo popolo non solo della Diocesi, ma delle altre circonvicine, Todi, Perugia, Fuligno, Nocera, Narni, Norcia ecc. vi accorre e cresce di giorno in giorno specialmente nei di festivi a cinque in sei migliaia. Questo è il più gran portento veramente segnalato, poiché non si vede l’eguale in altri scoprimenti prodigiosi.
            Il gran concorso dei fedeli che accorrono da tutte le parti quasi condotti da un lume e da una forza celeste, concorso spontaneo, concorso inesplicabile ed inesprimibile è il miracolo dei miracoli. Gli stessi nemici della Chiesa, gli stessi claudicanti nella fede sono costretti di confessare non potersi spiegare questo sacro entusiasmo dei popoli…. Molti sono gli infermi che diconsi risanati, non poche le prodigiose e singolari grazie largite, e quantunque bisogni procedere colla massima cautela per discernere le voci e i fatti, pure sembra indubitato che una civile donna giacesse afflitta da malattia mortale e risanò coll’invocazione a quella sacra immagine. Un giovinetto della Villa di s. Giacomo affranto nei piedi dalle ruote di un carro è costretto a reggersi colle stampelle; visitata la ss. effigie sentì tale miglioramento, che gettate le stampelle poté ritornare a casa senza di esse, ed è libero perfettamente. Così pure avvennero altre guarigioni.
            Non si deve ommettere che taluni increduli essendosi recati a visitare la ss. immagine dileggiandola, giunti al luogo, contro ogni loro idea si sono sentiti il bisogno di inginocchiarsi e pregare, e sono ritornati con tutt’altri sentimenti, parlando pubblicamente dei prodigi di Maria. Il cambiamento prodotto in queste persone corrotte di mente e di cuore ha prodotto una santa impressione nei popoli. (Fin qui Mons. Arnaldi).
            Questo Arcivescovo volle recarsi egli stesso con numeroso Clero e col suo Vicario al luogo della immagine per accertarsi della verità dei fatti, e vi trovò migliaia di devoti. Prescrisse il restauro dell’effigie alquanto fessa in varie parti, ed essendosi già raccolta fino d’allora in pie oblazioni là somma di seicento scudi, commise a valenti artisti il disegno di un tempio, instando perché se ne gettassero le fondamenta colla massima sollecitudine.
            Per promuovere viemaggiormente la gloria di Maria e la divozione dei fedeli a tanta Madre, dispose che si coprisse in modo provvisorio ma decente la nicchia ove si venera la taumaturga immagine e vi si ergesse un altare per celebrare la santa Messa.
            Queste disposizioni sono state d’indicibile consolazione ai fedeli, e d’allora in poi ogni giorno andò sempre crescendo il concorso d’ogni ceto di persone.
            La devota immagine non aveva alcun titolo proprio, e il pio Arcivescovo giudicò che fosse venerata sotto il nome di Auxilium Christianorum come parve più adatto all’attitudine che presentava. Provvide parimenti che si trovasse sempre un sacerdote in custodia del Santuario od almeno un qualche laico di conosciuta probità.
            La relazione di questo prelato finisce col racconto di un nuovo tratto della bontà di Maria operato dietro l’invocazione ai ’piedi questa immagine.
            “Una giovane di Acquaviva si trovava probanda in questo Monastero di s. Maria della Stella, ove doveva vestire l’abito di conversa. Un’affezione reumatica generale la invase per maniera che, paralizzate tutte le membra, fu costretta ritornare alla propria famiglia.
            “Per quanti rimedi si adoperassero dai provvidi genitori non si poté mai raggiungere la guarigione; e volgevano quattro anni da che giaceva sempre in letto, vittima di un cronicismo. All’udire le grazie di questa taumaturga effigie mostrò desiderio di esservi condotta sopra d’un carro; ed appena si trovo innanzi alla veneranda immagine conobbe un notabile miglioramento; di lì a poco si senti a prosciogliere le membra in modo che se ne tornò a piedi alla paterna casa. Altre grazie singolari si raccontano ottenute da persone di Fuligno.
            “La divozione verso Maria va sempre crescendo in maniera al mio cuore consolantissima. Sia sempre benedetto Iddio che nella sua misericordia si è degnato ravvivare la fede in tutta l’Umbria con la prodigiosa manifestazione della sua gran Madre Maria. Sia benedetta la Vergine Santissima che con questa manifestazione si è degnata segnalare a preferenza l’Archidiocesi di Spoleto.
            Sia benedetto Gesù e Maria che con questa misericordiosa manifestazione aprono il cuore dei cattolici a più viva speranza.

            Spoleto, 17 maggio 1862.”

† GIOVANNI BATTISTA ARNALDI.

            Così la veneranda immagine di Maria Ausiliatrice presso Spoleto dipinta nell’anno 1570, rimasta quasi tre secoli senza onore, è salita ai nostri tempi ad altissima gloria per le grazie che la Regina del cielo comparte in quel luogo ai suoi devoti: e quell’umile luogo è divenuto un vero santuario, dove concorre gente da tutte parti. I devoti e beneficati figli di Maria diedero segni di gratitudine con vistose oblazioni, cui mercè si poterono gettare le fondamenta di un maestoso tempio che giungerà quanto prima al termine desiderato.

(continua)




Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice (6/13)

(continuazione dall’articolo precedente)


Capo IX. Battaglia di Lepanto

            Esposti così di volo alcuni dei molti fatti che confermano in generale quanto Maria protegga le armi dei cristiani quando combattono per la fede, passiamo ad altri più particolari che hanno dato motivo alla Chiesa di appellare Maria col glorioso titolo di Auxilium Christianorum. Principale tra essi è la battaglia di Lepanto.
            Alla metà del secolo XVI la nostra Penisola godette alquanto di pace quando una nuova insurrezione dalla parte di Oriente venne a mettere lo scompiglio fra i cristiani.
            I Turchi che da oltre cento anni si erano stabiliti a Costantinopoli vedevano con rincrescimento che i popoli d’Italia, e segnatamente i Veneziani, possedessero isole e città in mezzo al vasto loro impero. Cominciarono pertanto chiedere ai Veneziani l’isola di Cipro. La qual cosa essendo loro rifiutala, diedero mano alle armi e con un esercito di ottanta mila fanti, con tre mila cavalli e con formidabile artiglieria, guidati dallo stesso loro imperatore Selimo II, assediarono Nicosia e Famagosta che erano le città più forti dell’Isola. Queste città dopo eroica difesa caddero ambedue in potere dei nemici.
            I Veneziani allora ricorsero al Papa affinché volesse venire in loro soccorso per combattere ed abbassare l’orgoglio dei nemici del cristianesimo. Il Romano Pontefice, che allora era s. Pio V, nel timore che i Turchi se fossero riusciti vittoriosi avrebbero portato fra i cristiani desolazione e rovina, pensò di impegnare la potente intercessione di colei che santa Chiesa proclama terribile come un esercito ordinato a battaglia: Terribilis ut castrorum aeies ordinata. Ordinò pertanto pubbliche preghiere per tutta la cristianità: ricorse al re di Spagna Filippo II e al duca Emanuele Filiberto.
            Il re di Spagna messo in piedi un poderoso esercito lo affidò ad un fratello minore detto D. Gioanni d’Austria. Il duca di Savoia mandò di buon grado un numero scelto di prodi, i quali unitisi al rimanente delle forze italiane andarono a congiungersi cogli spagnoli presso a Messina.
            Lo scontro dell’esercito nemico ebbe luogo vicino a Lepanto città della Grecia. I cristiani assalgono ferocemente i Turchi; questi fanno gagliardissima resistenza. Ogni vascello volgendosi d’improvviso tra vortici di fiamme e di fumo pareva che vomitasse il fulmine da cento cannoni di cui era armato. La morte pigliava tutte le forme, gli alberi ed i cordami delle navi spezzati dalle palle cadevano sopra i combattenti e li stritolavano. Le grida strazianti dei feriti si frammischiavano al rumoreggiar dei flutti e dei cannoni. In mezzo al comune sconvolgimento Vernieri, condottiero dell’armata cristiana, si accorge che la confusione comincia entrare nelle navi turche. Subito egli fa mettere in ordine alcune galere basse e piene di artiglieri destrissimi, circonda i bastimenti nemici, e a colpi di cannone li squarcia e li fulmina. In quel momento crescendo la confusione fra i nemici si eccita grande entusiasmo fra i cristiani e da tutte le parti si leva un grido di vittoria! vittoria! e la vittoria è con loro. Le navi turche fuggono verso terra, i Veneziani le inseguono e le fracassano; non è più battaglia, è un macello. Il mare è sparso di vesti, di tele, di frantumi di navi, di sangue e di corpi sbranati; trenta mila turchi sono morti; duecento delle loro galere vengono in potere dei cristiani.
            La notizia della vittoria recò nei paesi cristiani una gioia universale. Il senato di Genova e di Venezia decretarono che il dì 7 ottobre fosse giorno solenne e festivo in perpetuo perché in cotal giorno nell’anno 1571 era succeduta quella grande battaglia. Fra le preghiere che il santo Pontefice aveva ordinato pel giorno di quella grande battaglia fu il Rosario, e nell’ora stessa che si compieva quell’avvenimento, lo recitava egli stesso con una schiera di fedeli con lui raccolti. In quel momento gli apparve la santa Vergine rivelandogli il trionfo delle navi cristiane, il quale trionfo s. Pio V annunziò tosto per Roma prima che alcuno avesse in altra guisa potuto portare quella notizia. Allora il santo Pontefice in riconoscenza a Maria, al cui patrocinio attribuiva la gloria di quella giornata, ordinò che nelle Litanie Lauretane si aggiungesse la giaculatoria: Maria Auxilium Christianorum, ora pro nobis. Maria aiuto dei cristiani, pregate per noi. Il medesimo Pontefice, affinché fosse perpetua la memoria di quel prodigioso avvenimento, istituì la solennità del SS. Rosario da celebrarsi ogni anno la prima domenica di ottobre.

Capo X. La liberazione di Vienna

            L’anno 1683 i Turchi per vendicare la sconfitta di Lepanto formarono il disegno di portare le loro armi al di là del Danubio e del Reno, minacciando così tutta la cristianità. Con un esercito di ducento mila uomini, avanzandosi a marcie forzale, vennero a porre l’assedio davanti alle mura di Vienna. Il Sommo Pontefice, che allora era Innocenzo XI, pensò di fare ricorso ai principi cristiani eccitandoli a venire in soccorso della cristianità minacciata. Pochi peraltro risposero all’invito del Pontefice: per la qual cosa egli ad esempio del suo antecessore Pio V deliberò di porsi sotto alla protezione di colei che la Chiesa proclama terribilis ut castrorum acies ordinata. Pregava egli, ed aveva invitati i fedeli di tutto il mondo a pregare con lui.
            Intanto a Vienna la costernazione era generale, il popolo temendo di cadere nelle mani degli infedeli usciva dalla città, ed ogni cosa abbandonava. L’imperatore non avendo forze da opporre abbandonò la sua capitale. Il principe Carlo di Lorena, che a stento aveva potuto raccogliere trenta mila tedeschi, era riuscito di entrare in città per tentarne in qualche modo la difesa. I borghi vicini furono incendiati. Il 14 di agosto i Turchi aprirono le loro trincee dalla porta principale, ed ivi si accamparono malgrado il fuoco degli assediati. Stringendo poi di assedio tutte le mura della città, appiccarono il fuoco e misero in fiamme parecchi pubblici e privati edifizi. Un caso doloroso aumentò il coraggio dei nemici e diminuì quello degli assediati.
            Appiccossi il fuoco alla chiesa degli Scozzesi, consumò quel superbo edifizio, e giungendo all’arsenale, dove erano le polveri e le munizioni, stava per aprire la città ai nemici se per una protezione specialissima di Maria Santissima, nel giorno della sua gloriosa Assunzione, il fuoco non si fosse spento, dando così tempo a mettere in salvo le munizioni militari. Quella sensibile protezione della Madre di Dio riaccese il coraggio dei soldati e degli abitanti. Al ventidue dello stesso mese i Turchi tentarono di abbattere altri edifici lanciando gran quantità di palle e di bombe, con cui fecero grandissimo guasto, ma non poterono impedire gli abitanti di implorare giorno e notte i soccorsi del cielo nelle chiese, né i predicatori di esortarli a riporre, dopo Dio, tutta la loro fiducia in quella che loro aveva tante volte dato potente aiuto. Il 31 gli assedianti spinsero i lavori a segno, che i soldati delle due parti si battevano corpo a corpo.
            La città era un mucchio di rovine, quando il giorno della natività di Maria V. i cristiani raddoppiando le loro preghiere ricevettero come per miracolo avviso di vicino soccorso. Infatti l’indomani, secondo giorno dell’ottava della Natività, videro la montagna, che sta dirimpetto alla città, tutta coperta di truppe. Era Gioanni Sobieschi re di Polonia, che quasi solo fra i principi cristiani, cedendo all’invito del Pontefice, veniva coi suoi prodi in soccorso. Persuaso che col piccolo numero dei suoi soldati gli sarebbe stata impossibile la vittoria, ricorse egli pure a colei che è formidabile in mezzo ai più ordinati ed agguerriti eserciti. Il 12 di settembre si portò in chiesa col principe Carlo, ed ivi udirono la santa messa, che egli stesso volle servire tenendo le braccia distese in forma di croce. Dopo essersi comunicato, ed aver ricevuto la santa benedizione per sé e per tutto il suo esercito, quel principe si levò, e disse ad alta voce: Soldati, per la gloria della Polonia, per la liberazione di Vienna, per la salute di tutta la cristianità, sotto alla protezione di Maria noi possiamo con sicurezza marciare contro ai nemici e nostra sarà la vittoria.
            L’esercito cristiano discendendo allora dalle montagne avanzossi verso il campo dei Turchi, i quali dopo aver combattuto per qualche tempo si ritirarono dall’altra parte del Danubio con tanta precipitazione e confusione, che lasciarono nel campo lo stendardo ottomano, circa cento mila uomini, la maggior parte dei loro equipaggi, tutte le loro munizioni da guerra, con cento ottanta pezzi di artiglieria. Non fuvvi mai vittoria più gloriosa e che abbia costato tanto poco sangue ai vincitori. Si vedevano i soldati carichi di bottino entrare nella città, cacciandosi davanti molte greggi di buoi, che i nemici avevano abbandonato.
            L’imperatore Leopoldo, udita la disfatta dei Turchi, tornò a Vienna in quello stesso giorno, fece cantare un Te Deum colla più grande solennità, e riconoscendo poi che una vittoria così inaspettata era totalmente dovuta alla protezione di Maria, fece portare nella chiesa maggiore lo stendardo che si era trovato nella tenda del Gran Visir. Quello di Maometto, più ricco ancora, e che si inalberava in mezzo del campo, fu mandato a Roma e presentato al Papa. Quel santo Pontefice egli pure intimamente persuaso che la gloria di quel trionfo fosse tutta dovuta alla grande Madre di Dio, e desideroso di perpetuare la memoria di quel benefizio, ordinò che la festa del SS. Nome di Maria, già da qualche tempo praticata in alcuni paesi, fosse per l’avvenire celebrata in tutta la Chiesa nella domenica che si trova fra l’ottava della sua Natività.

Capo XI. Associazione di Maria Ausiliatrice in Monaco

            La vittoria di Vienna accrebbe maravigliosamente nei fedeli la divozione verso Maria e diede occasione ad una pia società di devoti sotto il titolo di Confraternita di Maria Ausiliatrice. Un padre Cappuccino che con gran zelo predicava nella chiesa parochiale di s. Pietro a Monaco di Baviera, con fervorose e commoventi espressioni esortava i fedeli a mettersi essi pure sotto la protezione di Maria Ausiliatrice, e ad implorare il patrocinio di lei contro ai Turchi che da Vienna minacciavano di invadere la Baviera. La divozione alla SS. Vergine Ausiliatrice si accrebbe talmente che i fedeli vollero continuarla anche dopo la vittoria di Vienna sebbene i nemici fossero già stati costretti ad allontanarsi dalla loro città. Fu allora che per eternare la memoria del gran benefizio ottenuto dalla Santa Vergine venne istituita una Confraternita sotto il titolo di Maria Ausiliatrice.
            Il duca di Baviera, che aveva avuto il comando d’una parte dell’esercito cristiano, mentre il re di Polonia ed il duca di Lorena comandavano il rimanente della milizia, per secondare quanto si era fatto nella sua capitale, chiese al sommo Pontefice Innocenzo XI l’erezione della suddetta Confraternita. Di buon grado il Papa accondiscese e accordò l’implorata istituzione con una Bolla in data del 18 agosto 1684, arricchendola d’indulgenze. Così addì 8 settembre dell’anno successivo, mentre quel principe stringeva d’assedio la città di Buda, s’instituì per suo ordine con gran solennità nella chiesa di s. Pietro a Monaco l’anzidetta Confraternita. D’allora in poi i confratelli di quella Associazione, uniti di cuore nell’amore di Gesù e di Maria, si radunano a Monaco ed offrono a vicenda preghiere e sacrifizi a Dio per implorare la infinita sua misericordia. Mercè la protezione della Vergine SS. questa Confraternita si è diffusa rapidamente, sicchè i più grandi personaggi furono solleciti di farvisi inscrivere per assicurarsi l’assistenza di questa grande Regina de’cieli nei pericoli della vita e specialmente in punto di morte. Imperatori, re, regine, prelati, sacerdoti, ed un’infinità di popolo di tutte parti di Europa reputano tuttora a grande ventura l’esservi inscritti. I Papi concedettero molte indulgenze a chi è in quella Confraternita. I sacerdoti che sono aggregati possono aggregare gli altri. Migliaia di Messe e di Rosari si recitano durante la vita e dopo la morte per quelli che ne sono membri.

Capo XII. Convenienza della festa di Maria Ausiliatrice

            I fatti che abbiamo finora esposti in onore di Maria aiuto dei cristiani fanno chiaramente conoscere quanto Maria gradisca di essere invocata sotto a questo titolo. La Chiesa cattolica ogni cosa osservava, esaminava, approvava guidando ella stessa le pratiche dei fedeli, affinché nè il tempo nè la malizia degli uomini travisassero il vero spirito di divozione.
            Richiamiamo qui quanto abbiamo sparsamente detto intorno alle glorie di Maria aiuto dei cristiani. Nei libri santi è simboleggiata nell’arca di Noè, che salva dall’universale diluvio i seguaci del vero Dio nella scala di Giacobbe che si solleva fino al cielo; nel roveto ardente di Mosè; nell’arca dell’alleanza; nella torre di Davide, che difende da ogni assalto; nella rosa di Gerico; nella fontana sigillata; nell’orto ben coltivato e custodito di Salomone; è figurata in un acquedotto di benedizioni; nel vello di Gedeone. Altrove è chiamata stella di Giacobbe, bella come la luna, eletta come il sole, iride di pace; pupilla dell’occhio di Dio; aurora portatrice di consolazioni, Vergine e Madre e Genitrice del suo Signore. Questi simboli ed espressioni che la Chiesa applica a Maria, fanno manifesti i disegni provvidenzali di Dio che voleva farcela conoscere prima della sua nascita come la primogenita fra tutte le creature, la più eccellente protettrice, aiuto e sostegno del genere umano.
            Nel nuovo Testamento poi cessano le figure e le espressioni simboliche; tutto è realtà ed avveramento del passato. Maria è salutata dall’arcangelo Gabriele che la chiama piena di grazia; rimira Iddio la grande umiltà di Maria e la solleva alla dignità di Madre del Verbo Eterno. Gesù Dio immenso diventa figliuolo di Maria; da lei nasce, da lei è educato, assistito. E il Verbo Eterno fatto carne sottomettesi in tutto all’ubbidienza dell’augusta sua Genitrice. A richiesta di lei Gesù opera il primo de’suoi miracoli in Cana di Galilea; sul Calvario è costituita di fatto Madre comune dei cristiani. Gli Apostoli se la fanno guida e maestra di virtù. Con lei si raccolgono a pregare nel cenacolo; con lei attendono all’orazione, e in fine ricevono lo Spirito Santo. Agli Apostoli dirige le sue ultime parole e se ne vola gloriosa al Cielo.
            Dall’altissimo suo seggio di gloria va dicendo: Ego in altissimis habito ut ditem diligentes me et thesauros corum repleam. Io abito il più alto trono di gloria per arricchire di benedizioni quelli che mi amano e per riempiere i loro tesori di celesti favori. Onde dalla sua Assunzione al cielo cominciò il costante e non mai interrotto concorso de’cristiani a Maria, nè mai si udì, dice s. Bernardo, che alcuno abbia con fiducia fatto ricorso a lei che non sia stato esaudito. Di qui si ha la ragione per cui ogni secolo, ogni anno, ogni giorno e possiamo dire ogni momento è segnalato nella storia da qualche gran favore concesso a chi con fede l’ha invocata. Di qui pure si ha la ragione per cui ogni regno, ogni città, ogni paese, ogni famiglia ha una chiesa, una cappella, un altare, una immagine, un dipinto o qualche segno che ricorda una grazia concessa a chi fece a lei ricorso nelle necessità della vita. I fatti gloriosi contro i Nestoriani e contro agli Albigei; le parole da Maria dette a s. Domenico allora che gli raccomandava la predicazione del Rosario, che la stessa Beata Vergine nominò magnum in Ecclesia praesidium; la vittoria di Lepanto, di Vienna, di Buda, la Confraternita di Monaco, quella di Roma, di Torino e molte altre erette in vari paesi della cristianità, fanno abbastanza conoscere quanto sia antica e diffusa la divozione a Maria Ausiliatrice, quanto questo titolo torni a lei gradito e quanto vantaggio arrechi ai popoli cristiani. Sicchè poteva ben con ragione Maria profferire le parole che le mette in bocca lo Spirito Santo: In omni gente primatum habui. Sono riconosciuta padrona presso a tutte le nazioni.
            Questi fatti cotanto gloriosi alla Santa Vergine facevano desiderare l’intervento espresso della Chiesa a dare il limite e il modo con cui Maria potesse invocarsi col titolo di aiuto dei cristiani, e la Chiesa era già in certo modo intervenuta coll’approvazione delle confraternite, delle preghiere e di molte pratiche di pietà cui sono annesse le sante indulgenze, e che per tutto il mondo proclamano Maria Auxilium Christianorum.
            Una cosa mancava ancora ed era un giorno dell’anno stabilito per onorare il titolo di Maria Ausiliatrice, che è quanto dire, una festa con rito, Messa, Officio dalla Chiesa approvato, e si fissasse il giorno di tale solennità. Affinché i Pontefici si determinassero a questa importante istituzione ci voleva qualche fatto straordinario che non tardò molto a farsi manifesto agli uomini.

(continua)