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Questo vivace racconto onirico, narrato da Don Bosco al termine degli esercizi spirituali del 1876, propone una potente allegoria della vita spirituale e della missione salesiana. Un toro furibondo, incarnazione del demonio e dei sette vizi capitali, semina terrore ma viene vinto da chi si abbassa nell’umiltà, resta unito nell’obbedienza e adora il Santissimo Sacramento. Dalla scena emergono due verità fondanti: «Lavoro e temperanza» quale insegna e garanzia di fecondità apostolica, e l’ammonimento a evitare quattro chiodi letali — gola, interesse personale, mormorazione e ozio — insieme al serpente nascosto dell’ambiguità. Il sogno si chiude con la visione trionfante della Congregazione che, fedele a questi principi, diffonderà il Vangelo ai quattro punti cardinali, guidando folle di giovani verso Cristo.
A chiusura e a ricordo degli esercizi Don Bosco raccontò un sogno simbolico, che è uno dei più istruttivi fra quanti ne aveva avuti fino allora. Don Lemoyne ne prese appunti mentr’egli parlava; indi pose subito tutto in iscritto e poi fece leggere a Don Bosco, che vi apportò qualche lieve modificazione. Per maggior chiarezza dividiamo la narrazione in quattro parti.
I Parte [Un toro furibondo; umiltà, lavoro e temperanza]
Si dice che non si deve badare ai sogni: vi dico in verità che nella maggior parte dei casi sono anch’io di questo parere. Tuttavia alcuna volta, quantunque non ci rivelino cose future, servono a farei conoscere in che modo sciogliere affari intricatissimi ed a farci agire con vera prudenza in varie faccende. Allora si possono ritenere, per la parte che ci offrono di buono.
Io in questo momento vi voglio appunto raccontare un sogno che mi tenne occupato, si può dire, in tutto il tempo di questi esercizi e specialmente mi travagliò in questa notte scorsa. Ve lo racconto tal quale lo feci, restringendolo solo qua e là un poco per non essere troppo lungo, perché mi pare ricco di molti e gravi ammaestramenti.
Mi sembrò adunque che eravamo tutti insieme e andavamo da Lanzo a Torino. Ci trovavamo tutti su qualche veicolo, ma non saprei dire se fossimo sulla ferrovia o sugli omnibus; ma non eravamo a piedi. Arrivati a un dato punto della strada, non ricordo più dove, il veicolo si fermò. Io discendo giù per vedere che mai si fosse, e mi si affacciò un personaggio che non saprei definire. Mi pareva di alta e bassa statura nello stesso tempo; era grasso e sottile; mentre era bianco, era anche rosso; camminava per terra e per aria. Fui tutto stupefatto e non sapevo darmi ragione di questo, quando, fattomi coraggio, gli domandai:
– Tu chi sei?
Egli senza dirmi altro, rispose:
– Vieni!
Io voleva prima sapere chi fosse, che volesse, ma esso riprese:
– Vieni presto; facciamo girare i veicoli in questo campo. – Il mirabile si era che parlava piano e forte nello stesso tempo ed a varie voci, del che io non mi rifiniva di far meco stesso le meraviglie.
Il campo era vastissimo, proprio a vista d’occhio, tutto ben piano; non era a solchi, ma proprio battuto come fosse un’aia. Non sapendomi che dire, e vedendo quel personaggio tanto risoluto, facemmo dar di volta ai veicoli, i quali entrarono in quel vastissimo campo, e poi gridammo a tutti quei che erano dentro, che discendessero. Tutti discesero in brevissimo tempo, ed ecco che appena discesi si vedono scomparire i veicoli, senza sapere dove se ne siano andati.
– Ora che siamo discesi, mi dirai… mi direte… mi dirà…, sussurrai io incerto del come diportarmi con quel personaggio, perché ci abbia fatto fermare in questo luogo.
Rispose:
– Il motivo è grave; si è per farvi evitare un grandissimo pericolo!
– E quale?
– Il pericolo di un toro furibondo, che non lascia persona viva al suo passaggio. Taurus rugiens quaerens quem devoret (Un toro ruggente che cerca chi divorare).
– Adagio, caro mio, tu attribuisci al toro quel che nella Sacra Scrittura S. Pietro dice del leone: leo rugiens (leone ruggente)!
– Non importa: là era leo rugiens, e qui è taurus rugiens. Il fatto si è che bisogna stiate bene all’erta. Chiama tutti i tuoi attorno a te. Annunzia loro solennemente e con gran premura che stiano attenti, molto attenti, ed appena sentiranno il muggito del toro, muggito straordinario ed immenso, si gettino subitamente a terra, e così se ne stiano bocconi colla faccia rivolta al suolo fin tanto che il toro abbia fatto il suo passaggio. Guai a colui che non ascolterà la tua voce; chi non si prostrerà bocconi nel modo che ti ho detto, è bell’e perso, perché si legge nelle sante Scritture che, chi sta basso sarà esaltato, e chi sta alto sarà abbassato: qui se humiliat exaltabitur, et qui se exaltat humiliabitur (chiunque si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato, Lc 14,11).
Poi mi soggiunse di nuovo:
– Presto, presto il toro è per venire; grida, grida forte che si abbassino.
Io gridava, ed egli:
– Su, su! grida ancor più forte, grida, grida!
Io ho gridato tanto forte, che credo persino di aver spaventato D. Lemoyne, che dorme nella camera attigua; ma di più non poteva.
Ecco che in un istante si sente il muggito del toro:
– Attenti! attenti! falli mettere in linea retta, tutti vicini gli uni agli altri da una parte e dall’altra con un passaggio in mezzo, per cui il toro possa passare. – Così mi grida quel personaggio. Io grido e do questi ordini; in un batter d’occhio tutti sono prostrati a terra e noi incominciammo a vedere il toro da molto lontano che arrivava furibondo. Sebbene la grande maggioranza fosse prostrata, tuttavia alcuni volevano stare a vedere che cosa fosse quel toro, e non si prostravano: erano pochi.
Quell’individuo mi disse:
– Ora vedrai che cosa avverrà di costoro; vedrai che cosa riceveranno, perché non si vogliono abbassare.
Io voleva avvertirli ancora, gridare, correre a loro; l’altro me lo negava; io insistetti che mi lasciasse andar da loro. Mi rispose reciso:
– L’ubbidienza è anche per te: abbassati.
Non ero ancor prostrato che un grandissimo muggito, tremendo, spaventevole, si fece udire. Il toro era già vicino a noi. Tutti tremavano e domandavano:
– Chi sa?… chi sa?…
– Non temete; giù a terra, io gridai.
E quel tale continuava a gridare: Qui se humiliat, exaltabitur, et qui se exaItat, humiliabitur… qui se humiliat qui se humiliat…
Una cosa strana che fece stupire anche me, fu questa, che sebbene io avessi il capo sul pavimento e fossi proprio tutto interamente prostrato con gli occhi nella polvere, tuttavia vedeva benissimo le cose che attorno a me accadevano. Il toro aveva sette corna in forma quasi di circolo; due le aveva sottoposte al naso; due al posto degli occhi; due al posto ordinario delle corna ed uno sopra. Ma cosa meravigliosa! Queste corna erano fortissime, mobili, le voltava dalla parte che voleva, di modo che per abbattere ed atterrare qualcuno, non aveva, correndo, da voltarsi qua e là; bastava andare avanti senza voltarsi, che abbatteva qualunque incontrasse. Più lunghe erano le corna del naso, e con queste faceva stragi veramente sorprendenti.
Già il toro ci era vicinissimo. Allora l’altro grida:
– Si vedrà l’effetto dell’umiltà. – Ed in un istante, oh meraviglia! tutti noi ci vedemmo sollevati in aria, ad una considerevole altezza, di modo che era impossibile che il toro ci potesse raggiungere. Quei pochi che non si erano abbassati, non furono sollevati. Arriva il toro e li sbrana in un momento. Non fu uno salvo. Noi intanto così sollevati in aria, avevamo paura e dicevamo:
– Se cadiamo giù, sì che siamo bell’e persi! poveri noi! Che mai sarà di noi? – Intanto vedevamo il toro furibondo che cercava di raggiungerci; faceva salti terribili per poterci dare delle cornate; ma non poté farci male di sorta alcuna. Allora furioso più che mai, fa segno che vuole andarsi a cercare dei compagni, quasi dicendo: – Allora ci aiuteremo gli uni gli altri, faremo scalata – E così, habens iram magnam (pieno di grande furore, Ap 12,12), se ne andò.
Allora ci trovammo di nuovo per terra e quel tale di pose a gridare:
-Voltiamoci dalla parte di mezzodì.
II Parte [Un toro furibondo]
Ed ecco che senza capire come la cosa avvenisse, si cambiò affatto scena innanzi a noi. Voltatici verso mezzodì noi vedemmo esposto il Santissimo Sacramento; molte candele stavano accese dall’una e dall’altra parte, e già non compariva più quel prato, ma pareva che ci trovassimo in una chiesa immensa, tutta ben ornata. Mentre eravamo tutti in adorazione davanti al Santissimo Sacramento, ecco che arrivano furibondi molti tori, tutti con corna orribili e spaventosissimi nell’aspetto. Vennero, ma essendo noi tutti in adorazione del Santissimo Sacramento, non ci poterono fare alcun male. Noi intanto ci eravamo posti a recitare la coroncina al Sacratissimo Cuore di Gesù. Dopo un poco, non so come, guardammo, ed i tori non c’erano più. Rivoltatici poi di nuovo dalla parte dell’altare, trovammo che i lumi erano spariti, il Sacramento non più esposto; scompare la chiesa: ma dove siamo? Ci trovammo nel campo dove eravamo prima.
Voi capite abbastanza che il toro è il nemico delle anime, il demonio, che ha grande ira contro di noi e cerca continuamente farci del male. Le sette coma sono i sette vizi capitali. Ciò che ci può liberare dalle corna di questo toro, cioè dagli assalti del demonio, dal non cadere nei vizi, si è principalmente l’umiltà, base e fondamento della virtù.
III Parte [Il trionfo della congregazione]
Noi intanto stupefatti, meravigliati ci guardavamo gli uni gli altri; nessuno parlava; non sapevamo che dire. Si aspettava che Don Bosco parlasse o che quel tale ci dicesse qualche cosa. Quando esso, presomi da parte, soggiunse:
– Vieni, ti farò vedere il trionfo della Congregazione di S. Francesco di Sales. Monta su questo sasso e vedrai!
Era un gran macigno in mezzo a quel piano sterminato, ed io vi montai sopra. Oh che vista immensa si affacciò ai miei occhi! Quel campo che non avrei creduto tanto vasto, mi comparve come se occupasse tutta la terra. Uomini d’ogni colore, d’ogni vestito, d’ogni nazione, vi stavano radunati. Vidi tanta gente che non so se il mondo tanta ne possegga. Cominciai ad osservare i primi che si affacciarono al nostro sguardo. Erano vestiti come noi italiani. Io conosceva quei delle prime file e vi erano tanti salesiani che conducevano come per mano squadre di ragazzi e ragazze. Poi venivano altri, con altre squadre; poi ancora altri ed altri che più non conosceva e più non poteva distinguere, ma erano in un numero indescrivibile. Verso il mezzodì comparvero ai miei occhi, siciliani, africani ed un popolo sterminato di gente che io non conosceva. Erano sempre condotti da salesiani, i quali io conosceva nelle prime file e poi non più.
– Voltati, – mi disse quel tale. Ecco che mi si affacciarono agli occhi altri popoli sterminati di numero, vestiti diversamente da noi: avevano pellicce, specie di mantelli che parevano velluto, tutti a vari colori. Mi fece voltare verso i quattro punti cardinali. Tra le altre. cose vidi in oriente donne con i piedi piccoli tanto, che stentavano a stare in piedi e quasi non potevano camminare. Il singolare si era che dappertutto vedeva salesiani che conducevano squadre di ragazzi e di ragazze e con loro un popolo immenso. Nelle prime file sempre li conosceva; poi andando Avanti non li conosceva più, e nemmeno i missionari. Qui molte cose non posso narrarle per disteso, perché riuscirei troppo lungo.
Allora quel tale che mi aveva condotto e consigliato fino a questo punto, che cosa aveva a fare, prese di nuovo la parola e soggiunse:
– Guarda; considera; tu ora non capirai tutto quel che ti dico, ma sta’ attento: tutto questo che hai visto è tutta messe preparata ai salesiani. Vedi quanto sia immensa la messe? Questo campo immenso in cui ti trovi è il campo in cui i salesiani devono lavorare. I salesiani che vedi sono i lavoratori di questa vigna del Signore. Molti lavorano, e tu li conosci. L’orizzonte poi si allarga, a vista di occhio, di gente che tu non conosci ancora; e questo vuol dire che non solo in questo secolo, ma ben anche nell’altro e nei futuri secoli, i salesiani lavoreranno nel proprio campo. Ma sai a quali condizioni si potrà arrivare ad eseguire quello che vedi? Te lo dirò io. Guarda; bisogna che tu faccia stampare queste parole che saranno come il vostro stemma, la vostra parola d’ordine, il vostro distintivo. Notale bene: Il lavoro e la temperanza faranno fiorire la Congregazione Salesiana. Queste parole le farai spiegare, le ripeterai, insisterai. Farai stampare il manuale che le spieghi e faccia capir bene che il lavoro e la temperanza sono l’eredità che lasci alla Congregazione, e nello stesso tempo ne saranno anche la gloria.
Io risposi:
– Questo lo farò molto volentieri; questo è tutto secondo il nostro scopo, è quello che vo già raccomandando tutti i giorni e vo insistendo sempreché me ne capiti l’occasione.
– Sei dunque ben persuaso? Mi hai dunque ben capito? Questa è l’eredità che lascerai loro, e di’ pur loro chiaro che, fintantoché i tuoi figli corrisponderanno, avranno seguaci al mezzodì, al nord, all’oriente e all’occidente. Ora discendi pure dagli esercizi ed incamminali per la loro destinazione. Questi saranno di norma, poi verranno gli altri.
Ed ecco che compaiono nuovamente degli omnibus per condurci tutti a Torino. Io osservo, osservo; erano omnibus tutti sui generis, strani quanto mai. I nostri cominciano a montare; ora quegli omnibus non avevano appoggio da nessuna parte, ed io temeva che i giovani cadessero e non voleva lasciarli partire. Ma quel tale mi disse:
-Vadano, vadano pure; essi non hanno bisogno di appoggio, solo che eseguiscano bene quelle parole. Sobrii estote et vigilate (Siate sobri, vegliate, 1Pt 5,8). Eseguite bene queste due parole, non si cade, sebbene non vi siano appoggi e la carrozza corra.
IV Parte [Quattro chiodi emblematici]
Partirono adunque ed io rimasi solo con quel tale:
– Vieni, mi soggiunse tosto; vieni; voglio farti vedere la parte più importante; oh avrai da impararne bene! Vedi là quel carro?
– Lo vedo!
– Sai che cosa è?
– Ma non vedo bene.
– Se vuoi veder bene, avvicinati. Vedi là quel cartellone? Avvicinati; osservalo; su quel cartello vi è l’emblema: da quello conoscerai.
Io mi avvicino e vedo su quel cartello dipinti quattro chiodi molto grossi. Mi rivolsi a lui dicendo:
– Ma non capisco nulla, se non mi spiega.
– Non li vedi quei quattro chiodi? Osservali bene. Sono i quattro chiodi che forarono e tormentarono tanto crudelmente la persona del Divin Salvatore.
– E con ciò?
– Sono quattro chiodi che tormentano le Congregazioni religiose. Se eviti questi quattro chiodi, cioè che la tua Congregazione non resti tormentata da essi, che sappiate tenerli lontani, allora le cose andranno bene e voi sarete in salvo.
– Ma io ne so come prima, risposi; che cosa significano questi chiodi?
– Se vuoi sapere meglio, visita meglio questo carrozzone che ha i chiodi per emblema. Vedi; questo carrozzone ha quattro scompartimenti, ciascuno dei quali corrisponde ad un chiodo.
– Ma e questi scompartimenti, che cosa significano?
– Osserva il primo scompartimento. – Osservo e leggo sul cartello: Quorum Deus venter est (il ventre è il loro dio. Fil 3,19). – Oh, adesso comincio a capire qualche cosa.
Quel tale mi risponde:
– Questo è il primo chiodo che tormenta e manda in rovina le Congregazioni religiose. Egli farà strage anche di voi, se non stai attento. Combattilo bene e vedrai che le tue cose prospereranno.
– Ora veniamo al secondo scompartimento; leggi l’iscrizione del secondo chiodo: Quaerunt quae sua sunt, non quae Jesu Christi (cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo, Fil 2,21). Quivi sono quelli che cercano le proprie comodità, gli agi, e brigano pel bene proprio o forse, anche dei parenti, e non cercano il bene della Congregazione, che è quello che forma la porzione di Gesù Cristo. Sta’ attento, allontana questo flagello e vedrai prosperare la Congregazione.
Terzo scompartimento: osservo l’iscrizione del terzo chiodo, ed era: Aspidis lingua eorum (veleno di serpente è la lor olingua). – Chiodo fatale per le Congregazioni sono i mormoratori, i sussurroni; quelli che cercano sempre di criticare e per diritto e per traverso.
Quarto scompartimento: Cubiculum otiositatis (stanza dell’ozio). – Qui sono gli oziosi in gran numero, e quando si incomincia ad introdurre l’ozio, la comunità resta bell’e rovinata; invece, finché si lavorerà molto, nessun pericolo per voi. Ora osserva ancora una cosa che vi è in questo carrozzone a cui molte e molte volte non si bada, ed io voglio che tu osservi con attenzione tutta speciale. Vedi quel ripostiglio che non fa parte di nessun scompartimento, ma si estende un poco in tutti? È come un mezzo scompartimento o distretto.
– Vedo; ma non c’è che rimasugli di foglie, erbaccia alta: altra più bassa ingarbugliata.
– Bene, bene; è questo che voglio che tu osservi.
– Ma che cosa posso io ricavar da questo?
– Osserva bene l’iscrizione che sta quasi nascosta.
Osservo bene e vedo scritto: Latet anguis in herba (Un serpente si nasconde nell’erba).
– Ma e con questo?
– Guarda, vi sono certi individui che stano nascosti; non parlano; non aprono mai il cuore ai Superiori; ruminano sempre in cuore i loro segreti; sta’ attento; latet anguis in herba. Sono veri flagelli, vera peste delle Congregazioni. Ancorché cattivi, se fossero svelati, si potrebbero correggere; ma no, stanno nascosti, noi non ce ne accorgiamo, ed intanto il male si fa grave, il veleno si moltiplica nel cuore di costoro, e quando fossero conosciuti non vi sarebbe più tempo a riparare il danno che già hanno prodotto. Impara dunque bene le cose che devi tener lontane dalla tua Congregazione: tieni bene a mente quanto hai udito: dà ordine che queste cose siano spiegate e rispiegate a lungo. Facendo così, sta’ tranquillo sulla tua Congregazione, che le cose prospereranno un dì più dell’altro.
Allora io pregai quel tale che per non dimenticare nessuna delle cose che mi aveva detto, mi lasciasse un po’ di tempo per poterle scrivere.
– Se vuoi far la prova, mi rispose, scrivile, ma temo che ti manchi il tempo, e sta’ attento.
Mentre esso mi diceva queste cose ed io mi preparava per iscrivere, mi parve di sentire un rumore confuso, un’agitazione tutto intorno a me. Il pavimento di quel campo pareva che traballasse. Allora io mi volgo attorno per vedere se qualche cosa ci fosse di nuovo, e vedo i giovani poco prima partiti, che tutti spaventati, da ogni parte tornavano a me, e subito dopo, il muggito del toro, ed il toro medesimo che li inseguiva. Quando il toro ricomparve, io fui tanto spaventato alla sua vista che mi risvegliai.
Io vi ho raccontato il sogno in questa circostanza, prima di separarci, ben persuaso di poter dire con tutta verità, che sarebbe degna conclusione degli esercizi, se noi proporremo di attenerci al nostro stemma: Lavoro e temperanza; e se procureremo a tutt’uomo di evitare i quattro grandi chiodi che martoriano le Congregazioni. Il viziò della gola, il cercar le agiatezze, le mormorazioni e l’ozio, a cui è da aggiungere che ciascuno sia sempre aperto, schietto e confidente coi propri Superiori. In questo modo faremo del bene alle anime nostre e nello stesso tempo potremo anche salvare quelle che la Divina Provvidenza affiderà alle nostre cure.
Don Bosco aveva divisato e promesso nel corso del racconto che avrebbe spiegato meglio in ultimo il punto della temperanza, narrando un’appendice del sogno; ma poi nel passare alla seconda parte del suo discorso, la quale vedremo fra breve, se ne scordò. Svegliato, come ha detto, dal riapparire della bestia furente, ebbe desiderio di conoscere ancora una cosa; ne fu appagato non appena riprese sonno. Quello che allora vide, fu da lui raccontato più tardi a Chieri. Don Berto che era presente, scrisse e rimise a Don Lemoyne, il quale copiò, a compimento di quanto aveva già in carta.
Ero desideroso di conoscere gli effetti della temperanza e quelli della intemperanza e con questo pensiero mi posi a letto; quand’ecco appena addormentato ricompare il nostro personaggio e m’invita a seguirlo e a vedere gli effetti della temperanza. Mi condusse in un amenissimo giardino, pieno di delizie e di fiori d’ogni genere e specie. Quivi osservai una quantità di rose le più pompose, simbolo della carità; là un garofano, là un gelsomino; qua un giglio, là una viola, là un fiore perpetuo, un girasole, ed uno sterminato numero di fiori, ciascuno simboleggiante una virtù.
– Ora sta’ attento – mi disse la guida. Scomparve il giardino e sentii un forte rumore:
– Che cosa è questo? Donde viene questo rumore?
– Voltati e osserva.
Mi voltai e vidi, oh spettacolo inaudito! vidi un carro di forma quadrata, tirato da un maiale e da un rospo di enorme grossezza.
– Avvicinati e guarda dentro.
Mi feci avanti per esaminare il contenuto del carro. Esso era pieno e riboccante di animali i più schifosi: corvi, serpi, scorpioni, basilischi, lumache, pipistrelli, coccodrilli, salamandre. Io non potei resistere a tal vista, e mentre inorridito, rivoltai lo sguardo, per la puzza di quelli animali schifosissimi, ricevetti come una scossa e mi svegliai, sentendo ancora per un buon pezzo il medesimo odore; e la mia mente era ancora sì turbata per l’orridezza di quella vista, che parendomi d’aver tuttora innanzi agli occhi tal cosa, non mi fu più possibile poter riposare per quella notte.
Don Lemoyne, badando unicamente al sogno, non pensò a scrivere la seconda parte della predica, che troviamo invece riassunta da Don Barberis nel modo che segue.
Volendo ora venire a dare qualche ricordo speciale che serva per il corso di quest’anno, ecco quale sarebbe: che si cerchino tutti i mezzi per conservare la virtù regina, la virtù che custodisce tutte le altre; che se l’abbiamo non sarà mai sola, anzi avrà per corteo tutte le altre, e se perdiamo questa, le altre, o non ci sono o si perdono in breve tempo.
Amatela questa virtù, amatela molto, e ricordatevi che per conservarla, bisogna lavorare e pregare: non eicitur nisi in ieiunio et oratione (non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno, Mt 17,21). Sì: preghiera e mortificazione negli sguardi, nel riposo, nel cibo, e specialissimamente nel vino; pel nostro corpo non cercare agiatezze, anzi, quasi direi, strapazzarlo. Non usargli riguardi eccetto che per necessità, quando la salute lo richiede; allora sì; del resto, dare al corpo lo stretto necessario e non di più, perché dice lo Spirito Santo: Corpus hoc quod corrumpitur aggravat animam (un corpo corruttibile appesantisce l’anima, Sap 9,15). Sì? Allora che cosa faceva S. Paolo? Castigo corpus meum et in servitutem redigo, ut spiritui inserviat (tratto duramente il mio corpo e lo riduco in schiavitù, 1Cor 9,27).
Raccomando poi qui ciò che raccomandai nell’altra muta di esercizi, cioè: OBBEDIENZA, PAZIENZA, SPERANZA…
L’altra cosa è l’umiltà che dobbiamo cercare di possedere noi ed inculcare nei nostri giovani e in tutti, virtù che viene ordinariamente chiamata il fondamento della vita cristiana e della perfezione.
Una cosa che qualche volta si dice, ma io non vorrei mai che si facesse, si è questa: di fare le cose solo per piacere a D. Bosco. No, miei cari, non cercate di piacere a me, ma cercate di piacere al Signore. Poveretti! Che premio potrei darvi io, se cercate solo di piacere a me? Potrei darvi le mie miserie. Mettete proprio il vero spirito di piacere al Signore, e se qualche volta vi fosse affidato un uffizio ripugnante, fatelo ugualmente, fatelo volentieri, pensando che con questo vi guadagnerete l’amore di Nostro Signor Gesù Cristo ed un premio eterno in cielo.
Abbiate poi tutti una copia delle Regole; leggetele, studiatele, e siano queste come un nostro codice, a cui cerchiamo di uniformare interamente la nostra vita.
Tra le Regole specialmente si osservino le pratiche di pietà, e tra queste, come ricordo speciale, desidero che si introduca e si faccia bene quanto riguarda l’esercizio della buona morte. Posso assicurarvi che chi eseguisce bene questo esercizio mensile, può star tranquillo della salute dell’anima sua e sicuro di camminare sempre nella vera via della propria vocazione. Avverrà di vari che non possono trovare un giorno in cui esimersi da ogni occupazione, non importa, facciano pure quello che per il loro ufficio è strettamente necessario fare; ma non vi sarà nessuno che in quel giorno non trovi una buona mezz’ora, in cui pensi sul serio: 1° Se morissi in questo momento, non ho nessun imbroglio sull’anima? 2° In questo mese quali sono stati i miei difetti principali? 3° Tra questo mese ed i precedenti, quale andò meglio? 4° Se morissi ora, non lascerei nessun imbroglio nella mia gestione o nei miei uffizi? Non lascerei nell’imbroglio i Superiori riguardo a quanto posseggo? E nelle gestioni materiali che mi riguardano? – Facendo queste considerazioni, procurare di mettere veramente a posto quanto potremo trovare d’inconveniente.
Ancora un pensiero riguardo al dubbio che qualcuno potesse avere sulla sua vocazione. Sarò poi chiamato a stare in questa Congregazione? Sono ben sicuro che questa che ho abbracciato, sia la vita che il Signore richiede da me?
Prima di tutto io vi dico, e tenetelo pur bene a mente: non ho mai, accettato nessuno di cui non fossi sicuro che quel tale vi fosse dal Signore chiamato.
Poi, pensate: io sono del parere che l’esser venuti voi tutti qui a radunarvi in Lanzo chi da una parte, chi da un’altra, chi superando ostacoli di un genere, chi di un altro; l’aver lasciato le vostre occupazioni, e l’occasione speciale di trovarvi in questo momento qui: questo solo io credo che sia già un vero segno che Dio vi chiama ad abbracciare questo stato. Ed io in questo momento non temo punto di dirvi che voi tutti quanti qui siete, tutti siete chiamati dal Signore; manca soltanto che corrispondiate, mettendovi di tutto cuore ad osservare le Regole. Oh, sì! Io risponderei a ciascuno quello che il Divin Salvatore rispondeva a quel tale: Si vis ad vitam ingredi, serva mandata… (Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti, Mt 19,17). Hoc fac et vives (fa’ questo e vivrai, Lc 10,28).
… Hoc fac et vives. Osserva le Regole. Ma, e d’altro? Fa’ questo e vivrai. Sapete quando è che la vocazione comincia ad esser dubbia? Comincerà in voi a venir dubbia, quando voi comincerete a trasgredire le Regole. Allora sì che verrà dubbia, e se si continua nelle trasgressioni, si corre grave pericolo di perderla.
Coraggio adunque: osservanza esatta delle nostre Regole e sia questo il ricordo che mette come il suggello a tutti gli altri, sia a quelli che man mano venne suggerendovi il bravo Predicatore, sia a quanto vi suggerì la vostra pietà nelle meditazioni, negli esami di coscienza, nella Santa Comunione; e anche serva di suggello a quanto io vi venni già in questa stessa conferenza suggerendo; e vivete felici!
(MB XII, 462-472)