3 Nov 2025, Lun

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Il sogno che segue, raccontato da don Bosco ai suoi giovani nel 1867, prende avvio da una notte d’insonnia in cui il Santo riflette sul mistero dell’anima. Guidato da una presenza luminosa, egli viene trasportato in un palazzo sospeso dove incontra un vescovo amico, già defunto, che gli apre scorci sul destino oltre la morte. Dal loro dialogo emergono avvertimenti: l’illusorietà dei piaceri mondani, la necessità di dissipare la “nebbia” mondana, la custodia della purezza, l’obbedienza, la fuga dell’ozio, la preghiera, la confessione e la comunione frequenti. La visione, insieme realistica e simbolica, illumina la giustizia divina e l’urgenza di prepararsi al Paradiso nel quotidiano cammino educativo salesiano, rendendo attuale per ogni lettore il messaggio di speranza e responsabilità.

D. Bosco parlò ancora a tutta la comunità dopo le orazioni della sera.

Ieri sera, miei cari figliuoli, io mi era coricato e non potendo subito prender sonno, andava pensando alla natura ed al modo di esistere dell’anima; come fosse fatta; in che modo potesse trovarsi e parlare nell’altra vita, divisa dal corpo; come faccia a trasportarsi da un luogo ad un altro; come mai allora ci potremo conoscere gli uni e gli altri, non essendo noi dopo morte che puri spiriti. E più su di ciò pensavo, e più mi sembrava oscuro il mistero.
Mentre io vagava in queste e simili fantasie mi addormentai e mi sembrava di essere sulla via che conduce a * … (e nominò la città) e che a quella volta fossi incamminato. Andai per un po’ di tempo, traversai paesi a me sconosciuti, quando ad un certo tratto mi sentii chiamare per nome. Era la voce di una persona ferma sulla via.
– Vieni con me, mi disse; tu potrai adesso vedere ciò che desideri.
Tosto obbedii. Quel tale andava colla rapidità del pensiero ed io al pari della mia guida. Andavamo senza che i piedi nostri toccassero il suolo. Giunti in una certa regione che io non so quale fosse, la mia guida si fermò. Sovra un luogo alto si ergeva con magnificenza un palazzo di mirabile struttura. Non so dove fosse, né su quale eminenza; non mi ricordo più se si trovasse sovra una montagna o per l’aria sulle nuvole. Era inaccessibile e non si vedeva alcuna strada per salirvi. Le sue porte erano ad un’altezza considerevole.
– Guarda! monta su in quel palazzo, mi disse la guida.
– Come ho da fare? osservava io; come fare ad arrivarvi? Qui al basso non c’è entrata, le ali non le ho.
– Entra! replicò l’altro imperiosamente. E vedendo che io non mi muoveva, disse:
– Fa’ come faccio io: alza le braccia con buona volontà e salirai. Vieni meco. – E, ciò dicendo levò in alto le mani allargate verso il cielo. Io pure apersi allora le braccia e mi sentii subito in un attimo sollevare per l’aria a guisa di leggiera nube. Ed eccomi sulla soglia del gran palazzo. La guida mi aveva accompagnato.
– Che cosa c’è qui dentro? le chiesi.
– Entra, visitalo e vedrai. In fondo, in una sala, troverai chi ti ammaestrerà.
La guida scomparve ed io rimasto solo e guida a me stesso, entrai nel portico, salii le scale, e fui in un appartamento veramente regale. Percorsi sale spaziose, camere ricchissime di ornamenti e lunghi corridoi. Io andava con preternaturale velocità. Ogni sala brillava con sfarzo di tesori sorprendenti, e con quella velocità percorsi tante camere che non mi fu possibile numerarle. Ma la cosa più mirabile era questa. Per correre colla rapidità del vento non muoveva i piedi, ma sospeso in aria colle gambe unite, strisciava senza fatica come sopra un cristallo, ma senza toccare il pavimento. Così passando di uno in altro appartamento, vidi finalmente in fondo ad un corridoio una porta. Entrai e mi trovai in una gran sala, sovra ogni altra magnifica. Alla sua estremità, sopra un seggiolone, scorsi maestosamente seduto un Vescovo, in atto di chi aspetta per dare udienza. Mi avvicinai con rispetto e restai preso da somma meraviglia nel riconoscere in quel prelato un mio intimo amico. Era Monsignor * … (e ne fece il nome), Vescovo. di * morto due anni fa. Pareva che nulla soffrisse. Il suo aspetto era florido, affettuoso e di tale bellezza che non si può esprimere.
– Oh Monsignore! È qui lei? gli dissi con grande gioia.
– Non mi vedete? rispose il Vescovo.
– Ma come va? È ancor vivo? Non è morto?
– Sì, che sono morto.
– E se è morto, come è seduto qui, così florido e benestante? che, per carità, se fosse ancor vivo, lo dica, altrimenti saremo nei pasticci. A *… vi è già un altro Vescovo, Monsignor e come sbrigheremo quest’affare?
– State tranquillo, non datevi fastidio, che io son morto…
– Alla buon’ora, perché altrimenti vi era un altro al suo posto.
– Lo so. E voi D. Bosco siete morto o vivo?
– Io sono vivo: non vede che son qui in corpo e anima?
– Qui non si può venire col corpo.
– Eppure ci sono.
– Sembra a voi di esservi, ma non è così…
E qui io mi affrettava a parlare facendo domande su domande senza che ottenessi nessuna risposta:
– Come, diceva io, può essere che io vivo sia qui con Lei che è già morto? – E aveva paura che il Vescovo sparisse; perciò presi a supplicarlo:
– Monsignore, per carità non mi sfugga. Ho tante cose da sapere.
Il Vescovo vedendomi così ansioso:
– Non vi affannate tanto, disse: state calmo, non dubitate, non fuggirò; parlate!
– Mi dica, Monsignore! È salvo?
– Guardatemi; osservate come son vegeto, fresco, risplendente.
Il suo aspetto mi dava veramente certa speranza che egli fosse salvo; ma di ciò non contentandomi, replicai:
– Mi dica Lei, se è salvo, sì o no?
– Sì, sono in luogo di salvamento.
– Ma è in Paradiso a godere il Signore, oppure in Purgatorio?
– Sono in luogo di salvezza, ma Dio non l’ho ancora visto ed ho bisogno che ancora preghiate per me.
– E quanto tempo avrà ancora da stare in Purgatorio?
– Guardate qui!
E mi porse una carta, soggiungendo:
– Leggete!
Io presi in mano quella carta, l’osservai attentamente, ma nulla vidi di scritto e dissi:
– Io non ci vedo niente.
– Guardate quello che v’è scritto: leggete!
– Ho guardato e guardo, ma non posso leggere, perché qui sopra non è scritto niente!
– Guardate meglio.
– Vedo una carta a fiorami rossi, cerulei, verdi, violetti, ma di caratteri non ne vedo alcuno.
– Sono cifre!
– Non vedo né cifre né numeri.
Il Vescovo guardò quella carta che io teneva nelle mani e poi disse:
– Lo so ancor io perché non capite; mettete la carta al rovescio. – Io esaminai il foglio con maggiore attenzione, lo rivolsi per ogni verso, ma né al rovescio, né al diritto potei leggere. Solamente mi parve di vedere che fra i giri e rigiri di quei disegni fiorati vi fosse il numero “2”.
Il Vescovo continuò:
– Sapete perché bisogna leggere al rovescio? Perché i giudizi del Signore sono diversi a quelli del mondo. Ciò che dagli uomini si crede sapienza è stoltezza appo Dio.
Non osai insistere per una spiegazione più chiara e dissi:
– Monsignore, procuri di non scapparmi: voglio domandare altre cose.
– Domandate pure: ascolto.
– Io mi salverò?
– Sperate.
– Ma non mi tenga in pena; mi dica subito se mi salverò.
– Non lo so!
– Almeno mi dica se io sono o non sono in grazia di Dio.
– Non lo so.
– Ed i miei giovani si salveranno?
– Non lo so.
– Ma, di grazia, la supplico, me lo dica.
– Avete studiato Teologia e quindi potete sapere e farvi la risposta da voi stesso.
– Come? è in luogo di salvezza, e non sa queste cose?
– Ecco: il Signore le fa conoscere a chi vuole: e quando vuole che sia comunicata questa scienza, ne dà l’ordine e il permesso. Altrimenti nessuno può comunicarla a coloro che vivono ancora.
Io era agitato da viva smania di sempre chiedere e chiedeva in fretta per timore che Monsignore si ritirasse:
– Ora mi dica qualche cosa da riportare ai giovani da parte sua.
– Voi lo sapete, quanto lo so io, che cosa hanno da fare. Avete la Chiesa, il Vangelo e le altre Scritture che vi dicono tutto. Dite loro che salvino l’anima, perché il resto a nulla giova.
– Ma lo sappiamo già che dobbiamo salvar l’anima. Ma come dobbiamo fare a salvarla? Mi dia un avviso speciale per poterla salvare, che ci faccia ricordare di lei. Io lo ripeterò ai giovani a nome suo.
– Dite loro che si facciano buoni e siano obbedienti.
– E chi non le sa queste cose?
– Dite loro che siano modesti e che preghino.
– Ma si spieghi più praticamente.
– Dite loro che si confessino sovente e facciano buone comunioni.
– Qualche cosa di più speciale ancora.
– Ve la dirò, giacché la volete. Dite loro che hanno davanti agli occhi una nebbia e quando uno fosse giunto a veder questa nebbia è già a buon punto. Che tolgano questa nebbia, come si legge nei salmi: Nubem dissipa.
– Che cosa è questa nebbia?
– Sono tutte le cose del mondo, che impediscono di vedere le cose celesti come sono.
– E come debbono fare a togliere questa nebbia?
– Considerino il mondo come è: mundus totus in maligno positus est (tutto il mondo sta in potere del Maligno, Gv 5,19); e allora salveranno l’anima; non si lascino ingannare dalle apparenze del mondo. I giovani credono che i piaceri, le gioie, le amicizie del mondo possano renderli felici e quindi non aspettano che il momento di goder di questi piaceri; ma si ricordino che tutto è vanità ed afflizione di spirito. Si assuefacciano a vedere le cose del mondo non come sembrano, ma come sono.
– E questa nebbia da che cosa principalmente è prodotta?
– Siccome la virtù che splende di più in paradiso è la purità, così l’oscurità e la nebbia è prodotta principalmente dal peccato dell’immodestia e dell’impurità. È come un nero nuvolone densissimo che toglie la vista e impedisce ai giovani di vedere il precipizio al quale vanno incontro. Dite loro adunque che conservino gelosamente la virtù della purità, perché quelli che la possederanno, florebunt sicut lilium in civitate Dei (fioriranno come il giglio nella città di Dio).
– E che cosa ci vuole per conservare la purità? Lo dica, che io lo annunzierò ai miei cari giovani da parte sua.
– È necessario: Ritiratezza, obbedienza, fuga dell’ozio e preghiera.
– E poi?
Preghiera, fuga dell’ozio, obbedienza, ritiratezza.
– E niente altro?
Obbedienza, ritiratezza, preghiera e fuga dell’ozio. Raccomandate loro queste cose che bastano.
Io voleva ancora domandare tante cose, ma più nessuna mi veniva alla memoria. Quindi appena il vescovo ebbe finito di parlare, tutto smanioso di raccontarvi quegli avvisi, lasciai in fretta quella sala e corsi all’Oratorio. Volava colla rapidità del vento ed in un istante mi trovai alla porta dell’Oratorio. Quando fui lì mi sono arrestato e pensava: – Perché non mi sono fermato di più col Vescovo di * …? Avrei avuti ancora migliori schiarimenti! Ho fatto male a lasciarmi sfuggire una così bella occasione! Avrei imparato tante altre belle cose!
E subito ritornai indietro colla stessa rapidità, colla quale ero venuto e coll’ansietà di non più ritrovar Monsignore. Entrai di nuovo in quel palazzo ed in quella sala.
Ma quale cambiamento era avvenuto in quei brevi istanti! Il Vescovo, pallidissimo come cera, era steso sul letto, sembrava un cadavere; gli spuntavano sugli occhi le ultime lacrime: era in agonia. Solo ad un leggero movimento del petto scosso dagli estremi aneliti, si accorgeva che era ancor vivo. Io mi accostai a lui affannoso:
– Monsignore, che cosa è avvenuto?
– Lasciatemi! mi rispose con un gemito.
– Monsignore, avrei ancora molte cose da domandare.
– Lasciatemi solo; soffro troppo.
– Ma che cosa posso fare per lei?
– Pregate e lasciatemi andare.
– Dove?
– Dove la mano onnipotente di Dio mi conduce.
– Ma, Monsignore, la supplico, mi dica dove?
– Soffro troppo, lasciatemi.
– Ma almeno mi dica; che cosa posso fare per lei? io ripeteva.
– Pregate.
– Ancora una sola parola: Ha nessuna commissione che io possa eseguire nel mondo? Mi lascia nulla da dire al suo successore?
– Andate dall’attuale Vescovo di *… e ditegli da parte mia questo e questo.
Le cose che mi disse non fanno per voi, o miei cari giovani, e quindi le tralasciamo.
Il Vescovo proseguì ancora: – E poi dite alle tali e tali persone queste e queste altre cose segrete!
(Anche di queste commissioni D. Bosco tacque; ma così le prime come le seconde sembra che riguardassero ammonimenti e rimedii da apprestarsi per certi bisogni di quella diocesi).
– E niente altro? io continuai.
– Dite ai vostri giovani che loro io ho voluto sempre molto bene, che finché ero in vita ho sempre pregato per loro e che anche adesso mi ricordo di loro. Ora essi preghino per me.
– Stia sicuro lo dirò e cominceremo subito a fare suffragi per lei. Ma lei appena sarà in paradiso si ricordi di noi.
Il Vescovo aveva preso intanto un aspetto ancor più sofferente. Era uno strazio il vederlo. Pativa assai! Era un’agonia delle più angosciose.
– Lasciatemi, mi disse ancora, lasciatemi che io vada dove il Signore mi chiama.
– Monsignore! Monsignore! – io andava ripetendo stretto da indicibile compassione.
– Lasciatemi! lasciatemi! – Sembrava spirasse; e una forza invisibile lo trasse di là nelle stanze più interne, sicché disparve.
Io, a tanto soffrire, spaventato e commosso mi volsi per tornare indietro, ma avendo urtato per quelle sale con un ginocchio in qualche oggetto, mi svegliai e mi trovai in mia camera e a letto.
Come vedete, o giovani, questo è un sogno come tutti gli altri sogni e per ciò che riguarda voi non ha bisogno di spiegazioni, perché sia inteso da tutti.

            D. Bosco concludeva il racconto col dire:
            In questo sogno ho imparato tante cose intorno all’anima e al Purgatorio, quante e come prima non era mai arrivato a capire; e le vidi così chiare che non le dimenticherà mai più.
Così finisce la narrazione delle nostre Memorie.

In due quadri distinti pare che il Venerabile abbia inteso esporre lo stato di grazia delle anime purganti e le loro sofferenze espiatorie. Egli non fece commenti sullo stato di quel buon Vescovo. Del resto da rivelazioni degnissime di fede e da attestazioni dei Santi Padri si conosce che personaggi di santità consumata, gigli di purità verginale, ricchi di meriti, operatori di miracoli, e che ora noi veneriamo sugli altari, per difetti leggerissimi, un tempo anche lungo dovettero rimanere in Purgatorio. La Giustizia Divina vuole che, prima di entrare in cielo, ognuno paghi fino all’ultimo contante i suoi debiti.
Noi che scriviamo, avendo chiesto tempo dopo a Don Bosco se avesse eseguite le commissioni ricevute da quel Vescovo, con quella confidenza della quale ci onorava, lo udimmo rispondere:
– Sì, ho eseguito fedelmente il mio mandato!
Osserveremo ancora che il raccoglitore omise una circostanza del sogno, che noi ricordiamo, forse perché allora non ne intendeva il senso o l’importanza. D. Bosco aveva chiesto in un certo punto quanto tempo ancora avrebbe avuto da vivere e il Vescovo gli aveva presentata una carta coperta di ghirigori, intrecciati, pareva, con degli 8, ma non ebbe spiegazioni del mistero… Che indicasse il 1888?
(MB VIII, 853-859)