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Abbiamo intervistato don Rafael Bejarano Rivera, salesiano colombiano, eletto Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile nel marzo 2025. Don Rafael condivide il suo percorso vocazionale nato dall’incontro con i salesiani nella scuola di Cali, dove ha scoperto uno stile di vita gioioso e vicino ai giovani. Con un’esperienza significativa nelle opere sociali, particolarmente a Ciudad Don Bosco di Medellín dove ha accolto ragazzi provenienti da gruppi armati, don Rafael evidenzia le sfide attuali dei giovani: violenza, dipendenze, mancanza di opportunità e bisogno di riconoscimento. Il suo messaggio centrale invita i giovani a non smettere di sognare, a prendersi cura di sé stessi e degli altri, specialmente dei più vulnerabili e invisibili, seguendo l’insegnamento di Don Bosco che ogni giovane porta dentro un tesoro unico da condividere.
Puoi farci una autopresentazione?
Mi chiamo Rafael Bejarano Rivera e sono un salesiano di Don Bosco. Sono nato il 1° dicembre 1977 a Buga, in Colombia, e sono il secondo di tre figli di Carlos Humberto e Dioselina. Ho conosciuto i salesiani da ragazzo, frequentando la scuola San Juan Bosco a Cali. Ho compiuto il pre-noviziato a Rionegro nel 1995, il noviziato a La Ceja nel 1996 e il 24 gennaio 1997 ho emesso la mia prima professione religiosa. Ho emesso la professione perpetua a Medellín nel 2003 e sono stato ordinato sacerdote a Cali il 2 dicembre 2006.
Ho studiato filosofia e teologia all’Universidad Pontificia Bolivariana di Medellín e alla Pontificia Universidad Javeriana di Bogotá; ho poi conseguito un master in Gestione delle imprese sociali. Ho ricoperto incarichi di coordinamento e gestione in varie opere sociali e giovanili in Colombia, in particolare a Ciudad Don Bosco a Medellín. Dal 2020 al 2025 ho collaborato con il Settore Pastorale Giovanile presso la Casa Generalizia a Roma, dove mi sono occupato principalmente del coordinamento di progetti e servizi per giovani in situazioni di vulnerabilità ed emarginazione. Nel marzo 2025, durante il 29° Capitolo Generale, sono stato eletto Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile.
Qual è la storia della tua vocazione? Come hai conosciuto Don Bosco / i salesiani?
Ho conosciuto Don Bosco grazie alla scuola salesiana e al contatto quotidiano con i salesiani. In quell’ambiente ho sperimentato uno stile di vita cristiano diverso: gioioso, vicino ai giovani e animato da una forte passione educativa. È stato proprio questo modo di vivere il Vangelo che ha acceso in me la domanda vocazionale e il desiderio di consacrare la mia vita ai giovani come salesiano.
Quali sono stati i momenti o le persone decisive nel tuo percorso di discernimento?
Numerosi educatori e confratelli salesiani che mi hanno accompagnato fin da ragazzo sono stati fondamentali nel mio cammino. In loro ho trovato testimoni autentici di fede e di amore per i giovani.
A questo si aggiungono altri elementi che hanno segnato la mia crescita: l’ambiente familiare, il clima positivo della scuola e l’influenza di mio zio, religioso claretiano, che ha svolto un ruolo molto importante nella mia vita.
Determinante è stato anche l’incontro con i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice nella mia città. Attraverso l’oratorio locale ho sperimentato la gioia di accompagnare i ragazzi nelle loro necessità, mentre l’MGS è stato lo spazio dove la mia vocazione ha preso forma, permettendomi di accompagnare gruppi diversi e di vivere la spiritualità giovanile salesiana come scelta di vita.
Quali sono state le principali sfide e le maggiori gioie nel tuo percorso di formazione e nei primi anni di salesiano?
Una delle sfide più grandi è stata imparare a vivere in equilibrio tra vita comunitaria, studio e impegno pastorale. Non sempre è stato facile mantenere i ritmi, ma questo percorso mi ha insegnato molto. Un’altra grande sfida è stata lavorare in contesti sociopolitici complessi, trasformando quell’impegno in un’azione vocazionale ed evangelizzatrice. Sono convinto che l’impegno sociopolitico faccia parte integrante della missione salesiana.
La gioia più grande, invece, è stata scoprire che il Signore mi chiamava davvero a vivere per i giovani e vedere che la mia presenza poteva diventare per loro un segno di speranza. Un’emozione unica è stata constatare come i ragazzi, specialmente nelle opere sociali, riuscissero a reinserirsi nelle loro famiglie e nella società. Come Don Bosco, ho sperimentato la bellezza di costruire alleanze a livello politico e istituzionale per il bene comune.
La gioia più bella e la fatica più grande del tuo ministero
La gioia più grande è vedere giovani che, dopo esperienze di dolore ed esclusione, ritrovano fiducia, riprendono a studiare e lavorare, si reinseriscono nella società e tornano a sorridere. La fatica maggiore è affrontare le ferite profonde che molti portano dentro e accettare che non sempre abbiamo a disposizione tutte le risorse o le risposte immediate.
In quali aspetti della tua giornata senti più vivo il carisma salesiano?
Sento vivo il carisma salesiano quando sono con i giovani, quando ascolto le loro storie, quando condivido con i confratelli momenti di fraternità e quando accompagno percorsi educativi e pastorali. L’oratorio, la scuola e le opere sociali restano per me i luoghi privilegiati in cui oggi riconosco la presenza di Don Bosco.
Quali sfide vedi oggi nell’accompagnare i giovani, e quali strumenti salesiani ti sembrano ancora efficaci?
Le sfide odierne sono molte: la violenza, le dipendenze, le difficoltà legate alla salute mentale, la mancanza di opportunità, la scarsa fiducia in sé stessi e nel futuro. Gli strumenti salesiani che rimangono attuali e fecondi sono il Sistema Preventivo, l’accompagnamento personale, l’oratorio come casa accogliente e la comunità educativa. Ancora oggi la vicinanza, la ragione e l’amorevolezza sanno parlare al cuore dei giovani.
Potresti condividere un’esperienza particolarmente significativa con i giovani o nella tua missione?
Un’esperienza molto significativa per me è stata quella vissuta a Ciudad Don Bosco di Medellín, dove abbiamo accolto ragazzi provenienti dai gruppi armati. Osservare la loro trasformazione, passo dopo passo, dalla paura alla speranza, dall’isolamento all’amicizia, è stato uno dei doni più preziosi del mio ministero.
Quali sono le pratiche di preghiera o devozioni che trovi più significative per te?
Il centro della mia giornata è l’Eucaristia, insieme alla preghiera comunitaria. Trovo grande forza anche nella devozione a Maria Ausiliatrice e nella meditazione personale della Parola di Dio, che mi guida nelle decisioni quotidiane. Un posto speciale occupa la confessione: sia a livello personale, sia nell’accompagnamento dei giovani, è per me un’esperienza di grazia. Vedere i loro volti illuminarsi di gioia dopo l’incontro con Cristo mi dona pace e serenità profonda.
Quali sono le necessità più urgenti dei giovani?
Oggi i giovani hanno bisogno prima di tutto di opportunità concrete di studio e di lavoro, ma anche di sentirsi protetti dalla violenza e dagli abusi. Hanno bisogno di essere ascoltati e accompagnati, specialmente nelle loro domande più profonde. Soprattutto, hanno bisogno di essere riconosciuti e visti: troppi giovani vulnerabili, che vivono ai margini, restano invisibili. La sfida urgente è ridare loro dignità e far sentire che hanno un posto nella società e nella Chiesa. È fondamentale aiutarli a prendersi cura di sé, a riconoscere il proprio valore e la propria unicità, così da diventare capaci, a loro volta, di prendersi cura degli altri.
Come vedi il futuro? Hai qualche progetto che ti sta particolarmente a cuore?
Il futuro ci interpella con coraggio e creatività. Come Consigliere Generale, sento la responsabilità di rafforzare la rete delle opere salesiane, promuovere una pastorale giovanile capace di rispondere alle sfide di oggi e accompagnare i giovani a essere protagonisti nella Chiesa e nella società. Il progetto che porto più nel cuore è quello di dare voce e visibilità ai giovani più vulnerabili, coloro che spesso non vengono ascoltati. Desidero aiutarli a riconoscere la loro dignità, a formarsi e a ricostruire la fiducia in sé stessi. Credo, inoltre, che anche noi salesiani dobbiamo prenderci cura di noi stessi: solo chi sa accogliere e custodire con amore la propria fragilità può donarsi in profondità agli altri.
Qual è il messaggio più importante che lasceresti a un giovane che si interroga sul senso della vita o sulla fede?
Direi loro: non abbiate paura delle vostre domande. La vita acquista senso quando impariamo a donarci, ma questo dono diventa autentico solo se prima impariamo a guardarci dentro e a prenderci cura di noi stessi. La fede non elimina le fragilità, ma le illumina e le trasforma in una forza al servizio degli altri. Il mondo ha bisogno di giovani capaci di accorgersi di chi è escluso, di ridare voce a chi non ce l’ha, di restituire speranza a chi l’ha persa. Se imparerai ad accogliere e ad amare te stesso, sarai libero di accogliere gli altri con autenticità e generosità.
Qual è il messaggio che vorresti trasmettere ai giovani di oggi?
Vi invito a non smettere mai di sognare e a non lasciare che nessuno vi rubi la speranza. Formatevi con impegno, coltivate amicizie autentiche, siate protagonisti della vostra vita e abbiate il coraggio di trasformare il mondo con il bene. Soprattutto, imparate ad avere occhi e cuore per chi è invisibile, per chi è scartato o dimenticato. Prendetevi cura di voi stessi — dei vostri sogni, delle vostre ferite, dei vostri talenti — perché solo così potrete prendervi cura degli altri con generosità. Don Bosco ci ha insegnato che ogni giovane porta dentro di sé un tesoro unico: scopritelo, condividetelo e mettetelo a servizio degli altri, perché il mondo diventi un luogo in cui tutti possano sentirsi amati e riconosciuti.

