Tempo per lettura: 12 min.
La figura di Vera Grita, umile maestra ligure e Salesiana Cooperatrice, brilla come testimonianza di pace nel cuore del Novecento ferito dalla crisi, dalla guerra e dalle contestazioni sociali. Segnata nel corpo da gravi malattie e dalle conseguenze di un bombardamento, Vera imparò a vivere ogni sofferenza come offerta d’amore unita a Gesù Eucaristia e alla Vergine Maria. Così, nella famiglia, nella scuola, in ospedale e nell’esperienza mistica che la condusse all’Opera dei Tabernacoli Viventi, divenne presenza silenziosa ma operosa di riconciliazione, di misericordia e di speranza. Ripercorriamo il cammino di questa “donna di pace”, lasciandoci guidare dalla sua parola semplice e forte e dal Vangelo vissuto nella quotidianità.
Una vita provata
La vita di Vera Grita si svolse nel breve arco di tempo di 46 anni segnati da eventi sociali drammatici quali la grande crisi economica del 1929-1930 e la Seconda guerra mondiale. Era nata a Roma il 28 gennaio 1923, secondogenita di quattro sorelle. La grande crisi economica del’29-30, causò un dissesto economico in molte famiglie, compresa quella di Vera che in quel frangente si trasferì da Roma a Savona. La vita di Vera si concluse poi alle soglie di un altro evento storico importante: la contestazione del 1968, che ebbe ripercussioni profonde a livello sociale, politico e religioso, sia in Italia che in molte altre Nazioni.
Ma fu la Seconda guerra mondiale con il bombardamento su Savona del 1944 che arrecò un danno irreparabile che condizionò la salute di Vera per il resto della sua vita. Vera venne infatti travolta e calpestata dalla folla che, in fuga, cercava riparo in una galleria-rifugio situata vicino al Distretto militare dove Vera lavorava come ausiliaria. La medicina chiama sindrome da schiacciamento le conseguenze fisiche che si verificano in seguito a bombardamenti, terremoti, crolli strutturali, a causa dei quali un arto o tutto il corpo vengono schiacciati. Per lo schiacciamento, Vera riportò lesioni lombari e dorsali che crearono danni irreparabili alla sua salute, con febbri, mal di testa, pleuriti e favorendo l’insorgenza della tubercolosi che colpì i vari organi interni senza prospettive di guarigione. Vera aveva 21 anni quando iniziò la sua “Via Crucis” che durò fino alla sua morte, alternando al lavoro come maestra nelle scuole elementari, lunghi ricoveri ospedalieri. A 32 anni le venne diagnosticato il morbo di Addison che la consumerà debilitando ulteriormente il suo organismo, arrivando a pesare solo 40 chili. Morì a Pietra Ligure il 22 dicembre 1969 in un reparto dell’Ospedale Santa Corona, dopo 6 mesi di degenza e subendo alcuni interventi chirurgici.
Vera e l’Opera dei Tabernacoli Viventi
Non fu pertanto una vita facile quella di Vera. Portò nel suo corpo, nella sua carne i segni della guerra ma il suo cuore era rivolto e si affidava al Dio della Pace, Gesù Cristo, Principe della Pace. La sua storia infatti evidenzia come ella abbia attraversato gli eventi difficili della sua vita affrontandoli con la forza della fede nella Vergine Maria ed in Gesù Cristo realmente presente nella santissima Eucaristia. Infatti, a pochi mesi dall’inizio della sua esperienza mistica, (settembre 1967) che la portò a scrivere l’Opera dei Tabernacoli Viventi, Gesù le diceva: “A te, figlia mia, a te che soffri e gemi sotto il peso schiacciante della tua fragilità, a te la mia forza ogni giorno di più” (1° gennaio 1968). Non bastano infatti le sole qualità umane, sia pure non comuni, per restare indenni dalle conseguenze negative che una vita segnata dalla continua sofferenza fisica, può lasciare a livello psicologico, morale e spirituale, ma serve la maturazione personale nel Mistero della Croce, nel Mistero dell’Eucaristia che introduce il credente nella dinamica del dono di sé al Padre in unione a Gesù crocifisso e risorto per essere a propria volta trasformati in dono per i bisogni del prossimo e della Chiesa, animati e mossi dalla presenza del Dio vivo in noi.
Donna di pace nella scuola
Proprio perché Vera fu un’anima profondamente eucaristica e mariana, fu donna di pace in tutte le circostanze della sua vita: in famiglia, a scuola, in ospedale durante i suoi lunghi ricoveri, testimoniando così una fedeltà eroica a Gesù Cristo ed al suo amore per tutte le creature. Fedeltà che, al termine della sua vita, il Signore ripagò donandole il nome nuovo: Vera di Gesù. “Ti ho donato il mio Nome santo, e d’ora in poi ti chiamerai e sarai ‘Vera di Gesù” (3 dicembre 1968). Non che siano mancate in Vera le lotte interiori, le fatiche a causa della sua fragilità fisica, i timori di soccombere e naufragare sotto il peso della sua sofferenza e dei limiti che questa le imponeva, ma di tutto ciò aveva fatto un dono a Gesù attraverso la Santa Messa cui cercava di partecipare quotidianamente, quando possibile. Ne sono testimonianza le lettere che Vera scrisse al sacerdote salesiano don Bocchi dal 1965 al 1969. Nella loro semplicità e immediatezza di linguaggio, le lettere gettano infatti un raggio di luce sulle sue lotte interiori soprattutto quando sentiva una umana e istintiva ribellione per le ingiustizie subite nella scuola o in famiglia. Ma bastava una parola del sacerdote, una sua semplice cartolina con il volto di don Bosco inviata a Vera, per riportarla al centro della sua vita donata, per amore, a Gesù e, superata la tempesta interiore, Vera ritornava la donna di pace, poiché pacificata nel cuore. Vediamo un esempio. Nell’anno scolastico 1966-67 le era stata assegnata la sede scolastica di Carbuta, frazione di Calice Ligure, ubicata in una zona collinare, priva di servizi di linea. Vera, ricoverata in ospedale durante il mese di ottobre e metà novembre, aveva fatto richiesta di cambiare sede, data la reale difficoltà a raggiungere la scuola a piedi, difficoltà aggravata dalle sue condizioni di salute, ma tale richiesta le era stata rifiutata. Vera visse questo rifiuto come una grave ingiustizia e provava una ribellione interiore. Così scriveva a don Bocchi: “… dopo la rinuncia alla Sua illuminante guida, [a causa del trasferimento del Sacerdote da Savona a Sampierdarena] mi sono ancora una volta trovata nella solitudine spirituale, resa più penosa forse dalle tribolazioni di ordine morale e fisico… Tutto mi pesava: degenza in S. Corona, cure abbastanza dolorose, profilo scolastico disagiato (andrò a Carbuta, frazione di Calice L.). La mia natura, tanto fragile, si è ribellata più volte specie di fronte all’ingiustizia mentre andavo dimenticando il mio posto nel pensiero di Gesù (piccola vittima). Ma, una sera, attraverso la sua cartolina, è ritornato S. G. Bosco a rammentarmi… (Savona 24 novembre 1966). Nella lettera del 20 dicembre 1966 da Corbuta così scriveva: “le lotte che ho sostenute per ottenere la sede di Calice, col 1° gennaio riammessa, erano per me giuste. Ma i Superiori hanno disposto diversamente… Ora che sono rientrata in me stessa, la luce di Dio è ritornata. Chi si offre con Gesù deve saper rinunciare. Questo avevo dimenticato ancora una volta. Ora c’è una gran pace in me, ora ne sono contenta perché sento che Lui mi tiene a Sé. Dopo la S. Comunione, attraverso il Vangelo, così mi ha parlato «…se io, Maestro, lavo i piedi a voi, maggiormente dovete farlo voi…». Ed io meditavo: «se io, Gesù, ti perdono sempre, perdona sempre chi ritieni sia per te causa di rinuncia o di ingiustizia»”.
La dirigente scolastica di Carbuta nel rapporto annuale informativo di quell’anno, così si esprimeva su Vera: “Alla ripresa del servizio (dopo il ricovero di un mese in ospedale) ha affrontato con tenace volontà il disagio di una scuola ubicata in zona collinare priva di servizi di linea. Buona e sensibile, partecipa con sollecitudine alla vita della scuola, degli alunni e delle loro famiglie che avvicina con cordialità. Con singolare fervore ha curato la formazione e lo sviluppo delle singole personalità degli alunni. Sostenuta da vivissima fede religiosa è capace di sacrificio, di lavoro sereno, di introspezione”. La ribellione interiore per l’ingiustizia subita, donata a Gesù, sostenuta dalla preghiera confidenziale e fiduciosa è stata trasformata dalla Grazia in “tenace volontà”, in nuova forza per affrontare il sacrificio.
Donna di pace in famiglia
Un altro episodio significativo lo troviamo in una lettera a don Bocchi del luglio 1967. Vera vive un forte conflitto affettivo nei confronti dei familiari, poiché, per il cambio della nuova casa dove la famiglia si è trasferita, per volontà soprattutto della madre, Vera non può più disporre del suo stipendio di maestra in quanto viene impegnato per pagare il riscatto della nuova casa. Vera scrive una lunga lettera-confessione a don Bocchi esponendogli lo stato della sua anima, le lotte interiori che sta affrontando, il buio nel quale si trova, la difficoltà ad accettare questo nuovo sacrificio che le è stato imposto, ma alla fine della lettera a trionfare in lei sarà l’amore per Gesù e, di riflesso l’amore per chi le stava accanto, i familiari, e Vera ritorna ad essere donna di pace. Riportiamo solo uno stralcio di questa lunga lettera: “… Ma adesso sono io che non so sottomettermi a questo nuovo stato di cose e situazioni difficili createsi in famiglia. Le spine sono enormi e io mi ribello, a volte sono sgomenta perché tutto mi ferisce cominciando da mia mamma. Davanti a me sento due vie aperte: una mi fa impazzire, l’altra… condurrebbe alla santità… Io chiedo la «Luce di Gesù» perché non riesco a camminare sola, nel buio, nelle mie miserie. Non posso, non ce la faccio, sento che mi perdo, che smarrisco l’anima mia… Oh, Padre, sapesse quanto la sento piangere, come agonizzare davanti a Gesù… [si riferisce all’anima]. Non voglio nulla, ma non mi lasci; cioè, non permetta ch’io Lo calpesti nel mio prossimo così vicino che è la mia famiglia. Oh, Padre, non riesco ad amarli più dopo aver compiuto il sacrificio più grande che potevo fare per loro (mi sono impegnata, finché vivo, a dare £ 35.000 mensili, oltre il mantenimento e cioè altre 30.000 per il riscatto di questa nuova casa). Altro non dico perché le ferite più cocenti le ho ricevute da mia mamma e queste hanno riaperto altre lontane… E in tutto ciò la mia mamma non si è resa e non si rende mai conto di nulla per sua natura. Di ciò non ne ha colpa quindi, mentre io sì… Il Signore mi ha fatto capire quale è la via: «dimenticarsi e dare; offrirsi senza chiedere; lasciarsi dominare perché io come io non devo essere…!». Ciò avviene con l’Amore, per mezzo dell’Amore, nel l’Amore di Gesù… Non posso più vivere senza Lui, non posso. Eppure, è lì nella SS. Eucaristia, è qui nel mio miserabile cuore, è nello squallore della mia anima. Ecco perché soffro se Lo deturpo (nell’amore suo divino riflesso nei miei familiari), se Lo soffoco, se Lo faccio tacere!”. Vera poi conclude la lunga lettera con queste parole: “Sento la pace di Gesù, sento che lui mi ha guidato in questo lungo scrivere. È sempre Gesù che mi affida a lei! Gloria a Te, o Signore! L’immagine di Maria Ausiliatrice sorride! L’aver potuto scrivere, l’aver vinto le forze contrarie e orrende che sono in me, sono il sorriso di Maria!”. (il corsivo è nostro). Questi due episodi riportati si riferiscono al periodo immediatamente precedente l’inizio dell’esperienza mistica di Vera (1966-’67).
Messaggera di pace per l’umanità
Dal settembre 1967, durante gli ultimi due anni della sua vita terrena, Vera visse una esperienza mistica nella quale Gesù Eucaristia le comunicò l’Opera dei Tabernacoli Viventi. Vera scrisse la sua esperienza spirituale in 13 Quaderni che sono custoditi presso l’Archivio della Diocesi di Savona. Nello stesso periodo, aveva scelto di far parte dell’Associazione dei Salesiani Cooperatori presente a Savona presso la Chiesa di Maria Ausiliatrice. Il Messaggio di amore, di misericordia e di salvezza per l’umanità intera di cui Vera è portavoce è così riassumibile: Gesù, Buon Pastore, va alla ricerca delle anime che si sono allontanate da Lui per donare loro perdono e salvezza, attraverso i suoi nuovi Tabernacoli Viventi. Attraverso Vera, Gesù cerca anime povere, semplici, disposte a mettere al centro della propria vita Gesù Eucaristia per lasciarsi trasformare in Tabernacoli Viventi, anime eucaristiche capaci di profonda vita di comunione e donazione a Dio e ai fratelli. I 13 Quaderni scritti da Vera sono stati pubblicati nel libro “Portami con te!” (Elledici 2017). Per volontà esplicita del Signore l’Opera dei Tabernacoli Viventi è stata affidata alla Congregazione Salesiana per la sua realizzazione e diffusione nella Chiesa.
Donna di pace, Vera fu portavoce di un Messaggio di misericordia e di pace per l’umanità, attraverso l’Opera dei Tabernacoli Viventi che via via Gesù Eucaristia le andava comunicando. Ecco il Messaggio nel quale vediamo come Gesù amplia gli orizzonti di pace vissuti da Vera fino a quel momento, nella famiglia, nella scuola, verso orizzonti che comprendono l’umanità intera soprattutto l’umanità ferita dalla guerra. Ascoltiamo quanto Gesù le comunica il 28 febbraio 1968: “Gesù. Ti chiamo al tuo compito. C’è un orizzonte lontano a cui io voglio arrivare per immergervi le mie Piaghe, per effondervi il mio Sangue: Sangue dell’Agnello Immacolato. Il mio Sangue deve essere versato dove c’è odio, rivalità, ambizioni. Gli uomini versano il loro sangue, sacrificano la loro vita, e l’odio non si spegne. Io, Gesù, andrò a visitare quei luoghi nella rovina, quegli uomini affranti. Io voglio donare anche a loro il Sangue dell’Agnello immacolato. Andremo davanti a Dio Padre e ci offriremo a Lui per la Pace fra i popoli. Se gli uomini hanno ordito le loro leghe per nutrire odi e scatenare guerre, se essi si combattono e si distruggono, Io ho pena, ho pena dei poveretti, degli infelici che soffrono le tirannie delle leghe. A questo voglio opporre la mia Lega di Amore. Sì, vi radunerò, anime mie benedette, intorno a Me, e voi in Me vi offrirete al Padre mio per la Pace fra i popoli, fra le Nazioni, fra le Genti. Voi sarete sempre il mio esercito d’Amore che voglio opporre all’esercito degli uomini: voi l’esercito che avanza in Me davanti al Padre mio, ed Io, quale Agnello Immacolato, voglio impetrare con voi, con la mia Lega d’Anime, la Pace, quale messaggio d’Amore agli umili, ai poveri, ai diseredati di beni, a coloro che amano e sperano in Me. I confini della Terra sono estesi, e tutti li comprendo e li contengo nella mia Misericordia. Io, Gesù, quale Dio e Padre, rivolgo la mia Voce al Mondo, ai Popoli, ai Fratelli. Io passerò presto a visitarvi da un capo all’altro della Terra, perché il mio messaggio d’Amore sia rivolto a tutti, perché le anime si rivolgano a Me che sono l’Autore della Vita. Passerà ancora la mia Vita tra voi, quale fremito d’amore e di Perdono… Io mi dono completamente a voi, e voi a Me, e insieme ci offriremo nell’Amore del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo. Sì, dono la mia Grazia in queste Parole: la Grazia di Gesù Eucaristia che vuole divenire il cibo di tutte le anime contenute nel mondo, l’alimento dell’anima, il conforto e la pace del mondo”.
Provata dalle diverse malattie Vera mantenne stabilità ed equilibrio interiori attraverso la sua unione con l’Agnello immolato, Gesù Eucaristia, ricevuto quando possibile quotidianamente. Fu pertanto la Santa Messa il centro della sua vita spirituale, dove, come “piccola goccia d’acqua”, ella si univa al vino per essere inseparabilmente unita all’Amore infinito, Gesù Cristo, che continuamente si dona, salva e sostiene il mondo. Pochi mesi prima di morire, il 6 settembre 1969, scriveva al padre spirituale, don Gabriello Zucconi: “Le malattie che mi porto dentro da più di venti anni sono degenerate, divorata dalla febbre e dai dolori in tutte le ossa, io sono viva nella Santa Messa”. Ancora: “Rimane la fiamma della S. Messa, la scintilla divina che mi anima, mi dà vita, poi il lavoro, i ragazzi, la famiglia, l’impossibilità di trovare (in casa mia) un posticino tranquillo ove isolarmi per pregare, ovvero la stanchezza fisica dopo la scuola”. (Lettera di Vera a don Borra del 13 maggio 1969).
Donna di pace e di riconciliazione
Vorrei concludere con uno sguardo su Vera, durante il suo ultimo ricovero presso l’Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure attraverso la testimonianza di una degente, Agnese, sua vicina di letto che Vera, donna di pace, aiutò a riconciliarsi con il Signore per ritrovare la pace e la serenità del cuore: “Conobbi Vera durante il suo ultimo ricovero a S. Corona nel ’69, essendo stata pur io degente nella stessa corsia per un breve periodo. In quella corsia erano ricoverate pazienti gravi e persone anziane. Ricordo tutt’ora il nostro primo incontro. Mi trovai di fronte una ragazza ancor giovane, bruna e magrissima, di media statura, con grandi occhi castano scuri espressivi e profondi, capelli pettinati a “coda di cavallo”, che subito mi fece sentire a mio agio sorridendomi confidenzialmente e semplicemente. Diventammo molto amiche. Ricordo che, agli inizi del nostro rapporto, notai in lei, nel suo comportamento ed in tutti i suoi atteggiamenti alcune peculiarità che considerai, molto affrettatamente, come contraddizioni del suo carattere. Ad esempio, sembrava che desse troppa importanza agli altri, mentre non mi appariva preoccupata per l’esito della sua malattia. Curava molto il suo aspetto esteriore non per ambizione, ma per vero e proprio rispetto della sua persona e nonostante le gravi sofferenze che la malattia le procurava, non l’ho mai sentita lamentarsi del suo stato. Dava sollievo e speranza a tutti quelli che avvicinava e quando parlava del suo futuro, lo faceva con entusiasmo e coraggio. Amava molto il suo lavoro di insegnante, che sperava di riprendere in un paesino sopra Varazze, ed amava moltissimo i giovani. Ciononostante, mi confidò anche, molto umanamente, alcune sue disavventure e delusioni ma lo fece con tanta misura ed umiltà, che rammento, mi impressionarono. D’allora vidi Vera con altri occhi ed incominciai a capire…Il suo grande ed unico amore che, secondo me, ogni ragazza nasconde nel cuore, non era quello terreno. Fatta questa scoperta, per me Vera non ebbe più segreti e la nostra amicizia divenne molto più profonda e quando mi chiese di recitare con lei il S. Rosario, lo feci con molta spontaneità. Altrettanto semplice e naturale mi fu il confidarle che da quattro anni non ricevevo l’Eucaristia, perché non mi sentivo nelle condizioni materiali e spirituali adatte per accostarmi a Gesù. Lei mi disse: «Ricevi Gesù, non lo perdere. Mi assumo io per te, davanti a Lui, ogni responsabilità». E ritrovai, con l’aiuto del Cappellano dell’Ospedale che mi confessò, la gioia del perdono che dà tanta pace. Vera aveva un unico scopo nella vita, finalmente compresi, ed era quello di fare sempre la volontà di Dio con amore e gioia. Spesso dai suoi cari riceveva tante cose buone, che regolarmente divideva con noi della sua corsia. Ricordo, era la fine di ottobre, quando Vera ricevette dalla famiglia un bellissimo grappolo di uva fuori stagione: lei lo divise in tante piccole parti che ci fece trovare a colazione sui nostri comodini. Ciò che dell’episodio mi colpì, fu il distacco che dimostrò nel ricevere il dono in netta contrapposizione con l’evidente piacere che provava nel dividerlo con gli altri. Mio marito che spesso veniva a trovarmi era diventato pure lui, grande amico di Vera e ricorda, ancor oggi, con emozione, un episodio che, seppure potrebbe apparire insignificante, è invece, per noi, un segreto importante da custodire nei nostri cuori e se lo racconto è perché, in perfetta buona fede, credo di dare testimonianza di Vera come persona che Gesù ha voluto nel mondo, ma non di questo mondo. Vera, ormai operata, giaceva nel suo letto, quando Guido s’accorgeva ch’era importante rimuoverle il copriletto e le lenzuola da sopra le gambe per darle un po’ di sollievo. Nel compiere l’operazione le si scoprono involontariamente gli arti inferiori. Allora Vera, molto sofferente, quasi al limite della sopportazione, ha avuto ancora il coraggio e lo spirito di farci sorridere: «Non guardarmi le gambe, Guido!…», infatti lei esclamò, con un certo humor e così ci tolse immediatamente dal disagio. Intanto io, passando una mano sotto il cuscino per ricomporlo, avvertivo la presenza di un crocifisso di legno…Ed ecco com’era Vera, per mio marito e me: una persona di grande umanità e, nello stesso tempo, una persona molto…molto…ma molto vicina al Cristo Crocifisso. Noi continuiamo a sentire Vera viva e vicina… Sentiamo che c’è, che esiste e che ora, più di prima, è presente in mezzo a noi. Una notte, in un bruttissimo periodo della mia vita, mentre dormo, Lei mi appare e mi parla a lungo ed al mattino, al mio risveglio, affronto il nuovo giorno con una serenità che da tempo non possedevo più. Anche mio marito si rivolge spesso a Lei nella preghiera e le parla come se fosse viva”.
Due mesi dopo il 22 dicembre Vera lasciò la vita terrena per unirsi definitivamente al suo Sposo e Principe della Pace, Gesù Cristo nostro Signore.
Maria Rita Scrimieri
Presidente della Fondazione Vera Grita e don G. Zucconi, sdb

