25 Set 2025, Gio

San Francesco di Sales fondatore di una nuova scuola di perfezione

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            Per Francesco di Sales la vita religiosa è «una scuola di perfezione», nella quale uno «si consacra in modo più semplice e più totale a Nostro Signore». «La vita religiosa – aggiunge il fondatore della Visitazione – è una scuola dove ognuno deve imparare la lezione: il maestro non richiede che l’allievo sappia ogni giorno la lezione senza sbagliare, è sufficiente che si impegni a fare quanto può per impararla». Parlando della congregazione della Visitazione da lui fondata, usava lo stesso linguaggio: «La congregazione è una scuola»; vi si entra «per incamminarsi verso la perfezione dell’amore divino».
            Spettava al fondatore formare le sue figlie spirituali, ricoprendo il ruolo di «istitutore» e maestro delle novizie. Lo ha svolto in modo eccellente. Secondo T. Mandrini, «san Francesco di Sales occupa nella storia della vita religiosa un posto di primo ordine, come sant’Ignazio di Loyola; possiamo anzi affermare che nella storia della vita religiosa femminile san Francesco di Sales occupa quel posto che sant’Ignazio tiene nella storia della vita maschile».

Giovanna di Chantal alle origini della Visitazione
            Nel 1604, Francesco di Sales incontrò a Digione, dove stava predicando il quaresimale, la donna che stava per divenire la «pietra fondamentale» di un nuovo istituto. In tale data, Jeanne-Françoise Frémyot era una giovane vedova di trentadue anni. Nata nel 1572 a Digione, aveva sposato a vent’anni Christophe Rabutin, barone di Chantal. Ebbero un figlio e tre figlie. Quindici giorni dopo la nascita dell’ultima figlia, il marito venne colpito mortalmente nel corso di una partita di caccia. Rimasta vedova, Giovanna continuò coraggiosamente a occuparsi dell’educazione dei figli e dell’aiuto ai poveri.
            L’incontro della Chantal con il vescovo di Ginevra segnò l’inizio di una vera amicizia spirituale che sfocerà in una nuova forma di vita religiosa. All’inizio Francesco di Sales inculcò a Giovanna di amare l’umiltà richiesta dal suo stato di vedova, senza pensare a un nuovo matrimonio o alla vita religiosa; la volontà di Dio si sarebbe manifestata a suo tempo. La incoraggiò nelle prove e tentazioni contro la fede e contro la Chiesa.
            Nel 1605 la baronessa giunse a Sales per rivedere il suo direttore e approfondire con lui gli argomenti che la preoccupavano. Francesco rispose evasivamente al desiderio di Giovanna di farsi religiosa ma aggiungendo queste forti parole: «Il giorno in cui abbandonerete ogni cosa, verrete da me e farò in modo che vi troviate in un totale spogliamento e nudità, per essere tutta di Dio». Per disporla a questo obiettivo finale le suggeriva: “la dolcezza di cuore, la povertà di spirito e la semplicità di vita, insieme con questi tre esercizi modesti: visitare gl’infermi, servire i poveri, consolare gli afflitti e altri simili”.
            All’inizio del 1606, siccome il padre della baronessa la spingeva a risposarsi, il problema della vita religiosa divenne urgente. Che fare, si domandava il vescovo di Ginevra? Una cosa era chiara, ma l’altra in bilico:

Ho appreso fino a questo momento, Figlia mia, che, un giorno, dovrete lasciar tutto; o meglio, perché non intendiate la cosa diversamente da come l’ho intesa io, che, un giorno, vi dovrò consigliare di lasciar tutto. Dico lasciar tutto. Ma che lo dobbiate fare per entrare nella vita religiosa, è poco probabile, perché non mi è ancora accaduto di essere di questo parere: ne sono ancora in dubbio, e non vedo, dinanzi a me, nulla che mi inviti a desiderarlo. Comprendetemi bene, per l’amor di Dio. Non dico di no, ma dico solo che il mio spirito non ha ancora trovato una ragione per dire di sì.

            La prudenza e la lentezza di Francesco di Sales è facilmente spiegabile. La baronessa, infatti, sognava forse di farsi carmelitana, e anch’egli, d’altra parte, non aveva ancora maturato il progetto della nuova fondazione. Ma l’ostacolo principale era costituito dai figli della signora Chantal, tutti ancora piccoli di età.

La fondazione
            Nel corso di un nuovo incontro avvenuto ad Annecy nel 1607, Francesco le dichiarò questa volta: «Ebbene! figlia mia, mi sono deciso circa ciò che voglio fare di voi»; e le svelò il progetto di fondare con lei un nuovo istituto. Rimanevano due ostacoli maggiori alla realizzazione: i doveri familiari della signora di Chantal e la sua stabile venuta ad Annecy, perché, diceva, «occorre gettare il seme della nostra congregazione nella piccola Annecy». E mentre la signora di Chantal sognava probabilmente una vita interamente contemplativa, Francesco le citava l’esempio di santa Marta, ma una Marta «corretta» dall’esempio di Maria, che divideva le ore delle sue giornate in due, «dedicandone una buona parte alle opere esteriori di carità, e la parte migliore al proprio intimo con la contemplazione».
            Durante i tre anni successivi, i principali ostacoli caddero uno dopo l’altro: il padre della Chantal le consentì di seguire la propria strada, accettando anche di curare l’educazione del primogenito; la figlia maggiore convolava a nozze con Bernard de Sales, fratello di Francesco, e lo raggiungeva in Savoia; la seconda figlia accompagnerà la madre ad Annecy; quanto all’ultima, essa moriva alla fine di gennaio del 1610 all’età di nove anni.
            Il 6 giugno 1610, Giovanna di Chantal si stabilì in una casa privata con Charlotte, un’amica di Borgogna, e Jacqueline, figlia del presidente Antoine Favre. Loro scopo era di «consacrare tutti i momenti della loro vita ad amare e servire Dio», senza disattendere «il servizio dei poveri e dei malati». La Visitazione sarà una «piccola congregazione», che unisce la vita interiore con una forma di vita attiva. Le tre prime visitandine fecero la loro professione esattamente un anno dopo, il 6 giugno 1611. Il 1° gennaio 1612 cominceranno le visite ai poveri e ai malati, previste nel primitivo progetto di Costituzioni. Il 30 ottobre dello stesso anno la comunità abbandonò la casa, divenuta troppo piccola, e si trasferì in una nuova casa, in attesa di erigere il primo monastero della Visitazione.
            Durante i primi anni non si sognò nessun’altra fondazione, finché nel 1615 giunse una domanda insistente di alcune persone di Lione. L’arcivescovo di detta città non voleva che le suore uscissero dal monastero per le visite ai malati; secondo lui, occorreva trasformare la congregazione in un vero e proprio ordine religioso, con voti solenni e clausura, seguendo le prescrizioni del concilio di Trento. Francesco di Sales dovette accettare la maggior parte delle condizioni: la visita ai malati venne soppressa e la Visitazione divenne un ordine quasi monastico, sotto la regola di sant’Agostino, pur conservando la possibilità di accogliere persone esterne per un po’ di riposo o per esercizi spirituali. Il suo sviluppo fu rapido: conterà tredici monasteri alla morte del fondatore nel 1622 e ottantasette alla morte della madre di Chantal nel 1641.

La formazione sotto forma di trattenimenti
            Georges Rolland ha descritto bene il ruolo della formazione delle «figlie» della Visitazione, che Francesco di Sales ha assunto fin dall’inizio del nuovo istituto:

Le assisteva nei loro inizi faticando parecchio e dedicando molto tempo nell’educarle e nell’avviarle sul sentiero della perfezione, prima tutte insieme e poi ciascuna in particolare. Perciò andava da loro, sovente due o tre volte al giorno, dando loro indicazioni su questioni che di volta in volta venivano loro in mente, sia di ordine spirituale che di natura materiale. […] Era loro confessore, cappellano, padre spirituale e direttore.

            Il tono dei suoi «trattenimenti» era assai semplice e familiare. Un trattenimento, infatti, è un’amabile conversazione, un dialogo o colloquio familiare, non già una «predica», quanto piuttosto una «semplice conferenza nella quale ciascuno dice la sua opinione». Normalmente, le domande erano poste dalle suore, come appare chiaramente nel terzo dei suoi Trattenimenti dove parla Della confidenza e dell’abbandono. La prima domanda era quella di sapere «se un’anima cosciente della sua miseria può rivolgersi a Dio con piena confidenza». Un po’ oltre il fondatore pare che prenda al balzo una nuova domanda: «Ma voi dite che non provate affatto questa confidenza». Più oltre ancora afferma: «Ora passiamo all’altra domanda che è l’abbandonare se stessi». E ancora più avanti si trova una catena di domande come queste: «Ora voi mi domandate di che cosa si occupa quest’anima che si abbandona totalmente nelle mani di Dio»; «voi mi dite a quest’ora»; «ora voi mi chiedete»; «per rispondere a ciò che voi domandate»; «voi volete ancora sapere». È possibile, anzi probabile, che le segretarie abbiano soppresso le domande delle interlocutrici per porle in bocca al vescovo. Le domande potevano essere anche formulate per iscritto, perché all’inizio dell’undicesimo Trattenimento si legge: «Incomincio la nostra conversazione rispondendo a una domanda che mi è stata scritta su questo biglietto».

Istruzioni e esortazioni
            L’altro metodo usato nella formazione delle visitandine escludeva le domande e le risposte: erano sermoni che il fondatore faceva nella cappella del monastero. Il tono familiare che li caratterizza non consente di annoverarli tra le grandi prediche per il popolo secondo lo stile dell’epoca. R. Balboni preferisce chiamarli esortazioni. «Il discorso che sto per farvi», diceva il fondatore iniziando a parlare. Gli capitava di accennare al suo «discorsetto», qualifica che non s’applicava certamente alla durata, la quale ordinariamente era di un’ora. Una volta dirà: «Avendo del tempo, tratterò di…». Il vescovo si indirizzava a un pubblico particolare, le visitandine, alle quali potevano aggiungersi parenti e amici. Quando parlava nella cappella, il fondatore doveva tener conto di questo pubblico, che poteva essere differente rispetto a quello dei Trattenimenti riservati alle religiose. La diversità dei suoi interventi è descritta bene dal confronto tra il barbiere e il chirurgo:

Mie care figlie, quando parlo davanti ai secolari, io faccio come il barbiere, mi accontento di radere il superfluo, mi servo cioè del sapone per addolcire un poco la pelle del cuore, come fa il barbiere per addolcire quella del mento prima di raderlo; ma invece quando sono in parlatorio, io mi comporto come l’esperto chirurgo, fascio cioè le piaghe delle mie care figlie, benché esse gridino un poco: Ahi!, e non smetto di premere la mano sulla piaga per far in modo che la fasciatura aiuti a guarirla bene.

            Ma anche in cappella il tono continuava ad essere familiare, simile a una conversazione. «Occorre andare oltre – diceva –, perché mi manca il tempo per fermarmi di più su questo argomento»; o ancora: «Prima di finire, diciamo ancora una parola». E un’altra volta: «Ma vado oltre questo primo punto senza aggiungere niente di più, perché non è su questo tema che intendo fermarmi». Quando parla del mistero della Visitazione, ha bisogno di un tempo supplementare: «Concluderò con due esempi, benché il tempo sia già passato; ad ogni modo un breve quarto d’ora basterà». Talvolta esprime i suoi sentimenti, dicendo che ha provato «piacere» a trattare dell’amore vicendevole. Né temeva di fare qualche digressione: «A questo proposito – dirà un’altra volta – vi racconterò due storielle che non narrerei se dovessi parlare da un’altra cattedra; ma qui non c’è pericolo». Per mantenere attento l’uditorio, lo interpella con un «ditemi voi», oppure con l’espressione: «Notate dunque, vi prego». Si ricollegava sovente con un argomento che aveva sviluppato precedentemente, dicendo: «Desidero aggiungere ancora una parola al discorso che vi ho fatto l’altro giorno».  «Ma vedo che l’ora se ne va veloce – esclama –, il che mi farà finire col completare, nel poco tempo che mi resta, la storia di questo vangelo». È giunto il momento di concludere dice: «Ho finito».
            Occorre tener presente che il predicatore era desiderato, ascoltato con attenzione e anche autorizzato talvolta a raccontare di nuovo la stessa storia: «Benché l’abbia già narrata, non tralascerò di ripeterla, dato che non sono davanti a persone talmente disgustate da non essere disposte ad ascoltare due volte la stessa storia; coloro infatti che hanno un buon appetito mangiano volentieri due volte lo stesso cibo».
            I Sermoni si presentano come un’istruzione più strutturata rispetto ai Trattenimenti, dove gli argomenti si susseguono a volte rapidamente incalzati dalle domande. Qui la connessione è più logica, le diverse articolazioni del discorso sono indicate meglio. Il predicatore spiega la Scrittura, la commenta con i Padri e i teologi, ma è una spiegazione piuttosto meditata e in grado di alimentare la preghiera mentale delle religiose. Come ogni meditazione, comprende considerazioni, affetti e risoluzioni. Tutto il suo discorso, infatti, verteva su una domanda essenziale: «Volete diventare una brava figlia della Visitazione?».

L’accompagnamento personale
            Da ultimo c’era il contatto personale con ciascuna suora. Francesco aveva una lunga esperienza di confessore e di direttore spirituale di singole persone. Occorreva tener conto, è del tutto evidente, della «varietà degli spiriti», dei temperamenti, delle situazioni particolari e dei progressi nella perfezione.
            Nei ricordi di Marie-Adrienne Fichet si legge un episodio che mostra il modo di fare del vescovo di Ginevra: «Monsignore, vostra Eccellenza avrebbe la bontà di assegnare a ciascuna di noi una virtù per impegnarci singolarmente a praticarla?». Forse si trattava di un pio stratagemma inventato dalla superiora. Il fondatore rispose: «Madre mia, volentieri, occorre cominciare da voi». Le suore si ritirarono e il vescovo le chiamò una dopo l’altra e, passeggiando, lanciava a ciascuna una «sfida» in segreto. Nel corso della successiva ricreazione, tutte vennero evidentemente a conoscenza della sfida che aveva confidato a ciascuna in particolare. Alla madre di Chantal aveva raccomandato «l’indifferenza e l’amare la volontà di Dio»; a Jacqueline Favre, «la presenza di Dio»; a Charlotte di Bréchard, «la rassegnazione al volere di Dio». Le sfide destinate alle altre religiose riguardavano, una dopo l’altra, la modestia e la tranquillità, l’amore alla propria condizione, la mortificazione dei sensi, l’affabilità, l’umiltà interiore, l’umiltà esteriore, il distacco dai genitori e dal mondo, la mortificazione delle passioni.
            A suore della Visitazione tentate di considerare la perfezione come un vestito da infilare, ricordava con una punta d’umorismo la loro responsabilità personale:

Voi vorreste che vi insegnassi una via di perfezione già bella pronta e fatta, per cui non ci sarebbe da fare altro che infilarvela, come fareste di un abito, e così vi trovereste perfette senza fatica, ossia vorreste che io vi presentassi una perfezione già confezionata […]. Certo, se ciò fosse in mio potere, sarei l’uomo più perfetto del mondo; infatti, se potessi dare la perfezione agli altri senza fare nulla, vi assicuro che prima la prenderei per me.

            Come conciliare in una comunità la necessaria unità, anzi uniformità, con la diversità delle persone e dei temperamenti che la compongono? Il fondatore scriveva a questo proposito alla superiora della Visitazione di Lione: «Se si riscontra qualche anima o addirittura qualche novizia che prova troppa ripugnanza ad assoggettarsi a quegli esercizi che sono segnalati, e se questa ripugnanza non nasce da un capriccio, da presunzione, da alterigia o tendenze melanconiche, toccherà alla maestra delle novizie condurre per un’altra via, sebbene questa sia utile per l’ordinario, come lo dimostra l’esperienza». Come sempre obbedienza e libertà non vanno opposte l’una all’altra.
            Forza e dolcezza devono inoltre caratterizzare la maniera con cui le superiore della Visitazione dovevano «modellare» le anime. Infatti, dice loro, è «con le vostre mani» che Dio «modella le anime, usando o il martello, o lo scalpello, o il pennello, al fine di configurarle tutte a suo piacimento». Le superiori dovranno avere «cuori di padri solidi, saldi e costanti, senza trascurare le tenerezze di madri che fanno desiderare i dolci ai bimbi, seguendo l’ordine divino che tutto governa con una forza molto soave e una soavità molto forte».
            Le maestre delle novizie meritavano di avere attenzioni particolari da parte del fondatore, perché «dalla buona formazione e direzione delle novizie dipende la vita e la buona salute della congregazione». Come formare le future visitandine, quando si è lontane dai fondatori? si chiedeva la maestra delle novizie di Lione. Francesco le risponde: «Dite ciò che avete visto, insegnate ciò che avete udito ad Annecy. Ecco! Questa pianticella è piccola piccola e ha radici profonde; ma il ramoscello che se ne separerà, senza dubbio perirà, si seccherà e non sarà buono ad altro se non ad essere tagliato e gettato nel fuoco».

Un manuale della perfezione
            Nel 1616 san Francesco di Sales pubblicò il Trattato dell’amor di Dio, un libro «fatto per aiutare l’anima già devota affinché possa progredire nel suo progetto». Come è facile rilevare, il Teotimo propone una dottrina sublime sull’amore di Dio, la quale ha procurato al suo autore il titolo di «dottore della carità», ma lo fa con uno spiccato senso pedagogico. L’autore vuole accompagnare lungo il cammino dell’amore più alto una persona chiamata Teotimo, nome simbolico che designa «lo spirito umano che desidera progredire nella santa dilezione», cioè nell’amore di Dio.
            Il Teotimo si rivela come il «manuale» della «scuola di perfezione» che Francesco di Sales ha inteso creare. Vi si scopre in modo implicito l’idea della necessità di una formazione permanente, da lui illustrata mediante quest’immagine tratta dal mondo vegetale:
            Non vediamo, per esperienza, che le piante e i frutti non hanno una giusta crescita e maturazione se non quando portano i loro grani e i loro semi che servono per la riproduzione delle piante e degli alberi della stessa specie? Le virtù non hanno mai la giusta dimensione e sufficienza se non producono in noi desideri di fare progressi. Insomma occorre imitare questo curioso animale che è il coccodrillo: «Piccolissimo alla nascita, non cessa mai di crescere fin tanto che è in vita».
            Di fronte alla decadenza e talvolta alla condotta scandalosa di numerosi monasteri e abbazie, Francesco di Sales tracciava un cammino esigente ma amabile. In riferimento agli ordini riformati, dove regnavano una severità e un’austerità tali da allontanare un buon numero di persone dalla vita religiosa, il fondatore delle visitandine ebbe la profonda intuizione di concentrare l’essenza della vita religiosa semplicemente nella ricerca della perfezione della carità. Con i necessari adattamenti, tale «pedagogia giunta al suo apice», nata a contatto con la Visitazione, valicherà largamente i muri del suo primo monastero e affascinerà altri «apprendisti» della perfezione.

Da P. Wirth MORAND

Salesiano di Don Bosco, professore universitario, biblista e storico salesiano, membro emerito del Centro Studi Don Bosco, autore di vari libri.