27 Dic 2025, Sab

⏱️ Tempo per lettura: 10 min.

Accanto al “sentimento per il bambino”, il XV secolo ha visto lo sviluppo di un sentimento per la famiglia, che era poco evidente nel Medioevo, quando si dava priorità ai rapporti con la massa del popolo, lasciando poco spazio all’intimità e alla vita privata. D’altro canto, si assiste a una rivalutazione del matrimonio e della famiglia a scapito del celibato ecclesiastico e monastico. Per gli umanisti e i riformatori, queste realtà favorivano molto la vita della società e della Chiesa. Lutero e Calvino, non contenti di denunciare il celibato di monaci e sacerdoti come causa di immoralità e ipocrisia, incoraggiarono il matrimonio per tutti.
San Francesco di Sales, pur mantenendo la tradizione del celibato religioso e la sua superiorità evangelica, non mancò di andare oltre le convenzioni sociali del tempo. La maggior parte delle sue lettere di direzione spirituale sono indirizzate a uomini e donne sposati. Nella sua Introduzione alla vita devota, scrisse due capitoli di innegabile originalità rispetto a tutta la letteratura spirituale del passato. Uno contiene “consigli per le persone sposate”, l’altro tratta dell’“onestà del letto matrimoniale”.

Il matrimonio è una vocazione
            Il matrimonio è un “vincolo umano mediante il quale cuore, corpo e beni si comunicano l’un l’altro”. Dopo aver affermato con decisione che il matrimonio è “onorevole a tutti, in tutti e per tutti, cioè in tutte le sue parti”, l’autore della Filotea spiega: “A tutti, perché anche i vergini devono onorarlo con umiltà; in tutti, perché è ugualmente santo tra i poveri e i ricchi; in tutti, perché sono santi la sua origine, il suo fine, i suoi usi, la sua forma e la sua materia”.
Non solo considerava il matrimonio un grande sacramento della Chiesa e il “semenzaio del cristianesimo”, ma dichiarava anche che “la conservazione del bene del matrimonio è estremamente importante per la repubblica”. Destinato al matrimonio dal padre, Francesco di Sales lo aveva rifiutato, secondo la madre di Chaugy, “non per disprezzo del matrimonio, che onorava perfettamente come sacramento, ma per un certo ardore interiore e spirituale che lo spingeva a dedicarsi totalmente al servizio della Chiesa, e a essere tutto per Dio senza avere un cuore diviso”.
La dignità del matrimonio richiedeva che il giovane uomo, e soprattutto la giovane donna, fossero liberi di scegliere il proprio “partito”? All’epoca la questione non era così chiara e le pratiche variavano. Persistevano antiche tradizioni, soprattutto tra i nobili, dove le figlie venivano spesso promesse in tenera età e il marito, molto più anziano, esercitava un’autorità indiscutibile sulla coppia. Questo non vuol dire che tutto andasse male, come possiamo vedere dal caso dei genitori di Francesco di Sales. Anche altrove si assisteva a una certa evoluzione della morale: i giovani si sposavano in età più giovane e di conseguenza esercitavano una maggiore libertà.
Uno dei contributi più significativi di Francesco di Sales fu quello di aiutare gli sposi a rendersi conto che la loro condizione di vita è una vocazione. Egli stesso scrisse a Filotea, che era sposata, a proposito del matrimonio: “Se tutti lo devono onorare, onoralo molto soprattutto tu che per vocazione sei in esso”. Poiché il matrimonio è una vocazione, il suo scopo è la santità degli sposi. “Camminerai in questa vocazione”, scriveva a una giovane donna che si era appena sposata, “troverai molta consolazione in essa e diventerai molto santa alla fine”.
Il matrimonio è una vocazione perché comporta prima di tutto un dono e poi una chiamata, una responsabilità. È questo che l’autore dell’Introduzione vuole infondere alle persone sposate quando dice loro: “È stato Dio, amici miei, che con la sua mano invisibile ha stretto il sacro nodo del vostro matrimonio e vi ha donato l’uno all’altro; perché non vi amate con un amore tutto santo, tutto sacro, tutto divino? Scrisse anche a una giovane donna che si era appena sposata: “Ama teneramente tuo marito, come se ti fosse stato dato dalla stessa mano di Nostro Signore”.

L’amore nel matrimonio
            Francesco di Sales era un sostenitore del matrimonio d’amore ai suoi tempi. Rabelais e Montaigne, che esaltavano i sentimenti paterni, prestavano poca attenzione all’amore tra coniugi. Il matrimonio era spesso considerato incompatibile con l’amore, confuso con l’amore-passione, e la logica conclusione era che si trattava solo di un’istituzione necessaria alla società. Per Francesco di Sales, l’amore reciproco doveva essere la caratteristica principale, con i suoi due corollari di “unione indissolubile” dei cuori e “fedeltà inviolabile dell’uno all’altro”.
Nell’Introduzione, l’autore esorta gli sposi ad accrescere sempre più il loro “amore reciproco”. Definisce subito l’amore dei coniugi come un’amicizia reciproca in cui si pratica “la comunicazione della vita, dei beni, degli affetti e della fedeltà indissolubile”. Non devono mancare i gesti di affetto. Il modello è il grande San Luigi, che “era quasi rimproverato di essere abbondante in queste carezze”.
Tuttavia, le qualità dell’amore sono diverse per uomini e donne. I mariti devono amare le loro mogli “teneramente, costantemente e cordialmente”, mentre le mogli devono amare i loro mariti “teneramente, cordialmente, ma con un amore rispettoso e riverente”. Francesco di Sales ammirava le persone sposate che vivevano “così dolcemente insieme con rispetto reciproco, che non può essere senza una grande carità”.
Quanto al sacramento, è un potente aiuto contro la volubilità delle nostre risoluzioni. Quanti matrimoni vedremmo dissolversi, esclamò, ”se non fossero rafforzati dal sacramento che impedisce la variazione di questo tipo di vita! Con sorprendente realismo diceva anche: “Un uomo che ha vissuto in pace con sua moglie per tutta la vita, se avesse potuto cambiarla l’avrebbe fatto una dozzina di volte”. Infatti, “questa incostanza dello spirito umano è stravagante, ma deve essere fermata con la forza delle nostre prime risoluzioni”.
Pur sostenendo l’autorità degli uomini all’interno della famiglia, il vescovo di Ginevra era ben consapevole che essi potevano abusarne. Con una dolce ironia sulle pretese maschili, raccomanda alla donna comprensione e indulgenza: “Mio Dio, che buon padre abbiamo e che ottimo marito avete! Ahimè, sono un po’ gelosi del loro impero e del loro dominio, che sembra loro un po’ violato quando si fa qualcosa senza la loro autorità e il loro comando. Cosa vuoi, devono permettere questa piccola umanità”.
Va detto che questa “poca umanità” era comune nelle famiglie, da cui questa osservazione un po’ disillusa, ma buona per consolare una vedova: “È vero, senza dubbio, che è di grande aiuto avere un buon marito, ma ce ne sono pochi, e per quanto tu lo abbia buono, ricevi più sottomissione che assistenza.

Il matrimonio è una scuola
            “Tra le spine o tra i fiori”, scriveva a Giovanna de Chantal, che era una donna felicemente sposata prima di soffrire la tragedia e la solitudine, “Dio ci fa guadagnare alla sua scuola”. Tutto inizia con un “cambiamento di condizione” e un nuovo inizio che deve far nascere gratitudine e fiducia. Il matrimonio è un dono, ma un dono da coltivare: “Dobbiamo dunque coltivare con molta cura questo cuore amato”, scriveva a una giovane sposa, “e non risparmiare nulla che possa essere utile alla sua felicità”. Per proteggere e promuovere “il progresso del loro matrimonio” e “santificarlo sempre di più con l’amicizia e la fedeltà reciproca”, dava agli sposi consigli adatti alla loro situazione.
Innanzitutto, Francesco di Sales insegnava che le persone sposate devono amare il loro stato di vita: “Dobbiamo amare ciò che Dio ama: egli ama la nostra vocazione; amiamola bene anche noi e non divertiamoci a pensare a quella degli altri”. Spesso ci accorgiamo che tutti vorrebbero cambiare la loro condizione: “chi è sposato vorrebbe non esserlo, e chi non lo è vorrebbe esserlo”. E il vescovo di Ginevra si chiedeva: “Da dove viene questa generale inquietudine degli animi, se non da un certo malcontento per le costrizioni e da una malignità di spirito che ci fa pensare che tutti siano migliori di noi? Come sempre, mi viene in mente un paragone: “Chi ha la febbre non riesce a trovare un buon posto; non ha passato un quarto d’ora in un letto quando vorrebbe stare in un altro: non è il letto che può farlo, è la febbre che lo tormenta ovunque”. La conclusione è evidente: “Chi non ha la febbre della propria volontà si accontenta di tutto; purché si serva Dio, non gli importa in quale veste Dio lo impieghi. Purché faccia la volontà di Dio, per lui è lo stesso.
Come pochi scrittori spirituali prima di lui, Francesco di Sales osa parlare di “commercio nuziale”, “piaceri carnali” e “letto nuziale”. Per farlo, utilizza un paragone tradizionale, delicato ma trasparente. Ci si siede a tavola, spiega, non solo “per nutrire e conservare la persona”, ma anche “per il dovere di reciproca conversazione e condiscendenza che ci dobbiamo”. Le due cose da evitare sono l’eccesso, che consiste “nel mangiare troppo”, e lo squilibrio “nel modo e nella maniera di mangiare”.
Quando la coppia era in crisi, si appellava non solo alla volontà di Dio, ma anche al dovere e alla ragione. A una donna disgustata dalle azioni di un marito “dissipatore e spensierato”, diede consigli di saggezza e prudenza: “Le dissi che poteva parlare con forza e risolutezza, nelle occasioni in cui era necessario, per tenere al dovere la persona che conosceva, ma che la forza era più forte quando era calma e quando nasceva dalla ragione, senza un misto di passione”.
Egli consigliava ai mariti e alle mogli di aiutarsi a vicenda nella vita spirituale, altrimenti l’uomo diventa “un animale severo, aspro e duro”, e la donna senza devozione “è molto fragile e incline a decadere o ad appannarsi nella virtù”. Al contrario, che benedizione è quando l’uomo e la donna “si santificano a vicenda nel vero timore del Signore!

I genitori sono i “cooperatori” di Dio
            Il concepimento e la nascita di un figlio sono doni meravigliosi che rendono gli sposi “cooperatori in un compito così degno”. Francesco di Sales compose persino una preghiera speciale – che si diceva ripetesse spesso – per coloro che erano impossibilitati a “consumare” il matrimonio. Si trattava in realtà di un esorcismo, perché si pensava che l’impotenza e la sterilità fossero causate dal diavolo e da incantesimi maligni.
L’amore dei genitori dovrebbe servire da modello per tutti coloro che sono responsabili degli altri, ai quali dovremmo augurare “il cuore dei padri, solido, fermo e costante, senza dimenticare la tenerezza delle madri che fanno desiderare ai figli i dolci, secondo l’ordine divino che governa ogni cosa con una forza tutta dolce e una soavità tutta forte”.
Esiste una sorta di amore imitativo tra genitori e figli: “I padri amano bene i loro figli, ma soprattutto quando questi assomigliano a loro o a qualche loro predecessore; li guardano come in uno specchio e si divertono a vederli ritrarre i loro modi, i loro visi e i loro volti”. L’amore delle madri per i loro figli è sorprendente, soprattutto nei momenti di pericolo. L’istinto gioca certamente un ruolo importante. La gallina è un animale privo di coraggio e di generosità fino a quando non diventa madre, ma quando lo diventa “ha un cuore di leone, sempre con la testa alzata, sempre con gli occhi spalancati, sempre roteando la vista dappertutto, finché c’è un’apparenza di pericolo per i suoi piccoli”.
Anche Francesco di Sales sentiva in sé “gli impulsi dell’amore paterno” quando si occupava del suo “figlio”, il duca di Bellegarde. Per dimostrare la sua costante preoccupazione per il figlio, una volta gli scrisse che “i buoni figli pensano spesso ai loro padri; ma non è spesso, è sempre che i padri hanno il loro spirito nei figli”. Se un padre si comporta in modo diverso nei confronti del figlio maggiore, “un uomo ben fatto, un soldato coraggioso e generoso”, e nei confronti del più giovane, “un piccolo carino che è ancora un bambino, con buona grazia”, ciò non significa che ami il primo meno del secondo. Il suo amore si esprime in un modo che si adatta a ogni persona.
Per quanto riguarda la responsabilità dei genitori nell’educazione, per Francesco di Sales era chiaro che il suo fondamento era la religione, in termini biblici il timore di Dio. Da qui questa raccomandazione urgente: “Quando i bambini vengono al mondo e cominciano a usare la ragione, i padri e le madri devono avere molta cura di instillare nei loro cuori il timore di Dio”.
I genitori hanno una grande responsabilità nell’educazione, al punto che la loro mancanza può essere la loro stessa rovina. In un sermone severo, li avverte: “Peccano se ridono quando vedono i loro figli abbandonarsi al cattivo linguaggio, ai peggiori inizi della vanità”. Ci sono genitori che, per un malinteso amore verso i figli, sono disposti a spendere ogni tipo di denaro per loro, ma non hanno “nulla per educarli alle lettere e ai buoni costumi”. Infine, l’amore dei genitori può anche diventare “amore disordinato” quando impediscono ai figli di diventare sacerdoti o di entrare nella vita religiosa.

Il bambino è l’“immagine vivente” dei genitori
            Il bambino è il “pegno prezioso” del matrimonio e l’“immagine vivente” del padre e della madre. Pur essendo eredi dei genitori, non sono innanzitutto eredi in senso materiale. Parlando alla vedova del defunto duca de Mercœur, Francesco di Sales disse di sua figlia che era “la legittima erede delle sue virtù, che egli ha lasciato alle vostre cure, signora, affinché le coltiviate attraverso l’educazione nobile e cristiana che le avete riservato”.
La prima virtù dei bambini è l’obbedienza. La loro obbedienza è fonte di gioia per i genitori, perché “tutti conoscono la soddisfazione che i padri ricevono dall’obbedienza che i figli dimostrano loro, e quanto più i figli si mostrano sottomessi e obbedienti ai loro desideri, tanto più essi traggono piacere dall’amarli”. Ma “un figlio ben nato non obbedisce al padre per il potere che ha di punire la sua disobbedienza, né perché può diseredarlo, ma semplicemente perché è suo padre”.
Il contraltare dell’obbedienza è la fiducia filiale che i figli hanno nei confronti dei genitori. Ciò è illustrato dall’allegoria della figlia del chirurgo. Quando era malata, non pensava al trattamento doloroso che le stava riservando, ma si affidava completamente alle cure del padre, dicendo semplicemente: “Mio padre mi vuole bene, e io sono tutta sua”.
Man mano che i bambini diventavano adolescenti e giovani, le raccomandazioni del vescovo di Ginevra si facevano più insistenti ed esigenti. Ai giovani, disse in un sermone sul tema della croce che ognuno di noi deve portare, “affido la croce dell’obbedienza, della castità e della moderazione nel loro comportamento, una croce salutare che crocifigge gli impulsi ardenti di un sangue giovane che comincia a ribollire e di un coraggio che non ha ancora la prudenza come guida”. A queste virtù va aggiunta la pietà filiale, di cui le cicogne sono un modello meraviglioso, perché “portano al seguito i loro vecchi padri e le loro vecchie madri, come quando erano ancora giovani i loro padri e le loro madri li avevano portati nella stessa occasione”.

L’unione della famiglia
            Nel suo libro su Saint Francesco di Sales et notre cœur de chair, Henry Bordeaux ha giustamente scritto: “È difficile immaginare un San Francesco di Sales che non provenga da una famiglia numerosa e unita, che non abbia sperimentato la legittima tenerezza del cuore. Sarebbe un santo diverso, non sarebbe il consolatore intelligente, il padre dolcemente autoritario, il restauratore dello spirito familiare, il medico delle ferite nascoste”.
L’unione familiare è molto facilitata dai legami naturali di sangue e di parentela, ma questo non basta. Infatti, “quando l’unione è naturale, produce amore, e l’amore che produce ci porta a una nuova unione volontaria che perfeziona quella naturale”.
Durante uno dei suoi soggiorni a Sales, Francesco fu talmente colpito dall’armonia che regnava in quel luogo che sentì il desiderio di parlarne alla sua figlia spirituale. In una lettera a Giovanna de Chantal, scrisse: “Ti farebbe piacere vedere una così stretta armonia tra cose che di solito sono così discordanti: suocera, nuora, cognata, fratelli e cognati. Tra tutti questi, mia vera figlia, posso assicurarti, a gloria di Dio, che qui c’è un solo cuore e una sola anima”.
I dissensi in famiglia nascevano spesso per questioni di eredità. Quando nel 1608 la proprietà di Monsieur de Boisy fu divisa tra i suoi figli, c’era il rischio concreto che il padre lasciasse la prima scelta al più giovane Bernard e che i figli maggiori si sentissero defraudati. Francesco fu molto sollevato nel vedere che tutto si svolse in modo amichevole e in armonia.
In caso di conflitto tra marito e moglie, “il sostegno reciproco dell’uno all’altro deve essere così grande che i due non si incattiviscano mai insieme”. Con tenacia, Francesco di Sales insegnava a superare le ripugnanze, a rimanere “nella barca in cui ci troviamo” e a starci “dolcemente e volentieri”. Le sue raccomandazioni più insistenti riguardano il sostegno reciproco, l’amicizia fedele non interrotta da “amori estranei”, la preoccupazione per l’educazione dei figli, senza dimenticare il buon esempio da dare a tutta la famiglia.
In definitiva, è l’amore che meglio riassume tutto ciò che Francesco di Sales ha detto sul matrimonio e sulla famiglia, ma un amore che è allo stesso tempo realistico e ideale. L’educazione in questo ambito consisterà quindi nell’aiutare i giovani a cogliere tutte le dimensioni di ciò che rende la famiglia il cuore dell’esistenza umana.

P. Wirth MORAND

Salesiano di Don Bosco, professore universitario, biblista e storico salesiano, membro emerito del Centro Studi Don Bosco, autore di vari libri.