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Con le facoltà dello spirito, come l’intelletto e la memoria, si rimane nell’ambito del conoscere. Si tratta ora di addentrarsi in quello dell’agire. In effetti, «benché l’albero della prudenza affondi le sue radici nell’intelletto, tuttavia i suoi fiori e i suoi frutti sono un prodotto della volontà».
La facoltà maestra
Secondo l’antropologia scolastica, familiare al vescovo di Ginevra, la principale facoltà dell’uomo poteva essere l’intelletto. Non è così. Come avevano già fatto sant’Agostino e alcuni filosofi come Duns Scoto, san Francesco di Sales assegna il primo posto alla volontà.
È la volontà, monarca dell’anima, «volontà tutta nobile», che deve governare tutte le «potenze» dell’anima. Fra tutte le facoltà dello spirito umano, la libera volontà è la sola ad essere veramente in potere della persona umana:
Non siamo padroni della nostra fantasia, dato che non possiamo difenderci da un numero quasi infinito di illusioni e di immaginazioni. Lo stesso bisogna dire della memoria, visto che spesso vorremmo ricordarci di molte cose e non siamo in grado di farlo; o, al contrario, non ricordarci di molte altre che vorremmo dimenticare. Infine, percorrete finché volete tutto quello che si trova in voi, troverete soltanto una piccola parte di cui siamo padroni: è la volontà.
L’autore del Teotimo ci tiene a dimostrare che la volontà è la vera risorsa della persona umana, in quanto, grazie ad essa e attorno ad essa confluiscono, in un insieme armonioso, tutti gli elementi psichici e spirituali che compongono l’uomo.
Ma come funziona la volontà?
La risposta è relativamente facile se ci si riferisce al modello salesiano della meditazione, con le tre parti che la compongono: le considerazioni, gli affetti e le risoluzioni.
Le considerazioni consistono nel riflettere e meditare su un bene, una verità, un valore. Tale riflessione o meditazione produce normalmente degli affetti, cioè grandi desideri di acquistare e possedere tale bene o valore, e questi affetti sono in grado di «muovere la volontà», la quale, una volta «mossa», produce «risoluzioni». Mentre le considerazioni derivano chiaramente dalle facoltà razionali dello spirito (intelletto, memoria, senza dimenticare l’immaginazione), gli affetti e le risoluzioni fanno parte di ciò che Francesco di Sales chiama il «cuore».
Gli affetti che muovono la volontà sono dodici che vanno di solito a due a due: l’amore e l’odio, il desiderio e la fuga, la speranza e la disperazione, la gioia e la tristezza, il coraggio e la paura, l’ira e il sentimento del trionfo. Per san Francesco di Sales, l’amore compare sempre al primo posto. L’amore governa gli altri affetti ed entra per primo nel cuore: «La tristezza, il timore, la speranza, l’odio e gli altri affetti dell’anima non entrano nel cuore se l’amore non li trascina dietro di sé».
Curiosamente, la volontà ha prima di tutto una dimensione passiva, mentre l’amore è la potenza attiva che muove e commuove. La volontà non giunge a decidere se non è mossa da questo stimolo predominante: l’amore. E l’amore si impone alla stessa volontà. Tale è la forza dell’amore che, per colui che ama niente è difficile, «amanti nihil difficile»; meglio ancora, «per l’amore niente è impossibile».
Il frutto della volontà sono le risoluzioni. Volere è scegliere. Fin tanto che uno è bambino, è ancora interamente dipendente e incapace di scegliere, ma crescendo ben presto le cose cambiano e le scelte si impongono. D’ordinario le scelte sono difficili perché richiedono che uno rinunci a un bene per un altro. Il più delle volte il cuore è diviso fra gli affetti della parte inferiore dell’anima e le risoluzioni della parte superiore.
La forza dell’amore
«L’amore è forte come la morte», ripete Francesco di Sales col Cantico dei cantici; o piuttosto, «l’amore, forte più della morte, ammorbidisce, intenerisce e fa fondere i cuori molto più velocemente di tutte le altre passioni». A ben considerare, l’uomo vale soltanto per l’amore, e tutte le potenze e facoltà umane, specialmente la volontà, tendono ad esso: «Dio vuole l’uomo solamente per l’anima, e l’anima solamente per la volontà e la volontà solamente per l’amore».
L’amore si serve della forza di volontà per governare tutte le facoltà e tutte le passioni. Sarà un «amore armato» e tale «amore armato, giunto fino allo zelo, sottometterà le nostre passioni». Questa volontà libera «risiede nella parte suprema e più spirituale dell’anima» e «non dipende da altro se non da Dio e da sé stessi; e quando tutte le altre facoltà dell’anima sono perdute e sottomesse al nemico, solo essa rimane padrona di sé per non acconsentire in alcun modo».
La scelta, però, non è soltanto nell’obiettivo da raggiungere, ma anche nell’intenzione che presiede all’azione. È un aspetto al quale Francesco di Sales è particolarmente sensibile, perché tocca la qualità dell’agire. Infatti, il fine perseguito imprime un senso all’azione. Ci si può decidere di compiere un atto in base a molti motivi. A differenza degli animali, «l’uomo è talmente padrone delle sue azioni umane e ragionevoli da compierle tutte per un fine»; può perfino cambiare il fine naturale di un’azione, aggiungendovi un fine secondario, «come quando, oltre l’intenzione di soccorrere il povero cui tende l’elemosina, aggiunge l’intenzione di obbligare l’indigente a fare altrettanto».
Presso i pagani, le intenzioni erano raramente disinteressate: «si davano da fare quasi solo per onore o per qualche altro scopo effimero, come ricorda sant’Agostino». Le intenzioni possono essere inquinate «dall’orgoglio, dalla vanità, dall’interesse temporale o da qualche altro motivo cattivo». Ci sono conversazioni che sono cattive per la semplice ragione che «si fanno con cattiva intenzione. Talvolta «fingiamo di voler essere gli ultimi e ci sediamo in fondo al tavolo, ma per passare con più onore a capotavola».
«Purifichiamo quindi, Teotimo, finche possiamo, tutte le nostre intenzioni», chiede l’autore del Trattato dell’amore di Dio. La buona intenzione “anima” le più piccole azioni e i semplici gesti quotidiani. In effetti, «raggiungiamo la perfezione non facendo molte cose, bensì facendole con un’intenzione pura e perfetta». Non ci si deve perdere di coraggio, perché «si può sempre correggere la propria intenzione, bonificarla e migliorarla».
Le risoluzioni
La volontà, dunque, deve produrre delle «risoluzioni» o propositi, in caso contrario, rischia di essere vuota e inefficace. Giunge il momento in cui non si deve più «speculare col ragionamento», ma «irrigidire la volontà». «La nostra anima sia triste o allegra, sommersa dalla dolcezza o dall’amarezza, in pace o turbata, luminosa o tenebrosa, tentata o tranquilla, colma di piacere o di disgusto, immersa nell’aridità o nella tenerezza, bruciata dal sole o rinfrescata dalla rugiada», non importa, una volontà forte non si lascia facilmente distogliere dai suoi propositi. «Restiamo saldi nei nostri propositi, inflessibili nelle nostre risoluzioni», chiede l’autore della Filotea. È la facoltà maestra da cui dipende il valore alla persona: «Il mondo intero vale meno di un’anima e un’anima vale nulla senza i nostri buoni propositi».
Il sostantivo «risoluzione» indica una decisione che giunge al termine di un processo, il quale ha messo in gioco il ragionamento con la sua capacità di discernere e il cuore, inteso nel senso di una affettività che si lascia muovere da un bene attraente. Nella «dichiarazione autentica» che l’autore dell’Introduzione alla vita devota invita Filotea a pronunciare, si legge: «Questa è la mia volontà, la mia intenzione e la mia decisione, inviolabile e irrevocabile, volontà che confesso e confermo senza riserve o eccezioni».
Una meditazione che non sfoci in atti concreti non servirebbe a niente. Nelle dieci meditazioni proposte a titolo di modello nella prima parte della Filotea, troviamo espressioni frequenti come queste: «voglio», «non voglio più», «sì, seguirò le ispirazioni e i consigli», «farò tutto il possibile», «voglio fare questo o quello», «farò questo o quello sforzo», «farò questa o quella cosa», «scelgo», «voglio prendere parte», o ancora «voglio prendere la cura richiesta».
Una confusione frequente è quella che identifica volontà e capriccio: «È così che agiscono i libertini che non vogliono avere altra legge tranne quella che detta loro la volontà personale». Un grande nemico della volontà è la routine, il lasciarsi andare passivamente, l’usanza. Il fondatore delle visitandine raccomandava loro d’essere consapevoli dei gesti che facevano e di evitare di compierli in maniera meccanica:
Abbiano la volontà conforme alle buone azioni esteriori che compiranno, sia piccole che grandi. Nulla si faccia per abitudine, ma per scelta ed esercizio di volontà; e se qualche volta l’azione esteriore anticipa l’affetto interiore, a motivo dell’abitudine, che l’affetto almeno la segua da vicino.
Per motivi ben comprensibili conviene fare spesso una revisione delle nostre risoluzioni: “Questa pratica riparerà le vostre forze indebolite dal tempo, riscalderà il vostro cuore, farà rinverdire i vostri buoni propositi e rifiorire le virtù del vostro spirito”.
Un ammirevole educatore del cuore umano
San Francesco di Sales è stato considerato come un «ammirevole educatore della volontà». Si potrebbe dire anche: un ammirevole educatore del cuore umano, se si vuol mettere in risalto la dimensione affettiva caratteristica della nozione salesiana del cuore. Come si è visto, egli non ha trascurato nessun componente dell’essere umano: il corpo con i suoi sensi, l’anima con le sue passioni, lo spirito con le sue facoltà, in particolare intellettuali. Ma ciò che a lui importa di più è il cuore umano, a proposito del quale scriveva a una sua corrispondente: «È necessario, quindi, coltivare con grande cura questo cuore benamato e non risparmiare nulla di quanto può essere utile alla sua felicità».
Ora, il cuore dell’uomo è «inquieto», secondo il detto di sant’Agostino, perché è pieno di desideri inappagati. Sembra che non abbia mai né «riposo né tranquillità». Francesco di Sales propone allora un’educazione anche dei desideri. In effetti, il principale nemico della volontà «è la quantità di desideri che abbiamo di questa o di quella cosa. In breve, la nostra volontà è così piena di pretese e di progetti, che molto spesso non fa altro che perdere tempo a considerarli uno dopo l’altro o anche tutti insieme, invece di darsi da fare per realizzarne uno più utile». Quale atteggiamento è necessario assumere davanti alla folla dei desideri e alla dispersione dei progetti?
Se voi non incominciate a seguire alcuni dei vostri desideri, essi si moltiplicheranno di contino e affolleranno talmente il vostro spirito da non sapere più come districarvi.
«La nostra volontà rimane indebolita quando ama più cose tutte insieme; i suoi desideri e voleri sono meno violenti e ardenti quando ne ha molti». La soluzione è ovvia: evitare «la ressa dei desideri che ostacola lo spirito». È necessario quindi regolare i desideri e lasciar perdere i desideri inutili: temo – scrive il vescovo di Ginevra alla baronessa di Chantal – «che ci trastulliamo con questi desideri che non ci sono necessari e che non lasciamo abbastanza spazio al nostro spirito, per i desideri che ci sono più utili e imprescindibili».
I soggetti più esposti ad essere presi da molteplici desideri sono i giovani. Tutto dipende dal modo con cui essi intendono gestire questa risorsa. «Se un giovane si fa venire un vivo desiderio d’una certa carica prima del tempo giusto, a cosa gli giova, ditemi, quel desidero?». Il realismo impone di non divertirsi con desideri vani, inutili o, peggio, dannosi.
C’è infatti una specie di «decoro della volontà», come c’è un decoro nel comportamento esteriore, spiegava il fondatore delle visitandine a proposito della «seconda modestia». Quando lo spirito si lascia prendere da una smodata curiosità, la volontà rischia d’infiammarsi di molteplici e inefficaci desideri, come avviene sovente in ambito spirituale.
Motivare la volontà
Francesco di Sales può essere considerato un educatore del cuore umano non soltanto perché ha esaltato la forza della volontà, ma anche nel senso che ha alimentato tale facoltà proponendole motivazioni e ideali attraenti, capaci di mettere in moto la libertà umana. Infatti, per essere efficace, l’educazione deve avvalersi di questa grande risorsa della persona: bisogna «muovere la volontà», attirandola al bene, alla verità e alla bellezza; insomma, proponendole valori e facendoglieli desiderare.
Un buon pedagogo sa che per condurre il proprio allievo verso l’obiettivo propostogli, sia esso il sapere o la virtù, è imprescindibile presentargli un progetto che ne mobiliti le energie. Francesco di Sales si rivela un maestro nell’arte di motivare, quanto insegna a sua «figlia», Giovanna di Chantal, una delle sue massime preferite: «Occorre fare tutto per amore e niente per forza».
Ogni volta che Francesco di Sales parla del cuore umano, e cioè sovente, le due dimensioni, rispettivamente affettiva e effettiva, della volontà si trovano spesso mescolate fra loro. Egli vuole un cuore dolce e pacifico, puro, indifferente, un «cuore spoglio di affetti» incompatibili con la vocazione, un cuore «retto», «disteso e senza alcuna costrizione». Non ama la «tenerezza di cuore» che si riduce a ricerca di sé, e richiede invece la «fermezza di cuore» nell’agire. «A un cuore gagliardo nulla è impossibile» – scrive a una signora –, per incoraggiarla a non abbandonare «il corso delle sante risoluzioni». Vuole un «cuore virile» e allo stesso tempo un cuore «docile, malleabile e sottomesso, arrendevole a ogni cosa consentita e pronto ad assumere ogni impegno per obbedienza e carità»; un «cuore dolce verso il prossimo e umile davanti a Dio», «nobilmente fiero» e «perennemente umile», «dolce e pacifico». Una delle sue «beatitudini» recita: «Beati i cuoi pieghevoli, perché non si spezzeranno mai».
Stiamo in guardia, perché sovente assomigliamo alla pernice di Paflagonia che hanno due cuori: «Abbiamo un cuore dolce e cortese verso noi stessi, e un cuore duro, severo, rigoroso verso il prossimo». É necessario rettificare il cuore senza sosta: «Sarete imperfetta durante tutta la vostra vita, e ci sarà sempre parecchio da correggere», scrive a una persona da lui diretta. Occorre «rendere forte il cuore contro le tentazioni».
Quando il cuore è in preda all’inquietudine, è importante fargli ritrovare la pace, perché «essendo turbato e inquieto in sé stesso, il nostro cuore perde la forza necessaria per conservare le virtù conquistate e, congiuntamente, i mezzi necessari per resistere alle tentazioni e al nemico». Una raccomandazione di vitale importanza è quella di «avere una continua e inviolabile uguaglianza di cuore in tanta diversità di evenienze». Per conservare l’equilibrio, «mortificatelo nelle sue gioie, fatelo gioire nelle sue mortificazioni».
In fin dei conti, l’educazione della volontà mira alla piena padronanza di sé, che Francesco di Sales esprime mediante un’immagine: prendere il cuore in mano, possedere il cuore o l’anima. «La grande gioia dell’uomo, Filotea, è possedere la propria anima; e quanto più la pazienza diventa perfetta, tanto più perfettamente possediamo la nostra anima». Ciò significa non già insensibilità, assenza di passioni o di affetti, bensì una tensione verso la padronanza se stessi. Si tratta d’un cammino diretto all’autonomia di sé, garantita dalla supremazia della volontà, libera e ragionevole.
Conclusione
Incontestabilmente in Francesco di Sales c’è una valorizzazione dell’affettività, ma anche della volontà intesa nel senso della fermezza e della costanza nel decidere. Diceva di sé stesso:
A mio modo di vedere, non c’è anima al mondo che prediliga più cordialmente, teneramente e, detto in buona fede, più amorosamente di me; infatti, è piaciuto a Dio di darmi un cuore cosi fatto.
Giunge perfino a dire: «Io sono l’uomo più affettuoso del mondo», ma aggiunge subito: «Io amo le anime indipendenti, vigorose e che non sono effeminate», ben sapendo che una «tenerezza» esagerata «annebbia il cuore, l’inquieta e lo distrae». Senza rinunciare mai all’amore affettivo, Francesco di Sales si schiera per un amore effettivo, fondato sulle «risoluzioni» della volontà effettiva.