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Don Bosco non fu soltanto un instancabile educatore e pastore di anime, ma anche un uomo di straordinaria intraprendenza, capace di inventare soluzioni nuove e coraggiose per sostenere le sue opere. Le necessità economiche dell’Oratorio di Valdocco, in continua espansione, lo spinsero a cercare mezzi sempre più efficaci per garantire vitto, alloggio, scuola e lavoro a migliaia di ragazzi. Tra questi, le lotterie rappresentarono una delle intuizioni più ingegnose: vere imprese collettive, che coinvolgevano nobili, sacerdoti, benefattori e semplici cittadini.Non era semplice, poiché la legislazione piemontese regolava con rigore le lotterie, consentendone l’organizzazione ai privati solo in casi ben definiti. E non si trattava soltanto di raccogliere fondi, ma di creare una rete di solidarietà che univa la società torinese intorno al progetto educativo e spirituale dell’Oratorio. La prima, nel 1851, fu un’avventura memorabile, ricca di imprevisti e successi.
Il tanto denaro che è giunto nelle mani di don Bosco vi è rimasto per poco, perché subito impiegato nel dare vitto, alloggio, scuola e lavoro a decine di migliaia di ragazzi o nel costruire collegi, orfanotrofi e chiese o nel sostenere le missioni sudamericane. I suoi conti, si sa, erano sempre in rosso; i debiti lo hanno accompagnato tutta la vita.
Ora fra i mezzi intelligentemente adottati da don Bosco per finanziare le sue opere si possono di certo collocare le lotterie: una quindicina quelle da lui organizzate, fra piccole e grandi. La prima, modesta, fu quella di Torino nel 1851 a favore della chiesa di san Francesco di Sales in Valdocco e l’ultima, grandiosa, a metà degli anni ottanta, fu quella per sopperire alle immense spese della chiesa e dell’ospizio del S. Cuore presso la stazione Termini di Roma.
Una vera storia di tali lotterie non è ancora stata scritta, benché al riguardo non manchino le fonti. Solo in riferimento alla prima, quella del 1851, ne abbiamo recuperato noi stessi una dozzina di inedite. Con esse ne ricostruiamo la tormentata storia in due puntate.
Domanda di autorizzazione
A norma di legge del 24 febbraio 1820 – modificata da Regie Patenti del gennaio 1835 e da Istruzioni dell’Azienda Generale delle Regie Finanze in data 24 agosto 1835 e successivamente da Regie Patenti del 17 luglio 1845 – per qualunque lotteria nazionale (Regno di Sardegna) si richiedeva la preventiva autorizzazione governativa.
Per don Bosco si trattò anzitutto di avere la morale certezza di riuscire nel progetto. La ebbe dall’appoggio economico e morale dei primissimi benefattori: le nobili famiglie Callori e Fassati ed il canonico Anglesio del Cottolengo. Si lanciò dunque in quella che sarebbe risultata un’autentica impresa. In tempi brevi riuscì a costituire una Commissione organizzatrice, composta inizialmente da sedici note personalità, poi accresciuta fino a venti. Fra loro numerose autorità civili ufficialmente riconosciute, come un senatore (nominato tesoriere), due vicesindaci, tre consiglieri comunali; poi sacerdoti di prestigio come i teologi Pietro Baricco, vicesindaco e segretario della Commissione, Giovanni Borel cappellano di corte, Giuseppe Ortalda, direttore di Opera Pia di Propaganda Fide, Roberto Murialdo, cofondatore del collegio degli Artigianelli e dell’Associazione di carità; infine uomini esperti come un ingegnere, un orefice stimatore, un negoziante all’ingrosso ecc. Tutte persone, per lo più possidenti, conosciute da don Bosco e “vicine” all’opera di Valdocco.
Completata la Commissione, ad inizio dicembre 1851 don Bosco inoltrò la domanda formale all’Intendente generale di Finanza, cavalier Alessandro Pernati di Momo (futuro senatore e ministro dell’Interno del Regno) nonché “amico” dell’opera di Valdocco.
L’appello per i doni
Alla richiesta di autorizzazione allegò un’interessantissima circolare, in cui, dopo aver tracciato una commovente storia dell’Oratorio – apprezzato dalla famiglia reale, dalle autorità di governo, dalle autorità municipali – indicava che le continue necessità di ampiamento dell’Opera di Valdocco per accogliere sempre più giovani consumavano le risorse economiche della beneficenza privata. Perciò al fine di pagare le spese del completamento della nuova cappella in costruzione, si era presa la decisione di far appello alla pubblica carità mediante una lotteria di doni da offrire spontaneamente: “Consiste questo mezzo in una lotteria d’oggetti, che i sottoscritti vennero in pensiero d’intraprendere per sopperire alle spese di ultimazione della nuova cappella, ed a cui la signoria vostra vorrà, non vi ha dubbio, prestare il suo concorso, riflettendo all’eccellenza dell’opera cui è diretta. Qualunque oggetto piaccia alla signoria vostra offrire o di seta, o di lana, o di metallo, o di legno, ossia lavoro di riputato artista, o di modesto operaio, o di laborioso artigiano, o di caritatevole gentildonna, tutto sarà accettato con gratitudine, perché in fatto di beneficenza ogni piccolo aiuto è gran cosa, e perché le offerte anche tenui di molti insieme riunite possono bastare a compir l’opera desiderata”.
Nella circolare indicò pure i nomi dei promotori e promotrici, cui si potevano consegnare i doni e delle persone di fiducia che li avrebbero poi raccolti e custoditi. Fra i 46 promotori figuravano varie categorie di persone: professionisti, professori, impresari, studenti, chierici, negozianti, mercanti, sacerdoti; diversamente fra la novantina di promotrici sembra prevalessero le nobildonne (baronessa, marchesa, contessa e relative damigelle).
Non mancò di allegare alla domanda pure il “piano della lotteria” in tutti i suoi molteplici aspetti formali: raccolta degli oggetti, ricevuta di consegna degli stessi, loro valutazione, biglietti autenticati da smerciare in numero proporzionato al numero e valore degli oggetti, loro esposizione al pubblico, estrazione dei vincitori, pubblicazione dei numeri estratti, tempi di ritiro dei premi ecc. Una serie di impegnativi adempimenti cui don Bosco non si sottrasse. Per i suoi giovani non bastava più la cappella Pinardi: ci voleva una chiesa più grande, quella, progettata, di san Francesco di Sales (una dozzina di anni dopo ce ne sarebbe voluta un’altra ancora più grande, quella di Maria Ausiliatrice!).
Risposta positiva
Vista la serietà dell’iniziativa e l’alta “qualità” dei membri della Commissione proponente, la risposta dell’Intendenza non poté che essere positiva ed immediata. Il 17 dicembre il suddetto vicesindaco Pietro Baricco trasmise a don Bosco il relativo decreto, con l’invito a trasmettere sempre in copia i futuri atti formali della lotteria all’Amministrazione comunale, responsabile delle regolarità di tutti gli adempimenti di legge. A questo punto prima di Natale don Bosco mandò alle stampe la suddetta circolare, la diffuse ed incominciò a raccogliere doni.
Gli erano stati concessi due mesi di tempo al riguardo, in quanto durante l’anno avevano luogo anche altre lotterie. I doni arrivavano però lentamente, per cui a metà gennaio don Bosco si vide costretto a ristampare la predetta circolare e chiese la collaborazione a tutti i giovani di Valdocco ed agli amici per scrivere indirizzi, fare visita a benefattori conosciuti, propagandare l’iniziativa, raccogliere i doni.
Ma “il bello” doveva ancora venire.
Il salone espositivo
Valdocco non aveva spazi per l’esposizione dei doni, per cui don Bosco domandò al vicesindaco Baricco, tesoriere della commissione per la lotteria, di chiedere al Ministero della guerra, tre stanze di quella parte del Convento di san Domenico che era a disposizione dell’esercito. I padri domenicani erano d’accordo. Il ministro Alfonso Lamarmora in data 16 gennaio le concesse. Ma ben presto don Bosco si rese conto che non sarebbero state sufficientemente ampie, per cui fece chiedere al re, tramite l’elemosiniere, abate Stanislao Gazzelli, un locale più grande. Dal sovraintendente reale Pamparà gli venne risposto che il re non disponeva di locale adatto e proponeva di affittare a sue spese il locale del gioco del Trincotto (o pallacorda: una sorta di tennis a mano ante litteram). Questo locale però sarebbe stato disponibile per il solo mese di marzo e a certe condizioni. Don Bosco rifiutò la proposta ma accettò le 200 lire offerte dal re per il fitto del locale. Messosi allora alla ricerca di altro salone, ne trovò uno adatto su indicazione del municipio cittadino, dietro la chiesa di S. Domenico, a poche centinaia di metri da Valdocco.
Arrivo dei doni
Nel frattempo don Bosco aveva chiesto al ministro delle Finanze, il famoso conte Camillo Cavour, una riduzione o l’esenzione delle spese di spedizione delle lettere circolari, dei biglietti e degli stessi doni. Tramite il fratello del conte, il religiosissimo marchese Gustavo di Cavour, ricevette il consenso per varie riduzioni postali.
Si trattava ora di trovare un perito per la valutazione dell’ammontare dei doni e il conseguente numero dei biglietti da smerciare. Don Bosco lo chiese all’Intendente suggerendone anche il nome: un orefice membro della Commissione. L’Intendente, invece, tramite il sindaco gli rispose chiedendogli una doppia copia descrittiva dei doni arrivati onde nominare un proprio perito. Don Bosco eseguì subito la richiesta e così il 19 febbraio il perito valutò in 4124,20 lire i 700 oggetti raccolti. Dopo tre mesi si arrivò a 1000 doni, dopo quattro a 2000, sino alla conclusione di 3251 doni, grazie al continuo “questuare di don Bosco” presso singoli, sacerdoti e vescovi e alle sue ripetute richieste formali al Comune di proroga del tempo per l’estrazione. Don Bosco non mancò neppure di criticare la stima fatta dal perito comunale dei doni che continuamente arrivavano, a suo dire, inferiore all’effettivo loro valore; ed in effetti vennero aggiunti altri estimatori, soprattutto un pittore per le opere d’arte.
La cifra finale fu tale che don Bosco fu autorizzato ad emettere 99 999 biglietti al prezzo di 50 centesimi l’uno. Al catalogo già stampato con i doni numerati con nome del donatore e dei promotori e promotrici si aggiunse un supplemento con gli ultimi doni arrivati. Fra loro quelli del papa, del re, della regina madre, della regina consorte, deputati, senatori, autorità municipali ma anche tantissime persone umili, soprattutto donne che offrirono oggetti e suppellettili per la casa, anche di poco valore (bicchiere, calamaio, candela, caraffa, cavatappi, cuffia, ditale, forbici, lampada, metro, pipa, portachiavi, saponetta, temperino, zuccheriera). Il dono più offerto furono i libri, ben 629 e i quadri-quadretti, 265. Pure i ragazzi di Valdocco andarono a gara ad offrire il loro piccolo dono, magari un libretto regalato loro da don Bosco stesso.
Un lavoro immane fino all’estrazione dei numeri
A questo punto bisognava stampare i biglietti in serie progressiva in duplice forma (piccola matrice e biglietto), farli firmare entrambi da due membri della commissione, spedire il biglietto tenendone nota, documentare il denaro incassato… A molti benefattori si inviavano decine di biglietti, con l’invito a tenerli o a smerciarli presso amici e conoscenti.
La data dell’estrazione, inizialmente fissata per il 30 aprile, fu rinviata al 31 maggio e quindi al 30 giugno, per effettuarlo poi a metà luglio. Quest’ultima proroga fu dovuta allo scoppio della polveriera di Borgo Dora che devastò l’area di Valdocco.
Per due pomeriggi, 12-13 luglio 1852, sul balcone del palazzo municipale si procedette all’estrazione dei biglietti. Quattro urne a ruota di diverso colore contenevano 10 pallottole (da 0 a 9) identiche e dello stesso colore della ruota. Inserite ad una ad una dal vicesindaco nelle urne, e fatte girare, otto giovani dell’Oratorio compivano l’operazione ed il numero estratto veniva proclamato ad alta voce e poi pubblicato sulla stampa. Molti doni furono lasciati all’Oratorio, dove furono successivamente riutilizzati.
Valeva la pena?
Per i circa 74 mila biglietti venduti, tolte le spese, a don Bosco restarono circa 26.000 lire, che poi provvide a suddividere equamente con l’attigua opera Cottolengo. Un piccolo capitale certo (la metà del prezzo di acquisto della casetta Pinardi l’anno precedente), ma il risultato più grande del lavoro massacrante cui si sottopose per effettuare la lotteria – documentata da decine di lettere spesso inedite – è stato il diretto e sentito coinvolgimento di migliaia di persone di ogni classe sociale nel suo “incipiente progetto Valdocco”: nel farlo conoscere, apprezzare e poi sostenere economicamente, socialmente, politicamente.
Don Bosco ricorrerà molte volte alle lotterie e sempre con il duplice scopo: raccogliere fondi per le sue opere per i ragazzi poveri, per le missioni e offrire modalità a credenti (e non credenti) di praticare la carità, il mezzo più efficace, come ripeteva continuamente, per “ottenere il perdono dei peccati e assicurarsi la vita eterna”.
«Ho sempre avuto bisogno di tutti» Don Bosco
Al senatore Giuseppe Cotta
Giuseppe Cotta, banchiere, fu grande benefattore di don Bosco. In archivio si conserva la seguente dichiarazione su carta da bollo in data 5 Febbraio 1849: “I sottoscritti sacerdoti T. Borrelli Gioanni di Torino e D. Bosco Gio’ di Castelnuovo d’Asti si dichiarano debitori di franchi tre mila verso l’ill.mo Cavaliere Cotta che ne fece imprestito ai medesimi per un’opera pia. Questa somma dovrà essere dai medesimi sottoscritti restituita fra un anno cogli interessi legali”. Firmato Sacerdote Giovanni Borel, D. Bosco Gio.
In calce allo stesso foglio e nella stessa data p. Cafasso Giuseppe scrive: “Il sottoscritto rende distinte grazie all’Ill. mo Sig. Cav. Cotta per quanto sopra e nello stesso tempo si rende fideiussore verso il medesimo della somma nominata”. A fondo pagina il Cotta sottoscrive di aver ricevuto lire 2.000 il 10 aprile 1849, altre 500 lire il 21 luglio 1849 e il saldo il 4 gennaio 1851.