Hai pensato alla tua vocazione? San Francesco di Sales potrebbe aiutarti (1/10)

«Non è per la grandezza delle nostre azioni che noi piaceremo a Dio, ma per l’amore con cui le compiamo», san Francesco di Sales.
Un percorso a dieci puntate nel quale san Francesco di Sales potrebbe accompagnare anche oggi i giovani che si fanno domande sul senso della loro vita.

1. Se iniziassimo dall’ABC della vita cristiana

Cari giovani,
so di scrivere a chi si porta già nel cuore un piccolo desiderio di bene, una ricerca di luce. Avete già camminato nell’amicizia col Signore, ma mi permetto di riassumervi qui l’ABC della vita da credente, ovvero una vita interiore e spirituale ricca e profonda. Con queste basi potrete essere attrezzati per fare scelte fruttuose nella vostra esistenza. Questo lavoro non mi è nuovo: quando ero Vescovo ho visitato tutte le parrocchie della mia Diocesi e molte erano situate sui monti. Per raggiungerle non c’erano strade e dovevo camminare a lungo, anche d’inverno, ma ero felice di incontrare quelle persone semplici, per incoraggiarle a vivere come piace a Dio.
Per camminare con frutto è decisivo il lavoro della guida spirituale che si accorge di cosa sta capitando nel vostro cuore, vi incoraggia, vi segue, vi fa proposte chiare, graduali e stimolanti. Scrivevo nella Filotea: “Vuoi metterti in cammino nei sentieri dello Spirito con sicurezza? Trova qualcuno capace, che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione delle raccomandazioni”. Quattro secoli fa, come oggi: questo è il punto cruciale, decisivo.
La meta da raggiungere è la santità, che consiste in una vita cristiana consapevole, ovvero una profonda amicizia con Dio, una vita spirituale fervente, segnata dall’amore a Dio e al prossimo. Si tratta di una via semplice, sapendo che le grandi occasioni per servire Dio si presentano raramente, mentre le piccole le abbiamo sempre. Questo ci stimola ad una carità pronta, attiva, diligente.
Se, pensando ad una meta così, siete tentati dallo scoraggiamento, vi ripeto quanto scrissi secoli fa: “Non bisogna pretendere che tutti comincino con la perfezione: poco importa il modo di cominciare. Basta essere risoluti a continuare e terminare bene”.
Per partire con il piede giusto vi invito alla purificazione del cuore attraverso la confessione. Il peccato è una mancanza di amore, un furto alla vostra umanità, un trovarsi al buio e al freddo: nella confessione si consegna a Gesù tutto quello che può appesantire e rendere buio il viaggio. È ri-avere la gioia del cuore.
Procedendo, gli attrezzi per camminare sono antichi e preziosi quanto la Chiesa, e hanno sostenuto generazioni di cristiani di ogni età, da 20 secoli! Anche voi li avete certamente sperimentati.
La preghiera, ovvero dialogare con un Padre innamorato di voi e della vostra vita. Non dimenticate che a pregare si impara pregando: quindi abbiate fedeltà e perseveranza.
La Parola di Dio, ovvero la “lettera di Dio” indirizzata proprio a voi come singoli. È come una sorta di bussola che orienta il camminare, soprattutto quando c’è nebbia, buio e rischiate di perdere l’orientamento! Non dimenticate che leggendola avete tra le mani il Tesoro.
Il sacramento dell’Eucaristia è il termometro della vostra vita credente: se il vostro cuore non ha maturato un vivo desiderio di accogliere il Pane della Vita, l’incontro con Lui avrà risultati modesti. Scrivevo ai miei contemporanei: “Se il mondo vi chiede perché vi comunicate così spesso, rispondete che è per imparare ad amare Dio, per purificarvi dalle vostre imperfezioni, per liberarvi dalle vostre miserie, per trovare forza nelle vostre debolezze e consolazioni nelle vostre afflizioni. Due tipi di persone devono comunicarsi sovente: i perfetti, perché essendo ben disposti farebbero un torto a non accostarsi alla fonte e sorgente della perfezione; e gli imperfetti per poter tendere alla perfezione. I forti per non indebolirsi e i deboli per rafforzarsi. I malati per guarire e i sani per non ammalarsi.” Partecipate alla S. Messa con grande frequenza: il più possibile!
Insisto poi sulle virtù, perché se l’incontro con Dio è vero e profondo cambia anche i rapporti con le persone, il lavoro, le cose. Esse consentono di avere un carattere umanamente ricco, capace di amicizie vere e profonde, di essere gioiosamente impegnati nel fare bene il proprio dovere (lavoro-studio), pazienti e cordiali nel tratto, buoni.
Tutto questo non avviene nel vostro cuore solitario, per migliorarlo e compiacersi. La vita con altri è uno stimolo a camminare meglio (quanti sono migliori di noi!), ad aiutare di più (quanti hanno bisogno di noi!), a farsi aiutare (quanto abbiamo da imparare!), a ricordarci che non siamo autosufficienti (non ci siamo auto-creati e auto-educati!). Senza una dimensione comunitaria, ci perdiamo presto.
Spero che abbiate già gustato i frutti di una guida stabile, di confessioni autentiche, della preghiera fedele e soda, della ricchezza della Parola, dell’Eucaristia vissuta con fecondità, delle virtù praticate nella gioia del quotidiano, di amicizie arricchenti, dell’imprescindibilità del servizio. In questo humus si fiorisce: solo in questo ecosistema si percepisce il vero volto del Dio cristiano, alla cui mano è bello e dà gioia affidare la propria vita.

Ufficio Animazione Vocazionale

(continua)




Connettersi alla mentalità dei Millennials e della “Generazione Z”

La comunicazione coinvolge diverse componenti che dobbiamo seriamente prendere in considerazione: prima di tutto, il mittente che codifica il messaggio scegliendo il mezzo attraverso il quale questo viene trasmesso dal mittente al ricevitore. Il ricevitore, a sua volta, analizza il messaggio nel suo contesto e lo interpreta secondo l’intenzione del mittente o in una maniera diversa. Infine, il feedback indica la qualità del messaggio ricevuto. Qualsiasi tentativo di comunicare Cristo oggigiorno, parte dalla comprensione della mentalità della generazione dei giovani di oggi. Il presente articolo tratterà proprio questo tema.

Una generazione è un gruppo che potrebbe essere identificato dall’anno di nascita e da eventi significativi che ne abbiano modellato la personalità, i valori, le aspettative, le qualità comportamentali e le capacità motivazionali. I sociologi chiamano la generazione dei nati tra il 1943 e il 1960 “Baby Boomer”. La GenerazioneX comprende i nati tra il 1961 e il 1979. I Millennials (chiamati anche Generazione Y) include i nati tra il 1980 e il 2000. Della Generazione Z fanno parte i nati dopo il 2000.

I mittenti sono i pastori-educatori salesiani e gli animatori giovanili. I ricevitori sono i giovani ed i giovani adulti di oggi che sono costituiti principalmente dai Millennials e dalla Generazione Z. Perciò, questa presentazione si focalizzerà sul cercare di capire la loro mentalità per scoprire i modi di comunicare a loro il nostro messaggio, Gesù Cristo. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà del “divario digitale”, che riflette l’enorme e crescente disuguaglianza sociale tra coloro che hanno facile accesso a Internet e coloro che non ce l’hanno, specialmente molti giovani. Quindi, i fattori socio-economici del divario digitale sono varianti importanti da considerare; tuttavia qui vengono evidenziate le caratteristiche che si ritrovano comunemente in tutti i contesti. Una risposta importante a questo articolo è il confronto tra ciò che viene descritto qui e il contesto specifico del lettore.

I MILLENNIALS
Oggi i Millennials hanno tra i 20 e i 41 anni circa. Hanno imparato ad usare la tecnologia e ne sono diventati dipendenti in un’età più precoce rispetto alle generazioni precedenti. I più giovani Millennials non potrebbero nemmeno immaginare la vita senza smartphone e internet. Appartengono a una generazione che è estremamente connessa attraverso i social media. Vivono in un’epoca in cui un post può raggiungere innumerevoli persone e attraversare barriere linguistiche, culturali e geografiche. Questo ha creato in loro il desiderio di poter accedere a tutte le informazioni che vogliono e che forniscano loro risposte e feedback istantanei.

I Millennials vogliono essere coinvolti avendo l’opportunità di condividere i loro pensieri poiché amano socializzare le idee e scegliere la migliore fra queste. Vogliono essere parte della conversazione ascoltando e parlando. Quando le loro opinioni vengono ascoltate, si sentono apprezzati e saranno pronti ad impegnarsi in qualcosa di cui si sentono parte. I Millennials vogliono che la loro fede sia olisticamente integrata nella loro vita, compreso l’ambito della tecnologia. Sono la generazione delle app. Le app sono diventate per loro uno strumento per comunicare, elaborare informazioni, acquistare beni o anche leggere le Scritture e pregare. Sono esperti di tecnologia e usano le app fino a due ore al giorno. Desiderano essere visibili. Sono ottimisti e vogliono condividere, preferendo comunicare attraverso messaggi di testo. Sono concentrati sull’“adesso” ma tendono ad essere idealisti.

LA GENERAZIONE Z
Oggi i ragazzi della Generazione Z sono quelli che hanno 21 anni o meno. Sono i primi ad avere internet a portata di mano. Sono nativi digitali perché sono stati esposti a internet, ai social network e ai cellulari fin dalla più tenera età. Usano internet per socializzare senza distinguere gli amici che incontrano online da quelli del mondo fisico. Per loro, il mondo virtuale è tanto reale quanto il mondo in presenza. Sono sempre connessi: per loro non esiste più l’offline. Sono attivi creatori e grandi consumatori di contenuti online. Preferiscono i siti internet per comunicare e interagire con le persone, specialmente usando le immagini; prediligono partecipare e rimanere connessi tramite la tecnologia a portata di mano. Sono creativi, realistici e concentrati sul futuro.

Hanno una profonda consapevolezza su questioni ed eventi importanti e hanno un grande desiderio di cercare la verità, ma vogliono scegliere e scoprire la verità da soli. Infatti, la ricerca della verità è al centro del loro comportamento tipico e dei loro modelli di consumo.
Quelli della Generazione Z usano i social network come Facebook, WhatsApp, Twitter, Instagram, Tiktok, Tumblr per ottenere informazioni sulle questioni sociali, sulla salute e l’alimentazione, sulla spiritualità ecc. Ma sono anche grandi utilizzatori di piattaforme sociali anonime come Snapchat, Secret, Whisper, dove qualsiasi immagine compromettente scompare quasi istantaneamente. Con una grande quantità di informazioni a loro disposizione, sono più pragmatici e meno idealisti dei Millennials. Il loro continuo ricorrere all’online potrebbe condurli al rischio di condividere eccessivamente le informazioni personali nel mondo virtuale e a diventare dipendenti da internet. Il loro carattere viene plasmato da ciò che pubblicano su se stessi online e da ciò che gli altri pubblicano e commentano sul loro conto. Tra di essi, una grande maggioranza in tutti i continenti si dichiara religiosa ma non si identifica necessariamente in una religione: credono senza appartenere, altri appartengono senza credere. Coloro che dichiarano di non appartenere a nessuna religione specifica provengono normalmente da famiglie senza fede religiosa o da cristiani tiepidi. Sono molto meno religiosi rispetto ai Millennials.

I SOCIAL MEDIA
È vero che i social media potrebbero in qualche modo ostacolare le relazioni interpersonali autentiche. Potrebbero anche essere usati come piattaforma per la distribuzione e l’accesso a materiali che potrebbero causare danni morali, sociali e spirituali. In verità, qualsiasi mezzo ha il potenziale per essere usato per il male. È vero che i social media sono stati usati, per esempio, per globalizzare populismi e per scatenare rivoluzioni come la primavera araba e le proteste dei gilet gialli in Francia.

Eppure, i social media hanno anche permesso alle persone di rimanere connesse a livello globale, hanno dato a ciascuno di noi la capacità di aggiornarsi a vicenda su ciò che sta accadendo nelle nostre vite, di condividere idee potenti e di invitare le persone a conoscere Gesù Cristo. I social media sono diventati il nostro cortile virtuale. Perciò, è importante che passiamo dalla demonizzazione del mezzo, all’educazione dei giovani al suo uso corretto e allo sviluppo delle sue potenzialità per evangelizzare.

COMUNICARE CRISTO
La testimonianza credibile è una condizione importante per comunicare Cristo. Nel mondo virtuale, la testimonianza implica visibilità (manifestiamo in maniera visibile la nostra identità cattolica), verità (ci assicuriamo di essere portatori della verità e non di notizie false) e credibilità (le immagini che presentiamo rafforzano il messaggio che vogliamo comunicare). La fede deve essere presentata ai Millennials e alla Generazione Z in modi nuovi e coinvolgenti. Questo, a sua volta, offrirà loro la possibilità di condividere la fede con i propri coetanei. Dovremmo resistere alla tentazione di bombardare i social media con messaggi e immagini religiose. Questo, in realtà, allontanerà un gran numero di giovani.
Il Primo annuncio non riguarda le dottrine cristiane da insegnare. L’aggettivo “primo” non va inteso in senso strettamente lineare o cronologico come il primo momento dell’annuncio, perché in realtà ne impoverisce la ricchezza.  È piuttosto “primo” nel senso in cui il termine arché era inteso dagli antichi filosofi greci come il principio o l’elemento fondamentale da cui tutto ha origine, o quello da cui tutte le cose sono formate. È il fondamento di una nuova evangelizzazione e di tutto il processo di evangelizzazione.
Il primo annuncio cerca di promuovere un’esperienza travolgente ed entusiasmante capace di suscitare il desiderio di cercare la verità e l’interesse per la persona di Gesù. Questa, eventualmente, porta ad una prima adesione a Lui, o alla rivitalizzazione della fede in Lui. Il primo annuncio è quella scintilla che porta alla conversione. Questa scelta per Cristo è il feedback del messaggio. Ad esso segue poi il processo di evangelizzazione attraverso il catecumenato e la catechesi sistematica. Senza il primo annuncio che porta ad un’opzione personale per Cristo, qualsiasi sforzo di evangelizzazione sarà sterile. Invece, la sfida per ogni pastore-educatore salesiano, per ogni animatore giovanile, per ogni discepolo missionario è quella di aiutare gli stessi Millennials e la Generazione Z a creare sui social media contenuti basati sulla fede che possano suscitare nei loro coetanei un interesse a conoscere la persona di Gesù Cristo. Non si tratta di creare contenuti per i social media. Questa è una tentazione a cui bisogna resistere con forza. Il nostro compito è quello di formare e accompagnare gli stessi Millennials e la Generazione Z in modo che possano creare per se stessi e per i loro coetanei dei contenuti basati sulla fede, condivisi sui social media, che possano risvegliare l’interesse a conoscere la persona di Gesù Cristo. Davvero, oggi i social media sono una piattaforma privilegiata per comunicare Cristo ai giovani. Sta a ciascuno di noi usarli con creatività missionaria!

GLI AMBIENTI VIRTUALI GIOVANILI DI OGGI
Nuove intuizioni da una prospettiva missionaria
Sondaggio effettuato da Juan Carlos Montenegro e don Alejandro Rodriguez sdb, Ispettoria San Francisco (SUO), Stati Uniti d’America.

Il comando di Gesù “Andate e fate discepoli” (Mt 28,19) continua a risuonare per noi oggi. Il nostro amore per Cristo ci sfida ad andare oltre i nostri confini e raggiungere ogni persona, in particolare i giovani della società attuale. Per fare questo abbiamo bisogno di osservare la realtà dal loro punto di vista, capire in che modo essi elaborano le informazioni e come queste informazioni influenzino il loro comportamento. Tuttavia, la nostra missione principale come educatori-evangelizzatori salesiani è di avvicinarli a Cristo e avvicinare Cristo a loro.

Le differenze generazionali potrebbero essere una sfida che non aiuta a metterci in cammino per essere “pienamente” presenti in questo nuovo cortile dove i giovani hanno costruito il proprio linguaggio, hanno sviluppato le proprie regole e hanno creato nuove espressioni e diversi tipi di relazioni significative. Questo nuovo cortile è un mondo virtuale dove i giovani di oggi vivono, interagiscono, sognano, si impegnano e soffrono. L’amore e il sigillo missionario di don Bosco ci spingono ad abbracciare questa nuova realtà con speranza, fede e carità pastorale.

Se non conosciamo la nuova realtà che i giovani stanno affrontando nel mondo virtuale, la nostra proposta e il nostro accompagnamento come educatori-evangelizzatori saranno insignificanti e irrilevanti. Il Quadro di Riferimento della Pastorale Giovanile Salesiana (2015) ci chiama ad essere presenti nel “nuovo cortile”. Ora più che mai, dobbiamo innovare e adattare il nostro stile salesiano di presenza tra i giovani.

Per capire che cosa sta succedendo in questo nuovo cortile virtuale, il Settore Missioni ha condotto un sondaggio online a livello congregazionale cercando di capire i nostri giovani, che cosa pensano, che cosa fanno, che cosa si aspettano riguardo ai contenuti, alle possibilità e all’uso dei social media. Il sondaggio online in 6 lingue ha coinvolto 1731 giovani delle nostre comunità educativo-pastorali salesiane che hanno tra i 13 e i 18 anni provenienti da 37 paesi e 6 diversi continenti. Questo è importante da tenere presente perché le risposte dei giovani che non provengono dall’ambiente salesiano possono essere diverse.

Punti rilevanti:
            • È noto che l’aumento dell’utilizzo di internet è associato nei giovani ad una diminuzione nella comunicazione con i membri della famiglia, ad un calo della partecipazione alla vita sociale e ad un aumento della depressione e della solitudine. Questi sono temi importanti da tenere a mente per quanto riguarda l’accompagnamento nella nostra pianificazione pastorale.
            • Il 91% dei nostri giovani usa i telefoni cellulari per accedere ai social media. Questi dispositivi sono associati a problemi comportamentali e anche a possibili problemi di salute. Il 75% degli intervistati è connesso a Internet per oltre 6 ore a settimana, ma può superare le 20 ore in alcuni casi. L’essere connessi ha molte implicazioni, come lo spostamento dello sviluppo delle abilità sociali, delle relazioni, della conoscenza ecc.

            • I giovani intervistati ritengono che le più grandi minacce derivanti dall’uso dei social media siano il bullismo online, la pedofilia, le fake news, i molestatori e gli hacker. Mentre il 26% dei nostri giovani afferma di essere stato vittima di bullismo.
            • Per mancanza di supervisione e/o formazione e accompagnamento i giovani sono esposti a contenuti per adulti; la presenza educativa più urgente degli adulti inizia con i ragazzi all’età di 11-13 anni perché è il momento in cui, secondo l’indagine, sono più vulnerabili ai contenuti di questo tipo sulle pagine web.
            • Per quanto riguarda la nostra presenza con contenuti religiosi, il 73% dei giovani che hanno partecipato a questo sondaggio hanno avuto qualche tipo di contatto con contenuti religiosi. Il 48% crede che internet aiuti a sviluppare la loro relazione con Dio.
            • I nostri giovani visitano siti web che sono legati a video e musica, giochi, tutorial ecc. L’88% degli intervistati preferisce i video come tipo di contenuto.
            • I giovani preferiscono WhatsApp (64%), Instragram (61%), Youtube (41%), TikTok o Facebook (37%) e Messenger (33%). Questa informazione ci aiuta a migliorare le nostre modalità di comunicazione con loro perché gli adulti potrebbero sforzarsi di più per essere presenti in piattaforme dove i giovani non ci sono. Forse i migliori canali di comunicazione potrebbero essere Facebook per i genitori e Instagram per i nostri giovani.

Questa indagine è un potente richiamo che sfida noi educatori ed evangelizzatori dei giovani ad essere presenti tra i nostri giovani in modo rilevante e significativo nei social media.




Animazione vocazionale nel cuore della pastorale giovanile

La difficoltà maggiore nel servizio di animazione vocazionale oggi non sta tanto nella chiarezza delle idee, quanto in tre aspetti: in primo luogo, la modalità della prassi pastorale; in secondo luogo, il coinvolgimento, la testimonianza e la preghiera di tutta la Comunità educativo-pastorale e, al suo interno, della comunità religiosa nella «cultura vocazionale».

Con il «cambiamento climatico» nelle nostre società, i valori si spostano, vengono trasmessi e talvolta camuffati. Questo cambiamento sembra inevitabile e irreversibile. Tuttavia, sentiamo la responsabilità di essere propositivi e di generare proposte educativo-pastorali ai giovani che favoriscano la risposta al progetto di Dio con libertà, autenticità e determinazione. Negli ultimi anni si è parlato e scritto molto di animazione vocazionale per rivitalizzare i nostri sforzi, riconoscere i nuovi movimenti dello Spirito, aprirci alla riflessione della Chiesa e sviluppare nuove comprensioni dell’accompagnamento e del discernimento vocazionale.

Oggi molti giovani si pongono le stesse domande e non sempre trovano lo spazio per esaminarle e approfondirle. Le domande provengono dal loro intimo, come movimenti interiori che spesso non sanno come interpretare o riconoscere. Ognuno di noi ha avuto più di una volta bisogno della presenza di una persona che ci desse gli strumenti necessari per passare da queste turbolenze interiori alla fiducia in un progetto di vita significativo.
Allo stesso modo, intendiamo per «cultura vocazionale» quell’ambiente, creato dai membri di una Comunità Educativo-Pastorale (non solo la comunità religiosa), che promuove la concezione della vita come vocazione. È un ambiente che permette a ogni individuo, sia egli credente o non credente, di entrare in un processo in cui viene messo in grado di scoprire la propria passione e i propri obiettivi nella vita. «Sentire la vocazione a qualcosa» significa sentirsi chiamati da una realtà preziosa, dalla quale posso leggere e dare un senso alla mia vita. Implica non tanto fare ciò che vogliamo, ma scoprire ciò che siamo chiamati a essere e a fare.

Si può dire che questa cultura vocazionale ha alcune componenti fondamentali: la gratitudine, l’apertura al trascendente, l’interrogazione sulla vita, la disponibilità, la fiducia in sé stessi e negli altri, la capacità di sognare e di desiderare, lo stupore per la bellezza, l’altruismo… Queste componenti sono certamente la base di qualsiasi approccio vocazionale.

Ma dovremmo anche parlare delle componenti specifiche di questa cultura vocazionale salesiana. Si tratta di quegli elementi che favoriscono, tra l’altro: la conoscenza e l’apprezzamento della chiamata personale di Dio (alla vita, alla sequela e a una missione concreta) e i percorsi di vita cristiana (secolare e di speciale consacrazione); la pratica del discernimento come atteggiamento di vita e mezzo per fare una scelta di vita; gli aspetti rilevanti del carisma salesiano stesso.

Ma quali sono le condizioni per una «cultura vocazionale»?
1. La preghiera insistente è alla base di tutta la pastorale vocazionale. Da un lato, per gli operatori pastorali e per tutta la comunità cristiana: se le vocazioni sono un dono, dobbiamo chiedere al Signore della messe (cfr. Mt 9,38) di continuare a suscitare cristiani con vocazioni alle diverse forme di vita cristiana. D’altra parte, un compito fondamentale di tutta la pastorale sarà quello di aiutare i giovani a pregare.

2. Sono le persone a promuovere le vocazioni, non le strutture. Non c’è nulla di più provocatorio della testimonianza appassionata della vocazione che Dio dona a ciascuno, solo così chi è chiamato scatena, a sua volta, la chiamata negli altri. Noi Salesiani dobbiamo sforzarci di rendere comprensibile il nostro modo di vivere con il Signore. Tutti noi Salesiani siamo cuore, memoria e garanti non solo del carisma salesiano, ma anche della propria vocazione.

3. Un altro punto nevralgico della «cultura delle vocazioni» è il rinnovamento e la rivitalizzazione della vita comunitaria. Laddove si vive e si celebra la propria vocazione, le relazioni fraterne, l’impegno nella missione e l’accoglienza di tutti e di ciascuno, possono sorgere vere e proprie domande di carattere vocazionale.

4. Con i tre punti precedenti, abbiamo voluto esprimere che un’azione pastorale in questo campo che non sia sostenuta dalla preghiera e dalla testimonianza di vita, è afflitta da incoerenza, come avverrebbe in qualsiasi altro ambito della pastorale. Inoltre, poiché la vocazione richiede resistenza e persistenza, impegno e stabilità, dobbiamo andare oltre la mentalità o la sensibilità vocazionale e possedere una prassi vocazionale, una pedagogia vocazionale con gesti che la rendano credibile e la sostengano nel tempo e nello spazio. Questa pedagogia ha a che fare con la centralità degli itinerari di fede nell’iniziazione cristiana, con le proposte di vita comunitaria accompagnata e con l’accompagnamento personale; un’animazione vocazionale all’interno della pastorale giovanile.

5. Se la fiducia in Dio che chiama funziona come un polmone che ossigena la pastorale vocazionale, l’altro polmone è la fiducia nel cuore generoso dei giovani. I cuori dei nostri giovani sono fatti per grandi cose, per la bellezza, per la bontà, per la libertà, per l’amore…, e questa aspirazione appare continuamente come un richiamo interiore nel profondo del loro cuore. Da questa prospettiva, siamo stati in grado di confrontarci con due approcci vocazionali: il primo approccio si concentra sui giovani più vicini al nostro carisma, cioè quelli che, per il loro legame con le comunità e le opere salesiane, sono aperti a un’esperienza di Dio, a relazioni comunitarie significative e al servizio con i giovani; il secondo approccio si concentra su coloro che possono essere attratti dall’approfondimento della vocazione salesiana come scelta di vita fondamentale.

6. Infine, per completare la mappa, non dimentichiamoci della promozione della vocazione di speciale consacrazione. In questa proposta, viene definito un aspetto concreto della promozione vocazionale che cerca di risvegliare e accompagnare le persone chiamate a una forma di vita concreta (il ministero ordinato, la propria congregazione o movimento), come modo concreto di seguire Gesù.

Anche la Chiesa di oggi ha bisogno della vocazione del salesiano consacrato. Forse dovremmo ricordare che il dinamismo del discernimento vocazionale è un compito spirituale illuminato dalla speranza di conoscere la volontà di Dio; è un compito umile, perché implica la consapevolezza di non sapere, ma esprime il coraggio di cercare, di guardare e di camminare in avanti, liberandosi da quella paura del futuro che è ancorata al passato e che nasce dalla presunzione di sapere già tutto.

La vocazione è un processo che dura tutta la vita, percepito come una successione di chiamate e risposte, un dialogo nella libertà tra Dio e ogni essere umano, che assume la forma di una missione da scoprire continuamente nelle varie fasi della vita e a contatto con nuove realtà. Una vocazione, quindi, è il modo particolare in cui una persona struttura la propria vita in risposta a una chiamata personale ad amare e servire; il modo di amare e servire che Dio vuole per ciascuno.
A partire dalla citazione di papa Francesco (Evangelii Gaudium, 107), possiamo indicare tre percorsi da seguire per una coerente animazione vocazionale: vivere un fervore apostolico contagioso, pregare con insistenza e osare la proposta. In sintesi: che cosa possiamo fare? Pregare, vivere e agire.

Per sapere di più, fatte click QUI.




Pastorale giovanile e famiglia

Investire sull’educazione dei giovani per costruire le famiglie di oggi e di domani

L’educazione dei giovani è compito originale dei genitori, connesso alla trasmissione della vita, e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; quindi il ruolo della Comunità Educativo-Pastorale si propone come complementare, non sostitutivo, del ruolo educativo dei genitori dei giovani. Il contributo della vocazione familiare, genitoriale e di coppia è stato individuato in almeno tre temi centrali: l’amore, la vita e l’educazione.

La cura della famiglia suscita un grande interesse in tutto il mondo. Una particolare attenzione è dedicata alla questione attraverso articoli, pubblicazioni scientifiche e atti dei convegni. Nello stesso tempo, alla famiglia è chiesto di prendersi cura dei legami che costituiscono la fitta trama che sostiene la persona dei giovani nel processo di crescita e che incrementano la qualità della vita di una comunità. Perciò, bisogna promuovere adeguate strategie educativo-pastorali di sostegno alla famiglia, sul ruolo che ha nella costruzione dei rapporti interpersonali e intergenerazionali, nonché nella complessiva concezione dell’educazione e dell’accompagnamento delle nuove generazioni.

Nella sua complessità, ogni famiglia è come un libro che ha bisogno di essere letto, interpretato e compreso con molta cura, attenzione e rispetto. Nella nostra società contemporanea, la vita familiare presenta, di fatto, alcune condizioni che la espongono a fragilità.

Incontrare don Bosco è un viaggio sempre attuale. Seguire i suoi sogni; comprendere la sua passione educativa; conoscere il suo talento nel tirare fuori i giovani da “strade cattive” per farli diventare “buoni cristiani e onesti cittadini”, per educarli alla fede cristiana e alla coscienza sociale, per guidarli a una professione onesta, è un’esperienza di straordinaria intensità umana e familiare. L’esperienza di Don Bosco ha radici lontane. La sua vita, infatti è popolata da famiglie, da molteplicità di relazioni, da generazioni, da giovani senza famiglia, da storie di amore e di crisi familiari, fin dalla prima pagina della sua vita, quando deve affrontare molto giovane la perdita del padre.

La Comunità Educativo-Pastorale (CEP) è una delle forme, se non la forma, in cui si concretizza lo spirito di famiglia. In esso il Sistema Preventivo diventa operativo in un progetto comunitario. In quanto grande famiglia che si occupa dell’educazione e dell’evangelizzazione dei giovani su uno specifico territorio, la CEP è l’attualizzazione di quella intuizione che, all’origine del carisma salesiano, Don Bosco ripeteva spesso: “Ho sempre avuto bisogno di tutti”. A partire da questa convinzione, costituisce attorno a sé, fin dai primi tempi dell’Oratorio, una comunità-famiglia che non tiene conto delle diverse condizioni culturali, sociali ed economiche dei collaboratori e nella quale gli stessi giovani sono protagonisti.

L’educazione dei giovani è compito originale dei genitori, connesso alla trasmissione della vita, e primario rispetto al compito educativo di altri soggetti; quindi il ruolo della CEP si propone come complementare, non sostitutivo, del ruolo educativo dei genitori dei giovani.
La teologia pastorale, in questo processo di responsabilizzazione, afferma che la famiglia è oggetto, contesto e soggetto dell’azione pastorale. Questa riflessione ci ha portato ad interrogarci sull’originalità della famiglia all’interno della CEP, la quale può occupare un posto specifico. Il contributo della vocazione familiare, genitoriale e di coppia è stato individuato in almeno tre temi centrali: l’amore, la vita e l’educazione.

Per questo, sia a livello locale che ispettoriale, occorre che si inizino a progettare percorsi formativi per gli operatori/formatori, integrando le famiglie nel PEPS, dove la proposta educativa e pastorale sia strutturata intorno ad azioni che vedano la famiglia protagonista a favore dei giovani. Tali percorsi devono avere come nucleo centrale il confronto, la metodologia della pedagogia familiare e la Spiritualità Salesiana.
Per questo motivo diventa essenziale riprogettarsi insieme in senso vocazionale; contestualmente entrare nel quotidiano delle famiglie, parlare il loro linguaggio, stare accanto alle fragilità delle relazioni e riconoscere le fatiche presenti nel vissuto di tante di loro avendo cura dei giovani senza famiglia, delle giovani famiglie, delle situazioni familiari più fragili (dalla povertà, disuguaglianza e vulnerabilità) promuovendo la solidarietà tra famiglie. Diventa poi necessario accompagnare l’amore delle giovani coppie/famiglie avendone cura e progettando una buona e costante formazione all’amore per lo sviluppo di ogni vocazione.

Tutto ciò che è stato detto su Pastorale Giovanile Salesiana e Famiglia esige, per essere realizzato, l’avvio di processi di formazione per tutti i membri del CEP e quindi sia per i salesiani consacrati che per i laici che sostengono lo sviluppo del PEPS e della Famiglia Salesiana.