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10. Progettiamo?

Da giovane studente Francesco di Sales (ha 22 anni) si rese conto che i pericoli per l’anima ed il corpo insidiano ad ogni momento; con l’aiuto del suo Confessore il Padre Possevino, si abbozzò un Programma di Vita o Piano Spirituale per sapere come doveva comportarsi ogni giorno ed in ogni occasione. Lo scrisse e lo leggeva frequentemente. Dice così:

1. Ogni mattina fare l’Esame di previsione: che consiste nel pensare che lavori, che riunioni, che conversazioni ed occasioni speciali si potranno presentare in quel giorno e nel pianificare come comportarsi in ognuno di quei momenti.

2. A mezzogiorno visitare il Santissimo Sacramento in qualche Chiesa e fare l’Esame Particolare circa il mio difetto dominante, per vedere se sto combattendolo e se sto tentando di praticare la virtù contraria a lui.
C’è qui un dettaglio interessante: per 19 anni il suo esame particolare lo farà circa il «cattivo genio», quel difetto tanto forte che è la sua inclinazione ad arrabbiarsi. Quando già vescovo e meravigliosamente gentile e buono, qualcuno gli domanda che cosa ha fatto per arrivare a tanto alto grado di dominio di sé stesso, risponderà: «Per 19 anni, giorno per giorno mi sono interrogato accuratamente circa il mio proposito di non trattare con asprezza nessuno». Questa dell’Esame particolare fu una pratica sommamente seguita da San Ignazio di Loyola, con veri successi spirituali. È come un’eco di quell’insegnamento del Kempis: «Se ogni anno attacchi seriamente uno dei tuoi difetti, arrivi alla santità».

3. Nessun giorno senza meditazione.
Per mezz’ora mi dedico a pensare ai favori che Dio mi ha concesso, alle grandezze e bontà di Nostro Signore, alle verità che insegna la Sacra Bibbia o agli esempi ed insegnamenti dei santi. Ed alla fine della meditazione scelgo qualche pensiero per rigirarlo nella mente durante il giorno e fare un breve proposito su come mi comporterò nelle prossime 12 ore.

4. Ogni giorno pregare il Sacro Rosario
Non trascurarlo di pregare nessun giorno della mia vita.
Questa è una Promessa che fece alla Santissima Vergine in un momento di gran affanno e per tutta la vita la compì esattamente. Ma più tardi dirà ai suoi discepoli che non facciano mai questo genere di promesse per tutta la vita, perché possono portare angoscia. Fare propositi sì, ma promesse no.

5. Nel mio tratto con gli altri essere gentile ma moderato.
Preoccuparmi più di far parlare gli altri di quello che interessa loro che parlare io. Quello che dico lo so già. Ma quello che essi dicono può aiutarmi a crescere spiritualmente. Parlando non imparo niente, ascoltando distintamente posso imparare molto.

6. Durante il giorno pensare alla presenza di Dio.
I «tuoi occhi mi vedono, i tuoi orecchi mi sentono. Se vado fino all’estremo del mondo lì Tu sei, mio Dio. Se mi nascondo nella più tremenda oscurità, lì la tua luce mi vede come se fosse di giorno», (Cf. Salmo 138). «Il Signore pagherà ad ognuno secondo le sue opere. Ognuno dovrà presentarsi davanti al Tribunale di Dio per dargli conto di quello che ha fatto, delle cose buone e delle cose brutte» (Cf. San Paolo).

7. Ogni notte, prima di coricarmi farò l’Esame del Giorno: ricorderò se ho incominciato la mia giornata raccomandandomi a Dio.
Se durante le mie occupazioni mi sono ricordato molte volte di Dio per offrirgli le mie azioni, pensieri, parole e sofferenze. Se tutto quello che ho fatto oggi è andato per amore al buon Dio. Se ho trattato bene le persone. Se non ho cercato nei miei lavori e parole di piacere al mio amor proprio e al mio orgoglio, bensì di piacere a Dio e di fare del bene al prossimo. Se ho saputo fare qualche piccolo sacrificio. Se mi sono sforzato per essere fervoroso nel discorso. E chiederò perdono al Signore per le offese che gli ho arrecato in questo giorno; farò il proposito di diventare migliore d’ora in poi; e supplicherò al cielo che mi conceda forza per essere sempre fedele a Dio; e recitando le mie tre Ave Maria, mi arrenderò pacificamente al sonno.

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9. Arriviamo al dunque

Cari giovani,
se guardiamo alle nostre giornate, compiamo delle scelte dalla mattina alla sera, siamo chiamati a decidere sia su cose semplici del nostro quotidiano, ma talvolta siamo anche posti di fronte a scelte su ciò che riguarda la nostra vita e che sono di vitale importanza. Fortunatamente, la maggior parte delle scelte che facciamo riguardano la sfera delle cose più semplici, altrimenti sarebbe davvero difficile e stancante compiere questo compito così importante. Tuttavia le decisioni importanti ci sono e quindi meritano la nostra attenzione.
In primo luogo, ricordate che non dobbiamo mai farci prendere dalla fretta e, quindi, arrivare a prendere decisioni velocemente. Se dovete scegliere tra due cose, soprattutto quando si tratta di realtà importanti di vita (camminare verso il matrimonio con quella persona, compiere passi concreti verso la vita consacrata o sacerdotale), dovete prendervi il giusto tempo per poter discernere ciò che è giusto.
Un secondo aspetto da prendere in considerazione è ricordarsi che siete liberi di scegliere ciò che volete o ciò che ritenete sia più giusto. Infatti, benché Dio sia onnipotente e possa tutto, tuttavia non vuole toglierci la libertà che ci ha dato. Quando Dio chiama a vivere là dove possiamo essere pienamente felici secondo la sua volontà, Egli vuole che questo sia fatto con il nostro pieno consenso e che scegliamo non per forza o costrizione, bensì in piena libertà.
In terzo luogo, vi ricordo che negli snodi di scelta è essenziale lasciarvi guidare: la libertà va accompagnata, perché è difficile trovare la strada da soli. Compiere scelte pienamente libere comporta aver chiaro il bene che gli altri possono ricevere da me, e quanto io posso essere pienamente realizzato quando sono per gli altri. Vi ho già scritto in merito, ma mi permetto di ricordarvi che proprio qui siamo più bisognosi di una voce esterna che confermi, o corregga, o dissuada da scelte che segnano il vostro futuro.
Una degli interrogativi che ovviamente scaturisce da questo movimento di scelte, soprattutto per quelle più importanti, è: come possiamo essere sicuri di aver fatto la scelta giusta? La domanda è lecita, perché nessuno vuole sbagliare e tutti vorremmo subito compiere la scelta giusta che possa essere definitiva. Vorremmo quasi poter scegliere una volta sola e non doverci più tornare sopra e stare tranquilli in ciò che abbiamo già deciso. In questo senso credo di dover sottolineare un aspetto importante. Dovete capire bene che lo scegliere, il prendere delle decisioni, non può mai essere qualcosa di “una volta e basta”, ma è un processo, un processo che ha dei tempi talvolta anche lunghi, che permettono di andare in profondità nelle cose e così raggiungere sempre di più una certezza morale che ciò che ho fatto sia la scelta giusta. Qualsiasi sia lo stato di vita non è richiesto che, al momento della scelta, siate già perfetti, consapevoli di tutto ciò che questa scelta richiede. Non siete chiamati ad un per sempre cieco, bensì ad un cammino verso un per sempre consapevole e forte delle decisioni prese quotidianamente, frutto di una porzione di buona volontà guidata da prudenza e costanza.
Per poter vivere bene il tempo della scelta, occorre coltivare bene il primo movimento, scavando nella propria vita senza affidarsi solo alle emozioni e senza calcolare solo con l’intelligenza. L’equilibrio di tutte le componenti della persona va cercato e garantito sempre, ma soprattutto all’inizio dovete assicurarvi che la scelta che avete fatto abbia delle solide basi. Una volta fatta la scelta iniziale, non occorre preoccuparsi se nei primi tempi sorgono amarezze o tiepidezze in proposito. C’è il rischio infatti di cambiare idea spesso e in fretta: una volta che avete fatto la vostra scelta, non guardate troppo a sinistra o a destra. A volte è facile, a volte anche seducente, distrarsi, esplorare o prendere altre strade. Guardare troppo altrove può portarvi su una strada diversa, dubitando e pentendovi della scelta originale che avete fatto. Se questo accade in tempi di euforia e di scoraggiamento, in tempi di crisi, ciò che è importante fare è certamente non prendere decisioni in quel momento e non cambiare la decisione iniziale, ma restare nel momento, attendendo un tempo di tranquillità che possa permettere di rileggere con calma ciò che ha caratterizzato la crisi e quindi prendere le decisioni in merito, sempre secondo coscienza e in un movimento di accompagnamento. Se si cerca di tenere sempre la propria volontà ben ferma nel perseguire il bene scelto, come ad esempio un serio cammino di fidanzamento, o una stabile esperienza di vita comunitaria per la vita religiosa o sacerdotale, Dio non mancherà di condurre tutto a buon fine. Come abbiamo già detto, questo cammino richiede tanti singoli “sì”, ogni giorno. Anche le azioni apparentemente più indifferenti diventano fertili se orientate al Bene da perseguire. Si tratta della perseveranza che diviene fedeltà quotidiana.

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8. Preghiera o servizio

Cari giovani,
la carità e la preghiera vanno sempre insieme. Devo dirvi che della persona di Gesù mi ha sempre toccato molto una sua affermazione: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore”. (Mt 11,29).
Bene, il Gesù mite e umile di cuore ha sempre unito fortemente il suo essere Figlio del Padre che lo ama e con cui è in perfetta sintonia, con l’altra dimensione, quella della carità e dell’amore verso il prossimo: “Qualunque cosa avete fatto al più piccolo l’avete fatta a me…le sarà perdonato perché ha molto amato… avevo fame e mi avete dato da mangiare…
Mi chiedete come poter diventare santi nella vostra vita quotidiana: con la preghiera e l’apostolato. Mentre la preghiera alimenta l’amicizia con Dio, attraverso il silenzio, i Sacramenti e la Parola di Dio, la carità porta ad amare i fratelli, a costruire la comunità fino alla comunione. L’apostolato, il donarsi ai fratelli, prima di tutto i vicini, è anche il modo in cui potete iniziare a incontrare Dio: se, infatti, vi donerete ai fratelli con cuore mite e umile incontrerete quel Gesù che dice “l’avete fatto a me”. La santità cristiana (che io chiamavo “devozione”) consiste proprio in questo: è l’amore di Dio che agisce in noi e noi lo assecondiamo nel dono verso gli altri, vivacemente, prontamente e con tutto il cuore.
L’amore di Dio e l’amore al prossimo non sono soltanto i due comandamenti principali ma sono uno lo specchio dell’altro; voi direste che sono uno per l’altro la certificazione di qualità. Per aiutarvi a capire questo, ricordo di aver dato una volta un consiglio ad una donna che si stava impegnando fortemente nella preghiera: “Un’anima che viva una libertà che viene da Dio, se interrotta nella sua preghiera, ne uscirà con volto disteso e cuore garbato verso l’importuno che l’avrà scomodata, perché tutto le è uguale, o servire Dio meditando, o servirlo sopportando il prossimo; una cosa o l’altra sono volontà di Dio, ma in quel momento è necessario sopportare e aiutare il prossimo”.
Starete forse pensando che vivere in questo modo nel vostro mondo è molto complicato. La cultura e il momento storico/religioso in cui sono vissuto erano di certo molto conflittuali ma imbevuti di senso religioso e di rispetto della fede cristiana, molto diffusa. Non è così il vostro tempo.
Posso però dirvi che anche io ho dovuto (e voluto) vivere per qualche anno una forma decisamente impegnativa di missionarietà in una terra ostile, governata civilmente e religiosamente dai calvinisti.
Ripensandoci potrei raccontarvi qualche cosa sulla mia esperienza e, forse, questa potrebbe offrirvi qualche piccolo suggerimento su come vivere in questo tempo così complesso. Per conoscere le motivazioni dei nostri “avversari” ugonotti ho chiesto al Papa il permesso di leggere parecchi testi, che al tempo erano proibiti ad un cattolico, nei quali il cattolicesimo veniva aspramente contestato. Il mio obiettivo era trovare un punto di incontro e poi andare alle radici delle loro teorie soprattutto se ambigue o scorrette.
Anche quando mi hanno insultato, minacciato, accusato di magia, calunniato, ho risposto nella dolcezza con le persone semplici, ma nella assoluta fermezza culturale con chi era in malafede. Quanta preghiera, penitenza, digiuno ho offerto al Signore per quei nostri poveri fratelli. Il Vangelo lo porti con tutto te stesso e molto più efficacemente con l’aiuto concreto, la disponibilità all’ascolto, l’umiltà di approccio che molto spesso scioglie l’arroganza.
Ad una signora e mamma, che ho seguito epistolarmente per parecchi anni, davo un consiglio che forse vi può essere utile:
Non dovete solo essere devota e amare la devozione, bensì la dovete rendere amabile a tutti: la renderete amabile se la renderete utile e gradevole. I malati ameranno la vostra devozione se troveranno conforto nella vostra carità; la vostra famiglia se vi riconoscerà più premurosa per il suo bene, più dolce riguardo alle faccende, più amabile nelle correzioni… vostro marito se vedrà che, quanto più crescerà la vostra devozione, più sarete cordiale con lui e più dolce nell’affetto che gli portate; i vostri parenti e amici se ravviseranno in voi maggior franchezza, sopportazione e accondiscendenza alle loro volontà che non siano contrarie a quella di Dio. Insomma bisogna rendere attraente la vostra devozione”.

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7. Chi trova un amico…?

Cari giovani,
il dono e la responsabilità dell’amicizia autentica, cristiana, ha caratterizzato tutta la mia esistenza. Probabilmente, in maniera tanto intensa da diventare una delle sorgenti più concrete per scoprire e riscoprire la bellezza dell’amore di Dio, specialmente nei momenti bui e delicati.
Questo profondissimo desiderio di amare le persone care secondo lo stile di Dio e di voler spassionatamente bene agli amici grazie all’amore ricevuto dal buon Gesù, mi portò a esprimere una specie di promessa: «Nel mio cuore resterà sempre molto ardente il desiderio di conservare tutte le mie amicizie».
Io penso che l’amicizia non sia solo complicità, scherzi nella leggerezza, confidenze che magari escludono anche altri con malignità, piccole vendette… ma autentica educazione ad accogliere l’amore divino-umano che Gesù Cristo ha avuto per noi.
All’interno della mia famiglia la gioia dell’amicizia è consistita nel ricevere e donare amore semplice e autentico. A Parigi ebbi autentici amici, alcuni colleghi di studio che mi aiutarono passandomi gli appunti dei corsi di teologia che io non potevo frequentare e suggerendomi i corsi più validi da seguire. A Padova il discernimento nell’amicizia per me significò distinguere gli amici veri da quelli che cercavano da parte mia solo una goliardia spensierata. Questi ultimi mi combinarono anche qualche scherzo pesante, ma seppi sempre rispondere a tono, con decisione e rettitudine d’animo.
Diventato sacerdote, mi fu offerta l’occasione di una vera amicizia con il senatore Favre. La differenza di età e responsabilità era molto forte: ma la relazione amicale fu sempre serena e rispettosa, e dalle lettere che ci siamo scambiati trapela anche un affetto fraterno di qualità difficilmente raggiungibile.
Da vescovo, nel 1604, ho incontrato la signora Francesca de Chantal, che poi si consacrò e fondò con me la congregazione delle Visitandine. Definirei l’amicizia tra di noi «più bianca della neve e più pura del sole», prima come direzione spirituale condotta con il cuore e poi come scambio di doni nello Spirito. Il tema predominante di quello che era stato un ricco scambio di lettere e di colloqui è consistito nella guida verso il cammino di fiducia totale nei confronti di Dio: dall’amicizia tra persone umane illuminate dallo Spirito al cuore della relazione con Gesù Cristo, al quale possiamo abbandonarci con totale fiducia, nelle luci e nelle tempeste, nella gioia e nei giorni più bui.

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6. A casa tutto bene

Cari giovani,
«penso che, nel mondo, non vi siano anime che amino più cordialmente, più teneramente e, per dir tutto molto alla buona, più amorosamente di me, perché a Dio è piaciuto fare così il mio cuore». Si tramanda nella mia famiglia che la prima frase apparsa sulla mia bocca di fanciullo sia stata: «Mia mamma e Dio mi vogliono tanto bene».
Fin da piccolo sono stato in mezzo alla gente. Mio papà aveva deciso che io sarei stato educato non nel nostro castello, ma in una scuola più regolare, confrontandomi con altri compagni e docenti, allontanandomi insomma da quella specie di “bolla di amore” che si era creata al castello.
Tornato dagli studi a Parigi e a Padova, io ero ben convinto della mia scelta di diventare sacerdote, ma mio papà non era proprio di quel parere: aveva preparato, a mia insaputa, una biblioteca completa riguardante il Diritto, una carica di Senatore e una nobile fidanzata. Non fu facile piegarlo verso un’altra strada. Con pacatezza presentai a papà le mie intenzioni: «Padre mio, vi servirò fino all’ultimo soffio di vita, prometto tutto il servizio ai miei fratelli. Mi parlate di riflettere, Padre mio. Vi posso dire che l’idea del sacerdozio l’ho avuta fin da quando ero bambino». Il babbo, nonostante fosse «di uno spirito molto fermo», pianse. La mamma intervenne delicatamente. Ci fu silenzio. La realtà nuova, sotto la parola silenziosa di Dio, fermentava. Mio padre disse: «Figlio mio, fate in Dio e per Dio quello che Egli vi ispirerà. Da parte sua, vi do la mia benedizione». Poi non resse più: bruscamente si chiuse nel suo studio.
Alla fine della vita di mio papà, mi è stata donata la grazia di scorgere in sintesi tutto l’amore che me lo rendeva particolarmente caro: nella schiettezza, nella capacità di caricarsi di impegni importanti, nell’assumersi fino in fondo la responsabilità di guidarmi, nella costante fiducia che ha dimostrato nei miei confronti ho sempre scorto la bontà di un uomo nobile, abituato anche alla vita rude ma con un cuore grande. Inoltre, con il passare del tempo, il suo temperamento vivo si è addolcito, egli ha imparato addirittura a lasciarsi contraddire: la buona lunga influenza di mia mamma è stata decisiva.
Papà e mamma mi hanno mostrato realmente due differenti, ma complementari, volti della grazia e della bontà di Dio stesso.
Forse anche voi, come me, vi sarete interrogati su come vivere la fatica di sperimentare che la vocazione che state scoprendo è diversa da quanto gli altri si aspetterebbero da voi. Io ho proposto, tanto agli uomini più semplici della mia terra quanto al re e alla regina di Francia, una via molto semplice ma fortemente esigente: da una parte «nulla ti turbi» e «nulla chiedere e nulla rifiutare»; dall’altra parte che l’esistenza, con le scelte che porta con sé, trova senso nell’essere affrontata, anche con fatica, esclusivamente per vivere «come piace a Dio». Solo da qui nasce la «perfetta letizia», che probabilmente accomuna tutti i veri santi, uomini e donne di Dio di ieri e oggi.

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5. In fondo, ce la posso fare da solo?

Cari giovani,
ho imparato sulla mia pelle quanto sia importante avere nella propria vita una guida spirituale.
Nel 1586, quando avevo 19 anni, ho vissuto una delle più grandi esperienze di crisi nella mia vita e ho tentato di risolverla da solo, ma con scarsi risultati. Da questa esperienza ho capito che non è possibile il “fai da te” nella vita spirituale, perché nel cuore dell’uomo si giocano continuamente tensioni forti tra l’amore di Dio e l’amore di sé stessi e che sono difficili da risolvere senza l’aiuto di una persona che ti accompagni nel cammino.
Così, una volta arrivato a Padova per proseguire gli studi universitari, la mia prima preoccupazione è stata quella di trovare una buona guida spirituale con la quale stendere un programma personale di vita e così prendere sul serio il mio cammino di crescita.
In questa occasione ho fatto esperienza che non possono essere il perfezionismo e il volontarismo gli elementi che fanno camminare in una vita piena, ma solo l’accettazione della propria fragilità consegnata completamente a Dio.
Anche dopo essere diventato prete, ho continuato il mio cammino di accompagnamento e di direzione spirituale; ho scoperto, però, l’importanza di condividere il cammino della mia vita interiore anche con mio cugino Louis de Sales e, soprattutto, con Antoine Favre, senatore della Savoia. Pur nella diversità delle nostre vocazioni abbiamo condiviso una vera amicizia spirituale e camminato insieme nelle vie del Signore.
È stato importante nella mia vita avere anche un confessore con cui abitualmente aprire la mia coscienza e chiedere il perdono a Dio. Questo mi ha accompagnato a combattere il peccato alla radice e a diventare libero.
Affidatevi ad una guida spirituale, una persona familiare con Dio e di cui vi fidate, con la quale aprire il vostro cuore e leggere la vostra storia alla luce della Fede, in modo da prendere coscienza e mettere in rilievo i doni ricevuti e le grandi possibilità che vi si aprono davanti. Per me non c’è vera direzione spirituale se non c’è amicizia, cioè scambio, comunicazione, influsso reciproco. È questo il clima di base che permette la direzione spirituale.
Vi suggerisco un piccolo cammino che a me è stato utile percorrere con la mia guida spirituale e che mi ha consentito di trovare un equilibrio interiore:
– partite dalla vostra vita reale e dalla situazione concreta in cui vivete con le sue risorse e i suoi limiti, cercando di fare unità nelle tante esperienze che vivete. La vostra vita, infatti, rischia di essere riempita di tante cose da fare senza un senso e una direzione. Un suggerimento che vi consegno è quello di non essere distratti ed essere sempre presenti nel momento presente.
– durante le vostre giornate siete attratti e oscillate tra forze diverse, talvolta non armoniche tra loro: quella dei sensi, delle emozioni, della razionalità e della fede. Ciò che permette di trovare l’equilibrio tra esse è la dedizione, ovvero mettere sempre il cuore nelle cose che fate, con la consapevolezza che ogni istante è occasione e chiamata a compiere la volontà di Dio nella vostra vita.
Vi chiederete a che scopo fare la fatica di farsi accompagnare? È in gioco l’autenticità della vostra vita: a voi che siete presi da ansie, paure, timori e preoccupazioni, il cammino di accompagnamento aiuterà a scoprire chi siete veramente, ma soprattutto per Chi siete.

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4. Dov’è il tuo cuore

Cari giovani,
mi avete scritto chiedendomi qualcosa sul discernimento che, vi ricordo, significa essere attenti alla voce di Dio che è nel profondo del vostro cuore. Come ci dice Gesù, “dov’è il tuo cuore, lì è il tuo tesoro”. In altre parole, chi sono e per chi sono preparato per donare il mio cuore? Il cammino verso l’intimo del cuore non è sempre semplice, in quanto insieme ai sussurri di Dio ci sono anche forti grida e altre voci che competono con Lui e cercano di attirare la vostra attenzione. Queste voci si possono manifestare nei nostri pensieri, nei nostri sentimenti e nei nostri desideri. Vuol dire che dobbiamo ignorarle per poter sentire la voce di Dio? Direi il contrario: dobbiamo imparare a discernere queste voci. Dobbiamo vagliare i pensieri, i sentimenti e i desideri per comprendere ciò che appartiene a quelle che sappiamo essere tentazioni e, invece, per comprendere le ispirazioni che provengono e conducono a Dio. È proprio attraverso queste ispirazioni che Dio comunica desideri al nostro cuore.

Come ben saprete dai miei scritti sono un grande ammiratore di san Paolo. Dovremmo seguire i suoi suggerimenti e insegnamenti: “Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto”. Se decidiamo di seguire semplicemente i nostri pensieri, le emozioni e i desideri superficiali, non riusciremo mai a percepire davvero la voce di Dio che parla nell’intimo del nostro cuore. Quindi è davvero necessario che ci interroghiamo:
– per prima cosa: questi sentimenti, pensieri e desideri vengono da Dio o da altro?
– in secondo luogo: mi stanno aiutando a raggiungere Dio o mi stanno conducendo lontano da lui?
Una volta che avete posto queste fondamenta, potete procedere nel discernere e cercare la voce di Dio che è già presente nel vostro spirito.
Sfortunatamente spendiamo un sacco di tempo ed energia a girare attorno a emozioni che cambiano continuamente e ad una “molteplicità di desideri” che ci impediscono di fare le scelte che ci condurrebbero più in profondità. Questo processo semplicemente produce incostanza, impazienza e un desiderio continuo di cambiamento.

Nei miei Trattenimenti, ho ricordato le parole di San Paolo che ciascuno è tempio di Dio (1 Cor 3, 16): come nel tempio di Gerusalemme, abbiamo bisogno di passare attraverso una serie di cortili che sono presenti nel nostro cuore per raggiungere così il luogo più interno e profondo chiamato Santo dei Santi.
Prendendo l’idea da un’invenzione dei vostri tempi, vorrei usare l’immagine dell’ascensore. Entrate nell’ascensore con i vostri pensieri, sentimenti, desideri; se questi diventano ispirazioni possono condurvi in profondità nel Santo dei Santi. L’ascensore vi porterà sempre più in basso nella misura in cui imparerete la verità contenuta in questi sentimenti, pensieri e desideri.
Finalmente raggiungerete il nucleo, sebbene io preferisca il termine biblico “cuore”. Lì le parole non sono più necessarie. Nel cuore, infatti, lo Spirito può raggiungere l’anima di ciascuno di voi e diventare pienamente Lui il vostro Maestro. Qui la mente è chiamata al silenzio e non c’è più bisogno di ragionamenti o parole che porterebbero a distrarvi. Qui comprendiamo cosa è il discernimento degli spiriti perché Dio è Spirito e parla direttamente alla vostra anima illuminando il vostro cammino e indicandovi la strada per andare avanti. Se vivete nello Spirito, camminate secondo lo Spirito (Gal 5, 26).

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3. Se non mi conosco, posso essere libero di scegliere?

Cari giovani,
per me è una gioia molto grande accogliere e condividere la vostra inquietudine vocazionale. State vivendo un periodo molto bello della vita, sentite profondamente il desiderio di vivere in pienezza e, davanti a voi, si aprono tutti i cammini per raggiungerla. Abbiate il coraggio di una ricerca paziente e, soprattutto, per arrivare ad una decisione che colmi i vostri aneliti con felicità più vera. Non è un’impresa facile: implica assumere la propria fragilità e scoprire la verità fondamentale che la vita è un dono meraviglioso che ci è stato regalato, un dono misterioso che ci supera.
Dio ci ha regalato la vita e la fede. La vocazione cristiana è proprio la risposta alla chiamata alla vita ed all’amore con cui Dio ci ha creato. Siamo chiamati ad essere figli di Dio ed a vivere come figli, sentendo ed agendo nell’amore che Dio ha versato nel nostro cuore. Siamo chiamati ad essere suoi discepoli e ad esserlo con passione. Rispondendo ad essa, troviamo il cammino per la vera felicità.
Quello che cerchiamo, quello che vogliamo essere, ha come base e fondamento quello che siamo. A partire dall’accettazione amorosa di quello che siamo, il Signore ci chiama a costruire la nostra identità. Questa ricerca e questo sforzo difficilmente possiamo viverli da soli. Abbiamo la grande fortuna che lo stesso Gesù vuole accompagnarci. Tenetevi sempre Gesù vicino, come compagno e amico. Nessuno come lui vi può aiutare a trovare il vostro cammino verso Dio ed essere felici. Accanto a lui, invocandolo con semplicità e con molta confidenza, potrete scoprire meglio il senso dell’esistenza e della vostra vocazione.
Cercare la propria vocazione significa preoccuparsi di vedere come rispondere al sogno di Dio per voi. Da lui siete stati creati e sognati. Qual è il sogno di Dio sulla vostra vita? E come potete rispondere a questo sogno? Che sia sempre il volere di Dio, la volontà divina, ciò che guida la vostra vita. Cercate, amate e sforzatevi di compiere la volontà di Dio. Lui vi ha dato la vita per donarla, perché voi la doniate, la condividiate, la consegniate, non perché avaramente la teniate per voi stessi. A chi volete donare la vostra vita? Essa ha un destino divino. Per amore siete stati creati a immagine e somiglianza di Dio e solo Lui colmerà il vostro desiderio di bene, di felicità e di amore.
Il primo compito, ed il più importante, che avete nelle vostre mani è scoprire e costruire la vostra vocazione. Non è qualcosa di stabilito già dall’inizio, in anticipo. È frutto della libertà, di una libertà costruita lentamente, capace di avventurarsi nel cammino del dono di sé. Solo con una grande libertà interiore potrete giungere ad una decisione vocazionale autentica. Libertà e amore, infatti, sono le due grandi ali per affrontare il cammino della vita, per darla e consegnarla.
Termino assicurandovi che vi ricorderò e raccomanderò sempre al Signore, perché vi accompagni, orienti e diriga la vostra vita per il cammino della grazia e dell’amore. Da parte vostra cercate sempre il buon Gesù, abbiatelo come amico dell’anima vostra, invocatelo, condividete con Lui le vostre pene, le vostre angosce, le vostre preoccupazioni, le vostre allegrie e le vostre tristezze. E osate impegnarvi seriamente con Lui e con la sua causa. Lui vi aspetta.

Ufficio Animazione Vocazionale

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2. Che fare domani

Cari giovani,
voi vi chiedete certamente: che cosa faremo più tardi, che cosa aspettarsi dalla vita? A che cosa siamo chiamati? Sono delle domande che ciascuno si fa, in modo cosciente o anche non cosciente. Forse conoscete la parola vocazione. Che strana parola: vocazione! Se preferite, possiamo parlare di felicità, di senso della vita, di voglia di vivere…
Vocazione vuol dire chiamata. Chi chiama? Questa è una bella domanda. Forse qualcuno che mi vuol bene. Ognuno di noi ha la sua vocazione. La mia è stata un po’ particolare. Nella mia Savoia, quand’ero piccolo, a undici anni, mi sentivo chiamato a darmi a Dio a servizio del suo popolo, ma i miei genitori, in particolare mio padre, avevano altri progetti per me, che ero il primogenito della famiglia. Col passare degli anni e durante gli studi che mio padre mi fece fare a Parigi, il mio desiderio è cresciuto sempre di più: grammatica, lettere, filosofia, ma anche equitazione, scherma, danza…
A 17 anni ho avuto una crisi. Riuscivo bene negli studi, ma il mio cuore non era soddisfatto. Cercavo qualcosa… Durante il carnevale a Parigi un mio compagno mi vide triste: “Che cosa non va, sei malato? Andiamo a vedere il carnevale”, “ma io non voglio vedere il carnevale”, gli risposi, “voglio vedere Dio!”. In quell’anno un famoso professore di Bibbia spiegava il Cantico dei Cantici. Andai a sentirlo. È stato per me come un colpo di fulmine. La Bibbia era una storia di amore. Avevo trovato Colui che cercavo! E con l’aiuto del mio accompagnatore spirituale, feci un piccolo regolamento per ricevere Gesù nell’Eucaristia il più spesso possibile.
A 20 anni mi colpì una nuova grave crisi. Mi ero convinto che sarei andato all’inferno, che sarei stato eternamente dannato. Ciò che mi addolorava di più, oltre a naturalmente la privazione della visione di Gesù, era di essere privato della visione di Maria. Questo pensiero mi torturava: quasi non mangiavo più, non dormivo più, ero diventato tutto giallo! La mia preghiera era questa: “Signore, io lo so, andrò all’inferno, ma fammi almeno questa grazia che quando sarò all’inferno, io possa continuare ad amarti!” Dopo sei settimane di angoscia mi recai in chiesa davanti all’altare della Madonna e la pregai con una preghiera che comincia così: “Ricordati, o vergine Maria, che non si è mai udito che alcuno, ricorrendo al tuo patrocinio, implorando il tuo aiuto e la tua protezione, sia stato da te abbandonato”. Dopodiché il mio male cadde a terra “come le scaglie della lebbra”. Ero guarito!
Dopo Parigi mio padre mi mandò a Padova per studiare diritto. Intanto continuai a soffrire del mio dilemma vocazionale: sentivo che la chiamata veniva da Dio, e allo stesso tempo dovevo obbedienza a mio padre, secondo le usanze molto sentite nel mio tempo. Ero perplesso. Ho cercato consiglio presso i miei accompagnatori, in particolare presso il Padre Antonio Possevino. Con il suo aiuto e il suo discernimento, scelsi alcune regole ed esercizi per la vita spirituale e anche per la vita in società con i compagni e ogni tipo di persone. Alla fine dei miei studi feci un pellegrinaggio a Loreto. Sono rimasto come in estasi – dicono i miei accompagnatori – per una mezz’ora nella Santa Casa di Maria di Nazaret. Ho affidato di nuovo la mia vocazione e il mio futuro alla Mamma di Gesù. Non mi sono mai pentito di essermi fidato totalmente di Lei.
Tornato in patria all’età di 24 anni, mi incontrai con una bella ragazza, chiamata Francesca. Ella mi piaceva, però mi piaceva di più il mio progetto di vita. Che fare? Non ti racconto qui tutti i dettagli della mia battaglia. Sappi soltanto che alla fine ho osato chiedere a mio padre che mi desse il permesso di seguire il mio sogno. Finalmente ha accettato la mia scelta, ma piangeva.
A partire da quel momento la mia vita cambiò completamente. Prima la famiglia e i miei compagni mi vedevano tutto concentrato su me stesso, preoccupato, un po’ chiuso. Allora da un momento all’altro, tutto si mise in moto. Ero diventato un altro uomo. Fui ordinato sacerdote a 26 anni e mi lanciai subito nella mia missione. Non avevo più dubbi: Dio mi voleva su questa strada. Ero felice.
La mia vocazione, penserete voi, era una vocazione speciale, anche se vi dico che sono stato fatto anche vescovo di Ginevra-Annecy a 35 anni. Nel mio ministero pastorale e di accompagnatore, mi sono sempre convinto e ho insegnato che ogni uomo ha vocazione. Anzi, non si dovrebbe dire: ognuno ha una vocazione, ma si dovrebbe dire: ognuno è una vocazione, cioè una persona che ha ricevuto un compito “provvidenziale” in questo mondo, nell’attesa del mondo futuro a noi promesso.

Ufficio Animazione Vocazionale

(continua)




La GMG come esperienza sinodale di rinnovamento della Chiesa

Interrompere la vita di una città è sempre un atto straordinario. Riempire le strade di giovani provenienti da ogni angolo del mondo è un ricordo commovente. Una Giornata Mondiale della Gioventù è questo e molto di più.

L’organizzazione di una GMG richiede tantissime di ore di lavoro, mettendo a disposizione dei giovani, risorse di ogni tipo. Se porterà frutti spirituali in proporzione allo sforzo, ne sarà valsa la pena, il tutto per una ragione educativa, comunicativa ed evangelizzatrice: l’obiettivo di un evento come questo è quello di far conoscere Gesù Cristo a moltissimi giovani, e di riuscire a far capire loro che seguire Lui è un modo sicuro per trovare la felicità.

È ai giovani che dobbiamo guardare in questi giorni con particolare predilezione e scoprire il segreto di un fenomeno sorprendente: nel mondo dei giovani è in atto una “rivoluzione silenziosa”, il cui palcoscenico più grande sono le Giornate Mondiali della Gioventù. Giovani che sollevano domande tra i cristiani e non hanno paura di mostrarsi come tali, giovani che non vogliono essere intimiditi e tanto meno ingannati, giovani che portano l’entusiasmo e la passione per realizzare il cambiamento.

Questi incontri continuano a sorprendere sia all’interno sia all’esterno della Chiesa. E sono un’istantanea di una gioventù molto diversa da quella proposta da alcuni, assetata di valori, alla ricerca del significato più profondo della vita, con un desiderio di un mondo diverso da quello che abbiamo trovato al nostro arrivo.

Oggi, una percentuale significativa dei partecipanti alla GMG proviene da contesti familiari, sociali e culturali molto diversi. Molti di questi giovani pellegrini non hanno punti di riferimento cristiani nei loro contesti. In questo senso, la vita di molti di loro assomiglia al surf: non possono pretendere di cambiare l’onda, ma si adattano ad essa per dirigere la tavola dove vogliono che vada. Questi volti radiosi della Chiesa si svegliano ogni giorno con il desiderio di essere migliori seguaci di Gesù in mezzo ai loro familiari, amici e conoscenti.

I giovani hanno la forza di dare il meglio di sé, ma devono sapere che questo impegno è fattibile, hanno bisogno della complicità degli adulti, devono credere che questa lotta non sia sterile né destinata al fallimento. Per questo motivo, le giornate sono un modo per far sperimentare ai giovani la sinodalità, lo stile particolare che caratterizza la vita e la missione della Chiesa. L’appartenenza alla loro comunità ecclesiale locale implica l’appartenenza a una comunità molto più grande e universale. Una comunità in cui abbiamo bisogno che tutti, giovani e adulti, si “prendano carico del mondo”.

Per questo, è necessario coltivare alcune attitudini per questa nuova spiritualità sinodale. La GMG ci permette di:
– condividere le piccole storie degli altri, sperimentando il coraggio di parlare liberamente e di portare in tavola conversazioni profonde che vengono da dentro;
– imparare a crescere insieme agli altri e di apprezzare come ci stiamo aggiungendo a vicenda, anche se a “velocità” diverse (stili, età, visioni, culture, doni, carismi e ministeri nella Chiesa);
– prendersi cura degli “spazi verdi comunitari” per la nostra relazione con Dio, per occuparci della nostra connessione con la fonte della vita, con Colui che si prende cura di noi, per radicare la nostra fiducia e le nostre speranze in Lui, per scaricare le nostre preoccupazioni su di Lui, per essere in grado di “prendere in carico” la missione che Lui lascia nelle nostre mani;
– accettare e accogliere la nostra fragilità, che ci collega alla fragilità del nostro mondo e della madre Terra;
– essere una voce che si unisce a molte altre per denunciare gli eccessi che si stanno commettendo attualmente nei confronti del Pianeta e per intraprendere azioni comuni che contribuiscano alla nascita di una cittadinanza più responsabile ed ecologica;
– riorientare insieme i processi pastorali da una prospettiva più aperta e inclusiva, che ci renda pronti ad “andare incontro” a tutti i giovani dove si trovano, e rendere visibile e reale il desiderio di essere una “Chiesa in movimento” che si avvicini a credenti e non credenti, e che diventi una compagna di viaggio per coloro che lo desiderano o ne hanno bisogno.

In breve, una Chiesa sinodale che favorisca un cambiamento di cuore e di mente che ci permetta di affrontare la nostra missione in MODO GESÙ. Un invito a sentire dentro di noi il tocco e lo sguardo di Gesù che ci rende sempre nuovi.

Sito ufficiale del GMG 2023: https://www.lisboa2023.org
Sito saleisani al GMG 2023: https://wyddonbosco23.pt