Volontariato internazionale a Benediktbeuern

Don Bosco Volunteers: l’impegno dei giovani per un futuro migliore

Da più di vent’anni l‘Ispettoria tedesca dei Salesiani di Don Bosco è impegnata nel campo del volontariato giovanile. Tramite il programma “Don Bosco Volunteers” i Salesiani in Germania offrono ogni anno a circa 90 giovani un’esperienza formativa e di vita nelle case salesiane dell’Ispettoria e in diversi paesi del mondo.

Per molti giovani tedeschi è consuetudine, una volta completato il percorso formativo scolastico, dedicare un anno della loro vita ad attività nel sociale. Il profilo dei Salesiani rappresenta per molti giovani tedeschi una fonte d’ispirazione nella scelta di un’organizzazione, che li accompagni durante questa esperienza. Nonostante la secolarizzazione della società tedesca e una costante perdita di fedeli da parte della Chiesa negli ultimi anni, molti giovani bussano alla porta dei Salesiani con la chiara intenzione di aiutare il prossimo e dare un piccolo contributo per un mondo migliore. Questi giovani trovano nella figura di don Bosco una forma di fede e un esempio di vita.

Non tutti coloro i quali fanno richiesta d’ammissione al programma di volontariato presso gli uffici competenti dell’Ispettoria a Benediktbeuern e a Bonn hanno avuto nel corso della loro vita esperienze in gruppi giovanili legati alla Chiesa e in particolar modo con i Salesiani. Alcuni di loro non sono battezzati, ma riconoscono nell’offerta formativa dei Salesiani una possibilità di crescita personale, basata su valori fondamentali per il proprio sviluppo. È per questo che ogni anno tantissimi giovani cominciano un’esperienza di volontariato con il programma “Don Bosco Volunteers”: nell’ambito di weekend formativi, i giovani apprendono non solo utili informazioni sui progetti, ma si confrontano con il sistema preventivo e la spiritualità salesiana, preparandosi in questo modo al periodo che metteranno a servizio di altri giovani.

I volontari e le volontarie vengono accompagnati durante la loro esperienza da un team di coordinatori e coordinatrici, che si prende cura non solo degli aspetti organizzativi, ma soprattutto del supporto prima, durante e dopo l’esperienza di volontariato. E sì, perché l’anno di volontariato non finisce l’ultimo giorno di servizio presso la casa salesiana ospitante, ma continua per tutta la vita. Quest’anno al servizio degli altri rappresenta una base di valori che ha un forte impatto sullo sviluppo futuro delle volontarie e dei volontari. Don Bosco educava i giovani per far di loro degli onesti cittadini e dei buoni cristiani: l’offerta di volontariato del programma Don Bosco Volunteers s’ispira proprio a questo principio fondamentale della pedagogia salesiana e cerca di gettare le basi per una società migliore, in cui i valori cristiani ritornino a caratterizzare la nostra vita.

L’Ispettoria tedesca mette a disposizione possibilità d’incontro per i giovani in tutte le fasi dell’esperienza di volontariato: incontri d’orientamento, offerte informative online, corsi di formazione, feste e incontri annuali di scambio d’esperienze sono attività di base su cui si costruisce il successo del programma “Don Bosco Volunteers”.

Un gruppo di coordinamento formato da collaboratori e collaboratrici del centro di formazione giovanile Aktionszentrum di Benediktbeuern e della Procura Missionaria di Bonn, affiancato dall’economo ispettoriale padre Stefan Stöhr e dall’incaricato per la pastorale giovanile padre Johannes Kaufmann, gestisce e dirige ciascuna attività, sviluppando il programma in tutte le sue componenti. L’esperienza dei volontari inizia con la richiesta d’ammissione all’iniziativa: i giovani che prendono parte al programma nazionale cominciano il servizio a settembre e partecipano a 25 giornate formative durante l’anno di volontariato. Per i volontari e le volontarie che intendono andare all’estero il percorso è un po’ più articolato: dopo un incontro d’orientamento, in autunno vengono effettuate le selezioni e le candidate e i candidati ricevono informazioni da ex volontarie e volontari che hanno già preso parte al programma in passato. La fase formativa comincia nei primi mesi dell’anno e prevede in tutto 12 giorni di preparazione, durante i quali le volontarie e i volontari ricevono informazioni sulla pedagogia di don Bosco, sul lavoro dei Salesiani nel mondo, su temi importanti come la comunicazione interculturale e le procedure da seguire in caso d’emergenza durante l’esperienza all’estero. A luglio le volontarie e i volontari ricevono la benedizione e una medaglia di don Bosco come simbolo dell’appartenenza alla Famiglia Salesiana.

La partenza dei giovani è prevista a settembre e, verso la metà del servizio, nelle diverse regioni in cui operano i volontari vengono offerti degli incontri di riflessione tenuti dal team di coordinamento dell’Ispettoria tedesca. L’esperienza si chiude con un seminario conclusivo, poco dopo il rientro dall’attività all’estero, in cui vengono gettate le basi per un impegno futuro nella Famiglia Salesiana. A cadenza annuale nell’Ispettoria vengono organizzati due incontri per tutti coloro che hanno preso parte al programma sin dall’inizio delle attività negli anni Novanta. Il team di coordinamento dell’Ispettoria si prende cura di tutti gli aspetti organizzativi tra i quali: ricerca di case salesiane interessate a collaborare nel campo del volontariato; finanziamento delle attività tramite i fondi ministeriali ed europei; supporto in caso d’emergenza; organizzazione degli aspetti legati all’assicurazione sanitaria dei volontari; comunicazioni con le famiglie delle volontarie e dei volontari.

Negli ultimi 25 anni, sono già più di mille i giovani che hanno preso parte al programma “Don Bosco Volunteers” in Germania e all’estero.

Nell’ambito di uno studio condotto alcuni mesi fa dall’Ispettoria tedesca, a cui hanno partecipato circa 180 ex volontarie e volontari, si è potuto riscontrare un costante impegno nel sociale dei giovani anche molti anni dopo l’esperienza di volontariato. In modo particolare, è evidente l’attenzione degli intervistati riguardo a temi come l’ingiustizia sociale, il razzismo, l’ecologia e lo sviluppo sostenibile. Tale studio ha confermato tutta la bontà di questo programma, non solo per l’aiuto immediato che le volontarie e i volontari possono fornire alle comunità ospitanti durante il proprio anno di servizio, ma anche per gli effetti positivi che si possono registrare a lungo termine, una volta conclusi gli studi accademici o dopo aver intrapreso il proprio cammino professionale.

Un aspetto importante del programma “Don Bosco Volunteers” è il suo inquadramento in programmi nazionali ed europei, come ad esempio il “Corpo europeo di solidarietà” della Commissione Europea, i programmi di volontariato nazionale del Ministero per la famiglia e la gioventù o del programma “weltwärts” del Ministero Federale per la Cooperazione Economica, in modo da poter rendere più visibile alle istituzioni l’offerta formativa dei Salesiani. Costanti controlli di qualità, condotti da associazioni competenti, certificano su base biennale l’efficienza e la trasparenza dell’offerta formativa del programma “Don Bosco Volunteers”. Un aspetto di questi controlli di qualità riguarda in particolare la cooperazione tra i nostri uffici competenti e le strutture ospitanti in Germania e nei diversi Paesi del mondo. Questo particolare distingue l’offerta dei Salesiani da molte altre agenzie private di volontariato, che collaborano con diverse organizzazioni dai profili più svariati.

Le nostre volontarie e i nostri volontari operano esclusivamente in strutture salesiane e vengono preparati in modo specifico per questa esperienza di vita. Non ha importanza se un volontario sia impiegato in un piccolo villaggio nel sud dell’India o in una metropoli europea. C’è qualcosa che unisce tutti questi giovani e li fa sentire a casa durante la loro esperienza: don Bosco con la sua presenza nelle comunità ospitanti offre loro un punto di riferimento nella quotidianità e dà loro conforto e protezione nei momenti più difficili. Ovviamente sarebbe semplicistico raccontare che un’esperienza di volontariato si svolge sempre senza intoppi o problemi: la fase d’ambientamento, in particolare, può creare diversi problemi d’integrazione per le volontarie e i volontari. Ma è proprio in queste situazioni che si può constatare una crescita dei giovani, i quali imparano a conoscere meglio se stessi, i propri limiti e le proprie risorse. L’accompagnamento fornito dalle comunità salesiane ospitanti e dal personale dei centri di coordinamento dell’Ispettoria tedesca ha il fine di trasformare anche le fasi più difficili di questo cammino in opportunità di riflessione e crescita personale. Molte sfide ci attendono nel futuro: gli ultimi due anni ci hanno mostrato che il mondo sta cambiando e il timore che la guerra cancelli la prospettiva di una società più equa sembra crescere nelle nuove generazioni. Il programma “Don Bosco Volunteers” vuole essere un barlume di luce e una fonte di speranza, affinché i nostri giovani possano costruire, attraverso il loro impegno, un futuro migliore per il nostro pianeta.
           
            Francesco BAGIOLINI
            Benediktbeuern, Germania

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Missionario in Amazonia

Essere missionari in Amazzonia significa lasciarsi evangelizzare dalla foresta

La bellezza degli indigeni del Rio Negro conquista i cuori e fa sì che il proprio cuore cambi, si espanda, si sorprenda e si identifichi con questa terra, al punto che è impossibile dimenticare la “cara Amazzonia”! Questa è l’esperienza di Leonardo, giovane salesiano nel cuore dell’Amazzonia.

Come è nata nel suo cuore l’idea di essere missionario?
Per molti anni questo desiderio è maturato in me ascoltando le storie dei missionari salesiani, la loro testimonianza come portatori dell’amore di Dio al mondo. Ho sempre ammirato questi fratelli che, avendo sperimentato l’amore divino nella loro vita, non potevano rimanere in silenzio; anzi, si sentivano in dovere di annunciarlo agli altri, affinché anche loro potessero dimostrare quanto fossero amati da Dio. Fu così che chiesi di fare un’esperienza nelle missioni salesiane in Amazzonia tra le popolazioni indigene. Nel 2021 ho iniziato a vivere e a lavorare come “tirocinante” nella comunità missionaria di São Gabriel da Cachoeira, nello stato dell’Amazzonia. È stata una vera e propria “scuola missionaria”, ricca di nuove scoperte ed esperienze, di sfide mai immaginate, affrontando realtà fino ad allora totalmente sconosciute.

Quali sono state le sue prime impressioni all’arrivo in una terra sconosciuta?
Dal primo momento in cui ho guardato fuori dal finestrino dell’aereo e ho visto l’immensità della foresta e i numerosi fiumi, la mia mente ha fatto “click”: sono davvero in Amazzonia! Come ho sempre visto in televisione, la regione amazzonica è di una bellezza esuberante, con splendidi paesaggi naturali, veri capolavori di Dio Creatore. Un’altra prima impressione molto bella è quella di vedere tanti fratelli e sorelle indigeni, con caratteristiche fisiche così evidenti, come il colore della pelle, gli occhi chiari e i capelli neri. Vedere la diversità e la ricchezza culturale dell’Amazzonia significa ricordare la nostra storia, ricordare la nostra origine come Brasile e capire meglio chi siamo come popolo.

 

E perché la scelta dell’Amazzonia? Che cosa ha di speciale per lei?
La Chiesa, compresa la nostra Congregazione salesiana, è essenzialmente missionaria. Tuttavia, nella regione del Nord questo è ancora più vero perché i territori sono immensi; l’accesso, generalmente via fiume, è difficile e costoso; la diversità culturale e linguistica è vasta e c’è un’enorme mancanza di sacerdoti, religiosi e altri leader che possano portare avanti l’evangelizzazione e la presenza della Chiesa in queste terre. Pertanto, c’è molto lavoro e un lavoro “pesante”, impegnativo. Non è solo il servizio delle visite, della predicazione, della celebrazione dei sacramenti, come si potrebbe pensare della vita missionaria, ma significa condividere la vita e il lavoro del popolo, portare fardelli pesanti, sentire il bisogno, l’esclusione e l’abbandono del popolo da parte dei politici; passare ore sulla strada o sul fiume; sentire le punture degli insetti; mangiare il cibo della gente semplice, “condito” con le spezie dell’amore, della condivisione e dell’accoglienza; ascoltare le storie degli anziani, spesso con parole ed espressioni che non conosciamo bene; sporcarsi i piedi e i vestiti di fango, non riscaldare le auto; rimanere senza internet e, a volte, anche senza elettricità. .. Tutto questo è coinvolto nella vita missionaria salesiana in Amazzonia!

Ci racconti qualcosa di più sull’opera salesiana dove ha vissuto? Cosa fanno i Salesiani per i giovani della regione?
Uno degli scopi della nostra comunità salesiana di Sao Gabriel è l’Oratorio e l’Opera sociale: è il parco giochi salesiano, il nostro lavoro diretto con i giovani del “Gabriel” che frequentano ogni giorno il nostro Oratorio e trovano nella nostra casa un luogo dove giocare, divertirsi e vivere in modo sano con i loro amici e colleghi. I giovani qui amano lo sport, soprattutto la passione nazionale che è il calcio. Poiché la città non offre molte opzioni per il tempo libero e lo sport, i bambini sono presenti nel nostro lavoro per tutto il tempo in cui siamo operativi e si lamentano molto quando è ora di concludere le attività della giornata. Ogni giorno passano dal nostro lavoro in media 150-200 giovani. Inoltre, il Centro Missionario Salesiano offre corsi per adolescenti e giovani, come informatica e panificazione.

E se un giovane, conoscendovi e apprezzando il carisma, esprime il desiderio di diventare salesiano, c’è un percorso di formazione?
Sì, da qualche anno la nostra comunità gestisce anche il “Centro de Formación indígena” (CFI), che ha lo scopo di accompagnare e accogliere i giovani indigeni di tutte le nostre comunità missionarie che desiderano intraprendere un accompagnamento vocazionale ed essere aiutati nella stesura di un Progetto di vita. Questo accompagnamento costituisce l’Aspirazione Indigena dell’Ispettoria Salesiana Missionaria dell’Amazzonia (ISMA). Oltre a proporre questo itinerario formativo, il CFI offre corsi di portoghese, salesianità, informatica e pasticceria, accompagnamento spirituale e psicologico e inserimento graduale nella vita salesiana. È davvero un’esperienza molto apprezzata da loro, perché sono i primi passi del cammino formativo e si svolge nel loro ambiente, con la loro gente, con l’affetto e la vicinanza dei salesiani e degli animatori laici.

Ha detto che ci sono altre comunità missionarie oltre a San Gabriel? Come mai? Come funziona il lavoro missionario a Rio Negro?
La nostra comunità di Sao Gabriel, poiché ha più collegamenti e servizi, è la base e quella che si occupa del collegamento e della logistica con le nostre missioni che si trovano nell’interno, in particolare Maturacá (con il popolo Yanomami) e Iauaretê (nel “triangolo tukano”). In queste realtà missionarie non esiste un commercio formale e, quando c’è, i prezzi sono estremamente alti. Pertanto, tutti gli acquisti di cibo, prodotti per l’igiene, materiali per le riparazioni e carburante per le imbarcazioni utilizzate nelle “itineranze” (visite pastorali alle comunità fluviali) e per la produzione di energia elettrica tramite generatore, vengono effettuati a São Gabriel e poi inviati da noi, tramite trasporto fluviale, in queste località. È un lavoro manuale molto intenso, perché dobbiamo comprare e poi trasportare molto peso sulle barche che porteranno questi prodotti ai nostri fratelli che vivono e lavorano nelle altre missioni. Portiamo sacchetti di cibo, scatole di polistirolo con la carne e diverse “carotes” (contenitori di plastica per il trasporto di liquidi) da 50 litri di carburante ciascuna. Inoltre, la nostra casa ha diverse stanze, sempre disponibili e preparate per ospitare i fratelli missionari che passano da São Gabriel, per andare o tornare dalle altre missioni. Si tratta di un vero e proprio lavoro di assistenza e di rete.

E di questi “itinerari” sui fiumi, ricorda qualche esperienza forte?
Sì, certo, in relazione alle “itineranze”, un’esperienza che mi ha segnato profondamente è stata l’itineranza a Maturacá. Abbiamo vissuto giorni di profonda esperienza dell’incontro con Dio attraverso l’incontro con l’altro, con chi è diverso da noi, con il prossimo, perché abbiamo fatto la visita pastorale, detta itineranza, alle comunità del popolo Yanomami.

Oltre alla sede della Missione salesiana a Maturacá, abbiamo visitato altre sei comunità (Nazaré, Cachoeirinha, Aiari, Maiá, Marvim e Inambú). Sono stati giorni intensi e impegnativi. In primo luogo perché ogni comunità è molto distante l’una dall’altra e l’accesso è possibile solo attraverso i fiumi della nostra amata Amazzonia, percorsi in una barca a motore (chiamata “voadeira”), sotto il sole forte o la pioggia battente. In secondo luogo, si tratta di comunità tradizionali Yanomami, quindi lo shock culturale è inevitabile, poiché hanno abitudini, costumi e modi di vita completamente diversi da quelli di noi non indigeni. In terzo luogo, ci sono le sfide pratiche, come la mancanza di elettricità 24 ore su 24, l’assenza di segnale telefonico, la scarsa scelta e varietà di cibo, il bagno e il lavaggio dei vestiti nel fiume, la convivenza con gli insetti e gli altri animali della foresta… Una vera e propria “immersione” antropologica e spirituale. Abbiamo celebrato l’Eucaristia in tutte le comunità e diversi battesimi in alcune di esse, abbiamo visitato le famiglie e pregato con i bambini. È stata una fantastica esperienza di incontro, giorni speciali, giorni di gratitudine, giorni di ritorno all’essenziale della nostra fede e della nostra spiritualità giovanile salesiana: l’amore per Gesù, frutto dell’incontro personale con Lui, e l’amore per il prossimo che si manifesta nel desiderio di stare con lui e di diventare suo amico.

Questa straordinaria “itineranza” ha indubbiamente lasciato molto da imparare nella sua vita, non è vero?
L’itineranza è una vera e propria “scuola” e ci dà lezioni di vita: il distacco, perché più “cose” si accumulano, più “pesante” diventa il viaggio; vivere il presente, perché nel mezzo dell’Amazzonia, senza accesso ai mezzi di informazione, l’unico contatto è con la realtà presente, quella che ci circonda, la foresta, il fiume, il cielo, la barca; la gratuità, perché si affrontano le difficoltà e la stanchezza senza aspettarsi gesti di umana gratitudine. Infine, l’itineranza geografica ci porta a una “itineranza interiore”, alla conversione, al ritorno all’essenziale della vita e della fede. Navigare sui fiumi dell’Amazzonia significa navigare verso i fiumi interni.  Essere in missione significa essere costantemente provocati a liberarsi da idee preconcette e rigide per essere più liberi di amare e accogliere l’altro e annunciargli la gioia del Vangelo.

Una lezione molto speciale che imparo ogni giorno in missione è che per essere un buon missionario devo essere una persona profondamente segnata e toccata dall’amore misericordioso di Dio, e solo a partire da questa esperienza posso essere pronto a “portare” e “mostrare” ovunque come Dio ci ama e può trasformare tutta la nostra vita. Imparo anche che, essendo missionario, porto e mostro questo amore, prima di tutto con la mia stessa vita donata alla missione. Senza dire una parola, per il semplice fatto di lasciare le mie origini e abbracciare nuove culture, posso rivelare che l’amore di Dio vale molto di più di tutte le cose che consideriamo preziose nella nostra vita. Pertanto, la vita del missionario è la sua prima e più grande testimonianza e annuncio!

Avete vissuto questa esperienza missionaria, ma si può dire che anche voi siete stati evangelizzati? Cosa vi ha dato soddisfazione nel cuore?
Infine, trovandomi a São Gabriel, il comune più indigeno del Brasile, “casa” di 23 gruppi etnici, multiculturale e multilingue, mi rendo conto ogni giorno che, nel chiamarci a essere missionari, Dio ci chiama a essere capaci di lasciarci incantare dalla bellezza e dal mistero che è ogni persona e ogni cultura del nostro mondo. Per questo, sull’esempio del Maestro Gesù, missionario del Padre, siamo chiamati a “svuotarci” di tutto per “riempirci” delle bellezze e delle meraviglie presenti in ogni angolo della terra e associarle alla preziosità del Vangelo. Questa è stata una delle esperienze più profonde per me.

Alla fine di tutto questo, credo che la soddisfazione venga dai sorrisi e dalle grida dei nostri bambini e bambine che giocano, corrono, saltano, tirano una palla, raccontano le loro barzellette; viene dagli sguardi curiosi e brillanti degli uomini e delle donne della foresta; la gioia viene dalla contemplazione della bellezza della natura, dalla generosità della gente e dalla perseveranza dei cristiani che rimangono, a volte, per mesi senza la presenza di un sacerdote, ma che guardano e toccano con amore e devozione i piedini dell’immaginetta della Madonna o la croce sull’altare. Nelle missioni salesiane di Rio Negro si impara a vivere senza eccessi, a valorizzare la semplicità e a gioire delle piccole cose della vita. Qui tutto diventa festa, danza, musica, celebrazione, fede? Qui si vive nella stessa povertà e semplicità dell’inizio di Valdocco, dove hanno vissuto e si sono santificati don Bosco, mamma Margherita, il bambino Savio, don Rua e tanti altri. Essere in Amazzonia ci arricchisce certamente come persone, cristiani e salesiani di Don Bosco!

Intervista di don Gabriel ROMERO al giovane salesiano Leonardo Tadeu DA SILVA OLIVEIRA, dell’Ispettoria di São João Bosco, con sede a Belo Horizonte, Minas Gerais, Brasile.

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Sinodalità missionaria

La Sinodalità Missionaria: Una Prospettiva Salesiana

Sinodalità nel Nuovo Testamento

Negli ultimi anni, il sostantivo “sinodalità” è diventato di uso comune. Purtroppo, alcuni hanno una propria comprensione ideologica o errata del concetto. Non sorprende quindi che molte persone, anche religiosi e sacerdoti, si chiedano apertamente: “Che cos’è questa cosa? Che cosa significa?”. Sinodalità è in realtà una parola nuova per una realtà antica. Gesù, il pellegrino che annunciava la Buona Novella del Regno di Dio (Lc 4,14-15), ha condiviso con tutti la verità e l’amore della comunione con Dio e con le sorelle e i fratelli. L’immagine dei discepoli di Emmaus in Luca 24,18-35 è un altro esempio di sinodalità: hanno iniziato ricordando gli eventi vissuti; poi hanno riconosciuto la presenza di Dio in quegli eventi; infine, hanno agito tornando a Gerusalemme per annunciare la risurrezione di Cristo. Questo significa che noi, discepoli di Gesù, dobbiamo camminare insieme nella storia come popolo di Dio della nuova alleanza. Infatti, negli Atti degli Apostoli, il Popolo di Dio avanza insieme, sotto la guida dello Spirito Santo, durante il Concilio di Gerusalemme (Atti 15; Gal 2,1-10).

Sinodalità nella Chiesa primitiva

Nella Chiesa primitiva, Sant’Ignazio di Antiochia (50-117) ricordava alla comunità cristiana di Efeso che tutti i suoi membri sono “compagni di viaggio”, in virtù del loro battesimo e della loro amicizia con Cristo. Mentre San Cipriano di Cartagine (200-258) insisteva sul fatto che nella Chiesa locale non si dovesse fare nulla senza il vescovo. Allo stesso modo, per San Giovanni Crisostomo (347-407) “Chiesa” è un termine per “camminare insieme” attraverso la relazione reciproca e ordinata dei membri che li porta ad avere una mente comune.

Nella Chiesa primitiva, la parola greca composta da due parti: syn (che significa “con”) e ódós (che significa “cammino”) era usata per descrivere il cammino del popolo di Dio sullo stesso sentiero per rispondere a questioni disciplinari, liturgiche e dottrinali. Così, i sinodi si sono tenuti periodicamente nelle Chiese locali e nelle diocesi a partire dalla metà del II secolo, cioè dal 150 circa. Allo stesso modo, dal 325 a Nicea, la riunione di tutti i vescovi della Chiesa, chiamata “Concilio” in latino, iniziò a prendere decisioni come espressione della comunione con tutte le Chiese.

Sinodalità nel Vaticano II

Il Concilio Vaticano II non ha affrontato in modo specifico il tema della sinodalità né ha utilizzato questo termine o concetto nei suoi documenti. Ha invece utilizzato il termine “collegialità” per il metodo di costruzione dei processi conciliari. Tuttavia, la sinodalità è al centro del lavoro di rinnovamento che il Concilio stava incoraggiando. Mentre la collegialità riguarda il processo decisionale dei vescovi a livello della Chiesa universale, la sinodalità è il frutto degli sforzi attivi per vivere le prospettive del Concilio Vaticano II a livello locale. Questa comprensione è stata incarnata nella visione della natura della Chiesa come “comunione” che ha ricevuto la “missione” di proclamare e stabilire tra tutti i popoli il regno di Dio (Lumen gentium, 5). Essa immagina la Chiesa che cammina insieme e condivide “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” di tutti coloro con cui camminiamo (Gaudium et spes, 1).

Papa Francesco e la Sinodalità

Dal 2013, Papa Francesco ci insegna la sinodalità in tutto ciò che fa e dice. La sinodalità non è una semplice discussione, né è come le deliberazioni dei parlamenti alla ricerca del consenso che si concludono con il voto della maggioranza. Non è discutere, argomentare o ascoltare per rispondere. Non è un processo di democratizzazione o di messa ai voti di una dottrina. Non è un piano o un programma da attuare. Non si tratta nemmeno di ciò che vogliono i vescovi o altre parti interessate, né di comando e controllo. La sinodalità riguarda invece chi siamo e chi aspiriamo a essere come comunità cristiana, come corpo di Cristo. È lo stile di vita che qualifica la vita e la missione dell’intera Chiesa. Sinodalità è ascolto attento per capire a livello personale e più profondo. È una Chiesa di partecipazione e di corresponsabilità, a partire dal Papa, dai vescovi e coinvolgendo tutto il popolo di Dio, affinché tutti possiamo scoprire la volontà di Dio nell’affrontare una serie di sfide particolari.

La presenza dello Spirito Santo, attraverso il sacramento del Battesimo ricevuto, permette alla totalità del popolo di Dio di avere un istinto di fede (sensus fidei) che lo aiuta a discernere ciò che è veramente di Dio e a sentire, intuire e percepire in armonia con la Chiesa. La sinodalità comporta l’esercizio del sensus fidei di tutto il popolo di Dio, il ministero di guida del collegio episcopale con il clero e il ministero di unità del Vescovo di Roma.

Sinodalità e Discernimento

La sinodalità è caratterizzata soprattutto da un costante discernimento della presenza dello Spirito Santo. Si tratta di una realtà dinamica e in divenire, perché non possiamo prevedere dove lo Spirito Santo può condurci. La sinodalità non è un percorso tracciato in anticipo. È invece un incontro che forma e trasforma. È un processo che ci sfida a riconoscere la funzione profetica del popolo di Dio e ci richiede di essere aperti all’inaspettato di Dio. Attraverso l’ascolto reciproco e il dialogo, Dio viene a toccarci, a scuoterci, a cambiarci interiormente. In ultima analisi, la sinodalità è l’espressione del coinvolgimento collettivo e del senso di corresponsabilità per la Chiesa della totalità del popolo di Dio.

Questo implica un atteggiamento di ascolto attento, con umiltà, rispetto, apertura, pazienza verso le nostre esperienze e disponibilità ad ascoltare anche idee discordanti, persone che hanno abbandonato la pratica della fede, persone di altre tradizioni di fede o addirittura di nessun credo religioso per poter discernere i suggerimenti dello Spirito Santo, che è il protagonista principale, e di conseguenza promuovere l’azione di Dio nelle persone e nella società agendo con saggezza e creatività.

La Chiesa è missionaria

La Chiesa esiste per diffondere la buona novella di Gesù. Pertanto, la sua attività missionaria consiste soprattutto nell’annunciare il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno e il mistero di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 14, 22). Poiché tutti i membri della Chiesa, in virtù del battesimo ricevuto, sono agenti di evangelizzazione, di conseguenza una Chiesa sinodale è un presupposto indispensabile per una nuova energia missionaria che coinvolga l’intero popolo di Dio. L’evangelizzazione senza sinodalità manca di attenzione alle strutture della Chiesa. Al contrario, la sinodalità senza evangelizzazione significa che siamo solo un altro club sociale, commerciale o filantropico.

Sinodalità Missionaria

La sinodalità missionaria è un approccio sistemico alla realtà pastorale. Inviato ad annunciare il Vangelo, ogni battezzato, come discepolo-missionario, deve imparare ad ascoltare con attenzione e rispetto, come compagni di viaggio, la gente del luogo, i seguaci di altre religioni, le grida dei poveri e degli emarginati, coloro che non hanno voce nello spazio pubblico, per essere più vicini a Gesù e al suo Vangelo e diventare una Chiesa in uscita, non chiusa in se stessa.

Se la nostra testimonianza pubblica non è sempre evangelizzatrice in senso lato, siamo solo un’altra ONG, in un mondo di crescente disuguaglianza e isolamento. Oggi c’è una crescente consapevolezza che tutto ciò che facciamo come cattolici è un punto di contatto con l’evangelizzazione. Evangelizziamo attraverso il modo in cui accogliamo le persone, il modo in cui trattiamo i nostri amici e familiari, il modo in cui spendiamo i nostri soldi come individui, comunità e gruppi, il modo in cui ci prendiamo cura dei poveri e raggiungiamo gli emarginati, il modo in cui usiamo i social media, il modo in cui ascoltiamo con attenzione i desideri dei giovani e il modo in cui siamo in disaccordo e dialoghiamo tra di noi.

Il Processo sinodale

Per ascoltare con attenzione il senso della fede del popolo di Dio (sensus fidelium), che la Chiesa insegna come autentico garante della fede che esprime, Papa Francesco ha istituito il “processo sinodale”. Camminando insieme, discutendo e riflettendo come popolo di Dio, la Chiesa crescerà nella sua autocomprensione, imparerà a vivere la comunione, favorirà la partecipazione e si aprirà alla missione di evangelizzazione.

Il processo sinodale, infatti, ha lo scopo di ispirare speranza, stimolare la fiducia, ricucire le ferite per tessere relazioni nuove e più profonde, imparare gli uni dagli altri e illuminare le menti per sognare con entusiasmo la Chiesa e la nostra missione comune. È un kairos o momento maturo nella vita della Chiesa per la conversione in preparazione all’evangelizzazione ed è un momento di evangelizzazione.

Sinodalità e il carisma salesiano

Dai tesori pedagogici e spirituali del carisma salesiano possiamo ricavare espressioni di sinodalità missionaria.

Il nostro Patrono, San Francesco di Sales, ha fatto della vera amicizia il contesto necessario in cui si svolge il cammino insieme attraverso l’accompagnamento spirituale. Egli riteneva che non ci potesse essere un vero accompagnamento spirituale senza una vera amicizia. Tale amicizia implica sempre una comunicazione reciproca e un arricchimento reciproco, che permette alla relazione di diventare veramente spirituale.

Nell’Oratorio di Valdocco, Don Bosco ha preparato i suoi ragazzi alla vita e li ha resi consapevoli dell’amore di Dio per loro, li ha aiutati ad amare la loro fede cattolica e a praticarla nella vita quotidiana. Si preoccupava di mantenere un rapporto individuale per offrire loro, secondo le necessità di ciascuno, un accompagnamento personale e di gruppo. Così scriveva nella sua lettera da Roma del 1884: “la familiarità porta all’amore e l’amore porta alla fiducia. È questo che apre il cuore e i giovani rivelano tutto senza paura”. Mantenendo un bell’equilibrio tra un ambiente sano e maturo e la responsabilità individuale, l’Oratorio divenne una casa, una parrocchia, una scuola e un campo da gioco.

Don Bosco formò attorno a sé una comunità in cui i giovani stessi erano protagonisti. Favorì la partecipazione e la condivisione di responsabilità da parte di ecclesiastici, salesiani, laici. Lo aiutavano a tenere il catechismo e altre lezioni, ad assistere in chiesa, a guidare i giovani nella preghiera, a prepararli per la prima comunione e la cresima, ad assistere nel cortile dove giocavano con i ragazzi, ad aiutare i più bisognosi a trovare un impiego presso qualche datore di lavoro onesto. In cambio, Don Bosco si prendeva diligentemente cura della loro vita spirituale, attraverso incontri personali, conferenze, direzione spirituale e amministrazione dei sacramenti. Da questo ambiente nacque una nuova cultura in cui si respirava un profondo amore per Dio e per la Madonna, che a sua volta creò un nuovo stile di relazione tra i giovani e gli educatori, tra i laici e i sacerdoti, tra gli artigiani e gli studenti.

Oggi la Comunità Educativo-Pastorale (CEP), attraverso il Piano Educativo-Pastorale Salesiano (PEPS), è il centro di comunione e condivisione dello spirito e della missione di Don Bosco. Nella CEP promuoviamo un nuovo modo di pensare, giudicare e agire, un nuovo modo di affrontare i problemi e un nuovo stile di relazioni – con i giovani, i salesiani e i laici, in vari modi, come leader e collaboratori.

Un elemento essenziale del carisma di Don Bosco è lo spirito missionario che ha trasmesso ai suoi salesiani e a tutta la famiglia salesiana. Questo è riassunto nel Da mihi animas e si esprime attraverso il “cuore oratoriano”, il fervore, lo slancio e la passione per l’evangelizzazione, in particolare dei giovani. È la capacità di dialogo interculturale e interreligioso e la disponibilità ad essere inviato dove c’è bisogno, in particolare nelle periferie.

Un tempo di conversione

La conversione personale e comunitaria sarà sempre necessaria, perché riconosciamo umilmente che in noi ci sono ancora tanti ostacoli ai nostri sforzi per vivere la sinodalità missionaria: l’urgenza di insegnare più che di ascoltare; un senso di diritto al privilegio; l’incapacità di essere trasparenti e responsabili; la lentezza nel dialogo e la mancanza di presenza animatrice tra i giovani; la propensione al controllo e alla rivendicazione del diritto esclusivo di prendere decisioni; la mancanza di fiducia nella responsabilizzazione dei laici come partner della missione; e la mancanza di riconoscimento della presenza dello Spirito Santo nelle culture e nei popoli, anche prima del nostro arrivo.

In effetti, la sinodalità missionaria salesiana è allo stesso tempo un dono e un compito!




Dalla Croazia all’Etiopia: Il sogno missionario di don Bosco continua

Dalla Croazia all’Etiopia: Il sogno missionario di don Bosco continua

            Testimonianza di Josip Ivan SOLDO sdb, missionario di don Bosco croato inviato in Etiopia, tra i membri della 151esima spedizione missionaria. La chiamata missionaria nasce all’interno della vocazione salesiana come un invito ad uscire ed andare ovunque il Signore ci chiama.

            Mi chiamo Josip SOLDO, sono un salesiano croato nato in Bosnia-Herzegovina.

            Inizio dicendo che la mia famiglia ha da sempre avuto un ruolo importante nella mia vita: ho tre fratelli e due sorelle, di cui una è mia gemella, sono molto orgoglioso dei miei sedici nipoti, mia madre Veronica è ancora viva mentre mio padre è morto nel 2006.

            Se ripenso alla mia storia vocazionale, posso dire che sin da piccolo ho sentito il desiderio di diventare sacerdote, già a cinque anni ero chierichetto e ho mantenuto questo servizio fino alla scuola media. In adolescenza, però, mi sono allontanato dalla Chiesa, mantenendo soltanto la tradizione di andare a messa la domenica e andandomi a confessare, ma senza un reale interesse e coinvolgimento.

            Intorno ai 24-25 anni è iniziata la mia conversione, a quel tempo lavoravo in una ditta di fast-food e ho sentito il bisogno di riavvicinarmi a Dio, leggendo la Bibbia nelle pause dal lavoro. La Parola di Dio pian piano scendeva nel mio cuore e io mi sentivo confuso, ero un giovane “normale”, amavo andare in discoteca, uscire con gli amici e divertirmi con loro, farmi notare dalle ragazze, sperando poi di trovare un giorno l’anima gemella. L’incontro con un sacerdote salesiano mi ha cambiato la vita e ho preso la decisione di approfondire il carisma di Don Bosco con il desiderio di diventare un giorno salesiano sacerdote. Per due anni sono stato nella comunità del pre-noviziato; avevo bisogno di conoscere veramente Don Bosco perché i Salesiani non sono presenti dove vivevo, basti pensare che nel mio paese mi chiedevano se i Salesiani fossero parte della Chiesa Cattolica pensando che fossero invece una setta. L’idea di aiutare i giovani poveri, educarli per una vita migliore e avvicinarli a Cristo mi affascinò da subito.

            Dal 2016 mi sono trasferito in Italia, a Roma, dove sono rimasto per tre anni, prima nel noviziato di Genzano, dove l’8 Settembre 2017 ho emesso i miei primi voti da religioso, e poi nella Comunità di San Tarcisio per gli studi di filosofia presso l’Università Pontificia Salesiana. Dentro di me sentivo forte il desiderio di andare oltre, di andare lontano, ma non ero ancora maturo per prendere una decisione seria e difficile, come la vita missionaria. Rientrato in Croazia per il tirocinio, ho capito che i miei dubbi, le mie incertezze, le mie paure, il non sentirmi all’altezza o l’inesperienza non potevano frenarmi dalla disponibilità a diventare missionario. Dio lavora attraverso di noi anche quando non siamo consapevoli e non possiamo fare affidamento solo sulle nostre, limitate, forze umane, Lui usa le nostre debolezze, le nostre piccole sfumature per far vedere la sua grandezza. Tante volte mi era capitato di prepararmi bene per gli incontri con i ragazzi e poi spesso loro non si ricordavano nulla dell’incontro, però mi raccontavano di quanto fossero significative per loro le cose dette in momenti informali, di cui spesso io neanche mi rendevo conto. Ho capito che Dio non ha bisogno di supereroi ma di “servi inutili” che hanno nel cuore il desiderio di servirLo e così ho scritto la mia domanda al Rettor Magiore per essere salesiano missionario, ad gentes, ad vitam ad exteros.

            Proprio nell’anno in cui è iniziata la pandemia del Covid, ho ricevuto la risposta dalla Casa Generalizia: missionario con destinazione Etiopia! Il primo passo è stato imparare la pazienza, tra le limitazioni dovute alla situazione sanitaria e le lentezze della burocrazia per ottenere i documenti necessari. Nel frattempo, ho svolto il mio tirocinio nelle comunità di Spalato e di Zagabria, due esperienze diverse in cui ho avuto la possibilità di conoscere tanti confratelli santi e giovani che mi hanno mostrato il volto e la voce di Dio.

            Finalmente, all’inizio di settembre dello scorso anno sono arrivato in Etiopia! Al “Bosco Children” di Addis Abeba ho potuto stare in mezzo ai ragazzi: molti di loro provengono dalla strada, i Salesiani danno loro una seconda opportunità accogliendoli nel centro, ci sono ragazzi rifugiati, ragazzi che sono dovuti fuggire dalle loro città o dalle loro case, altri sono nati e sempre vissuti in strada. Noi Salesiani offriamo loro la possibilità di avere una vita nuova, attraverso l’istruzione, l’alloggio e tutto ciò che è necessario per una vita degna di un essere umano. I ragazzi entrati nel programma del Bosco Children vivono lì per due-tre anni finché non sono pronti per essere reintegrati nella loro famiglia o nella società. Un altro servizio che ho svolto quest’anno è stata la costruzione del sito internet (boscochildren.com), grazie all’aiuto e al sostegno di alcuni bravi confratelli dalla Croazia e il movimento giovanile croato chiamato Nova Eva. Avendo avuto esperienza come cuoco in passato, mi è stato proposto di fare il pane con i ragazzi: ogni giorno preparavamo il pane per tutto il centro e la comunità, con il sogno di aprire un giorno una vera panetteria con posti di lavoro e corsi di formazione. Per il resto, il nostro centro è una “Valdocco ad Addis Abeba”: fattoria con conigli, galline e mucche, scuola per meccanici-auto, falegnameria, metalmeccanici, elettricisti, cucina, sartoria… tutto ciò per educare i nostri ragazzi e prepararli alla vita.

            Lo shock culturale per me è stato abbastanza forte: il cibo diverso, una lingua che non potevo imparare subito, gli usi e costumi di una nuova cultura… vivevo tante emozioni, provavo nervosismo e spesso volevo isolarmi.

            Devo ringraziare il Settore per le Missioni della Congregazione per il corso di formazione per missionari appena concluso perché è stata un’occasione in cui dare un nome a questi shock, vedere che anche gli altri missionari vivono le stesse sfide e che il processo di inculturazione non è facile. Nonostante le difficoltà, io sento nel cuore il forte desiderio di andare avanti e di spingermi oltre per vincere me stesso, con il tempo so che capirò che nella vita missionaria il Signore non chiede molto, “Lui chiede tutto” per darti tutto.

            La mia formazione verso il sacerdozio continua attraverso l’inizio degli studi in teologia, prima di tornare in missione, sicuramente ci saranno nuove sfide, ma ci sarà anche la gioia di essere lì dove il Signore mi vuole, la pienezza nel sapere che quello che faccio è la volontà di Dio. Adesso sento che non c’è nulla che può riempire il cuore così come lo fa il Signore quando ti trovi lì dove Lui ti vuole, quando sai che la tua vita trova la pienezza di senso nel suo piano Divino, e la speranza che non ti lascerà mai dalle sue mani fino al paradiso, dove spero di essere un giorno insieme a tanti fratelli.

A consegnato: Marco FULGARO