Generosità missionaria in Africa del Sud

Il Sudafrica o Africa del Sud, ufficialmente Repubblica del Sudafrica, è un paese multiculturale, uno dei pochi paesi nel mondo con 11 lingue ufficiali parlate da altre tante etnie. È un paese che ha sofferto per più di 40 anni la segregazione razziale, istituita nel 1948 dal governo di etnia bianca del paese e rimasta in vigore fino al 1991. Chiamata l’apartheid, era una politica di separazione per criteri razziali, condannata ufficialmente dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nel 1973, quando dichiarò l’apartheid un crimine contro l’umanità.
Oggi a distanza di tani anni, neri, bianchi, meticci e asiatici vivono insieme, anche se si sentono ancora le mentalità segregazioniste. In questo paese, una ventina di anni fa, è arrivato come missionario un salesiano paraguayano don Alberto Higinio Villalba, oggi economo ispettoriale e direttore della casa salesiana di Johannesburg. Le abbiamo chiesto che ci racconti un po’ della realizzazione del suo sogno missionario.

Sono nato ad Asunción, la capitale del Paraguay, un piccolo paese del Sud America, circondato da Argentina, Brasile e Bolivia. Provengo da una famiglia di 6 figli, tre maschi e tre femmine. Io sono il secondogenito. Tutta la mia famiglia è in Paraguay; i miei genitori sono ancora vivi, anche se con alcuni problemi di salute legati alla loro età. Il desiderio di diventare missionario viene da molto lontano, da giovane, insieme al Movimento Giovanile Salesiano, andavo a fare apostolato nei villaggi e nelle stazioni periferiche, aiutando i bambini con la catechesi e nelle attività degli oratori. Poi, quando ero prenovizio salesiano, ho incontrato un sacerdote spagnolo, don Martín Rodriguez, che ha condiviso con me la sua esperienza di missionario nel Chaco Paraguayo: in quel momento si rafforzò il desiderio di diventare missionario.
Ma fu grazie al Rettor Maggiore don Vecchi che decisi di partire: il suo appello missionario a tutte le ispettorie mi interpellò e, parlando con il mio Ispettore, don Cristóbal López, oggi cardinale e arcivescovo di Rabat, decisi di prendere parte alla spedizione missionaria del 2000.

Certo, non è stato facile, sin dall’inizio ho incontrato diversi shock culturali che ho dovuto superare con pazienza e impegno. Prima di arrivare in Africa, sono stato mandato in Irlanda per imparare l’inglese: tutto era molto nuovo per me, molto impegnativo. Una volta atterrato in Sudafrica, non più una sola lingua nuova che non capivo, ma molte di più! In effetti, il Sudafrica ha undici lingue ufficiali e l’inglese è solo una di queste. In compenso, l’accoglienza dei salesiani è stata molto calorosa e gentile.

Dico sempre che per diventare missionari non c’è bisogno di lasciare il paese, la cultura, la famiglia, e tutto il resto. Essere missionari significa portare Gesù alle persone ovunque ci troviamo; e questo possiamo farlo nelle nostre famiglie, nelle nostre comunità, dove lavoriamo. Tuttavia, diventare missionari “ad gentes” significa rispondere alla generosità di Dio che ha condiviso con noi suo Figlio attraverso i missionari che hanno evangelizzato i nostri continenti e alla generosità di don Bosco che ha inviato i suoi missionari a condividere con noi il carisma salesiano. Se ci sono state così tante persone che hanno lasciato i loro Paesi e la loro cultura per condividere con noi Cristo e don Bosco, allora possiamo anche noi rispondere a quell’amore e a quella gentilezza per condividere gli stessi doni con gli altri.

Parlando dell’Africa del Sud, la Visitatoria dell’Africa Meridionale comprende tre paesi: il Sudafrica, dove i salesiani sono arrivati nel 1896, il regno di Eswatini (arrivati 75 anni fa) e il regno del Lesotho. Tanti cambiamenti sono avvenuti negli anni: siamo passati dai centri tecnici alle scuole, alle parrocchie e ora ai progetti. Attualmente abbiamo sette comunità, la maggior parte delle quali con alcune parrocchie e centri di formazione o oratori annessi alle comunità.
Essendo in Africa ormai da più di 20 anni, direi che l’esperienza più bella della mia vita salesiana l’ho vissuta in Eswatini, lavorando per il Manzini Youth Care. Quando mi è stato chiesto di occuparmi del progetto, il MYC si trovava in una situazione finanziaria molto difficile e l’organizzazione aveva alcuni mesi di stipendio arretrati. Tuttavia, le persone che lavoravano per i progetti non si erano mai lamentate e ogni giorno arrivavano con lo stesso entusiasmo e la stessa energia per fare del loro meglio per contribuire alla vita dei giovani, per cui MYC lavorava.
È qui dove si vede veramente l’impegno dei nostri collaboratori laici e fa piacere lavorare con loro.
Vogliamo fare tanto, pero dal punto di vista vocazionale, siamo diminuiti e abbiamo bisogno dell’aiuto di salesiani che di buon cuore si offrano per aiutarci a diffondere la Buona Novella e la spiritualità salesiana qui in Africa del Sud. Molti salesiani e molte ispettorie continuano a mostrare generosità, mettendo a disposizione le loro risorse umane, inviando missionari nei nostri paesi d’origine. Pertanto, siamo invitati a condividere la stessa generosità e speriamo che si trasformi in una spirale di crescita. Per i figli di Don Bosco, è un dovere far conoscere alla gente chi è nostro padre don Bosco, e la ricca spiritualità del carisma salesiano.

Marco Fulgaro




Salesiani in Azerbaigian, seminatori di speranza

Il racconto di un ragazzo che esprime gratitudine per l’operato dell’unica comunità salesiana dell’Azerbaigian, punto di riferimento per tanti giovani della capitale.

L’Azerbaigian (ufficialmente Repubblica dell’Azerbaigian), è un paese localizzato nella regione transcaucasica, che confina con il Mar Caspio a est, con la Russia a nord, la Georgia e l’Armenia a ovest e l’Iran a sud. Ospita una popolazione di circa 10 milioni di abitanti, che parla la lingua azera, appartenente alla famiglia delle lingue turche. La ricchezza principale del paese è rappresentata dal petrolio e dal gas. Diventato indipendente nel 1918, è stato il primo stato laico democratico a maggioranza musulmana. La sua indipendenza però duro solo due anni, dato che nel 1920 venne incorporato dalla nuova Unione Sovietica appena costituita. Con la caduta dell’impero sovietico, ha riconquistato l’indipendenza nel 1991. In questo periodo, la regione del Nagorno Karabakh, abitata principalmente da armeni, dichiarò la sua indipendenza sotto in nome di Repubblica dell’Artsakh, evento che portò a varie guerre. È riapparsa nei notiziari internazionali dopo il recente attacco dell’Azerbaigian, il 19 settembre 2023, che ha condotto alla soppressione della sopraddetta repubblica e all’esodo di quasi tutti gli abitanti armeni da questa regione verso l’Armenia.

La presenza dei cristiani in quest’area geografica è menzionata fin dai primi secoli dopo Cristo. Nel sec. IV il re caucasico Urnayr dichiarò ufficialmente il cristianesimo religione di stato e rimase così fino all’VIII secolo quando, in seguito ad una guerra, si impose l’islam. Attualmente la religione maggioritaria è proprio l’islam a predominanza sciita, e i cristiani di tutte le confessioni rappresentano il 2,6% della popolazione.
La presenza dei cattolici nel paese risale al 1882 quando fu fondata una parrocchia; nel 1915 fu costruita una chiesa nella capitale Baku, demolita dai comunisti sovietici nel 1931, dissolvendo la comunità e arrestando il parroco, che morì un anno dopo in un campo di lavoro forzato.

In seguito alla caduta del comunismo, si ricostituì la comunità cattolica di Baku nel 1997, e dopo la visita in Azerbaigian di papa san Giovanni Paolo II nel 2002, si ottenne il terreno per la costruzione di una nuova chiesa, consacrata all’Immacolata Concezione e inaugurata il 29 aprile 2007.
La presenza salesiana in Azerbaigian è stata aperta nell’anno del Giubileo 2000, nella capitale Baku, la più grande città del paese, con una popolazione di più di 2 milioni di abitanti.

Il direttore della casa salesiana di Baku, don Martin Bonkálo, ci racconta che la missione salesiana si incarna in contesti diversi e sempre nuovi, come risposta alle sfide e ai bisogni della gioventù. Gli echi di don Bosco si sentono anche in Azerbaigian, in Asia Centrale, paese a maggioranza musulmana, che nello scorso secolo ha conosciuto il regime sovietico.
In questa casa vivono e lavorano sette salesiani, di cui cinque sacerdoti e due coadiutori, appartenenti all’Ispettoria slovacca (SLK), che si curano della parrocchia di Santa Maria e del Centro educativo “Maryam”. Si tratta di un’opera per lo sviluppo integrale dei giovani: evangelizzazione, catechesi, educazione ed aiuto sociale.
In tutto il paese i cattolici sono un piccolo gregge che professa con coraggio e speranza la propria fede. Il lavoro dei salesiani quindi, si basa sulla testimonianza dell’amore di Dio, sotto varie forme. I rapporti con la gente sono aperti, chiari ed amichevoli: questo favorisce il prosperare dell’azione educativa.

I giovani sono come tutti gli altri giovani del mondo, con le loro paure e i loro talenti. La loro sfida più grande è quella di ricevere una buona istruzione per guadagnarsi da vivere. I giovani cercano un ambiente educativo e persone capaci a livello professionale ed umano, che sappiano comunicare il cammino da seguire per cercare il senso della vita.
I salesiani sono impegnati a guardare al futuro, per arricchire la presenza nel paese, renderla più internazionale e rimanere fedeli al carisma trasmesso da don Bosco, con gioia ed entusiasmo.

Shamil, exallievo del centro salesiano di Baku, racconta: “Sono entrato a contatto con il centro Maryam nel 2012 e quell’incontro si è rivelato fondamentale per il resto della mia vita. A quel tempo, avevo prestato il servizio militare e stavo terminando la mia formazione presso un collegio d’informatica. Avvertivo la necessità di crescere a livello professionale, ma allo stesso tempo avevo un gran bisogno di amici nel mondo reale! Arrivai a Baku dalla provincia, incontrai per strada un mio amico che mi parlò del Centro Maryam. Così siamo andati insieme per visitarlo e da lì è iniziato un capitolo bellissimo nella mia vita. Fin dal primo giorno mi sono trovato in un mondo diverso, non facile da spiegare, io nel mio cuore dico che è un’isola. È diventata per me un’isola di umanità, nel mondo moderno spesso interessato a usare le persone, e non a interessarsi realmente a loro.

Senza che neanche me ne rendessi conto, era iniziato il programma nel centro giovanile e io ero parte di una squadra. Qualcuno giocava a pallavolo, qualcuno a ping-pong, un gruppo di ragazzi strimpellava la chitarra… Più tardi, ci siamo seduti in refettorio e a tutti è stata data la possibilità di condividere una parola per esprimere la propria opinione sulla giornata passata, sulle impressioni o sulle nuove idee. Io ero un ragazzo piuttosto timido, eppure ho iniziato a parlare con piacere degli eventi del giorno e degli argomenti generali, senza alcuna difficoltà o freno. Tra i tanti corsi del centro, ho deciso di iniziare con il corso di grafica Photoshop e il corso di lingua inglese. Quando poi ho dovuto lasciare il mio lavoro per motivi di salute, ho perso anche un tetto sopra la testa. La soluzione è stata quella di lavorare al centro come guardia, con determinati obblighi e responsabilità. Sono stato in prova per un mese e sono contento di non aver deluso nessuno e di aver trovato una nuova casa. Quando don Stefan nel 2014 ha iniziato a sviluppare al centro il progetto di rete informatica dell’Accademia Cisco, è iniziato il mio percorso professionale come ingegnere di rete. Nello stesso periodo, ho potuto imparare tre mestieri domestici: saldatura, elettricità e idraulica. Nel 2016 sono diventato istruttore ufficiale di Cisco e ormai sono sei anni che lavoro come ingegnere di rete. Questo lavoro ha permesso a me e alla mia famiglia di rimetterci in piedi dopo anni di vita molto precaria. Oltre al lavoro, tengo corsi sulle reti informatiche, sono diventato animatore e aiuto a organizzare campi estivi per bambini. Non posso che essere grato a don Bosco per tutto quello che mi ha donato nella vita”.

Sono tante le storie di giovani come Shamil, che sono riusciti a indirizzare la propria vita grazie al lavoro dei Salesiani a Baku, e speriamo che quest’opera possa prosperare e continuare ancora a essere feconda.

Marco Fulgaro




La consegna della Croce Missionaria Salesiana

Il 24 settembre, il Rettor Maggiore ha presieduto alla consegna della croce missionaria ai membri della 154ª spedizione missionaria della Congregazione Salesiana. Si tratta del 154° gruppo da quando don Bosco presiedette il primo invio missionario a Valdocco l’11 novembre 1875.

L’invio missionario nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco è un gesto con cui la Congregazione Salesiana rinnova, davanti a Maria Ausiliatrice, il suo impegno missionario. Il centro di questa commovente celebrazione è il missionario che riceve la croce missionaria dal successore di don Bosco, il Rettor Maggiore. La croce missionaria salesiana, infatti, viene consegnata dal Rettor Maggiore solo a coloro che offrono il dono radicale e completo di sé che, per sua natura, implica una disponibilità totale senza limiti di tempo (ad vitam).

Ricevere la croce missionaria suscita molte emozioni e comporta sfide spirituali. Queste sono tutte espresse nei disegni della croce stessa che i missionari ricevono. La vita del missionario è centrata nella persona di Cristo e di Cristo crocifisso. Ciò implica che il missionario prima riceve e poi trasmette il grande insegnamento della Croce: l’amore infinito del Padre che dà il meglio di sé, suo Figlio; l’amore fino in fondo che è obbediente e generoso nel donarsi alla volontà del Padre per la salvezza dell’umanità. Per ogni missionario salesiano “La nostra più alta conoscenza […] è conoscere Gesù Cristo, e la nostra più grande gioia è rivelare a tutti gli uomini le insondabili ricchezze del suo mistero” (Costituzioni SDB art. 34).

Il Buon Pastore nella croce missionaria salesiana rivela la cristologia salesiana: la carità pastorale è il nucleo dello spirito salesiano, “l’atteggiamento che conquista i cuori con la dolcezza e il dono di sé” (Costituzioni SDB art. 10-11).

Da Mihi Animas cetera Tolle (dammi le anime, togli il resto): questo è il motto che ha caratterizzato i Figli di Don Bosco fin dall’inizio. In un contesto missionario questa breve preghiera salesiana acquista un significato particolare: lasciare tutto, anche la propria terra, la propria cultura e le cose che danno sicurezza, per dedicarsi senza limiti a coloro a cui si è inviati, per essere per loro strumento di salvezza.

Lo Spirito Santo che scende sul Buon Pastore come nel fiume Giordano scende ora su Cristo presente nel dinamismo pastorale della Chiesa. Senza lo Spirito Santo, e senza la luce, il discernimento, la forza e la santità che discendono dallo Spirito, ogni attività missionaria non sarebbe altro che una serie di attività, a volte vuote, svolte in luoghi lontani.

Infine, il testo scritto sul retro della croce:Euntes ergo docete omnes nationes baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti” (Mt 28,19) (Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo): rappresenta il cuore del mandato missionario conferito dal Signore risorto. Il testo dà il mandato di insegnare a tutti gli uomini perché diventino seguaci e discepoli di Gesù (il testo greco sottolinea mathêteúsate, “fate discepoli”, che è più di docete, “insegnate”). L’evangelizzazione, la pienezza della grazia passano attraverso le parole e le azioni, con la più grande di tutte le grazie sacramentali che è il battesimo, che immerge la persona nel mistero della comunione con Dio.

Nel 1875 don Bosco inviò 10 salesiani italiani in Argentina. Oggi i missionari provengono dai cinque continenti e sono inviati nei cinque continenti. Ogni salesiano, ogni Ispettoria è corresponsabile dell’attività missionaria dell’intera Congregazione. Grazie ai missionari salesiani, il carisma di don Bosco è oggi presente in 134 Paesi. Le riflessioni di alcuni membri delle 154 spedizioni missionarie rivelano quanto i missionari salesiani abbiano toccato la vita delle persone, generando a loro volta nuove vocazioni missionarie salesiane.

Ch. Jorge DA LUÍSA JOÃO, salesiano di Bengo, Angola, ha 31 anni. “Il seme della mia vocazione missionaria si è sviluppato quando guardavamo video missionari nella comunità salesiana di Benguela, dove sono diventato aspirante esterno. Poi durante il prenoviziato, il noviziato e il postnoviziato si è sviluppato con l’accompagnamento della mia guida spirituale. Ora che il Rettor Maggiore ha accettato la mia domanda di missione e mi manda a Capo Verde, il mio sogno è quello di dare tutta la mia vita nella terra di missione dove sarò inviato e di essere sepolto lì, proprio come i missionari che hanno dato tutto per l’Angola e i cui corpi riposano sul suolo angolano”.

Ch. Soosai ARPUTHARAJ è di Michaelpalayam, Tamilnadu, India. “La mia vocazione missionaria è nata quando ero agli esordi della mia formazione iniziale, ma avevo paura di dire a qualcuno del mio desiderio missionario. Ma durante l’incontro per i giovani salesiani della nostra Ispettoria ci hanno parlato dell’esperienza missionaria. Questo mi ha fatto chiedere: “Perché non posso diventare missionario ad gentes nella congregazione salesiana?”. Sono grato al Vicario del mio Ispettore che mi ha guidato a prendere finalmente questa decisione di offrirmi al Rettor Maggiore per andare ovunque mi manderà. Così, ho accettato di buon grado la proposta del Consigliere Generale per le Missioni di mandarmi in Romania. So che questa è la chiamata di Dio a donare la mia vita ai giovani della Romania”.

Ch. Joshua TARERE, 30 anni, originario di Vunadidir, East New Britain, Papua Nuova Guinea. È il primo missionario salesiano dell’Oceania. “Quando ero bambino conoscevo solo il sacerdote diocesano della mia parrocchia. Come studente secondario non frequentavo una scuola salesiana. Ma grazie ai salesiani di don Bosco Rapolo che venivano nella mia parrocchia per la messa domenicale, sono stato ispirato dal loro lavoro missionario. Venivano nel mio paese per servire i giovani. Questa esperienza di servizio e di disponibilità verso gli altri mi ha aiutato a identificarmi con la loro vocazione missionaria.
Durante il noviziato il mio Maestro dei Novizi, don Philip Lazatin, mi ha incoraggiato a discernere e chiarire il mio interesse missionario. Nel postnoviziato ho continuato il discernimento con il mio Rettore, don Ramon Garcia, e con la mia guida spirituale, per scoprire se il mio desiderio di essere missionario salesiano sia veramente una chiamata di Dio. Dopo un lungo periodo di discernimento, ho finalmente deciso di fare domanda al Rettor Maggiore e di mettermi a disposizione ovunque mi manderà. L’ho fatto liberamente, senza alcuna pressione da parte di nessuno. Mi dicono che sono il primo salesiano dell’Oceania a essere missionario. Ma per me questo non è importante. Ciò che conta è la mia disponibilità a rispondere con generosità alla chiamata personale di Dio.
Come missionario in Sud Sudan, provo un sentimento misto di paura e coraggio. I media presentano tutte le immagini negative della violenza e degli sfollati in Sud Sudan. Ma sono anche ispirato a essere coraggioso perché so perfettamente che il Signore che mi ha mandato per la sua missione si prenderà sicuramente cura di me. Le mie paure non hanno sovrastato il mio grande desiderio di servire, amare ed essere un tutt’uno con la nuova cultura e il nuovo popolo a cui sono stato inviato”.

Ch. Francois MINO NOMENJANAHARY di Antananarivo, la capitale del Madagascar, ha 25 anni. Destinato alla Visitatoria di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, ci offre oggi la sua testimonianza. “Devo ammettere che non avevo mai sentito parlare della Papua Nuova Guinea, fino a quando padre Alfred Maravilla mi ha proposto di andarci. Ho accettato di buon grado di essere inviato perché ho offerto la mia disponibilità a rispondere alla chiamata di Dio a essere missionario. Ho dovuto anche spiegare ai miei genitori e alla mia famiglia qual è la mia destinazione missionaria. Grazie a Dio, hanno accettato. Certo, come tutti, ho le mie paure. Sono felice di aver incontrato in questo corso i missionari della Papua Nuova Guinea. Sono felice di sapere che il primo sacerdote cattolico della Papua Nuova Guinea, Louis Vangeke, si è formato nel seminario in Madagascar. Questo mi fa sentire anche legato alla mia terra di missione”.

Don Michał CEBULSKI di Katowice, Polonia, ha 29 anni. È stato ordinato pochi mesi fa, a giugno. “Da giovane salesiano ha trascorso un anno di formazione pratica in Irlanda. Fin da bambino, ho sentito storie di missionari che hanno sviluppato in me il desiderio di essere come loro. Sono felice di essere stato inviato in Lituania, il Paese che confina con la Polonia. Anche se il mio Paese confina con la Lituania e abbiamo delle somiglianze per quanto riguarda il cibo e la cultura, la lingua lituana non sarà facile per me. Il mio nuovo Provinciale mi ha detto che dovrò studiare l’italiano per alcuni mesi. Ma quando sarò in Lituania, la mia priorità sarà quella di avvicinarmi alla gente e di capire la loro cultura. Spero che il popolo lituano possa scoprire l’amore di Dio attraverso il mio servizio. Voglio aiutare i giovani a vivere con la vera gioia, che, come ci ha detto don Bosco, nasce da un cuore puro”.

Sig. Kerwin P. VALEROSO, un coadiutore salesiano di 35 anni di Pura, Tarlac, Filippine, sta per partire per la nuova Circoscrizione del Nord Africa (CNA). “Una volta ho visto le foto delle prime tre spedizioni missionarie dei salesiani. Pensando ai luoghi che hanno raggiunto, alle opere che hanno costruito, ai cuori che hanno toccato e alle anime che hanno salvato, ho sentito che questa era la mia vocazione. Sono grato ai miei formatori, mentori e amici che hanno condiviso con me il viaggio per purificare e rafforzare la mia vocazione missionaria.
Sono grato alla mia famiglia, ai confratelli e agli amici che mi hanno fatto sentire il loro sostegno, le loro preghiere e i loro auguri mentre mi accingevo a rispondere alla mia vocazione missionaria. Non nascondo di provare un sentimento misto di gioia e paura nell’andare in Nord Africa, di cui non conosco ancora la lingua, la cultura e la gente. Non conosco nemmeno l’Islam. Tuttavia, il mio compito principale è quello di imparare bene quest’anno la lingua francese. Devo dire che i nostri confratelli di Parigi, in Francia, mi hanno fatto sentire davvero accolto. Sono anche grato alla mia Provincia di origine (FIN) che, nonostante la moltitudine di lavoro nell’apostolato, mi ha generosamente incoraggiato a offrirmi per le opere missionarie della nostra Congregazione”.

Ch. Dominic NGUYEN QUOC OAT, 30 anni, è di Dong Nai, Vietnam. “Mi sono interessato alla missione fin da quando frequentavo la scuola secondaria. Ho persino condiviso con i miei compagni di scuola il mio sogno di diventare missionario. Da giovane salesiano ho fatto discernimento perché credo che Dio mi stia invitando a essere missionario per Lui e per il suo popolo, quindi ho chiesto di impegnarmi in missione per tutta la vita ovunque il Rettor Maggiore mi manderà.
Dio mi ha offerto l’opportunità di essere missionario in Gran Bretagna. Sono felice di accettare la mia destinazione missionaria, anche se ho qualche preoccupazione perché sono un asiatico che viene mandato in Europa. Devo imparare meglio la lingua e la cultura del mio Paese di missione. Ma credo che Dio, che mi ha chiamato a essere un missionario salesiano, continuerà a benedirmi con la sua Grazia per portare a termine la missione che mi ha affidato”.

Don Andre DELIMARTA è uno dei primi due salesiani indonesiani. A 55 anni, è stato Maestro dei Novizi, Rettore e Parroco nella sua Visitatoria (INA). È membro della 153ª spedizione missionaria dello scorso anno destinata alla Malesia, ma riceverà la croce missionaria solo il 24 settembre prossimo. “Sono cresciuto con i salesiani. L’amorevolezza, il duro lavoro, l’impegno e lo spirito di sacrificio di missionari salesiani come don Alfonso Nacher, don Jose Carbonell, il diacono Baltasar Pires e don Jose Kusy hanno avuto un grande impatto su di me. Sono stati loro a insegnarmi don Bosco, a farmi conoscere la Congregazione e a farmi innamorare del loro zelo missionario.
Quando ero in formazione iniziale volevo essere missionario, ma i miei formatori me lo hanno proibito perché dicevano che don Bosco deve radicarsi in Indonesia. In effetti, come primo salesiano indonesiano avevo insistito perché il carisma di don Bosco si radicasse in Indonesia come nostra priorità. Ma quando l’insistente appello per i missionari è stato trasmesso alla nostra Visitatoria, la mia vocazione missionaria si è riaccesa. Il mio amore per don Bosco e per la Congregazione mi ha fatto decidere di offrirmi come missionario. Se la Congregazione ha bisogno di missionari, allora voglio dire: “Eccomi! Andrò!”.

Ecco tutti i 24 membri della 154° Spedizione Missionaria Salesiana:

– Shivraj BHURIYA, dall’India (Ispettoria di Mumbai – INB) alla Slovenia (SLO);
– Thomas NGUYEN QUANG QUI, dal Vietnam (VIE) alla Gran Bretagna (GBR);
– Dominic NGUYEN QUOC OAT, dal Vietnam (VIE) alla Gran Bretagna (GBR);
– Jean Bernard Junior Gerald GUIELLE FOUETRO, dalla Repubblica del Congo (Ispettoria Africa Congo Congo – ACC) alla Germania (GER);
– Blaise MULUMBA NTAMBWE, dalla Repubblica Democratica del Congo (Ispettoria Africa Centrale – AFC) alla Germania (GER);
– don Michael CEBULSKI, dalla Polonia (Ispettoria di Cracovia – PLS) alla Lituania (Circoscrizione Speciale Piemonte e Valle d’Aosta – ICP)
– il sig. Kerwin VALEROSO, dalle Filippine (Ispettoria delle Filippine Nord – FIN) alla Circoscrizione Nord Africa (CNA);
– il sig. Joseph NGO DUC THUAN, dal Vietnam (VIE) alla Circoscrizione Nord Africa (CNA);
– don Domenico PATERNÒ, dall’Italia (Ispettoria Sicula – ISI) alla Circoscrizione Nord Africa (CNA);
– David BROON, dall’India (Ispettoria di Tiruchy – INT) all’Albania (Ispettoria dell’Italia Meridionale – IME);
– Elisée TUUNGANE NZIBI, dalla Repubblica Democratica del Congo (Ispettoria Africa Centrale – AFC) all’Albania (Ispettoria dell’Italia Meridionale – IME);
– don George KUJUR, dall’India (Ispettoria di Dimapur – IND) al Nepal (Ispettoria di India-Calcutta – INC);
– Soosai ARPUTHARAJ, dall’India (Ispettoria di Chennai – INM) alla Romania (Ispettoria dell’Italia Nord Est – INE);
– John the Baptist NGUYEN VIET DUC, dal Vietnam (VIE) alla Romania (Ispettoria dell’Italia Nord Est – INE);
– il sig. Mario Alberto JIMÉNEZ FLORES, dal Messico (Ispettoria di Guadalajara – MEG) alla Delegazione del Sudan del Sud (DSS);
– Sarathkumar RAJA, dall’India (Ispettoria di Chennai – INM) allo Sri Lanka (LKC);
– Lyonnel Richie Éric BOUANGA (dalla Repubblica del Congo (Ispettoria Africa Congo Congo – ACC) alla Visitatoria di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone (PGS);
– Joshua TARERÉ, dalla Papua Nuova Guinea (PGS) alla Delegazione del Sudan del Sud (DSS);
– Nomenjanahary François MINO, dal Madagascar (MDG) alla Visitatoria di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone (PGS);
– Jean KASONGO MWAPE, dalla Repubblica Democratica del Congo (Ispettoria Africa Centrale – AFC) al Brasile (Ispettoria di Brasile-Porto Alegre – BPA);
– Khyliait WANTEILANG, dall’India (Ispettoria di Shillong – INS), al Brasile (Ispettoria di Brasile-Porto Alegre – BPA);
– don Joseph PHAM VAN THONG, dal Vietnam (VIE) al Sudafrica (Visitatoria dell’Africa Meridionale – AFM);
– don Miguel Rafael Coelho GIME, dall’Angola (ANG) al Mozambico (MOZ);
– Klimer Xavier SANCHEZ, dall’Ecuador (ECU) al Mozambico (MOZ).




Esperienza missionaria in Perù

Intervista a José Gallego Vázquez, coadiutore salesiano, che dopo tanti anni di servizio nella sua terra l’ha lasciata per andare in missione, venendo incontro a tanti bisogni.

1.- Chi sei e come nascono le missioni in Perù?
Salve, sono il coadiutore salesiano José Gallego Vázquez. Sono nato 54 anni fa a Vigo, in Spagna. Ho lavorato in diverse case dell’ex Ispettoria di Santiago el Mayor de León per 22 anni, prima di partire come missionario in Perù nel 2010.
I Salesiani sono arrivati in Perù nel 1891 e gestiscono un oratorio nel quartiere Rímac di Lima, dove tengono lezioni, preparano i sacramenti e giocano con i bambini.

2.- Che cosa fanno i Salesiani in Perù?
Serviamo tre aree missionarie nella giungla, scuole, rifugi, oratori e centri giovanili, scuole professionali, parrocchie, gruppi familiari salesiani e altre attività pastorali e di assistenza.

3.- Sfide della vita missionaria?

Lavoro da più di sette anni nella Missione Amazzonica di San Lorenzo, che ha una popolazione di 11.000 abitanti e si trova sulle rive del fiume Marañón, nella regione di Loreto. Sono responsabile degli Oratori e del Centro giovanile. Frequentiamo cinque oratori una volta alla settimana (un oratorio due giorni alla settimana) e un centro giovanile dal martedì al sabato sera. Gli oratori e il centro giovanile sono frequentati da 430 bambini e giovani a settimana. Abbiamo momenti di formazione umana (colloqui con le istituzioni della città, valori civici ecc.), formazione cristiana, belle serate, sport, campionati, serate salesiane, convivialità, laboratori (danza, calcio, artigianato, ecologia…).
I bambini e i giovani che serviamo provengono da famiglie a basso o bassissimo reddito, da famiglie numerose e con genitori conviventi che spesso provengono da altri nuclei familiari.

Dal 2016 gestiamo anche un centro di formazione professionale, specializzato in falegnameria, agricoltura e allevamento e meccanica motoristica. Questo centro è rivolto alle popolazioni indigene della provincia. Abbiamo una residenza a cinque ore di distanza dalla missione, in una piccola comunità indigena. Ci occupiamo di un massimo di 50 giovani uomini e donne. Inoltre, viene impartita loro una formazione umana e cristiana e, coloro che lo richiedono, vengono preparati ai sacramenti.

4.- Che cosa può dire delle visite alle comunità e dell’itineranza?
La comunità missionaria copre un’area di circa 30.000 chilometri quadrati, dove assistiamo tre parrocchie e circa 130 comunità indigene e meticce. Si tratta di una comunità missionaria itinerante, i fiumi sono i nostri luoghi di incontro con i meticci e gli indigeni, in quanto serviamo fino a sette popoli nativi (Shawi, Kandozi, Chapra, Kocama, Aguajun, Achuar e Wampis). La loro accoglienza è sempre buona, attesa e desiderata, alimentata dal nostro desiderio di celebrare la messa, una parola del sacerdote o del fratello salesiano. Vorremmo raggiungerli più spesso, ma le distanze, il costo dei viaggi e la mancanza di missionari rendono molto difficile assistere e accompagnare i nostri fratelli e sorelle. Ecco perché incoraggio coloro che leggono queste righe a dare una mano a queste missioni per un po’ di tempo, ad aiutare a sostenere con risorse queste missioni e a sensibilizzare tutti a pregare il Signore per i nostri destinatari, i missionari e le nuove vocazioni native.

5.- La sua esperienza personale come missionario.
Incontrando i missionari, camminando nella giungla, mangiando come loro, dormendo nelle loro case, vivendo con loro e imparando così tanto da loro, si impara a poco a poco ad apprezzarli, a relativizzare tante cose del mondo, ad apprezzare e valorizzare la vita con un modo diverso di gestire il tempo e l’ambiente. Apprezzo molto l’equilibrio in cui vivono a contatto con la natura, che sentono e vivono come parte di loro, formando un tutt’uno, quando cacciano, quando pescano, quando si riuniscono nei campi o nei frutteti, quando hanno i loro momenti di wayús o masato, o nelle assemblee comunitarie per regolare la vita della comunità.
Si apprende e si apprezza anche come gli animatori cristiani delle comunità, molti padri e madri di famiglia, animano la vita cristiana della loro comunità con la celebrazione della Parola la domenica, la preparazione dei sacramenti per bambini e adulti ecc. Alcuni di loro sono lì da 30, 40 o più anni. Si tratta di un generoso esempio e di una testimonianza di perseveranza e di vocazione al servizio per aiutare a mantenere viva la fede della comunità cristiana.

6.- Quale processo viene seguito per i giovani interessati alla vita religiosa?

Le mie ultime righe sono per riflettere sulla dimensione vocazionale in queste terre di missione. Vediamo che ci sono giovani con preoccupazioni vocazionali, che esprimono il desiderio di diventare sacerdoti o religiosi. L’accompagnamento con un piano di formazione e una pianificazione è fondamentale per aiutarli nel discernimento in questi primi momenti di inquietudine e ricerca. L’attività pastorale e il coinvolgimento li aiuteranno, nella loro prestazione responsabile, a maturare nella loro vita come persone e come cristiani impegnati, prima di compiere altri passi. Tutto questo darà i suoi frutti se l’intera comunità missionaria sarà coinvolta in questo percorso, contribuendo e facilitando l’approccio e la convivenza con il giovane. Ecco perché è così importante essere comunità aperte, accoglienti, che invitano e condividono la vita e la missione con loro.

Questo percorso precede l’invio all’incontro vocazionale ispettoriale, che viene organizzato ogni anno, per continuare il processo in un’altra casa salesiana, sia come volontario sia come aspirante o pre-novizio. Si tratta di un processo personalizzato, lento e paziente.

Ringraziando José Gallego Vázquez per il suo servizio ai più bisognosi, preghiamo che il Signore susciti più vocazioni per le missioni salesiane, ricordando che Dio benedice questa generosità con tante altre vocazioni. E ricordiamo che anche se è imprescindibile la preghiera, bisogna fare anche la nostra parte, come diceva don Bosco: “parlare spesso di vocazione, discorrere molto delle missioni, far leggere le lettere dei missionari” (MB XIII,86).

Marco Fulgaro




Verso una visione missionaria rinnovata

Le missioni salesiane all’estero, una delle caratteristiche della Congregazione fondata di san Giovanni Bosco, iniziate durante la sua vita, continuano, anche se i concetti di missione e missionari sono cambiati per la necessità dei tempi.

Oggi ci troviamo in un contesto diverso rispetto a quello dei progetti missionari che hanno diffuso la Congregazione in America (1875), in Asia (1906) e in Africa (1980). Nuove prospettive ed interrogativi hanno portato nuove riflessioni missiologiche. Urge una visione rinnovata delle missioni salesiane.

In molti Paesi, inclusi i paesi di antica tradizione cristiana, ci sono dei centri urbani, o quartieri, dove vivono persone che non conoscono Gesù, altre che, dopo averlo conosciuto, lo hanno abbandonato, o altri ancora che vivono la loro fede come una tradizione culturale. Dunque, oggi “le missioni” non possono essere comprese solo in termini geografici, di movimento verso “le terre di missione” come una volta, ma anche in termini sociologici, culturali e, perfino, di presenza nel continente digitale. Oggi “le missioni” si trovano dovunque ci sia bisogno di annunciare il Vangelo. Ed i missionari provengono dai cinque continenti e sono inviati ai cinque continenti.

I missionari salesiani collaborano con la Chiesa nel compiere la sua missione per evangelizzare (Mt 28,19-20). Annunciare il Vangelo, specialmente ai giovani, è il compito missionario primario di ogni salesiano. Le iniziative dei salesiani per la promozione umana, motivate da una fede profonda, sono un Primo Annuncio di Gesù Cristo. Come educatori-pastori ogni salesiano apprezza i “raggi di Verità” nelle culture e nelle altre religioni. Nei contesti in cui non si può nemmeno menzionare il nome di Gesù, lo annunciamo con la testimonianza di vita salesiana personale e comunitaria. È l’intenzionalità nel promuovere il Primo Annuncio che può aiutarci nel superare il pericolo di essere considerati come dei fornitori di servizi sociali o dei lavoratori sociali anziché testimoni del primato di Dio ed annunciatori del Vangelo.

I giovani Salesiani missionari oggi portano un nuovo paradigma di missioni e un rinnovato modello di missionari: il missionario salesiano non è solo colui che dà, che porta progetti e magari raccoglie soldi, ma soprattutto colui che vive con il suo popolo, che dà grande importanza alla relazione interpersonale; non solo insegna, ma soprattutto impara dal popolo che serve, che non è solo destinatario passivo dei suoi sforzi. Di fatto, non è il fare che conta, ma l’essere, che diventa un’autorevole proclamazione di Gesù Cristo.

Esistono ancora missionari salesiani che offrono la loro vita per la testimonianza di Gesù? Sì, e non provengono più dell’Europa come una volta, ma vengono da tutto il mondo e vanno in tutto il mondo. Presentiamo alcuni giovani missionari che hanno risposto alla chiamata divina.

Parliamo del 28enne malgascio François Tonga che è andato missionario in Albania a testimoniare la sua identità cristiana e religiosa salesiana. Il suo compito di tirocinante nella casa salesiana della capitale, Tirana, è di coordinare le lezioni scolastiche di più di 800 ragazzi. È una sfida non da poco imparare la lingua e capire la cultura albanese, per dare testimonianza in un contesto maggioritario musulmano, anche se – grazie a Dio – non si vive in una situazione di scontro tra le religioni, ma di rispetto reciproco. È una testimonianza fatta di presenza e assistenza tra i ragazzi poveri ed emarginati, e di preghiera per i giovani che si incontrano ogni giorno. E la risposta non si fa attendere: giovani, genitori e collaboratori danno il loro aiuto e offrono una buona accoglienza.

E il caso anche di un altro 28enne, Joël Komlan Attisso, togolese di origine che ha accettato di essere inviato da tirocinante in missione nella Scuola Secondaria Tecnica Don Bosco di Kokopo, nella Provincia della Nuova Britannia Orientale di Papua Nuova Guinea. La missione, con la grazia di Dio, di essere chiamati e inviati a servire tutti – e specialmente i giovani – porta già i suoi frutti: l’accoglienza, l’apertura, l’aiuto e l’amore si scambia, anche se si appartiene a realtà culturali diverse. Questo fa ricordare il sogno di don Bosco sull’Oceania, quando vide una  moltitudine di giovani che dicevano: “«Venite in nostro aiuto! Perché non compite l’opera che i vostri padri hanno incominciata?» […] Mi pare che tutto questo insieme indicasse che la divina Provvidenza offriva una porzione del campo evangelico ai Salesiani, ma in tempo futuro. Le loro fatiche otterranno frutto, perché la mano del Signore sarà costantemente con loro, se non demeriteranno de’ suoi favori.

Parliamo anche del vietnamita 30enne Joseph Thuan Thien Truc Tran, coadiutore salesiano, laureato in informatica e inviato a Juba nel Sud Sudan, dove gli impegni non mancano: tre scuole elementari, una scuola secondaria, una scuola tecnica, una parrocchia, un campo per gli sfollati e un pre-noviziato, in totale, un complesso di circa 5000 studenti. Attirato della testimonianza di un salesiano che ha lavorato come medico nel Sudan, don John Lee Tae Seok ha deciso di dire il suo “sì” di totale disponibilità a essere inviato nella missione indicata dai suoi superiori, affidandosi esclusivamente alla fede e alla grazia di Dio, tanto necessaria in uno dei paesi considerato tra i più pericolosi al mondo.

Un altro giovane salesiano tirocinante che ha dato la sua disponibilità per le missioni è Rolphe Paterne Mouanga, della Repubblica del Congo (Congo-Brazzaville o ex Congo francese). Inviato nella casa salesiana “Don Bosco Central”di Santa Cruz in Bolivia, in un’opera che comprende oratorio, scuola primaria, scuola secondaria e parrocchia, è uno dei due primi missionari dell’Africa in questo paese, assieme al suo compatriota David Eyenga. Le sue origini africane lo aiutano a familiarizzare con i giovani che sono incuriositi e interessati a conoscerlo e questo rapporto si rafforza attraverso lo sport, verso cui è tanto portato. La diversità culturale della Bolivia è una vera sfida, perché non si tratta solo di integrarsi nella cultura locale ma anche di essere flessibile nell’adattarsi a ogni situazione. Però l’apertura, l’accoglienza, la collaborazione e la condivisione dei giovani e dei collaboratori lo aiutano in questo impegno. Vuole mostrarsi aperto e disponibile a integrarsi con quello che lui ormai considera “il suo popolo”.

L’altro compaesano di Rolphe, David Eyenga, è stato inviato anche lui in Bolivia, ma nella casa salesiana di Kami, Cochabamba: una presenza salesiana complessa che comprende una scuola tecnica agraria, la parrocchia, un’opera di assistenza e promozione sociale, un internato e anche una radio. Anche in questa zona si sentono fortemente le differenze culturali, nel modo di relazionarsi con gli altri, soprattutto in termini di ospitalità, pasti, danze e altre tradizioni locali. Questo richiede molta pazienza per riuscire a rapportarsi con la mentalità locale. Si spera e si prega che la presenza dei missionari sia uno stimolo anche per le vocazioni locali.

Emmanuel Jeremia Mganda, un 30enne di Zanzibar, Tanzania è un altro giovane che ha accolto l’invito di Dio alla missione. È stato inviato in Amazzonia, Brasile, tra gli yanomami, una tribù indigena che vive in comunità a Maturacá. I suoi compiti educativi nell’oratorio e l’attività religiosa lo hanno arricchito pastoralmente e spiritualmente. L’accoglienza che ha ricevuto, mostratasi anche nel nome dato, di “YanomamiInshiInshi” (Yanomami nero), lo ha fatto sentire come uno di loro, lo ha aiutato molto a integrarsi, a capire e a condividere l’amore per il Creato e la protezione di questo bene di Dio.

C’è speranza che le missioni iniziate da don Bosco, quasi 150 anni fa, continuino? Che il sogno di don Bosco – o meglio dire – che i sogni di don Bosco arrivino a compimento? C’è una sola risposta: la volontà divina non può venire meno, basta che i salesiani rinuncino alle loro comodità e agiatezze e si dispongano ad ascoltare la chiamata divina.




Don Bosco in Albania. Un padre per tanti giovani

Il carisma salesiano è radicato in Albania, un Paese dove l’opera salesiana è viva e feconda: dagli inizi negli anni’90 allo sguardo verso il futuro, le esperienze raccontate da don Giuseppe Liano, missionario guatemalteco al servizio della gioventù albanese, nella comunità di Scutari.

Come nasce la presenza salesiana in Albania? Racconta don Oreste Valle che, guardando la drammatica situazione italiana dei porti di Bari e di Brindisi nel 1991, fu lo stesso papa san Giovanni Paolo II a chiedere all’allora Rettor Maggiore, don Egidio Viganò, l’immediata disponibilità dei salesiani ad andare in Albania. L’arrivo di quelle navi stracolme di persone alla ricerca di un futuro migliore straziava il suo cuore e gli aveva subito fatto intuire che non ci si poteva limitare all’accoglienza al porto: c’era bisogno urgente di percorrere anche la strada inversa e andare incontro a quei giovani poveri e abbandonati rimasti a casa.

La prima spedizione salesiana dall’Italia arrivò alla fine del 1991. Ufficialmente la presenza salesiana ebbe inizio il 25 settembre 1992, a Scutari (Shkodër), nel nord dell’Albania, destinata a costruire un avvenire promettente, iniziando da un presente pieno e gioioso. Il contesto era una città storicamente importante, di grande cultura e di fede, in mezzo ad una povertà spaventosa, una quantità inimmaginabile di giovani, con il ricordo di tanto sangue sparso, sangue di martiri cattolici e di altre religioni.

L’opera si sviluppò attorno ai bisogni dei ragazzi e delle loro famiglie: dall’oratorio, cuore e genesi della presenza salesiana, alla scuola professionale, poi il convitto, il tempio e la parrocchia. Uno sviluppo secondo il criterio oratoriano: cortile, scuola, casa e parrocchia, come voleva don Bosco. Dopo Scutari, gli orizzonti si aprirono nella capitale Tirana, poi in Kosovo, a Prishtina e Gjilan, e, da quasi tre anni, anche a Lushnje, nel sud dell’Albania.

La casa salesiana di Scutari si trova nel centro della città: nel convitto è presente un numero significativo di ragazzi iscritti e l’oratorio continua a essere un cortile affollato ogni pomeriggio. Dai piccoli che vengono ai loro allenamenti di calcio o alla scuola di danza popolare, fino ai ‘grandi’ che si divertono giocando a pallavolo, a pallacanestro o  semplicemente incontrandosi per parlare e trascorrere il tempo insieme in oratorio.

Ogni giorno, alle 18, si fermano tutte le attività per la buona notte e la preghiera, come è la tradizione salesiana. Tutti i fine settimana si incontrano i gruppi della catechesi (venerdì) e i gruppi formativi (sabato).

Questo nell’ordinarietà, perché poi sarebbero da aggiungere gli incontri vocazionali, le esperienze di apostolato, gli allenamenti dei diversi sport e le feste secondo il tempo liturgico. Tutto questo animato da una comunità credente abbastanza numerosa e da un consistente numero di ragazzi e giovani animatori.

Si potrebbe dire che la bellezza e l’originalità delle opere salesiane albanesi è che, nell’insieme, vengono accolti centinaia di ragazzi e di famiglie di credo diverso, offrendo un servizio di educazione e di comunione in un contesto interreligioso. Il nome e la tradizione di “Don Bosko” (con la k) sono riconosciuti come un modello di fiducia, di lavoro e di bene generoso per la società. Ogni comunità svolge la propria missione in un contesto totalmente diverso a livello di fede, di proposta pastorale e di dialogo con la città, ma si cerca di condividere, per quanto possibile, fra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice.
Per i ragazzi sembra che tutto sia un solo cortile in luoghi diversi. Quest’armonia e questa fiducia sono la carta vincente per poter proporre giochi, corsi, preghiere e itinerari di crescita senza essere giudicati come ‘propagandisti della fede’ o ‘interessati solo al proprio bene’.

Chi entra in un ambiente salesiano si sente accolto e capace di accogliere gli altri, senza distinzione. E per i cattolici, far parte del gruppo degli animatori e del cortile significa vivere la propria vocazione al servizio dei giovani, secondo lo stile salesiano, con la bellezza di vederli pregare, confessarsi e partecipare alla messa regolarmente.
Quello che attualmente interroga i salesiani è trovare le risposte giuste ai bisogni di questa generazione.

Il fenomeno della migrazione è straziante, gli indicatori della povertà aumentano e le possibilità di un futuro degno a Scutari si riducono in modo drammatico. Sia per studiare sia per trovare lavoro, bisogna avere tanta fortuna o altrimenti per forza si deve andare via. I salesiani sognano un centro diurno e un centro giovanile, con una scuola professionale degna e proficua e una scuola di lingue, di arti e di sport, che dia ai loro sogni una forma, un presente e un futuro. Purtroppo, senza il sostegno economico, questi sogni rimangono solo come inchiostro su fogli bianchi. E, nel frattempo, i giovani e le famiglie continuano ad andare via da qua.

Ma i salesiani non smettono di sognare vivendo il presente come un dono davvero prezioso di Dio. Don Giuseppe LIANO, salesiano missionario dal Guatemala, ci dice: “Io, personalmente, mi sento il salesiano più fortunato su questa terra: condividere la missione con salesiani di tutto il mondo (Vietnam, Congo, Italia, Zambia, India, Slovenia, Slovacchia, Guatemala, Albania e Kosovo), con giovani così fedeli e salesiani, in una città così bella, dedicandomi ad animare l’oratorio… non succede tutti i giorni!”. Tutto questo, con la consapevolezza che entrare nel contesto, conoscere la realtà e capire la lingua sono stati processi lenti e costosi, ma, a distanza di tempo, ci si accorge di quanto ogni cosa sia valsa la pena. Una missione così sfidante e così bella è uno stimolo alla fedeltà creativa e alla santità!

Per l’Albania oggi si preannuncia un futuro complesso. I problemi non mancano. Ultimamente i sostegni economici e i progetti che arrivavano in Albania hanno sono stati indirizzati verso destinatari più bisognosi, soprattutto in Ucraina e in Turchia; questo fa pensare che è anche tempo di cominciare non solo a ricevere ma anche a generare un sostegno, benché non sia ancora possibile coprire del tutto i costi. I giovani, fedeli e forti, ci sono, per grazia di Dio. Oggi la sfida è trovare il punto di slancio, il modo di trasformare insieme il contesto in una certezza, in un’‘oasi’ per le future generazioni e in una fonte di vocazioni, di santità e di bellezza.

Marco Fulgaro




Cinquanta anni di servizio. Don Rolando Fernandez

Don Rolando Fernandez, salesiano missionario nelle Filippine, attualmente nella comunità di Dili – Comoro appartenente alla Visitatoria Timor Est (TLS), ha compiuto 50 anni di servizio nella vita sacerdotale, 40 dei quali nel Timor Est.

I fedeli di Baucau hanno celebrato 50 anni di vita sacerdotale di don Rolando Fernandez, sdb, missionario di Pangasinan, Filippine, nel giorno della festa di san Domenico Savio. Si sono uniti nella concelebrazione della Messa di ringraziamento l’Ispettore TLS, don Anacleto Pires, sacerdoti della Diocesi di Baucau e sacerdoti salesiani. Hanno partecipato tante persone, tra cui alcune religiose e Figlie di Maria Ausiliatrice, membri della Famiglia Salesiana, novizi e pre-novizi, rappresentanti del governo, studenti e giovani, riuniti nella cattedrale di Baucau e animati da un gioioso spirito di ringraziamento, celebrando l’amore di Dio attraverso la persona di don Rolando Fernandez, nei suoi quarant’anni di vita e di servizio a favore del popolo timorese.

Amu Orlando, come viene chiamato dalla gente, ha trascorso i suoi dieci anni di vita missionaria in Papua Nuova Guinea, prima di unirsi ad altri missionari che lavoravano a Timor Est a metà degli anni ’80. Questa celebrazione si è svolta a Baucau, perché don Rolando ha operato lì come parroco (1992-1994) e direttore e fondatore della nota Escola Secundária Santo António (ESSA) Teulale-Baucau. Assieme a questa, don Rolando ha portato a termine molte altre opere a Baucau. Solo per citarne alcune, le traduzioni della Parola di Dio nella lingua nazionale, il Tetum e altre opere di stampa. Ha fatto un grande sforzo per offrire ai fedeli preghiere e testi di culto per le celebrazioni liturgiche. L’ultimo dei suoi lasciti, ma non meno importante, che rimarrà nei cuori dei giovani timoresi di tutto il Paese, è l’organizzazione dell’evento Cruz Jovens, per i giovani di Timor Est, iniziato da papa san Giovanni Paolo II a Roma nel 22 aprile 1984 (la prima Giornata Mondiale della Gioventù).

Nell’omelia don Rolando è andato al cuore del significato di assistenza. In primo luogo, ha parlato della indegnità dell’uomo a diventare sacerdote. Il sacerdozio non è un diritto, ma è un dono di Dio. È Dio che chiama, nel suo grande amore, e dona questa grazia per diventare sacerdoti. È una fiducia di Dio quella di scegliere ed elevare uomini per servire il suo popolo. Questo si riflette anche nella seconda Preghiera Eucaristica, nella quale il sacerdote dice: “… ti rendiamo grazie perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”. Per questo grande dono, don Rolando ha ringraziato Dio per averlo chiamato e per avergli dato l’occasione di prestare il suo servizio.
Poi, guardando al passato, al suo percorso di vita, don Rolando ha visto come il dito di Dio gli ha indicato, mostrato e preparato la strada per questo dono del sacerdozio ordinato tramite le esperienze iniziate nella sua devota famiglia di genitori e fratelli, e tramite i missionari salesiani che ha conosciuto. Possiamo aggiungere che si conferma una volta in più il detto “il frutto non cade lontano dall’albero”.
Uno degli eventi memorabili che ha cambiato la sua vita, è che suo padre è rimasto impressionato dopo aver visitato una scuola tecnica di don Bosco. Lì, ha visto i ragazzi che fabbricavano scarpe, cucivano, svolgevano lavori di falegnameria, di meccanica e di elettricità. Suo padre comprò un paio di scarpe per lui e, in quella occasione, un sacerdote salesiano gli regalò un libretto con immagini di Maria Ausiliatrice, don Bosco e Domenico Savio. Una volta tornato a casa, suo padre gli disse: “L’anno prossimo, andrai alla scuola Don Bosco”. Infatti, ci andò. Lì ha visto la vita dei salesiani, ha imparato da loro, ha desiderato essere come loro e, alla fine, è diventato uno di loro, un fratello salesiano e poi un sacerdote salesiano per sempre. Infine, don Rolando ha sentito un grande desiderio di diventare un segno e un portatore dell’amore di Dio, soprattutto per i giovani. Per lui, l’amore dei confratelli e dei superiori che si sono fidati di lui, che hanno affidato alle sue cure alcune responsabilità al di là delle sue capacità, l’amore dei suoi exallievi, dei ragazzi e della gente, hanno arricchito di significato la sua vita. E non sono parole vuote: si potrebbero enumerare tanti eventi ed esperienze di amore da parte dei Salesiani e della gente. Ha potuto sentire profondamente il loro amore anche quando si è ammalato.
Poi, ricordando le parole di don Bosco che diceva: “Pane, lavoro e paradiso: ecco tre cose che ti posso offrire io in nome del Signore”, commentava che il pane, per lui, non è mai mancato, però se non c’era il lavoro, il rischio era di non avere neanche il paradiso. Il lavoro intenso consuma la vita rapidamente, ma non lui non ha paura della morte perché ha fiducia nelle parole che don Bosco ha lasciato come testamento: “Quando avverrà che un salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congregazione ha riportato un gran trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del Cielo”. E questa fiducia nelle parole di don Bosco continua, con dar credito alle Costituzioni salesiane che nell’articolo 54 recitano “Per il salesiano la morte è illuminata dalla speranza di entrare nella gioia del suo Signore”. E – diciamo noi – è giusta questa fiducia nelle Costituzioni, perché lo stesso don Bosco diceva: “Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre costituzioni”.

Dopo l’omelia, don Rolando ha rinnovato ancora una volta i suoi voti religiosi davanti all’ispettore, don Anacleto Pires, a don Manuel Ximenes, sdb, parroco di Baucau, e a don Agnelo Moreira, sdb, Rettore della comunità di Baucau. Ha dato una testimonianza vivente dell’amore di Dio per gli uomini, soprattutto per i giovani.
Dopo la benedizione finale, ci sono stati alcuni interventi da parte di diversi rappresentanti che hanno espresso la loro gratitudine a don Rolando per la sua presenza, la sua vita e il suo lavoro per la Chiesa a Timor Est, in particolare a Baucau. Grazie al suo esempio di vita, ci sono molte vocazioni alla vita religiosa, tante suore e sacerdoti. Don Rolando Fernandez, proprio come una goccia di miele, ha attirato tanti giovani, ragazzi e ragazze, ad abbracciare la vita religiosa o sacerdotale. Come segno di gratitudine a nome dei confratelli di Timor-Leste, don Anacleto ha consegnato a don Rolando una statua di don Bosco. E in ricordo di questo evento, a Baucau è stato piantato anche un albero da parte di don Anacleto e don Rolando.

don Julian Mota, sdb




Don Bosco in Cambogia

La collaborazione tra laici e religiosi a favore dell’educazione della gioventù della Cambogia.

Cambogia è un paese nel sud-est asiatico che conta oltre il 90% della popolazione buddhista e con una piccolissima minoranza cristiana.

La presenza dei Salesiani di Don Bosco in Cambogia risale al 1991, quando i Salesiani arrivarono dalla Thailandia, dove si stavano occupando dell’educazione tecnica dei profughi di guerra lungo il confine tra i due Paesi, sotto la guida dal salesiano coadiutore Roberto Panetto e degli ex-allievi salesiani di Bangkok.

Dopo aver formato circa 3.000 giovani, questi ultimi, che stavano per essere rimpatriati in Cambogia, chiesero ai Salesiani di andare con loro. I Salesiani non lasciarono cadere quell’invito nel vuoto, intuendo che era quello il posto in cui Dio li voleva in quel momento, quelli erano i giovani che stavano chiamando Don Bosco. Le sfide erano e sono tante, in un ambiente culturale non cristiano ed in una società molto povera.

Il 24 maggio 1991, festa di Maria Ausiliatrice, iniziò la presenza salesiana in Cambogia, con un orfanotrofio e la scuola tecnica Don Bosco di Phnom Penh, inaugurata ufficialmente nella festa di Don Bosco, il 31 gennaio 1994. Nel 1992 anche le Figlie di Maria Ausiliatrice hanno raggiunto il Paese e il loro lavoro offre speranze a molte ragazze povere e abbandonate in un Paese in cui più della metà della popolazione totale è di sesso femminile e in cui le donne sono vittime di violenze, abusi e traffico di esseri umani.

I Salesiani hanno creato istituti tecnici e scuole in cinque province del Paese: Phnom Penh, Kep, Sihanoukville, Battambang e Poipet. L’enorme lavoro educativo-pastorale è reso possibile solo grazie al preziosissimo contributo dei laici. Quasi la totalità del personale coinvolto nelle strutture salesiane è costituita da ex-allievi che si impegnano continuamente per dare il meglio agli studenti in formazione. Questa è un’applicazione concreta della corresponsabilità e dei tanti inviti a condividere la missione.

I Salesiani hanno costituito in Cambogia una ONG senza alcuna affiliazione religiosa. Conosciuti comunemente come i padri, i fratelli e le sorelle di Don Bosco, sono amati e rispettati da tutti. C’è un grande amore e una partnership tra i Salesiani e gli ex-allievi in Cambogia, che contribuisce alla popolarità e al 100% di inserimenti lavorativi degli studenti negli ultimi dieci anni, come ci dice don Arun Charles, missionario indiano in Cambogia dal 2010, di recente nomina come coordinatore dell’animazione missionaria nella regione Asia Est-Oceania. I Salesiani incoraggiano i minori a completare il ciclo di istruzione primaria, tramite progetti di sostegno per i bambini, costruzione di edifici scolastici elementari nei villaggi poveri, gestione di alcuni centri per l’alfabetizzazione. A Battambang le fabbriche di mattoni trattengono i bambini per farli lavorare come operai, lì l’educazione salesiana mira ad offrire un’alternativa e la speranza di un futuro diverso.

Una delle specialità della missione salesiana in Cambogia è la scuola alberghiera, che fornisce istruzione in ospitalità, cucina e gestione alberghiera, disponendo di un albergo completo per consentire agli studenti di fare un’esperienza pratica nel loro campo, oltre ai laboratori e alle esercitazioni.

È rimasta nella memoria la visita del Rettor Maggiore don Juan Edmundo Vecchi nel 1997, momento molto importante di incoraggiamento, incentrato sull’esortazione a costruire la comunità educativa pastorale e a mettere in pratica il Sistema Preventivo di Don Bosco.

Lo sguardo missionario di Don Bosco continua a vivere a quasi 10.000 km da Valdocco, sempre con e per i giovani, nelle presenze salesiane a Phnom Penh, Poipet e Sihanoukville.

Marco Fulgaro

Galleria foto – Don Bosco in Cambogia

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Don Bosco in Cambogia
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Don Bosco in Cambogia
Don Bosco in Cambogia
Don Bosco in Cambogia
Don Bosco in Cambogia
Don Bosco in Cambogia
Don Bosco in Cambogia
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Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà

La missione salesiana in Uruguay condivisa da un vietnamita, padre Domenico Tran Duc Thanh: l’amore cristiano attraverso la vita vissuta con la gente del posto.

I Salesiani furono fondati ufficialmente come Congregazione nel 1859, ma il sogno era in cantiere da molto tempo. Già all’inizio del suo lavoro, don Bosco capì che l’opera doveva essere condivisa, come aveva intuito in molti dei suoi sogni. Così coinvolse persone di ogni estrazione sociale a collaborare in vari modi alla missione giovanile che Dio gli aveva affidato. Nel 1875, con l’inizio delle missioni, si apre una tappa importante nella storia della Congregazione. La prima destinazione sarebbe stata l’Argentina.

Il 13 dicembre del 1875, la prima spedizione missionaria salesiana, guidata da don Giovanni Cagliero, diretta a Buenos Aires, passò per Montevideo. Così l’Uruguay è diventato il terzo Paese fuori dall’Italia raggiunto dai Salesiani di Don Bosco. I salesiani si insediarono nel quartiere di Villa Colón, tra enormi difficoltà, iniziando il loro lavoro presso il Colegio Pío, che venne inaugurato il 2 febbraio 1877. Nello stesso anno, le Figlie di Maria Ausiliatrice arrivarono in Uruguay e si stabilirono anche loro in questo quartiere: in questo modo, Villa Colón divenne la culla da cui il carisma si diffuse non solo in Uruguay, ma anche in Brasile, Paraguay e altre terre del continente latino-americano.

Con il tempo, quella presenza salesiana è diventata un’Ispettoria e oggi ha una varietà di opere salesiane in diverse parti del paese: scuole, servizi sociali, parrocchie, basiliche, santuari, cappelle rurali e urbane, centri sanitari, residenze studentesche e universitarie, Movimento Giovanile Salesiano e altro. È una pluralità che mostra la risposta alle necessità del territorio e la flessibilità dei Salesiani di adeguarsi alla situazione locale. Visitando la gente del quartiere, cercando di capire ciò che la gente sta vivendo attraverso il dialogo e il vissuto quotidiano, si porta avanti l’adattamento alle nuove situazioni per poter rispondere meglio alla missione affidata. Questo uscire, andare incontro ai giovani, soprattutto ai più bisognosi, fa felici i Salesiani, permettendo loro giorno per giorno di continuare a scoprire la bellezza della vocazione salesiana.
Il lavoro in queste opere è stato condiviso con i fedeli laici e, avendo curato la loro formazione, oggi troviamo un bel numero di loro che lavorano in queste attività, condividendo la vita con i Salesiani e rafforzando la loro missione. L’apertura verso gli altri ha permesso di accogliere in queste terre anche Salesiani che non sono originari del luogo. È il caso di don Dominic che svolge lì la sua missione salesiana.

La risposta alla vocazione missionaria è quella che ha lasciato un forte segno nella sua vita. Ci racconta che si è trovato quasi all’improvviso in un paese sconosciuto, con una lingua e cultura diverse, avendo dovuto separarsi da tutte le persone conosciute, rimaste lontane. Bisognava ricominciare da zero, con una apertura diversa, con una nuova sensibilità. Se prima pensava che essere missionario significasse portare Gesù in un altro luogo, una volta giunto in Uruguay ha scoperto che Gesù era già lì, ad aspettarlo in altre persone. “Qui in Uruguay, attraverso gli altri, ho potuto incontrare un Gesù totalmente diverso: più vicino, più umano, più semplice”.
Quello che non si è perso, è stata la presenza materna di Maria che lo accompagna nella quotidianità della vita missionaria e che gli dà una forza profonda, che spinge ad amare Cristo negli altri. “Quando ero bambino, mia nonna mi portava ogni giorno in una chiesa a recitare il rosario. Da quei giorni ai suoi piedi fino ad oggi, mi sento ancora protetto sotto il manto di Maria”. Il culto mariano dà i suoi frutti; l’amore si paga con amore.

Ci confessa che: “In Uruguay sono un giovane che non ha nulla; ho solo la fede, la fede di sapere che Cristo e Maria sono sempre presenti nella mia vita; la speranza di una Chiesa sempre più vicina, piena di santità e di gioia”. Ma è forse questa povertà che lo aiuta a preparare il cuore a seguire Cristo, educare il cuore a stare con i fratelli e le sorelle che si incontrano lungo la strada. Questo lo porta a vedere la Chiesa come un luogo d’incontro gioioso, una festa che manifesta la fede dell’altro, un incontro che implica unità e santità.
E questo lo porta anche ad accorgersi che il suo posto è proprio lì dov’è, nella sua comunità con i suoi fratelli, con la gente del quartiere, con gli animatori, con i bambini, con i laici, con gli educatori.
Si manifesta così la bellezza della vocazione missionaria: lasciando agire la Provvidenza, tramite l’umiltà e la docilità verso lo Spirito Santo, si trasforma l’ordinario in straordinario.

Marco Fulgaro

Galeria foto Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà

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Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
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Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
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Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
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Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà
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Don Bosco in Uruguay. Il sogno missionario è diventato una realtà





Scoperta della vocazione missionaria

L’esperienza di Rodgers Chabala, giovane missionario zambiano in Nigeria, a partire dalla riscoperta di don Bosco nella visita ai suoi luoghi.

Il giovane salesiano Rodgers Chabala è parte della nuova generazione di missionari, secondo il paradigma rinnovato che va oltre i confini geografici o i precetti culturali: dallo Zambia è stato inviato come missionario in Nigeria. Il corso missionari vissuto lo scorso settembre è stato per lui un momento forte, in particolare l’atmosfera respirata nei luoghi di don Bosco: una vera esperienza spirituale.

Don Bosco iniziò il suo lavoro con i propri ragazzi accorgendosi che nessuno si occupava dell’anima di questi giovani piemontesi, che finivano spesso in carcere per furti, contrabbando o altri crimini. Se questi giovani avessero avuto un amico fidato, qualcuno che li avesse istruiti e dato loro il buon esempio, non sarebbero finiti lì e così don Bosco fu inviato da Dio a loro. Possiamo dire che tutto iniziò con il sogno dei nove anni, che don Bosco comprese gradualmente nel tempo, grazie all’aiuto di tante persone che lo aiutarono a fare discernimento. Il suo desiderio pastorale di curarsi delle anime dei giovani raggiunse tutto il mondo grazie ai missionari salesiani, iniziando da quel gruppo di undici inviato in Patagonia, Argentina, nel 1875. Inizialmente don Bosco non aveva chiara l’intenzione di inviare missionari, ma Dio nel tempo purificò questo desiderio e permise la diffusione del carisma salesiano in ogni angolo della nostra Terra.

La vocazione missionaria salesiana è una “vocazione dentro la vocazione”, una chiamata alla vita missionaria all’interno della propria vocazione salesiana. Rodgers, sin dagli inizi, sentiva forte il desiderio missionario, ma non era facile far capire agli altri quali fossero le sue motivazioni. Al tempo dell’aspirantato, quando ancora non conosceva bene la vita salesiana, fu colpito molto dalla testimonianza di un missionario polacco e iniziò a riflettere e lottare con sé stesso per decifrare le intenzioni del proprio cuore. Quando il missionario chiese “chi vuole essere missionario?”, Rodgers non dubitò ed iniziò il percorso del discernimento, partendo dalla risposta del salesiano polacco, ovvero di iniziare amando il proprio Paese. Ovviamente, tante sfide iniziarono ad emergere e non mancarono i momenti di scoraggiamento. Come per don Bosco, per Rodgers sono stati fondamentali l’aiuto e la mediazione di tante persone per distinguere la voce di Dio da altre influenze e purificare le proprie intenzioni. Dio parla attraverso le persone, il discernimento non è un processo meramente individuale, ha sempre una dimensione comunitaria.

Lo scorso settembre, Rodgers ha partecipato al corso di formazione per nuovi missionari, che precede l’invio ufficiale da parte del Rettor Maggiore. Arrivato qualche giorno dopo gli altri, ha ritrovato, dopo diversi anni, alcuni suoi compagni di noviziato e il suo vecchio direttore dello studentato di filosofia. Unitosi al gruppo, da subito ha notato un clima particolare, facce sorridenti e gioia vera. Le riflessioni sull’interculturalità e gli altri approfondimenti curati dal Settore per le Missioni sono stati strumenti utili per prepararsi alla partenza missionaria. Durante il corso, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di visitare i luoghi di don Bosco, prima al Colle Don Bosco e poi a Valdocco. Don Alfred Maravilla, Consigliere generale per le Missioni, ha chiesto ai neomissionari: “Queste visite ai luoghi santi di don Bosco che effetto hanno nella tua vita?”. Quando si legge la vita di don Bosco sui libri, possono sorgere dubbi e si può addirittura essere scettici, ma vedere con i propri occhi quei luoghi e respirare l’atmosfera di don Bosco ripercorrendo la sua storia è qualcosa che difficilmente si può raccontare. Oltre alla memoria storica di quello che è capitato a don Bosco, a Domenico Savio e a Mamma Margherita, questi luoghi hanno la capacità di rinvigorire il carisma salesiano e fanno riflettere sulla propria vocazione. La semplicità e lo spirito di famiglia di don Bosco mostrano come la povertà non è un ostacolo alla santità e alla realizzazione del Regno di Dio. Parlando di don Bosco spesso corriamo il rischio di omettere la parte mistica, concentrandoci solo sulle attività e sulle opere. Don Bosco era veramente un mistico nello spirito, che coltivava un’intima relazione con il Signore ed è questo il punto di partenza per la sua missione giovanile.

Arriviamo così al 25 Settembre 2022: don Ángel Fernández Artime, il don Bosco di oggi, presiede la messa con l’invio dei salesiani della 153esima spedizione missionaria SDB e delle suore della 145esima spedizione FMA, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, a Valdocco. Rodgers ricorda di aver incontrato, qualche giorno prima, il suo nuovo superiore dell’ispettoria ANN (Nigeria-Niger), ed aver sentito il peso della responsabilità della scelta missionaria fatta. Durante la messa, dice Rodgers, “ho ricevuto la croce missionaria e il desiderio di essere missionario è stato ampiamente attualizzato”.
“Una volta per tutte, la vocazione missionaria è una vocazione bellissima, una volta compiuto attentamente il cammino di discernimento. Richiede un’apertura mentale per apprezzare lo stile di vita degli altri popoli. Preghiamo quindi per tutti i missionari del mondo e per coloro che stanno discernendo la vocazione missionaria, affinché Dio li guidi e li ispiri nella loro vita.”

A consegnato,
Marco Fulgaro