Missionari 2024

Domenica 29 Settembre, alle 12:30 (UTC+2) presso la basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco, 27 Salesiani di Don Bosco e 8 Figlie di Maria Ausiliatrice riceveranno il crocifisso missionario rinnovando la generosità apostolica a favore di tanti giovani in tutto il mondo.

Come ogni anno, nell’ultima domenica di settembre, si rinnova il cuore missionario di Don Bosco attraverso la disponibilità dei Salesiani di Don Bosco e delle Figlie di Maria Ausiliatrice inviati come missionari ad gentes.
Tanto tempo è passato da quell’11 novembre 1875, giorno nel quale si compì un passo fondamentale: il primo gruppo di missionari salesiani diretto in Argentina iniziò la trasformazione dei salesiani in una congregazione mondiale, oggi estesa in 138 Paesi. Due anni più tardi, anche le FMA attraversarono l’oceano iniziando l’opera di diffusione oltre i confini italiani.

Mentre ci avviciniamo al 150° anniversario della prima spedizione missionaria, possiamo vedere da più vicino la preparazione dei neomissionari salesiani che si sviluppa nel corso “Germoglio”, organizzato dall’equipe del Settore per le Missioni e coordinato da don Reginaldo Cordeiro. Il corso si articola lungo cinque settimane, immediatamente prima della spedizione missionaria. Nella preghiera, nell’ascolto delle testimonianze, nella condivisione delle esperienze, nella riflessione personale e nella convivenza gioiosa con gli altri partenti del corso, i nuovi missionari sono aiutati a verificare, approfondire e, a volte, scoprire le ragioni profonde del proprio andare in missione.

Ovviamente, il discernimento della propria vocazione missionaria inizia molto prima. Tradizionalmente, il 18 dicembre, giorno della fondazione della Congregazione Salesiana, il Rettor Maggiore diffonde un appello missionario indicando le priorità missionarie a cui rivolgere lo sguardo. In risposta all’appello, molti salesiani scrivono la propria disponibilità, dopo essersi messi in ascolto della volontà di Dio, aiutati dalla propria guida spirituale e dal direttore della propria comunità, seguendo gli orientamenti del Settore per le Missioni. Occorre una rilettura profonda della propria vita e un cammino attento di discernimento per maturare la vocazione missonaria ad gentes, ad exteros, ad vitam. Il missionario, infatti, parte per un progetto che durerà tutta la vita, con la prospettiva di inculturarsi in un paese diverso e di incardinarsi in una nuova Ispettoria, in un contesto che diventerà “casa”, nonostante le tante sfide e difficoltà.
Dall’altro lato, è importante che ci sia nelle Ispettorie un progetto missionario ben strutturato, che permetta al missionario che arriva di essere accompagnato, di inserirsi e di mettersi al servizio nel modo migliore possibile.

Il Corso Germoglio inizia a Roma, con un nucleo introduttivo, che mira a fornire ai missionari partenti i fondamenti delle competenze di base e gli atteggiamenti necessarie per un esito positivo del corso. Vengono affrontate le motivazioni della scelta missionaria, in un cammino graduale di consapevolezza e purificazione. Ogni missionario viene invitato ad elaborare un progetto personale di vita missionaria, che metta in luce gli elementi imprescindibili e i passi da compiere per rispondere adeguatamente alla chiamata di Dio. Poi un’introduzione alla cultura italiana ed un incontro sull’ “alfabetizzazione delle emozioni”, fondamentale per vivere al meglio l’esperienza in un contesto diverso dal proprio, e una sessione sull’animazione missionaria e sul volontariato missionario salesiano. Tutto questo in un contesto di comunità, dove i momenti informali sono preziosi e la partecipazione ai momenti comunitari di preghiera è vitale, in uno stile di Pentecoste, dove le lingue e le culture si mischiano per un arricchimento di tutti. In questi giorni, un pellegrinaggio sui luoghi della fede cristiana aiuta a ripercorrere le radici della propria fede, insieme alla vicinanza alla Chiesa universale, manifestata anche nella partecipazione all’udienza papale. Quest’anno il papa, nel giorno 28 Agosto, ha mostrato vicinanza ai missionari, ricordando loro in un breve colloquio durante una foto di gruppo la figura di Sant’Artemide Zatti insieme alla bellezza e all’importanza della vocazione dei coadiutori salesiani.

La seconda parte del corso si sposta a Colle Don Bosco, luogo natale di Don Bosco, dove si entra nel vivo dell’esperienza andando a fondo nella preparazione sotto il punto di vista antropologico, teologico/missiologico e carismatico salesiano. Prepararsi all’inevitabile shock culturale, essere consapevoli dell’importanza e della fatica di conoscere una nuova cultura e una nuova lingua ed essere aperti al dialogo interculturale, sapendo di dover affrontare conflitti e incomprensioni, sono elementi fondamentali per vivere un’esperienza vera, umana e piena. Alcuni fondamenti missiologici aiutano a comprendere cosa sia la missione per la Chiesa e nozioni sul Primo Annuncio e l’evangelizzazione integrale completano la visione del missionario. Infine, le caratteristiche tipicamente salesiane, iniziando da alcuni cenni storici per poi soffermarsi sulla situazione attuale, sul discernimento e la spiritualità salesiana.
Il gruppo dei missionari ha poi l’opportunità di visitare i luoghi di Don Bosco, in una settimana di esercizi spirituali itineranti in cui potersi confrontare con il santo dei giovani e affidare a lui il proprio sogno missionario.

L’esperienza prosegue con un pellegrinaggio a Mornese, dove viene presentato il carisma missionario nella versione femminile di Santa Maria Domenica Mazzarello, insieme alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Gli ultimi giorni vengono vissuti a Valdocco, dove si completa l’itinerario sui luoghi di don Bosco e si completa la preparazione in vista del “sì” alla chiamata missionaria. Il dialogo con il Rettor Maggiore e la Madre Generale chiudono il programma prima della domenica, quando, nella messa delle 12:30, vengono consegnati i crocifissi missionari ai partenti.

Se andiamo a vedere chi sono i salesiani della 155esima spedizione missionaria, subito notiamo come il cambio di paradigma è evidente: tutte le Ispettorie, e tutti i Paesi, possono essere destinatarie e allo stesso tempo mittenti. I missionari non sono più solamente italiani, come era alle origini, o europei, ma provengono dai cinque continenti, in particolare dall’Asia (11 missionari, provenienti dalle due regioni di Asia Sud e Asia Est-Oceania) e dall’Africa (8 missionari), mentre la regione Mediterranea accoglierà il maggior numero dei missionari di questa spedizione. Da qualche anno il Settore per le Missioni prepara una mappa che aiuta graficamente a visualizzare la distribuzione dei nuovi missionari nel mondo (si può scaricare in allegato). Quest’anno ci sono cinque sacerdoti, due coadiutori, un diacono e 19 salesiani studenti. Insieme a loro, si è unito qualche missionario delle passate spedizioni, che non è riuscito a partecipare al corso di preparazione.

Qui sotto, nel dettaglio, la lista dei nuovi missionari:
Donatien Martial Balezou, dalla Rep. Centrafricana (ATE) al Brasile – Belo Horizonte (BBH);
Guy Roger Mutombo, dalla Rep. Dem. del Congo (ACC) all’Italia (IME);
Henri Mufele Ngandwini, dalla Rep. Dem. del Congo (ACC) all’Italia (IME);
il coadiutore Alain Josaphat Mutima Balekage, dalla Rep. Dem. del Congo (AFC) all’Uruguay (URU);
Clovis Muhindo Tsongo, dalla Rep. Dem. del Congo (AFC) al Brasile (BPA);
Confiance Kakule Kataliko, dalla Rep. Dem. del Congo (AFC) all’Uruguay (URU);
don Ephrem Kisenga Mwangwa dalla Rep. Dem. del Congo (AFC) a Taiwan (CIN);
Ernest Kirunda Menya, dall’Uganda (AGL) alla Romania (INE);
Éric Umurundi Ndayicariye, dal Burundi (AGL) alla Mongolia (KOR);
Daniel Armando Nuñez, da El Salvador (CAM) al Nord Africa (CNA);
Marko Dropuljić, dalla Croazia (CRO) alla Mongolia (KOR);
Krešo Maria Gabričević, dalla Croazia (CRO) a Papua Nuova Guinea – Isole Salomone (PGS);
Rafael Gašpar, dalla Croazia (CRO) al Brasile (BBH);
don Marijan Zovak, dalla Croazia (CRO) alla Rep. Dominicana (ANT);
don Enrico Bituin Mercado dalle Filippine (FIN) all’Africa Meridionale (AFM);
Alan Andrew Manuel, dall’India (INB) al Nord Africa (CNA);
don Joseph Reddy Vanga, dall’India (INH) a Papua Nuova Guinea – Isole Salomone (PGS);
don Hubard Thyrniang, dall’India (INS) all’Africa Occidentale Nord (AON);
don Albert Tron Mawa, dall’India (INS) allo Sri Lanka (LKC);
Eruthaya Valan Arockiaraj, dall’India (INT) al Congo (ACC);
Herimamponona Dorisse Angelot Rakotonirina, dal Madagascar (MDG) a Albania/Kosovo/Montenegro (AKM);
il coadiutore Mouzinho Domingos Joaquim Mouzinho, dal Mozambico (MOZ) a Albania/Kosovo/Montenegro (AKM);
Nelson Alves Cabral, da Timor Est (TLS) alla Rep. Dem. del Congo (AFC);
Elisio Ilidio Guterres Dos Santos, da Timor Est (TLS) alla Romania (INE);
Francisco Armindo Viana, da Timor Est (TLS) al Congo (ACC);
Tuấn Anh Joseph Vũ, dal Vietnam (VIE) al Cile (CIL);
Trong Hữu Francis Ɖỗ, dal Vietnam (VIE) al Cile (CIL).

Questi sono i membri della 155esima spedizione missionaria salesiana, mentre le FMA vivranno la 147esima spedizione.

Le Figlie di Maria Ausiliatrice neomissionarie sono:
suor Cecilia Gayo, dall’Uruguay;
suor Maria Goretti Tran Thi Hong Loan, dal Vietnam;
suor Sagma Beronica, dall’India, ispettoria di Shillong;
suor Serah Njeri Ndung’u, dall’ispettoria Africa dell’Est, inviata in Sud Sudan;
suor Lai Marie Pham Thi, dal Vietnam;
suor Maria Bosco Tran Thi Huyen, dal Vietnam;
suor Philina Kholar, dall’India, ispettoria di Shillong, inviata in Italia (Sicilia);
suor Catherine Ramírez Sánchez, dal Cile.
La maggior parte di loro ancora non conosce la destinazione missionaria, che sarà comunicata dopo il corso di formazione.

Quest’anno anche un gruppo appartenente alla Comunità della Missione di Don Bosco (CMB), gruppo della Famiglia Salesiana guidato dal diacono Guido Pedroni, riceverà la croce missionaria insieme ai Salesiani e alle Figlie di Maria Ausiliatrice.

Preghiamo affinché questa variegata disponibilità vocazionale porti frutto in tutto il mondo!

Marco Fulgaro




Diffondere lo spirito missionario di don Bosco

Ci avviciniamo alla celebrazione dei 150 anni della Prima Spedizione Missionaria salesiana (1875-2025). La dimensione missionaria della Società Salesiana fa parte del suo “DNA”. È stata così voluta da don Bosco fin dall’inizio, e oggi la congregazione è presente in 136 paesi. Questo slancio iniziale continua anche oggi ed è sostenuto dal Dicastero delle Missioni. Presentiamo brevemente la loro attività e organizzazione.

            Don Bosco, pur non essendo mai partito per terre lontane come missionario ad gentes, ha sempre avuto un cuore missionario ed un ardente desiderio di condividere il carisma salesiano per raggiungere tutti i confini del mondo e contribuire alla salvezza dei giovani.
Questo è stato possibile grazie alla disponibilità di tanti salesiani inviati nelle spedizioni missionarie (a fine settembre di quest’anno si celebrerà la 155esima) che, collaborando con i locali e i laici, hanno permesso la diffusione e l’inculturazione del carisma salesiano. Rispetto ai primi “pionieri” oggi la figura del missionario deve rispondere a sfide diverse, e il paradigma missionario si è aggiornato per essere un veicolo efficace di evangelizzazione nel mondo di oggi. Innanzitutto, come ci ricorda don Alfred Maravilla, Consigliere Generale per le Missioni, (nel 2021 ha scritto una lettera, “La vocazione missionaria salesiana”), le missioni non rispondono più a criteri geografici, come una volta, e i missionari di oggi provengono dai cinque continenti e si inviano ai cinque continenti, perciò non esiste più una netta separazione tra “terre di missione” e altre presenze salesiane. Inoltre, molto importante è la distinzione tra la vocazione missionaria salesiana, ovvero la chiamata che alcuni salesiani ricevono per essere inviati per tutta la vita in un altro luogo come missionari, e lo spirito missionario, tipico di tutti i salesiani e di tutti i membri di una comunità educativo-pastorale, che si manifesta nel cuore oratoriano e nello slancio per l’evangelizzazione dei giovani.

            Il compito di promuovere lo spirito missionario e mantenerlo vivo nei salesiani e nei laici è affidato soprattutto ai “Delegati Ispettoriali per l’Animazione Missionaria” (DIAM), ovvero quei salesiani, o laici, che ricevono dall’Ispettore, il salesiano superiore della provincia (“ispettoria”) in questione, il compito di occuparsi dell’animazione missionaria. Il DIAM ha un ruolo molto importante, è la “sentinella missionaria” che, attraverso la sua sensibilità ed esperienza, si impegna nel diffondere la cultura missionaria a vari livelli (v. Animazione Missionaria Salesiana. Manuale del Delegato Ispettoriale, Roma, 2019).

            Il DIAM innesca la sensibilità missionaria in tutte le comunità dell’Ispettoria e lavora in sinergia con i responsabili delle altre aree per testimoniare l’importanza di questo ambito trasversale e comune ad ogni cristiano. A livello pratico, organizza alcune iniziative, promuove la preghiera per le missioni nel giorno 11 del mese, nel ricordo della prima spedizione missionaria l’11 Novembre 1875, promuove nell’Ispettoria la “Giornata Missionaria Salesiana” ogni anno, diffonde i materiali preparati dalla Congregazione a tema missionario, come il bollettino “Cagliero11” o il video “CaglieroLife”. La Giornata Missionaria Salesiana, che ricorre dal 1988, è un’occasione bella per fermarsi a riflettere e rilanciare l’animazione missionaria. Non deve essere necessariamente una giornata, può essere un itinerario di più giorni e non ha una data fissa, in modo da permettere a tutti di scegliere il miglior momento dell’anno che si adatta al ritmo e al calendario dell’Ispettoria. Ogni anno viene scelto un tema comune e preparati alcuni materiali di animazione come spunto di riflessione e di attività, adattabili e modificabili. Quest’anno il tema è “costruttori di dialogo”, mentre nel 2025 si concentrerà sul 150esimo anniversario della prima spedizione missionaria secondo i tre verbi “Ringraziare, Ripensare, Rilanciare”. Il Cagliero11, invece, è un semplice bollettino di animazione missionaria, creato nel 2009 e pubblicato tutti i mesi, di due pagine che contiene riflessioni missionarie, interviste, notizie, curiosità e la preghiera mensile che viene proposta. Il “CaglieroLife” è un video di un minuto che, sulla base della preghiera missionaria del mese (a su volta basata sull’intenzione mensile proposta dal Papa), aiuta a riflettere sul tema. Questi sono tutti strumenti che permettono al DIAM di svolgere bene il suo compito di promozione dello spirito missionario, in linea con i tempi di oggi.
            Il DIAM collabora o coordina, a seconda delle Ispettorie, il Volontariato Missionario Salesiano (“VMS”), ovvero quelle esperienze giovanili di servizio solidale e gratuito in una comunità diversa dalla propria per un periodo di tempo continuo (in estate, per più mesi, un anno…), motivate dalla fede, con stile missionario e secondo la pedagogia e la spiritualità di Don Bosco (Il Volontariato nella Missione Salesiana. Identità e Orientamenti del Volontariato Missionario Salesiano, Roma, 2019).
            Quest’anno, a marzo, è stato realizzato a Roma un primo incontro dei coordinatori del VMS, che ha visto la presenza di una cinquantina di partecipanti, tra laici e salesiani, sotto la guida di un advisory team misto che ne ha curato l’organizzazione. Tra i punti salienti usciti dall’incontro, ricchissimo soprattutto per la condivisione delle esperienze, ci sono stati l’esplorazione dell’identità del volontario missionario salesiano, la formazione dei volontari e dei coordinatori, la collaborazione tra laici e religiosi, l’accompagnamento a tutti i livelli e il lavoro in rete. È stata presentata una nuova croce simbolica del VMS, che può essere utilizzata da tutti i volontari nelle varie esperienze in tutto il mondo, e la bozza di un nuovo sito web che fungerà come piattaforma di dati e di rete.
            Inoltre, il DIAM visita le comunità dell’Ispettoria e le accompagna dal punto di vista missionario, prendendosi cura soprattutto di quei salesiani che camminano per capire se sono chiamati a diventare missionari ad gentes.

            Ovviamente, tutto questo lavoro non può essere fatto da una singola persona, è importante il lavoro in equipe e la mentalità progettuale. Ogni Ispettoria ha una commissione di animazione missionaria, composta da salesiani, laici e giovani corresponsabili che formula proposte, suggerimenti creativi e coordina le attività. Inoltre, redige il progetto di animazione missionaria ispettoriale, da presentare all’Ispettore, che è la bussola da seguire con obiettivi, tempi scanditi, risorse e passi concreti. In questo modo si evita l’improvvisazione e si agisce seguendo un piano strutturato e strategico sulla base del più ampio progetto educativo pastorale salesiano ispettoriale (PEPSI), promuovendo una visione condivisa dell’animazione missionaria. Nell’Ispettoria vengono organizzati momenti di formazione permanente, di riflessione e di discussione, e si promuove la cultura missionaria a vari livelli. Queste strutture che si sono create nel tempo permettono un’animazione e un coordinamento più efficaci, nell’ottica di dare sempre il meglio per il bene dei giovani.

            Un altro aspetto importante è la condivisione tra DIAM di diversi Paesi e ispettorie. Ogni Regione (ne esistono sette: America Cono Sud, Interamerica, Europa Centro-Nord, Mediterranea, Africa – Madagascar, Asia Est – Oceania e Asia Sud) si incontra regolarmente, in presenza una volta l’anno e on-line ogni tre mesi circa, per mettere in comunione le proprie ricchezze, condividere le sfide e elaborare un cammino regionale. Gli incontri on-line, iniziati da pochi anni, permettono una maggiore conoscenza dei DIAM e dei contesti in cui operano, un aggiornamento continuo e di qualità, e uno scambio proficuo che arricchisce tutti. In ogni Regione c’è un coordinatore, che convoca le riunioni, promuove il cammino regionale e modera i processi comuni, insieme al salesiano referente dell’equipe centrale del Settore per le Missioni, che rappresenta il Consigliere Generale per le Missioni portando idee, spunti e suggerimenti all’interno del gruppo.

            Questo grande impegno, faticoso ma assai utile e pieno di gioia vera, è uno dei tasselli che si unisce alle tante tessere del mosaico salesiano, e fa sì che il sogno di Don Bosco possa continuare ancora oggi.




Don Bosco nelle Isole Salomone

Accompagnati da un salesiano locale, andiamo a conoscere una presenza educativa significativa in Oceania.

            La presenza di Don Bosco ha raggiunto ogni continente del mondo, possiamo dire che manca solo l’Antartide, e anche nelle isole dell’Oceania si sta diffondendo il carisma salesiano, che ben si adatta alle differenti culture e tradizioni.
            Da quasi 30 anni anche nelle Isole Salomone, Paese del Pacifico sudoccidentale che comprende oltre 900 isole, operano i salesiani. Arrivarono il 27 Ottobre 1995, su richiesta dell’arcivescovo emerito Adrian Smith, e iniziarono il lavoro con tre confratelli dal Giappone, i primi pionieri salesiani nel Paese. Inizialmente si trasferirono a Tetere, nella parrocchia di Cristo Re, nella periferia della capitale Honiara, sull’isola di Guadalcanal, e successivamente aprirono un’altra presenza a Honiara, nella zona di Henderson. I salesiani che lavorano nel Paese sono meno di dieci e provengono da diversi Paesi dell’Asia e dell’Oceania: Filippine, India, Korea, Vietnam, Papua Nuova Guinea e Isole Salomone.

            Le Isole Salomone sono un Paese molto povero della regione oceanica della Melanesia, che sin dall’indipendenza del 1978 ha conosciuto tanta instabilità politica e problemi sociali, attraversando conflitti e violenti scontri etnici al suo interno. Sebbene conosciute come le “Isole Felici”, il Paese si sta gradualmente allontanando da questa identità, poiché sta affrontando ogni tipo di sfida e problema che deriva dall’abuso di droghe e alcol, dalla corruzione, dalle gravidanze precoci, dalle famiglie distrutte, dalla mancanza di opportunità di lavoro e di istruzione e così via, ci racconta il salesiano Thomas Bwagaaro che ci accompagna in questo articolo.

            Le Isole Salomone hanno una popolazione stimata di circa 750.000 persone e la maggioranza è costituita da giovani. La popolazione è prevalentemente melanesiana, con alcuni popoli micronesiani, polinesiani e altri. La maggioranza della popolazione è cristiana, ma ci sono anche altre fedi come la Fede Bahai e l’Islam che si stanno gradualmente facendo strada nel Paese. I paesaggi marini paradisiaci e la ricchissima biodiversità rendono queste isole un luogo affascinante e fragile allo stesso tempo. Ci dice Thomas che i giovani sono generalmente docili e sognano un futuro migliore. Tuttavia, con l’aumento della popolazione e la mancanza di servizi e perfino di uno spazio per ricevere un’istruzione superiore, sembra che i giovani di oggi siano generalmente frustrati nei confronti del governo e che molti giovani ricorrano alla criminalità, come lo spaccio di droghe illegali, l’alcol, i borseggi, i furti e così via, soprattutto in città, solo per guadagnarsi un reddito. In questa situazione non semplice, i salesiani si rimboccano le maniche per offrire speranze di futuro.

            Nella comunità di Tetere il lavoro si concentra nella scuola, un centro di formazione professionale che offre corsi di agraria, e nella parrocchia di Cristo Re. Oltre ai corsi formali di istruzione, nella scuola ci sono spazi da gioco per gli studenti, i giovani che frequentano la parrocchia e le comunità che vivono nella stessa zona, e nel fine settimana è aperto l’oratorio. La sfida che la comunità si trova ad affrontare è la distanza da Honiara e la mancanza di risorse necessarie per aiutare la scuola a soddisfare il benessere degli studenti. Per quanto riguarda la parrocchia, la cattiva condizione delle strade che conducono ai villaggi è una delle principali preoccupazioni, che spesso contribuisce a problemi ai veicoli e, quindi, rende più difficile il trasporto.

            La comunità di Honiara-Henderson porta avanti una scuola tecnica professionale che si rivolge ai giovani e alle giovani che hanno abbandonato la scuola e non hanno la possibilità di proseguire gli studi. I corsi tecnici vanno dalla tecnologia elettrica, alla fabbricazione di metalli e alla saldatura, all’amministrazione di uffici commerciali, all’ospitalità e al turismo, alla tecnologia dell’informazione, alla tecnologia automobilistica, alla costruzione di edifici e al corso sull’energia solare.
            Oltre a questo, la comunità sostiene anche un centro di apprendimento che si rivolge principalmente ai bambini e ai ragazzi della discarica di Honiara e delle comunità circostanti la scuola che non hanno la possibilità di frequentare le scuole normali.

Tuttavia, a causa della mancanza di strutture, non tutti possono essere ospitati nel centro, nonostante gli sforzi di tutta la comunità. Seguendo il Sistema Preventivo di Don Bosco, i salesiani non si limitano ad offrire opportunità educative, ma si occupano anche dell’aspetto spirituale degli studenti attraverso vari programmi e attività religiose, per formarli ad essere “buoni cristiani ed onesti cittadini”. Attraverso i suoi programmi, la scuola salesiana trasmette ai ragazzi messaggi positivi e li educa alla disciplina e all’equilibrio, per evitare che cadano nei problemi di abuso di droghe e alcol, molto diffusi tra i giovani. Una sfida che la comunità salesiana si trova ad affrontare per offrire un’educazione di qualità è la formazione del personale, affinché sia sempre professionale e allo stesso tempo condivida i valori carismatici salesiani, con spirito di corresponsabilità educativa. La scuola ha bisogno di missionari laici e di volontari che si impegnino ad aiutare i giovani a realizzare i loro sogni e a diventare una versione migliore di sé stessi.
Anche se la situazione attuale del Paese sarà probabilmente più difficile negli anni a venire, ci racconta Thomas: “credo che i giovani delle Isole Salomone desiderino e sperino in un futuro migliore, desiderino persone che li ispirino a sognare, che li accompagnino, che li ascoltino e li guidino a sperare e a guardare oltre le sfide e i problemi che sperimentano continuamente ogni giorno, soprattutto quando migrano in città”.

            Ma come può nascere la vocazione alla vita consacrata salesiana nelle isole Salomone?
Thomas Bwagaaro è uno degli unici due salesiani provenienti dalle Isole Salomone. “È un privilegio per me lavorare per i giovani nel mio Paese. Come locale, avere a che fare con i giovani e ascoltare le lotte che a volte affrontano mi dà forza e coraggio per essere un buon salesiano.” Il lavoro educativo e la testimonianza personale di vita possono essere fonte di ispirazione per altri giovani che vogliano unirsi alla congregazione salesiana e continuare il sogno di Don Bosco di aiutare i giovani in questa regione, come è accaduto nella storia di Thomas. Il suo percorso per diventare salesiano è iniziato come studente del Don Bosco Tetere nel 2011. Ispirato dal modo in cui i salesiani interagivano con gli studenti, è rimasto affascinato e ricorda i due anni trascorsi lì come la migliore esperienza studentesca, che gli ha donato la speranza e la possibilità di sognare un futuro luminoso, nonostante la situazione difficile e la mancanza di opportunità. Il percorso vocazionale in comunità è iniziato con la partecipazione ai momenti di preghiera dei Salesiani, al mattino e alla sera, con un graduale e crescente senso di condivisione. Così, nel 2013, Thomas è entrato nell’aspirantato salesiano “Savio Haus” a Port Moresby, in Papua Nuova Guinea, frequentando per quattro anni il collegio insieme ad altri compagni. La formazione salesiana di chiaro stampo internazionale è proseguita nelle Filippine, a Cebu, con il prenoviziato e il successivo noviziato, al termine del quale Thomas ha emesso i suoi primi voti come salesiano presso il Santuario di Maria Ausiliatrice a Port Moresby proprio nella solennità di Maria Ausiliatrice, il 24 Maggio 2019. Poi è tornato nelle Filippine per lo studio della filosofia e finalmente è tornato nella visitatoria “PGS”, ovvero la provincia salesiana che comprende Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. “Come salesiano locale, sono molto grato alla mia famiglia che mi ha sostenuto con tutto il cuore e ai confratelli che mi hanno dato il buon esempio e che mi hanno accompagnato nel mio cammino di giovane salesiano.” La vita religiosa, accanto ai giovani insieme a tanti laici esemplari, continua ad essere ancora oggi rilevante come lo è stata in passato. “Guardando al futuro, posso dire con sicurezza che le Isole Salomone continueranno ad avere molti giovani e la necessità di Salesiani, volontari salesiani e partner missionari laici per continuare questo meraviglioso apostolato di aiutare i giovani ad essere buoni cristiani e onesti cittadini sarà molto attuale.”

Marco Fulgaro




Missionari nei Paesi Bassi

Nell’immaginario comune le “missioni” riguardano il sud del mondo, in realtà non è un criterio geografico alla base e anche l’Europa è meta di missionari salesiani: in questo articolo parliamo dei Paesi Bassi.

Quando don Bosco sognò, tra il 1871 e il 1872, dei “barbari” e dei “selvaggi”, secondo il linguaggio dell’epoca, alti di statura e con facce feroci, vestiti con pelli di animali che camminavano in una zona a lui completamente sconosciuta con dei missionari in lontananza, nei quali riconobbe i suoi salesiani, allora non poteva prevedere l’enorme sviluppo della Congregazione Salesiana nel mondo. Trentacinque anni dopo – 18 anni dopo la sua morte – i Salesiani avrebbero fondato la loro prima ispettoria in India e 153 anni dopo l’India è diventato il primo Paese al mondo per numero di salesiani. Ciò che Don Bosco non poteva assolutamente immaginare è che i salesiani indiani sarebbero venuti in Europa, in particolare nei Paesi Bassi, per lavorare come missionari e per vivere e sperimentare la propria vocazione.

Incontriamo don Biju Oledath sdb, nato nel 1975 a Kurianad, nel Kerala, nel sud dell’India. Salesiano dal 1993, è arrivato nei Paesi Bassi come missionario nel 1998, dopo gli studi di filosofia presso il collegio salesiano di Sonada. Dopo il tirocinio ha compiuto gli studi teologici presso l’Università Cattolica di Lovanio, in Belgio. Nel 2004 è stato ordinato sacerdote in India e come giovane sacerdote ha svolto il suo servizio nella parrocchia di Alapuzha, nel Kerala, per poi tornare l’anno dopo nei Paesi Bassi come missionario. Attualmente vive e lavora nella comunità salesiana di Assel.

Nel cuore di don Biju, quando era giovane, c’era il seme della missione ad gentes e, in particolare, il desiderio di essere destinato all’Africa, ispirato dai confratelli indiani partiti per il Kenya, la Tanzania e l’Uganda. Questo sogno missionario si alimentava grazie ai loro racconti e a tutto il materiale da loro scritto, lettere e articoli sul lavoro salesiano in Africa. Tuttavia, i superiori pensavano che fosse ancora troppo giovane e non ancora pronto per questo passo e anche la famiglia riteneva che fosse troppo pericoloso per lui in quel momento partire. Ci dice don Biju: “Ripensandoci, sono d’accordo con loro: dovevo prima completare la mia formazione iniziale e volevo davvero studiare teologia in una buona università. Non sarebbe stato così facile in quei Paesi all’epoca”.

Ma se il desiderio missionario è sincero e proviene da Dio, arriva sempre il momento della chiamata: la vocazione missionaria salesiana, infatti, è una chiamata dentro la comune chiamata alla vita consacrata per i Salesiani di Don Bosco. Così nel 1997 a don Biju è stata prospettata la missione ad gentes in Europa, nei Paesi Bassi, sicuramente un progetto molto diverso dalla vita missionaria in Africa. Dopo il tirocinio, avrebbe studiato teologia presso l’Università Cattolica di Lovanio (Belgio). “Ho dovuto deglutire per un momento, ma ero comunque felice di poter partire per un nuovo Paese”, ammette don Biju, che era determinato a girare il mondo per il ben dei giovani.

Non è scontato conoscere il posto in cui si è inviati come missionari, magari si è sentito qualcosa del paese o qualche storia sul suo conto. “Avevo già sentito parlare dei Paesi Bassi, sapevo che si trovava sotto il livello del mare e avevo letto la storia di un bambino che aveva messo un dito in una diga per evitare un’inondazione, salvando così il paese. Ho iniziato subito a cercare un atlante mondiale e all’inizio ho avuto qualche difficoltà a trovarlo tra tutti gli altri grandi paesi europei.” Il padre di don Biju rimase contrario, preoccupato per la distanza e per il lungo viaggio, mentre sua madre lo invitò ad obbedire alla sua vocazione e seguire il suo sogno di felicità.

Prima di raggiungere l’Europa, passò una lunga attesa per ottenere il visto per i Paesi Bassi. Così, don Biju fu destinato al lavoro con i bambini di strada a Bangalore. A metà dicembre 1998, in una fredda giornata invernale, finalmente l’arrivo ad all’aeroporto di Amsterdam, dove l’ispettore e altri due salesiani attendevano il missionario indiano. L’accoglienza calorosa compensò lo shock culturale per l’approccio in un nuovo luogo, molto diverso dall’India, dove fa sempre caldo e tanta gente vive per strada. L’inculturazione richiede tempo per abituarsi, conoscere e comprendere dinamiche totalmente sconosciute a casa propria.
Il primo anno di don Biju è trascorso nella conoscenza delle diverse case e opere salesiane: “ho capito che ci sono persone davvero gentili e ho iniziato ad adattarmi a tutte queste nuove impressioni e abitudini”. I Paesi Bassi non sono solo freddi e piovosi, ma anche belli, soleggiati e caldi. I salesiani sono stati molto gentili ed ospitali con don Biju, preoccupati di farlo sentire a proprio agio e a casa. Sicuramente il modo di vivere la fede cristiana degli olandesi è molto differente dall’India e l’impatto può essere scioccante: grandi chiese con poche persone, per lo più anziani, canti e musiche diverse, uno stile più dimesso. Oltre a ciò, ci racconta don Biju, “mi è mancato molto il cibo, la famiglia, gli amici… soprattutto la vicinanza dei giovani salesiani della mia stessa età intorno a me.”  Ma con il tempo migliora la comprensione della situazione le differenze iniziano ad avere un senso e una logicità.

Per essere un missionario salesiano efficace in Europa, lavorare in una società secolarizzata richiede spesso adattabilità, sensibilità culturale e una comprensione graduale del contesto locale, che non può essere ottenuta da un giorno all’altro. Questo lavoro richiede pazienza, preghiera, studio e riflessione che aiutano a scoprire la fede alla luce di una nuova cultura. Questa apertura permette ai missionari di dialogare con sensibilità e rispetto con la nuova cultura, riconoscendo la diversità e la pluralità dei valori e delle prospettive religiose.
I missionari devono sviluppare nel posto in cui si trovano una fede e una spiritualità personale profondamente radicate, come uomini di preghiera, di fronte al calo dei tassi di affiliazione religiosa, al minore interesse o apertura alle questioni spirituali e all’assenza di nuove vocazioni alla vita religiosa/salesiana.
È forte il rischio di perdersi in una società secolarizzata dove il materialismo e l’individualismo sono prevalenti e ci può essere meno interesse o apertura verso le questioni spirituali. Se non si sta attenti, un giovane missionario può facilmente cadere nello scetticismo e nell’indifferenza religiosa e spirituale. In tutti questi momenti, è importante avere un direttore spirituale che possa guidare al giusto discernimento.

Come don Biju, ci sono circa 150 salesiani che sono stati inviati in tutta Europa dall’inizio del nuovo millennio, in questo continente da ricristianizzare, dove la fede cattolica ha bisogno di essere rinvigorita e sostenuta. I missionari sono un dono per la comunità locale, sia salesiana sia a livello di Chiesa e di società. La ricchezza della diversità culturale è un dono reciproco per chi accoglie e per chi è accolto ed aiuta ad aprire gli orizzonti mostrando un volto della Chiesa più “cattolico”, ovvero universale. I missionari salesiani, inoltre, portano una boccata di freschezza in alcune Ispettorie che hanno difficoltà a fare un ricambio generazionale, dove i giovani sono sempre meno interessati alle vocazioni alla vita consacrata.

Nonostante la tendenza alla secolarizzazione, ci sono segni di una rinascita dell’interesse spirituale nei Paesi Bassi, in particolare tra le generazioni più giovani. Negli ultimi anni si può notare un’apertura alla religiosità e un calo dei sentimenti antireligiosi. Questo si manifesta in varie forme, tra cui le forme alternative di essere chiesa, l’esplorazione di pratiche spirituali alternative, la mindfulness e la rivalutazione delle credenze religiose tradizionali. C’è sempre più bisogno di assistere i giovani, poiché un gruppo importante di giovani soffre di solitudine e depressione, nonostante il benessere generale della società. Come salesiani, dobbiamo leggere i segni dei tempi per stare vicino ai giovani e aiutarli.

Si vedono segni di speranza per la Chiesa, portati dai cristiani migranti che arrivano in Europa e dai cambiamenti demografici, culturali e di vita di molte comunità locali. Nella comunità salesiana di Hassel spesso si riuniscono giovani cristiani immigrati dal Medio Oriente che portano la loro fede vivace, le loro opportunità e contribuiscono positivamente alla nostra comunità salesiana.
“Tutto questo mi dà un’ottima sensazione e mi fa capire quanto sia bello poter lavorare qui, in quello che per me è inizialmente un Paese straniero.”

Preghiamo che l’ardore missionario possa rimanere sempre acceso e che non manchino missionari disposti ad ascoltare la chiamata di Dio per portare il suo Vangelo in tutti i continenti attraverso la semplice e sincera testimonianza di vita.

di Marco Fulgaro




Il lavoro dei salesiani nel Maghreb

I Salesiani sono presenti in 136 paesi del mondo, tra cui diversi paesi del Nord Africa, dove dallo scorso anno è stata creata una nuova circoscrizione che abbraccia Tunisia, Marocco ed Algeria.

Quando abbiamo contattato il missionario don Domenico Paternò, prete salesiano, per chiedere di condividerci qualche pennellata della presenza salesiana in Nord Africa, ha voluto iniziare con una riflessione sul Mar Mediterraneo.

Il Mediterraneo non è solo un mare geograficamente molto conosciuto ma è una vera e propria culla di civiltà che attorno ad esso sono cresciute nei millenni dando alla umanità intera contributi di culture, conoscenze, esperienze umane, sociali, politiche che ancora oggi sono oggetto di studio e approfondimento.
Tutti i paesi che sono bagnati da quello che i romani chiamavano “Mare Nostrum” hanno una storia ricchissima e sono tutti portatori in vario modo di ricchezze culturali e naturali importanti.
Inoltre, il Mediterraneo, confine naturale tra Europa e Africa, ha una rilevanza geopolitica e strategica non indifferente.

Se dall’Europa attraversiamo il Mediterraneo, giungiamo nel Maghreb, regione nordafricana che sta conoscendo sempre più il carisma di don Bosco. Lo scorso anno, infatti, è stata ufficialmente creata la Circoscrizione speciale del Africa Nord (“CNA”), il 28 Agosto, festa di sant’Agostino, a cui è stata dedicata la circoscrizione, che comprende Marocco, Algeria e Tunisia. Si tratta di una nuova frontiera missionaria piena di sfide e di opportunità.

Il Maghreb ha chiare radici romane, classiche, era denominato “Afriquia”, dando così il nome a tutto il continente che da qui ha inizio. I figli di don Bosco che, per inciso, sono presenti in quasi tutti i paesi che si affacciano nel Mediterraneo onde per cui hanno costituito la Regione Mediterranea della Congregazione, hanno di recente deciso di sviluppare la loro presenza e il loro servizio tra i giovani di questi paesi. Il Maghreb non è “la parte sbagliata” del Mediterraneo, come dicono soggetti male informati, ma è invece una zona geografica, umana e culturale che non si finisce mai di scoprire ed apprezzare!
I salesiani sono interessati all’educazione dei tantissimi giovani che affollano questi paesi: la popolazione sotto i 25 anni arriva ad essere quasi il 50% della popolazione totale. Si tratta, quindi, di paesi ricchi di speranza e di futuro. Lo scopo dei salesiani e dei loro collaboratori è di sostenere e di sviluppare il sogno di questi giovani.

Un “sogno che fa sognare” ci indica la Strenna del nostro Rettor Maggiore di quest’anno, ricordando il bicentenario del sogno dei nove anni di don Bosco, e se questo è vero nella vita salesiana di ogni luogo, in Maghreb è ancora più vero e significativo. La presenza attuale dei figli di don Bosco vuole concretizzare e attuare il sogno del Fondatore e far sì che i “lupi” possano diventare agnelli non solo pacifici ma costruttori di pace e di sviluppo. Ed ecco che, anche se con religioni diverse, cristiani gli uni e musulmani gli altri, tutti discendenti di Abramo, ci ritroviamo a camminare insieme per il bene dei giovani e delle famiglie che stanno attorno a noi e con noi. La scuola, l’oratorio, la formazione al lavoro, il cortile, la formazione umana e religiosa, la condivisone di gioie e dolori, la conoscenza reciproca e la dignità che ognuno riconosce agli altri, lo spirito di famiglia e collaborazione, tutto questo ci aiuta a camminare insieme e fare concretamente del bene a tutti.
Qual è l’obiettivo dei Salesiani che lavorano in questi paesi?
A questa domanda, la risposta è molto semplice: nel Maghreb i figli di don Bosco ogni giorno si impegnano per il bene comune, ovvero divenire, come voleva don Bosco “onesti cittadini” e “buoni credenti”, ognuno nella sua fede, senza rinunciare alla testimonianza di vita cristiana, nel rispetto della cultura e della religione altrui.

Pur con alcuni elementi comuni, ogni paese ha le sue peculiarità che lo contraddistinguono.

In Marocco i salesiani sono presenti dal 1950 a Kenitra, una grande città sulla costa atlantica tra Rabat e Tangeri.
Il lavoro non manca, in campo educativo, ricreativo, di fede di accoglienza. I salesiani animano scuole di vario livello e tipo: una scuola primaria, una scuola secondaria e un centro di formazione professionale. Si risponde così al bisogno di istruzione e di ricerca di occupazione dei tanti giovani marocchini per dare loro maggiori opportunità nella vita.
Inoltre, vengono organizzate tante attività sportive e associative in linea con il Sistema Preventivo di don Bosco.
La Parrocchia di Cristo Re sostiene la fede della minoranza cristiana ed è frequentata soprattutto da giovani studenti africani che studiano in Marocco e da europei che sono in città. Altre opere specifiche sono due case per giovani migranti, una casa per l’infanzia e la formazione al lavoro delle ragazze. Tutte queste iniziative coinvolgono oltre 1500 persone tra ragazzi, personale, famiglie ed altri destinatari, che sono, tranne la parrocchia, tutti musulmani e tutti uniti nello stile di don Bosco di famiglia inclusiva e di aiuto reciproco. La presenza salesiana in Marocco ha un punto di riferimento nell’arcivescovo di Rabat, il cardinale salesiano Cristóbal López Romero, già missionario in Paraguay, prima di approdare in Marocco dal 2003 al 2011 e tornare dopo nove anni come pastore dell’arcidiocesi. Fino allo scorso anno, il Marocco era affidato all’Ispettoria di Francia (FRB). Oltre che con la gente, l’esperienza interculturale si vive anche nella comunità salesiana, composta da quattro sacerdoti, da Francia, Spagna, Polonia e Rep. Democratica del Congo.

Altro paese maghrebino con due presenze salesiane è la Tunisia, dove, a Manouba e Tunisi, i salesiani gestiscono due scuole primarie, una scuola secondaria, un nascente centro di formazione professionale, due oratori, attività di collaborazione con la chiesa locale, una parrocchia ad Hammamet per residenti italiani ed europei ed altre iniziative particolari. È una presenza in crescita a cui recentemente sono stati affidati nuovi missionari, anche qui provenienti da diversi paesi: Italia, Siria, Libano, Spagna, Rep. Democratica Del Congo, Ciad.
È un’esperienza di famiglia e, in particolare, di Famiglia Salesiana, con due comunità di Figlie di Maria Ausiliatrice, gli “Amici di don Bosco”, gruppo di laici musulmani vicini al carisma di don Bosco, e tanti laici impegnati a vario titolo. La speranza è di far nascere anche un gruppo di Salesiani Cooperatori. Complessivamente almeno 3000 persone sono coinvolte nell’azione educativa. Fino allo scorso anno, l’ispettoria della Sicilia curava la presenza salesiana in Tunisia e proprio don Domenico Paternò, originario di Messina, arrivato a Manouba più di dieci anni fa, è stato nominato superiore.

Arriviamo così all’ultimo paese, una delle nuovissime frontiere missionarie per la Congregazione Salesiana, ancora in definizione per i dettagli sui luoghi e sul personale: l’Algeria, dove a breve arriveranno i primi salesiani.
In realtà, bisogna dire che l’Algeria è stato il primo paese in Africa in cui sono approdati i salesiani addirittura nel diciannovesimo secolo, nel lontano 1891, ad Orano, dove c’era un oratorio. Successivamente ci sono state altre due aperture nella capitale Algeri, ma dopo diversi anni la situazione politica instabile ed ostile non ha permesso di continuare il lavoro e ha costretto alla chiusura definitiva delle opere nel 1976. I salesiani rispondono così all’invito dell’arcivescovo di Algeri dopo un dialogo e uno studio di alcuni anni.

A questo quadro della presenza salesiana nel Maghreb, c’è da considerare che molteplici sono le attività con le comunità religiose e con la società civile nelle quali i Salesiani sono coinvolti. Per completezza e serietà di informazione non possiamo dimenticare le difficoltà che ci sono e che certamente danno anche motivi di difficoltà, non sempre superabili. Basti pensare la lingua che non è facile, il contesto socio-economico piuttosto fragile spesso per motivi di politica internazionale, le famiglie in difficoltà, la disoccupazione giovanile, grande piaga di tutta la regione, l’assenza di politiche giovanili efficaci e capaci di dare futuro. Ma nonostante le innegabili sfide, grande è la possibilità e la speranza di un positivo sviluppo non solo economico ma anche umano e sociale. Talvolta si manifestano segni di intolleranza e radicalismo irragionevole ma sono fenomeni molto ridotti. Sono società giovani e per questo aperte all’avvenire “più futuro che passato”, come diceva don Egidio Viganò.

Nei mesi passati, la Circoscrizione Speciale del Nord Africa ha vissuto le sessioni del primo Capitolo Ispettoriale sul tema del Capitolo Generale 29: “Appassionati per Gesù Cristo, dedicati ai giovani. Per un vissuto fedele e profetico della nostra vocazione salesiana”. Don Domenico Paternò ha sottolineato come sia una grazia vivere questo momento dopo pochi mesi di esistenza della Circoscrizione. I capitolari hanno elaborato il Direttorio Ispettoriale e il Progetto Educativo Pastorale Salesiano Ispettoriale, primi passi fondamentali per lo sviluppo futuro della presenza salesiana.

Nell’ultima spedizione missionaria salesiana, due salesiani sono stati assegnati alla circoscrizione Nord Africa: i coadiutori Joseph Ngo Duc Thuan (dal Vietnam) e Kerwin Valeroso (dalle Filippine), attualmente in Francia, a Parigi, per lo studio della lingua francese.
La Congregazione Salesiana, guidata dallo Spirito Santo, accoglie con coraggio e determinazione la sfida di queste nuove frontiere ed è pronta a scommetterci per donare un rinnovato entusiasmo missionario e raggiungere sempre più giovani poveri ed abbandonati in ogni parte del mondo.

Marco Fulgaro




Il seme crescente del carisma salesiano nella missione del Bangladesh

Abbiamo incontrato don Joseph Cosma Dang, salesiano vietnamita che presta servizio in Bangladesh, che ci ha raccontato la storia e le sfide di questa particolare missione.

Il Bangladesh odierno è un paese formato dopo la divisione dell’India del 1947. La regione di Bengala si divise secondo criteri religiosi: la parte occidentale, induista, rimasta sotto l’India e la parte orientale, musulmana, congiunta al Pakistan come provincia chiamata Bengala orientale e poi rinominata Pakistan orientale. Nel momento della divisione ci furono milioni di indù che emigrarono dal Bangladesh all’India e alcune migliaia di musulmani che si spostarono all’India al Bangladesh. Si capisce che il carattere religioso di questa divisione e migrazione a una grande importanza nella vita di questo popolo numeroso, di circa 170 milioni di persone, dai quali più di 89% sono musulmani, 9% induisti, 1% buddisti e 1% cristiani.
Il paese divenne indipendente dal Pakistan nel 1971 e attualmente è un paese in via di sviluppo che sta affrontando molte sfide, nonostante la sua ricchezza culturale. Molti bambini non frequentano le scuole e passano il loro tempo ad aiutare le famiglie a trovare un modo per sopravvivere, pescando, cercando legna da ardere o in altri modi. I servizi sanitari sono insufficienti per la popolazione, e tanti abitanti non possono permettersi le spese mediche.

In questa complessa situazione, i salesiani hanno sentito la chiamata di Dio a servire in questo paese, in particolare per la mancanza di pastori cattolici e per l’enorme numero di giovani emarginati e poveri. Nel 2009 don Francis Alencherry, che era Consigliere Generale per le Missioni, ha gettato le prime fondamenta della missione salesiana nella diocesi di Mymensingh come risposta all’invito del Vescovo locale. La missione, sotto l’Ispettoria di Kolkata (INC), si è sviluppata rapidamente con l’aiuto di altri missionari, tra cui don Joseph Cosma Dang, proveniente dal Vietnam, che è arrivato il 29 ottobre 2012, in occasione della festa del Beato Michele Rua, dopo un interminabile periodo di diciotto mesi di attesa per il visto. Gradualmente, il numero delle case salesiane, degli ostelli, delle scuole, dei centri giovanili, delle chiese parrocchiali e delle cappelle dei villaggi cresce al servizio dei giovani poveri e delle esigenze pastorali della chiesa locale. Attualmente, i salesiani sono presenti in due comunità canoniche composte da 5 presenze stabili: Utrail-Telunjia a Mymensingh, Lukhikul-Khonjonpur a Rajshahi, Moushair a Dhaka. Vedendo ciò che i salesiani stanno facendo, le autorità ecclesiastiche locali hanno espresso il loro riconoscimento e apprezzamento, e alcuni vescovi sono ancora in attesa di una presenza salesiana nelle loro diocesi.

Quest’opera è un seme della Chiesa che sta lentamente crescendo grazie all’aiuto di molti benefattori e collaboratori. La Provvidenza sta benedicendo il Bangladesh con vocazioni salesiane locali: 14 giovani salesiani professi provengono dalla terra del Bangladesh; tra questi, cinque giovani hanno emesso la professione perpetua e poco più tardi, entro il 19 maggio 2024, altri 4 giovani salesiani emetteranno i voti definitivi e si impegneranno in modo permanente per il “Da mihi animas, cetera tolle”. Recentemente è stato ordinato il primo sacerdote salesiano del Bangladesh, don Victor Mankhin. I salesiani si occupano di animazione vocazionale organizzando regolarmente ogni anno il campo vocazionale “Vieni e vedi” per invitare i giovani che hanno il desiderio di diventare salesiani. Il carisma salesiano si è radicato e sembra che, in cielo, don Bosco sorrida e si prenda cura del Bangladesh.

Don Joseph Cosma Dang racconta la sua vita missionaria come esperienza di fede del mistero dell’incarnazione, che cos’è la seconda nascita. “Ho dovuto imparare a mangiare, a parlare nuove lingue e a vivere con la gente del posto. Ho imparato a fare molti lavori a cui non avevo mai pensato prima di venire in Bangladesh. Con la mentalità dell’apprendimento, mi sono aperto alle nuove situazioni e alle nuove sfide con un occhio sorprendente”.
La crescita della fede è il dono più prezioso concesso da Dio. Senza dubbio, Dio è il fornitore, l’autore e noi siamo semplici collaboratori.

Marco Fulgaro




Patagonia, nelle lettere dei primi missionari

Arrivo a Patagones e avvio dell’opera
            I primi salesiani impiantarono in modo definitivo la loro missione in Patagonia il 20 gennaio 1880. Accompagnati da monsignor Antonio Espinosa, vicario dell’arcivescovo Federico Aneyros, giunsero a Carmen de Patagones don Giuseppe Fagnano, don Emilio Rizzo, don Luigi Chiaria, il catechista coadiutore Luciani e un altro «giovane loro allievo», rimasto ignoto; con loro erano presenti anche quattro suore figlie di Maria Ausiliatrice: Giovanna Borgo, Angela Vallese, Angiolina Cassolo e Laura Rodriguez.
            I missionari si impegnarono per la catechesi e la formazione degli abitanti di Patagones e Viedma aprendo un collegio intitolato a san Giuseppe, mentre le figlie di Maria Ausiliatrice fondarono un istituto dedicato a Santa Maria de Las Indias. Vennero quindi avviate spedizioni presso le colonie che sorgevano lungo il corso del Rio Negro, con l’obiettivo di garantire sostegno spirituale e catechistico agli emigrati che abitavano quelle regioni e, allo stesso tempo, iniziare in modo sistematico la catechesi per la conversione delle comunità autoctone della Patagonia.
            La presenza dei salesiani in Argentina fu favorita e seguita con interesse dal governo argentino, che non fu ovviamente spinto in questa scelta da un fervido desiderio di vedere le comunità indigene convertite al cristianesimo, ma dalla necessità di calmare l’opinione pubblica indignata per le uccisioni indiscriminate e la vendita dei prigionieri: le campagne militari del 1879 per espandere i confini si erano scontrate con la resistenza delle comunità che abitavano i territori della Pampas e Patagonia.

Usi e costumi delle comunità autoctone della Patagonia
            Conoscere gli usi, i costumi, la cultura, le credenze delle comunità che si intendevano convertire fu un impegno importante per i primi missionari: già don Giacomo Costamagna, nel corso della sua missione esplorativa verso Patagones del 1879 annotò che, una volta superato il Rio Colorado, si era imbattuto in un albero «carico di drappi, o meglio dire, cenci, cui gli Indii avevano appesi come altrettanti voti». Il missionario spiegò che l’albero non era considerato una divinità, ma semplicemente la dimora «degli dei o spiriti buoni» e che i cenci dovevano essere una sorta di offerta per placarli e renderli benevoli. Costamagna scoprì successivamente che le comunità veneravano un «Dio supremo» chiamato Gùnechen.
            Le conoscenze aumentarono negli anni. Con il tempo i missionari compresero che le comunità della Patagonia credevano in un «Essere Supremo» che amministrava e reggeva l’universo e che il loro concetto di divinità benevola però – se paragonato a quello cristiano –appariva confuso, poiché spesso non era possibile «distinguere il principio del bene, che è Dio, dal genio del male che è il demonio». I membri della comunità temevano solo «le influenze del genio cattivo», per cui alla fine gli indios imploravano solo la divinità malvagia, affinché si astenesse da ogni male.
            I missionari annotarono tristemente che le comunità indigene «nulla sanno domandare al Signore di cose spirituali» e descrissero anche come veniva affrontata la malattia e la morte di un membro della comunità. Secondo la credenza comune il demonio, chiamato Gualicho, si impossessava degli infermi e, nel caso di morte del malato, il demone “aveva vinto”: «ed allora piangono, pregano e cantano lamentazioni accompagnate da mille esorcismi, coi quali pretendono di ottenere che il genio del male lasci in pace il defunto».
            Una volta sepolto il cadavere, iniziava il periodo del lutto, che in genere durava sei giorni in cui gli Indi «gettati colla faccia al suolo», cantavano «una specie di lamentazione»; abitare dove il defunto aveva risieduto ed entrare in contatto con qualche suo effetto personale era fortemente sconsigliato, perché in quel luogo aveva abitato Gualicho.
            Non esistevano cimiteri condivisi e sopra le tombe era possibile osservare «dove due e dove tre scheletri di cavalli», che venivano sacrificati al defunto perché fossero per lui di aiuto e sostegno nell’aldilà. I cavalli venivano così uccisi sopra la tomba lasciando lì i cadaveri in modo che il morto potesse usufruire della loro carne, mentre la sella, i rifornimenti vari e i gioielli venivano seppelliti con il cadavere.
            Nella vita ordinaria, solo i più ricchi avevano abitazioni in mattoni crudi, di forma quadrata, con null’altro «che l’uscio per entrarvi, ed una apertura nel mezzo del tetto per la luce e per l’uscita del fumo», mentre le comunità lungo il corso del Rio Negro erano stabilite presso fiumi o lagune e le abitazioni erano per lo più delle semplici tende: «cuoio di cavallo o di guanaco sospeso in alto con alcuni bastoncelli fissi nel suolo». A coloro che si erano arresi, il governo argentino aveva ordinato di costruirsi un rancio, cioè, «una cameretta più o meno grande formata ordinariamente di ghioggiuoli, piante di cui abbonda il campo nei luoghi umidi». I più fortunati avevano costruito case con pali di salice e malta.
            Nel 1883 i missionari annotarono: «Oggidì e specialmente nella cattiva stagione raro succede di vedere un Indio non vestito da capo a piedi, anche tra coloro che non si sono ancora arresi. Gli uomini vestono pressoché come i nostri, meno la pulitezza che non l’hanno, ed i pantaloni che li portano d’ordinario come i Garci, a modo, come dicono essi, di Ciripà. I più poveri, se non hanno altro, s’involgono dentro di una specie di manto di stoffa la più ordinaria. Le donne portano la manta, ed è una sopravveste, che copre tutto il corpo». Le donne rimasero più a lungo fedeli ai costumi tradizionali: «le donne hanno l’ambizione di portare grossi orecchini di argento, più anelli nelle dita, ed una specie di braccialetto sui polsi, fatto a filigrana d’argento con più giri attorno al braccio. Alcune di loro e le più agiate portano pure varii giri di filigrana sopra il petto. Esse sono di natura timidissime, e quando si avvicina alla loro abitazione alcun forastiero sconosciuto si nascondono frettolosamente».
            I matrimoni seguivano la tradizione: lo sposo consegnava ai genitori della futura moglie «varii oggetti preziosi in oro e argento, come sono anelli, braccialetti, staffe, freni e simili», oppure poteva più semplicemente versare «in danaro una somma convenuta fra loro»: i padri concedevano in sposa la propria figlia solo per denaro, e per di più, lo sposo era obbligato a restare presso la dimora della sposa e a provvedere al mantenimento dell’intera famiglia.
            Tra i capi o cacicchi era diffusa la poligamia e di conseguenza, come affermava don Costamagna in una lettera pubblicata nel gennaio 1880, era difficile convincerli a rinunciarvi per poter divenire cristiani.

Evangelizzazione delle comunità autoctone: “non con le percosse, ma con la mansuetudine e con la carità dovrai guadagnare questi tuoi amici”
            Un ruolo fondamentale nell’opera di catechesi ed evangelizzazione della Patagonia fu rivestito da don Domenico Milanesio, anche per la sua opera di mediatore tra le comunità e il governo argentino.
            Il missionario raggiunse i confratelli l’8 novembre 1880 dopo essere stato nominato vicario della parrocchia di N.S. Signora della Mercede di Viedma e in una lettera a don Michele Rua del 28 marzo 1881 raccontò la sua prima missione tra «gli indii del campo», sottolineando le notevoli difficoltà riscontrate nel tentativo di istruire e catechizzare: le comunità autoctone vivevano infatti distanti le une dalle altre e don Domenico doveva recarsi di persona presso i loro toldos, ossia le abitazioni. Talvolta riusciva a radunare più famiglie insieme e allora la catechesi veniva svolta all’esterno dove, seduti sui prati, i patagoni ascoltavano la lezione di catechismo.
            Don Domenico raccontò che anche una semplice preghiera come «Gesù mio, misericordia», da lui considerata semplice e di facile memorizzazione, richiese in realtà molto tempo per essere compresa: sebbene venisse fatta ripetere tra le cinquanta e cento volte, accadeva spesso che nel giro di un paio di giorni venisse dimenticata. Il desiderio però di vedere le comunità autoctone convertite e sinceramente cristiane fu una motivazione più che sufficiente per continuare nella missione: «Ma la nostra Religione ci comanda di amarli come nostri fratelli, come figli del Padre Celeste, come anime redente dal Sangue di Gesù Cristo; e perciò colla carità paziente, benigna, e che tutto spera, si dice, si ripete un giorno, due, dieci, venti finché basta, e finalmente si riesce a far loro imparare le cose necessarie. Se vedesse poi come sono contenti dopo; è una vera consolazione per essi e per noi, che ci ricompensa di tutto».
            Non fu semplice far accettare a queste comunità le verità della fede cattolica: don Domenico, in una relazione pubblicata sul Bollettino nel novembre 1883, raccontò che nel corso di una missione presso la comunità del cacicco (capo) Willamay, presso Norquin, rischiò seriamente la vita quando l’assemblea a cui stava predicando cominciò a discutere gli insegnamenti ricevuti fino a quel momento. Lo stesso Willamay, definendo Milanesio «un raccontator di sogni alla guisa delle vecchie», si ritirò nel suo toldo, mentre c’era chi parteggiava per il missionario e chi invece era dello stesso avviso del cacicco; di fronte a questa situazione Milanesio preferì rimanere in disparte e come annotò lui stesso: «Io poi me ne stava silenzioso aspettando l’esito di quell’agitamento di animi, il quale mi si faceva foriere di sinistra avventura. Ad un certo punto credetti veramente che fosse per me giunta l’ora di buscarmi almeno qualche bastonata da quei barbari, e forse anche di lasciare in mezzo di loro la mia pelle». Fortunatamente prevalse alla fine il partito che sosteneva il missionario, così il salesiano poté concludere la sua catechesi tra i ringraziamenti della comunità.
            Catechizzare queste popolazioni non fu quindi un’impresa facile e i salesiani furono ostacolati dai militari argentini che, con i loro atteggiamenti e con le loro abitudini, offrirono esempi negativi del vivere cristianamente.
            Don Fagnano registrò: «La conversione degli Indiani non è tanto facile ad ottenersi, quando sono obbligati a vivere presso a certi soldati, i quali non danno loro buon esempio di moralità; e nei loro toldos per ora non si può penetrare senza pericolo della vita, perché questi selvaggi si servono di tutti i mezzi per vendicarsi contro i Cristiani, che, secondo loro, vanno ad impadronirsi dei loro campi e dei loro bestiami». Lo stesso salesiano scrisse anche di due comunità che, stabilitesi a poca distanza da un accampamento argentino dove erano state aperte «botteghe da liquori», si abbandonarono «al vizio della ubriachezza». Don Fagnano rimproverò i militari che «per vile guadagno», posero le basi per rendere gli Indi ancora più propensi ad abbandonarsi a «bestiali disordini».
            Don Fagnano e don Milanesio continuarono però ad avvicinare, catechizzare e formare queste comunità, a «istruirli nelle verità del Vangelo, educarli colla parola, ma più con il buono esempio», nonostante il pericolo, perché, come da desiderio di don Bosco, potessero divenire «buoni cristiani e onesti cittadini”.

Giacomo Bosco




Preparazioni per il 150° Anniversario della Prima Spedizione Missionaria salesiana (1875-2025)

L’anno prossimo, 2025, si compiono 150 anni della partenza per la prima spedizione missionaria salesiana. In vista di quest’anniversario, il dicastero delle Missioni Salesiane vuole preparare l’evento e lancia un’introduzione per le comunità salesiane, in modo puntuale. Questo avvenimento viene proposto come: Ringraziare, Ripensare, Rilanciare.

Ringraziare: Ringraziamo Dio per il dono della vocazione missionaria che permette oggi ai figli di Don Bosco di raggiungere i giovani poveri e abbandonati in 136 paesi.

Ripensare: È un’occasione propizia per ripensare e sviluppare una visione rinnovata delle missioni salesiane alla luce delle nuove sfide e delle nuove prospettive che hanno portato a nuove riflessioni missiologiche.

Rilanciare: Non abbiamo solo una storia gloriosa da ricordare e di cui essere grati, ma anche una grande storia ancora da realizzare! Guardiamo al futuro con zelo missionario ed entusiasmo rinnovato per raggiungere un numero ancora maggiore di giovani poveri e abbandonati.

Il Logo Ufficiale: il globo terrestre attraversato da alcune onde, che simboleggiano il coraggio e le nuove sfide, ma anche il dinamismo e la temerarietà. Al centro si trova una nave, simbolo della prima spedizione missionaria salesiana (1875), e il fuoco di un rinnovato entusiasmo missionario. La forma della ruota allude all’unità e alla connessione reciproca. È possibile utilizzare il logo, ma solo nella versione ufficiale senza fare modifiche o cambiamenti in nessuna parte del logo. È possibile scaricarlo in diversi formati (http://tinyurl.com/49zh69je), oppure richiederlo via e-mail (cagliero11 @ sdb.org).

L’obiettivo delle celebrazioni:
Mantenere vivo lo spirito e l’entusiasmo missionario nella Congregazione, al fine di promuovere un maggiore zelo missionario e una maggiore generosità tra i Salesiani e di tutta la CEP (Comunità Educativo Pastorale) (cf. Linee programmatiche del Rettore Maggiore per la Congregazione Salesiana dopo il Capitolo Generale 28, n. 7, ACG 433/2020).

Non è un evento ma un processo di rinnovamento missionario
Il 150° anniversario della prima spedizione missionaria non deve essere un evento commemorativo, ma un processo di rinnovamento missionario già iniziato con la stesura del piano sessennale di animazione missionaria. Il suo momento forte è il 2025, ma continua negli anni successivi. Ciò avviene a tre livelli.

1. A livello ispettoriale
Le celebrazioni avverranno principalmente a livello di Ispettoria.  Attraverso il CORAM (Coordinatori Regionali per l’Animazione Missionaria), il Settore Missioni continuerà a seguire il piano di animazione missionaria di ogni Ispettoria, di cui fanno parte le iniziative a livello Ispettoriale per il 2025.

Nel contesto delle celebrazioni, tramite il DIAM (Delegati Ispettoriali per l’Animazione Missionaria), ogni Ispettoria sarà attivamente incoraggiata a valutare come ha messo in pratica le Linee Programmatiche n. 2, 5, 7.

“È urgente dare priorità assoluta all’impegno per l’evangelizzazione dei giovani con proposte consapevoli, intenzionali ed esplicite. Siamo invitati a far conoscere loro Gesù e la Buona Novella del Vangelo per la loro vita. […] Rispondere alla «urgenza di riproporre con più convinzione il primo annuncio, perché “non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio”» (Christus Vivit, no. 214) (Linee Programmatiche, n. 2)

Ogni Ispettoria fa l’opzione radicale, preferenziale, personale – cioè da parte di ogni salesiano – e istituzionale a favore dei più bisognosi, dei ragazzi, delle ragazze e dei giovani poveri ed esclusi, con particolare attenzione alla difesa di coloro che sono sfruttati e vittime di qualsiasi abuso e violenza (“abuso di potere, economico, di coscienza, sessuale”) (Linee Programmatiche n. 5).
Abbiamo concretizzato l’appello missionario invitando ogni Ispettoria ad aprire al proprio interno un progetto missionario (rifugiati, immigrati, valichi di frontiera, bambini sfruttati…) durante il sessennio precedente, dando priorità alla significatività e alle reali richieste di aiuto dei giovani di oggi (Linee Programmatiche n. 7).”

Ad ogni Ispettoria verrà chiesto di presentare un’iniziativa concreta per il 2025 (per esempio: le ispettorie ARS e ARN sta preparando un Congresso storico, la Visitatoria ZMB ha iniziato già una nuova presenza in Botswana, ecc.) che verrà socializzata attraverso l’ANS (Agenzia iNfo Salesiana), ecc.

2. A livello del Settore Missioni
Tutto l’anno 2025 sarà un’occasione per socializzare il risultato del lavoro in corso nel Settore Missioni su rifugiati, rom, “Lo sviluppo dalla prospettiva salesiana”, identità dei Musei Salesiani, identità delle Procure Missionarie Ispettoriale, Tavola rotonda di missiologi e teologi sulle missioni salesiane oggi, Volontariato Missionario Salesiano, Bosco Food (per favorire una mentalità interculturale), sussidi per l’Animazione Missionaria, per la GMS (Giornata Missionaria Salesiana) 2025, ecc.

3. A livello di Congregazione
L’invio missionario l’11 novembre 2025 nella Basilica di Maria Ausiliatrice, a Valdocco. È una celebrazione con la quale la Congregazione rinnova, davanti a Maria Ausiliatrice, il suo impegno missionario.

Il Rettor Maggiore invita ogni Ispettoria ad inviare il DIAM per la celebrazione. Trascorreranno alcuni giorni (9-12 novembre 2025) a Valdocco e Genova per “Ringraziare, Ripensare, Rilanciare.”




1924-2024. 100 anni a supporto delle Missioni Salesiane. Istituto Salesiano per le Missioni

Il 13 gennaio del 1924, con un decreto reale, veniva eretto in ente morale l’Istituto Salesiano per le Missioni, per un’iniziativa del Rettor Maggiore, il beato Filippo Rinaldi, che voleva sostenere le attività missionarie. L’Istituto prosegue anche oggi il suo compito a favore di tante missioni nel mondo.

Negli anni ’20, le missioni salesiane stavano aumentando, coltivate dalle lettere dei missionari che venivano presentate costantemente nel Bollettino Salesiano, dell’effervescenza prodotta in quelli anni dalle nuove scoperte geografiche e culturali e da tante persone che, emigrando lontano dalla patria in cerca di una vita migliore, inviavano notizie a coloro che erano rimasti a casa. Una serie di avvenimenti venne a rafforzare l’attenzione per le missioni.

Nel 1922, per la formazione dei futuri missionari don Rinaldi aveva fondato ad Ivrea l’Istituto Cardinal Cagliero, che solo dopo un anno dall’inizio contava già centosessanta candidati. Codesto istituto verrà riconosciuto dalla S. Congregazione di Propaganda Fide il 30 aprile 1924 con un decreto nel quale si erigeva canonicamente l’Istituto Cardinal Cagliero come seminario di aspiranti alle Missioni Salesiane, lo si dichiarava «alle sue dipendenze, e partecipe di tutti i diritti e privilegi di cui godono simili Istituti» e se ne sanciva e comunicava lo statuto.

Questo interesse in crescita nel 1923 ha portato il Rettor Maggiore Filippo Rinaldi a fondare una rivista chiamata “Gioventù missionaria” con lo scopo di animare e coltivare il lavoro per le missioni tra le nuove generazioni. Nel primo numero si leggeva: “Gioventù Missionaria fa dunque assegnamento sulla vostra attiva propaganda [di far conoscere l’attività dei missionari]. E attende anche meglio da voi tutti: spera trovare in voi i missionari dei… missionari. Essa lancerà frequenti, continui appelli al vostro buon cuore perché vogliate farvi apostoli zelanti di un’idea: le Missioni.”

Nel 9 di novembre 1923, il re d’Italia, Vittorio Emanuele III, aveva firmato un decreto sulla dispensa provvisoria della leva militare per i giovani che si preparavano ad andare nelle missioni, oppure per coloro che erano già missionari. Questo cambiamento ha favorito e ha dato un impulso alla preparazione dei missionari, tanto che la Congregazione Salesiana ha stabilito un numero di 31 istituti religiosi che preparavano i giovani per le missioni: 15 in Italia e i restanti all’estero.

Nel giugno 1924 il Rettor Maggiore, don Filippo Rinaldi, scriveva ai salesiani a proposito delle missioni:
“E, cosa mirabile, i giovani stessi di molti nostri collegi, pensionati, convitti, e principalmente oratorii festivi, sono già divenuti apostoli ferventi, suscitano e tengono viva tra i compagni una nobile gara di privazioni e mortificazioni spontanee a pro delle nostre Missioni; di lotterie, recite drammatiche, e altri trattenimenti per lo stesso fine; di letterine ai genitori, ai fratelli, ai conoscenti ed amici per avere qualche offerta, o per indurli a iscriversi tra i Cooperatori o ad abbonarsi al caro periodico Gioventù Missionaria. E non di rado avviene che, a forza di questuare per le Missioni, qualche giovane finisce per dare anche sé stesso, facendosi missionario salesiano.”

Nel 1925 era programmata una nuova Esposizione Missionaria Mondiale che si doveva tenere in Vaticano, alla quale partecipavano anche i salesiani, e l’inaugurazione solenne, presieduta dal Santo Padre Pio XI, era pianificata per il dicembre 1924. Una spinta in più che induce don Filippo Rinaldi ad affidare il compito delle missioni (fino a quel momento riservato a sé), al Prefetto Generale, don Pietro Ricaldone che doveva seguire i preparativi. Diceva a questo proposito: “L’articolo 62 dei nostri Regolamenti dice: La cura delle Missioni è affidata a uno del Capitolo Superiore, a ciò delegato dal Rettor Maggiore. Valendomi di tale facoltà, delego a ciò il R.mo D. Pietro Ricaldone, Prefetto Generale. Già per altre sue attribuzioni egli è in rapporto coi nostri missionari, e mi pare quindi il più indicato anche per ragioni di semplicità. Essendo poi egli colui che fa le veci del Rettor Maggiore, tale delegazione non diminuisce quel contatto ch’io desidero conservare coi miei carissimi missionari, così lontani e alle volte esposti a così gravi pericoli e sorprese.”

Quando don Bosco finì la sua vita terrena, i salesiani missionari erano presenti in cinque paesi dell’America Latina, in numero di circa 150, fra i 773 salesiani in tutta la Congregazione. Il loro numero crebbe tanto che fino al 1925 erano partiti per le missioni circa 3000 salesiani. Un numero così grande di missionari, con un numero grande anche delle opere missionarie, per non parlare dei beneficiari delle missioni, richiedeva un’organizzazione ingente, tanto nella preparazione di questi generosi salesiani quanto nelle risorse materiali.

Si stavano approntando anche i preparativi per celebrare il cinquantesimo della prima Spedizione Missionaria (1875-1925). A proposito di questo, il Bollettino Salesiano del giugno 1924 scriveva:
“Avvicinandosi il Cinquantenario delle Missioni Salesiane (1875-1925), raccomandiamo a tutti la celebrazione delle Giornate Missionarie a favore delle Missioni Salesiane, per diffonderne la conoscenza e i bisogni, e guadagnare ad esse maggiori simpatie, perché raggiungano quell’appoggio di cui abbisognano quotidianamente.
Ma le Giornate Missionarie non possono raccogliere, d’un tratto, quegli aiuti che sono necessari. I nostri Missionari, ad es., chiedono con quotidiana insistenza — non solo lini e oggetti per l’esercizio del sacro ministero — ma anche, e soprattutto, tele, abiti, calzature, per vestire i piccoli alunni dei numerosi Orfanotrofi e gli altri neofiti, e medicine e mille altre cose necessarie per assistere fraternamente ed iniziare alla vita civile i nuovi cristiani.”

A questo scopo fu necessario fondare un ente giuridico, Istituto Salesiano per le Missioni, che si occupasse delle necessità missionarie. Il suo atto costitutivo fu registrato già il 18 ottobre del 1922 presso il registro notarile di Moncalieri (oggi un comune nell’area metropolitana di Torino), da parte di don Rinaldi, Rettor Maggiore e alcuni suoi collaboratori. Fu un atto di nascita di un ente che rifletteva l’interesse in crescita per le missioni salesiane. Nel 1924 fu riconosciuto civilmente come ente morale, con il decreto reale n. 22 del 13.01.1924.

Lungo un secolo, l’Istituto Salesiano per le Missioni ha fatto da intermediario tra i benefattori e i beneficiati delle missioni. Un bene incalcolabile fatto da tante persone – molte volte in modo nascosto – che hanno voluto partecipare a questa nobile attività e che con certezza saranno copiosamente ricompensate da Dio. Don Bosco sosteneva che la generosità dei benefattori è sempre riscambiata da Dio, e non solo nella vita eterna.

Il compito dell’Istituto Salesiano per le Missioni iniziato cento anni fa non si è fermato, non essendosi fermate le necessità. Continua anche oggi perché l’educazione dei ragazzi, specialmente dei più poveri, è una missione continua. Di benefattori c’è sempre bisogno perché Dio vuol far partecipare tutti alla sua opera salvifica. Dipende da ognuno se vuol essere cooperatore di Dio. E se qualcuno vuole, lo può fare contattando questo istituto ai recapiti indicati in calce.

Istituto Salesiano per le Missioni
Via Maria Ausiliatrice, 32
10152 Torino
CF 00155220494
tel. +39 011.5224.248
istitutomissioni@sdb.org
istitutosalesianoperlemissioni@pec.it




Missionario in Patagonia

Patagonia, la regione meridionale dell’America del Sud, divisa tra Argentina e Cile, è un territorio presente nei primi sogni missionari di don Bosco. Anche questo “sogno” si è concretizzato in una missione che porta frutti anche oggi.

            Il nome deriva dagli indigeni di quelle terre, patagoni, termine usato da Ferdinando Magellano, indigeni che oggi sono identificati come tribù dei tehuelche e degli aonikenk. Questi nativi sono stati sognati da don Bosco nel 1872, come racconta don Lemoyne nelle sue MemorieBiografiche (MB X,54-55).

            “Mi parve di trovarmi in una regione selvaggia ed affatto sconosciuta. Era un’immensa pianura, tutta incolta, nella quale non scorgevansi né colline né monti. Nelle estremità lontanissime però tutta la profilavano scabrose montagne. Vidi in essa turbe di uomini che la percorrevano. Erano quasi nudi, di un’altezza e statura straordinaria, di un aspetto feroce, coi capelli ispidi e lunghi, di colore abbronzato e nerognolo, e solo vestiti di larghi mantelli di pelli di animali, che loro scendevano dalle spalle. Avevano per armi una specie di lunga lancia e la fionda (il lazo).
Queste turbe di uomini, sparse qua e là, offrivano allo spettatore scene diverse: questi correvano dando la caccia alle fiere; quelli andavano, portavano conficcati sulle punte delle lance pezzi di carne sanguinolenta. Da una parte gli uni si combattevano fra di loro: altri venivano alle mani con soldati vestiti all’europea, ed il terreno era sparso di cadaveri. Io fremeva a questo spettacolo: ed ecco spuntare all’estremità della pianura molti personaggi, i quali, dal vestito e dal modo di agire, conobbi Missionari di varii Ordini. Costoro si avvicinavano per predicare a quei barbari la religione di Gesù Cristo. Io li fissai ben bene, ma non ne conobbi alcuno. Andarono in mezzo a quei selvaggi; ma i barbari, appena li vedevano, con un furore diabolico, con una gioia infernale, loro erano sopra e tutti li uccidevano, con feroce strazio li squartavano, li tagliavano a pezzi, e ficcavano i brani di quelle carni sulla punta delle loro lunghe picche. Quindi si rinnovavano di tanto in tanto le scene delle precedenti scaramucce fra di loro e con i popoli vicini.
Dopo di essere stato ad osservare quegli orribili in macelli, dissi tra me: – Come fare a convertire questa gente così brutale? – Intanto vedo in lontananza un drappello d’altri missionari che si avvicinavano ai selvaggi con volto ilare, preceduti da una schiera di giovinetti.
Io tremava pensando: – Vengono a farsi uccidere. – E mi avvicinai a loro: erano chierici e preti. Li fissai con attenzione e li riconobbi per nostri Salesiani. I primi mi erano noti e sebbene non abbia potuto conoscere personalmente molti altri che seguivano i primi, mi accorsi essere anch’essi Missionari Salesiani, proprio dei nostri. 
 – Come mai va questo? – esclamava. Non avrei voluto lasciarli andare avanti ed era lì per fermarli. Mi aspettava da un momento all’altro che incorressero la stessa sorte degli antichi Missionari. Voleva farli tornare indietro, quando vidi che il loro comparire, mise in allegrezza tutte quelle turbe di barbari, le quali abbassarono le armi, deposero la loro ferocia ed accolsero i nostri Missionari con ogni segno di cortesia. Maravigliato di ciò diceva fra me: – Vediamo un po’ come ciò andrà a finire! – E vidi che i nostri Missionari si avanzavano verso quelle orde di selvaggi; li istruivano ed essi ascoltavano volentieri la loro voce; insegnavano ed essi imparavano con premura; ammonivano, ed essi accettavano e mettevano in pratica le loro ammonizioni.
Stetti ad osservare, e mi accorsi che i Missionari recitavano il santo Rosario, mentre i selvaggi, correndo da tutte parti, facevano ala al loro passaggio e di buon accordo rispondevano a quella preghiera.
Dopo un poco i Salesiani andarono a porsi nel centro di quella folla che li circondò, e s’inginocchiarono. I selvaggi, deposte le armi per terra ai piedi dei Missionari, piegarono essi pure le ginocchia.
Ed ecco uno dei Salesiani intonare: Lodate Maria, o lingue fedeli, e quelle turbe, tutte ad una voce, continuare il canto di detta lode, così all’unisono e con tanta forza di voce, che io, quasi spaventato, mi svegliai.
Questo sogno l’ebbi quattro o cinque anni fa e fece molta impressione sul mio animo, ritenendo che fosse un avviso celeste. Tuttavia non ne capii bene il significato particolare. Intesi però che trattavasi di Missioni straniere, le quali prima d’ora avevano formato il mio più vivo desiderio.

Il sogno, adunque, avvenne verso il 1872. Dapprima don Bosco credette che fossero i popoli dell’Etiopia, poi pensò ai dintorni di Hong-Kong, quindi alle genti dell’Australia e delle Indie; e solo nel 1874, quando ricevette, come vedremo, i più pressanti inviti di mandare i Salesiani all’Argentina, conobbe chiaramente, che i selvaggi veduti in sogno erano gli indigeni di quell’immensa regione, allora quasi sconosciuta, che era la Patagonia.

            La missione, iniziata quasi 150 anni fa, continua anche oggi.
            Un salesiano, padre Ding, ha sentito la chiamata missionaria ai suoi 50 anni. È una chiamata dentro la chiamata: all’interno della vocazione a seguire Dio come consacrato nella Congregazione Salesiana, qualcuno sente la richiesta di un ulteriore passo, lasciare tutto e partire per portare il Vangelo in posti nuovi, la “missio ad gentes” per tutta la vita. Dopo aver finito l’incarico di delegato ispettoriale per le Missioni nei suoi ultimi anni nelle Filippine, si è reso disponibile per far parte della 152esima spedizione missionaria e, nel 2021, è stato assegnato alla Patagonia, nell’ispettoria Argentina-Sud (ARS).
            Dopo un corso per nuovi missionari salesiani, ridotto a causa del COVID, e la consegna della croce missionaria il 21 Novembre 2021, il primo impegno è stato quello dello studio della lingua spagnola, insieme al suo compagno padre Barnabé, dal Benin, a Salamanca, in Spagna. Ma una volta arrivati in Argentina, padre Ding si è reso conto di non riuscire a comprendere tanto per la velocità nel parlare e le differenze dell’accento. Continua ad inculturarsi a Buenos Aires, dopo di che raggiungerà la sua meta, la Patagonia, terra dei primi missionari salesiani. L’accoglienza e la gentilezza delle persone a Buenos Aires lo hanno fatto sentire a casa e lo hanno aiutato a superare gli “shock” culturali.

Ci racconta:
Come si arriva a confermarsi nella propria vocazione missionaria? Nel quotidiano, grazie alle attività di ogni giorno a scuola, in parrocchia e in oratorio. Lo spirito di don Bosco è vivo nel paese che accolse i primi missionari salesiani, proprio a La Boca dove iniziò il primo lavoro parrocchiale salesiano. Uno dei segreti che permette questa vitalità ancora oggi è l’impegno dei laici corresponsabili, che con fedeltà e creatività si mettono a disposizione, lavorando fianco a fianco con i salesiani. Un vero esempio di spirito di famiglia e dedizione alla missione, che realizza praticamente le riflessioni del Capitolo Generale 24 sulla collaborazione tra salesiani e laici.
            Un altro aspetto che colpisce in questa terra è l’instancabile lavoro a favore dei poveri e degli emarginati. Presso La Boca, la domenica viene preparato un pranzo per i poveri della città e si possono vedere collaboratori della scuola, parrocchiani e membri della Famiglia Salesiana, tutti insieme, a cucinare e aiutare i più bisognosi, tutti impegnati, iniziando dal direttore della comunità e preside della scuola. L’oratorio è molto attivo, con animatori ferventi e il gruppo degli “esploratori”, simili agli scout che seguono i valori del Vangelo e di don Bosco.

            Nonostante la sfida della barriera linguistica, padre Ding ci dice: Quello che ho imparato qui è che si comprende tutti e tutto, solo se ci si dona con l’intero cuore per la missione affidata, per le persone con cui e per cui si vive.
            Nei prossimi mesi, Villa Regina (Río Negro) sarà la sua nuova casa, in Patagonia. Gli auguriamo una santa missione.

Marco Fulgaro