Diventare un segno di speranza in eSwatini – Lesotho – Sudafrica dopo 130 anni

Nel cuore dell’Africa australe, tra le bellezze naturali e le sfide sociali di eSwatini, Lesotho e Sudafrica, i Salesiani celebrano 130 anni di presenza missionaria. In questo tempo di Giubileo, di Capitolo Generale e di anniversari storici, l’Ispettoria Africa Meridionale condivide i suoi segni di speranza: la fedeltà al carisma di Don Bosco, l’impegno educativo e pastorale tra i giovani e la forza di una comunità internazionale che testimonia fraternità e resilienza. Nonostante le difficoltà, l’entusiasmo dei giovani, la ricchezza delle culture locali e la spiritualità dell’Ubuntu continuano a indicare strade di futuro e di comunione.

Saluti fraterni dai Salesiani della più piccola Visitatoria e della più antica presenza nella Regione Africa-Madagascar (dal 1896, i primi 5 confratelli furono inviati da Don Rua). Quest’anno ringraziamo i 130 SDB che hanno lavorato nei nostri 3 Paesi e che ora intercedono per noi dal cielo. “Piccolo è bello”!

Nel territorio dell’AFM vivono 65 milioni di persone che comunicano in 12 lingue ufficiali, tra tante meraviglie della natura e grandi risorse del sottosuolo. Siamo tra i pochi Paesi dell’Africa sub-sahariana in cui i cattolici sono una piccola minoranza rispetto alle altre Chiese cristiane, con soli 5 milioni di fedeli.

Quali sono i segni di speranza che i nostri giovani e la società stanno cercando?
In primo luogo, stiamo cercando di superare i famigerati record mondiali del crescente divario tra ricchi e poveri (100.000 milionari contro 15 milioni di giovani disoccupati), della mancanza di sicurezza e della crescente violenza nella vita quotidiana, del collasso del sistema educativo, che ha prodotto una nuova generazione di milioni di analfabeti, alle prese con diverse dipendenze (alcool, droga…). Inoltre, a 30 anni dalla fine del regime di apartheid nel 1994, la società e la Chiesa sono ancora divise tra le varie comunità in termini di economia, opportunità e molte ferite non ancora rimarginate. In effetti, la comunità del “Paese dell’Arcobaleno” sta lottando con molte “lacune” che possono essere “riempite” solo con i valori del Vangelo.

Quali sono i segni di speranza che la Chiesa cattolica in Sudafrica sta cercando?
Partecipando all’incontro triennale “Joint Witness” dei superiori religiosi e dei vescovi nel 2024, ci siamo resi conto di molti segni di declino: meno fedeli, mancanza di vocazioni sacerdotali e religiose, invecchiamento e diminuzione del numero di religiosi, alcune diocesi in bancarotta, continua perdita/diminuzione di istituzioni cattoliche (assistenza medica, istruzione, opere sociali o media) a causa del forte calo di religiosi e laici impegnati. La Conferenza episcopale cattolica (SACBC – che comprende Botswana, eSwatini e Sudafrica) indica come priorità l’assistenza ai giovani dipendenti dall’alcool e da altre sostanze varie.

Quali sono i segni di speranza che i salesiani dell’Africa meridionale stanno cercando?
Preghiamo ogni giorno per nuove vocazioni salesiane, per poter accogliere nuovi missionari. È infatti finita l’epoca dell’Ispettoria anglo-irlandese (fino al 1988) e il Progetto Africa non comprendeva la punta meridionale del continente. Dopo 70 anni in eSwatini (Swaziland) e 45 anni in Lesotho, abbiamo solo 4 vocazioni locali da ciascun Regno. Oggi abbiamo solo 5 giovani confratelli e 4 novizi in formazione iniziale. Tuttavia, la Visitatoria più piccola dell’Africa-Madagascar, attraverso le sue 7 comunità locali, è incaricata dell’educazione e della cura pastorale in 6 grandi parrocchie, 18 scuole primarie e secondarie, 3 centri di formazione professionale (TVET) e diversi programmi di assistenza sociale. La nostra comunità ispettoriale, con 18 nazionalità diverse tra i 35 SDB che vivono nelle 7 comunità, è un grande dono e una sfida da accogliere.

Come comunità cattolica minoritaria e fragile dell’Africa australe
Crediamo che l’unica strada per il futuro sia quella di costruire più ponti e comunione tra i religiosi e le diocesi: più siamo deboli più ci sforziamo di lavorare insieme. Poiché tutta la Chiesa cattolica cerca di puntare sui giovani, Don Bosco è stato scelto dai vescovi come Patrono della Pastorale Giovanile e la sua Novena viene celebrata con fervore nella maggior parte delle diocesi e delle parrocchie all’inizio dell’anno pastorale.

Come Salesiani e Famiglia Salesiana, ci incoraggiamo costantemente a vicenda: “work in progress” (un lavoro costante)
Negli ultimi due anni, dopo l’invito del Rettor Maggiore, abbiamo cercato di rilanciare il nostro carisma salesiano, con la saggezza di una visione e direzione comune (a partire dall’assemblea annuale ispettoriale), con una serie di piccoli e semplici passi quotidiani nella giusta direzione e con la saggezza della conversione personale e comunitaria.

Siamo grati per l’incoraggiamento di don Pascual Chávez per il nostro recente Capitolo Ispettoriale del 2024: «Sapete bene che è più difficile, ma non impossibile, “rifondare” che fondare [il carisma], perché ci sono abitudini, atteggiamenti o comportamenti che non corrispondono allo spirito del nostro Santo Fondatore, don Bosco, e al suo Progetto di Vita, e hanno “diritto di cittadinanza” [nell’Ispettoria]. C’è davvero bisogno di una vera conversione di ogni confratello a Dio, tenendo il Vangelo come suprema regola di vita, e di tutta l’Ispettoria a Don Bosco, assumendo le Costituzioni come vero progetto di vita».

È stato votato il consiglio di don Pascual e l’impegno: “Diventare più appassionati di Gesù e dedicati ai giovani”, investendo nella conversione personale (creando uno spazio sacro nella nostra vita, per lasciare che Gesù la trasformi), nella conversione comunitaria (investendo nella formazione permanente sistematica mensile secondo un tema) e nella conversione ispettoriale (promuovendo la mentalità ispettoriale attraverso “One Heart One Soul” – frutto della nostra assemblea ispettoriale) e con incontri mensili online dei direttori.

Sull’immaginetta-ricordo della nostra Visitatoria del Beato Michele Rua, accanto ai volti di tutti i 46 confratelli e 4 novizi (35 vivono nelle nostre 7 comunità, 7 sono in formazione all’estero e 5 SDB sono in attesa del visto, con uno a San Callisto-catacombe e un missionario che sta facendo chemioterapia in Polonia). Siamo anche benedetti da un numero crescente di confratelli missionari che vengono inviati dal Rettor Maggiore o per un periodo specifico da altre Ispettorie africane per aiutarci (AFC, ACC, ANN, ATE, MDG e ZMB). Siamo molto grati a ciascuno di questi giovani confratelli. Crediamo che, con il loro aiuto, la nostra speranza di rilancio carismatico stia diventando tangibile. La nostra Visitatoria – la più piccola dell’Africa-Madagascar, dopo quasi 40 anni dalla fondazione, non ha ancora una vera e propria casa ispettoriale. La costruzione è iniziata, con l’aiuto del Rettor Maggiore, solo l’anno scorso. Anche qui diciamo: “lavori in corso”…

Vogliamo condividere anche i nostri umili segni di speranza con tutte le altre 92 Ispettorie in questo prezioso periodo del Capitolo Generale. L’AFM ha un’esperienza unica di 31 anni di volontari missionari locali (coinvolti nella Pastorale Giovanile del Centro Giovanile Bosco di Johannesburg dal 1994), il programma “Love Matters” per una sana crescita sessuale degli adolescenti dal 2001. I nostri volontari, infatti, coinvolti per un anno intero nella vita della nostra comunità, sono membri più preziosi della nostra Missione e dei nuovi gruppi della Famiglia Salesiana che stanno lentamente crescendo (VDB, Salesiani Cooperatori e Ex-allievi di Don Bosco).

La nostra casa madre di Città del Capo celebrerà già l’anno prossimo il suo cento trentesimo (130°) anniversario e, grazie al cento cinquantesimo (150°) anniversario delle Missioni Salesiane, abbiamo realizzato, con l’aiuto dell’Ispettoria della Cina, una speciale “Stanza della Memoria di San Luigi Versiglia”, dove il nostro Protomartire trascorse un giorno durante il suo ritorno dall’Italia in Cina-Macao nel maggio 1917.

Don Bosco ‘Ubuntu’ – cammino sinodale
 “Siamo qui grazie a voi!” – Ubuntu è uno dei contributi delle culture dell’Africa meridionale alla comunità globale. La parola in lingua Nguni significa “Io sono perché voi siete” (“I’m because you are!”. Altre possibili traduzioni: “Ci sono perché ci siete voi”). L’anno scorso abbiamo intrapreso il progetto “Eco Ubuntu” (progetto di sensibilizzazione ambientale della durata di 3 anni) che coinvolge circa 15.000 giovani delle nostre 7 comunità in eSwatini, Lesotho e Sudafrica. Oltre alla splendida celebrazione e alla condivisione del Sinodo dei Giovani 2024, i nostri 300 giovani [che hanno partecipato] conservano soprattutto Ubuntu nei loro ricordi. Il loro entusiasmo è una fonte di ispirazione. L’AFM ha bisogno di voi: Ci siamo grazie a voi!

Marco Fulgaro




Il volontariato missionario cambia la vita dei giovani in Messico

Il volontariato missionario rappresenta un’esperienza che trasforma profondamente la vita dei giovani. In Messico, l’Ispettoria Salesiana di Guadalajara ha sviluppato da decenni un percorso organico di Volontariato Missionario Salesiano (VMS) che continua a incidere in modo duraturo nel cuore di molti ragazzi e ragazze. Grazie alle riflessioni di Margarita Aguilar, coordinatrice del volontariato missionario a Guadalajara, condivideremo il cammino riguardante le origini, l’evoluzione, le fasi di formazione e le motivazioni che spingono i giovani a mettersi in gioco per servire le comunità in Messico.

Origini
Il volontariato, inteso come impegno a favore degli altri nato dall’esigenza di aiutare il prossimo tanto sul piano sociale quanto su quello spirituale, si rafforzò nel tempo con il contributo di governi e ONG per sensibilizzare sui temi della salute, dell’istruzione, della religione, dell’ambiente e altro ancora. Nella Congregazione Salesiana, lo spirito volontario è presente fin dalle origini: Mamma Margherita, accanto a Don Bosco, fu tra i primi “volontari” nell’Oratorio, impegnandosi nell’assistenza ai giovani per compiere la volontà di Dio e contribuire alla salvezza delle loro anime. Già il Capitolo Generale XXII (1984) iniziò a parlare esplicitamente di volontariato, e i capitoli successivi insistettero su questo impegno come dimensione inscindibile della missione salesiana.

In Messico i Salesiani sono suddivisi in due Ispettorie: Città del Messico (MEM) e Guadalajara (MEG). È proprio in quest’ultima che, a partire dalla metà degli anni Ottanta, si è strutturato un progetto di volontariato giovanile. L’Ispettoria di Guadalajara, fondata 62 anni fa, offre da quasi 40 anni la possibilità a giovani desiderosi di sperimentare il carisma salesiano di dedicare un periodo di vita al servizio delle comunità, soprattutto nelle zone di frontiera.

Nel 24 ottobre 1987 l’ispettore inviò un gruppo di quattro giovani insieme a salesiani nella città di Tijuana, in una zona di confine in forte espansione salesiana. Fu l’avvio del Volontariato Giovanile Salesiano (VJS), che si sviluppò gradualmente e si organizzò in modo sempre più strutturato.

L’obiettivo iniziale era proposto ai giovani di circa 20 anni, disponibili a dedicare da uno a due anni per costruire i primi oratori nelle comunità di Tijuana, Ciudad Juárez, Los Mochis e altre località al nord. Molti ricordano i primi giorni: paletta e martello in mano, convivenza in case semplici con altri volontari, pomeriggi trascorsi con bambini, adolescenti e giovani del quartiere giocando nel terreno dove sarebbe sorto l’oratorio. Mancava talvolta il tetto, ma non mancavano la gioia, il senso di famiglia e l’incontro con l’Eucaristia.

Quelle prime comunità di salesiani e volontari portarono nei cuori l’amore per Dio, per Maria Ausiliatrice e per Don Bosco, manifestando spirito pionieristico, ardore missionario e cura totale per gli altri.

Evoluzione
Con il crescere dell’Ispettoria e della Pastorale Giovanile, emerse la necessità di itinerari formativi chiari per i volontari. L’organizzazione si rafforzò attraverso:
Questionario di candidatura: ogni aspirante volontario compilava una scheda e rispondeva a un questionario che delineava le sue caratteristiche umane, spirituali e salesiane, avviando il processo di crescita personale.

Corso di formazione iniziale: laboratori teatrali, giochi e dinamiche di gruppo, catechesi e strumenti pratici per le attività sul campo. Prima della partenza, i volontari si riunivano per concludere la formazione e ricevere l’invio nelle comunità salesiane.

Accompagnamento spirituale: si invitava il candidato a farsi accompagnare da un salesiano nella sua comunità di origine. Per un certo periodo, la preparazione fu svolta insieme agli aspiranti salesiani, rafforzando l’aspetto vocazionale, anche se poi questa prassi subì modifiche in base all’animazione vocazionale dell’Ispettoria.

Incontro ispettoriale annuale: ogni dicembre, in prossimità della Giornata Internazionale del Volontario (5 dicembre), i volontari si incontrano per valutare l’esperienza, riflettere sul cammino di ciascuno e consolidare i processi di accompagnamento.

Visite alle comunità: l’équipe di coordinamento visita regolarmente le comunità in cui operano i volontari, per sostenere non solo i giovani stessi, ma anche salesiani e laici della comunità educativa-pastorale, rafforzando le reti di sostegno.

Progetto di vita personale: ogni candidato elabora, con l’aiuto dell’accompagnatore spirituale, un progetto di vita che aiuti a integrare la dimensione umana, cristiana, salesiana, vocazionale e missionaria. È previsto un periodo minimo di sei mesi di preparazione, con momenti online dedicati alle varie dimensioni.

Coinvolgimento delle famiglie: incontri informativi con i genitori sui processi del VJS, per far comprendere il percorso e rafforzare il supporto familiare.

Formazione continua durante l’esperienza: ogni mese viene affrontata una dimensione (umana, spirituale, apostolica, ecc.) attraverso materiali di lettura, riflessione e lavoro di approfondimento in corso d’opera.

Post-volontariato: dopo la conclusione dell’esperienza, si organizza un incontro di chiusura per valutare l’esperienza, progettare i passi successivi e accompagnare il volontario nel reinserimento nella comunità di origine e nella famiglia, con fasi in presenza e online.

Nuove tappe e rinnovamenti
Recentemente, l’esperienza ha assunto il nome di Volontariato Missionario Salesiano (VMS), in linea con l’enfasi della Congregazione sulla dimensione spirituale e missionaria. Alcune novità introdotte:

Pre-volontariato breve: durante le vacanze scolastiche (dicembre-gennaio, Settimana Santa e Pasqua, e soprattutto estate) i giovani possono sperimentare per brevi periodi la vita in comunità e l’impegno di servizio, per farsi un primo “assaggio” dell’esperienza.

Formazione all’esperienza internazionale: si è istituito un processo specifico per preparare i volontari a vivere l’esperienza fuori dai confini nazionali.

Maggiore enfasi sull’accompagnamento spirituale: non più solo “inviare a lavorare”, ma porre al centro l’incontro con Dio, affinché il volontario scopra la propria vocazione e missione.

Come sottolinea Margarita Aguilar, coordinatrice del VMS a Guadalajara: “Un volontario ha bisogno di avere le mani vuote per poter abbracciare la sua missione con fede e speranza in Dio.”

Motivazioni dei giovani
Alla base dell’esperienza VMS c’è sempre la domanda: “Qual è la tua motivazione per diventare volontario?”. Si possono individuare tre gruppi principali:

Motivazione operativa/pratica: chi crede di svolgere attività concrete legate alle proprie competenze (insegnare in una scuola, servire in mensa, animare un oratorio). Spesso scopre che il volontariato non è solo lavoro manuale o didattico e può restare deluso se si aspettava un’esperienza meramente strumentale.

Motivazione legata al carisma salesiano: ex-fruitori di opere salesiane che desiderano approfondire e vivere più a fondo il carisma, immaginando un’esperienza intensa come un lungo incontro festivo del Movimento Giovanile Salesiano, ma per un periodo prolungato.

Motivazione spirituale: chi intende condividere la propria esperienza di Dio e scoprirlo negli altri. Talvolta però questa “fedeltà” è condizionata da aspettative (es. “sì, ma solo in questa comunità” o “sì, ma se posso tornare per un evento familiare”), e serve aiutare il volontario a maturare il “sì” in modo libero e generoso.

Tre elementi chiave del VMS
L’esperienza di Volontariato Missionario Salesiano si articola su tre dimensioni fondamentali:

Vita spirituale: Dio è il centro. Senza preghiera, sacramenti e ascolto dello Spirito, l’esperienza rischia di ridursi a semplice impegno operativo, stancando il volontario fino all’abbandono.

Vita comunitaria: la comunione con i salesiani e con gli altri membri della comunità rafforza la presenza del volontario presso bambini, adolescenti e giovani. Senza comunità non c’è sostegno nei momenti di difficoltà né contesto per crescere insieme.

Vita apostolica: la testimonianza gioiosa e la presenza affettiva tra i giovani evangelizza più di qualsiasi attività formale. Non si tratta solo di “fare”, ma di “essere” sale e luce nel quotidiano.

Per vivere pienamente queste tre dimensioni, serve un percorso di formazione integrale che accompagni il volontario dall’inizio alla fine, abbracciando ogni aspetto della persona (umano, spirituale, vocazionale) secondo la pedagogia salesiana e il mandato missionario.

Il ruolo della comunità di accoglienza
Il volontario, per essere strumento autentico di evangelizzazione, ha bisogno di una comunità che lo sostenga, ne sia esempio e guida. Allo stesso modo, la comunità accoglie il volontario per integrarlo, sostenendolo nei momenti di fragilità e aiutandolo a liberarsi da legami che ostacolano la dedizione totale. Come evidenzia Margarita: “Dio ci ha chiamati ad essere sale e luce della Terra e molti dei nostri volontari hanno trovato il coraggio di prendere un aereo lasciandosi alle spalle la famiglia, gli amici, la cultura, il loro modo di vivere per scegliere questo stile di vita incentrato sull’essere missionari.”

La comunità offre spazi di confronto, preghiera comune, accompagnamento pratico ed emotivo, affinché il volontario possa restare saldo nella sua scelta e portare frutto nel servizio.

La storia del volontariato missionario salesiano a Guadalajara è un esempio di come un’esperienza possa crescere, strutturarsi e rinnovarsi imparando dagli errori e dai successi. Ponendo sempre al centro la motivazione profonda del giovane, la dimensione spirituale e comunitaria, si offre un percorso capace di trasformare non solo le realtà servite, ma anche la vita dei volontari stessi.
Ci dice Margarita Aguilar: “Un volontario ha bisogno di avere le mani vuote per poter abbracciare la sua missione con fede e speranza in Dio.”

Ringraziamo Margarita per le sue preziose riflessioni: la sua testimonianza ci ricorda che il volontariato missionario non è un mero servizio, ma un cammino di fede e crescita che tocca la vita dei giovani e delle comunità, rinnovando la speranza e il desiderio di donarsi per amore di Dio e del prossimo.




Patagonia: “La più grande impresa della nostra Congregazione

Appena giunti in Patagonia, i Salesiani – guidati da Don Bosco – puntarono a ottenere un Vicariato apostolico che garantisse autonomia pastorale e sostegno di Propaganda Fide. Tra il 1880 e il 1882 ripetute richieste a Roma, al presidente argentino Roca e all’arcivescovo di Buenos Aires si infransero contro disordini politici e diffidenze ecclesiastiche. Missionari come Rizzo, Fagnano, Costamagna e Beauvoir percorrevano il Río Negro, il Colorado e fino al lago Nahuel-Huapi, fondando presenze tra indios e coloni. La svolta giunse il 16 novembre 1883: un decreto eresse il Vicariato della Patagonia settentrionale, affidato a mons. Giovanni Cagliero, e la Prefettura meridionale, guidata da mons. Giuseppe Fagnano. Da quel momento l’opera salesiana si radicò «alla fine del mondo», preparandone la futura fioritura.

            Erano appena arrivati i Salesiani in Patagonia, che don Bosco il 22 marzo 1880 tornò nuovamente alla carica presso varie Congregazioni Romane e lo stesso papa Leone XIII
per l’erezione di Vicariato o Prefettura della Patagonia con sede a Carmen, che abbracciasse le colonie già costituite o che si sarebbero andate organizzando sulle sponde del Río Negro, dal 36° al 50° grado di latitudine Sud. Carmen sarebbe potuta divenire “il centro delle Missioni Salesiane fra gli Indi”.
            Ma i disordini militari al momento dell’elezione del generale Roca a Presidente della Repubblica (maggio-agosto 1880) e la morte dell’ispettore salesiano don Francesco Bodrato (agosto 1880) fecero sospendere le pratiche. Don Bosco insistette anche presso il Presidente in novembre, ma senza risultati. Il Vicariato non era voluto né dall’arcivescovo né era gradito all’autorità politica.
            Pochi mesi dopo, nel gennaio 1881 don Bosco incoraggiava il neoispettore don Giacomo Costamagna a darsi da fare per il Vicariato in Patagonia ed assicurava il direttore-parroco don Fagnano che a proposito della Patagonia – “la più grande impresa della nostra Congregazione” – una grande responsabilità sarebbe presto ricaduta su di lui. Ma si rimaneva nell’impasse.
            Intanto in Patagonia don Emilio Rizzo, che aveva accompagnato nel 1880 il vicario di Buenos Aires monsignor Espinosa lungo il Río Negro fino a Roca (50 km), con altri salesiani si apprestava ad ulteriori missioni volanti lungo lo stesso fiume. Don Fagnano poi nel 1881 poté accompagnare l’esercito fino alla Cordigliera. Don Bosco, impaziente, fremeva e don Costamagna ancora nel novembre 1881 lo consigliò di trattare direttamente con Roma.
            Fortuna volle che a fine 1881 venisse in Italia monsignor Espinosa; don Bosco ne approfittò per informare suo tramite l’arcivescovo di Buenos Aires, che nell’aprile del 1882 sembrò favorevole al progetto di un Vicariato affidato ai Salesiani. Più che altro forse per l’impossibilità di attendervi con il suo clero. Ma ancora una volta non se ne fece nulla.           Nell’estate 1882 e poi ancora nel 1883 don Beauvoir accompagnò l’esercito fino al lago Nahuel-Huapi sulle Ande (880 km); altrettante escursioni apostoliche avevano fatto altri salesiani in aprile lungo il Río Colorado, mentre don Beauvoir ritornava a Roca e in agosto don Milanesio si inoltrava fino a Ñorquín nel Neuquén (900 km).
            Don Bosco era sempre più convinto che senza un proprio Vicariato apostolico i Salesiani non avrebbero goduto della necessaria libertà di azione, visti i difficilissimi rapporti che aveva avuto lui con il suo arcivescovo di Torino e tenuto pure conto che lo stesso Concilio Vaticano I non aveva deciso nulla circa i non facili rapporti fra Ordinari e superiori di Congregazioni religiose nei territori di missione. Inoltre, cosa non di poco conto, solo un Vicariato missionario avrebbe potuto avere il sostegno finanziario dalla Congregazione di Propaganda Fide.
            Pertanto don Bosco riprese i suoi sforzi, avanzando alla Santa Sede la proposta di suddivisione amministrativa della Patagonia e Terra del Fuoco in tre Vicariati o Prefetture: dal Río Colorado al Río Chubut, da questi al Río Santa Cruz, e da questi alle isole della Terra del Fuoco, Malvine (Falkland) comprese.
            Papa Leone XIII alcuni mesi dopo acconsentì e gli fece chiedere i nominativi. Don Bosco allora suggerì al cardinale Simeoni l’erezione di un solo Vicariato per la Patagonia settentrionale con sede a Carmen, dal quale dipendesse una Prefettura apostolica per la Patagonia meridionale. Per quest’ultima proponeva don Fagnano; per il Vicariato don Cagliero o don Costamagna.

Un sogno che si avvera
            Il 16 novembre 1883 un decreto di Propaganda Fide eresse il Vicario apostolico della Patagonia settentrionale e centrale, che comprendeva il sud della provincia di Buenos Aires, i territori nazionali di La Pampa centrale, il Río Negro, il Neuquén e il Chubut. Quattro giorni dopo lo affidò a don Cagliero come Provicario apostolico (e successivamente Vicario apostolico). Il 2 dicembre 1883 fu la volta del Fagnano ad essere nominato Prefetto apostolico della Patagonia cilena, del territorio cileno di Magallanes-Punta Arenas, del territorio argentino di Santa Cruz, delle isole Malvinas e delle non meglio definite isole che si estendevano fino allo stretto di Magellano. Ecclesiasticamente la Prefettura copriva aree appartenenti alla diocesi cilena di San Carlos de Ancud.
            Il sogno del famoso viaggio in treno da Cartagena in Colombia a Punta Arenas in Cile del 10 agosto 1883 iniziava così a realizzarsi, tanto più che alcuni Salesiani da Montevideo in Uruguay all’inizio del 1883 erano arrivati a fondare la casa di Niteroi in Brasile. Il lungo processo di poter gestire una missione in piena libertà canonica era arrivato a conclusione. Nell’ottobre del 1884 don Cagliero sarebbe stato insignito della nomina di Vicario apostolico della Patagonia, là dove avrebbe fatto la sua entrata l’8 luglio successivo, sette mesi dopo la sua consacrazione episcopale avvenuta a Valdocco il 7 dicembre 1884.

Il seguito
            Sia pure in mezzo a difficoltà di ogni genere che la storia ricorda – comprese accuse e vere calunnie – l’opera salesiana da quei timidi inizi si dispiegò rapidamente sia nella Patagonia Argentina sia in quella cilena. Si radicò per lo più in piccolissimi centri di indios e di coloni, oggi diventati cittadine e città. Monsignor Fagnano nel 1887 si stabilì a Punta Arenas (Cile), da dove iniziò poco dopo le missioni nelle isole della Terra del Fuoco. Generosi e capaci missionari spesero generosamente la vita al di qua e al di là dello Stretto di Magellano “per la salvezza delle anime” e pure dei corpi (per quanto era nelle loro possibilità) degli abitanti di quelle terre “laggiù, alla fine del mondo”. Lo hanno riconosciuto in tanti, fra loro una persona che se ne intende, perché a sua volta venuto “quasi dalla fine del mondo”: papa Francesco.

Foto d’epoca: I tre Bororòs che accompagnarono i missionari salesiani a Cuyabà (1904)




Finalmente in Patagonia

Tra il 1877 e il 1880 si compie la svolta missionaria salesiana verso la Patagonia. Dopo l’offerta del 12 maggio 1877 della parrocchia di Carhué, don Bosco sogna l’evangelizzazione delle terre australi, ma don Cagliero lo invita alla prudenza dinanzi alle difficoltà culturali. I tentativi iniziali subiscono ritardi, mentre la “campagna del deserto” del generale Roca (1879) ridefinisce gli equilibri con gli indios. Il 15 agosto 1879 l’arcivescovo Aneiros affida ai salesiani la missione patagonica: «È arrivato finalmente il momento, in cui posso offrirvi la Missione della Patagonia, verso la quale il vostro cuore ha tanto sospirato». Il 15 gennaio 1880 parte il primo gruppo guidato da don Giuseppe Fagnano, inaugurando l’epopea salesiana nel sud argentino.

            A far sospendere a don Bosco e don Cagliero, almeno temporaneamente, qualunque progetto missionario in Asia fu la notizia del 12 maggio 1877: l’arcivescovo di Buenos Aires aveva offerto ai salesiani la missione di Caruhé (a sud est della provincia di Buenos Aires), luogo di presidio e di frontiera tra numerose tribù di indigeni del vastissimo deserto della Pampa e della Provincia di Buenos Aires.
            Si aprivano così ai salesiani per la prima volta le porte della Patagonia: don Bosco ne rimase come elettrizzato, ma a raffreddare decisamente i suoi entusiasmi ci pensò subito don Cagliero: “Le ripeto però che a riguardo della Patagonia non bisogna correre con velocità elettrica, né andarci a vapore, perché a questa impresa i Salesiani non sono ancor preparati […] si è pubblicato troppo ed abbiamo potuto fare troppo poco a riguardo degli Indii. L’impresa non bisogna disconoscerla, facile assai ad idearsi, difficile a realizzarsi, ed è troppo poco tempo che siamo qui venuti, e ci conviene sì con zelo ed attività lavorare a questo scopo, ma non fare fracasso, per non suscitare ammirazione a questa gente di qui, per volere aspirare noi, arrivati jeri, alla conquista di un paese che ancora non conosciamo e di cui ignoriamo persino la lingua”.
            Venuta meno l’opzione di Carmen de Patagónes con la parrocchia affidata dall’arcivescovo ad un padre lazzarista, ai salesiani rimasero aperte quella appunto più a nord di Carhué e quella più a sud di Santa Cruz, per la quale don Cagliero ottenne un passaggio navale in primavera, che gli avrebbe fatto rimandare di sei mesi il previsto rientro in Italia.
            La decisione di chi dovesse “entrare il primo nella Patagonia” la lasciava così a don Bosco, che invece intendeva offrire a lui tale onore. Ma prima ancora di venirne a conoscenza, don Cagliero decise di rientrare: “La Patagonia mi attende, quei di Dolores, del Carhué, del Chaco ci domandano, ed io li contento tutti scappando!” (8 luglio 1877). Rientrò per partecipare al 1°Capitlo Generale della società salesiana che si sarebbe tenuto a Lanzo Torinese nel settembre. Fra l’altro era sempre membro del Capitolo superiore della congregazione, in cui ricopriva l’importante ruolo di Catechista generale (vale il numero tre della congregazione, dopo don Bosco e don Rua).
            L’anno 1877 si chiuse con la terza spedizione di 26 missionari capitanati da don Giacomo Costamagna e con la nuova richiesta di don Bosco alla Santa Sede di una Prefettura a Carhué e un Vicariato a Santa Cruz. Eppure, a dire il vero, in tutto l’anno l’evangelizzazione diretta dei salesiani fuori città si era limitata alla breve esperienza di don Cagliero e del chierico Evasio Rabagliati nella colonia italiana di Villa Libertad a Entre Ríos (aprile 1877) ai confini della Diocesi del Paranà e ad alcune escursioni nel campo pampeano dei salesiani di S. Nicolás de los Arroyos.

Il sogno si realizza (1880)
            Nel maggio 1878 falliva per una tormenta oceanica il primo tentativo di raggiungere Carhué da parte di don Costamagna e del chierico Rabagliati. Ma intanto don Bosco era già ritornato alla carica con il nuovo Prefetto di Propaganda Fide, cardinal Giovanni Simeoni proponendogli un Vicariato o Prefettura con sede a Carmen, come aveva suggerito lo stesso don Fagnano che lo vedeva come punto strategico per raggiungere gli indigeni.
            L’anno dopo (1879), proprio mentre veniva meno un progetto di entrata dei Salesiani in Paraguay, si aprivano loro finalmente le porte della Patagonia. Nell’aprile infatti il generale Julio A. Roca dava inizio alla famosa “campagna del deserto” con l’obiettivo di sottomettere gli indios e ottenere sicurezza interna, respingendoli oltre i fiumi Río Negro e Neuquén. Era il “colpo di grazia” al loro sterminio, dopo i numerosi massacri dell’anno precedente.
            Il vicario generale di Buenos Aires, monsignor Espinosa, come cappellano di un esercito forte di seimila uomini, si fece accompagnare dal chierico argentino Luigi Botta e da don Costamagna. Il futuro vescovo si rese subito conto dell’ambiguità della loro posizione, ne scrisse immediatamente a don Bosco, ma non vide altra via per aprire la strada della Patagonia ai missionari salesiani. Ed in effetti appena il governo chiese all’arcivescovo di stabilire alcune missioni sulle sponde del Río Negro e nella Patagonia, si pensò subito ai salesiani.
            Questi, dal loro canto, avevano in animo di chiedere al governo la concessione per dieci anni di un territorio da loro amministrato in cui costruire, con materiali pagati dal governo e con manodopera degli indios, gli edifici indispensabili per una sorta di reducción in quel territorio: gli indigeni avrebbero evitato la contaminazione dei coloni cristiani “corrotti e viziosi” ed i missionari vi avrebbero piantato la croce di Cristo e la bandiera argentina. Ma l’ispettore salesiano don Francesco Bodrato non se la sentì di decidere da solo e don Lasagna nel maggio lo sconsigliò per il fatto che il governo Avellaneda era alla fine del suo mandato e non era interessato al problema religioso. Meglio dunque conservare salesianamente indipendenza e libertà d’azione.
            Il 15 agosto 1879 monsignor Aneiros offriva formalmente a don Bosco la missione patagonica: “È arrivato finalmente il momento, in cui posso offrirvi la Missione della Patagonia, verso la quale il vostro cuore ha tanto sospirato, come la cura d’anime tra i Patagoni, che può servire di centro alla missione”.
            Don Bosco la accettò subito e di buon grado, anche se essa non era ancora il tanto sospirato consenso all’erezione di circoscrizioni ecclesiastiche autonome rispetto all’arcidiocesi di Buenos Aires, realtà costantemente avversata dall’Ordinario diocesano.

La partenza
            Il drappello di missionari partì alla volta della sospirata Patagonia il 15 gennaio 1880: era composto da don Giuseppe Fagnano, direttore della Missione e parroco a Carmen de Patagónes (il padre lazzarista si era ritirato), due sacerdoti, di cui uno si occupava della parrocchia di Viedma sull’altra riva del Río Negro, un salesiano laico (coadiutore) e quattro suore. In dicembre a dar man forte arrivò don Domenico Milanesio e pochi mesi dopo don Giuseppe Beauvoir con un altro coadiutore novizio. L’epopea missionaria salesiana in Patagonia incominciava.




Se la Patagonia deve aspettare… andiamo in Asia

Si ripercorre l’espansione dei missionari salesiani in Argentina nella seconda metà dell’Ottocento, in un Paese aperto ai capitali stranieri e caratterizzato da intensa immigrazione italiana. Le riforme legislative e la carenza di scuole favorirono i progetti educativi di Don Bosco e Don Cagliero, ma la realtà si rivelò più complessa di quanto immaginato in Europa. Un contesto politico instabile e un nazionalismo ostile alla Chiesa si intrecciavano con tensioni religiose anticlericali e protestanti. Vi era inoltre la drammatica condizione degli indigeni, respinti verso sud dalla forza militare. Il ricco carteggio tra i due religiosi mostra come dovettero adeguare obiettivi e strategie di fronte a nuove sfide sociali e religiose, mantenendo però vivo il desiderio di estendere la missione anche in Asia.

Con la missio giuridica ricevuta dal papa, con il titolo e le facoltà spirituali dei missionari apostolici concessi dalla Congregazione di Propaganda Fide, con una lettera di presentazione di don Bosco all’arcivescovo di Buenos Aires, i dieci missionari dopo un mese di viaggio attraverso l’oceano Atlantico, a metà dicembre 1875, arrivarono in Argentina, paese immenso popolato da poco meno di due milioni di abitanti (quattro milioni nel 1895, nel 1914 sarebbero stati otto milioni). Di essa conoscevano a malapena la lingua, la geografia e un po’ di storia.
Accolti con simpatia dalle autorità civili, dal clero locale e da benefattori, vissero inizialmente mesi felici. La situazione nel paese si presentava infatti favorevole, tanto dal punto di vista economico, con grandi investimenti di capitali stranieri, quanto sociale con l’apertura legale (1875) all’immigrazione, soprattutto italiana: 100 000 immigrati, di cui 30 000 nella sola Buenos Aires. Favorevole era anche la congiuntura educativa data dalla nuova legge sulla libertà d’insegnamento (1876) e dal vuoto di scuole per “ragazzi poveri ed abbandonati”, come quelli cui volevano dedicarsi i salesiani.
Difficoltà sorgevano invece dal punto di vista religioso – data la forte presenza di anticlericali, massoni, liberali ostili, inglesi (gallesi) protestanti in alcune zone – e dal modesto spirito religioso di molto clero nativo e immigrato. Analogamente sul versante politico per i sempre incombenti rischi d’instabilità politica, economica e commerciale, per un nazionalismo ostile alla Chiesa cattolica e suscettibilissimo ad ogni influenza esterna e per il problema irrisolto degli indigeni della Pampa e della Patagonia. Il continuo avanzamento della linea di frontiera meridionale infatti li costringeva con la forza ad arretrare sempre più a sud e verso la Cordigliera, quando addirittura non li eliminava o, catturati, non li vendeva come schiavi. Se ne rese subito conto il capospedizione don Cagliero. Due mesi dopo il suo sbarco scriveva: “Gli Indi sono esasperati contro il Governo Nazionale. Vanno per essi armati di Remington, fanno prigionieri uomini, donne, fanciulli, cavalli e pecore […] bisogna pregare Dio che loro mandi missionari per liberarli dalla morte dell’anima e del corpo”.

Dall’utopia del sogno al realismo della situazione
Nel biennio 1876-1877 ebbe luogo una sorta di dialogo a distanza fra don Bosco e don Cagliero: in meno di venti mesi ben 62 loro lettere hanno attraversato l’Atlantico. Don Cagliero in loco s’impegnava ad attenersi alle direttive date da don Bosco sulla base delle lacunose letture a sua disposizione e delle sue ispirazioni dall’Alto, non facilmente decifrabili. Don Bosco a sua volta veniva a sapere dal suo condottiero sul campo come la realtà in Argentina si presentasse diversa da quella pensata in Italia. Il progetto operativo studiato in Torino poteva sì essere condiviso negli obiettivi e nella stessa strategia generale, ma non nelle coordinate geografiche, cronologiche e antropologiche previste. Don Cagliero se ne rendeva perfettamente conto, a differenza di don Bosco che invece continuava instancabilmente ad allargare gli spazi per le missioni salesiane.
Il 27 aprile 1876 infatti annunciava a don Cagliero l’accettazione di un Vicariato Apostolico in India – esclusi dunque gli altri due proposti dalla Santa Sede, in Australia e Cina – da affidare appunto a lui stesso, che dunque avrebbe lasciato ad altri le missioni in Patagonia. Due settimane dopo però don Bosco presentava a Roma la richiesta di erigere un Vicariato Apostolico pure per la Pampa e la Patagonia, che riteneva, erroneamente, territorio nullius [di nessuno] sia civilmente sia ecclesiasticamente. Lo ribadiva nell’agosto successivo firmando il lungo manoscritto La Patagonia e le terre australi del continente americano, redatto assieme a don Giulio Barberis. La situazione era resa ancor più complicata dall’acquisizione da parte del governo argentino (d’accordo con quello cileno) delle terre abitate dagli indigeni, che le autorità civili di Buenos Aires avevano suddiviso in quattro governatorati e che l’arcivescovo di Buenos Aires riteneva a ragione soggette alla sua giurisdizione ordinaria.
Ma le furibonde lotte governative contro gli indigeni (settembre 1876) fecero sì che il sogno salesiano “Alla Patagonia, alla Patagonia. Dio lo vuole!” per il momento restasse tale.

Gli italiani “indianizzati”
Intanto nell’ottobre 1876 l’arcivescovo aveva proposto ai missionari salesiani di assumere la parrocchia della Boca in Buenos Aires a servizio di migliaia di italiani “più indianizzati che gli Indiani quanto a costume e religione” (avrebbe scritto don Cagliero). La accettarono. Lungo il primo anno di permanenza in Argentina infatti avevano già reso stabile la loro posizione nella capitale: con l’acquisto formale della cappella Mater misericordiae in centro città, con l’impianto di oratori festivi per Italiani in tre punti della città, con l’ospizio di “artes y officios” e la chiesa di San Carlo ad Ovest – che sarebbe rimasto colà dal maggio 1877 al marzo 1878 quando si trasferì ad Almagro – e ora la parrocchia della Boca al sud con oratorio in via di attivazione. Progettavano anche un noviziato e mentre aspettavano le Figlie di Maria Ausiliatrice prospettavano un ospizio e un collegio a Montevideo in Uruguay.
A fine anno 1876 don Cagliero era pronto a rientrare in Italia, visto anche che si prolungava eccessivamente sia la possibilità di entrare nel Chubut sia la fondazione di una colonia a Santa Cruz (all’estremo sud del continente) a causa di un governo che creava impacci ai missionari e che gli indigeni avrebbe preferito “distruggerli anziché ridurli”.
Ma con l’arrivo in gennaio 1877 della seconda spedizione di 22 missionari, don Cagliero progettò autonomamente di ritentare un’escursione a Carmen de Patagones, sul Río Negro, in accordo con l’arcivescovo. Don Bosco a sua volta lo stesso mese suggerì alla Santa Sede l’erezione di tre Vicariati Apostolici (Carmen de Patagones, Santa Cruz, Punta Arenas) o almeno uno a Carmen de Patagones, impegnandosi ad accettare nel 1878 quello di Mangalor in India con don Cagliero Vicario. Non solo, ma il 13 febbraio con immenso coraggio si dichiarava pure disponibile per lo stesso 1878 per il Vicariato apostolico di Ceylon a preferenza di quello dell’Australia, entrambi propostogli dal papa (o suggeriti da lui al papa?). Insomma a don Bosco non bastava l’America Latina, ad occidente, sognava di mandare i suoi missionari in Asia, ad oriente.




150° anniversario della prima spedizione missionaria. La Giornata Missionaria

Il Settore per le Missioni della Congregazione Salesiana ha preparato i consueti materiali per la Giornata Missionaria Salesiana 2025 “Ringraziare, Ripensare e Rilanciare”, ricordando il 1875, anno della prima spedizione missionaria.

Centocinquant’anni sono un lungo periodo di tempo e la Famiglia Salesiana si sta preparando a celebrare questa occorrenza in maniera appropriata. Il libretto della Giornata Missionaria Salesiana 2025 è una risorsa ricca e utile per ringraziare, ripensare e rilanciare le missioni salesiane, insieme al poster, alla preghiera e al video (disponibile al link Youtube Settore per le Missioni Salesiane)

La prima Giornata Missionaria Salesiana (GMS) è stata nel 1988 e, nonostante i cambiamenti, continua ad essere un’occasione che viene offerta alle comunità SDB, alle Comunità Educativo-Pastorali (CEP), a tutti i giovani e ai membri della Famiglia Salesiana per vivere bene questo aspetto del carisma salesiano e diffondere la sensibilità missionaria.
Nonostante il nome può ingannare, non si tratta di una giornata in particolare, non esiste una data unica perché ogni Ispettoria può scegliere il periodo che più si adatta al proprio ritmo e calendario per vivere al meglio questo momento forte di animazione missionaria. La GMS, inoltre, è il culmine di itinerari educativi-pastorali e non un’attività slegata dal resto.

Il libretto inizia con alcune parole del vicario don Stefano Martoglio SDB: “In questo anno abbiamo il dono di celebrare il 150° della prima spedizione Missionaria della Congregazione Salesiana, fatta da Don Bosco nel 1875. Celebrare questa spedizione vuol dire rinnovare lo stesso spirito e chiedere al Signore di avere il cuore missionario di Don Bosco. Questa spedizione, e tutte quelle che sono seguite, non sono per noi solamente degli elementi cronologici. Sono la fedeltà allo spirito di Don Bosco, in obbedienza al Dono di Dio, che hanno segnato e segnano la crescita, nella fedeltà, della Congregazione Salesiana nel segno e nel Sogno di Don Bosco.”

Don Alfred Maravilla SDB, Consigliere Generale per le Missioni, condivide una riflessione sull’Opzione Missionaria di Don Bosco. Anche se Don Bosco non è mai partito come missionario ad gentes ad exteros ad vitam, possiamo ritrovare il suo spirito missionario sin dalla sua infanzia. Don Bosco visse in Piemonte durante un vivace risveglio missionario e già nel 1848 parlava ai suoi ragazzi di inviare missionari in regioni lontane, parlando spesso del suo desiderio di evangelizzare coloro che non conoscevano Cristo in Africa, America e Asia. L’opzione missionaria di Don Bosco fu la confluenza di tre fattori: in primo luogo, fu la realizzazione del suo desiderio personale, a lungo coltivato, di “andare in missione”, espresso nei suoi cinque “sogni missionari”. In secondo luogo, Don Bosco riteneva che l’impegno missionario della sua Congregazione appena approvata avrebbe impedito ai membri di cadere nel pericolo reale di uno stile di vita morbido e facile. Soprattutto, l’impegno missionario della sua Congregazione è l’espressione più piena del suo carisma, riassunto nel suo motto e in quello della Congregazione: Da mihi animas, caetera tolle.

Alcuni contributi da prospettive diverse: la Strenna 2025 “Ancorati alla speranza, pellegrini con i giovani”, il giubileo del Sacro cuore di Gesù, con alcune parti dell’enciclica “Dilexit nos,” scritta da Papa Francesco e, ovviamente, l’Anno Santo della Chiesa, il Giubileo. Possiamo leggere tutti questi stimoli come un invito dello Spirito Santo a diventare “più missionari” nella nostra vita quotidiana, con fede e speranza.

Sappiamo che, tra i tanti appuntamenti del 2025, uno sarà molto speciale per i Salesiani: il 29° Capitolo Generale della Congregazione. Don Alphonse Owoudou SDB sarà il regolatore del CGXXIX e ha preparato una riflessione profetica sulle missioni salesiane alla luce del Capitolo Generale. “Il tema del Capitolo Generale 29, Appassionati per Gesù Cristo e dedicati ai giovani ci offre un’ottica privilegiata per riflettere sulla nostra missione alla luce dei tre assi tematici: la vocazione e la fedeltà profetica (ringraziare), la comunità come profezia di fraternità (ripensare) e la riorganizzazione istituzionale della Congregazione (rilanciare). La missione salesiana non è solo un’eredità da custodire, ma una sfida da rilanciare con rinnovato entusiasmo e con una visione profetica.
Con gratitudine per il passato, con discernimento per il presente e con coraggio per il futuro, continuiamo a camminare insieme, animati dallo stesso zelo missionario che ha portato i primi missionari salesiani oltre i confini, spinti dal desiderio di rendere visibile l’amore di Dio tra i giovani.”

Poi, la presentazione dei membri della prima spedizione del 1875, conosciuta soprattutto grazie alla famosa foto scattata da Michele Schemboche, un fotografo professionista: Giovanni Battista Allavena, don Giovanni Battista Baccino, don Valentino Cassini, don Domenico Tomatis, Stefano Belmonte, Vincenzo Gioia, Bartolomeo Molinari, Bartolomeo Scavini, don Giuseppe Fagnano e don Giovanni Cagliero, capo della spedizione. L’11 Novembre 1875 fu un giorno solenne e di grande emozione. Don Bosco preparò un sermone per accompagnare i suoi figli che per primi avrebbero varcato l’oceano, verso l’Argentina: “Il nostro Divin Salvatore, quando era su questa terra, prima di andare al Celeste Padre, radunati i suoi Apostoli, disse loro: Ite in mundum universum… docete omnes gentes… Praedicate evangelium meum omni creaturae. Con queste parole il Salvatore dava non un consiglio, ma un comando ai suoi Apostoli, affinché andassero a portare la luce del Vangelo in tutte le parti della terra.”

Per comprendere meglio il contesto dei missionari salesiani, sul libretto troverete un articolo sulla corrispondenza con Don Bosco e una sintesi dei cinque sogni missionari Fra le centinaia di lettere di don Bosco che dal 1874 al 1887 hanno varcato l’Oceano Atlantico, la maggior parte sono quelle indirizzate ai salesiani, da don Cagliero a don Fagnano, da don Bodrato a don Vespignani, da don Costamagna a don Tomatis e via via a molti dei salesiani, sacerdoti, coadiutori, chierici, partiti nel corso delle 12 spedizioni missionarie organizzate dal 1875.

Come dicono le Costituzioni della Società di San Francesco di Sales all’articolo 138, “il Consigliere per le Missioni promuove in tutta la Società lo spirito e l’impegno missionario. Coordina le iniziative e orienta l’azione delle missioni perché risponda con stile salesiano alle urgenze dei popoli da evangelizzare. È anche suo compito assicurare la preparazione specifica e l’aggiornamento dei missionari.” Abbiamo così l’opportunità di conoscere meglio e ricordare gli otto Consiglieri Generali per le Missioni fino al 2025: don Modesto Bellido Iñigo (1948-1965), don Bernard Tohill (1971-1983); don Luc Van Looy (1984-1990); don Luciano Odorico (1990-2002); don Francis Alencherry (2002-2008); don Václav Klement (2008-2014), don Guillermo Basañes (2014-2020) e don Alfred Maravilla (2020-2025).

Inoltre, presentiamo alcune figure di salesiani “pionieri” meno noti che hanno contribuito a diffondere il carisma salesiano nei cinque continenti: don Francisque Dupont, l’iniziatore della missione salesiana in Vietnam, don Valeriano Barbero, il seminatore del carisma salesiano in Papua Nuova Guinea, don Jacques Ntamitalizo, l’ispiratore del Progetto Africa, don Raffaele Piperni, il precursore dei Salesiani negli U.S.A., don Pascual Chavez, come ideatore del Progetto Europa, e don Bronisław Chodanionek, il  pioniere in incognito in Moldavia.
 
La crescita della Famiglia Salesiana è un segno della fecondità del carisma salesiano e, in particolare, molti gruppi della Famiglia Salesiana sono stati fondati da missionari salesiani: nel libretto c’è una breve presentazione di ognuno di essi. Inoltre, è bello vedere la santità missionaria della Famiglia Salesiana, con un numero crescente di persone che camminano sulla strada della santità. Un altro frutto tangibile delle missioni salesiane è la vita di quattro giovani che possono essere considerati giovani testimoni della speranza cristiana: Zeffirino Namuncurá, Laura Vicuña, Simão Bororo e Akash Bashir.

Le nuove presenze Salesiane, soprattutto nei Paesi dove i Salesiani ancora non sono presenti, sono indicazioni dello slancio missionario della Congregazione Salesiana che rinvigorisce la fede, dà nuovo entusiasmo vocazionale e rivitalizza l’identità carismatica dei Salesiani sia nell’Ispettoria che si assume la responsabilità della nuova presenza, sia in quella che invia o che riceve missionari. In più, lo slancio missionario della Congregazione ci libera dai pericoli dell’imborghesimento, della superficialità spirituale e del genericismo, ci spinge ad uscire dalle nostre zone di comfort e ci proietta con speranza al futuro. Con questo spirito, possiamo conoscere meglio le nuove frontiere missionarie salesiane: Niger, Botswana, Algeria, Grecia e Vanuatu.

La ricchezza delle missioni salesiane supera le frontiere e raggiunge molti ambiti: i musei missionari salesiani, come custodi del patrimonio culturale e salesiano, i Volontari Missionari Salesiani, che donano tempo e vita agli altri, i gruppi missionari, come quelli diffusi nella Repubblica Democratica del Congo, nell’Ispettoria AFC.

Ogni GMS propone un progetto, legato al tema dell’anno, come opportunità concreta di solidarietà e animazione missionaria. Quest’anno abbiamo scelto l’apertura di un oratorio a Pagos, in Grecia, una delle nuove frontiere missionarie salesiane. L’apertura di un oratorio a Pagos, nell’isola di Syros, sarà una delle chiavi per coinvolgere i giovani greci cattolici e i migranti presenti nel territorio e iniziare con loro il lavoro salesiano. Tutti i fondi raccolti verranno utilizzati per l’avvio delle attività pastorali, la sistemazione degli ambienti e l’acquisto di materiali di animazione. Il coinvolgimento dei salesiani nella pastorale giovanile della diocesi permetterà di condividere il nostro carisma per arricchire la Chiesa locale, una minoranza esigua e bisognosa di animazione.

Il libretto si conclude con alcuni giochi per divertirsi e migliorare la conoscenza delle missioni salesiane, la presentazione dei membri del Settore Missioni, che aiutano il Consigliere per le Missioni a svolgere il suo ruolo di promozione dello spirito e dell’impegno missionario nella Congregazione Salesiana, e la preghiera finale.

Sia lodato Dio nostro Padre,
per lo spirito missionario
che hai effuso nel cuore di Don Bosco
come elemento essenziale del suo carisma.

Ti rendiamo grazie per i 150 anni
delle missioni salesiane,
e per tanti missionari Salesiani
che hanno dato la loro vita
portando il Vangelo e il carisma salesiano
nei 137 paesi del mondo.

Manda il tuo Spirito per guidarci
a ripensare una visione rinnovata
delle missioni salesiane,
con instancabile creatività missionaria.

Accendi i nostri cuori con il fuoco del tuo amore
affinché, appassionati di Gesù Cristo,
possiamo rilanciarci
con zelo ed entusiasmo missionario
per annunciarlo a tutti,
soprattutto ai giovani poveri e abbandonati.

O tutti santi missionari salesiani,
pregate per noi!

I materiali della GMS 2025 sono disponibili al link Giornata Missionaria Salesiana 2025 per maggiori info scrivere a cagliero11@sdb.org.

Marco Fulgaro




Si parte per le missioni… confidando nei sogni

I sogni missionari di don Bosco, pur senza anticipare il corso degli eventi futuri, hanno avuto per l’ambiente salesiano il sapore delle previsioni.

            A richiamare l’attenzione di don Bosco al problema missionario contribuirono non poco pure il sogno missionario del 1870-1871 e soprattutto quelli degli anni Ottanta. Se nel 1885 invitava monsignor Giovanni Cagliero alla prudenza: “non si dia gran retta ai sogni” ma “solo se servono moralmente”, lo stesso Cagliero partito alla testa della prima spedizione missionaria (1875) e futuro cardinale, li giudicava come semplici ideali da perseguire. Altri salesiani invece e soprattutto don Giacomo Costamagna, missionario della terza spedizione (1877) e futuro ispettore e vescovo, li intendeva come un itinerario da seguire quasi obbligatoriamente, tanto da chiedere al segretario di don Bosco, don Giovanni Battista Lemoyne, di mandargli i “necessari” aggiornamenti. A sua volta don Giuseppe Fagnano, sempre missionario della prima ora e futuro Prefetto apostolico, li considerava come espressione di un desiderio di tutta la Congregazione, che doveva sentirsi responsabile di realizzarli cercando i mezzi ed il personale. Don Luigi Lasagna infine, missionario partito con la seconda spedizione nel 1876, e pure futuro vescovo, li considerava come una chiave per conoscere il futuro salesiano in missione. Don Alberto Maria De Agostini poi nella prima metà del secolo xx si sarebbe lanciato personalmente in pericolose e innumerevoli escursioni in America australe sulla scia dei sogni di don Bosco.
            Comunque si possano intendere oggigiorno, resta il fatto che i sogni missionari di don Bosco, pur senza anticipare il corso degli eventi futuri, hanno avuto per l’ambiente salesiano il sapore delle previsioni. Visto poi che erano privi di significati simbolici e allegorici ed invece erano ricchi di riferimenti antropologici, geografici, economici, ambientali (si parla di tunnel, di treno, di aereo…) hanno costituito un incentivo per i missionari salesiani ad agire, tanto più che si sarebbe potuto verificarne l’effettiva realizzazione. In altre parole i sogni missionari hanno orientato la storia e tracciato un programma di lavoro missionario per la società salesiana.

La chiamata (1875): un progetto immediatamente rielaborato
            Negli anni Settanta in America Latina era in corso un notevole tentativo di evangelizzazione, grazie soprattutto ai religiosi, nonostante le forti tensioni presenti fra la Chiesa e i singoli Stati liberali. Attraverso contatti con il console argentino in Savona, Giovanni Battista Gazzolo, don Bosco nel dicembre 1874 si offrì di provvedere preti per la Chiesa della misericordia (la chiesa degli italiani) in Buenos Aires, come richiesto dal Vicario generale di Buenos Aires monsignor Mariano Antonio Espinosa ed accettò l’invito di una Commissione interessata ad un collegio a San Nicolás de los Arroyos, a 240 km a nord ovest della Capitale argentina. In effetti la società salesiana – che all’epoca comprendeva pure il ramo femminile delle Figlie di Maria Ausiliatrice – aveva come suo primo obiettivo la cura della gioventù povera (con catechismi, scuole, collegi, ospizi, oratori festivi), ma non escludeva di estendere i suoi servizi a ogni tipo di sacro ministero. Dunque in quel fine 1874 don Bosco non offriva altro di quello che già si faceva in Italia. Del resto le Costituzioni salesiane, approvate definitivamente nell’aprile precedente, proprio mentre da anni erano in corso trattative per fondazioni salesiane in “terre di missione” extraeuropee, non contenevano alcun accenno ad eventuali missiones ad gentes.
            Le cose cambiarono nel volgere di pochi mesi. Il 28 gennaio 1875 in un discorso ai direttori, e il giorno dopo a tutta la comunità salesiana, ragazzi compresi, don Bosco annunciò che erano state accolte le due suddette domande in Argentina, dopo che erano state rifiutate richieste in altri continenti. Riferì anche che “le Missioni in Sud America” (cosa che in questi termini invero nessuno aveva offerto) erano state accettate alle condizioni richieste, con la sola riserva dell’approvazione del papa. Don Bosco con un colpo da maestro presentava così a Salesiani e giovani un entusiasmante “progetto missionario” approvato da Pio IX.
            Iniziava subito una febbrile preparazione della spedizione missionaria. Il 5 febbraio una sua circolare invitava i Salesiani ad offrirsi liberamente per tali missioni, dove, a parte alcune aree civilizzate, essi avrebbero esercitato il loro ministero fra
“popoli selvaggi sparsi in immensi territori”. Se anche aveva individuato nella Patagonia la terra del suo primo sogno missionario – dove selvaggi crudeli di zone sconosciute uccidevano missionari ed invece accoglievano benevolmente quelli salesiani – tale piano di evangelizzazione di “selvaggi” andava ben oltre le richieste pervenute dall’America. Di certo non ne era consapevole, almeno in quel momento, l’arcivescovo di Buenos Aires, monsignor Federico Aneiros.
            Don Bosco procedette con determinazione ad organizzare la spedizione. Il 31 agosto al Prefetto di Propaganda Fide, cardinale Alessandro Franchi, comunicava di avere accettato la gestione del collegio di S. Nicolás come “base per le missioni” e dunque chiedeva le facoltà spirituali solitamente concesse in tali casi. Ne ebbe alcune, ma non ricevette alcun sussidio economico pur sperato perché l’Argentina non dipendeva dalla Congregazione di Propaganda Fide, in quanto con un arcivescovo e quattro vescovi non era considerata “terra di missione”. E la Patagonia? E la terra del Fuoco? E le decine e decine di migliaia di indios viventi laggiù, a due, tremila chilometri di distanza, “alla fine del mondo”, senza alcuna presenza missionaria?
            A Valdocco, nella chiesa di Maria Ausiliatrice, nel corso della famosa cerimonia di addio ai missionari dell’11 novembre, don Bosco si soffermò sulla missione universale di salvezza data dal Signore agli apostoli e dunque alla Chiesa. Parlò della carenza di sacerdoti in Argentina, delle famiglie di emigranti abbonate e del lavoro missionario fra le “grandi orde di selvaggi” della Pampa e nella Patagonia, regioni “che circondano la parte civilizzata” dove “non penetrò ancora né la religione di Gesù Cristo, né la civiltà, né il commercio, dove piede europeo non poté finora lasciare alcun vestigio”.
            Lavoro pastorale per gli emigrati italiani e poi plantatio ecclesiae nella Patagonia: ecco il duplice obiettivo, originale, che don Bosco lasciava alla prima spedizione. (Stranamente non fece però alcun accenno alle due precise sedi di lavoro concordato con l’altra sponda dell’Atlantico). Pochi mesi dopo, nell’aprile 1876, avrebbe insistito con don Cagliero che “lo scopo nostro è di tentare una scorsa nella Patagonia […] ritenendo sempre per nostra base l’impianto di collegi e di ospizi […] in vicinanze delle tribù selvagge”. Glielo avrebbe ripetuto il 1° agosto: “In generale ricordati sempre che Dio vuole i nostri sforzi verso i Pampas e verso i Patagonici, e verso ai ragazzi poveri e abbandonati”.
            A Genova, all’imbarco a ciascuno dei dieci missionari – fra cui cinque sacerdoti – diede venti particolari ricordi. Li riproponiamo:

RICORDI AI MISSIONARI

1. Cercate anime, ma non danari né onori, né dignità.
2. Usate carità e somma cortesia con tutti, ma fuggite la conversazione e la famigliarità colle persone di altro sesso o di sospetta condotta.
3. Non fate visite se non per motivi di carità e di necessità.
4. Non accettate mai inviti di pranzo se non per gravissime ragioni. In questi casi procurate di essere in due.
5. Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli, dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la benevolenza degli uomini.
6. Rendete ossequio a tutte le autorità civili, religiose, municipali e governative.
7. Incontrando persona autorevole per via, datevi premura di salutarla ossequiosamente.
8. Fate lo stesso verso le persone ecclesiastiche o aggregate ad Istituti religiosi.
9. Fuggite l’ozio e le questioni. Gran sobrietà nei cibi, nelle bevande e nel riposo.
10. Amate, temete, rispettate gli altri ordini religiosi e parlatene sempre bene. È questo il mezzo di farvi stimare da tutti e promuovere il bene della congregazione.
11. Abbiatevi cura della sanità. Lavorate, ma solo quanto le proprie forze comportano.
12. Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni, e voi sarete ricchi in faccia a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini.
13. Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, ma non portatevi mai né invidia, né rancore, anzi il bene di uno, sia il bene di tutti; le pene e le sofferenze di uno siano considerate come pene e sofferenze di tutti, e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle.
14. Osservate le vostre Regole, né mai dimenticate l’esercizio mensile della buona morte.
15. Ogni mattino raccomandate a Dio le occupazioni della giornata nominatamente le confessioni, le scuole, i catechismi, e le prediche.
16. Raccomandate costantemente la divozione a M.A. ed a Gesù Sacramentato.
17. Ai giovanetti raccomandate la frequente confessione e comunione
18. Per coltivare la vocazione ecclesiastica insinuate 1. amore alla castità, 2. orrore al vizio opposto, 3. separazione dai discoli, 4. comunione frequente, 5. carità con segni di amorevolezza e benevolenza speciale.
19. Nelle cose contenziose prima di giudicare si ascolti ambe le parti.
20. Nelle fatiche e nei patimenti non si dimentichi che abbiamo un gran premio preparato in cielo.
Amen.




I precedenti delle missioni salesiane (1/5)

Il 150° anniversario delle missioni salesiane si terrà l’11 novembre 2025. Crediamo possa essere interessante raccontare ai nostri lettori una breve storia dei precedenti e delle prime fasi di quella che sarebbe diventata una sorta di epopea missionaria salesiana in Patagonia. Lo facciamo in cinque puntate, con l’aiuto di inedite fonti che ci permettono di correggere le tante imprecisioni passate alla storia.

            Sgombriamo subito il campo: si dice e si scrive che don Bosco volesse partire per le missioni tanto da seminarista, che da giovane sacerdote. Non è documentato. Se studente di 17 anni (1834) fece la domanda di entrare tra i frati Francescani Riformati del convento degli Angeli a Chieri che avevano missioni, la richiesta, a quanto pare, era stata avanzata soprattutto per motivi economici. Se dieci anni dopo (1844), al momento di lasciar il “Convitto Ecclesiastico” in Torino, fu tentato di entrare nella Congregazione degli Oblati di Maria Vergine, cui erano appena state affidate missioni in Birmania (Myanmar), è però vero che quella missionaria, per la quale aveva forse anche intrapreso qualche studio di lingue estere, era solo per il giovane sacerdote Bosco una delle possibilità di apostolato che gli si aprivano davanti. In entrambi i casi don Bosco seguì immediatamente il consiglio, prima, di don Comollo di entrare in seminario diocesano e, dopo, di don Cafasso, di continuare a dedicarsi ai giovani di Torino. Anche nel ventennio 1850-1870, impegnato com’era nel progettare una continuità della sua “opera degli Oratori”, nel dare un fondamento giuridico alla società salesiana che stava avviando e nella formazione spirituale e pedagogica dei primi salesiani, tutti giovani del suo Oratorio, non era certo in condizione di poter dar seguito ad eventuali aspirazioni missionarie personali o degli stessi suoi “figli”. Dell’andata sua o dei salesiani in Patagonia neanche l’ombra, benché lo si trovi scritto su carta o sul web.

Acuirsi della sensibilità missionaria
            Ciò non toglie che la sensibilità missionaria in don Bosco, ridotta probabilmente a deboli spunti e vaghe aspirazioni negli anni di formazione sacerdotale e del primo sacerdozio, si acuì notevolmente lungo gli anni. La lettura degli Annali della Propagazione della Fede gli offriva infatti una buona informazione sul mondo missionario, tanto da ricavarne episodi per alcuni suoi libri e da lodare papa Gregorio XVI che incentivava l’espandersi del vangelo nei remoti angoli della terra ed approvava nuovi Ordini religiosi con finalità missionarie. Notevole influenza don Bosco poté ricevere dal canonico G. Ortalda, direttore del Consiglio diocesano dell’Associazione di Propaganda Fide per 30 anni (1851-1880) ed anche promotore di “Scuole Apostoliche” (una sorta di seminario minore per vocazioni missionarie). Nel dicembre 1857 aveva pure lanciato il progetto di un’Esposizione a favore delle Missioni Cattoliche affidate ai seicento Missionari Sardi. Don Bosco ne era informatissimo.
            L’interesse missionario poté crescere in lui nel 1862 al momento della solennissima canonizzazione in Roma dei 26 protomartiri di giapponesi e nel 1867 in occasione della beatificazione di oltre duecento martiri giapponesi, celebrata questa con solennità pure a Valdocco. Sempre nella città papale nel corso dei lunghi soggiorni degli anni 1867, 1869 e 1870 poté rendersi conto di altre iniziative missionarie locali, come la fondazione del Pontificio seminario dei santi apostoli Pietro e Paolo per le missioni straniere.
            Il Piemonte con quasi il 50% dei missionari italiani (1500 con 39 vescovi) si poneva all’avanguardia in tale ambito e a Torino venne in visita nel novembre 1859 il francescano monsignor Luigi Celestino Spelta, Vicario Apostolico di Hupei. Non visitò l’Oratorio, lo fece invece nel dicembre 1864 don Daniele Comboni che proprio in Torino diede alle stampe il Piano di rigenerazione per l’Africa con l’intrigante progetto di evangelizzare l’Africa attraverso gli africani.
            Don Bosco ebbe uno scambio di idee con lui, che nel 1869 tentò, senza esito, di associarlo al suo progetto e l’anno dopo lo invitò a mandargli qualche prete e laico per dirigere un istituto al Cairo e così prepararlo alle missioni in Africa, al cui centro contava di affidare ai Salesiani un Vicariato apostolico. A Valdocco la richiesta, non accolta, fu sostituita dalla disponibilità ad accettare ragazzi da educare in vista delle missioni. Colà però il drappello di algerini raccomandati da monsignor Charles Martial Lavigerie trovò difficoltà, per cui furono mandati a Nizza Marittima, in Francia. La richiesta nel 1869 dello stesso arcivescovo di avere aiutanti salesiani in un orfanotrofio di Algeri in momento di emergenza non fu accolta. Così come dal 1868 era sospesa la petizione del missionario bresciano Giovanni Bettazzi di mandare dei salesiani a dirigere un erigendo istituto di arti e mestieri, nonché un piccolo seminario minore, nella diocesi di Savannah (Georgia, USA). Le proposte altrui, tanto di direzione di opere educative in “territori di missione”, quanto di diretta azione in partibus infidelium, potevano essere anche appetibili, ma don Bosco non avrebbe mai rinunciato né alla sua piena libertà di azione – che forse vedeva compromessa nelle proposte altrui pervenutegli – né soprattutto al suo peculiare lavoro con i giovani, per i quali al momento era impegnatissimo a sviluppare la società salesiana appena approvata (1869) oltre i confini torinesi e piemontesi. Insomma fino al 1870 don Bosco, pur teoricamente sensibile alle necessità missionarie, coltivava altri progetti in sede nazionale.

Quattro anni di richieste non accolte (1870-1874)
            Il tema missionario e le importanti questioni che vi si riferivano furono oggetto di attenzione nel corso del Concilio Vaticano I (1868-1870). Se il documento Super Missionibus Catholicis non fu mai presentato in assemblea generale, la presenza in Roma di 180 vescovi di “terre di missioni” e le informazioni positive sul modello di vita religiosa salesiana, diffuse fra loro da alcuni vescovi piemontesi, diedero occasione a Don Bosco di incontrarne molti e anche di essere da loro contattato, tanto in Roma che in Torino.
            Qui il 17 novembre 1869 fu ricevuta la delegazione cilena, con l’arcivescovo di Santiago e il vescovo di Concepción. Nel 1870 fu la volta di mons. D. Barbero, Vicario Apostolico a Hyderabad (India), già conosciuto da Don Bosco, che gli chiese delle suore disponibili per l’India. A Valdocco si recò nel luglio 1870 il domenicano mons. G. Sadoc Alemany, arcivescovo di San Francisco in California (USA), che chiese ed ottenne dei Salesiani per un ospizio con scuola professionale (poi mai realizzato). Visitarono pure Valdocco il francescano mons. L. Moccagatta, Vicario Apostolico di Shantung (Cina) e il suo confratello mons. Eligio Cosi poi suo successore. Nel 1873 fu la volta del milanese mons. T. Raimondi che offrì a Don Bosco la possibilità di andare a dirigere scuole cattoliche nella Prefettura apostolica di Hong Kong. La trattativa, durata oltre un anno, per vari motivi si arenò, così come nello stesso 1874 rimase sulla carta anche un progetto di nuovo seminario del succitato don Bertazzi per Savannah (USA). Lo stesso avvenne in quegli anni per fondazioni missionarie in Australia ed in India, per le quali Don Bosco intavolò con i singoli vescovi trattative, da lui date talora come concluse alla Santa Sede, mentre in realtà erano solo progetti in fieri.
            In quei primi anni settanta, con un personale costituito da poco più di due decine di persone (fra preti, chierici e coadiutori), un terzo delle quali con voti temporanei, sparsi in sei case difficilmente Don Bosco avrebbe potuto mandarne alcune in terra di missione. Tanto più che le missioni estere offertegli fino a quel momento fuori Europa presentavano serie difficoltà di lingua, cultura e tradizioni non neolatine e il tentativo a lungo condotto di disporre di giovane personale di lingua inglese anche con l’aiuto del rettore del collegio irlandese di Roma, mons. Toby Kirby, erano andato fallito.

(continua)

Foto d’epoca: il porto di Genova, 14 novembre 1877.




Progetto Missionario Basilicata – Calabria

All’interno del “Progetto Europa”, l’Italia Meridionale ha lanciato un nuovo progetto missionario nelle regioni della Calabria e della Basilicata accogliendo i primi missionari “ad gentes”, segno di generosità missionaria e opportunità di crescita nell’apertura mondiale del carisma di Don Bosco.

Europa come terra di missione: in una nuova prospettiva missiologica salesiana le missioni assumono sempre meno una connotazione geografica, come movimento verso “le terre di missione”, oggi i missionari provengono dai cinque continenti e sono inviati ai cinque continenti. Questo movimento missionario multidirezionale avviene già in molte diocesi e congregazioni. Con il “Progetto Europa” salesiani si sono messi a confronto con questo cambio di paradigma missionario, per il quale è necessario un cammino di conversione della mente e del cuore. Il “Progetto Europa”, nell’idea di don Pascual Chávez, è un atto di coraggio apostolico e un’opportunità di rinascita carismatica nel continente europeo da inserire nel più ampio contesto della nuova evangelizzazione. L’obiettivo è quello di impegnare tutta la congregazione salesiana nel rafforzamento del carisma salesiano in Europa, soprattutto mediante un profondo rinnovamento spirituale e pastorale dei confratelli e delle comunità, al fine di continuare il progetto di Don Bosco a favore dei giovani, specialmente i più poveri.

Le ispettorie salesiane coinvolte sono chiamate a ripensare le proprie presenze salesiane per un’evangelizzazione più efficace e rispondente al contesto odierno. Tra di esse, l’ispettoria dell’Italia meridionale ha elaborato un nuovo progetto missionario che coinvolge le regioni della Basilicata e della Campania.
Partendo da un’analisi del territorio, si può constatare come il Sud Italia sia caratterizzato da una presenza abbastanza consistente di giovani, con una denatalità minore rispetto ad altre regioni italiane, e come l’emigrazione sia un fenomeno molto presente che fa sì che tanti giovani vadano via per studiare o lavorare altrove. Le tradizioni religiose e familiari, che hanno da sempre costituito un riferimento identitario importante per la comunità, sono meno rilevanti che in passato e molti giovani vivono la fede come distante dalla propria vita, pur non mostrandosi totalmente contrari ad essa. I Salesiani sperimentano una buona adesione alle esperienze spirituali giovanili ma, allo stesso tempo, una scarsa ricettività a cammini sistematici e a proposte di vita definitive.
Altre problematiche che toccano il mondo giovanile sono l’analfabetismo emotivo e affettivo, le crisi relazionali delle famiglie, la dispersione scolastica e la disoccupazione. Tutto ciò alimenta fenomeni di povertà diffusa e la crescita di organizzazioni criminali che trovano un terreno fertile per coinvolgere e deviare i giovani.
In questo contesto, molti giovani esprimono un forte desiderio nell’impegno sociale, in modo particolare in ambiti politici ed ecologici e nel mondo del volontariato. 

L’ispettoria salesiana negli ultimi anni ha riflettuto su come agire per essere rilevante nel territorio e ha compiuto diverse scelte importanti, tra cui lo sviluppo delle opere e dei progetti per i giovani più poveri come le case-famiglia e i centri diurni che manifestano direttamente e chiaramente la scelta a favore dei giovani a rischio. La cura integrale dei giovani deve puntar ad una formazione non solo teorica affinché il giovane possa scoprire o prendere consapevolezza delle proprie capacità. Inoltre, è richiesta una prassi missionaria più coraggiosa per realizzare percorsi di educazione alla fede che aiuti i giovani a realizzare il compimento della propria vocazione cristiana.
Tutto ciò da realizzare con il coinvolgimento attivo di tutti: consacrati, laici, giovani, famiglie, membri della famiglia salesiana… in uno stile pienamente sinodale che promuova la corresponsabilità e la partecipazione.

La Basilicata e la Calabria sono state scelte come aree carismaticamente significative e bisognose di irrobustimento e di nuovo slancio educativo-pastorale, territori su cui scommettere aprendo nuove frontiere pastorali e ridimensionando alcune già presenti. Le presenze salesiane sono sei: Potenza, Bova Marina, Corigliano Rossano, Locri, Soverato e Vibo Valentia. Quali sono i salesiani richiesti per questo progetto missionario? Salesiani disposti a lavorare in contesti poveri, popolari e popolosi, con difficoltà economiche e a volte di mancanza di stimoli culturali e attenti in particolare al primo annuncio. Salesiani che siano ben preparati, a livello spirituale, salesiano, culturale e carismatico. È necessario aver ben presente la ragione per cui questo progetto è stato elaborato, ovvero prendersi cura della Basilicata e della Calabria, due regioni povere e con poche proposte pastorali sistematiche a favore dei giovani più bisognosi, in cui il primo annuncio diventa sempre più un’esigenza anche in contesti di tradizione cattolica. Il lavoro educativo-pastorale dei salesiani cerca di dare speranza a tanti giovani che spesso sono costretti a lasciare le proprie case spostarsi verso nord cercando una vita migliore. Il contrasto di questa realtà con offerte pastorali e formative lungimiranti, in particolare la formazione professionale, l’attenzione al disagio giovanile, il lavoro con le istituzioni per trovare risposta diventa sempre più urgente. Oltre ai salesiani consacrati, questo territorio è arricchito dalla bella presenza di laici e membri della Famiglia Salesiana e la chiesa locale, come anche la realtà sociale, nutre un grande rispetto e considerazione verso i figli di Don Bosco.

L’accoglienza di nuovi missionari ad gentes è una benedizione e una sfida che si inserisce in questo progetto pastorale. L’ispettoria Italia Meridionale (IME) quest’anno ha ricevuto quattro missionari, inviati nella 155ª spedizione missionaria salesiana. Tra loro, due sono diventati membri della nuova delegazione ispettoriale AKM (Albania, Kosovo, Montenegro), gli altri due sono stati invece destinati al Sud Italia e prenderanno parte al nuovo progetto missionario dell’IME per la Basilicata e la Campania: Henri Mufele Ngankwini e Guy Roger Mutombo, dalla Repubblica Democratica del Congo (Ispettoria ACC).
Per accompagnare al meglio i missionari che arrivano, l’Ispettoria IME si impegna affinché essi si sentano a casa e abbiano un graduale inserimento nella nuova realtà comunitaria e sociale. I missionari sono gradualmente inseriti nella storia e nella cultura del luogo che diventerà per loro casa e, sin dai primi giorni, frequentano corsi di lingua e cultura italiana, per una durata di almeno due anni, che li aiuterà per una piena inculturazione. Parallelamente, vengono introdotti nei processi formativi e compiono i primi passi nell’azione educativo-pastorale ispettoriale con i giovani e i ragazzi. Una dimensione fondamentale è l’attenzione al cammino spirituale personale: ad ogni missionario vengono garantiti adeguati momenti di preghiera personale e comunitaria, l’accompagnamento e la guida spirituale, la confessione, possibilmente in una lingua da essi compresa, e tempi di aggiornamento e formazione. In una fase successiva, al missionario viene garantita la formazione continua per un inserimento ancor più pieno nelle dinamiche ispettoriali, mantenendo alcune attenzioni specifiche. L’esperienza missionaria verrà valutata periodicamente per individuare punti di forza, fragilità ed eventuali correttivi, in uno spirito fraterno.

Come ci ricorda don Alfred Maravilla, Consigliere Generale per le Missioni, “essere missionari in un’Europa secolarizzata pone notevoli sfide interne ed esterne. La buona volontà non basta.” “Guardando indietro con gli occhi della fede ci rendiamo conto che attraverso il lancio del ‘Progetto Europa’ lo Spirito stava preparando la Società Salesiana ad affrontare la nuova realtà dell’Europa, in modo da poter essere più consapevoli delle nostre risorse e come pure delle sfide, e con speranza per rilanciare il carisma salesiano nel Continente.” 
Preghiamo affinché nelle regioni della Basilicata e della Calabria la presenza salesiana sia ispirata dallo Spirito per il bene dei giovani più bisognosi.

Marco Fulgaro




Corso respiro 2024. Corso di rinnovamento missionario salesiano

Il Settore Missionario della Congregazione Salesiana, con sede a Roma, ha organizzato un corso di rinnovamento missionario denominato Corso Respiro, in lingua inglese, per i missionari che sono già in missione da molti anni e desiderano un rinnovamento e un aggiornamento spirituale.Il corso, iniziato al Colle Don Bosco l’11 settembre 2024, si è concluso con successo a Roma il 26 ottobre 2024.

Al Corso Respiro hanno partecipato 24 persone provenienti da 14 Paesi: Azerbaigian, Botswana, Brasile, Cambogia, Eritrea, India, Giappone, Nigeria, Pakistan, Filippine, Samoa, Sud Sudan, Tanzania e Turchia. Sebbene i partecipanti al corso provenissero da diversi Paesi con background culturali differenti e appartenessero a diversi rami della Famiglia Salesiana, abbiamo rapidamente stabilito un forte legame tra di noi e tutti ci siamo sentiti a casa in compagnia.

Una delle particolarità del Corso Respiro è stata quella di essere un corso missionario a cui hanno partecipato per la prima volta diversi membri della Famiglia Salesiana: 16 Salesiani di Don Bosco (SDB), 3 Suore della Carità di Gesù (SCG), 2 Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice (MSMHC), 2 Suore della Visitazione di Don Bosco (VSDB) e 1 Salesiano Cooperatore. Un altro aspetto positivo è stata l’esperienza vissuta con alcuni dei membri meno conosciuti e più piccoli della Famiglia Salesiana.

Le sette settimane del Corso Respiro sono state un momento di rinnovamento spirituale che ci ha permesso di approfondire la conoscenza di Don Bosco, della storia, del carisma, dello spirito e della spiritualità salesiana e di conoscere meglio i diversi membri della Famiglia Salesiana. La Lectio Divina salesiana, i pellegrinaggi nei luoghi legati alla vita e all’apostolato di Don Bosco ai Becchi, a Castelnuovo Don Bosco, a Chieri e a Valdocco, le giornate trascorse ad Annecy e a Mornese, il pellegrinaggio sulle orme di San Paolo Apostolo a Roma, la partecipazione all’udienza generale di Papa Francesco in Vaticano, la visita alla Basilica del Sacro Cuore costruita da Don Bosco e alla Casa Generalizia Salesiana, la condivisione di esperienze missionarie da parte di tutti i partecipanti al corso, la partecipazione al solenne “Invio Missionario” dalla Basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco, il tempo trascorso quotidianamente in preghiera e riflessione personale, la celebrazione eucaristica comune e così via, ci hanno aiutato molto a personalizzare e approfondire i nostri valori salesiani e la nostra vocazione missionaria. Anche i giorni trascorsi a Roma per riflettere sui vari aspetti della teologia delle missioni, le sessioni sulla pastorale giovanile salesiana, il discernimento personale, la formazione permanente, la catechesi missionaria, la letteratura emotiva, il volontariato missionario, l’animazione missionaria della Congregazione, ecc. Il pellegrinaggio ad Assisi, il luogo santificato da San Francesco d’Assisi, con il tema “ringraziare”, “ripensare” e “rilanciare”, è stata un’occasione per ringraziare Dio per la nostra vocazione missionaria e chiedergli la grazia di tornare nelle nostre terre di missione con maggiore entusiasmo per fare meglio in futuro. Un’altra particolarità del Corso Respiro è stata quella di non essere di natura accademica, con crediti, tesi, esami e valutazioni, ma di porre l’accento sulla Parola di Dio, sulla condivisione di esperienze, sulla riflessione, sulla preghiera e sulla contemplazione, con un minimo apporto teorico.

Come partecipanti al Corso Respiro, abbiamo avuto il privilegio speciale di assistere al 155° “Invio Missionario” dalla Basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco, Torino, il 29 settembre 2024. Un totale di 27 salesiani, praticamente tutti giovanissimi, sono partiti per diversi Paesi come missionari dopo aver ricevuto la croce missionaria da don Stefano Martoglio, Vicario del Rettor Maggiore. Quell’evento memorabile ci ha ricordato la nostra stessa ricezione della croce missionaria e la partenza per le missioni molti anni fa. Abbiamo anche preso coscienza dell’ininterrotto “invio missionario” da Valdocco dal 1875 e del perenne impegno della Congregazione dei Salesiani nei confronti del carisma missionario di Don Bosco.

Un aspetto molto arricchente del Corso Respiro è stata la condivisione delle storie vocazionali e delle esperienze missionarie da parte di tutti i partecipanti. Ognuno si è preparato in anticipo e ha condiviso la propria storia vocazionale e le proprie esperienze missionarie in modo creativo. Mentre alcuni hanno condiviso le loro esperienze sotto forma di semplici discorsi, altri hanno utilizzato foto, filmati e presentazioni in PowerPoint. C’è stato ampio tempo per interagire con ogni missionario per chiarire dubbi e raccogliere maggiori informazioni sulla loro vocazione missionaria, sul Paese e sulla cultura delle loro missioni. Questa condivisione è stata un ottimo esercizio spirituale, perché ognuno di noi ha avuto l’opportunità di riflettere profondamente sulla propria vocazione missionaria e di scoprire la mano di Dio all’opera nella propria vita. Questo viaggio interiore è stato molto formativo e ci ha permesso di rafforzare la nostra vocazione missionaria e di impegnarci con maggiore generosità nella Missio Dei (Missione di Dio).

Durante il Corso Respiro, attraverso la condivisione delle nostre esperienze missionarie, siamo stati ancora una volta profondamente convinti che la vita del missionario non è facile. La maggior parte dei missionari lavora in “periferie” di vario tipo (geografiche, esistenziali, economiche, culturali, spirituali e psicologiche), e un buon numero di loro in condizioni molto difficili, in circostanze impegnative e con molte privazioni. In molti contesti non c’è la libertà religiosa di predicare apertamente il Vangelo. In altri luoghi ci sono governi con ideologie estremiste che si oppongono al cristianesimo e hanno in vigore leggi anti-conversione. Ci sono Paesi in cui non si può rivelare la propria identità sacerdotale o religiosa. Ci sono poi luoghi in cui né l’istituzione cattolica né il personale religioso possono esporre simboli religiosi cristiani come la croce, la Bibbia, statue di Cristo o di santi o abiti religiosi. Ci sono territori in cui i missionari non possono riunirsi per incontri o esercizi spirituali o condurre una vita comunitaria. Ci sono nazioni che non permettono a nessun missionario cristiano straniero di entrare nel loro Paese e bloccano ogni assistenza finanziaria dall’estero alle istituzioni cristiane. Ci sono terre di missione che non hanno abbastanza vocazioni alla vita sacerdotale e religiosa e, di conseguenza, il missionario è oberato da molti lavori e responsabilità. Ci sono poi situazioni in cui trovare le risorse finanziarie necessarie per far fronte alle spese ordinarie di gestione di istituzioni come scuole, convitti, istituti tecnici, centri giovanili, dispensari e così via è una delle maggiori preoccupazioni dei missionari. Ci sono missioni che non hanno le risorse finanziarie necessarie per costruire le infrastrutture tanto necessarie o persone qualificate per insegnare nelle scuole e negli istituti tecnici o per offrire servizi di assistenza sanitaria di base ai poveri. Questo elenco di problemi che i missionari devono affrontare non è esaustivo. Ma l’aspetto positivo dei missionari è che sono persone di fede profonda e felici della loro vocazione missionaria. Sono felici di stare con la gente e soddisfatti di ciò che hanno, e confidando nella Provvidenza di Dio vanno avanti con il loro lavoro missionario nonostante le numerose sfide e privazioni. Alcuni missionari sono esempi luminosi di santità cristiana che fanno della loro vita un potente annuncio del Vangelo. Questi valorosi missionari meritano il nostro apprezzamento, il nostro incoraggiamento e il nostro sostegno spirituale e materiale per continuare il loro lavoro missionario.

Una parola speciale di apprezzamento a tutti i membri del Settore Missionario che hanno lavorato duramente e fatto molti sacrifici per organizzare il Corso Respiro 2024. Mi auguro che il Settore Missione continui a proporre questo corso ogni anno e, se possibile, in diverse lingue e con la partecipazione di un maggior numero di membri della Famiglia Salesiana, soprattutto quelli più piccoli e meno conosciuti. Il corso darà sicuramente l’opportunità ai missionari di avere un rinnovamento spirituale, un aggiornamento teologico, un riposo fisico e mentale, essenziali per offrire un servizio missionario e pastorale di migliore qualità nelle missioni e per stabilire legami più stretti tra i membri della Famiglia Salesiana.

don Jose Kuruvachira, sdb