Intervista al Rettor Maggiore, don Fabio Attard

Abbiamo preso un’intervista in esclusiva al Rettor Maggiore dei Salesiani, don Fabio Attard, ripercorrendo le tappe fondamentali della sua vocazione e del suo percorso umano e spirituale. La sua vocazione è nata nell’oratorio e si è consolidata attraverso un percorso formativo ricco che lo ha portato dall’Irlanda alla Tunisia, da Malta a Roma. Dal 2008 al 2020 è stato Consigliere Generale per la Pastorale Giovanile, ruolo che ha svolto con una visione multiculturale acquisita attraverso esperienze in diversi contesti. Il suo messaggio centrale è la santità come fondamento dell’azione educativa salesiana: “Vorrei vedere una Congregazione più santa”, afferma, sottolineando che l’efficienza professionale deve radicarsi nell’identità consacrata.

Qual è la tua storia della vocazione?

Sono nato a Gozo, Malta, il 23 marzo 1959, quinto di sette figli. Al tempo della mia nascita, mio padre aveva il compito di farmacista in ospedale, mentre mia madre aveva avviato un piccolo negozio di tessuti e sartoria, che con il tempo è cresciuto fino a diventare una piccola catena di cinque negozi. Era una donna molto laboriosa, ma l’attività restava sempre a conduzione familiare.

Ho frequentato le scuole primarie e secondarie locali. Un elemento molto bello e particolare della mia infanzia è che mio padre era catechista laico presso l’oratorio, che fino al 1965 era stato diretto dai salesiani. Lui, da giovane, aveva frequentato quell’oratorio e vi era poi rimasto come unico catechista laico. Quando io iniziai a frequentarlo, a sei anni, i salesiani avevano appena lasciato l’opera. Subentrò un giovane sacerdote (che è ancora in vita) che proseguì le attività dell’oratorio nello stesso spirito salesiano, avendovi lui stesso vissuto da seminarista.
Si continuava con il catechismo, la benedizione eucaristica quotidiana, il calcio, il teatro, il coro, le gite, le feste… tutto quello che normalmente si vive in un oratorio. C’erano tanti bambini e ragazzi, ed io sono cresciuto in quell’ambiente. In pratica, la mia vita si svolgeva tra la famiglia e l’oratorio. Ero anche chierichetto nella mia parrocchia. Così, finita la scuola superiore, mi sono orientato verso il sacerdozio, perché fin da bambino avevo questo desiderio nel cuore.

Oggi mi rendo conto di quanto fossi stato influenzato da quel giovane sacerdote, che guardavo con ammirazione: era sempre presente con noi nel cortile, nelle attività dell’oratorio. Tuttavia, in quel tempo i salesiani non erano più presenti lì. Sono così entrato in seminario, dove all’epoca si facevano due anni di propedeutica come interni. Durante il terzo anno – che corrispondeva al primo anno di filosofia – conobbi un amico di famiglia di circa 35 anni, una vocazione adulta, che era entrato come salesiano aspirante (oggi è ancora in vita, ed è coadiutore). Quando fece questo passo, dentro di me si accese un fuoco. E con l’aiuto del mio direttore spirituale iniziai un discernimento vocazionale.
Fu un cammino importante ma anche impegnativo: avevo 19 anni, ma quella guida spirituale mi aiutò a cercare la volontà di Dio, e non semplicemente la mia. Così, l’ultimo anno – il quarto di filosofia – invece di seguirlo in seminario, lo vissi come aspirante salesiano, completando i due anni di filosofia richiesti.

In famiglia, l’ambiente era fortemente segnato dalla fede. Partecipavamo ogni giorno alla Messa, recitavamo il Rosario in casa, eravamo molto uniti. Anche oggi, benché i nostri genitori siano in Paradiso, manteniamo quella stessa unità tra fratelli e sorelle.

Un’altra esperienza familiare mi ha segnato profondamente, anche se me ne sono accorto solo col tempo. Mio fratello, il secondo della famiglia, è morto a 25 anni per insufficienza renale. Oggi, con i progressi della medicina, sarebbe ancora vivo grazie alla dialisi e ai trapianti, ma allora non c’erano tante possibilità. Gli sono stato accanto negli ultimi tre anni della sua vita: condividevamo la stessa stanza e spesso lo aiutavo di notte. Lui era un giovane sereno, allegro, che ha vissuto la sua fragilità con una gioia straordinaria.
Avevo 16 anni quando è morto. Sono passati cinquant’anni, ma quando ripenso a quel tempo a quell’esperienza quotidiana di vicinanza, fatta di piccoli gesti, riconosco quanto abbia segnato la mia vita.

Sono nato in una famiglia dove c’era fede, senso del lavoro, responsabilità condivisa. I miei genitori sono per me due esempi straordinari: hanno vissuto con grande fede e serenità la croce, senza mai far pesare nulla su nessuno, e al tempo stesso hanno saputo trasmettere la gioia della vita familiare. Posso dire di aver vissuto un’infanzia molto bella. Non eravamo ricchi, né poveri, ma sempre sobri, discreti. Ci hanno insegnato a lavorare, a gestire bene le risorse, a non sprecare, a vivere con dignità, con eleganza e, soprattutto, con attenzione verso i poveri e gli ammalati.

Come ha reagito la tua famiglia quando hai preso la decisione di seguire la vocazione consacrata?

Era arrivato il momento in cui, insieme al mio direttore spirituale, avevamo chiarito che la mia strada era quella dei salesiani. Dovevo anche comunicarlo ai miei genitori. Ricordo che era una sera tranquilla, stavamo mangiando insieme, solo noi tre. A un certo punto dissi: “Voglio dirvi qualcosa: ho fatto il mio discernimento e ho deciso di entrare tra i salesiani.”
Mio padre fu felicissimo. Mi rispose subito: “Che il Signore ti benedica.”. Mia madre invece iniziò a piangere, un po’ come fanno tutte le mamme. Mi chiese: “Allora ti allontani?” Ma mio padre intervenne con dolcezza e fermezza: “Che si allontani o no, questa è la sua strada.”
Mi benedirono e mi incoraggiarono. Sono momenti che restano impressi per sempre.

Ricordo in particolare quello che accadde verso la fine della vita dei miei genitori. Mio padre morì nel 1997, e sei mesi dopo a mia madre hanno scoperto un tumore inguaribile.
In quel periodo, i superiori mi avevano chiesto di andare come docente all’Università Pontificia Salesiana (UPS), ma non sapevo che decisione prendere. Mia madre non stava bene, era ormai prossima alla morte. Parlando con i miei fratelli, mi dissero: “Tu fai quello che ti chiedono i superiori.”
Mi trovavo a casa e ne parlai con lei: “Mamma, i superiori mi chiedono di andare a Roma.”
Lei, con la lucidità di una vera madre, mi rispose: “Senti figlio mio, se dipendesse da me, ti chiederei di restare qui, perché non ho nessun altro e non vorrei pesare sui tuoi fratelli. Ma…” – e qui disse una frase che mi porto nel cuore – “Tu non sei mio, tu appartieni a Dio. Fai quello che ti dicono i superiori.”
Quella frase, pronunciata un anno prima della sua morte, per me è un tesoro, un’eredità preziosa. Mia madre era una donna intelligente, sapiente, perspicace: sapeva che la malattia l’avrebbe portata alla fine, ma in quel momento seppe essere libera interiormente. Libera di dire parole che confermavano ancora una volta il dono che lei stessa aveva fatto a Dio: offrire un figlio alla vita consacrata.

La reazione della mia famiglia, all’inizio e fino alla fine, è stata sempre segnata da un profondo rispetto e da un grande sostegno. E anche oggi, i miei fratelli e sorelle continuano a portare avanti questo spirito.

Qual è stato il tuo percorso formativo dal noviziato fino ad oggi?

È stato un percorso molto ricco e variegato. Ho iniziato il prenoviziato a Malta, poi ho fatto il noviziato a Dublino, in Irlanda. Un’esperienza davvero bella.

Dopo il noviziato, i miei compagni si sono trasferiti a Maynooth per studiare filosofia all’università, ma io l’avevo già completata in precedenza. Per questo i superiori mi hanno chiesto di rimanere ancora al noviziato per un anno, dove ho insegnato italiano e latino. In seguito, sono tornato a Malta per svolgere due anni di tirocinio, che sono stati molto belli e arricchenti.

Successivamente, sono stato inviato a Roma per studiare teologia all’Università Pontificia Salesiana, dove ho trascorso tre anni straordinari. Quegli anni mi hanno dato una grande apertura mentale. Vivevamo nello studentato con quaranta confratelli provenienti da venti nazioni diverse: Asia, Europa, America Latina… anche il corpo docente era internazionale. Era la metà degli anni ’80, circa vent’anni dopo il Concilio Vaticano II, e si respirava ancora molto entusiasmo: c’erano vivaci confronti teologici, la teologia della liberazione, l’interesse per il metodo e la prassi. Quegli studi mi hanno insegnato a leggere la fede non solo come contenuto intellettuale, ma come una scelta di vita.

Dopo quei tre anni, ho proseguito con altri due di specializzazione in teologia morale presso l’Accademia Alfonsiana, con i padri redentoristi. Anche lì ho incontrato figure significative, come il celebre Bernhard Häring, con cui ho stretto un’amicizia personale e andavo regolarmente ogni mese a dialogare con lui. Sono stati cinque anni complessivi – tra baccalaureato e licenza – che mi hanno formato profondamente dal punto di vista teologico.

In seguito, mi sono offerto per le missioni, e i superiori mi hanno inviato in Tunisia, insieme a un altro salesiano, per ristabilire la presenza salesiana nel paese. Abbiamo rilevato una scuola gestita da una congregazione femminile che, non avendo più vocazioni, stava per chiudere. Era una scuola con 700 studenti, per cui abbiamo dovuto imparare il francese e anche l’arabo. Per prepararci, abbiamo trascorso alcuni mesi a Lione, in Francia, e poi ci siamo dedicati allo studio dell’arabo.
Sono rimasto lì tre anni. È stata un’altra grande esperienza, perché ci siamo trovati a vivere la fede e il carisma salesiano in un contesto dove non si poteva parlare esplicitamente di Gesù. Tuttavia, era possibile costruire percorsi educativi fondati sui valori umani: rispetto, disponibilità, verità. La nostra testimonianza era silenziosa ma eloquente. In quell’ambiente ho imparato a conoscere e ad amare il mondo musulmano. Tutti – studenti, docenti e famiglie – erano musulmani, e ci hanno accolti con grande calore. Ci hanno fatto sentire parte della loro famiglia. Sono tornato più volte in Tunisia e ho sempre riscontrato lo stesso rispetto e apprezzamento, al di là della nostra appartenenza religiosa.

Dopo quell’esperienza, sono rientrato a Malta e ho lavorato per cinque anni nel campo sociale. In particolare, in una casa salesiana che accoglie ragazzi bisognosi di un accompagnamento educativo più attento, anche in forma residenziale.

Dopo questi otto anni complessivi di pastorale (tra Tunisia e Malta), mi è stata offerta la possibilità di completare il dottorato. Ho scelto di tornare in Irlanda, perché il tema era legato alla coscienza secondo il pensiero del cardinale John Henry Newman, oggi santo. Completato il dottorato, il Rettor Maggiore dell’epoca, don Juan Edmundo Vecchi – di grata memoria – mi chiese di entrare come docente di teologia morale all’Università Pontificia Salesiana.

Guardando a tutto il mio cammino, dall’aspirantato fino al dottorato, posso dire che è stato un insieme di esperienze non solo di contenuti, ma anche di contesti culturali molto diversi. Ringrazio il Signore e la Congregazione, perché mi hanno offerto la possibilità di vivere una formazione così varia e ricca.

Allora conosci il maltese perché è la tua lingua madre, l’inglese perché è la seconda idioma a Malta, il latino perché lo hai insegnato, l’italiano perché hai studiato in Italia, il francese e l’arabo perché sei stato a Manouba, in Tunisia… Quante lingue conosci?

Cinque, sei lingue, più o meno. Però, quando mi chiedono delle lingue, io dico sempre che sono un po’ coincidenze storiche.
A Malta cresciamo già con due idiomi: il maltese e l’inglese, e a scuola si studia una terza lingua. Ai miei tempi si insegnava anche l’italiano. Poi, io ero naturalmente portato per le lingue, e scelsi anche il latino. In seguito, andando in Tunisia, è stato necessario imparare il francese e anche l’arabo.
A Roma, vivendo con tanti studenti di lingua spagnola, l’orecchio si abitua, e quando sono stato eletto come Consigliere per la Pastorale Giovanile, ho approfondito un po’ anche lo spagnolo, che è una lingua molto bella.

Tutte le lingue sono belle. Certo, impararle richiede impegno, studio, esercizio. C’è chi è più portato, chi meno: fa parte della disposizione personale. Ma non è un merito, né una colpa. È semplicemente un dono, una predisposizione naturale.

Dal 2008- al 2020 sei stato per due mandati Consigliere Generale della Pastorale Giovanile. Come ti ha aiutato la tua esperienza in questa missione?

Quando il Signore ci affida una missione, portiamo con noi tutto il bagaglio di esperienze che abbiamo accumulato nel tempo.
Avendo vissuto in contesti culturali diversi, non correvo il rischio di vedere tutto attraverso il filtro di una sola cultura. Sono europeo, vengo dal Mediterraneo, da un paese che è stato colonia inglese, ma ho avuto la grazia di vivere in comunità internazionali, multiculturali.

Mi hanno aiutato molto anche gli anni di studio all’UPS. Avevamo professori che non si limitavano a trasmettere contenuti, ma ci educavano a fare sintesi, a costruire un metodo. Per esempio, se si studiava storia della Chiesa, si capiva quanto fosse essenziale per comprendere la patristica. Se si affrontava la teologia biblica, si imparava a collegarla con la teologia sacramentale, con la morale, con la storia della spiritualità. Insomma, ci insegnavano a pensare in modo organico.
Questa capacità di sintesi, questa architettura del pensiero, diventa poi parte della tua formazione personale. Quando fai teologia, impari a individuare punti fermi e a collegarli. E lo stesso vale per una proposta pastorale, pedagogica o filosofica. Quando incontri persone con grande spessore, assorbi non solo quello che dicono, ma anche come lo dicono, e questo forma il tuo stile.

Un altro elemento importante è che, al momento della mia elezione, avevo già vissuto esperienze in ambienti missionari, dove la religione cattolica era praticamente assente, e avevo lavorato con persone emarginate e vulnerabili. Avevo anche maturato una certa esperienza nel mondo universitario, e, parallelamente, mi ero molto dedicato all’accompagnamento spirituale.

Inoltre, tra il 2005 e il 2008 – proprio dopo l’esperienza all’UPS – l’Arcidiocesi di Malta mi aveva chiesto di fondare un Istituto di Formazione Pastorale, a seguito di un Sinodo diocesano che ne aveva riconosciuto la necessità. L’arcivescovo mi affidò il compito di avviarlo da zero. La prima cosa che feci fu costruire un’équipe con sacerdoti, religiosi, laici – uomini e donne. Abbiamo dato vita a un nuovo metodo formativo, che viene ancora utilizzato oggi. L’istituto continua a funzionare molto bene, e in qualche modo quell’esperienza ha rappresentato una preparazione preziosa per il lavoro che ho svolto successivamente nella pastorale giovanile.
Fin dall’inizio ho sempre creduto nel lavoro di équipe e nella collaborazione con i laici. La mia prima esperienza come direttore fu proprio in questo stile: un’équipe educativa stabile, oggi diremmo una CEP (Comunità Educativo-Pastorale), con incontri sistematici, non occasionali. Ci vedevamo ogni settimana con gli educatori e i professionisti. E questo approccio, che nel tempo è diventato un metodo, è rimasto per me un riferimento.

A tutto questo si aggiunge anche l’esperienza accademica: sei anni come docente all’Università Pontificia Salesiana, dove arrivavano studenti da oltre cento nazioni, e poi come esaminatore e direttore di tesi di dottorato all’Accademia Alfonsiana.

Credo che tutto ciò mi abbia preparato a vivere quella responsabilità con lucidità e visione.

Così, quando la Congregazione, durante il Capitolo Generale del 2008, mi ha chiesto di assumere questo incarico, portavo già con me una visione ampia, multiculturale. E questo mi ha aiutato, perché mettere insieme diversità non mi risultava faticoso: era parte della normalità. Certo, non si trattava semplicemente di fare una “macedonia” di esperienze: bisognava trovare i fili portanti, dare coerenza e unità.

Quello che ho potuto vivere come Consigliere Generale non è stato un merito personale. Credo che qualsiasi salesiano, se avesse avuto le stesse opportunità e il sostegno della Congregazione, avrebbe potuto vivere esperienze analoghe e dare il proprio contributo con generosità.

C’è una preghiera, una buonanotte salesiana, un’abitudine che non manchi mai da fare?

La devozione a Maria. In casa siamo cresciuti con il Rosario quotidiano, recitato in famiglia. Non era un obbligo, era qualcosa di naturale: lo facevamo prima di mangiare, perché mangiavamo sempre insieme. Allora era possibile. Oggi forse lo è meno, ma allora si viveva così: la famiglia riunita, la preghiera condivisa, la mensa comune.

All’inizio forse non mi rendevo conto di quanto fosse profonda quella devozione mariana. Ma col passare degli anni, quando si comincia a distinguere ciò che è essenziale da ciò che è secondario, ho capito quanto quella presenza materna abbia accompagnato la mia vita.
La devozione a Maria si esprime in forme diverse: il Rosario quotidiano, quando possibile; un momento di sosta davanti a un’immagine o a una statua della Madonna; una preghiera semplice, ma fatta con il cuore. Sono gesti che accompagnano il cammino di fede.

Naturalmente ci sono alcuni punti fermi: l’Eucaristia quotidiana e la meditazione quotidiana. Sono pilastri che non si discutono, si vivono. Non solo perché siamo consacrati, ma perché siamo credenti. E la fede la si vive solo nutrendola.
Quando la nutriamo, cresce in noi. E solo se cresce in noi, possiamo aiutare perché cresca anche negli altri. Per noi, che siamo educatori, è evidente: se la nostra fede non si traduce in vita concreta, tutto il resto diventa facciata.

Queste pratiche – la preghiera, la meditazione, la devozione – non sono riservate ai santi. Sono espressione di onestà. Se ho fatto una scelta di fede, ho anche la responsabilità di coltivarla. Altrimenti, tutto si riduce a qualcosa di esteriore, di apparente. E questo, nel tempo, non regge.

Se potessi tornare indietro, faresti le stesse scelte?

Assolutamente sì. Nella mia vita ci sono stati momenti molto difficili, come succede a tutti. Non voglio passare per la “vittima di turno”. Credo che ogni persona, per crescere, debba attraversare fasi di oscurità, momenti di desolazione, di solitudine, di sentirsi tradita o accusata ingiustamente. E io questi momenti li ho vissuti. Ma ho avuto la grazia di avere accanto un direttore spirituale.

Quando si vivono certe fatiche accompagnati da qualcuno, si riesce a intuire che tutto ciò che Dio permette ha un senso, ha uno scopo. E quando si esce da quel “tunnel”, si scopre di essere una persona diversa, più matura. È come se, attraverso quella prova, siamo trasformati.

Se fossi rimasto solo, avrei rischiato di prendere decisioni sbagliate, senza visione, accecato dalla fatica del momento. Quando si è arrabbiati, quando ci si sente soli, non è il momento di decidere. È il momento di camminare, di chiedere aiuto, di farsi accompagnare.

Vivere certi passaggi con l’aiuto di qualcuno è come essere una pasta messa nel forno: il fuoco la cuoce, la rende matura. Perciò, alla domanda se cambierei qualcosa, la mia risposta è: no. Perché anche i momenti più difficili, anche quelli che non capivo, mi hanno aiutato a diventare la persona che sono oggi.

Mi sento una persona perfetta? No. Ma sento di essere in cammino, ogni giorno, cercando di vivere davanti alla misericordia e alla bontà di Dio.

E oggi, mentre rilascio questa intervista, posso dire con sincerità che mi sento felice. Forse non ho ancora compreso pienamente cosa significhi essere Rettor Maggiore – ci vuole del tempo – ma so che è una missione, non una passeggiata. Porta con sé le sue difficoltà. Tuttavia, mi sento amato, stimato dai miei collaboratori e da tutta la Congregazione.

E tutto quello che sono oggi, lo sono grazie a ciò che ho vissuto, anche nei passaggi più faticosi. Non li cambierei. Mi hanno reso ciò che sono.

Hai qualche progetto che ti sta particolarmente a cuore?

Sì. Se chiudo gli occhi e immagino qualcosa che davvero desidero, vorrei vedere una Congregazione più santa. Più santa. Più santa.

Mi ha ispirato profondamente la prima lettera di don Pascual Chávez del 2002, intitolata “Siate santi”. Quella lettera mi ha toccato dentro, mi ha lasciato un segno.
I progetti sono molti, e tutti validi, ben strutturati, con visioni ampie e profonde. Ma che valore hanno, se vengono portati avanti da persone che non sono sante? Possiamo fare un lavoro eccellente, possiamo anche essere apprezzati – e questo, di per sé, non è negativo –, ma noi non lavoriamo per ottenere successo. Il nostro punto di partenza è un’identità: siamo persone consacrate.

Ciò che proponiamo ha senso solo se nasce da lì. È chiaro che desideriamo che i nostri progetti abbiano successo, ma ancora di più desideriamo che portino grazia, che tocchino le persone nel profondo. Non basta essere efficienti. Dobbiamo essere efficaci, nel senso più profondo: efficaci nella testimonianza, nell’identità, nella fede.
L’efficienza può esistere anche senza alcun riferimento religioso. Possiamo essere ottimi professionisti, ma non basta. La nostra consacrazione non è un dettaglio: è il fondamento. Se diventa marginale, se la mettiamo da parte per fare spazio all’efficienza, allora perdiamo la nostra identità.

E la gente ci osserva. Nelle scuole salesiane, si riconosce che i risultati sono buoni – ed è un bene. Ma ci riconoscono anche come uomini di Dio? Questa è la domanda.
Se ci vedono solo come bravi professionisti, allora siamo solo efficienti. Ma la nostra vita deve nutrirsi di Lui – Via, Verità e Vita – non di ciò che “io penso” o che “io voglio” o di “quello che mi sembra”.

Quindi, più che parlare di un progetto mio personale, preferisco parlare di un desiderio profondo: diventare santi. E parlarne in modo concreto, non idealizzato.
Quando don Bosco parlava ai suoi ragazzi di studio, sanità e santità, non si riferiva a una santità fatta solo di preghiera in cappella. Pensava a una santità vissuta nella relazione con Dio e alimentata dalla relazione con Dio. La santità cristiana è il riflesso di questa relazione viva e quotidiana.

Che consigli daresti a un giovane che si interroga sulla vocazione?

Gli direi di scoprire, passo dopo passo, qual è il progetto di Dio per lui.
Il cammino vocazionale non è una domanda che si fa, aspettando poi una risposta pronta da parte della Chiesa. È un pellegrinaggio. Quando un ragazzo mi dice: “Non so se farmi salesiano o no”, cerco di allontanarlo da quella formulazione. Perché non si tratta semplicemente di decidere: “Mi faccio salesiano”. La vocazione non è un’opzione in relazione a ina “cosa”.

Anche nella mia propria esperienza, quando dissi al mio direttore spirituale: “Voglio diventare salesiano, devo esserlo”, lui, con molta calma, mi fece riflettere: “È davvero la volontà di Dio? Oppure è solo un tuo desiderio?”

Ed è giusto che un giovane cerchi ciò che desidera, è una cosa sana. Ma chi accompagna ha il compito di educare quella ricerca, di trasformarla da entusiasmo iniziale in cammino di maturazione interiore.
“Vuoi fare del bene? Bene. Allora conosci te stesso, riconosci di essere amato da Dio.”
È solo a partire da quella relazione profonda con Dio che può emergere la vera domanda: “Qual è il progetto di Dio per me?”
Perché ciò che oggi desidero, domani potrebbe non bastarmi più. Se la vocazione si riduce a ciò che “mi piace”, allora sarà qualcosa di fragile. La vocazione è invece una voce interiore che interpella, che chiede di entrare in dialogo con Dio, e di rispondere.

Quando un giovane arriva a questo punto, quando viene accompagnato a scoprire quello spazio interiore dove abita Dio, allora inizia davvero a camminare.
E per questo, chi accompagna deve essere molto attento, profondo, paziente. Mai superficiale.

Il Vangelo di Emmaus è un’immagine perfetta: Gesù si avvicina ai due discepoli, li ascolta anche se sa che stanno parlando con confusione. Poi, dopo averli ascoltati, comincia a parlare. E loro, alla fine, lo invitano: “Resta con noi, perché si fa sera.”
E lo riconoscono nel gesto di spezzare il pane. Poi si dicono: “Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli parlava lungo la via?”

Oggi molti giovani sono in ricerca. Il nostro compito, come educatori, è non essere frettolosi. Ma aiutarli, con calma e gradualità, a scoprire la grandezza che è già nel loro cuore. Perché lì, in quella profondità, incontrano Cristo. Come dice sant’Agostino: “Tu eri dentro di me, e io fuori. E lì ti cercavo.”


Avresti un messaggio da trasmettere oggi alla Famiglia Salesiana?

È lo stesso messaggio che ho condiviso anche in questi giorni, durante l’incontro della Consulta della Famiglia Salesiana: La fede. Radicarci sempre di più nella persona di Cristo.

È da questo radicamento che nasce una conoscenza autentica di don Bosco. I primi salesiani, quando vollero scrivere un libro sul vero don Bosco, non lo intitolarono “Don Bosco apostolo dei giovani”, ma “Don Bosco con Dio” – un testo scritto da don Eugenio Ceria nel 1929.
E questo ci fa riflettere. Perché loro, che lo avevano visto in azione ogni giorno, non scelsero di sottolineare il don Bosco instancabile, organizzatore, educatore. No, vollero raccontare il don Bosco profondamente unito a Dio.
Chi lo ha conosciuto bene non si è fermato alle apparenze, ma è andato alla radice: don Bosco era un uomo immerso in Dio.

Alla Famiglia Salesiana dico: abbiamo ricevuto un tesoro. Un dono immenso. Ma ogni dono comporta una responsabilità.
Nel mio discorso finale ho detto: “Non basta amare don Bosco, bisogna conoscerlo.”
E possiamo conoscerlo davvero solo se siamo persone di fede.

Dobbiamo guardarlo con lo sguardo della fede. Solo così possiamo incontrare il credente che fu don Bosco, in cui lo Spirito Santo ha agito con forza: con dýnamis, con cháris, con carisma, con grazia.
Non possiamo limitarci a ripetere certe sue massime o a raccontare i suoi miracoli. Perché corriamo il rischio di fermarci sulle storielle di Don Bosco, invece di fermarci sulla storia di Don Bosco, perché Don Bosco è più grande di Don Bosco.
Questo significa studio, riflessione, profondità. Significa evitare ogni superficialità.

E allora potremo dire con verità: “Questa è la mia fede, questo è il mio carisma: radicati in Cristo, sui passi di Don Bosco.”




Intervista al nuovo ispettore don Peter Končan

Piccola biografia
Ha completato il noviziato nella comunità di Pinerolo, in Italia, professando i primi voti l’8 settembre 1993 a Ljubljana Rakovnik, e i voti perpetui sei anni dopo. Ha ricevuto la propria formazione teologica presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma dal 1997 al 2000 ed è stato ordinato sacerdote a Ljubljana il 29 giugno 2001.
In qualità di sacerdote, la maggior parte del suo lavoro educativo e pastorale è stata svolta all’interno dell’opera salesiana di Želimlje. Dal 2000 al 2003 ha operato come educatore e successivamente, fino al 2020, ha ricoperto il ruolo di direttore del convitto. In quegli anni è stato anche professore di religione presso il liceo salesiano e responsabile per la formazione salesiana dei laici.
Dal 2010 al 2016 ha esercitato la funzione di direttore della comunità di Želimlje e, dal 2021 al 2024, è stato direttore della Comunità salesiana di Ljubljana Rakovnik. Dal 2018 al 2024 ha ricoperto l’incarico di Vicario dell’Ispettore e di Delegato per la Formazione. Nel 2021 ha assunto il coordinamento di questo settore a livello europeo in qualità di coordinatore della RECN.
Il 6 dicembre 2023 è stato nominato 15° Ispettore dell’Ispettoria dei Santi Cirillo e Metodio di Ljubljana.

Puoi presentarti?
Sono nato il 30 maggio 1974 a Ljubljana, Slovenia, nella famiglia contadina in un piccolo paese chiamato Šentjošt. Sono il più piccolo dei 4 figli, che oggi tutti hanno una famiglia, allora ho 11 nipoti con cui siamo molto legati. Il mio paese nativo e anche la mia famiglia sono stati fortemente segnati dal terrore comunista durante e dopo la seconda guerra mondiale, alcuni dei parenti sono stati uccisi, le case distrutte … Nella situazione molto difficile i miei genitori hanno dovuto ricominciare a costruire la cascina da capo, hanno dovuto usare tutta la loro laboriosità e ingegnosità per provvedere a noi figli. I genitori hanno coinvolto noi figli nel lavoro quotidiano e in questo modo anch’io ho imparato, che per ottenere qualcosa d’importante bisogna lavorare forte.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
I miei genitori hanno sempre apertamente espresso la loro identità cristiana, anche se in quei tempi essere cristiano non era opportuno e hanno avuto per questo non pochi problemi. Ogni sera, dopo il lavoro compiuto ci siamo ritrovati come famiglia per pregare il rosario, le litanie e altre preghiere. A me piaceva fare il chierichetto e per questo spesso andavo a piedi nella chiesa che distava 2 chilometri da casa mia per partecipare alla messa. L’esempio dei genitori, la vita cristiana nella famiglia e nella parrocchia sono quindi le ragioni fondamentali per sentire la chiamata di Dio sin da piccolo.

Come hai conosciuto don Bosco?
I miei genitori andavano spesso nel pellegrinaggio a Ljubljana Rakovnik dove erano i salesiani e così ho conosciuto anch’io don Bosco, che mi ha affascinato subito. Ho iniziato a frequentare i ritiri organizzati dai salesiani e dopo la scuola elementare a 14 anni mi era molto naturale di andare nel seminario minore guidato dai salesiani a Želimlje. I miei genitori sono stati molto contenti della mia decisione e mi hanno sempre sostenuto nel mio cammino. Sono veramente molto grato a loro per tuto amore, per la famiglia serena in quale sono cresciuto e per tanti valori importanti che mi hanno trasmesso. Don Bosco ha affascinato anche loro e cosi nel processo della mia formazione anche loro hanno fatto le promesse come salesiani cooperatori.

Esperienza della formazione iniziale
Io stavo facendo la scuola superiore nel tempo quando è crollato il comunismo e la Slovenia diventava indipendente e allora anche i salesiani potevamo riprendere il nostro lavoro tipico. Per questo sono stato preso dall’entusiasmo di tante possibilità di lavoro giovanile che si stavano aprendo e negli anni vissuti nelle case formative internazionali in Italia mi si è anche allargato l’orizzonte perché ho avuto la possibilità di conoscere tanti salesiani da tutto il mondo e tante esperienze nuove. In questo periodo ho lavorato molto nella mia crescita umana e spirituale e ho anche imparato ad amare tantissimo don Bosco e il suo modo di stare e lavorare con i giovani. Sempre di più sono diventato convinto che questa è una strada pensata da Dio per me e che il carisma salesiano è un grandissimo dono per i giovani del nostro tempo.

Quale è la tua esperienza più bella?
Gli 20 anni vissuti nel convitto a Želimlje e dopo a Rakovnik, vivendo con quasi 300 giovani ogni giorno, sono stati veramente molto belli e hanno molto segnato la mia vita. Avevo il privilegio di seguire la loro crescita umana, intellettuale e spirituale e di toccare da vicino le loro gioie, speranze e ferite. I giovani mi hanno insegnato quanto è importante “perdere” il tempo stando con loro. In questo periodo ho imparato e sperimentato anche quanto sono preziosi i collaboratori laici, senza quali non possiamo portare avanti la nostra missione.

Come sono i giovani del luogo e quali sono le sfide più rilevanti?
Nelle opere salesiane e intorno ai nostri programmi ci sono ancora molti giovani generosi, con cuore aperto e disponibile per fare del bene ai loro coetanei. Sono molto fiero del loro entusiasmo e anche contento che molti nel don Bosco trovano il modello e la forza per la loro crescita umana e spirituale.
Dall’altra parte è anche vero che sono molto segnati dal mondo virtuale e di tutte le altre sfide del nostro tempo. Per fortuna i valori tradizionali non sono spariti del tutto, ma è anche vero, che non sono più abbastanza forti per guidare i giovani. Per questo i salesiani cerchiamo di aiutare i giovani con le proposte concrete di sostegno e camminando con loro. All’ultimo capitolo ispettoriale abbiamo individuato alcune povertà (sfide) del nostro contesto: la famiglia debole, la tiepidezza spirituale, il relativismo e la ricerca dell’identità, il passivismo, l’apatia e la mancanza della preparazione concreta dei giovani per la vita.

Dove trovi la forza di continuare?
Per prima nei confratelli. Per fortuna ho intorno a sé confratelli molto bravi e generosi che mi sono di grandissimo sostegno. L’ispettore da solo non può fare molto. Sono convinto che l’unico modo giusto di portare avanti le cose è quello che tutti (salesiani, giovani e laici) mettiamo i propri doni e forze per il bene comune.  E come secondo, noi tutti e la nostra missione siamo solo una piccola parte in un grande disegno di Dio. È Lui che è il vero protagonista e questa consapevolezza mi dà una grande serenità interiore.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Già nella famiglia ho imparato che Maria è un grande sostegno per la vita quotidiana. Molto volentieri e con tanta fiducia mi reco in pellegrinaggio nei vari santuari mariani, dove Maria mi riempie di pace e forza interiore per tutte le sfide della mia vita. Posso testimoniare molte delle grazie che attraverso Maria sono state concesse a me o ai miei cari.

don Peter KONČAN,
ispettore Slovenia




Intervista con il nuovo ispettore don Domingos LEONG

Don Domingos Leong è il Superiore dell’Ispettoria “Maria Ausiliatrice” (CIN) per il sessennio 2024-2030. Succede a don Joseph Ng Chi Yuen, che ha servito l’Ispettoria della Cina come Ispettore dal 2018. Lo abbiamo intervistato.

Può presentarsi?
Mi chiamo Domingos Leong, nato in una famiglia cattolica che viveva a Macao, allora colonia portoghese in Cina. Ho due sorelle e sono l’unico maschio della famiglia. Entrambi i miei genitori erano insegnanti in scuole gestite dai Salesiani e dalle FMA. Tutta la mia formazione è avvenuta in scuole salesiane, sia a Macao che a Hong Kong. Sono entrato nei Salesiani dopo la mia laurea al liceo e ho ricevuto la mia formazione a Hong Kong. Sono stato inviato a studiare filosofia negli Stati Uniti (Newton, New Jersey) dove si è aperta la mia visione globale della Congregazione. Dopo la mia ordinazione, sono andato a Roma per proseguire i miei studi sulla Liturgia a San Anselmo, Roma.

Di cosa sognavi da bambino?
Poiché i miei genitori erano insegnanti e alcuni dei miei parenti lavoravano nel campo dell’istruzione, sognavo di diventare un insegnante in futuro.

Ricordi qualche educatore in particolare?
Durante i miei anni alle scuole medie, andavo all’Oratorio la domenica. Ricordo che quando avevo solo 12 anni, con mia sorpresa, mi è stato chiesto di occuparmi di un gruppo di giovani, organizzare giochi per loro e insegnare loro il catechismo. Credo che sia stato il seme della vocazione salesiana piantato nel mio cuore.

Qual è la tua esperienza migliore?
Dopo la mia ordinazione, abbiamo avuto l’opportunità di organizzare un “gruppo di volontari” che serviva in Cina continentale durante le vacanze estive. Giovani provenienti dalle nostre scuole, sia a Hong Kong che a Macao, sono andati a servire nelle aree rurali. Insieme ai giovani locali, abbiamo condiviso esperienze bellissime, non solo servendo, ma anche testimoniando la nostra fede in un ambiente totalmente diverso. Credo che questo sia il modo migliore per promuovere la vocazione religiosa.

Quali sono i bisogni locali più urgenti e quelli dei giovani?
I giovani locali, pur non mancando di materiali, si sentono soli e hanno bisogno di accompagnamento, sia da parte dei loro coetanei che degli adulti. I giovani sono vittime di famiglie disfunzionali e non vengono ascoltati.

Cosa diresti ai giovani in questo momento?
Siate coraggiosi! Noi, i Salesiani, siamo sempre disponibili e pronti a darvi una mano ogni volta che ne avete bisogno, specialmente in quest’anno di Speranza. Insieme ai membri della Famiglia Salesiana, siamo il vostro GRANDE supporto e non esitate a chiedere.

don Domingos LEONG




Intervista al nuovo superiore don Eric CACHIA, superiore di Malta

Malta, terra benedetta dall’apostolo Paolo, è un’isola situata nel cuore del Mar Mediterraneo, tra l’Europa e il Nord Africa. Nel corso dei secoli ha accolto l’influsso di numerose culture, che ha arricchito il suo fascino. Questo piccolo Stato, tra i più densamente popolati al mondo, ospita i Salesiani di Don Bosco sin dal 1903, impegnati con passione nell’educazione dei giovani. Abbiamo intervistato, don Eric, nominato di recente alla guida della comunità salesiana maltese.

Puoi presentarti?
Mi chiamo don Eric Cachia, sono nato il 4 agosto 1976 a Malta. Sono il primogenito di tre figli: ho due sorelle più giovani di me e due adorabili nipotine. Ho frequentato le scuole materne nella scuola statale del mio paese, ħaż-Żebbuġ, per sei anni. Durante l’ultimo anno, era necessario sostenere un esame per accedere alla scuola desiderata. Sognavo di entrare nel seminario minore, ma per fare felice mia madre, ho sostenuto anche l’esame per il liceo statale e un altro per il Savio College, la scuola salesiana, di cui allora non sapevo quasi nulla e che inizialmente non desideravo frequentare. Ho affrontato quell’esame controvoglia, ma i disegni di Dio hanno voluto che fossi ammesso dai Salesiani.

Dopo sette anni di studio, ho conseguito il diploma di maturità e intrapreso il Noviziato a Lanuvio, vicino Roma, emettendo i primi voti religiosi nelle mani del neo-eletto Rettor Maggiore, don Juan E. Vecchi, presso il Sacro Cuore di Roma. Ero il più giovane del gruppo: avevo solo 19 anni. Tornato a Malta, ho ottenuto un Baccalaureato in Filosofia e Sociologia e successivamente ho svolto due anni di tirocinio come responsabile dell’Oratorio a Tas-Sliema.

Per gli studi teologici mi sono trasferito a Roma, frequentando l’Università Pontificia Salesiana (UPS) e vivendo presso la comunità del Gerini. Sono stato ordinato diacono nel 2004 e ho proseguito la mia formazione a Dublino, in Irlanda, conseguendo un Master in Holistic Development in Family Pastoral Ministry. Tornato a Malta, il 21 luglio 2005, insieme ad altri nove religiosi e diocesani, sono stato ordinato sacerdote.

La mia prima obbedienza è stata quella di responsabile dell’Oratorio a Tas-Sliema e di economo della comunità. Dopo alcuni mesi, sono stato nominato delegato per la Pastorale Giovanile nel Consiglio della Delegazione di Malta. Ho ricoperto questo incarico per un anno prima di essere nominato economo della Delegazione, ruolo che ho svolto per 10 anni e, successivamente, per altri 6 anni quando, nel 2018, Malta è diventata una Visitatoria.

Nel frattempo, ho ricoperto anche altri incarichi: preside del Savio College, accompagnatore nella formazione al post-noviziato di Malta per sei anni e, per quattro anni, assistente coordinatore dell’Associazione delle Scuole Cattoliche a Malta. Per rispondere alle esigenze pastorali, ho conseguito un Master in Psicoterapia Sistemica e della Famiglia e sono stato eletto segretario del Comitato dell’Associazione Nazionale della Psicoterapia a Malta.
Nel 2017 sono diventato direttore del St. Patrick’s, una realtà che include una scuola, un internato e una chiesa pubblica, oltre al ruolo di preside della scuola. Infine, nel dicembre 2023 sono stato nominato Ispettore, incarico assunto a partire dal luglio 2024.

Che cosa sognavi da piccolo?
A 7 anni sono diventato chierichetto e ancora oggi non riesco a spiegare l’esperienza vissuta durante la mia prima Messa da ministrante. Sentii una presenza d’amore nel cuore che mi invitava a diventare sacerdote. Già a casa giocavo a “fare il prete” e, a scuola, nonostante le tensioni tra Chiesa e Stato dell’epoca, dibattevo spesso su temi religiosi.

Il desiderio di diventare sacerdote includeva in sé quello di dare voce a chi non l’aveva. Mi piaceva scrivere storie, parlare in pubblico e organizzare eventi. A soli 14 anni, ad esempio, già organizzavo passeggiate per i ministranti.

Qual è la storia della tua vocazione?
La mia vocazione è nata dall’incontro con vari sacerdoti che consideravo modelli di vita. Tuttavia, fu nella scuola salesiana che trovai nuova energia: lì scoprii talenti nascosti e vissi esperienze che mi fecero sentire parte di una grande famiglia. In quel contesto gioioso e stimolante, il Signore parlò al mio cuore.

All’ultimo anno scolastico, capii che la mia strada sarebbe stata quella salesiana. Dopo un anno di discernimento e confronto con la mia famiglia e un sacerdote, trovai pace nel decidere: “Mi dono per i ragazzi del futuro. Sarò salesiano per portare avanti ciò che ho ricevuto”.

Un aneddoto curioso mi fu raccontato dalla nonna paterna quando ero ormai prossimo al diaconato. Mio padre era uno dei 18 figli di una famiglia numerosa e modesta. Un salesiano inglese, don Patrick McLoughlin, noto per la sua fama di santità, era solito, dopo la messa, passare dalle suore per portare una fetta di torta alla nonna. La sera, tornava con pasti avanzati per aiutare a sfamare la famiglia in difficoltà. Un giorno, la nonna gli chiese: “Come posso ripagare tanta gentilezza e provvidenza?”. Lui rispose: “Tu prega soltanto: chissà, magari uno dei tuoi figli diventerà salesiano”. Tra 51 cugini, sono stato il primo – e uno dei due – a scegliere la vita religiosa… e salesiana.

Come ha reagito la tua famiglia?
La mia famiglia è sempre stata di grande supporto. I miei genitori non hanno mai imposto le loro idee, ma hanno sempre cercato di sostenere le mie decisioni. Mio padre era un muratore e mia madre una casalinga. La semplicità e l’unione familiare erano tra i valori più forti che ci contraddistinguevano. Si facevano sacrifici che solo da adulto ho compreso come espressione di un amore vissuto in modo concreto. Non è stato facile lasciare il paese e iniziare il mio cammino a soli 18 anni, ma oggi i miei genitori sono orgogliosi e, in qualche modo, anche loro fanno parte della Famiglia Salesiana. Da oltre 30 anni preparano pasti per i ragazzi durante i campi estivi. Chissà quante volte mio padre, nonostante sia rimasto analfabeta, ha parlato con la saggezza del cuore a qualche giovane o genitore. E quante volte hanno spedito dépliant a livello ispettoriale per sostenere le nostre opere salesiane!

La gioia più bella e la fatica più grande
Ci sono tante gioie che si custodiscono nel cuore, ma una delle più grandi è quando incontro un exallievo e mi dice: “In te ho ritrovato il padre che non ho mai avuto”. Vivere in pienezza la propria vocazione significa anche offrire ciò che avrebbe potuto essere altrettanto bello, come costruire una famiglia. Questo comporta, talvolta, il dover soffrire in silenzio per questa scelta offerta.
La fatica più grande, invece, è vedere i bambini che soffrono a causa di guerre, violenze e abusi… vederli privati della capacità di sognare un mondo pieno di speranza e di possibilità. È altrettanto difficile restare credibili e ottimisti in un contesto di secolarismo feroce che spesso consuma le energie e tenta di spegnere l’entusiasmo.

Le necessità locali e dei giovani
Malta vive una realtà molto particolare. Culturalmente rimane profondamente cattolica, ma nella pratica quotidiana non lo è altrettanto. Negli ultimi anni, scelte politiche orientate principalmente al potenziamento dell’economia hanno generato una crisi profonda all’interno delle famiglie. Molti ragazzi crescono segnati dalla mancanza di figure di riferimento e di modelli che li accompagnino con amore. Mancano punti stabili di orientamento, e allo stesso tempo, molti giovani sono alla ricerca di un nuovo significato per la propria vita.
La fede, sempre più relegata alla sfera privata, può tuttavia risvegliare interesse quando riesce a parlare un linguaggio che sfida e invita a puntare in alto. In questi casi, i giovani sono felici di unirsi per vivere esperienze che chiedono di essere accompagnati. Circa il 20% della popolazione, ormai, non è più maltese. L’economia, che ha attratto persone da tutto il mondo, sta trasformando il volto dell’isola. Molti giovani non-maltesi si sentono soli, mentre altri iniziano o riprendono un cammino di fede. Si tratta di nuove frontiere e forme emergenti di povertà, segnate da sfide psico-affettive e problemi di salute mentale. Queste situazioni mettono in evidenza l’urgenza di affrontare l’isolamento, la precarietà e le carenze relazionali che caratterizzano questa complessa realtà.

Le grandi sfide dell’evangelizzazione
Tutto può essere riassunto in una parola: credibilità. I giovani, oggi più che mai, non hanno bisogno di semplici trasmettitori di contenuti, ma di persone con cuori autentici e orecchie capaci di ascoltare il battito di cuori in cerca di un senso per la propria vita. Hanno bisogno di educatori che sappiano creare processi, accompagnatori che non temano di mostrare la propria fragilità e i propri limiti, ma che siano guide autentiche. Guide che propongano ciò che loro stessi hanno vissuto: l’incontro con Gesù come meta e chiamata per ogni persona. Una guida che conduca a riscoprirsi parte di una Chiesa in cammino verso le periferie, pronta ad abbracciare e curare le ferite, ancor prima di indicare cosa si deve fare.
La vera sfida, almeno per l’Europa, è trovare giovani che abbiano il coraggio di scommettere la propria vita su Gesù. Come emerso durante il Sinodo, alcune strutture, contesti e linguaggi della Chiesa non sono più incisivi. A questo si aggiunge una Chiesa che, in alcuni casi, appare stanca e distratta, troppo concentrata sull’auto-preservazione. Questa situazione rispecchia anche quella delle famiglie, che devono essere rimesse al centro delle priorità in ogni nazione: sono il futuro dello Stato e della Chiesa.
Ecco perché gli ambienti salesiani, con il loro umanesimo che valorizza il bello presente in ogni persona, devono proporsi non solo come risposte immediate ma anche come modelli per altri gruppi e realtà. Forse solo oggi comprendiamo che la gioia e la speranza di don Bosco vanno ben oltre semplici emozioni: sono le fondamenta su cui costruire il rilancio di un’umanità rinnovata e redenta da Cristo.

Come vedi il futuro?
Guardo al futuro con speranza. Il presente che viviamo, secondo me, è segnato da numerose crisi su vari fronti: direi che non potrebbe andare peggio di così. È quindi un periodo di rinnovamento; ci si affida a Cristo in questo tempo di purificazione e trasformazione. Sì, ci sono sfide che sicuramente plasmeranno il futuro.

Quale posto occupa Maria Ausiliatrice nella tua vita?
Da bambino, pregavamo quotidianamente il Rosario in famiglia. Tuttavia, per me, era forse solo una pratica di pietà popolare. Col passare del tempo, soprattutto durante gli anni da Salesiano, ho potuto rendermi conto di quanto questa mamma celeste mi sia vicina. Ricordo numerosi momenti in cui, preso dalle difficoltà pratiche e dalle preoccupazioni legate alla pastorale, stavo per arrendermi. Ma Lei interveniva sempre al momento giusto. Ogni giorno mi rendo conto di come veramente “sia stata Lei a fare tutto”. Nutro un profondo affetto per la benedizione di Maria Ausiliatrice. Ogni mattina affido a Lei tutti i giovani e i laici collaboratori, ma in particolare quelli che si trovano nelle periferie della società. Un anno fa, in occasione della festa della Madonna di Guadalupe, ho condiviso sui social una frase che Maria disse a Juan Diego: “Non temere nulla. Non sono forse io, che sono tua Madre? Non sei sotto la mia ombra e protezione? Non sono io la fonte della tua gioia? Non sei nel cavo del mio mantello, nell’incrocio delle mie braccia? Hai bisogno di altro? Non lasciare che nient’altro ti preoccupi o ti turbi”. Due ore dopo, ricevo la chiamata del Rettor Maggiore e la richiesta di accettare o meno la nomina a Ispettore.

Che cosa diresti ai giovani?
Di non arrendersi! Riprenderei le parole di Papa Francesco rivolte ai giovani nell’aprile del 2024: “Alzarsi per stare in piedi di fronte alla vita, non seduti sul divano. Ci sono divani diversi che ci attirano e non ci permettono di alzarci.” Se solo i giovani comprendessero che sono la speranza di oggi e di domani, che sono come semi delicati e fragili, ma al contempo ricchi di infinite possibilità! Li esorterei a sfidare Cristo, ma anche a permettere a Cristo di sfidarli: solo così si comprende che con Lui si costruisce una relazione intima con un Dio vivo, non con un’immagine plasmata da paure o ansie. Sfiderei quei giovani che hanno già fatto esperienza di Don Bosco: è straordinario gettarsi nel Cuore di Cristo, donando la propria vita per i giovani che verranno. “Chi manderò?”, chiese Cristo ai suoi discepoli. Magari tanti altri avessero la stessa determinazione: “Mandi me!”

don Eric CACHIA, sdb
superiore di Malta




Intervista al nuovo superiore don Vincentius Prastowo

Don Vincentius Prastowo è il nuovo ispettore salesiano per l’Indonesia, Paese che con i suoi 279 milioni di abitanti e oltre 700 lingue si colloca al quarto posto nel mondo per popolazione. L’Indonesia è lo Stato-arcipelago più grande del pianeta, formato da 17.508 isole, e ospita la comunità musulmana più numerosa al mondo. La presenza salesiana in questa nazione risale al 1985, pur considerando che la prima esperienza nell’attuale Timor Est ebbe inizio già nel 1927. Lo abbiamo intervistato.

Puoi presentarti?
Mi chiamo Vincentius Prastowo. Sono nato il 28 novembre 1980 a Magelang, Giava Centrale. Sono la seconda generazione della mia famiglia ad abbracciare la fede cattolica. I miei genitori sono stati i primi nella nostra famiglia allargata a ricevere il sacramento del battesimo, una decisione che ha cambiato profondamente il corso delle nostre vite. Da loro, ho conosciuto Gesù Cristo e i valori cattolici che mi sono stati trasmessi fin dall’infanzia. Ho frequentato una scuola primaria cattolica gestita dalle Suore dell’Immacolata Concezione (SPM), dove la mia fede è cresciuta attraverso l’educazione religiosa, le attività liturgiche e le interazioni ravvicinate con le suore religiose.

Qual è la storia della tua vocazione?
Il mio interesse per la vita religiosa è iniziato durante l’adolescenza, ispirato dai sacerdoti gesuiti che servivano nella mia parrocchia. La loro genuina dedizione al servizio, la profondità intellettuale e la spiritualità profonda hanno lasciato un’impressione duratura su di me. Questa ispirazione mi ha portato a continuare la mia formazione al Seminario Minore Stella Maris a Bogor, gestito dai Francescani, dal 1994 al 1998.
Al seminario, non solo ho imparato teologia e filosofia di base, ma ho anche approfondito la mia comprensione della vita di preghiera, della disciplina e della vita comunitaria. Questi anni sono stati fondamentali nel plasmare il mio cammino e chiarire il mio desiderio di perseguire una vita di servizio a Dio e agli altri.

Come hai incontrato i salesiani?
Ogni anno, il Seminario Stella Maris ospitava visite di varie congregazioni religiose, introducendo i seminaristi a diverse spiritualità e missioni. Durante una di queste visite, ho incontrato il Padre Jose Llopiz Carbonell e il Padre Andress Calejja, due sacerdoti salesiani che venivano frequentemente al seminario. Portavano calendari annuali con l’immagine di Maria, Aiuto dei Cristiani, che ha immediatamente catturato la mia attenzione.
Attraverso conversazioni con loro, sono diventato curioso riguardo alla missione salesiana e ho deciso di esplorare ulteriormente la loro comunità. La mia curiosità mi ha portato a visitare regolarmente la comunità salesiana a Giacarta ogni fine anno. Sono rimasto profondamente colpito dal loro approccio all’educazione e dal loro impegno nell’accompagnare i giovani. Non predicavano solo la fede; la praticavano facendo da mentori a giovani provenienti da contesti umili.
Il calore e l’amore che ho sperimentato nella comunità salesiana hanno infine consolidato la mia decisione di scegliere questo cammino.

Quali sono state le difficoltà che hai incontrato?
Scegliere il cammino salesiano non è stato privo di sfide. La mia formazione iniziale si è svolta a Timor Est, una regione coinvolta in un conflitto politico all’epoca a causa della sua lotta per l’indipendenza dall’Indonesia. La situazione ha creato tensioni significative, sia per me che per la mia famiglia. I miei genitori erano profondamente preoccupati per la mia sicurezza e hanno persino suggerito di considerare una congregazione “più sicura”.
Tuttavia, la mia determinazione era ferma. Credevo che questa vocazione fosse la vita che Dio aveva pianificato per me. In mezzo al conflitto in corso, ho affrontato numerose prove, tra cui la minaccia di violenza, l’adattamento culturale e la nostalgia per la mia famiglia. Eppure, in ogni difficoltà, ho trovato forza attraverso la preghiera e la protezione di Dio.
Questa esperienza mi ha insegnato a superare la paura e ha rafforzato la mia convinzione. Una delle mie più grandi gioie è stata la libertà e il coraggio di determinare la mia vocazione, nonostante gli ostacoli lungo il cammino.

Come salesiano, ho realizzato le immense sfide affrontate dalle comunità nelle regioni insulari dell’Indonesia. La nostra nazione, composta da migliaia di isole, si confronta con disparità nell’accesso all’istruzione e alle opportunità economiche. Nelle aree remote, i bisogni più urgenti dei giovani sono un’istruzione di qualità e l’accesso a lavori dignitosi.
Credo fermamente che la collaborazione tra i governi centrali e locali sia essenziale per alleviare la povertà in queste regioni. Dare priorità allo sviluppo delle infrastrutture educative, offrire borse di studio per bambini svantaggiati e creare opportunità lavorative eque sono passi vitali.
Come parte della comunità salesiana, mi sento chiamato a contribuire a questi sforzi, specialmente attraverso programmi di educazione professionale volti a dare potere ai giovani con competenze che li preparino per il mercato del lavoro e promuovano l’autosufficienza.

Come è il vostro lavoro salesiano nel contesto del paese?
L’Indonesia è conosciuta come il paese con la più grande popolazione musulmana al mondo. Tuttavia, sono grato che il suo popolo sia generalmente moderato e aperto alla diversità. In questo contesto, i salesiani lavorano in aree prevalentemente musulmane con uno spirito di fratellanza e collaborazione. La nostra missione cerca di costruire ponti attraverso l’educazione e il servizio, rispettando le credenze individuali mentre si difendono valori universali come amore, giustizia e pace.
Questa consapevolezza della diversità è un tesoro che dobbiamo continuare a celebrare. Nella vita quotidiana, impariamo a rispettarci e a lavorare insieme con varie comunità. Credo che la diversità culturale, religiosa e tradizionale dell’Indonesia sia una benedizione che deve essere preservata e apprezzata.

Come vedi il futuro dei giovani e l’educazione salesiana?
Si prevede che l’Indonesia sperimenti un boom demografico a partire dal 2030. Ciò significa un significativo aumento della popolazione in età lavorativa, presentando sia opportunità che sfide. Sebbene questa crescita offra il potenziale per un avanzamento economico, comporta anche rischi di disoccupazione diffusa se non gestita bene.
Come comunità focalizzata sull’educazione, i salesiani svolgono un ruolo cruciale nel preparare i giovani ad affrontare il futuro. Ci concentriamo sulla formazione professionale che si allinea alle esigenze dell’industria, promuovendo al contempo un forte carattere e disciplina. Uno dei nostri principali progetti è elevare la dignità dei giovani nelle isole remote dotandoli di competenze per l’era digitale e tecnologica.
Per prosperare nell’era 5.0, i giovani indonesiani hanno bisogno di adattabilità, creatività e capacità di collaborazione. I programmi di formazione che offriamo mirano a soddisfare queste esigenze, dando potere ai giovani non solo per competere nel mercato del lavoro, ma anche per diventare agenti di cambiamento nelle loro comunità.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Maria ha sempre occupato un posto speciale nel mio cammino. Fin dall’infanzia, l’ho conosciuta e amata attraverso le preghiere del Rosario spesso recitate nel nostro quartiere. La sua immagine come Maria, Aiuto dei Cristiani, mi ha continuamente rafforzato e guidato attraverso le sfide della vita.
Nella tradizione salesiana, la devozione a Maria è altamente enfatizzata. Crediamo che sia sempre presente, accompagnandoci e proteggendoci in ogni passo del nostro cammino. Le mie esperienze personali confermano che attraverso la preghiera e affidandoci a Maria, difficoltà apparentemente insormontabili possono essere superate.

Che cosa diresti ai giovani in questo momento?
Ai giovani, il mio messaggio è questo: non perdete mai la speranza. Non lasciate che difficoltà, sfide o ostacoli schiaccino i vostri sogni. Credete che ci sia sempre una via da seguire, specialmente quando ci appoggiamo a Dio e cerchiamo l’intercessione di Maria.
La vita è un dono pieno di opportunità. Non temete di uscire dalla vostra zona di comfort, affrontare sfide e perseguire la vostra vera vocazione. In ogni viaggio, Dio fornisce la forza, e Maria sarà sempre presente come una madre amorevole e fedele.
Che i giovani indonesiani possano alzarsi, crescere e diventare agenti di cambiamento, portando speranza alla nazione e al mondo. Camminiamo insieme nella fede, nell’amore e nel servizio.

don Vincentius Prastowo
Ispettore dell’Indonesia




Intervista al nuovo ispettore don Simon Zakerian

Ha emesso la sua Prima Professione a Damasco l’8 settembre 2002 e la Professione Perpetua ad Aleppo il 2 Agosto 2008. È stato ordinato sacerdote nella sua città natale, Qamishli l’11 settembre 2010.
Dopo la formazione iniziale, ha servito l’Ispettoria in diversi ministeri, occupandosi di varie responsabilità. Dal 2010 al 2014 ad Aleppo, in Siria, ha servito come collaboratore pastorale; dal 2015 al 2017 a Damasco ha servito come Direttore. Dal 2017 al 2018 ad Alessandria, in Egitto, ha ricoperto ancora il ruolo di Direttore e, dal 2018 a luglio 2024 ad Al – Fidar e El Houssoum, in Libano, sempre con la responsabilità di Direttore. A livello ispettoriale ha servito come consigliere delegato della Pastorale Giovanile per circa 12 anni, finendo questo servizio a giugno 2024 e poi iniziando il nuovo servizio il 6 luglio 2024 come ispettore.
L’Ispettoria del Medio Oriente comprende Palestina – Israele, Siria, Egitto e Libano.

Puoi presentarti?
Sono nato in Siria, in una città che si chiama al-Qamishli (a nord est della Siria), il 2 luglio 1978 da una famiglia armena, e come tutti gli armeni della diaspora ha sopravvissuto al genocidio ottomano del 1915, quando i miei nonni sono scappati e sono arrivati fino a Qamishli.
Mio papà si chiama Aram e mia mamma Araxi; siamo una famiglia di due fratelli e sei sorelle.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
La mia famiglia ha sempre avuto una profonda fede cristiana che i miei mi hanno trasmesso fin da quando ero bambino, anche con l’aiuto di mia nonna che mi parlava di Gesù. Anche la Chiesa Armena mi è stata di aiuto perché da piccolo facevo il chierichetto e servivo la messa.  Poi ho cominciato a frequentare l’oratorio di don Bosco nella mia città, fin dalla quinta elementare. Siccome mi piaceva molto giocare a calcio, ho continuato a frequentare il don Bosco per anni e poi piano piano la mia appartenenza all’oratorio è cresciuta sempre di più facendomi coinvolgere non solo in attività sportive ma anche in quelle di animazione e servizio.

Qual è la storia della tua vocazione?
La mia vocazione è nata da un desiderio che Dio ha messo nel mio cuore. Quando servivo la messa mi dicevo: quando diventerò grande sarò anch’io sull’altare come questo sacerdote.  Dopo avere conosciuto i Salesiani, questo desiderio è maturato sempre di più e l’esempio dei Salesiani, che erano con noi in cortile, in chiesa e nei vari momenti della nostra vita, mi ha fatto pensare seriamente alla mia vita e al suo senso. Così ho iniziato a riflettere più profondamente e a chiedermi il perché della mia esistenza e il senso della mia vita. Ho perciò incominciato a domandarmi come potevo discernere la mia vocazione, a chiedermi che cosa volesse Dio da me. Con questi pensieri, con la preghiera e con il servizio ho camminato alla ricerca della volontà del Signore per me.
A Qamishli c’era un missionario italiano che era sempre con noi in cortile; organizzava i tornei di calcio, incoraggiava, ci accompagnava in chiesa per vivere la santa messa e l’adorazione eucaristica, e ci faceva vedere i film sulla vita dei santi per poi spingerci a fare opere di carità e servizio nell’oratorio e fuori. La sua testimonianza mi ha fatto riflettere che potevo anch’io vivere e fare come lui. Così con il suo aiuto e quello di altri salesiani ho iniziato il mio discernimento. Ho amato la vita di quel salesiano perché era vicino Dio, alla gente e ai giovani come don Bosco con una vita gioiosa e bella, semplice e profonda. Si capiva che il suo non era un lavoro ma una vocazione divina!

Come ha reagito la tua famiglia?
La mia è una famiglia semplice e all’inizio non voleva che io lasciassi la casa, ma poi ha capito che era una chiamata del Signore e così mi è stato permesso di iniziare il cammino. Da quel momento in poi la mia famiglia ha sempre incoraggiato la mia vocazione con l’affetto e la preghiera.

Quali sono state le sfide più grandi?
La sfida più grande è stata lasciare il mondo per seguire Cristo nella vita consacrata. Questo non è stato facile, perché la mia vita era legata a tanti amici e al calcio. Ero un calciatore, e giocavo in una squadra della mia città di serie A, quindi lasciare tutto questo è stato faticoso.

Qual è la tua esperienza più bella?
Devo però dire che una volta iniziato il cammino ho sperimentato quanto dice Gesù nel vangelo che chi segue Lui avrà in cambio tanti fratelli, sorelle, amici, confratelli, giovani e laici con cui condividere la vita e la missione. Questo è veramente un dono bellissimo.

Come sono i giovani del luogo?
I giovani della nostra ispettoria, sono degli eroi, sono stupendi. Come dico sempre a tutti, sono loro i veri protagonisti della storia delle nostre terre, perché hanno sempre vissuto in situazioni molto difficili e di guerra, perché hanno imparato a vivere in queste situazioni come cristiani e come testimoni, con tanta fede e speranza. Per me erano e sono ancora un esempio bellissimo.

Che cosa si potrebbe fare di più e meglio?
Il futuro dei giovani nelle nostre terre oggi è molto ambiguo e non facile, ma loro possono fare tanto, e prego Dio, che ci conceda la pace, perché possano costruire un futuro in queste terre e guardare al domani con speranza e senza paura perché Lui è con noi e non ci abbandona.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Nelle nostre case del Medio Oriente siamo abituati noi salesiani insieme ai giovani a invocare molto spesso Maria Ausiliatrice, perché sappiamo che è stata Lei ad aiutare don Bosco soprattutto nei momenti più faticosi.  E noi proprio in questi momenti di guerra non cessiamo di chiedere la sua intercessione materna, Lei il nostro rifugio, Lei la Madonna dei tempi difficili come diceva don Bosco.

Che cosa diresti ai giovani in questo momento?
Dico ai giovani di non aver paura della vita e delle difficoltà, ma di affrontare tutto con amore e speranza; non da soli, ma con Dio e con i fratelli e le sorelle, perché insieme possiamo cambiare noi stessi e il mondo; così hanno vissuto e fatto i nostri santi e il nostro padre fondatore don Bosco. Invito perciò i giovani ad aprire il cuore alla chiamata di Dio, a non essere indifferenti quando ascoltano la Sua voce… non indurite il cuore!
E concludo dicendo a me stesso e a tutti i giovani, le stesse parole di papa Francesco nella Cristus Vivit: “Lui vive e ti vuole vivo!”

don Simon ZAKERIAN
ispettore Medio Oriente




Intervista al nuovo ispettore don Milan Ivančević

La Croazia salesiana rappresenta una parte della Congregazione Salesiana, degna di particolare attenzione. In un paese che conta quasi 4 milioni di abitanti, stanno emergendo numerose vocazioni, non solo tra i salesiani, ma anche tra le Figlie di Maria Ausiliatrice. Recentemente, la comunità ha accolto un nuovo ispettore salesiano: don Milan Ivančević. Abbiamo avuto il piacere di intervistarlo e vogliamo offrire la sua testimonianza.

Puoi presentarti?
Milan Ivančević, salesiano, nato il 25 ottobre 1962, a Šlimac (Rama – Prozor, BiH). Di tre fratelli e tre sorelle, ho 29 nipoti. Ho terminato le scuole elementari e superiori nella mia città natale. Dopo aver studiato matematica e fisica a Mostar e due anni di insegnamento in una scuola elementare, sono entrato nella comunità salesiana nell’autunno del 1989. Ho preso i voti permanenti l’8 settembre 1997 e sono stato ordinato sacerdote il 27 giugno 1998.
Come sacerdote salesiano ho svolto i seguenti servizi:
– 1998 – 1999: Vicario parrocchiale nella parrocchia di Maria Ausiliatrice a Knežija;
– 1999 – 2002: insegnante di religione a Žepče;
– 2002 – 2003: consigliere della Comunità per l’Educazione delle Vocazioni Salesiane a Podsused;
– 2003 – 2005: studio specialistico a Roma presso UPS, (licenza in spiritualità);
– 2005 – 2006: consigliere della Comunità per l’Educazione delle Vocazioni Salesiane a Podsused;
– 2006 – 2015: direttore nella stessa comunità e membro del Consiglio ispettoriale;
– 2015 – 2021: direttore della comunità salesiana di Žepče e direttore del KŠC Don Bosco;
– 2021 – 2024: parroco e direttore della comunità a Spalato;
– 2024 –: ispettore.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
Mia madre mi ha insegnato i primi passi nella fede, con la parola e con l’esempio. Più tardi, crescendo, anche tutti gli altri membri della famiglia ci hanno formato nella fede, perché in famiglia c’era la preghiera regolare: preghiera del mattino e della sera, prima e dopo i pasti.
Abitavamo in un villaggio a 7 km dalla chiesa, ma andavamo regolarmente alla Santa Messa domenicale. Tutto era intriso di fede ma anche di tanta sofferenza. La mia zona ha sofferto molto durante la seconda guerra mondiale. In un giorno la madre, quando aveva solo 11 anni, perse due fratelli che furono uccisi dai cetnici (serbi) nell’autunno del 1942 solo perché croati. Quella ferita segnò la famiglia per tutta la vita insieme alla povertà.

Come hai conosciuto Don Bosco / i salesiani?
Ho sentito parlare dei Salesiani abbastanza tardi. Durante i miei studi di matematica, ho espresso il desiderio a mia zia, ormai defunta, che era una suora in Germania, di voler diventare prete. Mi ha fornito quattro indirizzi dalla Germania a cui è possibile rivolgersi in relazione alla vocazione al sacerdozio. Tra questi il discorso dei Salesiani in Germania. Così ho cominciato a corrispondere con loro, e le lettere sono state tradotte dal salesiano croato don Franjo Crnjaković, che allora lavorava in Germania. Quando i tempi furono maturi per entrare in comunità, si presentò il problema di non conoscere la lingua tedesca. Poi don Franjo mi ha mandato l’indirizzo dei salesiani di Zagabria e così sono diventato salesiano croato.

Avevi fino gli studi superiori in matematica. Perché salesiano?
Amavo la matematica e lavorare con i bambini a scuola. Mi è piaciuto aiutare i giovani a risolvere problemi di matematica. Fin dalla mia infanzia, la vocazione sacerdotale in qualche modo covava in me. La prima che ricordo è stata un’esperienza con un parente anziano che era tra i pochi parenti a ricevere una pensione. Quando ero in terza elementare, un giorno mi vide felice per i miei ottimi voti e mi disse: “Promettimi che studierai per diventare prete, e d’ora in poi ti darò 5 stoi di ciascuna delle mie pensioni” (valore attuale 10 euro). E ovviamente l’ho promesso perché per me da bambino era un grande valore. Molti anni dopo, quando già lavoravo in una scuola ed ero vicino alla decisione di entrare in comunità, fui al suo funerale e sulla tomba aperta lo ringraziai e gli promisi che mi sarei fatto prete. Tra i bambini a cui insegnavo matematica c’erano anche quelli abbandonati dai genitori. Osservare la loro situazione mi ha aiutato a decidere di intraprendere la strada del servizio ai giovani come salesiano.

La gioia più bella e la fatica più grande
Le esperienze della confessione mi rendono felice soprattutto. Quando vedo davanti a me la trasformazione dell’anima umana e riconosco me stesso come il mezzo attraverso il quale avviene, essa non può essere paragonata a nulla sulla terra, è un evento celeste. Soprattutto quando si tratta di giovani, ma in queste situazioni ogni anima è giovane perché è bella. E ciò che mi ferisce di più è la disperazione dei bambini e dei giovani quando i loro genitori si separano. Sono sempre profondamente commosso dalla loro sofferenza. E anche la consapevolezza di quando le persone prendono alla leggera la decisione di abortire. Mi viene la pelle d’oca a causa della cecità in cui le persone non sono consapevoli di quanto grande sia l’errore che stanno commettendo. Queste cose penetrano nel profondo dell’umanità e la mettono in discussione.

Quali sono le necessità locali più urgenti e dei giovani? Che cosa si potrebbe fare di più e meglio?
Il bisogno più urgente della nostra popolazione è ridare speranza alle persone affinché non abbiano paura della vita e rafforzare le persone nella fede che Dio guida e sostiene questo mondo. La vita è tanto più bella e ricca quando è intrisa di fede, perché proprio nella fede essa ha un significato evidente e può trovare sempre motivi di gioia. La cultura moderna ruba questo valore ai giovani e lo sostituisce con valori di breve durata, che si consumano facilmente e velocemente, lasciando un vuoto nell’anima. Abbiamo la fortuna che un gran numero di giovani riescano a coltivare e vivere la propria fede, a volte anche controcorrente. Ma purtroppo molti sono ancora lontani dalla fede e cercano un senso in qualcosa di più piccolo di loro.
Forse potremmo uscire ancora di più e iniziare a cercare i randagi. Ma è necessario uscire preparati, se portiamo solo le nostre forze riusciremo un po’, ma se andiamo avanti con la forza di Dio, allora Lui fa molto per le nostre piccole cose. Penso che nei nostri cuori, che sono consacrati a Dio, abbiamo bisogno di recuperare quell’amore originario e testimoniare con rinnovata forza che Dio è realmente vivo e che ci invita a partecipare alla sua vita. E questo non può essere nascosto, le anime lo vedono.

Come vedi il futuro?
Il futuro, come il presente, è nelle mani di Dio. La Bibbia ci insegna che il mondo è in buone mani. Ecco perché non dobbiamo avere paura. “Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?” (Rm 8,31). È vero che i cambiamenti avvengono a una velocità incredibile, il mondo diventa sempre più piccolo perché tutto è facile e veloce da raggiungere. Culture e tradizioni si mescolano e nessuno può immaginare quali saranno le conseguenze. Ma se abbiamo fiducia nel Signore, che è la fonte della vita, Egli porterà tutto al bene. Sta a noi ascoltare, discernere e cercare il nostro posto e il nostro ruolo in ciò che Egli ci chiede. E se siamo su quella strada, allora siamo pronti alle meravigliose sorprese che il Signore sta preparando per noi.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Maria, la Madre di Gesù, ha un posto importante nella mia vita. Mia madre ci ha indicato la presenza della Madonna per tutta la sua vita e ha sussurrato e pregato il rosario fino al suo ultimo respiro. Faccio anche volentieri pellegrinaggi ai santuari della Madonna e testimonio come il suo sguardo infonde speranza nelle persone. Don Bosco ci ha lasciato la devozione a Maria Ausiliatrice e ci ha promesso che vedremo cosa sono i miracoli se avremo fiducia infantile nell’Immacolata Ausiliatrice. Il mistero del Natale e dell’Eucaristia non può essere compreso senza immergersi nel profondo, e il modo più semplice per riuscirci è pregare il rosario.

Che cosa diresti ai giovani in questo momento?
Il mio messaggio ai giovani è che non abbiano paura di essere credenti, anche se la moda la chiama arretratezza. E infatti nessuno è interessato al nostro domani quanto Dio, che nei suoi comandamenti ci dà la forza per il futuro. Ci prepara per il futuro con i suoi comandamenti. Se ogni giorno cerchiamo di armonizzare la nostra vita secondo il Decalogo, allora possiamo già dire di noi stessi: beati quelli che vengono dietro di noi perché avranno delle persone davanti a loro. Perciò giovani, siate coraggiosi, non abbiate paura della vita, è il dono più bello di Dio.

Milan Ivančević, sdb
ispettore CRO




Intervista al nuovo superiore don Gabriel NGENDAKURIYO

Abbiamo intervistato il nuovo Superiore don Gabriel NGENDAKURIYO, della Visitatoria Grandi Laghi dell’Africa (AGL), che comprende Uganda, Ruanda e Burundi. Il nome della Visitatoria richiama la prossimità al Lago Vittoria, il più grande d’Africa e il secondo al mondo.

Puoi presentarti?
Mi chiamo Gabriel NGENDAKURIYO, salesiano di Don Bosco e sacerdote. Sono nato il 3 luglio 1954 in Burundi, dove ho frequentato la scuola fino alla fine degli studi secondari. Subito dopo, sono entrato nella Congregazione salesiana: ho svolto il noviziato a Butare, in Ruanda (1978-1979), e poi ho studiato Filosofia al Seminario interdiocesano di Nyakibanda (Ruanda).
Nel 1981 mi sono trasferito a Lubumbashi (allora Zaire) per il tirocinio pratico. Ho completato la Teologia a Kolwezi, nello stesso Paese, e sono stato ordinato sacerdote a Lubumbashi l’11 agosto 1987. Un mese dopo ero già a Rukago, in Burundi, come vicario parrocchiale.
Nel 1991 sono stato inviato a Roma e poi a Gerusalemme per studi che mi preparavano al ruolo di formatore presso il nostro Istituto di Teologia San Francesco di Sales a Lubumbashi. Vi sono rimasto dal 1994 al 2006, finché il Rettor Maggiore (don Pascual Chávez) mi ha nominato Superiore provinciale di una nuova Circoscrizione chiamata Africa dei Grandi Laghi (AGL), con attività in tre Paesi: Burundi, Ruanda e Uganda.
Concluso il mandato di sei anni (2006-2012) e dopo un anno sabbatico in Terra Santa, sono stato nominato Direttore a Buterere (Burundi). Successivamente, per due anni, ho diretto la Comunità Don Rua all’UPS (Roma). Sei anni dopo (agosto 2021), sono tornato a Buterere come Rettore del Santuario dedicato a Maria Ausiliatrice. Da lì sono partito per Kigali per un nuovo mandato di Superiore provinciale. Ora mi trovo a Roma per una sessione di formazione destinata ai “nuovi” provinciali.

Chi ti ha raccontato per primo la storia di Gesù?
Provengo da una famiglia profondamente cristiana e praticante. Ho conosciuto Gesù in modo “vitale e concreto” prima ancora che teorico: si recitava il rosario ogni giorno, si andava a Messa la domenica (due ore di cammino), facevo il chierichetto, e ho seguito mia sorella maggiore al catecumenato prima di iniziare la scuola elementare. Sono stati quindi i miei genitori i primi a raccontarmi di Gesù.

Qual è la storia della tua vocazione?
Alla fine della scuola primaria ho chiesto di entrare nel piccolo seminario diocesano, perché desideravo diventare sacerdote. Non mi fu possibile; così venni indirizzato in una scuola a ciclo breve, gestita dai Fratelli di Nostra Signora della Misericordia, per formare insegnanti di scuola elementare. Qui ho trovato persone che mi hanno molto edificato. Poi, a 17 anni, sono approdato in una scuola salesiana e ho sentito il “fuoco” di Don Bosco nel mio cuore.

Qual è il ricordo più caro?
Il momento della mia ordinazione sacerdotale è uno dei ricordi più preziosi. Un altro è legato al mio primo arrivo in Terra Santa e, più tardi, a Lourdes.

Quali sono le necessità locali più urgenti e quali quelle dei giovani?
Nella mia Provincia AGL, la priorità più urgente è la formazione ai valori umani e cristiani autentici. Oggi esistono tanti “maestri” di ogni genere ed è diventato complicato distinguere la zizzania dal buon grano. Lavoriamo quindi per un’evangelizzazione profonda, basandoci sui principi del “sistema preventivo” proprio di Don Bosco.

I cristiani della regione sono perseguitati?
No, assolutamente. Al momento i cristiani godono di una sufficiente libertà per vivere e proclamare la propria fede, ovviamente nel rispetto dell’ordine pubblico.

Rapporti con persone di altre religioni nella sua regione?
I rapporti non sono sempre idilliaci tra cristiani cattolici e alcune nuove forme di obbedienza protestante, ma le divergenze non sfociano mai in violenza.

Come vede il futuro?
Guardo al futuro con ottimismo e realismo. La storia dell’umanità è dinamica, fatta di alti e bassi. Oggi attraversiamo certamente un periodo delicato, che richiede di leggere bene i “segni dei tempi” e di prendere la giusta direzione.

Quale posto occupa nella tua vita Maria Ausiliatrice?
Fin da bambino ho sempre avuto un rapporto molto importante con Maria (ho conosciuto il titolo di “Ausiliatrice” solo più tardi). Una volta scoperto che mi ascolta e si prende cura di me, le parlo con rispetto ma anche con spontaneità e familiarità. Faccio di tutto perché sia conosciuta e amata. Mi sento suo “figlio”, “confidente” e “discepolo”.

Che cosa diresti ai giovani in questo momento?
Direi loro che la vita è bella e degna di essere vissuta con pienezza. E che questa “vita in pienezza”, sebbene meravigliosa, richiede anche sforzo (in senso ascetico), capace di nobilitare la persona umana. Avanti, giovani!

don Gabriel NGENDAKURIYO,
superiore della Visitatoria Grandi Laghi dell’Africa




Intervista al nuovo ispettore di Shillong, India (INS), don John ZOSIAMA

Abbiamo intervistato il nuovo ispettore di Shillong, India, don John ZOSIAMA. Una regione particolare del Nord-Est dell’India, confinante con Bhutan, Bangladesh e Myanmar (Birmania).

Può presentarsi?
Sono nato il 20 agosto 1974 a Chhingchhip, nello Stato di Mizoram, nel Nord-Est dell’India. Ho ricevuto la mia prima istruzione nel villaggio, completando le scuole superiori, e successivamente ho seguito il corso pre-universitario ad Aizawl, la capitale del Mizoram.

Chi le ha raccontato per la prima volta la storia di Gesù?
Provengo da una famiglia cattolica tradizionale: pregavamo regolarmente insieme, specialmente la sera con il rosario. Mia madre era molto devota alla Santissima Vergine Maria e non rinunciava mai alla preghiera quotidiana. È stata lei a parlarci di Gesù e dei valori del Vangelo.

Qual è la storia della sua vocazione e perché salesiana?
Da bambino facevo il chierichetto in parrocchia e frequentavo il catechismo la domenica. In quel periodo desideravo diventare sacerdote, ma da adolescente questo desiderio si affievolì: volevo infatti proseguire gli studi, trovare un buon lavoro nel governo e costruire una famiglia felice.
Tuttavia, prima di iscrivermi all’università, iniziai a riflettere con serietà sulla mia vita e sulla vocazione. Sentivo nel cuore che Dio mi chiamava a servirlo come sacerdote, soprattutto per sostenere la Chiesa cattolica in un contesto in cui altre confessioni cristiane sono piuttosto forti. Avvertivo il desiderio di dare il mio contributo alla Chiesa, in particolare per i giovani che rischiavano di smarrirsi.
La nostra catechista, sapendo che ero interessato al seminario, mi parlò dei Salesiani e mi incoraggiò a unirmi a loro. Anch’io avevo già sentito parlare di quest’ordine e conoscevo alcune loro opere a Shillong. Decisi di contattare mia zia, suora Missionaria di Maria Ausiliatrice (MSMHC), che a sua volta informò il Viceprovinciale di Guwahati. Non appena mi fu chiesto di presentarmi, partii da solo dal mio villaggio, affrontando due giorni di viaggio fino a Guwahati. Così ebbe inizio il mio aspirantato salesiano.

Come ha reagito la sua famiglia?
Mia madre fu molto felice quando seppe della mia decisione di diventare sacerdote; mi disse di non preoccuparmi per loro, perché il Signore si sarebbe preso cura di tutto. Mio padre, invece, era più titubante, perché sperava che continuassi a studiare e mantenessi la famiglia. Alla fine accettò anche lui, e prima che partissi, durante la preghiera in famiglia, citò il passo di Mt 6,33: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”.

La gioia più bella e la fatica più grande
Ho vissuto esperienze pastorali molto belle sia durante la formazione pratica sia durante il ministero diaconale. Stare con i ragazzi, insegnare loro, giocare insieme e farmi loro amico mi ha dato grande gioia. Ricordo con piacere i due anni in Aspirantato con circa 150 ragazzi: un periodo pieno di momenti felici. In seguito, durante il ministero diaconale, ho avuto la possibilità di visitare molti villaggi, incontrando persone semplici. Condividere con loro il messaggio della Buona Novella mi ha dato un profondo senso di gioia e realizzazione come salesiano.
La sfida più grande l’ho vissuta durante il Filosofato, a causa di alcune incomprensioni con i superiori. Arrivai a mettere in dubbio la mia vocazione, ma mi affidai a Dio, confidando che, se davvero mi voleva come sacerdote, mi avrebbe indicato la strada. Grazie alla fede e alla preghiera, sono riuscito a superare quei momenti difficili.

Com’è la gioventù locale e quali sono i bisogni più urgenti a livello locale e giovanile?
I ragazzi del luogo sono pieni di vita e talentuosi in molti campi; molti partecipano ancora attivamente alla vita della Chiesa e alle iniziative sociali. Tuttavia, l’influsso dei social media è sempre più forte: un gran numero di giovani è attratto dal materialismo, dalla secolarizzazione e da idee politiche viste online, e come Salesiani sentiamo l’urgenza di guidarli e sostenerli. Molti abbandonano la scuola e restano disoccupati: hanno bisogno di orientamento e di speranza per il futuro, di formazione e di accompagnamento per diventare cittadini responsabili e buoni cristiani.

I cristiani nella zona sono perseguitati?
Non ci sono vere e proprie persecuzioni nei confronti dei cristiani. In molti Stati in cui operiamo, infatti, la maggioranza della popolazione è cristiana. Godiamo inoltre di una buona collaborazione con persone di altre religioni. Tuttavia, il governo centrale limita sempre più le nostre attività di educazione ed evangelizzazione con nuove regole e normative, che rendono il nostro lavoro pastorale più complesso.

Quali sono le grandi sfide dell’evangelizzazione e della missione oggi?
La prima sfida viene dalle nuove normative finanziarie e politiche in materia di istruzione introdotte dal governo centrale, che complicano le nostre attività e il nostro operato a servizio della gente. Ciononostante, la Chiesa e le opere di evangelizzazione continuano a crescere nel Nord-Est dell’India. Sento che, in questa regione, il compito più urgente è rafforzare la fede attraverso un’istruzione catechistica solida e aiutare i credenti a vivere pienamente i valori del Vangelo, diventando promotori di pace e di trasformazione sociale.

Cosa si potrebbe fare di più e meglio?
Come Salesiani, potremmo intensificare il nostro impegno per i giovani delle periferie, in particolare per quelli che abbandonano la scuola, fanno uso di droghe o che sono disoccupati. È importante studiare a fondo la loro situazione, elaborare piani strategici insieme ai laici e ai membri della Famiglia Salesiana. Dobbiamo imparare a lavorare in rete, in equipe, per raggiungere in modo più efficace i ragazzi più bisognosi.

Il rapporto con le altre religioni nella vostra zona?
Finora è molto positivo. In molti casi, gli insegnanti delle nostre scuole e istituzioni appartengono ad altre religioni, ma collaborano con noi con grande impegno e spirito di apertura.

Ha qualche progetto che le sta particolarmente a cuore?
Penso che sia fondamentale studiare la situazione dei giovani di oggi, ascoltarne i problemi e le aspirazioni, per poi avviare un nuovo ministero salesiano rivolto a coloro che sono realmente poveri e trascurati. Forse sarà necessario compiere scelte coraggiose e impegnative, ma credo che sia questa la missione a cui Don Bosco ci ha chiamato. Preghiamo e speriamo che, come confratelli, ci lasciamo trasformare dai cambiamenti del nostro tempo.

Che posto occupa Maria Ausiliatrice nella sua vita?
Attraverso l’intercessione della Santissima Vergine Maria ho ricevuto innumerevoli grazie, soprattutto invocandola come Aiuto dei Cristiani. Se oggi sono qui, lo devo anche a Lei, che ha sempre ascoltato le mie preghiere e interceduto per me. Sono riconoscente per la sua presenza materna e per la testimonianza di mia madre, che mi ha insegnato a recitare il rosario con fede.

Ha un messaggio per la Famiglia Salesiana?
Come Famiglia Salesiana, abbiamo ricevuto un grande carisma attraverso Don Bosco. Dobbiamo custodirlo e ringraziare Dio per questo dono, mettendoci al servizio dei giovani – in particolare dei poveri e degli abbandonati – ovunque ci troviamo. Siamo presenti in 137 Paesi e possiamo essere segno concreto dell’amore di Dio per i ragazzi e le ragazze di oggi.

don John Zosiama
Provinciale di Shillong, India (INS)




Intervista al nuovo ispettore del Giappone, don Francesco HAMASAKI

Abbiamo intervistato il nuovo ispettore del Giappone, don Francesco HAMASAKI. Sempre fa piacere sentire notizie dai luoghi più lontani geograficamente dall’origine salesiana, da Valdocco.

Puoi presentarti?
Sono nato nella prefettura di Nagasaki, una regione del Giappone nota per i numerosi martiri che vi sono stati. Mi è stato detto che anche i miei antenati erano cristiani, cosiddetti “nascosti” a causa della persecuzione. Tuttavia, durante la mia infanzia, mi sono trasferito nella prefettura di Nara (vicino a Osaka e Kyoto, famosa per i suoi antichi templi e santuari) e lì sono cresciuto. La mia famiglia è composta da sette persone: i miei genitori, i miei quattro fratelli e sorelle, e io. Tutti siamo cattolici, e in particolare i miei genitori sono molto devoti.

Qual è la storia della tua vocazione?
All’epoca, i sacerdoti che svolgevano il loro ministero nella prefettura di Nara provenivano tutti dall’Australia ed erano missionari maristi. Il parroco della mia comunità era padre Tony Glynn, un uomo che si è impegnato per diventare un ponte di pace tra il Giappone e l’Australia. È stato persino protagonista di un film intitolato La ferrovia dell’amore. È stato grazie alla sua influenza che ho iniziato a desiderare di diventare sacerdote. Tuttavia, in quel momento non conoscevo ancora i Salesiani di Don Bosco, né Don Bosco stesso.
Successivamente, attraverso varie circostanze, come l’incontro con alcune suore, sono entrato nell’aspirantato salesiano durante il primo anno di liceo. Un evento curioso è accaduto proprio prima del mio ingresso: ricevevo ogni mese una rivista senza sapere chi me la inviasse. Dopo essere entrato nei Salesiani, mi sono reso conto che si trattava del Bollettino Salesiano giapponese (Katorikku Seikatsu; Vita Cattolica). Ancora oggi non so chi me lo mandasse, ma credo che fosse Don Bosco stesso a guidarmi verso la sua congregazione.
Oggi mi sento molto felice. Questo perché percepisco intensamente la grandezza e la misericordia di Dio, e provo gioia nell’essere sacerdote salesiano. Questo mi permette di vivere il carisma di Don Bosco, ossia dedicare la mia vita ai giovani.
Prima di essere ordinato sacerdote, ho lavorato per due anni e mezzo nella redazione di Katorikku Seikatsu presso la casa editrice Don Bosco Sha. Dopo l’ordinazione, ho trascorso 12 anni lavorando con i giovani nell’aspirantato. Successivamente, ho lavorato per 9 anni in una scuola e poi per 3 anni in una piccola parrocchia e un asilo. Ora, ricopro il ruolo di ispettore.
Ovunque sia stato, ho provato gioia nello stare con i giovani e ho vissuto tante esperienze e incontri straordinari. Tra tutte, quella che ha trasformato il mio modo di vivere, pensare e sentire come salesiano è stata l’esperienza di lavoro pastorale nel carcere minorile. Qui ho capito l’importanza dell’insegnamento di Don Bosco: “Non basta amare, bisogna che i giovani si sentano amati.” Ho compreso profondamente l’amore di Dio e la sua infinita misericordia.
Anche se, per via del mio ruolo attuale, sono spesso lontano dal lavoro pastorale diretto con i giovani, continuo a dedicarmi al ministero nelle carceri minorili per non dimenticare il cuore di Don Bosco.

Come sono i giovani del luogo?
Parlando dei giovani giapponesi di oggi, come in altri paesi, anche loro affrontano varie sfide. Ritengo che ci siano due problemi principali che richiedono attenzione:
1. Giovani immigrati e figli di famiglie immigrate: Negli ultimi decenni, sono aumentati i giovani provenienti dalle Filippine e dall’America Latina. Recentemente, molti giovani del sud-est asiatico, in particolare dal Vietnam, stanno venendo in Giappone. Si stima che ci siano circa 600.000 giovani vietnamiti nel paese. La nostra ispettoria si è già impegnata nel ministero per questi giovani, ma con il continuo invecchiamento della popolazione giapponese, è probabile che il numero di giovani stranieri aumenterà ulteriormente. Questo richiederà per loro una maggiore attenzione pastorale e spirituale.
2. Povertà giovanile: L’economia giapponese sta diventando più debole, e le disuguaglianze economiche stanno crescendo. Sempre più giovani vivono in povertà. Ad esempio, ci sono molte “mense per bambini” in Giappone, che offrono pasti gratuiti a famiglie bisognose. Inoltre, sta aumentando il numero di giovani coinvolti in “lavoretti illegali”, ovvero piccoli crimini che promettono guadagni facili ma che li trasformano in vittime di sistemi criminali.
In risposta a queste sfide, credo che sia giunto il momento per la nostra ispettoria di prendere decisioni coraggiose e di agire, come ci invitava don Àngel Fernández Artime, il precedente Rettor Maggiore e attuale cardinale. Dobbiamo occuparci in modo speciale dei giovani che non ricevono l’attenzione necessaria dalle istituzioni pubbliche, collaborando con la Famiglia Salesiana e i nostri collaboratori.
Infine, desidero sottolineare l’importanza della Madonna. Senza la fiducia e la devozione a Maria Ausiliatrice, come potremmo trasmettere il cuore di Don Bosco ai giovani? Con il passare degli anni, sento sempre più forte il bisogno della sua guida e del suo aiuto. Come Don Bosco, anch’io spesso dico: “E ora, Maria, iniziamo.”
Vi chiedo di pregare per i giovani del Giappone e per noi Salesiani in Giappone, affinché possiamo continuare a trasmettere il cuore di Don Bosco a tutti loro.

don Hamasaki Atsushi Francesco,
ispettore del Giappone