La “Cronichetta” di don Giulio Barberis: giorno per giorno a Valdocco con don Bosco

Il 21 febbraio 1875 alcuni salesiani decisero di costituire una “commissione storica” per “raccogliere le memorie intorno alla vita di don Bosco”, impegnandosi a “scrivere e leggere insieme ciò che sarà scritto per ottenere la maggior precisione possibile” (così si legge nel verbale scritto da don Michele Rua). Tra essi c’era un giovane sacerdote di 28 anni, che da poco era stato incaricato da don Bosco di organizzare e dirigere il noviziato della congregazione salesiana, secondo le costituzioni ufficialmente approvate l’anno precedente. Il suo nome è don Giulio Barberis, conosciuto soprattutto per essere stato il primo maestro dei novizi dei Salesiani di don Bosco, ruolo che svolse per venticinque anni. In seguito fu ispettore e poi direttore spirituale della congregazione dal 1910 fino alla morte, avvenuta nel 1927.
Egli s’impegnò più degli altri nella “commissione storica”, conservando ricordi e testimonianze dell’attività di don Bosco e della vita dell’oratorio di Valdocco dal maggio 1875 al giugno 1879, quando lasciò Torino per trasferirsi nella nuova sede del noviziato a San Benigno Canavese. Ci ha lasciato una copiosa documentazione tuttora conservata nell’Archivio Salesiano Centrale, tra cui spiccano per significatività i quindici quaderni manoscritti da lui stesso intitolati Cronichetta: da essi molti studiosi e biografi di san Giovanni Bosco hanno attinto (a cominciare da don Lemoyne per le sue Memorie Biografiche), ma finora erano rimasti inediti. L’anno scorso ne è stata pubblicata l’edizione critica, rendendo così disponibile a tutti questa importante e diretta testimonianza su don Bosco e sugli inizi della congregazione da lui fondata.

Don Giulio Barberis, laureato all’università di Torino, era un uomo attento e preciso nel suo lavoro e leggendo le pagine della sua Cronichetta si nota con quanta passione e cura abbia cercato di portare a termine anche quest’opera. Purtroppo più volte egli con rammarico e dispiacere segnala che o per motivi di salute o per i numerosi altri impegni dovette sospendere la redazione dei quaderni o limitarsi a riassumere o soltanto accennare alcuni fatti. Ad un certo punto si trova a dover scrivere: “Che dolorosa sospensione. Perdonami, cara Cronichetta mia: se ti sospendo tante volte e con sospensioni così lunghe, non è che non ti ami sopra ogni altro lavoro, ma è per necessità, cioè per compir prima, almeno nel più grosso, i miei doveri” (quaderno XI, pag. 36). Perciò non ci meravigliamo se la forma delle sue registrazioni non è sempre curata, con alcuni periodi non ben costruiti o qualche imprecisione ortografica; questo non toglie infatti valore a quello che ci ha trasmesso.
I quaderni, infatti, sono una miniera di informazioni con il vantaggio dell’immediatezza rispetto ad altre narrazioni successive, letterariamente più curate, ma necessariamente rielaborate e reinterpretate. In essi troviamo testimonianza di eventi importanti, come la prima spedizione missionaria del 1875, di cui è raccontata dettagliatamente la preparazione, la partenza e gli effetti che produsse.

Vengono descritte le feste più importanti (ad es. Maria Ausiliatrice o la nascita di san Giovanni Battista, onomastico di don Bosco) e come venivano celebrate. Possiamo conoscere le attività ordinarie e straordinarie di Valdocco (la scuola, il teatro, la musica, visite di vari personaggi…): come erano preparate e gestite, cosa funzionava bene e quali aspetti erano da migliorare, in che modo i salesiani sotto la guida di don Bosco si organizzavano e lavoravano insieme, senza nascondere alcune criticità. Non mancano piccoli aspetti della quotidianità: la salute, il cibo, l’economia e molti altri particolari.
Da queste cronache, però, emerge anche lo spirito che animava tutta l’opera: la passione che sosteneva l’impegno spesso soverchiante, l’affetto per don Bosco sia dei salesiani che dei ragazzi, lo stile e le scelte educative, la cura per la crescita delle vocazioni e la formazione dei giovani salesiani. L’autore ad un certo punto annota: “Oh, così fosse davvero che potessimo consumare tutta la vita fino all’ultimo fiato in lavorare nella congregazione a maggior gloria di Dio, ma in modo che nemmanco un respiro nella vita nostra avesse scopo diverso” (quaderno VII, pag. 9).

La Cronichetta presenta inoltre un preciso ritratto di don Bosco negli anni della maturità. Al giorno 15 agosto 1878 don Barberis scrive: “Compleanno di don Bosco. Nato com’è del 1815, compie i 63 anni. Si fece festa. Servì questa circostanza per distribuire i premi agli artigiani. Erano stampate al solito poesie e molte se ne lessero” (quaderno XIII, pag. 82). Molte registrazioni si soffermano sulle caratteristiche della personalità del padre e maestro dei giovani, tra cui alcuni aspetti che nelle narrazioni biografiche successive sono andate perdute, come l’interesse per le scoperte archeologiche e scientifiche del suo tempo. Ma soprattutto appare la totale dedizione alla sua opera, in quegli anni in particolare l’impegno per consolidare la congregazione salesiana e per espandere sempre più il suo raggio d’azione con la fondazione di nuove case in Italia e all’estero.

Risulta comunque difficile riassumere il ricchissimo contenuto di questi quaderni. Si è tentato nell’introduzione al volume di individuare alcuni nuclei tematici che spaziano dalla storia della congregazione salesiana e dalla vita di don Bosco (diversi sono i passaggi in cui Barberis riporta “cose antiche dell’oratorio”) al modello formativo di Valdocco e agli aspetti gestionali ed organizzativi. Sempre nell’introduzione si affrontano altre questioni relative al documento: l’uso che ne è stato fatto, con speciale riferimento alle Memorie Biografiche, il valore storico da dare alle informazioni, lo scopo per cui è stato scritto, nonché la lingua e lo stile utilizzati. Circa quest’ultimo punto notiamo come l’autore, secondo quanto appreso da don Bosco stesso, ha arricchito la sua cronaca con dialoghi, episodi ameni, “buone notti” e sogni di don Bosco, rendendo così la lettura anche interessante e piacevole.

Il volume è anche testimonianza più generale del momento storico in cui è stato scritto, in particolare del travagliato periodo seguito all’unificazione italiana. Nel marzo del 1876 ci fu il cambio di governo per la prima volta guidato dal partito della Sinistra storica. Nell’ottavo quaderno della Cronichetta alla data 6 agosto 1876 troviamo memoria del ricevimento tenutosi al collegio salesiano di Lanzo in occasione dell’inaugurazione della nuova ferrovia, in cui intervennero vari ministri. L’interazione di don Bosco con i politici e il suo interesse per le vicende dell’Italia e di altri stati è ben documentata e le note storiche apposte alla fine di ogni quaderno forniscono le informazioni essenziali. Anche notizie di attualità più spicciola trovano posto nelle varie registrazioni, come la posa dei cavi sottomarini per il telegrafo elettrico o alcune credenze di tipo salutistico e medico dell’epoca.

Questa pubblicazione è un’edizione critica, rivolta quindi principalmente agli studiosi di storia salesiana, ma anche chi volesse approfondire alcuni aspetti della persona del santo fondatore dei salesiani e della sua opera troverà grande utilità dalla lettura, che, superato l’ostacolo dell’italiano ottocentesco, è spesso piacevole.

Per gli interessati, la “Cronichetta” di Giulio Barberis si può acquistare da QUI.

don Massimo SCHWARZEL, sdb




Don Bosco a don Orione: Noi saremo sempre amici

San Luigi Orione: “I miei anni più belli sono stati quelli passati nell’Oratorio salesiano.”

Un emozionante ricordo del santo don Orione.
Chi non conosce il canto “Giù dai colli, un dì lontano con la sola madre accanto”? Penso molto pochi, visto che tuttora è cantato in decine di lingue in oltre 100 paesi del mondo. Altrettanto pochi però penso che conoscano il commento fatto dall’anziano don (san) Luigi Orione durante la messa (cantata!) del 31 gennaio 1940 dagli Orionini di Tortona alle ore 4,45 (esattamente l’ora in cui era morto don Bosco 52 anni prima). Ecco le sue precise parole (tratte dalle fonti orionine):
«L’inno a don Bosco che comincia con “Giù dai colli” è stato composto e musicato per la beatificazione di don Bosco. La spiegazione della prima strofa è questa. Alla morte del santo, dal governo di quei tempi, nonostante che tutti i giovani lo desideravano e tutta Torino lo desiderasse, non fu concesso che don Bosco, la sua salma, venisse sepolta in Maria Ausiliatrice e parve grande favore che la cara salma venisse sepolta a Valsalice… una bella casa!… La salma dunque venne portata a Valsalice e là, tutti gli anni fino alla Beatificazione, andarono gli alunni salesiani, nel giorno della morte di don Bosco, a trovare il Padre, a pregare. Dopo che don Bosco fu beatificato, il suo corpo venne portato in Maria Ausiliatrice. E la strofa che avete cantato “Oggi, o Padre, torni ancora” ricorda anche questo. Celebra don Bosco che ritorna fra i giovani ancora, da Valsalice – che è posta sopra una collina al di là del Po – a Torino che è al piano».

I suoi ricordi di quella giornata

E continuava don Orione: «Il Signore mi ha dato la grazia di trovarmi presente, nel 1929, a quel trasporto, che fu un trionfo in mezzo a Torino in festa, fra una gioia ed un entusiasmo indicibile. Anch’io fui vicino al carro trionfale. Il tragitto fu fatto tutto a piedi da Valsalice all’Oratorio. E, insieme con me, subito dietro il carro, c’era uno in camicia rossa, un Garibaldino; eravamo vicini, a fianco a fianco. Era uno dei più antichi dei primi alunni di don Bosco; quando seppe che si trasportava il corpo di don Bosco, anche lui c’era dietro il carro. E tutti cantavano: “Don Bosco ritorna fra i giovani ancor”. In quel trasporto tutto era gioia; i giovani cantavano e i Torinesi agitavano fazzoletti e gettavano fiori. Si passò anche davanti al Palazzo Reale. Ricordo che al balcone c’era il Principe di Piemonte, circondato da generali; il carro si fermò un momento ed egli fece cenno di compiacenza; i superiori Salesiani chinarono il capo, come a ringraziarlo di quell’atto di omaggio a don Bosco. Poi il carro raggiunse Maria Ausiliatrice. E di lì a qualche minuto venne anche il Principe, circondato da personaggi della Casa Reale, a rendere atto di devozione al nuovo Beato».

“I miei anni più belli”
Il ragazzo Luigi Orione era vissuto con don Bosco tre anni, dal 1886 al 1889. Li ricordava quarant’anni dopo in questi commossi termini: «I miei anni più belli sono stati quelli passati nell’Oratorio salesiano». «Oh, potessi io rivivere anche pochi di quei giorni vissuti all’Oratorio, vivente don Bosco!». Aveva amato tanto don Bosco che gli era stato concesso, in via eccezionalissima, di confessarsi da lui anche quando le forze fisiche erano al lumicino. Nell’ultimo di tali colloqui (17 dicembre 1887) il santo educatore gli aveva confidato: “Noi saremo sempre amici”.

Nello spostamento della salma di don Bosco da Valsalice alla Basilica di Maria Ausiliatrice, vediamo a don Luigi Orione in rocchetto bianco accanto all’urna

Un’amicizia totale, la loro, per cui non meraviglia che poco dopo il quindicenne Luigi si iscrivesse subito nella lista dei ragazzi di Valdocco che offrivano al Signore la propria vita per ottenere la conservazione di quella dell’amato Padre. Il Signore non accolse la sua eroica richiesta, ma ne “ricambiò” la generosità con il primo miracolo di don Bosco da morto: al contatto con la sua salma si riattaccò e rimarginò l’indice della mano destra che il ragazzo, mancino, si era tagliato mentre in cucina preparava dei pezzettini di pane da posare proprio sulla salma di don Bosco, esposta nella chiesa di S. Francesco di Sales, per distribuirli come reliquie ai tantissimi devoti.
Ciononostante il giovane non si fece salesiano: anzi ebbe la certezza che il Signore lo chiamava ad un’altra vocazione, proprio dopo essersi “consultato” con don Bosco davanti alla sua tomba di Valsalice. Così la Provvidenza volle che vi fosse un salesiano in meno, ma una Famiglia religiosa in più, quella orionina, che irradiasse, per nuove e originali vie, l’“impronta” ricevuta da don Bosco: l’amore al Santissimo Sacramento e ai sacramenti della confessione e comunione, la devozione alla Madonna e all’amore al Papa e alla Chiesa, il sistema preventivo, la carità apostolica verso i giovani “poveri ed abbandonati” ecc.

E Don Rua?
L’amicizia sincera e profonda di don Orione con don Bosco divenne poi amicizia altrettanto sincera e profonda con don Rua, che continuò fino alla morte di questi nel 1910. Infatti appena saputo dell’aggravamento della sua salute, don Orione ordinò subito una novena e si precipitò al suo capezzale. Con particolare commozione avrebbe poi ricordato quest’ultima visita: “Quando si ammalò, essendo io a Messina, telegrafai a Torino per chiedere se, partendo subito, avrei ancora potuto vederlo vivo. Mi fu risposto di sì; presi il treno e partii per Torino. Mi accolse, sorridendo, don Rua e mi diede la sua benedizione specialissima per me e per tutti quelli che sarebbero venuti alla nostra Casa.
Vi assicuro che era la benedizione di un santo”.
Giuntagli poi la notizia della morte inviò un telegramma a don (beato) F. Rinaldi: “Antico alunno del venerabile don Bosco mi unisco ai Salesiani nel piangere la morte di don Rua che mi fu padre spirituale indimenticabile. Qui preghiamo tutti, Sac. Orione”. I salesiani volevano seppellir don Rua a Valsalice, accanto alla tomba di don Bosco, ma vi erano difficoltà da parte delle autorità cittadine. Immediatamente con un altro telegramma, il 9 aprile, don Orione offrì allo stesso don Rinaldi il suo aiuto: “Se sorgessero difficoltà per deporre don Rua a Valsalice, voglia telegrafarmi, facilmente potrei aiutarli”.
Fu un grande sacrificio per lui non potere attraversare l’Italia da Messina a Torino per partecipare ai funerali di don Rua. Ora però sono tutti, Bosco, Rua, Orione, Rinaldi, in cielo, l’uno accanto all’altro nell’unica grande famiglia di Dio.




I benefattori di don Bosco

Fare del bene ai giovani richiede non solo dedizione, ma anche ingenti risorse materiali e finanziarie. Don Bosco diceva «Io confido illimitatamente nella Divina Provvidenza ma anche la Provvidenza vuol essere aiutata da immensi sforzi nostri»; detto e fatto.

            Ai suoi missionari partenti, l’11 novembre 1875, don Bosco diede 20 preziosi «Ricordi». Il primo era: «Cercate anime, ma non denari, né onori né dignità».
            Don Bosco dovette egli stesso per tutta la vita andare alla ricerca di denaro ma voleva che i suoi figli non si affannassero nel cercare danaro, non si preoccupassero quando veniva loro a mancare, non perdessero la testa quando ne trovavano, ma fossero pronti ad ogni umiliazione e sacrificio nella ricerca del necessario, con piena fiducia nella Divina Provvidenza che non lo avrebbe mai lasciato mancare. E ne diede loro l’esempio.

«Il Santo dei milioni!»
            Don Bosco nella sua vita maneggiò grandi somme di denaro, raccolte a prezzo di enormi sacrifici, umilianti questue, laboriose lotterie, incessanti peregrinazioni. Con questo denaro egli diede pane, vestito, alloggio e lavoro a tanti poveri ragazzi, comperò case, aprì ospizi e collegi, costruì chiese, avviò grandi iniziative tipografiche ed editoriali, lanciò le missioni salesiane in America e, infine, già affranto dagli acciacchi della vecchiaia, eresse ancora a Roma, in obbedienza al Papa, la Basilica del Sacro Cuore.
            Non tutti compresero lo spirito che lo animava, non tutti apprezzarono le sue multiformi attività e la stampa anticlericale si sbizzarrì in ridicole insinuazioni. Il 4 aprile 1872 il periodico satirico torinese «Il Fischietto» disse don Bosco fornito di «fondi favolosi», mentre in sua morte sul giornale «Il Birichin» Luigi Pietracqua pubblicava un sonetto blasfemo in cui chiamava don Bosco uomo astuto «capace di cavar sangue da una rapa» e lo definiva «il Santo dei milioni» perché avrebbe contato i milioni a palate senza guadagnarli con il proprio sudore.
            Chi conosce lo stile di povertà in cui visse e morì il Santo, può facilmente capire di qual ingiusta fosse la satira del Pietracqua. Don Bosco fu, sì, un abile amministratore del denaro che la carità dei buoni gli procurava, ma non tenne mai nulla per sé. Il mobilio della sua cameretta a Valdocco consisteva in un lettuccio di ferro, un tavolino, una sedia e, più tardi, un sofà, senza tendine alle finestre, senza tappeti, senza neanche uno scendiletto. Nell’ultima malattia, tormentato dalla sete, quando gli provvidero acqua di seltz per dargli sollievo, non voleva berla credendola una bevanda costosa. Fu necessario assicurarlo che costava solo sette centesimi la bottiglia. Pochi giorni prima di morire ordinò a don Viglietti di osservare nelle tasche dei suoi abiti e consegnare a don Rua il portamonete, per poter morire senza un soldo in tasca.

Nobiltà filantropica
            Le Memorie Biografiche e l’Epistolario di don Bosco danno una ricca documentazione sui suoi benefattori. Vi troviamo i nomi di quasi 300 nobili famiglie delle quali ci è qui impossibile dare l’elenco.

            Certo non si deve commettere l’errore di limitare i benefattori di don Bosco alla sola nobiltà. Egli ottenne aiuto e collaborazione disinteressata da migliaia di altre persone del ceto ecclesiastico e civile, della borghesia e del popolo, a cominciare da quella benefattrice incomparabile che fu Mamma Margherita.
            Ci fermiamo su una figura della nobiltà che si distinse nel sostegno all’opera di don Bosco, facendo notare l’atteggiamento semplice e delicato e, nello stesso tempo, coraggioso ed apostolico, che egli seppe tenere per ricevere e fare del bene.
            Nel 1866 don Bosco indirizzava una lettera alla Contessa Enrichetta Bosco di Ruffino, nata Riccardi, già da anni in relazione con l’Oratorio di Valdocco. Era una delle Signore che si riunivano settimanalmente per riparare i vestiti dei giovani ricoverati. Ecco il testo:

            «Benemerita Sig.ra Contessa,
Non posso andar a far visita a V.S. benemerita come desidero, ma ci vado colla persona di Gesù Cristo nascosto sotto a questi cenci che a Lei raccomando perché nella sua carità li voglia rappezzare. E roba grama nel tempo; ma spero che per Lei sarà un tesoro per l’eternità.
Dio benedica Lei, le sue fatiche e tutta la sua famiglia, mentre ho l’onore di potermi con pienezza di stima professare
di V.S.B. Obbl.mo servitore»
Sac. Bosco Gio. Torino, 16 maggio 1866

Lettera di Don Bosco ai benefattori

            In questa lettera don Bosco si scusa di non potere andare di persona a far visita alla Signora Contessa. In compenso le invia un fagotto di cenci dei ragazzi dell’Oratorio da… rattoppare… roba grama (piemontese per: robaccia) davanti agli uomini, ma tesoro prezioso a chi veste gli ignudi per amore di Cristo!
            C’è chi ha voluto vedere nelle relazioni di don Bosco con i ricchi un’interessata cortigianeria. Ma qui c’è autentico spirito evangelico!




Memorie Biografiche di san Giovanni Bosco

Per conoscere don Bosco e la sua opera, è indispensabile il ricorso alle fonti. Quanto più ci allontaniamo cronologicamente dal principio, tanto più è importante tornare alle origini. Come in tutti gli altri casi simili, la consultazione delle fonti primarie – i manoscritti e gli originali – è possibile a pochi ricercatori che hanno la preparazione e il tempo per dedicarsi a questo compito impegnativo. Per la grande maggioranza di coloro che amano don Bosco e il carisma salesiano, le fonti sono quelle prodotte da questi primi ricercatori. Ci fermeremmo in questo articolo a presentare una delle più importanti di queste fonti, le Memorie Biografiche di san Giovanni Bosco, lasciando per articoli successivi le altre fonti salesiane.

Le “Memorie Biografiche” di san Giovanni Bosco sono state scritte dal 1898 al 1939, da tre autori: don Giovanni Battista LEMOYNE (1839-1916), vol. I-IX, don Angelo AMADEI (1868-1945), vol. X, don Eugenio CERIA (1870-1957), vol. XI-XIX. A questi diciannove volumi ne sono stati aggiunti altri due: un indice analitico composto da don Ernesto FOGLIO (1891-1947) e pubblicato nel 1948, e un repertorio alfabetico stilato da don Pietro CICCARELLI (1915-2001) e pubblicato nel 1972.
Queste “Memorie” sono frutto di ricerche approfondite condotte in quarantadue anni, e sono state presentate cronologicamente, secondo vari periodi della vita di san Giovanni Bosco, eccetto gli ultimi tre volumi, secondo quanto si può vedere nella tabella sottostante.

Vol. Autore Anni di riferimento Pubblicato nel Pagine
1 G.B. LEMOYNE 1815-1840 1898 523
2 G.B. LEMOYNE 1841-1846 1901 586
3 G.B. LEMOYNE 1847-1850 1903 652
4 G.B. LEMOYNE 1850-1853 1904 755
5 G.B. LEMOYNE 1854-1858 1905 940
6 G.B. LEMOYNE 1858-1861 1907 1079
7 G.B. LEMOYNE 1862-1864 1909 905
8 G.B. LEMOYNE 1865-1867 1912 1079
9 G.B. LEMOYNE 1868-1870 1917 1000
10 A. AMADEI 1871-1874 1939 1378
11 E. CERIA 1875 1930 619
12 E. CERIA 1876 1931 708
13 E. CERIA 1877-1878 1932 1012
14 E. CERIA 1879-1880 1933 850
15 E. CERIA 1881-1882 1934 863
16 E. CERIA 1883-1884 1935 724
17 E. CERIA 1884-1885 1936 901
18 E. CERIA 1886-1888 1937 878
19 E. CERIA 1888-1938 1939 454
20 E. FOGLIO   1948 620
21 P. CICCARELLI   1972 382

Verso questi scritti sono state mosse molte critiche, ma forse bisogna tener conto del tempo e delle circostanze nelle quali furono scritte, altrimenti si rischia di cadere in un rifiuto generico di questa fonte senza sapere bene neanche quali sono i motivi di certe critiche.

Per prima cosa, dobbiamo riconoscere che i criteri che gli autori hanno seguito nella ricerca sono quelli del loro tempo, con i mezzi allora disponibili, con i loro pregi e difetti, diversi da quelli scientifici di oggi.

Occorre prendere in considerazione le circostanze nelle quali sono stati scritti questi volumi: a soli due anni dalla morte di don Bosco, il 03.06.1890, era già stata aperta la causa di canonizzazione. Il decreto super virtutibus è stato promulgato il 20.02.1927, la beatificazione è avvenuta il 02.06.1929 e la canonizzazione il 01.04.1934. È a grandi linee lo stesso periodo in cui sono state scritte le “Memorie Biografiche”. Traspare palesemente l’attenzione degli autori a non ostacolare il processo di canonizzazione.

Possiamo anche dire che la Congregazione Salesiana era ai suoi albori e i primi salesiani avevano bisogno di essere incoraggiati, e questo spiega anche un certo trionfalismo nei loro scritti.

Inoltre, tutti e tre gli autori avevano conosciuto don Bosco e, come tanti altri, nutrivano un vero affetto verso il loro padre, affetto che ha influenzato chiaramente i loro scritti, ma questo non li ha indotti a scrivere menzogne o a ingannare i lettori.

La vita e le opere di un santo, di per sé, sono molto difficili da scrivere. Se si tratta poi di un santo tanto intraprendente come don Bosco è ancora più complesso. Perché i santi, per definizione direi, sono quelli che hanno la volontà unita con Dio, e capire i santi vuol dire in un certo modo capire i disegni di Dio. Raccontare la vita di un santo senza nessun riferimento alle illuminazioni divine che riceve e ai veri miracoli che compie è quasi impossibile. E gli eventi soprannaturali raccontati nelle “Memorie Biografiche” sono una minima parte di quelli successi, perché i santi stessi fanno di tutto per nasconderli. Basta ricordare l’episodio delle pillole di pane di don Bosco.

Ma tutte queste influenze, circostanze e difficoltà non tolgono il valore di questo monumentale lavoro di quarantadue anni che ha portato i suoi frutti, visti in generazioni intere di salesiani e di figli della spiritualità salesiana.

Non tutti però hanno avuto la possibilità di avere a portata di mano questi scritti. Però le tecnologie attuali ci permettono di diffondere queste fonti con una facilità mai immaginata prima. Vogliamo presentare queste risorse, ma siccome sono tante le versioni delle “Memorie Biografiche” reperibili in Internet, occorre un chiarimento e fornire anche delle indicazioni su dove si possano leggere, consultare o scaricare da Internet in varie lingue.

La prima versione digitalizzata (1.1) delle “Memorie Biografiche” in italiano è stata realizzata dal Dicastero della Comunicazione dei Salesiani nell’anno 2000 ed è stata presentata in un CD che conteneva un software proprietario installabile. Si tratta del testo cartaceo scannerizzato, del quale si era fatto un riconoscimento automatico dei caratteri, non tanto preciso, con i mezzi di quel tempo. Con l’arrivo del sistema operativo Windows Vista nel 2006 è diventato inutilizzabile per incompatibilità.

Una seconda versione (1.2) è stata realizzata nel 2005 partendo dalla scansione fatta nel 2000. Questa versione migliorata è stata caricata nello stesso anno sul sito sdb.org, dove è presente tuttora in formato MsWord e PDF. La trovate QUI. Quasi tutte le altre versioni italiane pubblicate su altri siti o consegnate “di mano in mano” hanno come fonte questa versione.

Una terza versione (1.3), ancora più migliorata, venne conclusa nel 2009. Su questa versione sono state fatte le concordanze di tutti i venti volumi, pubblicate QUI.

Una quarta ed ultima versione (1.4) è stata portata a termine nel 2013. Quest’ultima versione è stata pubblicata nel sito donboscosanto.eu in formato PDF. La trovate QUI. Essendo l’ultima, è la versione più accurata e priva di errori.

C’è un’altra versione italiana (2), che ha come fonte una nuova scansione fatta nel 2018, con riconoscimento automatico dei caratteri, che si trova QUI.

Quest’anno, 2023, è stata completata una nuova versione (1.5) delle “Memorie Biografiche”, partendo dalla seconda versione, quella del 2005, presente nel sito sdb.org. È stata migliorata da don Roberto DOMINICI, sdb, e dall’Ispettoria Sicula dopo un lungo lavoro. A differenza delle precedenti versioni ha come particolarità che:
– tutti i volumi sono presentati in un unico file, per facilitare la ricerca (anche se le dimensioni del file risultano elevate); la ricerca dei gruppi di parole non è più ostacolata dalle indicazioni delle pagine cartacee e dentro le parentesi quadre come nelle quattro versioni precedenti;
– la ricerca è molto veloce, immediata, con Adobe Reader XI (pero non con le versioni precedenti), e veloce anche con PDF-XChangeViewer;
le pagine A4 del file PDF sono separate secondo i volumi cartacei; in questo modo si possono prestare per l’indicazione bibliografica;
– ci sono un sommario generale, un indice e anche un repertorio, tutti interattivi.
Ringraziamo don Roberto perché lo ha messo a disposizione tanto in formato PDF (si può scaricare da QUI) quanto nel formato EPUB (si può scaricare da QUI).

Bisogna dire che nessuna di queste versioni digitali italiane è conforme con l’originale, ma sono delle correzioni manuali parziali dei testi scannerizzati e riconosciuti automaticamente con i software OCR. Questo è importante sapere, perché la ricerca testuale è possibile che non produca assolutamente tutti i risultati.

Le “Memorie Biografiche” in lingua ingleseThe Biographical Memoirs of Saint John Bosco” sono state tradotte da don Felix Joseph PENNA, sdb (1904-1962), con i vol. I-XVI sotto la direzione di don Diego BORGATELLO, sdb (1911-1994) e i vol. XVII-XIX sotto la direzione di don VincentVinicio ZULIANI (1927-2011). Sono state pubblicate da Salesiana Publishers, INC., New Rochelle, Stati Uniti, negli anni 1964-2003, in 18 volumi.
Una prima versione scannerizzata e consultabile delle “Memorie Biografiche” in lingua inglese è stata iniziata da don Paul LEUNG, sdb di Hong Kong nel 2015. Questa versione si trova QUI o QUI.
Una seconda versione scannerizzata consultabile è stata elaborata nel 2023 e si trova QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua spagnolaMemorias Biográficas de san Juan Bosco” sono state tradotte da don José FERNÁNDEZ ALONSO, sdb (1885-1975) e don Basilio BUSTILLO CATALINA, sdb (1907-1998). Sono state pubblicate da Ediciones Don Bosco, Madrid, Spagna, negli anni 1981-1998, in 19 volumi. Insieme al volume XX è stato consegnato anche un CD contenente tutti i testi dei venti volumi, in formato digitalizzato. La versione che si trova QUI è un estratto ricavato nel 2015 da questo CD.
Una seconda versione scannerizzata consultabile è stata elaborata nel 2018 e si trova QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua francese Memoires Biographiques de Jean Bosco” sono state tradotte da vari autori. Nel dettaglio, il vol. II – traduttore sconosciuto, vol. IV – M. Yves LE COZ, sdb, coadiutore salesiano (1916-2015), vol. V – don Marceau PROU, sdb (1921-2016), vol. XII – soeur Joséphine Depraz, fma e vol. XX, l’indice analitico – don Philippe Frémin, sdb. Sono stati pubblicati da Editrice SDB, negli anni 1997-2017, in 5 volumi. C’è l’intenzione di continuare la traduzione dei restanti volumi.
I volumi scannerizzati si possono scaricare da QUI e da QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua polacca Pamiętników Biograficznych” sono state tradotte da don Czesław PIECZEŃCZYK, sdb (1912-1993), tra il 1958 e il 1972. Versioni più antiche di traduzioni in polacco risalgono principalmente alla seconda guerra mondiale, quando il professore don Wincenty Fęcki ha corretto il lavoro di un gruppo di studenti. Sono state pubblicate a Pogrzebień, Polonia, in 18 volumi.
La versione digitale curata da don Stanislaw Lobodźc e don Stanislaw Gorczakowski è stata inaugurata il 19 giugno 2010. Tutta la collezione di 18 volumi si trova QUI e anche QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua portogheseMemórias Biográficas de São João Bosco” sono state tradotte da vari traduttori a partire dal 2018. Fino ad oggi (febbraio 2023) sono stati tradotti e stampati i primi dodici volumi e si prevede che i restanti siano stampati fino al 2025. L’editrice è Editora Edebê, Brasilia, Brasile. Per adesso si possono ottenere solo acquistandoli da QUI o da QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua slovenaBiografskispominisv Janeza Boska” sono state tradotte da don Valter Bruno DERMOTA, sdb, salesiano della Slovenia (1915-1994) e stampate tra il 2012 e il 2022. L’editrice è Editore Salve d.o.o. Ljubljana, Ljubljana, e la collezione digitale dei 17 volumi si trova online QUI e QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua cecaMemorie-ekniha” sono state tradotte in una selezione fatta da don Oldrich Josef MED (1914-1991), sdb, salesiano dalla Boemia, Rep. Ceca, negli anni ’80. I volumi I- XIV sono presentati in un solo file digitale insieme alle Memorie dell’Oratorio di San Giovanni Bosco ed è disponibile online QUI e QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua olandese“Biografische Gedenkschriften van de H. Johannes Bosco” sono state tradotte sotto la cura iniziale di don Marcel BAERT, sdb (1918-2006) nel Don Boscokring (Circolo Don Bosco), del dipartimento di teologia di Oud-Heverlee (Belgio). I traduttori, don Hubert ABRAMS, sdb (1913-1987), don Gerard GRIJSPEER, sdb (1896-1982), don Corneel NYSEN, sdb (1901-1985), J.H.P. Jacobs e del dottor J. Muys hanno lavorato dal 1961 e al 1979, quando hanno finito; nel 1991 è sato pubblicato anche il repertorio alfabetico. Sono stati tradotti e pubblicati 20 volumi e la versione digitale è stata finalizzata nel 2013. Tutta la collezione di 20 volumi si trova QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua vietnamita “Hồi Ký Tiểu Sử Thánh Gioan Bosco” sono state tradotte sotto la cura di d. Thinh Phuoc Giuseppe NGUYEN, sdb, in accordo con le versioni italiana e inglese. Sono 10 volumi tradotti, dai quali 4 sono stati pubblicati; il progetto della traduzione continua. Si trovano QUI.

Le “Memorie Biografiche” in lingua cinese sono state tradotte in 5 volumi. Non ci sono informazioni riguardanti la digitalizzazione.

Ci sono notizie non confermate di traduzioni anche in altre lingue; appena verificheremo l’attendibilità delle informazioni, le condivideremo.

Tutti questi lavori di traduzione e diffusione delle “Memorie Biografiche” ci indicano che sono e rimarranno un riferimento principale per il carisma salesiano. Questo imponente lavoro ci spinge a essere grati verso coloro che nel corso dei tempi si sono impegnati a scrivere, tradurre, pubblicare, digitalizzare e condividere in Internet versioni scaricabili o consultabili. Auguriamo buon lavoro a coloro che si trovano ancora impegnati in questo bel servizio a don Bosco e al carisma, offrendo per loro una piccola preghiera quando ci ricordiamo di aver ricevuto grazie tramite questi scritti.




La Lira italiana dal 1861 al 2001 e al 2022. La moneta nei tempi di don Bosco

La Lira italiana, con le sue suddivisioni in 100 centesimi, è stata la valuta ufficiale dell’Italia dal 1861 al 2002 quando è stata sostituita definitivamente dalla moneta europea, l’Euro. È stata la moneta nei tempi di don Bosco e degli inizi della storia della Congregazione salesiana.

La Lira italiana (abbreviata come £ o Lit.) fu coniata per la prima volta dalla Repubblica di Venezia nel 1472. Nel 1806, fu adottata dal Regno napoleonico d’Italia, noto anche come Regno Italico, fondato nel 1805 da Napoleone Bonaparte, quando si fece incoronare quale sovrano della parte settentrionale e centro-orientale dell’attuale Italia. Dieci anni più tardi, nel 1814, in seguito allo scioglimento dello stato napoleonico, la moneta del Regno venne mantenuta solo nel Ducato di Parma e nel Regno di Sardegna. Dopo altri due anni, nel 1816, il re Vittorio Emanuele I di Savoia introdusse la Lira sabauda, che rimase in circolazione fino alla nascita del Regno d’Italia nel 1861, quando divento la Lira italiana. Questa moneta rimase in circolazione fino al 2002, quando venne sostituita definitivamente dall’Euro.

Quando si segue la storia di don Bosco e della Congregazione salesiana, ci si imbatte sempre nella difficoltà di quantificare correttamente gli sforzi finanziari che vennero affrontati per sostenere ed educare migliaia, anzi decine di migliaia di ragazzi, poiché la moneta italiana ha subito grandi variazioni lungo gli anni. La difficoltà è aumentata ancor più con l’adozione della moneta europea, quando nel 2002 il cambio venne fissato a 1936,27 lire italiane per un Euro. E non sono mancate ulteriori variazioni significative a causa dell’inflazione.
Proponiamo in calce una tabella di calcolo della rivalutazione della Lira dal 1861 al 2002 con la possibilità di un aggiornamento al 2022.


 

Lire –> Euro

=
lire dell’anno euro del 2001

=
lire dell’anno euro del 2022 (+ 38.7%)

Euro –> Lire

=
euro del 2001 lire dell’anno

=
euro del 2022 (+ 38.7%) lire dell’anno



I calcoli sono stati fatti in base ai coefficienti di rivalutazione forniti dall’Istituto centrale di statistica (ISTAT) e sono stati determinati in funzione dell’andamento degli indici del costo della vita, che dal 1968 hanno assunto la denominazione di indici dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. Per il periodo successivo all’anno 2002 si è aggiunto l’indice di inflazione che nel 2022 arriva a 38,70% rispetto al momento di lancio della moneta unica (Euro), in base ai dati forniti dallo stesso ISTAT (1 Euro del 2002 = 1,39 Euro del 2022).




Don Bosco e le sue croci quotidiane

La vita di don Bosco ha avuto delle grandi sofferenze ma furono da lui portate con eroica umiltà e pazienza. Qui vogliamo, invece, parlare di croci quotidiane, più passeggere di quelle ma non meno pesanti. Si tratta di spine che egli incontrò sul cammino ad ogni piè sospinto, in realtà spine pungenti alla sua coscienza retta ed al suo cuore sensibile, che avrebbero potuto scoraggiare chiunque meno paziente di lui. Porteremo solo alcuni esempi di fastidi di carattere prevalentemente finanziario, che egli ebbe ad avere per colpa altrui.
Scrivendo il 25 aprile del 1876 una lettera da Roma a Don Michele Rua, egli diceva fra l’altro: «Quante cose, quanti carrozzini fatti e in corso da farsi. Sembrano favole!» Qui il termine “carrozzini” è un piemontesismo usato da Don Bosco per indicare angherie altrui che gli procurarono oneri gravi e inaspettati, di cui egli non era stato la causa ma la vittima.

Tre casi significativi
Il proprietario di un pastificio a vapore, certo Avv. Luigi Succi di Torino, uomo molto conosciuto per le sue opere di beneficenza, un giorno pregò Don Bosco di prestargli la sua firma in un’operazione bancaria per ritirare 40.000 lire. Trattandosi di un uomo ricco da cui aveva ricevuto non pochi benefici, Don Bosco vi si arrese. Ma tre giorni dopo il Succi morì, la cambiale scadde e Don Bosco mandò ad avvisare gli eredi dell’impegno del loro defunto.
Testificò il Card. G. Cagliero: «Eravamo a cena quando entra Don Rua e dice a Don Bosco che gli eredi non sanno né vogliono sapere di cambiali. Io sedevo al fianco di Don Bosco. Egli stava mangiando la minestra e vidi che tra un cucchiaio e l’altro (si noti che era il mese di gennaio e il refettorio non aveva riscaldamento), gli cadevano dalla fronte nel piatto gocce di sudore, ma senz’affanno e senza interrompere la sua modesta refezione».
Non ci fu verso alcuno di far intendere ragioni a quegli eredi, e Don Bosco dovette pagare lui. Solo dopo circa dieci anni riebbe quasi intera la somma assicurata con l’avallo della sua firma.

Un’altra opera di carità gli costò pure molto cara per le molestie che gli procurò. Un certo Giuseppe Rua, torinese, aveva inventato un apparecchio con il quale elevare in chiesa l’ostensorio sopra il tabernacolo dell’altare e poi abbassarlo nuovamente sulla mensa facendo nello stesso tempo scendere e poi risalire la croce. Ciò avrebbe evitato i rischi che il sacerdote incorreva nel salire sulla scaletta per compiere tale funzione. Sembrava davvero quello un mezzo più semplice e più sicuro per l’esposizione del Santissimo. Per favorirlo Don Bosco inviò i disegni alla Sacra Congregazione dei Riti, raccomandando l’iniziativa. Ma la Congregazione non approvò l’invenzione e non voleva neppure restituire i disegni, adducendo il motivo che tale era la prassi in simili casi. Infine poi si fece un’eccezione per lui onde liberarlo da più gravi molestie. Ma il Sig. Rua, vista la non piccola perdita della sua industria, ne incolpò Don Bosco, gli intentò lite e pretendeva che dal Tribunale egli venisse obbligato a sborsagli una grossa indennità. Per fortuna il magistrato risultò poi di ben diverso avviso. Ma intanto durante il lungo corso della lite, la sofferenza di Don Bosco non fu cosa da poco.

Una terza molestia ebbe origine dalla carità di Don Bosco. Egli aveva ideato una questua speciale nell’inverno 1872-1873. Quell’inverno fu particolarmente duro date le già gravi difficoltà finanziarie pubbliche. Don Bosco, per procurare mezzi di sussistenza alla sua opera di Valdocco che allora contava circa 800 giovani convittori, scrisse una circolare spedita in busta chiusa a potenziali contribuenti, invitandoli ad acquistare biglietti da dieci lire ciascuno a titolo di elemosina e mettendo a premio per sorteggio una pregevole riproduzione della Madonna di Foligno del Raffaello.

Croci che ornano la capella Pinardi

In questa iniziativa la pubblica autorità vide una violazione della legge che proibiva lotterie pubbliche e citò Don Bosco in giudizio. Questi, interrogato. protestò che quella lotteria non aveva carattere speculativo ma consisteva in un semplice appello alla carità cittadina, accompagnato da un piccolo attestato di riconoscenza. La causa si trascinò molto a lungo e si chiuse solo nel 1875 con la sentenza della Corte d’Appello che condannava «il sacerdote cavaliere Don Giovanni Bosco» a una forte multa per contravvenzione alla legge sulle lotterie. Pur non dubitandosi che il fine da lui propostosi era lodevole, la sua buona fede non poteva esimerlo dalla pena, bastando il fatto materiale a stabilire la contravvenzione anche perché «avrebbe potuto trascendersi il fine che egli con ciò intendeva»!
Questa diffida spinse Don Bosco ad un ultimo tentativo. Ricorse al Re Vittorio Emanuele II, implorando in virtù di grazia sovrana il condono a favore dei suoi giovani sui quali sarebbero cadute le conseguenze della condanna. Ed il Sovrano benignamente annuì, accordando la grazia. La concessione della grazia cadde in un momento in cui Don Bosco era, tra l’altro, tutto ingolfato nelle spese per la sua prima spedizione di Missionari Salesiani in America. Ma nel frattempo quanta trepidazione!
Quantunque Don Bosco, per amor di pace, abbia sempre cercato di evitare liti in tribunale, ne dovette pur sostenere ottenendo solo a volte completa assoluzione. «Summum jus summa iniuria», diceva Cicerone, e cioè il soverchio rigore nel giudicare spesso è una grande ingiustizia.

Il consiglio del Santo
Don Bosco era cosi alieno dalle questioni e dalle liti che lasciò scritto nel suo cosiddetto Testamento Spirituale:
Cogli esterni bisogna tollerare molto, e sopportare anche del danno piuttosto che venire a questioni.
Con le autorità civili ed ecclesiastiche si soffra quanto si può onestamente, ma non si venga a questioni davanti a tribunali laici. Siccome poi malgrado i sacrifici ed ogni buon volere talvolta si devono sostenere questioni e liti, così io consiglio e raccomando che si rimetta la vertenza ad uno o due arbitri con pieni poteri, rimettendo la vertenza a qualunque loro parere.
In questo modo è salvata la coscienza e si mette termine ad affari, che ordinariamente sono assai lunghi e dispendiosi e nei quali difficilmente si mantiene la pace e la carità cristiana
“.




Don Bosco, La Salette, Lourdes

In questo mese che ci ricorda le apparizioni di Lourdes, ci permettiamo di cogliere l’occasione per puntualizzare l’errore in cui, qualche tempo fa, è caduto l’autore di un’anti-agiografia di don Bosco nel suo tentativo di ridicoleggiare la divozione a Maria Ausiliatrice.
Scrisse, adunque quel saggista:
«In tanta impregnazione di culto mariano, di storia quasi sub specie Mariae, stupisce non trovare tracce, nella vita di don Bosco, di fatti così importanti come le apparizioni de La Salette (1846) e di Lourdes (1858); eppure tutto quello che accadeva in Francia era a Torino risentitissimo, molto più di quel che si srotolava in Italia. Non capisco questa assenza d’echi. Era il mantello di Maria Ausiliatrice e della Consolata a formare come una gelosa barriera contro altre protezioni e discese della stessa Figura?».

Ciò che qui davvero stupisce è la sorpresa di uno scrittore non ignaro delle fonti salesiane, perché don Bosco parlò e scrisse ripetutamente delle apparizioni di La Salette e di Lourdes. Nel 1871, e cioè ben tre anni dopo la consacrazione della chiesa di Maria Ausiliatrice e del relativo impegno di don Bosco per diffonderne la divozione, egli stesso compilò e pubblicò come fascicolo di maggio delle sue «Letture Cattoliche», il libretto intitolato: Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette. In questo volumetto di 92 pagine, che ebbe una terza edizione nel 1877, don Bosco descrive l’Apparizione in tutti i suoi particolari, per passare poi ad altri fatti prodigiosi attribuiti alla Vergine.
Due anni dopo, nel 1873, pubblicava, come fascicolo di dicembre delle stesse «Letture Cattoliche», il libretto intitolato: Le Meraviglie della Madonna di Lourdes. Il fascicolo uscì anonimo ma era preceduto da un annunzio «Ai benefattori nostri corrispondenti e lettori» firmato da don Bosco.
Nelle Memorie Biografiche
E non è tutto. Nelle Memorie Biografiche, descrivendo la prima festa dell’Immacolata celebrata in Casa Pinardi a Valdocco l’8 dicembre 1846, il biografo, don G.B. Lemoyne, asserisce che la festa fu «rallegrata eziandio dalla fama di un’apparizione della Madonna in Francia alla Salette»; e continua: «Fu questo l’argomento prediletto di don Bosco, ripetuto da lui cento volte».

Agli ipercritici l’espressione «cento volte» sembrerà esagerata, ma chi conosce la nostra lingua sa che da noi significa semplicemente «molte volte» («te l’ho ripetuto cento volte»). E «molte volte» non significa «poche», tanto meno «mai».
Nelle stesse Memorie troviamo scritto dell’8 dicembre 1858:
«Lieto don Bosco di tali incoraggiamenti celebrava la festa dell’Immacolata Concezione di Maria SS. Tanto più che in quest’anno un portentoso avvenimento aveva in tutto il mondo fatto risuonare la gloria e la bontà della celeste Madre e don Bosco l’aveva narrato più volte ai suoi giovani e più tardi ne consegnava alla stampa la relazione». Si trattava, evidentemente di Lourdes.
C’è dell’altro ancora. Una cronaca dell’anno 1865 riferisce la «Buona Notte», o sermoncino serale ai giovani, fatto da don Bosco l’11 gennaio di quell’anno:
«Vi voglio contare cose magnifiche stasera. La Madonna si degnò di comparire molte volte in pochi anni ai suoi devoti. Comparve in Francia nel 1846 a due pastorelli, dove, fra le altre cose, predisse la malattia delle patate e dell’uva, come avvenne; e si doleva che la bestemmia, il lavorare alla festa, lo stare in chiesa come cani, avessero acceso l’ira del suo Divin Figlio. Comparve nel 1858 alla piccola Bernardetta presso Lourdes, raccomandandole che si pregasse per i poveri peccatori…».
Si noti che in quell’anno si erano cominciati i lavori per la costruzione della chiesa di Maria Ausiliatrice; eppure don Bosco non dimenticò le apparizioni mariane in Francia.
Poi basta cercare nel Bollettino Salesiano per trovare tanti riferimenti a Lourdes e Salette.
Come si può insinuare, allora, che «il mantello di Maria Ausiliatrice» formasse come «una gelosa barriera contro altre protezioni e discese della stessa Figura»? Come si può affermare che manchino nella vita di don Bosco tracce di fatti così importanti come l’Apparizione de La Salette (1846) e di Lourdes (1858)?
Noi che andiamo sempre in cerca di «curiosità», abbiamo voluto registrare anche questa, che rivela come certa saggistica abbia ben poco da spartire con un’autentica e seria conoscenza storica.




Bullismo. Una cosa nuova? C’era anche nei tempi di don Bosco

Non è certamente un mistero per i più attenti conoscitori della “realtà viva” di Valdocco e non solo “ideale” o “virtuale”, che la vita quotidiana in una struttura decisamente ristretta per accogliere 24 ore su 24 e per molti mesi all’anno varie centinaia di bambini, ragazzi e giovani eterogenei per età, provenienza, dialetto, interessi, poneva problemi educativi e disciplinari non indifferenti a don Bosco e ai suoi giovani educatori. Riportiamo due episodi significativi al riguardo, per lo più sconosciuti.

La violenta colluttazione
Nell’autunno 1861 la vedova del pittore Agostino Cottolengo, fratello del famoso (san) Benedetto Cottolengo, dovendo collocare i suoi due figli, Giuseppe e Matteo Luigi, nella capitale del neonato Regno d’Italia per motivi di studio, chiese al cognato, can. Luigi Cottolengo di Chieri, di individuare un collegio adatto. Questi suggerì l’oratorio di don Bosco e così il 23 ottobre i due fratelli, accompagnati da un altro zio, Ignazio Cottolengo, frate domenicano, entrarono al Valdocco a 50 lire mensili di pensione. Prima di Natale il quattordicenne Matteo Luigi era però già ritornato a casa per motivi di salute, mentre il fratello maggiore Giuseppe, ritornato a Valdocco dopo le vacanze natalizie, un mese dopo fu allontanato per causa di forza maggiore. Che cosa era successo?
Era successo che il 10 febbraio 1862, Giuseppe, sedicenne, era venuto alle mani con un certo Giuseppe Chicco, di nove anni, nipote del can. Simone Chicco di Carmagnola, che probabilmente ne pagava la pensione.

Nella colluttazione, con tanto di bastone, il bambino ovviamente ebbe la peggio, restandone seriamente ferito. Don Bosco si premurò di farlo ricoverare presso la fidatissima famiglia Masera, onde evitare che la notizia dello spiacevole episodio si diffondesse in casa e fuori casa. Il bambino venne visitato da un medico, il quale redasse un referto piuttosto pesante, utile “per chi di ragione”.

L’allontanamento provvisorio del bullo
Per non correre rischi e per ovvi motivi disciplinari, don Bosco il 15 febbraio si vide costretto ad allontanare per qualche tempo il giovane Cottolengo, facendolo accompagnare non a Bra a casa della madre che ne avrebbe sofferto troppo, ma a Chieri, dallo zio canonico. Questi, due settimane dopo, chiese a don Bosco delle condizioni di salute del Chicco e delle spese mediche sostenute, onde risarcirle di tasca propria. Gli chiese altresì se era disposto a riaccettare a Valdocco il nipote. Don Bosco gli rispose che il fanciullo ferito era ormai quasi completamente guarito e che per le spese mediche non c’era in alcun modo da preoccuparsi perché “abbiamo da fare con onesta gente”. Quanto a riaccettargli il nipote, “s’immagini se mi ci posso rifiutare”, scriveva. Però a due condizioni: che il ragazzo riconoscesse il suo torto e che il can. Cottolengo scrivesse al can. Chicco, onde chiedergli scusa a nome del nipote e pregarlo di “dire una semplice parola” a don Bosco perché riaccogliesse a Valdocco il giovane. Don Bosco gli garantiva che il can. Chicco non solo avrebbe accolto le scuse – gli aveva già scritto al riguardo – ma aveva già fatto ricoverare il nipotino “in casa di un parente per impedire ogni pubblicità”. A metà marzo entrambi i fratelli Cottolengo venivano riaccolti a Valdocco “in modo gentile”. Matteo Luigi vi rimase però solo fino a Pasqua per i soliti disturbi di salute, mentre Giuseppe fino al termine degli studi.

Un’amicizia consolidata e un piccolo guadagno
Non ancora contento che la vicenda si fosse conclusa con comune soddisfazione, l’anno successivo il can. Cottolengo insistette nuovamente con don Bosco per pagare le spese del medico e delle medicine del bambino ferito. Il can. Chicco, interpellato da don Bosco, rispose che la spesa complessiva era stata di 100 lire, che però lui e la famiglia del bambino non chiedevano nulla; ma se il Cottolengo insisteva nel voler saldare il conto, devolvesse tale somma “a favore dell’Oratorio di S. Francesco di Sales”. Così dovette avvenire.
Dunque un episodio di bullismo si era risolto in modo brillante ed educativo: il colpevole si era ravveduto, la “vittima” era stata ben assistita, gli zii si erano uniti per il bene dei loro nipoti, le mamme non ne avevano sofferto, don Bosco e l’opera di Valdocco, dopo aver corso qualche rischio, avevano guadagnato in amicizie, simpatie… e, cosa sempre gradita in quel collegio di ragazzi poveri, un piccolo contributo economico. Far nascere il bene dal male non è da tutti, don Bosco ci è riuscito. C’è da imparare.

Un’interessantissima lettera che apre uno spiraglio sul mondo di Valdocco
Ma presentiamo un caso ancor più grave, che di nuovo può essere istruttivo per i genitori e gli educatori di oggi alle prese con ragazzi difficili e ribelli.
Ecco il fatto. Nel 1865 un certo Carlo Boglietti, schiaffeggiato per grave insubordinazione dall’assistente del laboratorio di legatoria, il chierico Giuseppe Mazzarello, denuncia il fatto alla pretura urbana di Borgo Dora, che avvia un’inchiesta, convocando l’accusato, l’accusatore e tre ragazzi quali testimoni. Don Bosco, nel desiderio di sciogliere la questione con minori disturbi delle autorità pensa bene di rivolgersi direttamente e preventivamente per lettera al pretore stesso. Come direttore di una casa educativa crede di poterlo e doverlo fare “a nome di tutti […] pronto a dare a chi che sia le più ampie soddisfazioni”.

Due importanti premesse giuridiche
Nella sua lettera anzitutto difende il suo diritto e la sua responsabilità di padre-educatore dei ragazzi a lui affidati: fa subito notare che l’articolo 650 del codice penale, chiamato in causa dall’atto di convocazione, “sembra interamente estraneo all’oggetto di cui si tratta, imperciocché interpretato nel senso preteso la pretura urbana si verrebbe ad introdurre nel Regime domestico delle famiglie, i genitori e chi ne fa le veci non potrebbero più correggere la propria figliolanza neppure impedire un’insolenza ed un’insubordinazione, [cose] che tornerebbero a grave danno della moralità pubblica e privata”.
In secondo luogo ribadisce che la facoltà “di usare tutti que’ mezzi che si fossero giudicati opportuni […] per tenere in freno certi giovanetti” gli era stata concessa dall’autorità governativa che gli inviava i ragazzi; solo nei casi disperati – invero “più volte” – aveva dovuto far intervenire “il braccio della pubblica sicurezza”.

L’episodio, i precedenti e le conseguenze educative
Quanto al giovane Carlo in questione, don Bosco scrive che, di fronte a continui gesti ed atteggiamenti di ribellione, “fu più volte paternamente, inutilmente avvisato; che egli si dimostrò non solo incorreggibile, ma insultò, minacciò ed imprecò il ch. Mazzarello in faccia a’ suoi compagni”, al punto che “quell’assistente d’indole mitissima, e mansuetissima ne rimase talmente spaventato, che d’allora in poi fu sempre ammalato senza aver mai più potuto ripigliare i suoi doveri e vive tuttora da ammalato”.
Il ragazzo era poi scappato dal collegio e tramite la sorella aveva informato i superiori della fuga solo “quando seppe che non si poteva più tenere nascosta la notizia alla questura”, cosa che non si era fatto prima “per conservargli la propria onoratezza”. Purtroppo i suoi compagni avevano continuato negli atteggiamenti di protesta violenta, tanto che – scrive ancora don Bosco – “fu mestieri cacciarne alcuni dallo stabilimento, altri con dolore consegnarli alle autorità della pubblica sicurezza che li condussero in prigione”.

Le richieste di don Bosco
A fronte di un giovane “discolo, che insulta e minaccia i suoi superiori” e che ha poi “l’audacia di citare avanti le autorità coloro che per il suo bene […] consacrano vita e sostanze” don Bosco in linea generale sostiene che “l’autorità pubblica dovrebbe sempre venire in aiuto dell’autorità privata e non altrimenti”. Nel caso specifico poi non si oppone al procedimento penale, ma a due precise condizioni: che il ragazzo presenti preventivamente un adulto che paghi “le spese che possono occorrere e che si faccia responsabile delle gravi conseguenze che forse ne potrebbero avvenire”.
Per scongiurare l’eventuale processo, che indubbiamente sarebbe stato strumentalizzato dalla stampa avversa, don Bosco calca la mano: chiede preventivamente che “siano riparati i danni che l’assistente ha sofferto nell’onore e nella persona almeno finché possa ripigliare le sue ordinarie occupazioni, “che le spese di questa causa siano a conto di lui” e che né il ragazzo né “il suo parente o consigliere” sig. Stefano Caneparo non vengano più a Valdocco “a rinnovare gli atti d’insubordinazione e gli scandali già altre volte cagionati”.

Conclusione
Come sia andata a finire la triste vicenda non è dato sapere; con ogni probabilità si venne ad una previa conciliazione fra le parti. Resta però il fatto che è bene sapere che i ragazzi di Valdocco non erano tutti dei Domenico Savio, dei Francesco Besucco e neppure dei Michele Magone. Non mancavano giovani “avanzi di galera” che davano filo da torcere a don Bosco e ai suoi giovanissimi educatori. L’educazione dei giovani è sempre stata arte impegnativa non aliena da rischi; ieri come oggi, c’è bisogno di stretta collaborazione fra genitori, insegnanti, educatori, tutori dell’ordine, tutti interessati al bene esclusivo dei giovani.




Don Bosco e la Bibbia

In un capitolo della Costituzione dogmatica sulla Divina Rivelazione promulgata dal Concilio Vaticano II, che riguarda «la Sacra Scrittura nella vita della Chiesa», si invitano vivamente tutti i fedeli cristiani alla lettura frequente del Libro Sacro.

È un fatto che ai tempi di Don Bosco in Piemonte, nella catechesi parrocchiale e scolastica, la lettura personale del testo biblico non era ancora sufficientemente praticata. Più che ricorrere direttamente a esso si usava fare una catechesi sulla dottrina cattolica con esempi ricavati da Compendi di Storia Sacra.

E così si faceva anche a Valdocco.

Tutto questo non vuol dire che Don Bosco non leggesse e meditasse personalmente la Bibbia. Già nel Seminario di Chieri egli poteva trovare a sua disposizione la Bibbia del Martini, oltre a noti commentari come quelli del Calmet. Ma è un fatto che quando egli era in Seminario venivano prevalentemente sviluppati trattati di carattere dottrinale più che studi biblici propriamente detti, anche se i trattati dogmatici includevano evidentemente citazioni bibliche. Il chierico Bosco non si accontentò di ciò e si fece autodidatta in materia.

Nell’estate del 1836 Don Cafasso, che ne era stato richiesto, gli propose di tenere scuola di greco ai convittori del Collegio del Carmine di Torino, sfollati a Montaldo per la minaccia del colera. Ciò lo spinse ad occuparsi seriamente della lingua greca per rendersi idoneo a insegnarla.

Con l’aiuto di un padre gesuita profondo conoscitore del greco, il chierico Bosco fece grandi progressi. In solo quattro mesi il colto gesuita gli fece tradurre quasi tutto il Nuovo Testamento, e poi, per quattro anni ancora ogni settimana controllava qualche composizione o versione greca che il chierico Bosco gli spediva ed egli puntualmente rivedeva con le opportune osservazioni. «In questa maniera, – dice Don Bosco stesso -, potei giungere a tradurre il greco quasi come si farebbe del latino».

Il suo primo biografo assicura che il 10 febbraio del 1886, ormai vecchio e malato, Don Bosco alla presenza dei suoi discepoli andava recitando per intero alcuni capitoli delle Lettere di San Paolo in greco e in latino.

Dalle stesse Memorie Biografiche veniamo a sapere che il chierico Giovanni Bosco, d’estate, al Sussambrino, dove abitava con il fratello Giuseppe, soleva salire in cima alla vigna di proprietà Turco e lì si dedicava a quegli studi ai quali non aveva potuto attendere nel corso dell’anno scolastico, specialmente allo studio della Storia del Vecchio e del Nuovo Testamento del Calmet, della geografia dei Luoghi Santi, e dei principi della lingua ebraica, acquistandone sufficienti cognizioni.

Ancora nel 1884 si ricordava dello studio fatto dell’ebraico e fu sentito in Roma entrare con un professore di lingua ebraica sulla spiegazione di certe frasi originali dei profeti, facendo confronti con i testi paralleli di vari libri della Bibbia. E si occupava pure di una traduzione del Nuovo Testamento dal greco.

Don Bosco, quindi, come autodidatta, fu uno studioso attento degli scritti della Bibbia e se ne venne a fare una sicura conoscenza.

Un giorno, ancora studente di teologia, volle andare a trovare il suo vecchio insegnante e amico Don Giuseppe Lacqua che abitava a Ponzano. Questi, informato della proposta visita, gli scrisse una lettera nella quale gli diceva, tra l’altro, «giunto che sarà il tempo di venire a trovarmi, ricordatevi di portarmi i tre volumetti della Sacra Bibbia».

Prova questa, evidente, che il chierico Bosco li studiava.

Giovane sacerdote, discorrendo con il suo parroco, Teologo Cinzano, venne con lui a parlare della mortificazione cristiana. Don Bosco allora gli citò le parole del Vangelo: «Si quis vult post me venire, abneget semetipsum, et tollat crucem suam quotidie et sequatur me». Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua). Il teologo Cinzano lo interruppe dicendogli:

— Tu aggiungi una parola, quel quotidie (= ogni giorno) che nel vangelo non c’è».

E Don Bosco:

Questa parola non si trova in tre evangelisti, ma c’è nel vangelo di San Luca. Consulti il capo nono, versetto 23 e vedrà che io non aggiungo nulla.

Il buon Parroco, che pur era valente nelle discipline ecclesiastiche, non aveva notato il versetto di San Luca, mentre Don Bosco vi aveva fatto attenzione. Più volte Don Cinzano raccontò con gusto tale incidente.

L’impegno di Don Bosco a Valdocco

Don Bosco poi dimostrò in tanti altri modi questo suo profondo interesse e studio della Sacra Scrittura, e molto fece poi a Valdocco per farne conoscere i contenuti ai suoi figli.

Si pensi alla sua edizione della Storia Sacra, uscita la prima volta nel 1847 e poi ristampata in 14 edizioni e decine e decine di ristampe sino al 1964.

Si pensi a tutti gli altri suoi scritti correlati con la storia biblica, come Maniera facile per imparare la Storia Sacra, pubblicato la prima volta nel 1850; la Vita di San Pietro, uscita nel gennaio 1857 come fascicolo delle «Letture Cattoliche»; la Vita di San Paolo, uscita nel mese di aprile dello stesso anno come fascicolo delle «Letture Cattoliche»; la Vita di San Giuseppe, uscita nel fascicolo delle «Letture Cattoliche» del marzo 1867; ecc.

Don Bosco poi teneva per segnacoli nel suo Breviario massime della Sacra Scrittura, come la seguente: «Bonus Dominus et confortans in die tribulationis».

Fece dipingere sulle pareti del porticato di Valdocco sentenze della Sacra Scrittura come la seguente: «Omnis enim, qui petit accipit, et qui quaerit invenit, et pulsanti aperietur».

Sin dal 1853 volle che i suoi chierici studenti di filosofia e di teologia studiassero ogni settimana dieci versetti del Nuovo Testamento e lo recitassero letteralmente al mattino del giovedì.

All’inaugurazione del corso tutti i chierici tenevano in mano il volume della Bibbia Volgata latina e lo avevano aperto sulle prime linee del Vangelo di San Matteo. Ma Don Bosco, recitata la preghiera, prese a dire in latino il versetto 18 del capo 16° di Matteo: «Et ego dico tibi quia tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversus eam»: Ed io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa, e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. Voleva proprio che i suoi figli tenessero sempre nella mente e nel cuore questa evangelica verità.