Che dono, il tempo!

L’inizio del nuovo anno, nella nostra liturgia, è illuminato dall’antichissima benedizione con cui i sacerdoti israeliti benedicevano il popolo: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia, il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace»

Cari amici e lettori del Bollettino Salesiano, siamo all’inizio di un anno nuovo, esprimiamoci quindi a vicenda i migliori auguri per il tempo che verrà, per il tempo che viene, dono che contiene ogni altro dono in cui si sviluppa la nostra vita.
Riempiamo dunque questo augurio di contenuti che lo illuminino. Diamo la parola a Don Bosco che quando arrivò nel seminario di Chieri, si soffermò sulla meridiana che, ancora oggi, campeggia sul muro del cortile, e raccontava: «Alzando lo sguardo sopra una meridiana, lessi questo verso: Afflictis lentae, celeres gaudentibus horae». Ecco, dissi all’amico, ecco il nostro programma: stiamo sempre allegri e passerà presto il tempo (Memorie Biografiche I,374).
Il primo augurio che ci scambiamo, per viverlo, è quello che don Bosco ci ricorda: vivi bene, vivi sereno e trasmetti serenità a chi ti circonda, il tempo avrà un altro valore! Ogni momento del tempo è un tesoro; ma è un tesoro che passa in fretta. Sempre don Bosco amava commentare: «I tre nemici dell’uomo sono; la morte (che sorprende); il tempo (che gli sfugge), il demonio (che gli tende i suoi lacci)» (MB V,926).
«Ricordati che essere felice non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni» raccomanda un antico augurio. «Essere felici non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita».
Un saggio teneva nel suo studio un enorme orologio a pendolo che ad ogni ora suonava con solenne lentezza, ma anche con gran rimbombo.
«Ma non la disturba?» chiese uno studente.
«No» rispose il saggio. «Perché così ad ogni ora sono costretto a chiedermi: che cosa ho fatto dell’ora appena trascorsa?».
Il tempo è l’unica risorsa non rinnovabile. Si consuma ad una velocità incredibile. Sappiamo che non avremo un’altra possibilità. Perciò tutto il bene che possiamo fare, l’amore, la bontà e la gentilezza di cui siamo capaci li dobbiamo donare adesso. Perché non torneremo su questa terra un’altra volta. Con un perenne velo di rimorso nel nostro intimo, sentiamo che Qualcuno ci chiederà: «Che ne hai fatto di tutto quel tempo che ti ho regalato?»

La nostra speranza si chiama Gesù
Nel tempo nuovo che abbiamo appena cominciato, le date e i numeri di un calendario sono segni convenzionali, sono segni e numeri inventati per misurare il tempo. Nel passaggio dall’anno vecchio al nuovo anno è cambiato molto poco, eppure la percezione di un anno che finisce ci costringe a fare sempre un bilancio. Quanto abbiamo amato? Quanto abbiamo perduto? Quanto siamo diventati migliori, o quanto siamo diventati peggiori? Il tempo che passa non ci lascia mai uguali.
La liturgia, nel sorgere dell’anno nuovo, ha un modo tutto suo di farci fare un bilancio. Essa lo fa attraverso le parole iniziali del vangelo di Giovanni; parole che possono sembrare difficili ma che in realtà riflettono la profondità della vita: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. Al fondo di ogni nostra vita risuona una Parola più grande di noi. Essa è il motivo per cui esistiamo, per cui il mondo esiste, per cui ogni cosa esiste. Questa Parola, questo Verbo, è Dio stesso, è il Figlio, è Gesù. Il nome del motivo per cui siamo stati fatti si chiama Gesù.
È Lui il vero motivo per cui ogni cosa esiste, ed è in Lui che possiamo capire ciò che esiste. La nostra vita non va giudicata confrontandola con la storia, con i suoi eventi e la sua mentalità. La nostra vita non può essere giudicata guardando a noi stessi e alla nostra sola esperienza. La nostra vita è comprensibile solo se la si accosta a Gesù. In Lui tutto assume un senso e un significato, anche di quello che di contradditorio e ingiusto ci è capitato. È guardando a Gesù che capiamo qualcosa di noi stessi. Lo dice bene un salmo quando afferma: “Alla tua luce vediamo la luce”.
Questo è il modo di vedere il Tempo secondo il Cuore di Dio, e noi ci auguriamo di vivere questo tempo nuovo così.
Il nuovo anno porterà a tutti noi, alla famiglia salesiana, alla Congregazione importanti eventi e novità. Tutte dentro il dono del Giubileo che nella Chiesa stiamo vivendo.
Dentro lo spirito del Giubileo lasciamo trasportare dalla Speranza che è la presenza di Dio nella nostra vita.
Il primo mese di questo nuovo anno, gennaio, è trapuntato di feste Salesiane che di portano alla Festa di Don Bosco, ringraziamo Dio di questa delicatezza con cui ci dona di iniziare l’anno nuovo.
Lasciamo quindi l’ultima parola a don Bosco e fissiamo questa sua massima, perché forgi il nostro 2025: Figlioli miei, conservate il tempo e il tempo conserverà voi in eterno (MB XVIII 482,864).




Appello Missionario 2025

Carissimi confratelli,

un saluto fraterno e cordiale dal Sacro Cuore di Roma.

In questo giorno, 18 di dicembre, come ogni anno, nel ricordo della fondazione della nostra Congregazione, nel 1859, vengo a voi con questo scritto che rinnova lo spirito delle origini, lo spirito missionario che ha reso, fin dal principio, la Congregazione quello che è.

In questo anno, con emozione, do voce al cuore della Congregazione, nel 150° anniversario della prima spedizione missionaria. La celebrazione di questo anniversario segna il nostro cuore ed il nostro animo. Ci chiede di rinnovare lo spirito missionario che da sempre è nel cuore del carisma, perché ringraziando per la fedeltà di Dio, dia energia di futuro all’evangelizzazione e alla Congregazione.

Celebrare il 150° anniversario della prima spedizione missionaria di don Bosco rappresenta un grande dono per:

Ringraziare, per riconoscere la grazia di Dio.
La riconoscenza rende palese la paternità di ogni bella realizzazione. Senza riconoscenza non c’è capacità di accogliere. Tutte le volte che nella nostra vita personale ed istituzionale non riconosciamo un dono, rischiamo seriamente di vanificarlo e di “impadronircene. Parlando di spirito della missione siamo al centro della vita del discepolo: una cosa infinitamente più grande di noi, che è la dinamica fondante ed originale della Chiesa, per ogni generazione.

Ripensare, perché “nulla è per sempre”.
La fedeltà comporta anche la capacità di cambiare nell’obbedienza a una visione che viene da Dio e dalla lettura dei “segni dei tempi”. Nulla è per sempre: dal punto di vista personale e istituzionale la vera fedeltà è la capacità di cambiare, riconoscendo in cosa il Signore chiama ciascuno di noi. Ripensare, allora, diventa un atto generativo, in cui si uniscono fede e vita; un momento nel quale chiedersi: cosa vuoi dirci Signore con questa persona, con questa situazione alla luce dei segni dei tempi che, per esser letti, chiedono di avere il cuore stesso di Dio?

Rilanciare, ricominciare ogni giorno.
La riconoscenza porta a guardare lontano e ad accogliere le nuove sfide, rilanciando le missioni con speranza. L’attività missionaria è portare la speranza di Cristo con la consapevolezza lucida e chiara, legata alla fede, che fa riconoscere che quanto vedo e vivo “non è roba mia”, e mi dà la forza per andare avanti, personalmente e istituzionalmente.

Tutto ciò richiede il coraggio di esser sé stessi, di riconoscere la propria identità nel dono di Dio e investire le proprie energie in una responsabilità precisa. Consapevoli del fatto che, ciò che ci è stato affidato, non è nostro, e che abbiamo il compito di trasmetterlo alle prossime generazioni.

Questo è il cuore di Dio questa è la vita della Chiesa.

Il Santo Padre ci ha donato in questi ultimi tempi una lettera Enciclica “Dilexit nos” sull’amore umano e Divino del cuore di Gesù Cristo. Questo dono di Papa Francesco illumina il nostro cuore missionario.

Il Papa ci indica l’azione sociale ed il mondo intero come destinazione naturale della devozione autentica al Sacro Cuore. Al numero 205 dell’Enciclica così dice: “che culto sarebbe per Cristo se ci accontentassimo di un rapporto individuale senza interessa per aiutare gli altri a soffrire meno e vivere meglio? Potrei forse piacere al Cuore che ha tanto amato se rimaniamo in un “esperienza religiosa intima, senza conseguenze fraterne e sociali?

Papa Francesco ci dice chiaramente che chi è intimo del cuore del Signore non può non essere dotato di uno spirito missionario che abbraccia il mondo intero, perché il suo cuore si è dilatato, ampliato! C’è una relazione diretta: più abitiamo l’intimità del Cuore di Cristo e più saremo capaci di raggiungere i più lontani confini della terra.

Il cuore di Cristo mi spinge ad essere attento alle ferite del cuore dell’umanità.
In una parola: il cuore della missione è il cuore di Dio.

Che forza e che energia il Santo Padre ci trasmette, in questo anno che ci introduce nel 150° della prima spedizione missionaria.

La storia continua con noi. Oggi don Bosco ha bisogno dei Salesiani che si rendono disponibili come “semplici strumenti” per realizzare il sogno missionario. Questo è il mio appello ai confratelli che sentono nel profondo del loro cuore, la chiamata di Dio, dentro la nostra comune vocazione salesiana, a rendersi disponibili come missionari con un impegno per tutta la vita (ad vitam), dovunque il Rettor Maggiore li invierà.

Allo scorso appello di don Angel, nel dicembre 2023 hanno aderito 48 salesiani che sono stati scelti 24 come membri della 155° spedizione missionaria. In questo anno che prepara il 150° della prima spedizione missionaria, la mia preghiera e il mio auspicio è che possano esser ancora di più.

Il dialogo con il Consigliere Generale per le Missioni e la riflessione condivisa all’interno del Consiglio Generale, sulla base del progetto missionario presentato al Consiglio (ACGA31, p. 66) mi permette di precisare le urgenze individuate per il 2025, dove vorrei che un numero significativo di confratelli potesse essere inviato:

– Nordafrica, Africa Meridionale (AFM), Africa Occidentale Nord (AON), Mozambico;
– la nuova presenza che inizieremo in Vanuatu;
– Albania, Romania, per il ‘Progetto Calabria-Basilicata’ (IME);
– Cile, Mongolia, Uruguay, e altre frontiere ed eventuali urgenze.

Invito gli Ispettori, con loro i Delegati ispettoriale per l’animazione missionaria, ad essere i primi ad aiutare i confratelli a facilitare il loro discernimento, invitandoli, dopo il dialogo personale, a mettersi a disposizione del Rettor Maggiore per rispondere ai bisogni missionari della Congregazione. Poi il Consigliere Generale per le Missioni continuerà il discernimento che porterà alla scelta dei missionari per la prossima 156° spedizione missionaria, che si terrà a Valdocco 1’11 novembre 2025.

Il Signore benedica e la Madonna accompagni tutti noi, Santo Natale a tutti e un buon anno nuovo nel nome della Speranza, che è presenza di Dio.

Roma, 18 dicembre 2024

Sac. Stefano Martoglio
Vicario (ex. art. 143 cost. S.D.B.)
Prot. n. 24/0575




Un cuore grande come i lidi del mare

Un tempo nuovo ci è donato: dal Cuore di Dio al cuore dell’umanità, nello specchio del gran cuore di don Bosco.

Cari amici e lettori, in questo numero di dicembre mi rivolgo a voi con i migliori auguri di un anno nuovo! Di un tempo nuovo che ci è donato da vivere con intensità e con “novità di vita” e faccio mio, come augurio propizio ed opportuno, il dono che il Santo Padre ci ha fatto nei giorni scorsi: lettera Enciclica Dilexit Nos sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo.
Noi salesiani siamo abituati a cantare: «Dio ti ha dato un cuore grande / come la sabbia del mare. / Dio ti ha donato il suo spirito: / ha liberato il tuo amore».
Papa Pio XI, che ben lo conosceva, disse che don Bosco aveva una “bellissima particolarità”: era “un grande amatore di anime” e le vedeva «nel pensiero, nel cuore, nel sangue di Nostro Signore Gesù Cristo». Del resto nello stemma della nostra Congregazione c’è un cuore ardente.
Papa Francesco si introduce così al n.2 della Dilexit Nos: “per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”.
Come è forte questa indicazione del nostro Papa per indicarci un modo nuovo di vivere, in un tempo nuovo che ci è donato, l’anno che verrà.
Al n. 21, Papa Francesco scrive: “il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche. In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato”.
Ed aggiunge al numero 27 della stessa Lettera Enciclica: “davanti al Cuore di Gesù vivo e presente, la nostra mente, illuminata dallo Spirito, comprende le parole di Gesù. Così la nostra volontà si mette in moto per praticarle. Ma ciò potrebbe rimanere una forma di moralismo autosufficiente. Sentire e gustare il Signore e onorarlo è cosa del cuore. Solo il cuore è capace di mettere le altre facoltà e passioni e tutta la nostra persona in atteggiamento di riverenza e di obbedienza amorosa al Signore”.
Non mi dilungo oltre, sperando di avervi stuzzicato a leggere questa splendida Lettera Enciclica che non è solo un dono grande per vivere in modo nuovo il tempo che ci è donato, e già sarebbe sufficiente; è anche un’indicazione profondamente “salesiana”.
Quanto don Bosco ha scritto e lavorato nella diffusione proprio della devozione al Sacro Cuore di Gesù, come amore divino che accompagna la nostra realtà umana.

Una magnifica spinta
Nelle Memorie Biografiche al volume VIII, 243 – 244, troviamo così scritto, riferito a don Bosco: “la devozione al S. Cuore, che nel suo animato aveva ardentissima, animava tutte le sue opere, dava efficacia ai suoi discorsi familiari, alle sue prediche, e all’esercizio del suo ministero, sicché ne restavamo tutti incantati e persuasi (dice la testimonianza di don Bonetti). Parve altresì che il Sacro Cuore cooperasse anche con soprannaturali aiuti al compimento della sua ardua missione”.
Questa testimonianza della devozione di don Bosco al Sacro Cuore si identifica “plasticamente” con la Basilica omonima costruita da don Bosco a Roma su richiesta del Papa del tempo.
L’edificio materiale rimanda e richiama tutti noi alla “monumentale” devozione di don Bosco al Sacro Cuore. Come per la Madonna così per il Sacro Cuore, la devozione di don Bosco si manifesta nelle chiese che ha costruito. Perché la devozione al Sacro Cuore è l’Eucarestia, il culto Eucaristico.
Il cuore di don Bosco in costante amore con l’Eucarestia è una magnifica spinta personale per rendere vivo e vero questo nel nuovo anno. Un vero e profondo augurio di buon anno nuovo vissuto in pienezza. Come prosegue il canto: «Hai formato uomini / dal cuore sano e forte: / li hai mandati per il mondo ad annunciare / il Vangelo della gioia».

Mi piace concludere questo breve messaggio, augurando a tutti di cuore un buon anno nuovo, con l’immagine che Papa Francesco riporta nelle prime pagine dell’enciclica, rifacendosi agli insegnamenti di sua nonna sul significato del nome dei dolci di carnevale, le “busie”… perché nella cottura l’impasto si gonfia e rimane vuoto…quindi ha una esteriorità a cui corrisponde un vuoto dentro; sembrano da fuori ma non sono, son “busie”.
Che l’anno nuovo sia per tutti noi pieno e ricco di sostanza, concretizzando nell’accoglienza di Dio che viene in mezzo a noi.
La Sua venuta porti pace e verità, ciò che si vede da fuori corrisponda a ciò che c’è dentro!
Auguri di cuore a tutti voi!




Il sentiero delle rose

«“Oh! Don Bosco cammina sempre sulle rose. Egli va avanti tranquillissimo: tutto gli va bene” Ma essi non vedevano le spine che laceravano le mie povere membra. Tuttavia andai avanti». Di spine e di rose è intrecciata ogni vita, come nel celebre sogno del pergolato di rose di don Bosco. La Speranza è la forza che nonostante le spine ci fa andare avanti.

Cari Lettori, amici della famiglia salesiana e benefattori che aiutano l’opera di Don Bosco in tutte le situazioni ed in tutti i contesti, inviandovi un pensiero tramite il Bollettino Salesiano, ho scelto di rimanere ancora un poco sul tema della Speranza, come già abbiamo fatto il mese scorso.
Questo non solo per amore di continuità, ma soprattutto perché è un tema di cui parlare, perché ne abbiamo tutti molto bisogno. È una declinazione della delicatezza di Dio nella nostra vita.
Ma quando parliamo di speranza, prima di tutto, ricordiamo che è un elemento di profonda umanità, ed un criterio chiaro per interpretare la vita, in tutte le religioni.
La speranza ha molto a che fare con la trascendenza e con la fede, l’amore e la vita eterna, sottolinea il filosofo coreano Byung-Chul Han. Noi lavoriamo, produciamo e consumiamo, sottolinea nei suoi scritti questo filosofo, ma in questo modo di vivere non c’è nessuna forma di apertura al trascendente, nessuna Speranza.
Viviamo in un tempo privato della dimensione della festa, anche se siamo pieni di cose che ci stordiscono; un tempo senza festa è un tempo senza speranza. La società dei consumi e della performance in cui viviamo, rischia di renderci incapaci di felicità, di gioire per la situazione in cui ci troviamo. Anche la situazione più difficile ha sempre delle briciole di luce!
La speranza ci fa credenti nel futuro, perché il luogo di sperimentazione più intensa della speranza è la trascendenza.
Lo scrittore e politico Ceco Vaclay Havel, presidente della Cecoslovacchia nell’epoca della “rivoluzione di velluto”, che molti di noi ricordano, definisce la speranza come uno stato d’animo, una dimensione dell’anima.
La speranza è un orientamento del cuore che trascende il mondo immediato dell’esperienza; è un ancoraggio da qualche altra parte oltre all’orizzonte.
Le radici della speranza si trovano da qualche parte dentro il trascendente ecco perché non è la stessa cosa avere Speranza o essere soddisfatti perché le cose vanno bene.
Quando parliamo di futuro lo intendiamo in relazione a cosa accadrà domani, il mese prossimo, tra due anni. Il futuro è quello che possiamo pianificare, prevedere gestire ed ottimizzare.
La Speranza è la costruzione di un futuro che ci unisce al futuro che non finisce, al trascendente, alla dimensione Divina. Coltivare la speranza fa bene al nostro cuore perché mette energia nella costruzione della nostra strada verso il Paradiso.

La parola più pronunciata da Don Bosco
Scrisse Don Alberto Caviglia: «A svolgere le pagine che riportano parole e discorsi di Don Bosco, si trova che quella del Paradiso fu la parola ch’egli ripeteva in ogni circostanza come argomento animatore supremo di ogni attività nel bene e di ogni sopportazione delle avversità».
«Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto!» ripeteva Don Bosco in mezzo alle difficoltà. Anche nelle moderne scuole per manager si insegna che una visione positiva del futuro si trasforma in forza di vita.
Quando, anziano e cadente, attraversava il cortile a passettini di formica, quelli che lo incrociavano gli rivolgevano il solito saluto distratto: «Dove andiamo, Don Bosco?» Sorridendo, il santo rispondeva: «In Paradiso».
Quanto insisteva don Bosco su questo: il Paradiso! Faceva crescere i suoi giovani con la visione del Paradiso nel cuore e negli occhi. Tutti noi sappiamo che possiamo esser cristiani, anche convinti, ma non credere al Paradiso.
Don Bosco ci insegna ad unire il nostro aldiquà, con l’aldilà. E lo fa con la virtù della Speranza.
Portiamo in cuore questo, ed apriamo il nostro cuore alla carità, alla nostra umanità che incarna ciò in cui crediamo profondamente.
Se ricevete questo breve scritto nel mese di novembre, vivete questa speranza con i nostri Santi e con i vostri defunti, tutti uniti in una cordata che parte dal nostro quotidiano e porta all’infinito.
Come don Bosco, vivere come se vedessimo l’invisibile, nutriti dalla Speranza che è la presenza Provvidente di Dio. Solo chi è profondamente concreto, come lo era don Bosco, è in grado di vivere fissando l’invisibile.




Il nostro annuale regalo

Tradizionalmente come Famiglia Salesiana riceviamo ogni anno la Strenna; un regalo di inizio anno, ed in queste poche righe mi è caro guardare dentro a questo dono per accoglierlo come merita, senza perder nulla della freschezza del dono.

Un dono, perché prima di tutto, strenna vuol dire: ti faccio un regalo! Ti regalo una cosa importante per celebrare un tempo nuovo, un anno nuovo. Così la pensò don Bosco e la consegnò a tutti i giovani e gli adulti che stavano con lui.
Questo dono, la strenna, voglio consegnartela per l’inizio dell’anno nuovo, di un tempo nuovo.
Bello ed importante questo: un anno nuovo, un tempo nuovo è un contenitore in cui staranno tutti gli altri contenuti. L’anno che verrà non è uguale a quelli che hai vissuto fin ora, l’anno nuovo necessita uno sguardo nuovo per viverlo in pienezza; perché l’anno nuovo non tornerà! Ogni tempo è unico perché noi siamo diversi dallo scorso anno, da come eravamo l’anno scorso.
La Strenna è prepararsi a questo tempo nuovo, cominciando a guardare dentro a questo nuovo anno, mettendo in luce alcune cose che di questo anno saranno parte importante.

Il filo rosso
Il dono del tempo, della vita; nella vita il dono di Dio e tutti gli altri doni dentro: persone situazioni, occasioni, relazioni umane. Dentro questo provvidenziale modo di vedere il dono del tempo e della vita la strenna, dono che Don Bosco… e dopo di lui i suoi successori fanno ogni anno a tutta la famiglia salesiana… è uno sguardo sull’anno nuovo, sul tempo nuovo, per vederlo con occhi nuovi.
La strenna è un aiuto a vedere il tempo che verrà mettendo a fuoco un filo rosso che guida questo tempo nuovo: il filo rosso che la strenna ci dona è la Speranza. Importante anche questo! L’anno nuovo sicuramente avrà moltissime cose, ma tu non disperderti! Comincia a pensare su quanto è importante…non disperderti, raccogli!
La strenna che il nostro don Angel ci ha imbastito, come un abito nuovo, mette in luce degli eventi che tutti vivremo, e li unisce con un filo rosso, la Speranza!
Gli eventi che la strenna del 2025 mette in risalto sono eventi globali o particolari che ci coinvolgono, perché li viviamo bene:

• Il giubileo ordinario dell’anno 2025: un Giubileo è un evento di Chiesa che, nella tradizione Cattolica, il Santo Padre ci dona. Vivere il Giubileo è vivere questo pellegrinaggio che la Chiesa ci offre per rimettere al centro della nostra vita e della vita del Mondo la presenza del Cristo. Il giubileo che Papa Francesco ha un tema generatore: Spes non confundit! La Speranza non delude! Che meraviglia di tema generatore! Se di una cosa ha bisogno il Mondo in questo momento difficile è proprio la Speranza, ma non la speranza di quanto crediamo di poter fare da soli noi stessi, con il rischio che diventi una illusione. La Speranza della ri-scoperta della Presenza di Dio. Scrive Papa Francesco: “La Speranza ricolmi il cuore!” Non solo scaldi il cuore, lo riempia. Lo riempia in una misura traboccante!
• La Speranza ci rende pellegrini, il Giubileo è pellegrinaggio! Ti mette in moto dentro, altrimenti non è Giubileo. Dentro questo evento di Chiesa che ci fa sentire Chiesa noi, come Congregazione Salesiana e come Famiglia Salesiana, abbiamo un anniversario importante: nel 2025 ricorre
• il 150° della prima spedizione missionaria in Argentina
Don Bosco, a Valdocco, butta il cuore oltre ogni confine: manda i suoi figli dall’altra parte del mondo! Li manda, oltre ogni sicurezza umana, li manda quando non ha nemmeno quelli che gli servirebbero per portare avanti ciò che aveva cominciato.
Li manda e basta! Alla Speranza si obbedisce, perché la Speranza guida la Fede e mette in moto la Carità. Li manda ed i primi confratelli partono e vanno, dove nemmeno loro sapevano! Da lì siamo nati tutti noi, dalla Speranza che ci mette in cammino e ci rende pellegrini.
Questo anniversario va celebrato, come ogni anniversario, perché ci aiuta a riconoscere il Dono, (non è una tua proprietà, ti è stato dato in dono) a ricordare e a dare forza per il tempo che verrà della energia della Missione.
La Speranza fonda la Missione, perché la Speranza è una responsabilità che non puoi nascondere né tenere per te! Non tenere nascosto quanto ti è donato; riconosci il donatore e consegna con la tua vita quanto ti è stato donato alle generazioni successive! Questa è la vita della Chiesa, la vita di ciascuno di noi.
San Pietro che vedeva lungo, nella sua prima lettera scrive: “siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi chieda conto della speranza che è in voi!” (1 Pt, 3,15). Dobbiamo pensare che rispondere non sono parole, è la vita che risponde!
Con la speranza che è in te, vivi e prepari questo nuovo anno che verrà, un cammino con i giovani, con i fratelli per rinnovare il Sogno di Don Bosco ed il Sogno di Dio.

Il nostro stemma
«Sul mio labaro brilla una stella» si cantava un tempo. Sul nostro stemma oltre alla stella, campeggiano una grande ancora e un cuore infiammato.
Ecco alcune immagini semplici per cominciare a muovere il nostro cuore verso il tempo che verrà, “Ancorati nella speranza, pellegrini con giovani”. Ancorati è un termine molto forte: l’ancora è la salvezza della nave nella tempesta, fermi, forti, radicati nella Speranza!
Dentro questo tema generatore ci sarà tutta la nostra vita quotidiana: persone, situazioni, decisioni…il “micro” di ognuno di noi che si salda con il “macro” di quanto tutti insieme vivremo…consegnando a Dio il dono di questo tempo che ci è donato. Perché alla Strenna che tutti riceveremo devi aggiungere la tua parte; il tuo quotidiano che saprai illuminare con quanto abbiamo scritto e riceveremo, altrimenti non è una Speranza, non è ciò su cui si fonda la tua vita e non ti mette in “movimento” rendendoti Pellegrino.
Questo cammino lo affidiamo alla Madre del Signore, Madre della Chiesa e Ausiliatrice nostra; Pellegrina di Speranza insieme a noi.




Comunicato del Rettor Maggiore alla fine del suo mandato

Ai miei Confratelli Salesiani
Ai miei fratelli e sorelle della Famiglia Salesiana

Carissimi fratelli e sorelle,
nel giorno in cui ricordiamo la nascita del nostro Padre Don Bosco, ricevete il mio affettuoso e fraterno saluto.

Le parole che invio vi giungono a pochi minuti dal termine della solenne celebrazione eucaristica in onore di Don Bosco, che nacque, proprio qui ai Becchi, il 16 agosto 1815. Quel bambino è diventato un meraviglioso strumento dello Spirito di Dio, chiamato a dare vita a questo grande movimento che è oggi la Famiglia di Don Bosco.

Questa mattina, alla presenza del Vicario del Rettor Maggiore, di molti confratelli salesiani, della Famiglia salesiana, degli amici di Don Bosco, delle autorità civili e militari e dei 375 giovani provenienti da tutto il mondo, che hanno partecipato al Sinodo dei Giovani, ho firmato le mie dimissioni da Rettor Maggiore, come previsto dalle Costituzioni e dai Regolamenti dei Salesiani di Don Bosco. Infatti, come molti di voi sapranno, Papa Francesco mi ha chiamato ad un altro servizio per il bene della Chiesa.

Con queste parole desidero esprimere nella fede e nella speranza, a tutto il mondo salesiano, come il Signore ci ha guidati fin qui e manifestare la mia gratitudine per il tanto bene ricevuto in questi dieci anni e mezzo come Rettor Maggiore della Congregazione Salesiana e come Padre, a nome di Don Bosco, di tutta la Famiglia Salesiana.

Innanzitutto, cari fratelli e sorelle, ringrazio Dio per questi anni in cui Lui stesso ha benedetto la nostra Congregazione e la Famiglia Salesiana e dove abbiamo vissuto momenti e realtà molto diversi, perché la Congregazione è presente in 136 nazioni. Credo di poter dire che in questi dieci abbiamo affrontato tutto con uno sguardo di fede, con grande speranza e determinazione, sempre per il bene della missione e nella fedeltà al carisma che abbiamo ricevuto.

Ringrazio il Signore perché in questi anni non mi è mancata – e non ci è mancata – quella serenità e quella forza che viene da Lui. Infatti, è proprio vero ciò che il Signore risorto dice a San Paolo: «Ti basta la mia grazia» (2 Cor 12,9). È proprio così che ho vissuto personalmente e insieme al Consiglio generale il servizio di animazione e di governo a me affidato. In particolare, vorrei ringraziare i due consigli generali che mi hanno accompagnato in questi dieci anni e mezzo per la fedeltà al progetto comune, per la loro dedizione e il loro servizio.

Al termine di questo tempo alla guida della Congregazione Salesiana, esprimo un particolare ringraziamento al Vicario del Rettor Maggiore, don Stefano Martoglio, che assume il compito di guidare la Congregazione con totale dedizione e generosità. Nei prossimi mesi il lavoro e la responsabilità saranno grandi, ma la sua personalità, la sua fraternità, la sua capacità e il suo ottimismo, con l’aiuto del Signore e del Consiglio generale, faciliteranno il cammino che condurrà la Congregazione al 29° Capitolo generale.

Esprimo la mia profonda gratitudine a tutti i miei confratelli salesiani. In ogni parte del mondo mi sono sempre sentito accolto, amato e fraternamente accettato e ho trovato collaborazione e generosità. È proprio vero che i Salesiani amano e si prendono cura del Rettor Maggiore come farebbero con Don Bosco stesso – come lui stesso ci ha chiesto nel suo testamento spirituale. Grazie per questa generosità.

Desidero anche manifestare la mia gratitudine a tutti i gruppi della Famiglia Salesiana: alle nostre sorelle, le Figlie di Maria Ausiliatrice, ai Salesiani Cooperatori, all’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) – fondati dallo stesso Don Bosco – e a tutti i 32 gruppi che oggi compongono questo grande albero carismatico. Sono stati anni di crescita e di benedizione. Grazie a tutti coloro che, confidando nel Signore, hanno reso possibile tutto questo.

In questi dieci anni di servizio di animazione e di governo, nei quali ho potuto visitare le 120 nazioni in cui sono presenti la Congregazione e la Famiglia Salesiana, ho ricevuto il grande dono di incontrare giovani, ragazzi, adolescenti, bambini e bambine di ogni paese e cultura. Ho potuto “toccare con gli occhi e con il cuore”, in prima persona, come “i miracoli educativi che guariscono e trasformano le vite” continuano ad accadere ogni giorno in tante presenze salesiane e nella nostra Famiglia. Tutto questo è stato una delle mie gioie più profonde.

Ho un ultimo ringraziamento da presentare. In questi anni sono stato incoraggiato e sostenuto da un amore incondizionato: quello della mia famiglia di sangue. I miei genitori, che riposano in Dio, mi hanno accompagnato per nove anni con amore sereno, con le loro preghiere, dicendomi sempre di non preoccuparmi per loro. Loro e tutti i membri della mia famiglia sono sempre stati presenti, mi hanno sostenuto con la loro presenza, rimanendo un porto sicuro da raggiungere per non dimenticare mai le mie umili origini.

Concludo riferendomi a quanto dissi il 25 marzo 2014, quando il IX Successore di Don Bosco, Don Pascual Chavez, mi domandò, a nome del 27° Capitolo Generale che mi aveva eletto, se avrei accettato il ruolo di Rettor Maggiore.

Ricordo che, nel mio povero italiano di allora, dissi – non senza profonda emozione – che confidando nella Grazia del Signore e nella fede, con la certezza che sarei stato sempre sostenuto dai miei confratelli salesiani, poiché amo veramente i giovani che porto nel mio cuore salesiano, accettavo quanto mi veniva chiesto.

Oggi, con riconoscenza, posso affermare che, con la grazia di Dio, tutto ciò che avevo sperato è
diventato realtà.

Rivolgo un’ultima parola a nostro padre Don Bosco e all’Ausiliatrice.

Sono certo che Don Bosco in questi anni ha vegliato e sostenuto la sua Congregazione e la sua Famiglia. Non ho alcun dubbio che in tutto questo tempo si sia realizzato quello che lui stesso ci aveva assicurato: «Ha fatto tutto lei». Così è stato con Don Bosco, così è stato in questi anni e così senza dubbio continuerà ad essere.

A Lei, Madre Ausiliatrice, ci affidiamo.

Grazie di cuore, e arrivederci da questo vostro fratello che è e sarà sempre un salesiano di Don Bosco.

Con tutto il mio affetto,

Ángel Fernández Cardinale Artime
Prot. 24/0427
Colle Don Bosco, 16.08.2024

Aggiungiamo anche l’atto di cessazione ufficio.

Io, sottoscritto Ángel Fernández Cardinale Artime, Rettore Maggiore della Società di San Francesco di Sales,

– atteso che nel Concistoro del 30 settembre 2023 il Santo Padre Francesco mi ha creato e pubblicato Cardinale della Diaconia di Santa Maria Ausiliatrice in Via Tuscolana; che in data 5 marzo 2024 Egli mi ha assegnato la sede titolare di Ursona, con dignità arcivescovile, e che il 20 aprile 2024 ho ricevuto la Ordinazione Episcopale nella Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma;
– considerato che il religioso elevato all’Episcopato è soggetto soltanto al Romano Pontefice (can.705);
– tenuto conto che, a norma del can. 184 §1 CIC “l’ufficio ecclesiastico si perde con lo scadere del tempo prestabilito” e che, con decreto del 19 aprile 2024 il Santo Padre ha disposto “in via eccezionale e solo per questo caso” la prosecuzione del mio servizio come Rettore Maggiore, dopo l’ordinazione episcopale, fino al 16 agosto 2024,
con il presente atto

DICHIARO

che, essendo compiuto il tempo prestabilito dal suddetto decreto, a partire dalla data odierna cesso dall’ufficio di Rettore Maggiore della Società di San Francesco di Sales.

A norma dell’art. 143 delle Costituzioni, il Vicario Don Stefano Martoglio assume, contestualmente, ad interim il governo della Società, fino alla elezione del Rettore Maggiore che avverrà nel corso del 29° Capitolo Generale convocato in Torino dal 16 febbraio al 12 aprile 2025.

Ángel Fernández Cardinale Artime
Prot. 24/0406
Roma, 16.08.2024




Sulle ali della speranza. Messaggio del Vicario del Rettor Maggiore

Con molta semplicità, tranquillamente e in totale continuità, rimanendo nel mio servizio di Vicario nei prossimi mesi supplirò il Rettor Maggiore portando la Congregazione a Capitolo Generale, il 29°, nel febbraio 2025.

            Cari lettori del Bollettino Salesiano, mi accingo a scrivere queste righe con trepidazione perché, essendo un lettore del Bollettino Salesiano fin da quando ero bambino nella mia famiglia, ora mi trovo in una pagina diversa a dover scrivere nel primo articolo, quello riservato al Rettor Maggiore.
Lo faccio volentieri, perché questo onore mi permette di rendere grazie a Dio per il nostro don Ángel, ora Cardinale di Santa Romana Chiesa, che ha appena terminato 10 anni di prezioso servizio alla Congregazione e alla Famiglia Salesiana, dopo la sua elezione al Capitolo Generale 27° nel 2014.
            A distanza di 10 anni da quel giorno, ora è pienamente al servizio del Santo Padre, per quanto papa Francesco gli affiderà. Noi lo portiamo nel cuore e lo accompagniamo con la preghiera riconoscente, per il bene che ci ha fatto, perché il tempo non diminuisce ma rafforza la riconoscenza. La sua storia personale è un evento storico per lui, ma anche per tutti noi.
Il suo andare via, nel senso canonico per un servizio ancora più grande alla Chiesa, è un rimanere sempre con noi e dentro di noi.

In totale continuità
            E adesso come Congregazione, e per estensione come Famiglia Salesiana, come andiamo avanti?
            Con molta semplicità, tranquillamente e in totale continuità. Il Vicario del Rettor Maggiore secondo le Costituzioni Salesiane ha anche il compito di sostituire, o supplire al Rettor Maggiore in caso di necessità. Così sarà, fino al prossimo Capitolo Generale.
            Le Costituzioni Salesiane lo dicono in modo più organico e articolato, ma il concetto fondamentale è questo. Rimanendo nel mio servizio di Vicario nei prossimi mesi supplirò il Rettor Maggiore portando la Congregazione a Capitolo Generale, il 29° nel febbraio 2025.
            Questo sì è un compito impegnativo per cui vi chiedo subito preghiere e invocazione allo Spirito Santo per esser fedeli al Signore Gesù Cristo, con il cuore di don Bosco.

Mi chiamo Stefano
            Prima di passare alle cose importanti, due parole per presentarmi: io mi chiamo Stefano, son nato a Torino da una famiglia tipica della nostra terra; figlio di un papà exallievo salesiano, che ha voluto mandarmi alla stessa scuola dove era passato lui ai suoi tempi, e di una mamma maestra, anche lei exallieva di una scuola cattolica. Da loro ho ricevuto la vita e la vita di fede, semplice e concreta. Così siamo cresciuti io e mia sorella, siamo solo due.
            I miei genitori sono già in cielo, nelle mani di Dio, e si faranno dei grandi sorrisoni a vedere le cose che capitano al loro figlio… commenteranno sicuramente: dun Bosch tenje nà man sla testa! (don Bosco tienigli una mano sulla testa!)
            Salesianamente parlando son stato sempre parte dell’Ispettoria salesiana del Piemonte Valle d’Aosta, fin a quando al CG27 mi è stato chiesto di coordinare la Regione Mediterranea (tutte le realtà Salesiane intorno al Mar Mediterraneo, sui tre continenti che vi si affacciano… ma includendo anche il Portogallo ed alcune aree dell’est Europa). Un’esperienza salesiana bellissima, che mi ha trasformato, rendendomi internazionale nel modo di vedere e sentire le cose. Il CG28 ha fatto il secondo passo, chiedendomi di diventare Vicario del Rettor Maggiore, e qui siamo! 10 anni a fianco di don Ángel imparando in questi anni a sentire il cuore del mondo, per una congregazione che è veramente diffusa su tutta la terra.

Il futuro prossimo
            Il servizio di questi mesi prossimi, fino al febbraio 2025 è quindi di accompagnare la Congregazione al prossimo Capitolo Generale, che si celebrerà a Torino Valdocco dal prossimo 16 febbraio 2025.
            Cari amici, il Capitolo Generale è il momento più alto ed importante della vita della Congregazione, in cui si raduno i rappresentanti di tutte le Ispettorie della Congregazione (stiamo parlando di più di 250 confratelli) essenzialmente per tre cose: conoscersi, pregare e riflettere per “pensare il presente ed il futuro della congregazione” ed eleggere il prossimo Rettor Maggiore e tutto il suo Consiglio. Un momento quindi molto importante che il nostro don Ángel ha indirizzato nella riflessione al tema “Appassionati di Gesù Cristo e dedicati ai giovani”. Questo tema che il Rettor Maggiore ha scelto per la congregazione si articolerà in tre aspetti diversi e complementari: la centralità di Cristo nella nostra vita personale, la consacrazione religiosa; la dimensione della nostra vocazione comunitaria, nella fraternità e nella corresponsabilità laicale a cui è affidata la missione; gli aspetti istituzionali della nostra congregazione, la verifica dell’animazione e del governo nell’accompagnare la Congregazione. Tre aspetti per un unico tema generativo.
            La nostra Congregazione ha molto bisogno di vivere questo Capitolo Generale che viene dopo tante vicende che tutti ci hanno toccato. Pensate che lo scorso Capitolo Generale è stato celebrato a ridosso della Pandemia, e proprio dal Covid è stato anticipatamente chiuso.

Costruire la Speranza
            Celebrare un Capitolo Generale è celebrare la Speranza, costruire la Speranza tramite le decisioni istituzionali e personali che consentono di proseguire il “sogno” di don Bosco, di dargli presente e futuro. Ogni persona è chiamata ad esser un sogno, nel cuore di Dio, un sogno realizzato.
            Nella tradizione salesiana, c’è quella bella frase che don Bosco disse a don Rua, richiamato a Valdocco per prendere concretamente il posto di don Bosco:
            «Hai fatto don Bosco a Mirabello. Adesso lo farai qui, all’Oratorio».
            Questo è ciò che veramente conta: «Essere don Bosco oggi» ed è il dono più grande che possiamo fare a questo mondo.




Tra ammirazione e dolore

Oggi vi saluto per l’ultima volta da questa pagina del Bollettino Salesiano. Il 16 agosto, nel giorno in cui si commemora la nascita di Don Bosco, termina il mio servizio come Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco.
È sempre un motivo per ringraziare, sempre Grazie! Innanzitutto a Dio, alla Congregazione e alla Famiglia Salesiana, a tante persone care e amiche, a tanti amici del carisma di Don Bosco, i molti benefattori.

            Anche in questa occasione il mio saluto trasmette qualcosa che ho vissuto recentemente. Di qui il titolo di questo saluto: Tra ammirazione e dolore. Vi racconto la gioia che ha riempito il mio cuore a Goma, nella Repubblica Democratica del Congo, ferita da una guerra interminabile, e alla gioia e alla testimonianza che ho ricevuto ieri.
            Tre settimane fa quando, dopo aver visitato l’Uganda (nel campo profughi di Palabek che, grazie all’aiuto e al lavoro salesiano di questi anni, non è più un campo per rifugiati sudanesi ma un luogo dove decine di migliaia di persone si sono insediate e hanno trovato una nuova vita), ho attraversato il Ruanda e sono arrivato al confine nella regione di Goma, una terra meravigliosa, bella e ricca di natura (e proprio per questo così desiderata e desiderabile). Ebbene, a causa dei conflitti armati, in quella regione ci sono più di un milione di sfollati che hanno dovuto lasciare le loro case e la loro terra. Anche noi abbiamo dovuto lasciare la presenza salesiana a Sha-Sha che è stata occupata militarmente.
            Questo milione di sfollati è arrivato nella città di Goma. A Gangi, uno dei quartieri, c’è l’opera salesiana “Don Bosco”. Sono stato immensamente felice di vedere il bene che là viene fatto. Centinaia di ragazzi e ragazze hanno una casa. Decine di adolescenti sono stati tolti dalla strada e vivono nella casa di Don Bosco. Proprio lì, a causa della guerra, hanno trovato casa 82 bambini neonati e ragazzini e ragazzine che hanno perso i genitori o sono stati lasciati indietro (“abbandonati”) perché i genitori non potevano occuparsene.
            E lì, in quella nuova Valdocco, una delle tante Valdocco del mondo, una comunità di tre suore di San Salvador, insieme a un gruppo di signore, tutte sostenute dalla casa salesiana con aiuti che arrivano grazie alla generosità dei benefattori e della Provvidenza, si prendono cura di questi bambini e bambine. Quando sono andato a trovarli, le suore avevano vestito tutti a festa, anche i bambini che dormivano nelle loro culle. Come non sentire il cuore pieno di gioia per questa realtà di bontà, nonostante il dolore causato dall’abbandono e dalla guerra!
            Ma il mio cuore è stato toccato quando ho incontrato alcune centinaia di persone che sono venute a salutarmi in occasione della mia visita. Sono tra i 32.000 sfollati che hanno lasciato le loro case e la loro terra a causa delle bombe e sono venuti a cercare rifugio. Lo hanno trovato nei campi da gioco e nei terreni della casa Don Bosco di Gangi. Non hanno nulla, vivono in baracche di pochi metri quadrati. Questa è la loro realtà. Insieme cerchiamo ogni giorno un modo per trovare da mangiare. Ma sapete cosa mi ha colpito di più? La cosa che mi ha colpito di più è che quando ero con queste centinaia di persone, per lo più anziani e madri con bambini, non avevano perso la loro dignità e non avevano perso la loro gioia o il loro sorriso. Sono rimasto stupito e il mio cuore si è rattristato per tanta sofferenza e povertà, anche se stiamo facendo la nostra parte nel nome del Signore.

Un concerto straordinario
            Un’altra grande gioia ho provato quando ho ricevuto una testimonianza di vita che mi ha fatto pensare agli adolescenti e ai giovani delle nostre presenze, e a tanti figli di genitori che forse mi leggono e che sentono che i loro figli sono demotivati, annoiati dalla vita, o che non hanno passione per quasi nulla. Tra gli ospiti della nostra casa, in questi giorni, c’era una straordinaria pianista che ha girato il mondo dando concerti e che ha fatto parte di grandi orchestre filarmoniche. È un’ex allieva dei Salesiani e ha avuto un salesiano, ora scomparso, come grande riferimento e modello. Ha voluto offrirci questo concerto nell’atrio del tempio del Sacro Cuore come omaggio a Maria Ausiliatrice, che tanto ama, e come ringraziamento per tutto ciò che è stata la sua vita finora.
            E dico quest’ultimo perché la nostra cara amica ci ha regalato un concerto meraviglioso, con una qualità eccezionale a 81 anni. Era accompagnata dalla figlia. E a quell’età, forse quando alcuni dei nostri anziani in famiglia hanno già detto da tempo che non hanno più voglia di fare nulla, né di fare nulla che richieda uno sforzo, la nostra cara amica, che si esercita ogni giorno al pianoforte, muoveva le mani con un’agilità meravigliosa ed era immersa nella bellezza della musica e della sua esecuzione. La buona musica, un sorriso generoso alla fine della sua esibizione e la consegna delle orchidee alla Vergine Ausiliatrice erano tutto ciò di cui avevamo bisogno in quella meravigliosa mattinata. E il mio cuore salesiano non ha potuto fare a meno di pensare a quei ragazzi, ragazze e giovani che forse non hanno avuto o non hanno più nulla che li motivi nella loro vita. Lei, la nostra amica concertista, a 81 anni vive con grande serenità e, come mi ha detto, continua a offrire il dono che Dio le ha fatto e ogni giorno trova sempre più motivi per farlo.
            Un’altra lezione di vita e un’altra testimonianza che non lascia il cuore indifferente.

            Grazie, amici miei, grazie dal profondo del cuore per tutto il bene che stiamo facendo insieme. Per quanto piccolo possa essere, contribuisce a rendere il nostro mondo un po’ più umano e più bello. Che il buon Dio vi benedica.




Quando un educatore tocca il cuore dei suoi figli

L’arte di essere come don Bosco: «Ricordatevi che l’educazione è cosa di cuore, e che Dio solo ne è il padrone, e noi non potremo riuscire a cosa alcuna, se Dio non ce ne insegna l’arte, e non ce ne dà in mano le chiavi». (MB XVI, 447)

Cari amici, lettori del Bollettino Salesiano e amici del carisma di Don Bosco. Vi scrivo questo saluto, direi quasi in diretta, prima che questo numero vada in stampa.
Dico questo perché la scena che sto per raccontarvi è accaduta solo quattro ore fa.
Sono arrivato da poco a Lubumbashi. Da dieci giorni sto visitando presenze salesiane molto significative, come gli sfollati e i rifugiati di Palabek – oggi in condizioni molto più umane di quando sono arrivati da noi, grazie a Dio – e dall’Uganda sono passato nella Repubblica Democratica del Congo, nella torturata e crocifissa regione di Goma.
Le presenze salesiane lì sono piene di vita. Più volte ho detto che il mio cuore era “toccato” (touché), cioè commosso nel vedere il bene che si fa, nel vedere che c’è una presenza di Dio anche nella più grande povertà. Ma il mio cuore è stato toccato dal dolore e dalla tristezza quando ho incontrato alcune delle 32.000 persone (per lo più anziani, donne e bambini) che sono ospitate nei terreni della presenza salesiana di Don Bosco-Gangi.
Ma di questo vi parlerò la prossima volta, perché ho bisogno di lasciarlo riposare nel mio cuore.

Il “papà” degli scugnizzi di Goma
Ora voglio solo accennare a una bellissima scena a cui ho assistito sul volo che ci ha portato a Lubumbashi.
Era un volo extra commerciale con un aereo di medie dimensioni. Ma il comandante era una persona familiare, non a me, ma ai salesiani locali. Quando ho salutato il comandante sull’aereo, mi ha detto che aveva studiato formazione professionale nella nostra scuola qui a Goma. Mi ha detto che quelli erano stati anni che avevano cambiato la sua vita, ma ha aggiunto un’altra cosa, dicendomi e dicendoci: ed ecco colui che è stato un “papà” per noi.
Nella cultura africana, quando si dice che qualcuno è un papà, si dice una cosa estrema. E non di rado il papà non è la persona che ha generato quel figlio o quella figlia, ma colui che lo ha realmente accudito, sostenuto e accompagnato.
A chi si riferiva il comandante, un uomo di circa 45 anni, con il figlio pilota ormai giovane che lo accompagnava in volo? Si riferiva al nostro fratello salesiano coadiutore (cioè non sacerdote ma laico consacrato, un capolavoro del carisma salesiano).
Questo salesiano, Fratel Onorato, missionario spagnolo, è missionario nella regione di Goma da più di 40 anni. Ha fatto di tutto per rendere possibile questa scuola professionale e molte altre cose, certamente insieme ad altri salesiani. Ha conosciuto il comandante e alcuni suoi amici quando erano solo ragazzi sperduti del quartiere (cioè tra centinaia e centinaia di ragazzi). Anzi, il comandante mi ha raccontato che quattro dei suoi compagni, che in quegli anni erano praticamente per strada, sono riusciti a studiare meccanica nella casa di Don Bosco e oggi sono ingegneri e si occupano della manutenzione meccanica e tecnica dei piccoli aerei della loro compagnia.

Il «sacramento» salesiano
Ebbene, quando ho sentito il comandante, ex allievo salesiano, dire che Onorato era stato suo padre, il padre di tutti loro, mi sono commosso profondamente e ho subito pensato a don Bosco, che i suoi ragazzi sentivano e consideravano come loro padre.
Nelle lettere di don Rua e Monsignor Cagliero, don Bosco è sempre chiamato “papà”. La sera del 7 dicembre 1887, quando la salute di don Bosco peggiorò, don Rua telegrafò semplicemente a Monsignor Cagliero: «Papà è in stato allarmante». Un antico canto terminava: «Viva don Bosco nostro papà!»
E ho pensato quanto sia vero che l’educazione è una questione di cuore. E ho confermato tra le mie convinzioni che la presenza tra i ragazzi, le ragazze e i giovani è per noi quasi un “sacramento” attraverso il quale anche noi arriviamo a Dio. È per questo che negli anni ho parlato con tanta passione e convinzione ai miei fratelli e sorelle salesiani e alla famiglia salesiana del “sacramento” salesiano della presenza.
E so che nel mondo salesiano, nella nostra famiglia in tutto il mondo, tra i nostri fratelli e sorelle ci sono tanti “papà” e tante “mamme” che, con la loro presenza e il loro affetto, con la loro conoscenza dell’educazione, raggiungono il cuore dei giovani, che oggi hanno tanto bisogno, direi sempre di più, di queste presenze che possono cambiare in meglio una vita.

Un saluto dall’Africa e tutte le benedizioni del Signore agli amici del carisma salesiano.
Dio vi benedica tutti.




Maria Ausiliatrice, da qui al mondo

            Amici, lettori del Bollettino Salesiano, ricevete il mio affettuoso e cordiale saluto in questo tempo di Pasqua. In un mondo travagliato, scosso da guerre e non poca violenza, continuiamo a dichiarare, annunciare e proclamare che Gesù è il Signore, risorto dal Padre e che VIVE. E abbiamo fortemente bisogno della sua Presenza in cuori pronti ad accoglierlo.
            Allo stesso tempo, ho potuto vedere il contenuto del Bollettino di questo mese, sempre ricco e pieno di vita salesiana, di cui sono grato a coloro che lo realizzano. E mentre leggevo le pagine, prima di scrivere il mio saluto, mi sono imbattuto nella presentazione di tanti luoghi salesiani nel mondo dove è arrivata Maria Ausiliatrice.
Devo confessare che quando ci si trova a Valdocco, all’interno della magnifica Basilica di Maria Ausiliatrice, in questo luogo santo dove tutto parla della presenza di Dio, della protezione materna della Madre e di Don Bosco, non riuscivo a immaginare come si fosse avverato l’annuncio dell’Ausiliatrice a Don Bosco, dicendo che da qui, da questo tempio mariano, la sua gloria si sarebbe diffusa nel mondo. E così è.
            Nel servizio di questi dieci anni come Rettor Maggiore ho incontrato centinaia di presenze salesiane nel mondo dove la Madre era presente. E ancora una volta vorrei raccontarvi la mia ultima esperienza. È stato durante la mia ultima visita alle presenze salesiane tra il popolo Xavante che ho potuto “toccare con mano” la Provvidenza di Dio e il bene che continua a essere fatto e che continuiamo a fare tra tutti noi.
Ho potuto visitare diversi villaggi e città nello Stato del Mato Grosso. Sono stato a San Marcos, al villaggio di Fatima, a Sangradouro, e intorno a questi tre grandi centri ne abbiamo visitati altri, tra cui il luogo dove è avvenuto il primo insediamento con il popolo Xavante, un popolo che era ferito dalle malattie e in pericolo di estinzione, e che grazie all’aiuto di quei missionari, alle loro medicine e a decine di anni di presenza affettuosa in mezzo a loro, è stato possibile raggiungere la realtà di oggi con più di 23.000 membri del popolo Xavante. Questa è la Provvidenza, l’annuncio del Vangelo e allo stesso tempo il viaggio con un popolo e la sua cultura, conservati oggi come mai prima.
            Ho avuto l’opportunità di parlare con diverse autorità civili. Sono stato grato per tutto ciò che possiamo fare insieme per il bene di questo popolo e degli altri. E allo stesso tempo mi sono permesso di ricordare con semplicità ma con onestà e legittimo orgoglio che chi accompagna questo popolo da 130 anni, come ha fatto in questo caso la Chiesa attraverso i figli e le figlie di Don Bosco, è degno di uno sguardo rispettoso, e di ascoltare la sua parola.
Abbiamo fatto tutto il possibile per unirci alle voci che chiedono terra per questi coloni. La difesa della loro terra e della fede vissuta con questi popoli (in questo caso con i Boi-Bororo) è stata la causa del martirio del salesiano Rodolfo Lunkenbein e dell’indiano Simao a Meruri.
            Percorrendo centinaia di chilometri di strada, sono stato felice di vedere tanti cartelli che annunciavano: “Territorio de Reserva Indígena” (Territorio di Riserva Indigena). E ho pensato che questa fosse la migliore garanzia di pace e prosperità per questo popolo.
E cosa c’entra quello che sto descrivendo con Maria Auxiliadora? Semplicemente tutto, perché è difficile immaginare un secolo di presenza salesiana (sdb e fma) tra gli indigeni Xavantes e non aver trasmesso l’amore per la madre di nostro Signore, e madre nostra.

L’Ausiliatrice nella giungla
            A San Marcos, tutti o quasi gli abitanti del villaggio, insieme ai nostri ospiti, hanno concluso il giorno del nostro arrivo con una processione e la recita del santo rosario. L’immagine della Vergine era illuminata nel cuore della notte in mezzo alla giungla. Anziani, adulti, giovani e molte madri che portavano i bambini addormentati in una cesta sulle spalle erano in pellegrinaggio. Abbiamo fatto diverse soste in diversi quartieri del villaggio. Senza dubbio la Madre in quel momento, e senza dubbio in molti altri, stava attraversando il villaggio di San Marcos e benedicendo i suoi figli e figlie indigeni.
            Non posso sapere se Don Bosco abbia sognato questa scena della Vergine in mezzo al villaggio di Xavante. Ma non c’è dubbio che nel suo cuore c’era questo desiderio, con questo popolo e con molti altri, sia in Patagonia, sia in Amazzonia, sia sul fiume Paraguay…
E quel desiderio e quel sogno missionario si sta realizzando in Amazzonia da 130 anni. Come ho scritto nel commento alla Strenna, la dimensione femminile-materna-mariana è forse una delle dimensioni più impegnative del sogno di don Bosco. È Gesù stesso che gli da una maestra, che è sua Madre, e che «il suo nome deve chiederlo a Lei»; Giovannino deve lavorare “con i suoi figli”, e sarà “Lei” che si occuperà della continuità del sogno nella vita, che lo prenderà per mano fino alla fine dei suoi giorni, fino al momento in cui capirà veramente tutto.
C’è un’enorme intenzionalità nel voler dire che, nel carisma salesiano a favore dei ragazzi più poveri, deprivati e privi di affetti, la dimensione del trattare con “dolcezza”, con mitezza e carità, così come la dimensione “mariana”, sono elementi imprescindibili per chi vuole vivere questo carisma. Senza Maria di Nazareth parleremmo di un altro carisma, non del carisma salesiano, né dei figli e delle figlie di Don Bosco.
            In questa festa di Maria Ausiliatrice, il 24 maggio, in momenti diversi, Maria Ausiliatrice sarà presente nei cuori dei suoi figli e delle sue figlie in tutto il mondo, sia a Taiwan e a Timor Est, sia in India, sia a Nairobi (Kenya), sia a Valdocco, sia in Amazzonia e nel piccolo villaggio di San Marcos, che non è nulla per il mondo ma è un mondo intero per questo popolo che ha conosciuto l’Ausiliatrice.
            Buon mese di Maria. Buona festa dell’Ausiliatrice a tutti, da Valdocco al mondo intero.