Casa Salesiana di Castel Gandolfo

Tra le colline verdi dei Castelli Romani e le acque tranquille del Lago Albano, sorge un luogo dove storia, natura e spiritualità si incontrano in modo singolare: Castel Gandolfo. In questo contesto ricco di memoria imperiale, fede cristiana e bellezza paesaggistica, la presenza salesiana rappresenta un punto fermo di accoglienza, formazione e vita pastorale. La Casa Salesiana, con la sua attività parrocchiale, educativa e culturale, continua la missione di san Giovanni Bosco, offrendo ai fedeli e ai visitatori un’esperienza di Chiesa viva e aperta, immersa in un ambiente che invita alla contemplazione e alla fraternità. È una comunità che, da quasi un secolo, cammina al servizio del Vangelo nel cuore stesso della tradizione cattolica.

Un luogo benedetto dalla storia e dalla natura
Castel Gandolfo è un gioiello dei Castelli Romani, situato a circa 25 km da Roma, immerso nella bellezza naturale dei Colli Albani e affacciato sul suggestivo Lago Albano. A circa 426 metri di altitudine, questo luogo si distingue per il suo clima mite e accogliente, un microclima che sembra preparato dalla Provvidenza per accogliere chi cerca ristoro, bellezza e silenzio.

Già in epoca romana questo territorio era parte dell’Albanum Caesaris, un’antica tenuta imperiale frequentata dagli imperatori sin dai tempi di Augusto. Fu però l’imperatore Tiberio il primo a risiedervi stabilmente, mentre più tardi Domiziano vi fece costruire una splendida villa, i cui resti sono oggi visibili nei giardini pontifici. La storia cristiana del luogo ha inizio con la donazione di Costantino alla Chiesa di Albano: un gesto che segna simbolicamente il passaggio dalla gloria imperiale alla luce del Vangelo.

Il nome Castel Gandolfo deriva dal latino Castrum Gandulphi, il castello costruito dalla famiglia Gandolfi nel XII secolo. Quando nel 1596 il castello passò alla Santa Sede, diventò residenza estiva dei Pontefici, e il legame tra questo luogo e il ministero del Successore di Pietro si fece profondo e duraturo.

La Specola Vaticana: contemplare il cielo, lodare il Creatore
Di particolare rilievo spirituale è la Specola Vaticana, fondata da papa Leone XIII nel 1891 e trasferita negli anni ’30 a Castel Gandolfo a causa dell’inquinamento luminoso di Roma. Essa testimonia come anche la scienza, quando orientata al vero, conduca a lodare il Creatore.
Nel corso degli anni, la Specola ha contribuito a progetti astronomici di grande rilievo come la Carte du Ciel e alla scoperta di numerosi oggetti celesti.

Con l’ulteriore peggioramento delle condizioni di osservazione anche nei Castelli Romani, negli anni Ottanta l’attività scientifica si spostò principalmente presso il Mount Graham Observatory in Arizona (USA), dove il Vatican Observatory Research Group prosegue le ricerche astrofisiche. Castel Gandolfo resta però un importante centro di studi: dal 1986 ospita ogni due anni la Vatican Observatory Summer School, dedicata a studenti e laureati in astronomia di tutto il mondo. La Specola organizza anche convegni specialistici, eventi divulgativi, mostre di meteoriti e presentazioni di materiali storici e artistici a tema astronomico, tutto in uno spirito di ricerca, dialogo e contemplazione del mistero della creazione.

Una chiesa nel cuore della città e della fede
Nel XVII secolo, papa Alessandro VII affidò a Gian Lorenzo Bernini la costruzione di una cappella palatina per i dipendenti delle Ville Pontificie. Il progetto, concepito inizialmente in onore di san Nicola di Bari, fu dedicato infine a san Tommaso da Villanova, agostiniano canonizzato nel 1658. La chiesa fu consacrata nel 1661 e affidata agli Agostiniani, che la ressero fino al 1929. Con la firma dei Patti Lateranensi, papa Pio XI affidò agli stessi Agostiniani la cura pastorale della nuova Pontificia Parrocchia di Sant’Anna in Vaticano, mentre la chiesa di San Tommaso da Villanova venne successivamente affidata ai Salesiani.

La bellezza architettonica di questa chiesa, frutto del genio barocco, è al servizio della fede e dell’incontro tra Dio e l’uomo: vi si celebrano oggi numerosi matrimoni, battesimi e liturgie, richiamando fedeli da ogni parte del mondo.

La casa salesiana
I Salesiani sono presenti a Castel Gandolfo dal 1929. In quegli anni il borgo conobbe un notevole sviluppo, sia demografico che turistico, ulteriormente anche grazie all’inizio delle celebrazioni papali nella chiesa di San Tommaso da Villanova. Ogni anno, nella solennità dell’Assunta, il papa celebrava la Santa Messa nella parrocchia pontificia, una tradizione iniziata da san Giovanni XXIII il 15 agosto 1959, quando uscì a piedi dal Palazzo Pontificio per celebrare l’Eucaristia tra la gente. Questa consuetudine si è mantenuta fino al pontificato di papa Francesco, che ha interrotto i soggiorni estivi a Castel Gandolfo. Nel 2016, infatti, l’intero complesso delle Ville Pontificie è stato trasformato in museo e aperto al pubblico.

La casa salesiana ha fatto parte dell’Ispettoria Romana e, dal 2009 al 2021, della Circoscrizione Salesiana Italia Centrale. Dal 2021 è passata sotto la diretta responsabilità della Sede Centrale, con direttore e comunità nominati dal Rettor Maggiore. Attualmente i salesiani presenti provengono da diverse nazioni (Brasile, India, Italia, Polonia) e sono attivi nella parrocchia, nelle cappellanie e nell’oratorio.

Gli spazi pastorali, pur appartenendo allo Stato della Città del Vaticano e quindi considerati zone extraterritoriali, fanno parte della diocesi di Albano, alla cui vita pastorale i Salesiani partecipano attivamente. Sono coinvolti nella catechesi diocesana per adulti, nell’insegnamento presso la scuola teologica diocesana, e nel Consiglio Presbiterale come rappresentanti della vita consacrata.

Oltre alla parrocchia di San Tommaso da Villanova, i Salesiani gestiscono anche due altre chiese: Maria Ausiliatrice (detta anche “San Paolo”, dal nome del quartiere) e Madonna del Lago, voluta da san Paolo VI. Entrambe furono costruite tra gli anni Sessanta e Settanta per rispondere alle esigenze pastorali della crescente popolazione.

La chiesa parrocchiale progettata da Bernini è oggi meta di numerosi matrimoni e battesimi celebrati da fedeli provenienti da tutto il mondo. Ogni anno, con le dovute autorizzazioni, vi si tengono decine, talvolta centinaia, di celebrazioni.

Il parroco, oltre a guidare la comunità parrocchiale, è anche cappellano delle Ville Pontificie e accompagna spiritualmente i dipendenti vaticani che vi lavorano.

L’oratorio, attualmente gestito da laici, vede il coinvolgimento diretto dei Salesiani, specialmente nella catechesi. In occasione di fine settimana, feste e attività estive come l’Estate Ragazzi, vi collaborano anche studenti salesiani residenti a Roma, offrendo un prezioso supporto. Presso la chiesa di Maria Ausiliatrice esiste anche un teatro attivo, con gruppi parrocchiali che organizzano spettacoli, luogo di incontro, cultura e evangelizzazione.

Vita pastorale e tradizioni
La vita pastorale è scandita dalle principali feste dell’anno: san Giovanni Bosco a gennaio, Maria Ausiliatrice a maggio con una processione nel quartiere di San Paolo, la festa della Madonna del Lago – e quindi la festa del Lago – l’ultimo sabato di agosto, con la statua portata in processione su una barca sul lago. Quest’ultima celebrazione sta coinvolgendo sempre più anche le comunità dei dintorni, attirando numerosi partecipanti, tra cui molti motociclisti, con cui sono stati avviati momenti di incontro.

Il primo sabato di settembre si celebra la festa patronale di Castel Gandolfo in onore di san Sebastiano, con una grande processione cittadina. La devozione a san Sebastiano risale al 1867, quando la città fu risparmiata da un’epidemia che colpì duramente i paesi vicini. Sebbene la memoria liturgica cada il 20 gennaio, la festa locale viene celebrata a settembre, sia in ricordo della protezione ottenuta che per ragioni climatiche e pratiche.

L’8 settembre si celebra il patrono della chiesa, san Tommaso da Villanova, in coincidenza con la Natività della Beata Vergine Maria. In questa occasione si tiene anche la festa delle famiglie, rivolta alle coppie che si sono sposate nella chiesa di Bernini: sono invitate a tornare per una celebrazione comunitaria, una processione e un momento conviviale. L’iniziativa ha avuto ottimi riscontri e si sta consolidando nel tempo.

Una curiosità: la buca delle lettere
Accanto all’ingresso della casa salesiana si trova una casella postale, nota come “Buca delle corrispondenze”, considerata la più antica ancora in uso. Risale infatti al 1820, vent’anni prima dell’introduzione del primo francobollo al mondo, il famoso Penny Black (1840). È una cassetta ufficiale delle Poste Italiane tuttora attiva, ma anche un simbolo eloquente: un invito alla comunicazione, al dialogo, all’apertura del cuore. Il ritorno del papa Leone XIV alla sua sede estiva, sicuramente lo aumenterà.

Castel Gandolfo resta un luogo dove il Creatore parla attraverso la bellezza del creato, la Parola proclamata e la testimonianza di una comunità salesiana che, nella semplicità dello stile di Don Bosco, continua a offrire accoglienza, formazione, liturgia e fraternità, ricordando a coloro che si avvicinano a queste terre in cerca di pace e serenità che la vera pace e serenità si trova solo in Dio e nella sua grazia.




Visita alla Basilica del Sacro Cuore di Gesù a Roma (anche in 3D)

La Basilica del Sacro Cuore di Gesù di Roma è una chiesa di rilievo per la città, situata nel rione Castro Pretorio, in via Marsala, dall’altra parte della strada della Stazione Termini. Essa è sede parrocchiale e anche titolo cardinalizio, avendo accanto la Sede Centrale della Congregazione Salesiana. Celebra la sua festa patronale proprio nella solennità del Sacro Cuore. La sua posizione nei pressi di Termini ne fa un punto visibile e riconoscibile per chi arriva in città, con la statua dorata sul campanile che si staglia nell’orizzonte come simbolo di benedizione per residenti e viaggiatori.

Origini e storia
L’idea di edificare una chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù risale a papa Pio IX, che nel 1870 pose la prima pietra di un edificio, inizialmente voluto in onore di san Giuseppe: tuttavia, già nel 1871 il pontefice decise di dedicare la nuova chiesa al Sacro Cuore di Gesù. Fu la seconda grande chiesa dedicata al Sacro Cuore di Gesù dopo quella di Lisbona, Portogallo, iniziata nel 1779 e consacrata nel 1789 e prima della famosa Sacré-Cœur di Montmartre, Parigi, Francia, iniziata nel 1875 e consacrata nel 1919.
Il cantiere fu avviato in condizioni difficili: con l’annessione di Roma al Regno d’Italia (1870), i lavori si interrompono per mancanza di fondi. Fu solo grazie all’intervento di san Giovanni Bosco, su invito del pontefice, che la costruzione poté riprendere definitivamente nel 1880, grazie alla sua sacrificata fatica di raccogliere offerte in Europa e far convergere risorse per il completamento dell’edificio. L’architetto incaricato fu Francesco Vespignani, già “Architetto dei Sacri Palazzi” sotto Leone XIII, che portò a termine il progetto. La consacrazione avvenne il 14 maggio 1887, suggellando la fine della prima fase costruttiva.

La chiesa, fin dalla sua edificazione, ha assunto una funzione parrocchiale: la parrocchia del Sacro Cuore di Gesù a Castro Pretorio fu istituita il 2 febbraio 1879 con decreto vicariale “Postremis hisce temporibus”. Successivamente, papa Benedetto XV la elevò alla dignità di basilica minore l’11 febbraio 1921, con la lettera apostolica “Pia societas”. In epoca più recente, il 5 febbraio 1965 papa Paolo VI istituì il titolo cardinalizio del Sacro Cuore di Gesù a Castro Pretorio. Tra i cardinali titolari ricordiamo Maximilien de Fürstenberg (1967–1988), Giovanni Saldarini (1991–2011) e Giuseppe Versaldi (dal 2012 fino ad oggi). Il titolo cardinalizio rafforza il legame della basilica con la Curia papale, contribuendo a mantenere viva l’attenzione sull’importanza del culto al Sacro Cuore e sulla spiritualità salesiana.

Architettura
La facciata si presenta in stile neorinascimentale, con linee sobrie e proporzioni equilibrate, tipiche della ripresa rinascimentale nell’architettura ecclesiastica tardo-ottocentesca. Il campanile, concepito nel progetto originale di Vespignani, rimase incompleto fino al 1931, quando fu posta in cima l’imponente statua dorata del Sacro Cuore benedicente, donata dagli ex allievi salesiani in Argentina: visibile da larga distanza, essa costituisce un segno identificativo della basilica e un simbolo di accoglienza per chi arriva a Roma attraverso la stazione ferroviaria vicina.

L’interno si articola secondo una pianta a croce latina con tre navate, separate da otto colonne e due pilastri di granito grigio che reggono archi a tutto sesto, e comprendente transetto e cupola centrale. La navata centrale e le navate laterali sono coperte da soffitto a cassettoni, con lacunari decorati nel registro centrale. Le proporzioni interne sono armoniose: la larghezza della navata centrale di circa 14 metri e la lunghezza di 70 metri creano un effetto di ampiezza solenne, mentre le colonne in granito, dalle venature marcate, conferiscono un carattere di solida maestosità.
La cupola centrale, visibile dall’interno con i suoi affreschi e lacunari, richiama la luce naturale attraverso finestre alla base e conferisce verticalità allo spazio liturgico. Nelle cappelle laterali si conservano dipinti del pittore romano Andrea Cherubini, che ha realizzato scene devozionali in sintonia con la dedicazione al Sacro Cuore.
Oltre ai dipinti di Andrea Cherubini, la basilica conserva varie opere d’arte sacra: statue lignee o in marmo che raffigurano la Vergine, i Santi patroni della Congregazione Salesiana e figure carismatiche come san Giovanni Bosco.

Gli ambienti di san Giovanni Bosco a Roma
Un elemento di grande valore storico e devozionale è costituito dalle “Camerette di Don Bosco” sul retro della basilica, ambiente dove san Giovanni Bosco soggiornò le nove delle venti volte che fu presente a Roma. Originariamente due stanze separate – studio e camera da letto con altare portatile –, furono poi unite per ospitare pellegrini e gruppi in preghiera, costituendo luogo di memoria viva della presenza del fondatore dei Salesiani. Qui sono conservati oggetti personali e reliquie che richiamano miracoli attribuiti al santo in quel periodo. Questo spazio è stato rinnovato recentemente e continua ad attirare pellegrini, stimolando riflessioni sulla spiritualità e la dedizione di Bosco verso i giovani.
La basilica e gli edifici annessi sono di proprietà della Congregazione Salesiana, che ne ha fatto uno dei centri nevralgici per la propria presenza romana: fin dal soggiorno di don Bosco, l’edificio accanto alla chiesa ospitava la casa dei Salesiani e successivamente divenne sede di scuole, oratori, e servizi per i giovani. Oggi la struttura accoglie, oltre alle attività liturgiche, un significativo lavoro rivolto a migranti e giovani in difficoltà. Dal 2017, il complesso è anche la Sede Centrale del governo della Congregazione Salesiana.

Devozione al Sacro Cuore e celebrazioni liturgiche
La dedicazione al Sacro Cuore di Gesù si traduce in pratiche devozionali specifiche: la festa liturgica del Sacro Cuore, celebrata il venerdì successivo alla ottava di Corpus Domini, viene vissuta con solennità nella basilica, con novene, celebrazioni eucaristiche, adorazione eucaristica e processione. La pietà popolare attorno al Sacro Cuore – diffusa soprattutto dal XIX secolo con l’approvazione della devozione da parte di Pio IX e Leone XIII – trova in questo luogo un punto di riferimento a Roma, attirando fedeli per preghiere di riparazione, affidamento e ringraziamento.

Per il Giubileo del 2025, alla Basilica del Sacro Cuore di Gesù gli è stato conferito il privilegio dell’indulgenza plenare, come a tutte le altre chiese dell’Iter Europaeum.
Ricordiamo che per celebrare il 50° anniversario delle relazioni diplomatiche tra l’Unione Europea e la Santa Sede (1970-2020), è stato realizzato un progetto della Delegazione dell’Unione Europea presso la Santa Sede e le 28 Ambasciate dei singoli Stati membri accreditate presso la Santa Sede. Questo progetto consisteva in un percorso liturgico e culturale in cui ogni Paese indicasse una chiesa o basilica di Roma a cui è particolarmente legato per motivi storici, artistici o di tradizione di accoglienza dei pellegrini provenienti da quel Paese. L’obiettivo primario era duplice: da un lato, favorire la conoscenza reciproca tra cittadini europei e stimolare una riflessione sulle radici cristiane comuni; dall’altro, offrire a pellegrini e visitatori uno strumento di scoperta di spazi religiosi meno noti o con significati particolari, facendo emergere le connessioni della Chiesa con l’intera Europa. Allargando la prospettiva, l’iniziativa è stata poi riproposta nell’ambito dei cammini giubilari legati al Giubileo di Roma 2025, con il nome latino “Iter Europaeum”, inserendo il percorso tra i cammini ufficiali della Città Santa.
L’Iter Europaeum prevede fermate presso le 28 chiese e basiliche di Roma, ciascuna “adottata” da uno Stato membro dell’Unione Europea. La Basilica del Sacro Cuore di Gesù è stata “adottata” da Lussemburgo. Le chiese dell’Iter Europaeum si possono vedere QUI.

Visita alla Basilica
La Basilica si può visitare fisicamente, ma anche virtualmente.

Per una visita virtuale in 3D fatte click QUI.

Per una visita virtuale guidata potete seguire i seguenti collegamenti:

1. Introduzione
2. La storia
3. Facciata
4. Campanile
5. Navata centrale
6. Parete interna della facciata
7. Pavimento
8. Colonne
9. Pareti della navata centrale
10. Soffitto 1
11. Soffitto 2
12. Transetto
13. Vetrate del transetto
14. Altare maggiore
15. Presbiterio
16. Cupola
17. Coro Don Bosco
18. Navate laterali
19. Confessionali
20. Altari della navata laterale destra
21. Affreschi delle navate laterali
22. Cupolini della navata sinistra
23. Battistero
24. Altari della navata laterale sinistra
25. Affreschi cupolini della navata sinistra
26. Sacrestia
27. “Camerette” di Don Bosco (versione precedente)
28. Museo di Don Bosco (versione precedente)

La Basilica del Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio è un esempio di architettura neorinascimentale legata a vicende storiche segnate da crisi e rinascite. La combinazione di elementi artistici, architettonici e storici – dalle colonne di granito alle decorazioni pittoriche, dalla celebre statua sul campanile alle Camerette di don Bosco – rende questo luogo una meta di pellegrinaggio spirituale e culturale. La sua collocazione nei pressi della Stazione Termini lo rende un segno di accoglienza per chi giunge a Roma, mentre le attività pastorali rivolte ai giovani continuano a incarnare lo spirito di san Giovanni Bosco: un cuore aperto al servizio, alla formazione e alla spiritualità incarnata. Da visitare.




La nuova Sede Centrale dei Salesiani. Roma, Sacro Cuore

Oggi la vocazione originaria della casa del Sacro Cuore vede un nuovo inizio. Tradizione e innovazione continuano a caratterizzare il passato, il presente e il futuro di quest’opera così significativa.

            Quante volte don Bosco ha desiderato venire a Roma per aprire una casa salesiana. Fin dal primo viaggio del 1858 il suo obiettivo era di essere presente nella Città Eterna con una presenza educativa. Per venti volte è venuto a Roma e solo nell’ultimo viaggio del 1887 è riuscito a realizzare il suo sogno aprendo la casa del Sacro Cuore al Castro Pretorio.
            L’Opera salesiana è collocata nel quartiere Esquilino, nato nel 1875, dopo la breccia di Porta Pia e l’esigenza da parte dei Savoia di costruire nella nuova capitale i ministeri del Regno d’Italia. Il quartiere, chiamato anche Umbertino, è di architettura piemontese, tutte le vie portano il nome di battaglie o eventi legati allo stato sabaudo. Non poteva mancare in questo luogo, che richiama Torino, un Tempio, che fosse anche parrocchia, costruito da un piemontese, don Giovanni Bosco. Il nome della Chiesa non lo sceglie don Bosco, ma è una volontà di Leone XIII per rilanciare una devozione, quanto mai attuale, al Cuore di Gesù.
            Oggi la casa del Sacro Cuore è completamente rinnovata per rispondere alle esigenze della Sede Centrale dei Salesiani. Dal momento della sua fondazione fino ad oggi la casa ha subito diverse trasformazioni. L’Opera nasce come Parrocchia e Tempio Internazionale per la diffusione della devozione al Sacro Cuore, fin dall’inizio l’obiettivo dichiarato da don Bosco era costruire a fianco un Ospizio per ospitare fino a 500 ragazzi poveri. Don Rua porta a termine l’Opera e apre dei laboratori per artigiani (scuola arti e mestieri). Negli anni successivi vengono aperte la scuola media e il liceo classico. Per alcuni anni è stata anche la sede dell’università (Pontificio Ateneo Salesiano) e una casa di formazione per salesiani che studiavano nelle università romane e si impegnavano nella scuola e nell’oratorio (tra questi studenti si annovera anche don Quadrio). È stata inoltre sede ispettoriale dell’Ispettoria Romana prima e della Circoscrizione dell’Italia Centrale a partire dal 2008. Dal 2017, a causa dello spostamento da via della Pisana, è diventata la Sede Centrale dei Salesiani. Dal 2022 è iniziata la ristrutturazione per adeguare gli ambienti alla funzione di casa del Rettor Maggiore. In questa casa sono vissuti o passati: don Bosco, don Rua, il cardinale Cagliero (il suo appartamento era collocato al primo piano di via Marsala), Zeffirino Namuncurà, monsignor Versiglia, Artemide Zatti, tutti i Rettori Maggiori successori di don Bosco, san Giovanni Paolo II, santa Teresa di Calcutta, papa Francesco. Tra i direttori della casa ha svolto il suo servizio monsignor Giuseppe Cognata (durante il suo rettorato, nel 1930, è stata collocata la statua del Sacro Cuore sul campanile).
            Grazie al Sacro Cuore il carisma salesiano si è diffuso in vari quartieri di Roma; infatti, tutte le altre presenze salesiane di Roma sono state una gemmazione di questa casa: il Testaccio, il Pio XI, il Borgo Ragazzi don Bosco, il Don Bosco Cinecittà, il Gerini, l’Università Pontificia Salesiana.

Crocevia di accoglienza
            I tratti determinanti la Casa del Sacro Cuore sono, fin dagli inizi, due:
            1) la cattolicità in quanto aprire una casa a Roma ha sempre significato per i fondatori degli ordini religiosi una vicinanza al Papa e un ampliamento degli orizzonti a livello universale. Nella prima conferenza ai cooperatori salesiani presso il monastero di Tor De’ Specchi di Roma nel 1874 don Bosco afferma che i salesiani si sarebbero sparsi in tutto il mondo e aiutare le loro opere significava vivere il più autentico spirito cattolico;
            2) l’attenzione ai giovani poveri: la collocazione vicino alla stazione, crocevia di arrivi e partenze, luogo dove si sono sempre raccolti i più poveri, è iscritto nella storia del Sacro Cuore.
            Agli inizi l’Ospizio ospitava i ragazzi poveri per insegnare loro un mestiere, successivamente l’oratorio ha raccolto i ragazzi del quartiere; dopo la guerra gli sciuscià (ragazzi che lucidavano le scarpe alle persone che uscivano dalla stazione) sono stati raccolti e curati prima in questa casa e poi si sono trasferiti al Borgo Ragazzi don Bosco; a metà degli anni ’80 con la prima immigrazione in Italia sono stati ospitati dei giovani immigrati in collaborazione con la nascente Caritas; negli anni ’90 un Centro Diurno raccoglieva ragazzi in alternativa al carcere e insegnava loro i rudimenti della lettura e scrittura e un mestiere; dal 2009 un progetto di integrazione tra giovani rifugiati e giovani italiani ha visto fiorire tante iniziative di accoglienza e di evangelizzazione. La Casa del Sacro Cuore per circa 30 anni è stata anche sede del Centro Nazionale Opere Salesiane d’Italia.

Il nuovo inizio
            Oggi la vocazione originaria della casa del Sacro Cuore vede un nuovo inizio. Tradizione e innovazione continuano a caratterizzare il passato, il presente e il futuro di quest’opera così significativa.
            Innanzitutto, la presenza del Rettor Maggiore con il suo consiglio e dei confratelli che si occupano della dimensione mondiale indica il continuum della cattolicità. Una vocazione all’accoglienza di tanti salesiani che vengono da tutto il mondo e trovano al Sacro Cuore un luogo per sentirsi a casa, sperimentare la fraternità, incontrarsi con il successore di don Bosco. Nello stesso tempo è il luogo dal quale il Rettor Maggiore anima e governa la Congregazione tracciando le linee per essere fedeli a don Bosco nell’oggi.
            In secondo luogo, la presenza di un luogo salesiano significativo dove don Bosco ha scritto la lettera da Roma e ha compreso il sogno dei nove anni. All’interno della casa ci sarà il Museo Casa don Bosco di Roma che in tre piani racconterà la presenza del Santo nella città eterna. La centralità dell’educazione come “cosa di cuore” nel suo Sistema Preventivo, la relazione con i Papi che hanno amato don Bosco e che lui per primo ha amato e servito, il Sacro Cuore come luogo di espansione del carisma in tutto il mondo, il faticoso percorso di approvazione delle Costituzioni, la comprensione del sogno dei nove anni e il suo ultimo respiro educativo nello scrivere la lettera da Roma sono gli elementi tematici che, in forma multimediale immersiva, saranno raccontati a coloro che visiteranno lo spazio museale.
            In terzo luogo, la devozione al Sacro Cuore rappresenta il centro del carisma. Don Bosco ancor prima di ricevere l’invito a costruire la Chiesa del Sacro Cuore, aveva orientato i giovani verso questa devozione. Nel Giovane Provveduto ci sono preghiere e pratiche di pietà rivolte al Cuore di Cristo. Ma con l’accettazione della proposta di Leone XIII egli diventa un vero e proprio apostolo del Sacro Cuore. Non risparmia le sue forze per cercare denaro per la Chiesa. La cura nei minimi particolari infonde nelle scelte architettoniche e artistiche della Basilica il suo pensiero e la sua devozione al Sacro Cuore. Per sostenere la costruzione della Chiesa e della casa egli fonda la Pia Opera del Sacro Cuore di Gesù, l’ultima delle cinque fondazioni realizzate da don Bosco lungo il corso della sua vita insieme ai Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori Salesiani, l’Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice. Essa venne eretta per la celebrazione in perpetuo di sei messe quotidiane nella Chiesa del Sacro Cuore in Roma. Vi partecipano tutti gli iscritti, vivi e defunti, attraverso la preghiera svolta e le opere buone compiute dai Salesiani e dai giovani in tutte le loro case.
            La visione di Chiesa che deriva dalla fondazione della Pia Opera è quella di un “corpo vivo” composto da vivi e defunti in comunione tra loro attraverso il Sacrificio di Gesù, rinnovato quotidianamente nella celebrazione eucaristica a servizio dei giovani più poveri. Il desiderio del Cuore di Gesù è che tutti siano una sola cosa (ut unum sint) come Lui e il Padre. La Pia Opera collega, attraverso la preghiera e le offerte, i benefattori vivi e defunti, i Salesiani di tutto il mondo e i giovani che vivono al Sacro Cuore. Solo attraverso la comunione, che ha la sua sorgente nell’Eucaristia, i benefattori, i Salesiani e i giovani possono contribuire a costruire la Chiesa, a farla risplendere nel suo volto missionario. La Pia Opera ha inoltre il compito di promuovere, diffondere, approfondire la devozione al Sacro Cuore in tutto il mondo e rinnovarla secondo i tempi e il sentire della Chiesa.

La stazione centrale per evangelizzare
            Infine, l’attenzione ai giovani poveri si manifesta nella volontà missionaria di raggiungere i giovani di tutta Roma attraverso il Centro Giovanile aperto su via Marsala, proprio all’uscita della stazione Termini dove ogni giorno passano circa 300.000 persone. Un luogo che sia casa per i tanti giovani italiani e stranieri che visitano o vivono a Roma e hanno sete, a volte non consapevole, di Dio. Da sempre, inoltre, intorno alla stazione Termini si accalcano diversi poveri segnati dalla fatica della vita. Un’altra porta aperta su via Marsala, oltre quella del Centro Giovanile e della Basilica, esprime il desiderio di rispondere ai bisogni di queste persone con il Cuore di Cristo, in esse infatti risplende la gloria del suo volto.
            La profezia di don Bosco sulla Casa del Sacro Cuore del 5 aprile 1880 accompagna e guida la realizzazione di quanto è stato raccontato:

Don Bosco mirava lontano. Il nostro monsignor Giovanni Marenco ricordava una sua misteriosa parola, che il tempo non doveva coprire di oblio. Nel giorno stesso in cui accettò quell’onerosissima offerta, il Beato gli domandò:
– Sai perché abbiamo accettato la casa di Roma?
– Io no, rispose quegli.
– Ebbene, sta attento. L’abbiamo accettata perché quando il Papa sarà quello che ora non è e come deve essere. Metteremo nella nostra casa la stazione centrale per evangelizzare l’agro romano. Sarà opera non meno importante che quella di evangelizzare la Patagonia. Allora i Salesiani saranno conosciuti e risplenderà la loro gloria. (MB XIV, 591-592).

don Francesco Marcoccio




Salesiani in Ukraina (video)

La Visitatoria salesiana di Maria Ausiliatrice di rito bizantino (UKR) ha rimodellato la propria missione educativo‑pastorale dall’inizio dell’invasione russa del 2022. Tra sirene antiaeree, rifugi improvvisati e scuole nei sotterranei, i salesiani si sono fatti prossimità concreta: ospitano sfollati, distribuiscono aiuti, accompagnano spiritualmente militari e civili, trasformano una casa in centro di accoglienza e animano il campus modulare “Mariapolis”, dove ogni giorno servono mille pasti e organizzano oratorio e sport, persino la prima squadra ucraina di Calcio Amputati. La testimonianza personale di un confratello rivela ferite, speranze e preghiere di chi ha perso tutto, ma continua a credere che, dopo questa lunga Via Crucis nazionale, per l’Ucraina sorgerà la Pasqua della pace.

La pastorale della Visitatoria di Maria Ausiliatrice di rito bizantino (UKR) durante la guerra
La nostra pastorale ha dovuto modificarsi quando iniziata la guerra. Le nostre attività educativo-pastorali hanno dovuto adattarsi a una realtà completamente diversa, segnata spesso da un suono incessante delle sirene che annunciano il pericolo di attacchi missilistici e bombardamenti. Ogni volta che scatta l’allarme, siamo costretti a interrompere le attività e a scendere con i ragazzi nei rifugi sotterranei o nei bunker. In alcune scuole, le lezioni si svolgono direttamente nei sotterranei, per garantire maggiore sicurezza agli allievi.

Sin dall’inizio ci siamo messi senza indugio ad aiutare e soccorrere la popolazione sofferente. Abbiamo aperto le nostre case per accogliere gli sfollati, abbiamo organizzato la raccolta e distribuzione degli aiuti umanitari: prepariamo con i nostri ragazzi e i giovani migliaia di pacchi con i viveri e vestiario e con tutto l’occorrente per mandare alla gente bisognosa nei territori vicini ai combattimenti o nelle zone dei combattimenti. Inoltre, alcuni nostri confratelli salesiani operano come cappellani nelle zone dei combattimenti. Dove danno un sostegno spirituale ai giovani militari, ma anche portando aiuto umanitario alle persone che sono rimaste nei paesi sotto continui bombardamenti, aiutando ad alcuni di loro a trasferirsi in un luogo più sicuro. Un confratello diacono che è stato nelle trincee si ha logorato la salute e ha perso la caviglia. Quando alcuni anni fa leggevo nel Bollettino salesiano in lingua italiana un articolo dove parlava dei salesiani in trincea, nella prima o seconda guerra mondiale non pensavo che questo si sarebbe avverato in quest’epoca moderna nel mio paese.  Mi hanno colpito una volta, le parole di un giovanissimo soldato ucraino, che citando uno storico e eminente ufficiale difensore e combattente per l’indipendenza del nostro popolo diceva: “Noi lottiamo difendendo la nostra indipendenza non perché odiamo chi ci sta davanti, ma perché amiamo chi ci sta dietro di noi.”

In questo periodo abbiamo trasformato anche una nostra Casa Salesiana in un centro di accoglienza per gli sfollati.

Per sostenere la riabilitazione fisica, mentale, psicologica e sociale dei giovani che hanno perso gli arti in guerra, abbiamo creato una squadra di Calcio Amputati, la prima squadra di questo tipo in Ucraina.
Sin dall’inizio dell’invasione nel 2022, abbiamo messo a disposizione del municipio di Leopoli un nostro terreno, destinato alla costruzione di una scuola salesiana, per realizzare un campus modulare per sfollati interni: “Mariapolis” dove noi salesiani operiamo in collaborazione con il Centro del Dipartimento Sociale del Municipio. Diamo un sostegno assistenziale e un accompagnamento spirituale rendendo l’ambiente più accogliente. Sostenuti dall’aiuto della nostra Congregazione, delle varie organizzazioni tra cui VIS e Missioni Don Bosco, le varie procure e altre fondazioni di beneficienza, agenzie anche statali di altri paesi, abbiamo potuto organizzare la cucina del campus con il rispettivo personale che ci permette a offrire il pranzo ogni giorno per circa 1000 persone. Inoltre, grazie al loro aiuto possiamo organizzare varie attività nello stile salesiano per 240 ragazzi e giovani che sono presenti nel campus.

Una piccola esperienza e una povera testimonianza personale
Vorrei condividere qui la mia piccola esperienza e testimonianza…Io davvero ringrazio il Signore che, tramite il mio Ispettore, mi ha chiamato a questo servizio particolare. Da tre anni lavoro nel campus che ospita circa 1.000 sfollati interni. Fin dall’inizio, sto accanto a persone che hanno perso in un momento tutto, tranne la dignità. Le loro case sono distrutte e saccheggiate, i risparmi e i beni accumulati con fatica lungo gli anni della vita sono svaniti. Molti hanno perso molto di più e di più prezioso: i loro cari, uccisi davanti ai loro occhi da missili o mine. Alcuni delle persone che sono nel campus hanno dovuto vivere per mesi nei sotterranei di palazzi crollati, nutrendosi di quel poco che trovano, anche se scaduto. Bevevano l’acqua dei termosifoni e bollivano le bucce di patate per sfamarsi. Poi, alla prima possibilità sono scappati o evacuati senza sapere dove andare, senza certezze su cosa li aspettava. Inoltre, alcuni hanno visto i loro paesi, come Mariupol, rasi al suolo. Infatti, in onore di questa bellissima città di Maria noi salesiani abbiamo chiamato il campus per gli sfollati con il nome “Mariapolis” affidando questo luogo e gli abitanti del campus alla Vergine Maria. E Lei come la mamma sta accanto ad ogni uno in questi momenti di prova. Nel campus, ho allestito una cappella dedicata a Lei, dove c’è un’icona disegnata da una signora del campus proveniente dalla martoriata città di Kharkiv. La cappella è diventata per tutti residenti indipendentemente a che confessione di fede cristiana loro appartengono, luogo di incontro con Dio e con sé stessi.

Stare con loro, voler loro bene, accoglierli, ascoltarli, consolarli, incoraggiarli, pregare per loro e con loro e sostenerli in quello che posso, sono i momenti che fanno parte del mio servizio che ormai è diventata la mia vita in questo periodo. È una vera scuola di vita, di spiritualità, dove imparo moltissimo stando accanto alla loro sofferenza. Quasi tutti loro sperano che la guerra finisca presto e arrivi la pace, per poter tornare a casa. Ma per molti, quel sogno è ormai irrealizzabile: le loro case non esistono più. Cosi come posso cerco di offrire loro qualche appiglio di speranza, aiutandoli a incontrare Colui che non abbandona nessuno, che è vicino nelle sofferenze e nelle difficoltà della vita.

A volte mi chiedono di prepararli alla Riconciliazione: con Dio, con sé stessi, con la dura realtà che sono costretti a vivere. Altre volte, li aiuto nei bisogni più concreti: medicine, vestiti, pannoloni, visite in ospedale. Faccio anche il lavoro di amministratore insieme ai mie tre colleghi laici.  Ogni giorno, alle 17:00, preghiamo per la pace, e un piccolo gruppo ha imparato a recitare il Rosario, pregandolo quotidianamente.

Come salesiano cerco di essere attento ai bisogni dei ragazzi: sin dall’inizio io con aiuto degli animatori abbiamo creato oratorio all’interno del campus. Inoltre attività, gite, campeggi in montagna durante l’estate. Inoltre, uno degli impegni che porto avanti è seguire la mensa, per assicurare che nessuno delle persone residenti al campus rimanga senza un pasto caldo.

Tra gli abitanti del campus c’è il piccolo Maksym, che si sveglia nel cuore della notte, terrorizzato da ogni rumore forte. Maria, una madre che ha perso tutto anche il marito e ogni giorno sorride ai figli per non far pesare loro il dolore. Poi c’è Petro, 25 anni, che con la sua ragazza era in casa quando un drone russo ha lanciato una bomba. L’esplosione gli ha amputato le due gambe, mentre la sua ragazza è morta poco dopo. Petro è rimasto tutta la notte in fin di vita, finché i soldati lo hanno trovato al mattino e lo hanno portato in salvo. L’ambulanza non poteva avvicinarsi a causa dei combattimenti.
In mezzo a tanta sofferenza, continuo il mio apostolato con l’aiuto del Signore e il sostegno dei miei confratelli.

Noi salesiani di rito bizantino, insieme ai nostri 13 confratelli di rito latino presenti in Ucraina – in gran parte di origine polacca e appartenenti all’Ispettoria salesiana di Cracovia (PLS) – condividiamo profondamente il dolore e le sofferenze del popolo ucraino. Come figli di Don Bosco, continuiamo con fede e speranza la nostra missione educativo-pastorale, adattandoci ogni giorno alle difficili condizioni imposte dalla guerra.

Siamo accanto ai giovani, alle famiglie, e a tutti coloro che soffrono e hanno bisogno di aiuto. Desideriamo essere segni visibili dell’amore di Dio, affinché la vita, la speranza e la gioia dei giovani non siano mai soffocate dalla violenza e dal dolore.

In questa testimonianza comune, riaffermiamo la vitalità del nostro carisma salesiano, che sa rispondere anche alle sfide più drammatiche della storia. Le nostre due peculiarità, quella di rito bizantino e quella di rito latino, rendono visibile quell’unità inscindibile del Carisma Salesiano quanto affermano le Costituzioni Salesiane all’art. 100: “Il carisma del Fondatore è principio di unità della Congregazione e, per la sua fecondità, è all’origine dei modi diversi di vivere l’unica vocazione salesiana.

Crediamo che il dolore, la sofferenza non hanno l’ultima parola: e che nella fede, ogni Croce contiene già il seme della Risurrezione. Dopo questa lunga Settimana Santa, giungerà inevitabilmente la Risurrezione per Ucraina: verrà la vera e giusta PACE.

Alcune informazioni
Alcuni confratelli capitolari chiedevano delle informazioni sulla guerra in Ucraina. Permettetemi di dire qualche cosa in modo di un Flash. Una precisazione cha guerra in Ucraina non può essere interpretata come un conflitto etnico o una disputa territoriale tra due popoli con rivendicazioni contrapposte o diritti su un determinato territorio. Non si tratta di una lite tra due parti in lotta per un pezzo di terra. E dunque non è una battaglia tra pari. Quella in Ucraina è un’invasione, un’aggressione unilaterale. Qui si tratta di un popolo che ha aggradito impropriamente un all’altro. Una nazione, che fabbricò delle motivazioni infondate, inventandosi un presunto diritto, violando l’ordine e le leggi internazionali, decise di attaccare un altro Stato, violandone la sovranità e l’integrità territoriale, il diritto di decidere la propria sorte e direzione del proprio sviluppo, occupandone e annettendone dei territori. Distruggendo città e paesi, molti dei quali rasi al suolo, togliendo la vita a migliaia di civili. Qui c’è un aggressore e un aggredito: è proprio questa la peculiarità e l’orrore di questa guerra.
Ed è partendo da questo presupposto che dovrebbe essere concepita anche la pace che attendiamo. Una pace che ha il sapore della giustizia e essere basata sulla verità, non temporanea, non opportunistica, non una pace fondata sulle convenienze nascoste e commerciali, evitando di creare precedenti per regimi autocratici nel mondo che potrebbero un giorno decidere ad invadere altri Paesi, occupare o annettere una parte di un paese vicino o lontano, semplicemente perché lo desiderano o perché li piace così, o perché sono più potenti.
Un’altra assurdità di questa guerra non provocata e non dichiarata che l’aggressore vieta alla vittima il diritto di difendersi, cerca intimidire e minacciare tutti quelli in questo caso altri paesi che si schierano dalla parte di chi è indifeso e si mettono ad aiutare a difendersi e a resistere la vittima aggredita ingiustamente.

Alcune tristi statistiche
Dall’inizio dell’invasione del 2022 fino ad oggi (08.04.2025), l’ONU ha registrato e confermato i dati relativi a 12.654 morti e 29.392 feriti tra I CIVILI in Ucraina.

Secondo le ultime notizie disponibili verificate dell’UNICEF almeno 2.406 BAMBINI sono stati uccisi o feriti dall’escalation della guerra in Ucraina dal 2022. Le vittime infantili comprendono 659 BAMBINI UCCISI e 1.747 FERITI – ovvero almeno 16 bambini uccisi o feriti ogni settimana. Milioni di bambini continuano ad avere vite sconvolte a causa degli attacchi in corso o nel dover scappare ed evacuarsi in altri posti e paesi. I bambini del Donbas soffrono dalla guerra già da 11 anni.
La Russia ha avviato insieme al piano di un’invasione dell’Ucraina anche un programma di deportazioni forzate dei bambini ucraini. Ultimi dati dicono 20 000 bambini prelevati dalle case, detenuti per mesi e sottoposti a una forzata russificazione attraverso un’intensa propaganda prima dell’adozione forzata.

don Andrii Platosh, sdb






I ragazzi del cimitero

Il dramma dei giovani abbandonati continua a far rumore nel mondo contemporaneo. Le statistiche parlano di circa 150 milioni di ragazzi costretti a vivere per strada, una realtà che si manifesta in maniera drammatica anche a Monrovia, capitale della Liberia. In occasione della festa di San Giovanni Bosco, a Vienna, si è svolta una campagna di sensibilizzazione promossa da Jugend Eine Welt, un’iniziativa che ha messo in luce non solo la situazione locale ma anche le difficoltà incontrate in paesi lontani, come la Liberia, dove il salesiano Lothar Wagner dedica la sua vita a dare una speranza a questi giovani.

Lothar Wagner: un salesiano che dedica la sua vita ai ragazzi di strada in Liberia
Lothar Wagner, salesiano coadiutore tedesco, ha dedicato oltre vent’anni della sua vita al sostegno dei ragazzi in Africa Occidentale. Dopo aver maturato esperienze significative in Ghana e Sierra Leone, negli ultimi quattro anni si è concentrato con passione sulla Liberia, un paese segnato da conflitti prolungati, crisi sanitarie e devastazioni come l’epidemia di Ebola. Lothar si è fatto portavoce di una realtà spesso ignorata, dove le cicatrici sociali ed economiche compromettono le opportunità di crescita per i giovani.

La Liberia, con una popolazione di 5,4 milioni di abitanti, è un paese in cui la povertà estrema si accompagna a istituzioni fragili e a una corruzione diffusa. Le conseguenze di decenni di conflitti armati e crisi sanitarie hanno lasciato il sistema educativo tra i peggiori al mondo, mentre il tessuto sociale si è logorato sotto il peso di difficoltà economiche e mancanza di servizi essenziali. Molte famiglie non riescono a garantire ai propri figli i bisogni primari, spingendo così un gran numero di giovani a cercare rifugio per strada.

In particolare, a Monrovia, alcuni ragazzi trovano rifugio nei luoghi più inaspettati: i cimiteri della città. Conosciuti come “ragazzi del cimitero”, questi giovani, privi di un’abitazione sicura, si rifugiano tra le tombe, luogo che diventa simbolo di un abbandono totale. Dormire all’aperto, nei parchi, nelle discariche, persino nelle fogne o all’interno di tombe, è diventato il tragico rifugio quotidiano per chi non ha altra scelta.

“È davvero molto commovente quando si cammina per il cimitero e si vedono ragazzi che escono dalle tombe. Si sdraiano con i morti perché non hanno più un posto nella società. Una situazione del genere è scandalosa.”

Un approccio multiplo: dal cimitero alle celle di detenzione
Non solo i ragazzi dei cimiteri sono al centro dell’attenzione di Lothar. Il salesiano si dedica anche a un’altra realtà drammatica: quella dei detenuti minorenni nelle prigioni liberiane. La prigione di Monrovia, costruita per 325 detenuti, ospita oggi oltre 1.500 prigionieri, tra cui molti giovani incarcerati senza una formale accusa. Le celle, estremamente sovraffollate, sono un chiaro esempio di come la dignità umana venga spesso sacrificata.

“Manca cibo, acqua pulita, standard igienici, assistenza medica e psicologica. La fame costante e la drammatica situazione spaziale a causa del sovraffollamento indeboliscono enormemente la salute dei ragazzi. In una piccola cella, progettata per due detenuti, sono rinchiusi otto-dieci giovani. Si dorme a turno, perché questa dimensione della cella offre spazio solo in piedi ai suoi numerosi abitanti”.

Per far fronte a questa situazione, organizza visite quotidiane nella prigione, portando acqua potabile, pasti caldi e un supporto psicosociale che diventa un’ancora di salvezza. La sua presenza costante è fondamentale per cercare di ristabilire un dialogo con le autorità e le famiglie, sensibilizzando anche sull’importanza di tutelare i diritti dei minori, spesso dimenticati e abbandonati a un destino infausto. “Non li lasciamo soli nella loro solitudine, ma cerchiamo di donare loro una speranza,” sottolinea Lothar con la fermezza di chi conosce il dolore quotidiano di queste giovani vite.

Una giornata di sensibilizzazione a Vienna
Il sostegno a queste iniziative passa anche dall’attenzione internazionale. Il 31 gennaio, a Vienna, Jugend Eine Welt ha organizzato una giornata dedicata a evidenziare la precaria situazione dei ragazzi di strada, non solo in Liberia, ma in tutto il mondo. Durante l’evento, Lothar Wagner ha condiviso le sue esperienze con studenti e partecipanti, coinvolgendoli in attività pratiche – come l’uso di un nastro segnaletico per simulare le condizioni di una cella sovraffollata – per far comprendere in prima persona le difficoltà e l’angoscia dei giovani che vivono quotidianamente in spazi minimi e in condizioni degradanti.

Oltre alle emergenze quotidiane, il lavoro di Lothar e dei suoi collaboratori si concentra anche su interventi a lungo termine. I missionari salesiani, infatti, sono impegnati in programmi di riabilitazione che spaziano dal supporto educativo alla formazione professionale per i giovani detenuti, fino all’assistenza legale e spirituale. Questi interventi mirano a reintegrare i ragazzi nella società una volta rilasciati, aiutandoli a costruire un futuro dignitoso e pieno di possibilità. L’obiettivo è chiaro: offrire non solo un aiuto immediato, ma creare un percorso che consenta ai giovani di sviluppare le proprie potenzialità e contribuire attivamente alla rinascita del paese.

Le iniziative si estendono anche alla costruzione di centri di formazione professionale, scuole e strutture di accoglienza, con la speranza di ampliare il numero di giovani beneficiari e garantire un sostegno costante, giorno e notte. La testimonianza di successo di molti ex “ragazzi del cimitero” – alcuni dei quali sono diventati insegnanti, medici, avvocati e imprenditori – è la conferma tangibile che, con il giusto sostegno, la trasformazione è possibile.

Nonostante l’impegno e la dedizione, il percorso è costellato di ostacoli: la burocrazia, la corruzione, la diffidenza dei ragazzi e la mancanza di risorse rappresentano sfide quotidiane. Molti giovani, segnati da abusi e sfruttamento, faticano a fidarsi degli adulti, rendendo ancor più arduo il compito di instaurare un rapporto di fiducia e di offerta di un supporto reale e duraturo. Tuttavia, ogni piccolo successo – ogni giovane che ritrova la speranza e inizia a costruire un futuro – conferma l’importanza di questo lavoro umanitario.

Il percorso intrapreso da Lothar e dai suoi collaboratori testimonia che, nonostante le difficoltà, è possibile fare la differenza nella vita dei ragazzi abbandonati. La visione di una Liberia in cui ogni giovane possa realizzare il proprio potenziale si traduce in azioni concrete, dalla sensibilizzazione internazionale alla riabilitazione dei detenuti, passando per programmi educativi e progetti di accoglienza. Il lavoro, improntato su amore, solidarietà e una presenza costante, rappresenta un faro di speranza in un contesto in cui la disperazione sembra prevalere.

In un mondo segnato dall’abbandono e dalla povertà, le storie di rinascita dei ragazzi di strada e dei giovani detenuti sono un invito a credere che, con il giusto sostegno, ogni vita possa risorgere. Lothar Wagner continua a lottare per garantire a questi giovani non solo un riparo, ma anche la possibilità di riscrivere il proprio destino, dimostrando che la solidarietà può davvero cambiare il mondo.




Salesiani a Tarnowskie Góry

In Polonia esiste un luogo, forse unico, in cui i Salesiani si occupano di giovani provenienti da contesti sociali diversi. Bambini e giovani che provengono da aree urbane e rurali, ricchi e poveri, disabili, abbandonati dai genitori, emarginati si incontrano in un’unica opera. Alcuni studiano a scuola, altri hanno trovato qui una casa, un cortile, un luogo per incontrare Dio. Da venticinque anni l’Istituto Salesiano di Tarnowskie Góry è una seconda casa non solo per i giovani, ma anche un luogo in cui realtà diverse si mescolano, sostenendo l’uomo, ogni uomo.

Una breve storia
Tarnowskie Góry è una città di sessantamila abitanti situata nell’Alta Slesia, una regione molto particolare sulla mappa della Polonia per la sua cultura originale, il suo dialetto, le sue numerose tradizioni. È una città con una ricca storia, le cui origini sono legate alle miniere d’argento che qui operarono dalla fine del XV secolo fino all’inizio del XX secolo. La dedizione al lavoro e la fedeltà alla tradizione caratterizzano ancora oggi gli abitanti di queste terre.

I Salesiani dell’Ispettoria di Breslavia (PLO) sono arrivati a Tarnowskie Góry a cavallo tra il 1998 e il 1999 per prendere in consegna gli edifici dell’ex istituto di riabilitazione per disabili, situato in un bellissimo parco naturale noto come il Parco di Repty. Il parco apparteneva alla ricca famiglia Donnersmarck, che vi costruì un palazzo e un edificio per la servitù. Dopo la seconda guerra mondiale, il palazzo fu distrutto e al suo posto fu allestito un ospedale per i minatori vittime di incidenti. L’edificio della servitù fu ampliato e fu creata una struttura che si occupava della riabilitazione e dell’adattamento dei minatori e delle altre persone disabili. Con il tempo, questa istituzione fu chiamata l’istituto di riabilitazione per disabili e fu consegnata ai Salesiani. Una volta completati i lavori più necessari, il 30 settembre 1999 è stata inaugurata solennemente la presenza salesiana in città. È una presenza speciale, infatti, non si tratta solo di una scuola salesiana con oratorio, ma dell’intera struttura necessaria per accogliere ed integrare le persone disabili.

La struttura dell’Istituto
Oggi la struttura dell’Istituto salesiano include:
– Scuola Primaria e Secondaria con 633 studenti nell’anno scolastico 2023-2024;
– Scuola per Bisogni Speciali con quasi 50 studenti con un convitto, principalmente per i disabili, dove vivono 30 alunni;
– Centro di assistenza per persone con disabilità, con circa 40 persone;
– Centro di Riabilitazione, che fornisce ogni anno quasi 870 servizi di riabilitazione, a favore di quasi 530 giovani minorenni;
– l’Oratorio, dove circa 70 giovani ricevono la formazione;
– l’ospitalità che accoglie vari gruppi per ritiri o attività ricreative.
Nell’Istituto lavorano più di 150 persone che si occupano quotidianamente dei giovani.

Le scuole
La ricchezza delle scuole sta negli studenti e negli insegnanti. Le scuole dell’Istituto impiegano insegnanti che, oltre alla loro formazione specialistica, hanno qualifiche in pedagogia speciale e terapia. Le competenze di questi insegnanti sono la risposta alle esigenze particolari degli studenti con disabilità fisiche e difficoltà specifiche di apprendimento, che non mancano nelle scuole salesiane di Tarnowskie Góry. Gli insegnanti sono creativi, migliorano costantemente le loro competenze e hanno molta esperienza nel loro lavoro.

Il programma educativo delle scuole deriva dai principi del Sistema Educativo Salesiano e tiene particolarmente conto della formula di integrazione di questo lavoro. Allo stesso tempo, il programma definisce la specificità della scuola cattolica e salesiana, che basa le sue attività educative sui valori cristiani. In modo particolare, i giovani vengono educati all’accettazione e alla formazione di se stessi in base alle proprie capacità e ai limiti legati alla disabilità; alla gentilezza e alla tolleranza della visione del mondo, della religione e della razza, a vivere e ad agire in accordo con l’insegnamento della Chiesa cattolica; al patriottismo e alla preoccupazione per il bene comune; alla sensibilità per la sorte degli altri; alla capacità di gestire la preparazione alla vita professionale, familiare e personale; alla verità, all’indipendenza, alla responsabilità; alla comunione con la natura e all’uso dei suoi beni; alla formazione della cultura personale.

Scuola per Bisogni Speciali con un convitto

La scuola per Bisogni Speciali con un convitto accoglie alunni con disabilità provenienti da tutta la Polonia. Lo scopo delle scuole e del convitto è quello di consentire agli alunni di ricevere un’istruzione adeguata alle loro capacità e di fornire un’assistenza educativa completa, nonché di consentire la partecipazione alla riabilitazione terapeutica e sociale e di preparare gli alunni alla partecipazione indipendente alla vita sociale. Questa parte dell’opera salesiana a Tarnowskie Góry rende presente in modo speciale la dimensione della casa secondo i criteri del Sistema Preventivo di don Bosco e sensibilizza l’intera comunità verso i giovani più bisognosi.

Centro di assistenza per persone con disabilità
Centro di assistenza per persone con disabilità è una struttura pubblica all’interno dell’opera salesiana che svolge i compiti di riabilitazione sociale e professionale. Assiste lo sviluppo generale, migliorando l’idoneità degli adulti a funzionare nel modo più indipendente e attivo possibile nel loro ambiente. Le attività di riabilitazione sono adattate alle capacità e alle competenze individuali dei partecipanti. Essi hanno accesso a laboratori terapeutici allestiti adeguatamente, condotti da terapisti e istruttori qualificati.

Centro di Riabilitazione
È un’istituzione nata per fornire attività terapeutiche e riabilitative permanenti e complete agli alunni disabili e agli allievi con i bisogni specifici. Questo è un indubbio vantaggio dell’Istituto salesiano, in quanto i giovani che necessitano di riabilitazione possono usufruirne nel loro luogo di studio e di residenza e in orari coordinati con le attività scolastiche.

Oratorio

L’Oratorio è la realizzazione dell’idea fondamentale di don Bosco: creare per i giovani un ambiente che sia casa, scuola, cortile e chiesa. Offre agli allievi e agli incaricati del Centro, così come ai bambini e ai giovani esterni, l’opportunità di: impiegare bene il loro tempo libero, sviluppare le loro capacità sociali, artistiche e intellettuali, educarli a essere attivi e ad agire per il bene degli altri, e dare loro la possibilità di approfondire la loro vita spirituale. I giovani, soprattutto gli alunni delle scuole, vengono formati per essere “buoni cristiani e onesti cittadini” nella vita adulta; partecipano alla formazione nella comunità locale, ma anche a livello dell’Ispettoria di Breslavia. Prestano un servizio per i più giovani sia a scuola sia fuori scuola, come nell’estate ragazzi.

Ospitalità
La struttura del Centro offre un luogo per accogliere gli ospiti che desiderano riposare, rinnovarsi spiritualmente e godere della bellezza della campagna circostante. Infatti, tutto l’anno l’Istituto accoglie vari gruppi, soprattutto quelli che desiderano vivere momenti di formazione o di ritiro.

Il Colle delle Beatitudini, dove si realizza il sogno di don Bosco
Il cuore dell’Opera salesiana di Tarnowskie Góry è una cappella dedicata a don Bosco. Sull’altare si trova la statua dell’Educatore torinese che indica a san Domenico Savio la meta: il cielo. Infatti, lo scopo dell’attività salesiana a Tarnowskie Góry è l’educazione attraverso l’evangelizzazione e l’evangelizzazione attraverso l’educazione. È interessante notare che l’Istituto è situato su una collina. È in un certo senso il “Colle delle Beatitudini”: qui Dio benedice davvero i giovani, qui insegna loro lo stile di vita secondo le Beatitudini evangeliche attraverso le mani di insegnanti ed educatori. Su questo colle, ogni giorno, si realizza il sogno di don Bosco, anche se a volte deve essere realizzato lungo un sentiero cosparso di rose, come lui stesso sognava: “Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte e robusto (…). A suo tempo tutto comprenderai”.

don Krystian SUKIENNIK, sdb




ll don Bosco di Napoli. L’oratorio dei mille mestieri

            L’origine della presenza Salesiana a Napoli risale allo stesso don Bosco; Napoli è stata la città più a sud visitata da don Bosco tra il 29 e il 31 Marzo 1880. In questa occasione don Bosco nella chiesa di san Giuseppe in via Medina, celebrò l’Eucarestia assistito da un piccolo ministrante di nome Peppino Brancati. Alcuni anni dopo il ragazzo napoletano andò a Valdocco da don Bosco e divenne il primo salesiano originario del sud Italia, a lui è stata anche dedicata una casa famiglia a Torre Annunziata.
            Nel periferico quartiere della Doganella i figli di Don Bosco iniziarono la loro attività nel 1934 in locali poveri e insufficienti ad accogliere le numerose masse giovanili che affluivano attorno ad essi.
            Vent’anni dopo, passata la tremenda bufera della guerra, nel 1954 posero mano all’attuazione del grande Istituto oggi esistente realizzato con cospicui contributi di benefattori privati e di Enti.
            Il 28 Maggio 1959 veniva inaugurato dal Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. Nell’anno centenario della morte don Bosco, il 21 Ottobre 1988, il Rettor Maggiore Don Egidio Viganò inaugurava il Centro Sociale “Don Bosco” nel quale l’Istituto si riprogettava secondo le esigenze dei tempi e nella fedeltà dinamica al Fondatore.
            Oggi il don Bosco di Napoli, si presenta come una realtà dinamica e aperta al territorio che a partire dal carisma di Don Bosco risponde alle nuove povertà educative presenti in città.
            Napoli è una città bellissima e complessa che genera problemi complessi ed è per questo che la nostra casa salesiana si è strutturata in maniera, articolata rispondente però a un criterio unificante semplice: il criterio oratoriano, l’Oratorio dei mille mestieri!

Casa che accoglie
            I salesiani nel corso degli anni hanno saputo reinventare la vocazione all’accoglienza, dai grandi collegi degli anni 60, alle comunità famiglia, strutture più a misura di ragazzo con progetti educativi individualizzati. Nella nostra casa ne abbiamo ben tre! La prima nata è la comunità famiglia “Il Sogno” animata dall’APS salesiana “Piccoli Passi grandi sogni” nata nel 2007. Nei suoi 15 anni di vita ha accolto 120 ragazzi per lo più di Napoli e provincia, provenienti sia dall’area penale che amministrativa. Nel 2017 Napoli vive l’emergenza sbarchi di profughi e i salesiani rispondono presente: nasce la comunità per minori stranieri non accompagnati “il Ponte”. Sono ragazzi che per venire in Europa hanno affrontato viaggi infiniti tra mille pericoli. La Libia per la maggioranza di loro ha rappresentato la tappa più traumatica. Ma non basta…nel 2018 dinanzi alla drammatica situazione di minori abbandonati per strada soprattutto nella zona della stazione, nasce la comunità di pronta accoglienza “La zattera”. Si tratta di un pronto soccorso educativo aperto 24 ore su 24, a cui la polizia, gli assistenti sociali o i cittadini possono sempre rivolgersi per dare un tetto, un pasto, vestiti ma soprattutto la possibilità di ripartire. In queste due comunità sono passati più di 250 ragazzi provenienti da 32 paesi del mondo! Tra le storie di riscatto e di rinascita di questi ragazzi mi piace raccontare quella di Mustafà,17 anni proveniente dalla Somalia. Viene trovato dalla polizia riverso per terra alla stazione centrale. Ricordo la sera quando è arrivato nella portineria del nostro centro accompagnato dall’assistente sociale accolto da Pietro e don Vanni. Sguardo terrorizzato, ma soprattutto noto che non riesce a camminare; nelle prigioni libiche gli hanno spaccato l’anca. Sono passati tre anni Mustafà ha preso da noi la terza media, è stata operato e ora cammina abbastanza bene, si è iscritto al primo anno del nostro Centro di Formazione Professionale. Ogni volta che lo vedo ripenso a quella sera in portineria e penso ai miracoli di don Bosco.

Scuola che avvia la vita
            Don Bosco diceva, i miei ragazzi hanno “l’intelligenza nelle mani” e questo vale tanto più per i ragazzi napoletani. Napoli però è anche la città in Italia con la maggiore dispersione scolastica. Come combattere la dispersione scolastica facendo leva sull’intelligenza delle mani delle ragazze e dei ragazzi napoletani? La formazione professionale! Nel 2018 abbiamo inaugurato un nuovo Centro di Formazione Professionale insieme con altri partner che condividono questa grande missione educativa: la Fondazione san Gennaro, la Fondazione Franca e Alberto Riva, IF imparare e fare, cooperativa il Millepiedi, Cometa Formazione. Nasce la scuola del Fare, una scuola innovativa, bella, che fa dell’attenzione educativa e del rapporto con le aziende il suo tratto distintivo. Con i due corsi di “operatori dei sistemi e servizi logistici” e “operatore alla riparazione dei veicoli a motore” diamo una risposta concreta ai ragazzi del territorio.
            Accanto a questi due corsi triennali strutturati, l’Oratorio dei mille mestieri offre una pluralità di laboratori in cui esercitarsi, sperimentarsi, imparare un mestiere, trovare il proprio mondo nel mondo: il laboratorio di pizzeria “Anem e Pizza”, il laboratorio di acconciatore “Cap Appost”, il Centro “Le ali” con la possibilità che offre di ottenere la qualifica come cuoco, cameriere e sala bar, la banda don Bosco che offre la possibilità ai ragazzi di imparare e suonare uno strumento e tante altre possibilità, tanti altri mestieri.

Chiesa che evangelizza
            La nostra comunità salesiana anima la Parrocchia don Bosco del rione Amicizia. Una presenza evangelizzatrice in un territorio che vede in noi salesiani un punto di riferimento, una presenza costante che accompagna in tutte le stagioni della vita e tutte le situazioni della vita visto che la nostra comunità si occupa anche della cura pastorale dell’Ospedale san Giovanni Bosco.
            Il momento centrale della vita oratoriana è la preghiera con la buona notte salesiana, quando tutti i settori e tutti i progetti si fermano per dedicare pochi minuti al dialogo con Dio, con parole semplici e vicine al quotidiano. Ecco allora che i ragazzi che frequentano il centro diurno, i laboratori di educativa di strada, i progetti territoriali con le scuole, i ragazzi della scuola calcio e i ragazzi che liberamente accedono all’oratorio si riconoscono appartenenti alla stessa grande famiglia salesiana. La “chiamata” alla preghiera puntuale e ferma alla 17.30 di don Michele rappresenta un rito educativo imprescindibile per la nostra opera, perché anche l’educazione ha bisogno dei suoi riti!

Cortile per incontrarsi da amici
            Il cortile è il centro geografico e carismatico della nostra opera. Il don Bosco ha un cortile bellissimo e ampio con tanti campi, un ampio porticato, una “piazza” a misura di ragazzo, la piazza della gioia. Questo spazio è tanto più prezioso perché sorge in una porzione di città che non ha spazi dedicati ai ragazzi, che spesso sono costretti a stare per la strada con tutti i pericoli che ne derivano. Ricordo ancora un pomeriggio di sole in cortile quando arriva una mamma che quasi con le lacrime agli occhi, lasciando i figli in oratorio mi dice “meno male che ci siete voi salesiani”. Pochi minuti prima in una piazza vicina una bambina mentre passeggiava con la nonna era stata colpita da un proiettile. Consapevoli che da soli non si educa, abbiamo costruito una rete con le altre agenzie del territorio, famiglia, scuola, servizi sociali, parrocchie, associazioni.
            Il cortile è abitato quotidianamente da centinaia di ragazzi e da decine di educatori che lo rendono uno spazio educativo per incontrarsi da amici. Lo sport aperto a tutti ci permette poi di agganciare centinaia di ragazzi e ragazze con le loro famiglie.
            In questi anni mi sono sempre più persuaso che don Bosco con il suo stile educativo, la sua amorevolezza ha tanto da dare a Napoli, ma anche che Napoli con la sua bellezza, la sua genialità, arricchisce don Bosco, lo rende più simpatico, insomma sono una coppia vincente!

Fabio Bellino




Casa salesiana di Châtillon

Situata in una bella zona montagnosa, ai piedi delle Alpi, vicino alla Svizzera, la Casa salesiana di Châtillon ha una storia particolare e di successo.

Nella regione della Valle d’Aosta, si trova un comune di nome Châtillon (il nome proviene dal latino “Castellum”) che si situa tra il Monte Zerbion a nord e il Monte Barbeston a sud; è il terzo comune più popolato della regione.
Nel 1917, durante la prima guerra mondiale, in questa località fu fondata un’azienda, Soie de Châtillon (in italiano: “Seta di Châtillon”), che iniziava a lavorare nel settore delle tecnofibre con tecnologia moderna. La presenza delle centrali idroelettriche nelle vicinanze che fornivano l’energia elettrica ha condizionato la scelta del posto per l’impresa, visto che non esistevano ancora reti elettriche estese per trasportare l’elettricità.
Nel 1942 l’azienda passa sotto la proprietà della Società Saifta (Società Anonima Italiana per le Fibre Tessili Artificiali S.p.A.).
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Società Saifta, che gestiva lo stabilimento “Soie” di Châtillon, destinato inizialmente al convitto per le operaie, chiama i salesiani e mette loro a disposizione questi edifici per accogliere, in qualità di convittori, orfani di guerra e figli dei dipendenti della “Soie”. Così ha inizio l’Istituto Orfanotrofio Salesiano “Don Bosco” di Châtillon, nome che è rimasto fino a oggi, anche se gli orfani non ci sono più.
Alla fine dell’agosto del 1948, 33 ragazzi iniziavano un corso di Avviamento Professionale di tipo Industriale nelle due specializzazioni per Meccanici-aggiustatori e Falegnami-ebanisti: quest’ultima specializzazione era molto utile nella zona geografica montuosa, ricca di boschi.
Alcuni mesi più tardi, il 5 febbraio del 1949 si inaugurava ufficialmente l’Orfanotrofio “Don Bosco”, destinato ad accogliere i giovani poveri della Valle d’Aosta ed avviarli all’apprendimento di una professione.
Con l’introduzione della scuola dell’obbligo, nell’anno 1965, l’Avviamento Professionale viene sostituito dalla Scuola Media, e la Scuola Tecnica dall’Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato (IPIA), nelle due specializzazioni: Congegnatori meccanici ed Ebanisti-mobilieri.
Alla fine degli anni ’70, la Società Saifta entra in crisi, smette di sostenere economicamente l’Orfanotrofio e mette in vendita la struttura “Soie”. La Regione Valle d’Aosta, nel maggio 1980, accorgendosi dell’importanza e del valore dell’opera – che nel frattempo si era tanto sviluppata –acquista tutta la struttura educativa e la offre in gestione ai Salesiani.
Le attività scolastiche continuano, sviluppandosi nella scuola professionale, frutto della collaborazione dei salesiani con le ditte del territorio.
Dal 1997 il Centro di Formazione Professionale (CFP) offre corsi per falegnami, meccanici, grafici.
Nel 2004 il CFP offre corsi per impiantisti elettrici e anche corsi post diploma.
Dal 2006 ci sono corsi per impiantisti elettrici, meccanici, corsi post diploma e meccanici d’auto.
A partire dall’anno scolastico 2010-2011, con la riforma Gelmini, l’Istituto Professionale passa da percorso triennale a percorso quinquennale.

Attualmente la Casa Salesiana, chiamata l’Istituto Orfanotrofio Salesiano “Don Bosco”, ha vari ambiti educativi:
– un Centro di Formazione Professionale: corso triennale di motoristica d’auto e carrozzeria; corsi per lavoratori e imprese (corsi di formazione iniziale post diploma diurni e serali di aggiornamento per occupati), che fanno parte della federazione CNOS/FAP Regione Valle d’Aosta, nata nel luglio 2001;
– un Istituto Professionale per l’Industria e l’Artigianato (IPIA), con due indirizzi: MAT (Manutenzione Assistenza Tecnica-meccanica); PIA (Produzione Industria Artigianato-Made in Italy-legno);
– una Scuola Media, scuola secondaria di primo grado, paritaria, che accoglie ragazzi/e della media-bassa valle;
– un Convitto Don Bosco, riservato agli studenti frequentanti l’IPIA, che ospita dal lunedì al venerdì i ragazzi provenienti dal vicino Piemonte o dalle vallate.

La preparazione di questi giovani è affidata a una comunità educante, che ha come primi protagonisti la comunità salesiana, i laici docenti, educatori, collaboratori, e anche i genitori e i gruppi della famiglia salesiana (cooperatori, exallievi).

L’attenzione educativa non si è fermata però solo alla preparazione umana e professionale per formare onesti cittadini, ma anche per fare dei buoni cristiani.
Anche se gli spazi della casa – essendo troppo piccoli – non permettono di svolgere le attività di formazione cristiana, si è trovata una soluzione per queste e per le celebrazioni importanti. Più in alto e a poca distanza della Casa Salesiana di Châtillon si trova l’antica parrocchia San Pietro (attestata già dal XII secolo), che ha una grande chiesa. L’accordo con la parrocchia ha portato molti frutti, inclusi quelli della propagazione della devozione alla Madonna di don Bosco, Maria Ausiliatrice, invocazione cara ai salesiani. Il frutto di questa devozione si è manifestato anche nel ritrovo della salute di varie persone (Blanchod Martina, Emma Vuillermoz, Pession Paolina, ecc.), attestata dagli scritti dei tempi.

Il desiderio sincero di fare il bene da parte di tutti coloro che hanno dato il loro contributo allo sviluppo, ha portato al successo di quest’opera salesiana.
Prima di tutto gli imprenditori che hanno capito la necessità e importanza dell’educazione dei ragazzi a rischio, e nello stesso tempo hanno promosso la formazione di possibili futuri dipendenti. Non hanno solo offerto le loro strutture, ma hanno anche sostenuto economicamente le attività educative.
Poi la saggezza delle autorità locali, che hanno capito l’importanza dell’opera svolta in più di trent’anni e si sono subito offerti di continuare a offrire il sostegno a favore dei ragazzi e anche delle ditte del territorio, dotandole così di lavoratori qualificati.
Non da ultimo, si deve riconoscere il lavoro svolto dai salesiani e dai loro collaboratori di ogni genere che hanno fatto il possibile affinché non si spegnesse la speranza del futuro: i giovani e la loro educazione integrale.
Questa professionalità nella preparazione dei giovani, insieme con la cura delle strutture logistiche (aule, laboratori, palestre, cortili), l’accurata e costante manutenzione dei locali, il collegamento con il territorio, hanno portato a un ampio riconoscimento che si riflette anche nel fatto che una via e una piazza di Châtillon sono dedicate a san Giovanni Bosco.

Quando gli uomini cercano il bene sinceramente e si sforzano per conseguirlo, Dio dà la sua benedizione.




Casa salesiana Tibidabo

Situata nella vetta più alta delle montagne di Collserola che offre una bella vista su Barcellona, la Casa salesiana Tibidabo ha una storia particolare, legata alla visita di don Bosco in Spagna, compiuta nel 1886.

Il nome della collina, “Tibidabo”, discende dal latino “Tibidabo”, che significa “ti darò”, e deriva da alcuni versetti della Sacra Scrittura: “… et dixit illi haec tibi omnia dabo si cadens adoraveris me”, “… e gli disse: Tutte queste cose io ti darò se, gettandoti ai miei piedi, mi adorerai” (Matteo 4,9). Questa frase viene pronunciata dal demonio a Gesù da una grande altezza, mostrandogli i regni della terra, cercando di tentarlo con le ricchezze di questo mondo.
Il vecchio nome della collina barcellonese era Puig de l’Àliga (Collina dell’Aquila). Il nuovo nome di “Tibidabo”, come altri nomi biblici (Valle di Hebron, il Monte Carmelo ecc.), è stato dato da alcuni religiosi che vivevano nella zona. La scelta di questo nuovo nome è stata fatta per la vista maestosa che offre sulla città di Barcellona, da un’altezza che dà la sensazione di dominare tutto.

Durante il suo viaggio in Spagna, don Bosco si recò nel pomeriggio del 5 maggio 1886, alla basilica di Nostra Signora della Misericordia, patrona della città di Barcellona, per ringraziarla dei favori ricevuti durante la sua visita alla città e per l’opera salesiana iniziata a Sarrià. Lì, alcuni signori delle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli lo avvicinarono, gli diedero la proprietà di un terreno in cima al Tibidabo e lo pregarono di costruirvi un santuario del Sacro Cuore di Gesù. Gli chiesero questo favore “per mantenere salda e indistruttibile la religione che Lei ci ha predicato con tanto zelo ed esempio e che è l’eredità dei nostri padri”.

La reazione di don Bosco fu spontanea: “Sono confuso da questa nuova e inaspettata prova della sua religiosità e pietà. La ringrazio per questo; ma sappia che, in questo momento, lei è uno strumento della Provvidenza divina. Mentre lasciavo Torino per venire in Spagna, pensavo tra me e me: ora che la chiesa del Sacro Cuore a Roma è quasi terminata, dobbiamo studiare come promuovere sempre di più la devozione al Sacro Cuore di Gesù. E una voce interiore mi rassicurò che avrei trovato i mezzi per realizzare il mio desiderio. Questa voce mi ripeteva: Tibidabo, tibidabo (ti darò, ti darò). Sì, signori, voi siete gli strumenti della Divina Provvidenza. Con il vostro aiuto, presto sorgerà su questa montagna un santuario dedicato al Sacro Cuore di Gesù; lì tutti avranno la comodità di accostarsi ai santi Sacramenti, e la vostra carità e la fede di cui mi avete dato tante e così belle prove saranno sempre ricordate” (MB XVIII,114).

Il 3 di luglio dello stesso anno, 1886, l’ormai venerabile Dorotea de Chopitea, promotrice del lavoro salesiano a Barcellona e facilitatrice della visita di don Bosco alla città, finanziò la costruzione di una piccola cappella dedicata al Sacro Cuore sulla stessa collina.
Il progetto di costruzione del tempio subì un ritardo significativo, soprattutto a causa della comparsa di un nuovo progetto per la costruzione di un osservatorio astronomico sulla cima del Tibidabo, che alla fine fu costruito su una collina vicina (Osservatorio Fabra).
Nel 1902, fu posata la prima pietra della chiesa e nel 1911 fu inaugurata la cripta dell’attuale santuario del Tibidabo, alla presenza dell’allora Rettor Maggiore, don Paolo Albera. Alcuni giorni dopo l’inaugurazione, quest’ultimo fu nominato “Tempio Espiatorio e Nazionale del Sacro Cuore di Gesù” conforme a una decisione presa nell’ambito del XXII Congresso Eucaristico Internazionale, che si tenne a Madrid alla fine del mese di giugno del 1911. L’opera fu completata nel 1961 con l’erezione della statua del Sacro Cuore di Gesù, settantacinque anni dopo la visita di Giovanni Bosco a Barcellona. Nel 29 ottobre 1961, la chiesa ricevette il titolo di basilica minore, concesso da papa Giovanni XXIII.

Oggi, il tempio continua ad attirare un gran numero di pellegrini e visitatori da tutto il mondo. Accoglie cordialmente tutti coloro che vengono alla Basilica del Sacro Cuore di Gesù, per qualsiasi motivo, dando loro l’opportunità di ricevere il messaggio del Vangelo e di accostarsi ai sacramenti, in particolare all’Eucaristia e alla Riconciliazione. È allo stesso tempo una parrocchia affidata ai Salesiani, anche se ha pochi parrocchiani stabili.
Per coloro che sono venuti con l’intenzione di trascorrere un po’ di tempo in preghiera mette a disposizione anche i materiali offerti dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, di cui il Tempio è membro.
Si continua l’adorazione del Santissimo Sacramento durante il giorno, e si incoraggia la pratica dell’adorazione notturna.
E a coloro che voglio fare un ritiro, mette a disposizione alloggio e vitto all’interno della struttura salesiana.
Un’opera dedicata al Sacro Cuore di Gesù voluta dalla Provvidenza tramite san Giovanni Bosco, che continua la sua missione attraverso la storia.

don Joan Codina i Giol, sdb
direttore Tibibabo

Galleria foto – Casa salesiana al Tibidabo

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Benedizione della Cappella del Sacro Cuore, Tibidabo, 03.07.1886
Sentiero alla Cappella del Sacro Cuore, Tibidabo, 1902
Tempio Espiatorio del Sacro Cuore. Cripta nel 1911
Statua del Sacro Cuore al Tibidabo
Cupola dell'altare della cripta al Tibidabo
Dettaglio nella cupola dell'altare della cripta al Tibidabo. Don Bosco riceve la proprietà





Basilica del Sacro Cuore a Roma

Al tramonto della vita, ubbidendo a un desiderio di papa Leone XIII, don Bosco assume la difficile costruzione del tempio del Sacro Cuore di Gesù al Castro Pretorio di Roma. Per portare a termine l’impresa gigantesca non ha risparmiato faticosi viaggi, umiliazioni, sacrifici, che hanno abbreviato la sua preziosa vita di apostolo della gioventù.

La devozione al Sacro Cuore di Gesù risale agli inizi della Chiesa. Nei primi secoli i Santi Padri invitavano a guardare il Costato trafitto di Cristo, simbolo di amore, anche se non rimandava in modo esplicito al Cuore del Redentore.
I primi riferimenti trovati sono quelli che provengono dai mistici Matilde di Magdeburgo (1207-1282), santa Matilde di Hackeborn (1241-1299), santa Gertrude di Helfta (ca. 1256-1302) e beato Enrico Suso (1295-1366).
Uno sviluppo importante arriva con le opere di san Giovanni Eudes (1601-1680), poi con le rivelazioni private della visitandina santa Margherita Maria Alacoque, diffuse da san Claude de la Colombière (1641-1682) e dai suoi confratelli gesuiti.
Alla fine dell’800 si diffondono le chiese consacrate al Sacro Cuore di Gesù, principalmente come templi espiatori.
Con la consacrazione del genere umano al Sacro Cuore di Gesù, tramite l’enciclica di Leone XIII, Annum Sacrum (1899) il culto si estende notevolmente e si rafforza con altre due encicliche che verranno più tardi: Miserentissimus Redemptor (1928) di Pio XI e soprattutto Haurietis Aquas (1956) di Pio XII.

Ai tempi di don Bosco, dopo la costruzione della stazione ferroviaria Termini da parte di papa Pio IX nel 1863, cominciano a popolarsi le vicinanze, e le chiese circostanti non riuscivano a servire i fedeli in modo adeguato. Nasce così il desiderio di edificare un tempio nella zona, ed si è inizialmente pensato di dedicarlo a san Giuseppe, nominato come patrono della Chiesa Universale l’8 dicembre 1870. Dopo una serie di avvenimenti, nel 1871 il papa cambia il patronaggio della voluta chiesa, dedicandola al Sacro Cuore di Gesù, e rimane in stato di progetto fino al 1879. Intanto il culto verso il Sacro Cuore continua a diffondersi, e nel 1875, a Parigi, sulla collina più alta della città, Montmartre (Monte dei Martiri), si pone la prima pietra alla chiesa omonima, Sacré Cœur, che verrà completata nel 1914 e consacrata nel 1919.

Dopo la morte di papa Pio IX, il nuovo papa Leone XIII (come arcivescovo di Perugia aveva consacrato la sua diocesi al Sacro Cuore) decide di riprendere il progetto, e il 16 agosto 1879 si pone la prima pietra. I lavori si interrompono poco dopo per la mancanza di sostegno finanziario. Uno dei cardinali, Gaetano Alimonda (futuro arcivescovo di Torino) consiglia al papa di affidare l’impresa a don Bosco e, anche se il pontefice inizialmente è titubante sapendo gli impegni delle missioni salesiane dentro e fuori l’Italia, fa la proposta al Santo nell’aprile del 1880. Don Bosco non ci pensa due volte e risponde: “Il desiderio del Papa è per me un comando: accetto l’impegno che Vostra Santità ha la benevolenza di affidarmi”. All’avvertimento del Papa che non potrà sostenerlo economicamente, il Santo chiede solo l’apostolica benedizione e i favori spirituali necessari per il compito affidato.

Posa della prima pietra della chiesa Sacro Cuore di Gesù a Roma

Di ritorno a Torino, vuole avere l’approvazione del Capitolo per questa impresa; dei sette voti, solo uno è positivo: il suo… Il Santo non si scoraggiò e argomentò: “Mi avete dato tutti un no rotondo e sta bene, perché avete agito secondo la prudenza necessaria in casi seri e di grande importanza come questo. Ma se invece di un no mi date un sì, io vi assicuro che il Sacro Cuore di Gesù manderà i mezzi per fabbricare la sua chiesa, pagherà i nostri debiti e ci darà una bella mancia” (MB XIV,580). Dopo questo intervento si è ripetuta la votazione e i risultati furono tutti positivi e la mancia principale fu l’Ospizio del Sacro Cuore che fu costruito accanto alla chiesa per i ragazzi poveri e abbandonati. Questo secondo progetto dell’Ospizio è stato inserito in una Convenzione fatta l’11 dicembre 1880, che garantiva l’uso perpetuo della chiesa alla Congregazione Salesiana.
L’accettazione gli causerà gravi preoccupazioni e gli costerà la salute, ma don Bosco che insegnava ai suoi figli il lavoro e la temperanza e diceva che sarebbe stato un giorno di trionfo quello in cui si fosse detto che un salesiano era morto sulla breccia affranto dalla fatica, li precedeva con l’esempio.

L’edificazione del Tempio del Sacro Cuore al Castro Pretorio in Roma venne realizzata non solo per l’obbedienza al Papa ma anche per la devozione.
Riprendiamo uno dei suoi interventi su questa devozione, fatto in una buonanotte rivolta agli allievi e confratelli a un solo mese di distanza dall’incarico, il 3 di giugno del 1880, vigilia della festa del Sacro Cuore.
Domani, miei cari figliuoli, la Chiesa celebra la festa del Sacro Cuore di Gesù. Bisogna che anche noi con grande impegno procuriamo di onorarlo. È vero che la solennità esterna la trasporteremo a domenica; ma domani incominciamo a far festa nel nostro cuore, a pregare in modo speciale, a far comunioni fervorose. Domenica poi ci sarà musica e le altre cerimonie del culto esterno, che rendono tanto belle e maestose le feste cristiane.
Qualcheduno di voi vorrà sapere che cosa sia questa festa e perché si onori specialmente il Sacro Cuore di Gesù. Vi dirò che questa festa non è altro che onorare con una speciale rimembranza l’amore che Gesù portò agli uomini. Oh l’amore grandissimo, infinito che Gesù ci portò nella sua incarnazione e nascita, nella sua vita e predicazione, e particolarmente nella sua passione e morte! Siccome poi sede dell’amore è il cuore, così si venera il Sacro Cuore, come oggetto che serviva di fornace a questo smisurato amore. Questo culto al Sacratissimo Cuor di Gesù, cioè all’amore che Gesù ci dimostrò, fu di tutti i tempi e sempre; ma non sempre vi fu una festa appositamente stabilita per venerarlo. Come sia comparso Gesù alla Beata Margherita una festa le abbia manifestato i grandi beni che verranno agli uomini onorando di culto speciale il suo amabilissimo cuore, e come se ne sia perciò stabilita la festa, lo sentirete nella predica di domenica a sera.
Ora facciamoci coraggio ed ognuno faccia del suo meglio per corrispondere a tanto amore che Gesù ci ha portato.
(MB XI,249)

Sette anni più tardi, nel 1887, la chiesa fu completata per il culto. Il 14 maggio di quell’anno don Bosco assistette con commozione alla consacrazione del tempio, presieduta solennemente dal cardinale vicario Lucido Maria Parocchi. Due giorni più tardi, il 16 maggio, celebrò l’unica Santa Messa in questa chiesa, all’altare dell’Ausiliatrice, interrotta ben più di quindici volte dalle lacrime. Erano lacrime di riconoscenza per la luce divina ricevuta: aveva capito le parole del suo sogno di nove anni: “A suo tempo tutto comprenderai!”. Un compito portato a termine tra tante incomprensioni, difficoltà e fatiche, ma che corona una vita spesa per Dio e per i giovani, premiato dalla stessa Divinità.

Recentemente è stato realizzato un video sulla Basilica del Sacro Cuore. Ve lo proponiamo a seguire.