15 Dic 2025, Lun

L’influenza dei social media sui giovani

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Il 10 dicembre 2025 l’Australia è diventata il primo paese al mondo a vietare l’utilizzo dei social media ai minori di 16 anni, segnando un punto di svolta nella regolamentazione delle piattaforme digitali. La legge, che impone alle aziende tecnologiche di implementare misure efficaci per impedire l’accesso agli under 16 o rischiare multe fino a 50 milioni di dollari australiani, riaccende il dibattito globale sull’impatto dei social network sulla salute mentale dei giovani. Ma forse l’aspetto più rivelatore di questa discussione emerge da un paradosso inquietante: gli stessi leader che hanno creato e gestiscono queste piattaforme ne limitano drasticamente l’uso per i propri figli.

Il paradosso della Silicon Valley: i leader tecnologici limitano l’accesso ai loro stessi prodotti per i figli
Neal Mohan, amministratore delegato di YouTube dal 2023 e nominato CEO dell’anno 2025 dalla rivista Time, ha recentemente ammesso di imporre rigorose restrizioni all’uso dei social media per i suoi tre figli. In un’intervista, Mohan ha dichiarato che lui e sua moglie limitano attivamente il tempo che i loro figli trascorrono su YouTube e altre piattaforme, adottando regole più severe durante i giorni feriali e concedendo maggiore libertà nei weekend.
Mohan ha espresso la convinzione nel principio della moderazione quando si tratta di servizi e piattaforme online per i loro tre figli. Questa posizione è particolarmente significativa considerando che Mohan guida una delle piattaforme video più popolari al mondo, con miliardi di utenti attivi. Il suo approccio personale rivela una consapevolezza profonda dei rischi che questi strumenti possono comportare per lo sviluppo dei giovani.

Mohan non è certo un caso isolato. La sua predecessora, Susan Wojcicki, ex CEO di YouTube, aveva adottato una politica ancora più restrittiva. Wojcicki vietava ai suoi figli di navigare video sull’app principale, permettendo loro di utilizzare esclusivamente YouTube Kids con limiti di tempo rigidamente stabiliti.
Sundar Pichai, CEO di Google e superiore di Mohan, ha parlato di monitorare attentamente l’uso della tecnologia dei suoi figli.
Bill Gates, cofondatore di Microsoft, rappresenta un altro esempio emblematico di questa tendenza. Gates ha parlato apertamente di non aver dato smartphone ai suoi figli fino all’adolescenza. Gates ha raccontato di non dare ai suoi figli telefoni cellulari fino ai 14 anni, nonostante si lamentassero che altri bambini li avevano ricevuti prima. Inoltre, la famiglia Gates aveva regole severe come il divieto di utilizzare dispositivi a tavola durante i pasti.
Mark Cuban, l’imprenditore miliardario, si è spinto ancora oltre, installando router Cisco e software di gestione per monitorare quali app utilizzavano i suoi figli e interrompere l’attività telefonica quando necessario. Questa vigilanza attiva dimostra il livello di preoccupazione che anche gli investitori più esperti del settore tecnologico nutrono verso i propri prodotti.
Più recentemente, Steve Chen, cofondatore di YouTube, ha lanciato un allarme specifico sui contenuti in formato breve. Chen ha avvertito che i video brevi equivalgono a tempi di attenzione più brevi e ha dichiarato che non vorrebbe che i suoi figli consumassero esclusivamente questo tipo di contenuti, citando preoccupazioni sull’incapacità di guardare video più lunghi di 15 minuti.
Evan Spiegel di Snapchat limita i suoi figli a un tempo minimo davanti allo schermo.
Steve Jobs, il defunto cofondatore di Apple, era famoso per aver limitato l’uso dell’iPad dei suoi figli, come raccontato nelle biografie.
Tim Cook, l’attuale CEO di Apple, ha espresso preoccupazioni sull’uso eccessivo, sostenendo strumenti integrati come Screen Time.

Il fatto che i creatori e i leader delle piattaforme social limitino l’accesso dei propri figli ai loro stessi prodotti dovrebbe far riflettere profondamente la società. Come ha osservato un commentatore: Le persone che hanno costruito i social media non si fidano di essi per crescere i propri figli. Questo paradosso solleva domande fondamentali sulla responsabilità etica delle aziende tecnologiche e sul dovere di proteggere gli utenti più vulnerabili.
Queste scelte personali contrastano nettamente con le strategie aziendali che danno priorità alla crescita rispetto alla moderazione.

L’impatto documentato sulla salute mentale
Le preoccupazioni di questi leader tecnologici non sono infondate. La ricerca scientifica ha prodotto una quantità crescente di evidenze sui rischi associati all’uso eccessivo dei social media da parte dei giovani. Uno studio americano ha rilevato che gli adolescenti di età compresa tra 12 e 15 anni che utilizzavano i social media per più di tre ore al giorno affrontavano il doppio del rischio di avere esiti negativi sulla salute mentale, inclusi sintomi di depressione e ansia.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha documentato un aumento allarmante nell’uso problematico dei social media tra gli adolescenti nella regione europea. I tassi sono passati dal 7% nel 2018 all’11% nel 2022, con le ragazze che riportano livelli più alti rispetto ai ragazzi (13% contro 9%). Questi dati evidenziano non solo la portata del problema, ma anche le differenze di genere nell’impatto dei social media.
La ricerca ha identificato diversi meccanismi attraverso cui i social media possono danneggiare la salute mentale dei giovani. Il confronto sociale continuo rappresenta uno dei fattori più insidiosi. Gli adolescenti trascorrono ore curando le proprie identità online, cercando di proiettare un’immagine idealizzata di sé stessi. Le ragazze selezionano centinaia di foto, agonizzando su quali pubblicare, mentre i ragazzi competono per l’attenzione cercando di superarsi a vicenda in contenuti sempre più estremi.
Il cyberbullismo emerge come un altro fattore critico. La ricerca dimostra che l’esposizione degli adolescenti alla discriminazione online e all’odio predice aumenti nei sintomi di ansia e depressione, anche dopo aver controllato quanto gli adolescenti sono esposti a esperienze simili offline. Il bullismo online può essere più grave e quindi più dannoso per lo sviluppo psicologico rispetto al bullismo tradizionale.

Gli algoritmi e la “cocaina comportamentale”
Un aspetto particolarmente preoccupante riguarda il design stesso delle piattaforme social. Il Ministro delle Comunicazioni australiano ha utilizzato una metafora potente, descrivendo gli algoritmi dei social media come “cocaina comportamentale”, citando le parole di chi ha creato questa funzionalità. Questa definizione cattura l’essenza del problema: le piattaforme sono progettate per massimizzare il coinvolgimento degli utenti, spesso a scapito del loro benessere.
Gli algoritmi sono programmati per promuovere qualsiasi contenuto verso cui l’utente mostra interesse. Se un adolescente cerca informazioni su condizioni di salute mentale come depressione o suicidio, l’algoritmo inizierà a fornirgli sempre più contenuti su questi temi, creando potenzialmente un ambiente che rinforza pensieri negativi.

La legge australiana: un modello per il mondo?
La decisione dell’Australia di vietare i social media ai minori di 16 anni rappresenta un esperimento sociale senza precedenti. La legge, approvata dal Parlamento nel novembre 2024, è entrata in vigore con un supporto pubblico significativo: un sondaggio ha rilevato che il 77% degli australiani supportava il limite di età.
Le piattaforme interessate dal divieto includono Instagram, Facebook, Threads, Snapchat, TikTok, YouTube, X (ex Twitter), Reddit, Twitch e Kick. Sono esclusi servizi come YouTube Kids, Google Classroom, WhatsApp e piattaforme di gaming come Roblox e Discord. La responsabilità dell’applicazione ricade interamente sulle società tecnologiche, che devono adottare “misure ragionevoli” per impedire ai minori di 16 anni di creare o mantenere account.
Il Primo Ministro australiano ha dichiarato che la legge restituisce il controllo alle famiglie australiane, affermando il diritto dei bambini di essere bambini e dando ai genitori maggiore tranquillità. L’obiettivo dichiarato è riportare i giovani dalle schermate ai campi sportivi, alle classi d’arte e alle interazioni nella vita reale.

Le critiche e i dubbi sull’efficacia
Nonostante il supporto pubblico, la legge australiana non è priva di critiche. UNICEF Australia ha espresso preoccupazione che la vera soluzione dovrebbe essere migliorare la sicurezza dei social media, non semplicemente ritardare l’accesso. L’organizzazione sottolinea che i social media hanno anche aspetti positivi, come l’educazione e il mantenimento dei contatti con gli amici.
I critici sostengono che il divieto potrebbe spingere i giovani verso parti meno sicure di internet o incoraggiarli a utilizzare VPN per aggirare le restrizioni. La legge potrebbe portare i bambini verso piattaforme alternative o app private come Telegram, spingendoli in spazi online meno regolamentati.

Il ruolo dei genitori e della scuola dell’educazione digitale
Al di là delle legislazioni governative, emerge con chiarezza il ruolo cruciale dei genitori nell’educare i figli a un uso consapevole dei social media. La supervisione attiva e i limiti chiari sono essenziali.
Jonathan Haidt, professore alla New York University e autore di “The Anxious Generation”, ha sostenuto che i bambini non dovrebbero avere smartphone fino ai 14 anni. Haidt raccomanda di dare ai bambini telefoni cellulari base invece di smartphone, sottolineando che uno smartphone non è realmente un telefono, è un dispositivo multiuso attraverso cui il mondo può raggiungere i tuoi figli.
È molto importante la comunicazione aperta. Piuttosto che monitorare invasivamente i contenuti del telefono degli adolescenti, si suggerisce di mantenere linee di comunicazione aperte e stabilire fiducia, in modo che i ragazzi si sentano a proprio agio nel rivolgersi ai genitori in caso di problemi.

L’OMS ha sottolineato che l’educazione all’alfabetizzazione digitale è fondamentale, raccomandando l’implementazione di programmi nelle scuole che coprano l’uso responsabile dei social media, la sicurezza online, il pensiero critico e abitudini di gaming sane.
Le scuole dovrebbero incorporare l’educazione all’alfabetizzazione digitale nei loro curricula, insegnando agli studenti come navigare i social media in modo sano e produttivo. Questo approccio multidisciplinare, che integra regolamentazione politica, alfabetizzazione digitale e interventi mirati sulla salute mentale, sarà essenziale per creare un ambiente digitale più sano per gli adolescenti.

Prospettive future
L’iniziativa australiana potrebbe creare un effetto domino globale. Paesi come Norvegia, Francia, Spagna, Malaysia e Nuova Zelanda stanno esplorando divieti simili. La Danimarca ha annunciato il mese scorso che vieterà l’accesso ai social media a chiunque abbia meno di 15 anni, con la legge che potrebbe entrare in vigore già a metà del prossimo anno.
Nel Regno Unito, recenti regolamentazioni impongono sanzioni severe alle aziende online che non riescono a proteggere i giovani utenti da contenuti dannosi. Negli Stati Uniti, tentativi simili, come quelli nello Utah, hanno affrontato sfide legali, evidenziando la natura controversa di tali regolamentazioni.

L’influenza dei social media sui giovani rappresenta una delle sfide più complesse della nostra era digitale. La decisione dell’Australia di vietare l’accesso ai minori di 16 anni, sostenuta dall’esempio dei leader tecnologici che limitano i propri figli, evidenzia la gravità del problema. Tuttavia, la soluzione non può risiedere esclusivamente nel divieto.
È necessario un approccio multiforme che combini regolamentazione efficace, educazione all’alfabetizzazione digitale, supervisione genitoriale attiva e, soprattutto, una maggiore responsabilità da parte delle aziende tecnologiche nel progettare piattaforme che antepongano il benessere degli utenti al profitto. Come ha affermato il Dr. Hans Henri P. Kluge, Direttore Regionale dell’OMS per l’Europa: i giovani dovrebbero dominare i social media, non essere dominati da essi.
Il comportamento dei leader tecnologici con i propri figli offre forse la lezione più chiara: le applicazioni non imporranno limiti da sole. I bambini hanno bisogno di regole, cura e consigli reali a casa. Lasciare i bambini soli con i social media non è libertà, è negligenza. Questa verità scomoda dovrebbe guidare genitori, educatori e legislatori nel creare un futuro digitale più sicuro per le generazioni future.
La sfida ora è trovare l’equilibrio giusto tra proteggere i giovani dai rischi reali dei social media e permettere loro di beneficiare delle opportunità che la tecnologia digitale può offrire. Mentre il mondo osserva l’esperimento australiano, una cosa è certa: il dibattito sulla regolamentazione dei social media per i minori è appena iniziato, e le decisioni che prenderemo oggi plasmeranno la salute mentale e il benessere delle generazioni future.

Editor BSOL

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