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La Santa Sindone di Torino, reliquia tra le più venerate della cristianità, ha una storia millenaria intrecciata con quella dei Savoia e della città sabauda. Giunta a Torino nel 1578, divenne oggetto di profonda devozione, con ostensioni solenni legate a eventi storici e dinastici. Nell’Ottocento, figure come san Giovanni Bosco e altri santi torinesi ne promossero il culto, contribuendo alla sua diffusione. Oggi custodita nella Cappella del Guarini, la Sindone è al centro di studi scientifici e teologici. Parallelamente, la chiesa del Santo Sudario a Roma, legata ai Savoia e alla comunità piemontese, rappresenta un altro luogo significativo, dove don Bosco tentò di stabilire una presenza salesiana.
La Santa Sindone di Torino, detta impropriamente «Santo Sudario» dall’uso francese di chiamarla «Le Saint Suaire», fu proprietà di Casa Savoia sin dal 1463, e venne trasferita da Chambery nella nuova capitale sabauda nel 1578.
In quello stesso anno se ne celebrò la prima Ostensione, voluta da Emanuele Filiberto in omaggio al card. Carlo Borromeo che veniva a Torino in pellegrinaggio per venerarla.
Ostensioni nel secolo XIX e culto della Sindone
Nel secolo XIX si ricordano in particolare le Ostensioni del 1815, 1842, 1868 e 1898: la prima per il rientro dei Savoia nei loro Stati, la seconda per le nozze di Vittorio Emanuele II con Maria Adelaide di Asburgo-Lorena, la terza per le nozze di Umberto I con Margherita di Savoia-Genova, e la quarta in occasione dell’Esposizione Universale.
I Santi dell’800 torinese, il Cottolengo, il Cafasso e don Bosco, furono devotissimi della Santa Sindone, emuli sull’esempio del Beato Sebastiano Valfré, l’apostolo di Torino nell’assedio del 1706.
Le Memorie Biografiche ci assicurano che don Bosco la venerò in particolare all’Ostensione del 1842 e a quella del ’68, quando portò anche i ragazzi dell’oratorio a vederla (MB II, 117; IX, 137).
Oggi la tela senza prezzo, donata da Umberto II di Savoia alla Santa Sede, è affidata all’Arcivescovo di Torino «Custode Pontificio» e conservata nella sontuosa Cappella del Guarini, retrostante il Duomo.
A Torino vi è pure, in via Piave angolo via San Domenico, la Chiesa del Santo Sudario, eretta dalla Confraternita omonima e rifatta nel 1761. Adiacente alla chiesa vi è il «Museo Sindonologico» e la sede del Sodalizio «Cultores Sanctae Sindonis», centro di studi sindonologici ai quali hanno dato preziosi contributi studiosi salesiani come don Natale Noguier de Malijay, don Antonio Tonelli, don Alberto Caviglia, don Pietro Scotti e, più recentemente, don Pietro Rinaldi e don Luigi Fossati, per nominare solo i principali.
La chiesa del Santo Sudario a Roma
Una chiesa del Santo Sudario esiste anche a Roma lungo la via omonima che parte dal Largo Argentina parallelamente a Corso Vittorio. Eretta nel 1604 su disegno di Carlo di Castellamonte, fu la Chiesa dei Piemontesi, Savoiardi e Nizzardi, fatta costruire dalla Confraternita del Santo Sudario sorta in quel tempo a Roma. Dopo il 1870 divenne la chiesa particolare di Casa Savoia.
Don Bosco nei suoi soggiorni romani celebrò varie volte la Santa Messa in quella chiesa e formulò su di essa e sulla casa adiacente un progetto in linea con lo scopo dell’allora estinta Confraternita, dedita ad opere caritative verso la gioventù abbandonata, gli infermi ed i carcerati.
La Confraternita aveva cessato di operare agli inizi del secolo e la proprietà ed amministrazione della chiesa erano passate alla Legazione Sarda presso la Santa Sede. Negli anni ’60 la chiesa esigeva ormai grossi restauri tanto che nel 1868 venne temporaneamente chiusa.
Ma già nel 1867 don Bosco era giunto all’idea di proporre al Governo Sabaudo di cedergliene l’uso e l’amministrazione, offrendo la propria collaborazione in denaro per condurre a termine i restauri. Forse egli presentiva non lontana l’entrata delle truppe piemontesi in Roma e, desiderando di aprirvi una casa, pensò di farlo prima che la situazione precipitasse rendendo più difficile ottenere il beneplacito della Santa Sede ed il rispetto degli accordi da parte dello Stato (MB IX, 415-416).
Presentò quindi la richiesta al Governo. Nel 1869, in una sosta a Firenze, preparò un progetto di convenzione che, giunto a Roma, fece conoscere a Pio IX. Ottenuto il suo assenso, passò alla richiesta ufficiale al Ministero degli Affari Esteri, ma, purtroppo, l’occupazione di Roma venne poi a pregiudicare tutto l’affare. Don Bosco stesso vide l’inopportunità di insistere. L’assumere, infatti, in quel momento, l’ufficiatura di una chiesa romana appartenente ai Savoia da parte di una Congregazione religiosa con Casa Madre a Torino, sarebbe potuto apparire un atto di opportunismo e di servilismo verso il nuovo Governo.
Dopo la breccia di Porta Pia, con verbale del 2 dicembre 1871, la Chiesa del SS. Sudario fu annessa alla Casa Reale e designata come sede ufficiale del Cappellano maggiore palatino. In seguito all’interdetto di Pio IX sulle Cappelle dell’ex palazzo apostolico del Quirinale, fu proprio nella Chiesa del Sudario che si svolgevano tutti i riti sacri della Famiglia Reale.
Nel 1874 don Bosco tastò nuovamente il terreno presso il Governo. Ma, sfortunatamente, notizie intempestive trapelate dai giornali, mandarono definitivamente a monte il progetto (MB X, 1233-1235).
Con la fine della monarchia, nel 2 di giugno del 1946, l’intero complesso del Sudario passò sotto la gestione della Segreteria Generale della Presidenza della Repubblica. Nel 1984, a seguito del nuovo Concordato che sancì l’abolizione delle Cappelle palatine, la Chiesa del Sudario fu affidata all’Ordinariato Militare e così è rimasta fino ad oggi.
A noi, tuttavia, piace ricordare il fatto che don Bosco, nel cercare l’occasione propizia per aprire una casa in Roma, abbia posto lo sguardo sulla Chiesa del Santo Sudario.