Con don Bosco. Sempre

Non è indifferente celebrare un Capitolo generale in un luogo o in un altro. Certamente, a Valdocco, nella “culla del carisma”, abbiamo l’opportunità di riscoprire la genesi della nostra storia e ritrovare l’originalità che costituisce il cuore della nostra identità di consacrati e apostoli dei giovani.

Nella cornice antica di Valdocco, in cui tutto parla delle nostre origini, sono quasi obbligato a fare memoria di quel dicembre del 1859, in cui don Bosco aveva preso una decisione incredibile, unica nella storia: fondare una congregazione religiosa con dei ragazzi.
Li aveva preparati, ma erano pur sempre giovanissimi. «Da molto tempo pensavo di fondare una Congregazione. Ecco giunto il momento di venire al concreto» spiegò con semplicità don Bosco. «Veramente questa Congregazione non nasce adesso: esisteva già per quell’insieme di Regole che voi avete sempre osservato per tradizione… Si tratta ora di andare avanti, di costituire normalmente la Congregazione e di accettarne le Regole. Sappiate però che vi saranno iscritti soltanto coloro che, dopo averci riflettuto seriamente, vorranno fare a suo tempo i voti di povertà, castità e obbedienza… Vi lascio una settimana di tempo per pensarci sopra».
All’uscita dalla riunione ci fu un silenzio insolito. Ben presto, quando le bocche si aprirono, si poté costatare che don Bosco aveva avuto ragione a procedere con lentezza e prudenza. Alcuni borbottavano tra i denti che don Bosco voleva fare di loro dei frati. Cagliero misurava a grandi passi il cortile in preda a sentimenti contraddittori.
Ma il desiderio di «rimanere con don Bosco» ebbe il sopravvento nella maggioranza. Cagliero uscì nella frase che sarebbe diventata storica: «Frate o non frate, io rimango con don Bosco».
Alla «conferenza di adesione», che si tenne la sera del 18 dicembre, erano in 17.
Don Bosco convocò il primo Capitolo Generale il 5 settembre 1877 a Lanzo Torinese. I partecipanti erano ventitré e il Capitolo durò tre giorni interi.
Oggi, per il Capitolo numero 29, i capitolari sono 227. Sono arrivati da tutte le parti del mondo, in rappresentanza di tutti i salesiani.
All’apertura del primo Capitolo generale, Don Bosco disse ai nostri confratelli: «Il Divin Salvatore dice nel santo Vangelo che dove sono due o tre congregati nel suo nome, ivi si trova Egli stesso in mezzo a loro. Noi non abbiamo altro fine in queste radunanze che la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime redente dal prezioso Sangue di Gesù Cristo».  Possiamo quindi essere certi che il Signore sarà in mezzo a noi e che condurrà Egli le cose in modo tale che tutti si sentano a proprio agio.

Un cambiamento d’epoca
L’espressione evangelica: «Gesù chiamò quelli che voleva con sé e li mandò a predicare» (Mc 3,14-15), dice che Gesù sceglie e chiama quelli che vuole. Tra questi ci siamo anche noi. Il Regno di Dio si rende presente e quei primi Dodici sono un esempio e un modello per noi e per le nostre comunità. I Dodici sono persone comuni, con pregi e difetti, non formano una comunità di puri e neppure un semplice gruppo di amici.
Sanno, come ha detto Papa Francesco, che “Viviamo un cambiamento d’epoca più che un’epoca di cambiamenti”.  A Valdocco, in questi giorni, si respira un clima di grande consapevolezza. Tutti i confratelli sentono che questo è un momento di grande responsabilità.
Nella vita della maggioranza dei confratelli, delle ispettorie e della Congregazione ci sono molte cose positive, ma questo non basta e non può servire da “consolazione”, perché il grido del mondo, le grandi e nuove povertà, la lotta quotidiana di tante persone – non soltanto povere ma anche semplici e laboriose – si alza forte come richiesta di aiuto. Sono tutte domande che ci devono provocare e scuotere e non lasciarci tranquilli.
Con l’aiuto delle ispettorie attraverso la consultazione, crediamo di aver individuato da un lato i principali motivi di preoccupazione e dall’altro i segni di vitalità della nostra Congregazione, declinati sempre con i tratti culturali specifici di ogni contesto.
Durante il Capitolo proponiamo di concentrarci su cosa significhi per noi essere veramente salesiani appassionati di Gesù Cristo, perché senza questo offriremo buoni servizi, faremo del bene alle persone, aiuteremo, ma non lasceremo una traccia profonda.
La missione di Gesù continua e si rende visibile oggi nel mondo anche attraverso noi, suoi inviati. Siamo consacrati per costruire ampi spazi di luce per il mondo di oggi, per essere profeti. Siamo stati consacrati da Dio e posti alla sequela del suo amato Figlio Gesù, per vivere veramente come conquistati da Dio. Perciò ancora una volta l’essenziale si gioca tutto nella fedeltà della Congregazione allo Spirito Santo, vivendo, con lo spirito di Don Bosco, una vita consacrata salesiana incentrata in Gesù Cristo.
La vitalità apostolica, come vitalità spirituale, è impegno a favore dei giovani, dei ragazzi, nelle più svariate povertà, pertanto non ci si può fermare a offrire solo servizi educativi. Il Signore ci chiama a educare evangelizzando, portando la Sua presenza ed accompagnando la vita con opportunità di futuro.
Siamo chiamati a cercare nuovi modelli di presenza, nuove espressioni del carisma salesiano in nome di Dio. Questo sia fatto in comunione con i giovani e con il mondo, tramite “un’ecologia integrale”, nella formazione di una cultura digitale nei mondi abitati dai giovani e dagli adulti.
Ed è forte il desiderio e l’aspettativa che questo sia un Capitolo generale coraggioso, in cui si dicano le cose, senza perdersi in frasi corrette, ben confezionate, ma che non toccano la vita.
In questa missione non siamo soli. Sappiamo e sentiamo che la Vergine Maria è un modello di fedeltà.
È bello tornare con la mente e con il cuore al giorno della solennità dell’Immacolata Concezione del 1887 quando, due mesi prima della sua morte, Don Bosco disse ad alcuni Salesiani che, commossi, lo guardavano e ascoltavano: «Finora abbiamo camminato sul certo. Non possiamo errare; è Maria che ci guida».
Maria Ausiliatrice, la Madonna di Don Bosco, ci guida. Lei è la Madre di tutti noi ed è Lei che ripete, come a Cana di Galilea in quest’ora del CG29: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
La nostra Madre Ausiliatrice ci illumini e ci guidi, come fece con Don Bosco, ad essere fedeli al Signore e a non deludere mai i giovani, soprattutto quelli più bisognosi.




Siamo noi don Bosco, oggi

«Tu porterai a termine il lavoro che sto iniziando; io farò gli schizzi, tu disegnerai i colori» (Don Bosco)

Cari amici e lettori, membri della Famiglia Salesiana, nel saluto di questo mese sul Bollettino Salesiano mi concentrerò su un importantissimo evento che sta vivendo la Congregazione Salesiana: il 29° Capitolo Generale. Nel cammino della Congregazione Salesiana ogni sei anni si compie questa assise, la più importante che possa vivere la Congregazione.
Molte cose fanno parte della nostra vita, e molti eventi importanti questo anno giubilare ci sta donando; desidero però concentrarmi su questo perché, anche se apparentemente è lontano da noi, riguarda tutti noi.
Don Bosco, Il nostro Fondatore, era consapevole che non tutto sarebbe finito con lui, ma che il suo sicuramente sarebbe stato solo l’inizio di un lungo cammino da percorrere. A sessant’anni, un giorno del 1875, disse a don Giulio Barberis, uno dei suoi più stretti collaboratori: “Tu porterai a termine il lavoro che sto iniziando; io farò gli schizzi, tu disegnerai i colori […] Farò una copia approssimativa della Congregazione e lascerò a quelli che verranno dopo di me il compito di renderla bella”.
Con questa felice e profetica espressione, don Bosco disegnava il cammino che tutti siamo chiamati a compiere; ed in forma massima sta compiendo il Capitolo Generale dei Salesiani di don Bosco in questi tempi a Valdocco.

La profezia delle caramelle
Il mondo di oggi non è quello di don Bosco, ma c’è una caratteristica comune: è un tempo di profonde mutazioni. L’umanizzazione completa, equilibrata e responsabile nelle sue componenti materiali e spirituali era il vero obiettivo di don Bosco. Si preoccupava di riempire lo “spazio interiore” dei ragazzi, formare “teste ben fatte”, “cittadini onesti”. In questo è quanto mai attuale. Il mondo oggi ha bisogno di don Bosco.
All’inizio, per tutti c’è una domanda molto semplice: «Vuoi una vita qualunque o vuoi cambiare il mondo?» Ma si può ancora parlare di mete e di ideali, oggi? Quando smette di correre il fiume diventa una palude. Anche l’uomo.
Don Bosco non ha smesso di camminare. Oggi lo fa con i nostri piedi.
Aveva una convinzione riguardo ai giovani: «Questa porzione la più delicata e la più preziosa della umana società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire, non è per sé stessa di indole perversa… perché se accade talvolta che già siano guasti in quella età, il sono piuttosto per inconsideratezza, che non per malizia consumata. Questi giovani hanno veramente bisogno di una mano benefica, che prenda cura di loro, li coltivi, li guidi…»
Nel 1882 in una conferenza ai Cooperatori a Genova: «Col ritirare, istruire, educare i giovanetti pericolanti si fa un bene a tutta la società civile. Se la gioventù è bene educata avremo col tempo una generazione migliore». È come dire: solo l’educazione può cambiare il mondo.
Don Bosco aveva una capacità di visione quasi spaventosa. Non dice mai “finora”. Ma sempre “d’ora in poi”.
Guy Avanzini, eminente professore di Università, continua a ripetere: «La pedagogia del Ventunesimo secolo sarà salesiana, o non sarà».
Una sera del 1851, da una finestra del primo piano, don Bosco gettò tra i ragazzi una manciata di caramelle. Si accese una grande allegria, e un ragazzo vedendolo sorridere alla finestra gli gridò: «O don Bosco, se potesse vedere tutte le parti del mondo, e in ciascuna di esse tanti oratori!».
Don Bosco fissò nell’aria il suo sguardo sereno e rispose: «Chissà che non debba venire il giorno in cui i figli dell’oratorio non siano sparsi davvero per tutto il mondo».

Guardare distante
Ma cosa è un Capitolo Generale? Perché occupare queste righe su un tema che è specificamente delle Congregazione Salesiana?
Le costituzioni di vita dei Salesiani di don Bosco, all’articolo 146, così definiscono il Capitolo Generale:
“Il Capitolo generale è il principale segno dell’unità della Congregazione nella sua diversità. È l’incontro fraterno nel quale i salesiani compiono una riflessione comunitaria per mantenersi fedeli al Vangelo e al carisma del Fondatore e sensibili ai bisogni dei tempi e dei luoghi.
Per mezzo del Capitolo generale l’intera Società, lasciandosi guidare dallo Spirito del Signore, cerca di conoscere, in un determinato momento della storia, la volontà di Dio per un migliore servizio alla Chiesa”
.
Il Capitolo Generale non è quindi un fatto privato dei salesiani consacrati, ma un’importantissima assise che tutti ci riguarda, che tocca tutta la Famiglia Salesiana e coloro che hanno don Bosco dentro di loro, perché al centro ci sono le persone, la missione, il Carisma di don Bosco, la Chiesa e ciascuno di noi, di voi.
Al centro c’è la fedeltà a Dio e a don Bosco, nella capacità di vedere i segni dei tempi e dei differenti luoghi. Fedeltà che è un continuo movimento, rinnovamento, capacità di guardare lontano e di tenere, allo stesso tempo, i piedi ben piantati per terra.
Per questo si sono radunati circa 250 confratelli salesiani, da ogni parte del mondo, per pregare, pensare, confrontarsi e guardare distante…in fedeltà a don Bosco.
E poi dalla costruzione di questa visione, eleggere il nuovo Rettor Maggiore, il successore di don Bosco e il suo Consiglio Generale.
Non è una cosa fuori dalla tua vita, caro amico\a che leggi, ma dentro la tua esistenza e nel tuo “affetto” a don Bosco. Perché dirti questo? Perché tu accompagni tutto questo con la tua preghiera. La preghiera allo Spirito Santo che aiuti tutti i capitolari a conoscere la volontà di Dio per un migliore servizio alla Chiesa.
Penso che il CG29, ne sono certo, sarà tutto questo. Una esperienza di Dio per ripulire altre parti dello schizzo che Don Bosco ci ha lasciato, come sempre è stato fatto in tutti i Capitoli generali della storia della Congregazione, sempre fedeli al suo disegno.
Sicuri che anche oggi possiamo continuare a essere illuminati per essere fedeli al Signore Gesù nella fedeltà al carisma originale, con i volti, la musica e i colori di oggi.
Non siamo soli in questa missione e sappiamo e sentiamo che Maria, la Madre Ausiliatrice dei cristiani, l’Ausiliatrice della Chiesa, modello di fedeltà, sosterrà i passi di tutti noi.




Servi buoni fedeli e coraggiosi

In questo anno Giubilare, in questo mondo difficile, siamo invitati a metterci in piedi, ripartire e percorrere in novità di vita il nostro cammino di uomini e di credenti.

            Il profeta Isaia si rivolge a Gerusalemme con queste parole: «Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te» (Is. 60,1). L’invito del profeta – ad alzarsi perché viene la luce – appare sorprendente, perché è gridato all’indomani del duro esilio e delle numerose persecuzioni che il popolo ha sperimentato.
            Questo invito, oggi, risuona anche per noi che celebriamo questo anno Giubilare. In questo mondo difficile, anche noi siamo invitati a metterci in piedi, ripartire e percorrere in novità di vita il nostro cammino di uomini e di credenti.
            Tanto più ora che abbiamo avuto la grazia, si perché di grazia si tratta, di celebrare nel ricordo liturgico la Santità di Giovanni Bosco. Non facciamoci l’abitudine: don Bosco è un grande uomo di Dio, geniale e coraggioso, un infaticabile apostolo perché discepolo innamorato profondamente del Cristo. Per noi un padre!
            Nella vita avere un padre è importantissimo, nella fede, alla sequela del Cristo, è uguale: avere un grande padre è un dono inestimabile. Lo senti dentro di te e la sua esperienza credente smuove la tua vita. Se è così per don Bosco, perché non può esser cosi anche per me?
            Una domanda esistenziale che ci mette in movimento e ci cambia, nello spirito del Giubileo, diventando persone “rinnovate”, “cambiate”. Questo è il senso profondo della festa di don Bosco che abbiamo appena celebrato, per tutti noi: imitare non solo ammirare!
In questo anno Giubilare che stiamo vivendo, con il tema della Speranza, presenza di Dio, che ci accompagna, don Bosco è un riferimento chiaro e forte!
            Parlando della Speranza don Bosco scrive, come ho ripreso nel testo della Strenna per quest’anno:
            «Il salesiano» – diceva don Bosco, e parlando del salesiano parla ad ognuno di noi che leggiamo – «è pronto a sopportare il caldo e il freddo, la sete e la fame, le fatiche e il disprezzo ogni volta che si tratti della gloria di Dio e della salvezza delle anime»; il sostegno interiore di questa esigente capacità ascetica è il pensiero del paradiso come riflesso della buona coscienza con cui lavora e vive. «In ogni nostro ufficio, in ogni nostro lavoro, pena o dispiacere, non dimentichiamo mai che Egli tiene minutissimo conto di ogni più piccola cosa fatta pel suo santo nome, ed è di fede, che a suo tempo ci compenserà con abbondante misura. In fin di vita, quando ci presenteremo al suo divin tribunale, mirandoci con volto amorevole, Egli ci dirà: “Bene, servo buono e fedele; perché nel poco sei stato fedele, ti farò padrone del molto; entra nel gaudio del tuo Signore” (Mt 25,2l)».
            «Nelle fatiche e nei patimenti non dimenticare mai che abbiamo un gran premio preparato in cielo». E quando il nostro Padre dice che il salesiano stremato dal troppo lavoro rappresenta una vittoria per tutta la Congregazione, sembra suggerire addirittura una dimensione di fraterna comunione nel premio, quasi un senso comunitario del paradiso!
            In piedi, Salesiani! Così ci chiede don Bosco.

«Salve, salvando salvati»
            Don Bosco è stato uno dei grandi della speranza. Ci sono tanti elementi per dimostrarlo. Il suo spirito salesiano è tutto permeato dalle certezze e dall’operosità caratteristiche di questo dinamismo audace di Spirito Santo.
            Don Bosco ha saputo tradurre nella sua vita l’energia della speranza sui due versanti: l’impegno per la santificazione personale e la missione di salvezza per gli altri; o meglio – e qui risiede una caratteristica centrale del suo spirito – la santificazione personale attraverso la salvezza degli altri. Ricordiamo la famosa formula delle tre “S”: «Salve, salvando salvati». Sembra un gioco mnemonico detto così semplicemente, a mo’ di slogan pedagogico, ma è profondo e indica come i due versanti della santificazione personale e della salvezza del prossimo siano strettamente legati tra loro.
            Monsignor Erik Varden afferma: «Qui e ora, la speranza si manifesta come un barlume. Questo non vuol dire che sia irrilevante. La speranza ha un contagio benedetto che le permette di diffondersi di cuore in cuore. I poteri totalitari lavorano sempre per cancellare la speranza e indurre alla disperazione. Educarsi alla speranza significa esercitarsi alla libertà. In una poesia, Péguy descrive la speranza come la fiamma della lampada del santuario. Questa fiamma, dice, “ha attraversato la profondità delle notti”. Ci permette di vedere ciò che è ora, ma anche prevedere ciò che potrebbe essere. Sperare significa scommettere la propria esistenza sulla possibilità del divenire. È un’arte da praticare assiduamente nell’atmosfera fatalista e deterministica in cui viviamo”.
            Che Dio ci doni di poter vivere così questo anno Giubilare!
            Che possiamo tutti camminare in questo mese con questa visione che “brilla nelle tenebre”, con la Speranza nel cuore che è la presenza di Dio.
            Vi raccomando, in questo mese, la preghiera per la nostra Congregazione Salesiana, che si raduna in Capitolo Generale, accompagnateci tutti con la vostra preghiera ed il vostro pensiero, perché possiamo esser fedeli, come Salesiani, a quanto voleva don Bosco.




La Devozione mariana nella prospettiva di don Bosco

San Giovanni Bosco nutrì una profonda devozione verso Maria Ausiliatrice, una devozione che affonda le radici nelle numerose esperienze del suo intervento materno, iniziate quando aveva solo 9 anni. Questa vera devozione non poteva rimanere solo personale, e così Don Bosco sentì il bisogno di condividerlo con gli altri. Nel 1869 fondò l’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA), che ancora oggi continua a essere una vivace realtà spirituale. Ogni 5-6 anni l’associazione organizza Congressi internazionali in onore di Maria Ausiliatrice. L’ultimo, il IX Congresso, si è tenuto a Fatima, in Portogallo, dal 29 agosto al 1° settembre 2024. Presentiamo l’intervento conclusivo del Vicario del Rettor Maggiore, don Stefano Martoglio.


Prendo parola volentieri in questo Congresso Mariano, dopo quanto abbiamo ascoltato e vissuto per riaffermare un atto di affidamento personale ed istituzionale, secondo il cuore di Don Bosco e la Fede della Chiesa. Chiudiamo questi nostri giorni con uno degli aspetti spirituali che Don Bosco percepisce e vive come importante a livello personale e qualificante per la sua opera: la devozione mariana. Ci affidiamo alle mani materne di Maria. Qui ora, in questo luogo Santo della presenza di Maria; a lei chiediamo di rendere fecondi nella vita quanto abbiamo qui vissuto, pregato ed ascoltato.
Per cui il mio dire, dopo quanto abbiamo ascoltato e vissuto è fare memoria, cominciando dall’inizio. Farre memoria è importante: vuol dire riconoscere che questo non è nostro, ci è stato affidato, e noi ad altre generazioni dovremmo consegnarlo
Con molta semplicità, dico a me e a ciascuno di noi alcuni aspetti centrali della Presenza di Maria in don Bosco, della sua e nostra devozione.

1. Maria negli scritti di don Bosco, cominciamo dall’inizio.
La donna «di maestoso aspetto, vestita di un manto, che risplendeva da tutte le parti», descritta nel sogno dei nove anni che tanto abbiamo meditato e pensato in questo Bicentenario di questo Sogno, è la Madonna cara alla tradizione popolare e alla devozione comune. Di essa Don Bosco sottolinea soprattutto la amabilità materna. Questa rappresentazione è quella più consona al suo animo, che lo accompagnerà fino all’ultimo respiro di vita.

Nelle Memorie dell’Oratorio vengono richiamati molti degli aspetti e delle devozioni tipiche della religiosità popolare: rosario in famiglia, Angelus, novene e tridui, invocazioni e giaculatorie, consacrazioni, visite ad altari e a santuari, feste mariane (Maternità, Nome di Maria, Madonna del Rosario, Addolorata, Consolata, Immacolata, Madonna delle grazie…). Attenzione: quando diciamo aspetti tipici della religiosità popolare, non diciamo una cosa facile né “automatica”. La religiosità popolare è la quinta essenza, il distillato, dell’esperienza di secoli che ci viene portata in dono; di cui dobbiamo appropriarci.

Nel periodo degli studi a Chieri, appaiono più elementi che collegano la devozione mariana alle scelte spirituali del giovane Bosco, soprattutto la maturazione vocazionale e il consolidamento delle virtù che formano il buon seminarista. La Madonna del seminario è l’Immacolata (in tutti i seminari piemontesi, e in quelli influenzati dalla tradizione lazzarista, la cappella è dedicata all’Immacolata fin dal ‘600).
Questo, appunto, è l’aspetto che caratterizza la pietà mariana per il giovane don Bosco (formato alla scuola di S. Alfonso): la vera devozione, che si esprime soprattutto in una vita virtuosa, garantisce il patrocinio più possente che si possa avere in vita e in morte.

Lo scriverà anche nel Giovane provveduto nel 1847: «Se sarete suoi devoti, oltre a colmarvi di benedizioni in questo mondo, avrete il paradiso nell’altra vita».

Ma è soprattutto nel libretto Il mese di maggio consacrato a Maria SS. Immacolata ad uso del popolo (1858), che il santo inquadra esplicitamente e insistentemente la devozione mariana popolare e giovanile in un contesto finalizzato ad un concreto serio impegno di vita cristiana vissuta con fervore e amore.

«Tre cose da praticarsi in tutto il mese: 1. Fare quanto possiamo per non commettere alcun peccato nel corso di questo mese: sia esso tutto consacrato a Maria. 2. Darsi grande sollecitudine per l’adempimento de’ doveri spirituali e temporali del nostro stato … 3. Invitare i nostri parenti ed amici e tutti quelli che da noi dipendono a prendere parte alle pratiche di pietà che si fanno in onore di Maria nel corso del mese”.

L’altro tema, ereditato da tutta una tradizione devota, è il collegamento tra devozione mariana e salvezza eterna: «Poiché il più bell’ornamento del cristianesimo è la Madre del Salvatore, Maria Santissima, così a Voi mi rivolgo, o clementissima Vergine Maria, io sono sicuro di acquistare la grazia di Dio, il diritto al Paradiso, di riacquistare insomma la perduta mia dignità, se Voi pregherete per me: Auxilium christianorum, ora pro nobis». Don Bosco è convinto che Maria interviene come avvocata efficacissima e mediatrice potentissima presso Dio.
Dieci anni più tardi (1868), per l’inaugurazione della chiesa di Maria Ausiliatrice, il santo scrive e diffonde un fascicolo intitolato Maraviglie della Madre di Dio invocata sotto il titolo di Maria Ausiliatrice. In quest’operetta è sottolineata la dimensione ecclesiale, sulla quale si va sempre più aprendo lo sguardo di Don Bosco e si orientano le sue preoccupazioni missionarie e educative.

I titoli di Immacolata e di Ausiliatrice nel contesto ecclesiale del tempo evocano lotte e trionfi, il “grande scontro” tra Chiesa e società liberale. Si fa una lettura religiosa degli eventi politici e sociali, sulla linea della reazione cattolica all’incredulità, al liberalismo, alla scristianizzazione.
Tuttavia Don Bosco, per i suoi ragazzi e i suoi salesiani, continua a sottolineare prevalentemente la dimensione ascetico-spirituale e apostolica della pietà mariana. Infatti, la pratica del mese di Maria e delle varie devozioni mira a determinare nei giovani la decisione di un maggior impegno nel proprio dovere, ad esercitare le virtù, ad un ardore ascetico (mortificazioni in onore di Maria), ad una carità operativa ad una generosa azione di apostolato tra i compagni.
Cioè, Don Bosco tende ad assegnare all’Immacolata e all’Ausiliatrice un ruolo determinate nell’opera educativa e formativa e a valorizzare, nel clima del fervore mariano del tempo, esercizi virtuosi e pratiche devote per condurre una vita di purificazione dal peccato e dall’affetto ad esso e di crescente totalità di dono di sé a Dio.

Dunque: lotta contro il peccato e orientamento a Dio, santificazione di sé e del prossimo, servizio di carità, forza nel portare la croce e impegno missionario. Sono questi i tratti salienti di una devozione mariana che ha ben poco di devozionalistico e di sentimentale (nonostante il clima dell’epoca e i gusti popolari che, comunque, Don Bosco valorizza).
Che cammino in don Bosco e dell’uomo di fede don Bosco! Tra quanto avete in cuore vorrei mettere un accento: anche io, anche noi dobbiamo camminare nella devozione. Non si sta fermi, se non si va avanti si va indietro…e nessuno può farlo al posto mio!

2. Maria nella vita di don Bosco, espressioni quotidiane della devozione di don Bosco e devozione nostra

2.1. Il senso di una presenza
Maria è, nella vita di Don Bosco, una presenza percepita, amata, attiva e stimolante, finalizzata al grande affare della salvezza eterna e della santità. Egli la sente vicina e si affida a lei, lasciandosi guidare e condurre sulle strade della sua vocazione (la sogna, la “vede”).

A Nizza Monferrato nel giugno 1885, Don Bosco si intratteneva nel parlatorio con le madri capitolari delle Figlie di Maria Ausiliatrice, con un filo di voce, stanchissimo. Fu pregato di lasciare loro un ultimo ricordo. «Oh dunque, voi volete che vi dica qualche cosa. Se potessi parlare, quante cose vi vorrei dire! Ma sono vecchio, vecchio cadente, come vedete; stento perfino a parlare. Voglio dirvi solo che la Madonna vi vuole molto, molto bene. E, sapete, essa si trova qui in mezzo a voi. Allora Don Bonetti, vedendolo commosso, lo interruppe e prese a dire, unicamente per distrarlo:
– Si, così, così! Don Bosco vuol dire che la Madonna è vostra Madre e che essa vi guarda e vi protegge.
– No, no, ripigliò il Santo, voglio dire che la Madonna è proprio qui, in questa casa e che è contenta di voi, e che se continuate con lo spirito di ora, che è quello desiderato dalla Madonna… Il buon Padre si inteneriva più di prima e don Bonetti a prendere un’altra volta la parola:
– Sì, così, così! Don Bosco vuol dirvi che, se sarete sempre buone, la Madonna sarà contenta di voi.
– Ma no, ma no, si sforzava di spiegare don Bosco, cercando di dominare la propria commozione. Voglio dire che la Madonna è veramente qui, qui in mezzo a voi! La Madonna passeggia in questa casa e la copre con il suo manto. – In così dire stendeva le braccia, levava le pupille lacrimose in alto e pareva voler persuadere le suore che la Madonna egli la vedeva andare ivi di qua e di là come in casa sua».

È una presenza operativa: colei che accompagna, sostiene, guida, incoraggia; colei che gli è stata donata: «Io ti darò la Maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza». Una presenza che stimola a vivere consapevolmente alla presenza di Dio in una tensione di totalità: «Al pensier di Dio presente / fa’ che il labbro, il cuor, la mente / di virtù seguan la via / o gran Vergine Maria. / Sac. Gio Bosco» (preghiera scritta dal santo ai piedi di una sua fotografia).

Splendido ed essenziale: ciò che non è presenza viva nella mia vita è assenza! Il senso della Presenza, della Provvidenza di Dio, dell’azione di Maria. Un cammino continuo per ciascuno di noi e per tutti noi insieme, Famiglia Salesiana.

2.2. L’energia della missione
Don Bosco collega strettamente Maria con la sua vocazione e il suo ministero. Qui è bene riprendere la presentazione che Don Bosco fa del sogno dei nove anni: «Presomi con bontà per mano – guarda – mi disse… Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi animali tu dovrai farlo pei figli miei». È la missione di salvezza/trasformazione/formazione dei giovani, attraverso la prevenzione, l’educazione, l’istruzione, l’evangelizzazione, e un corredo solido di virtù nell’educatore.
Il Figlio di Maria ne insegna il metodo e l’obiettivo: «Non con le percosse, ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a far loro un’istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù».
La narrazione fatta nel 1873-74 dell’antico sogno ispiratore, si collega con tanti altri racconti di interventi e ispirazioni interiori (i sogni) nei quali il nostro santo ha riferito a Maria un ruolo di animazione, di guida e di sostegno del suo anelito e del suo zelo per la missione di salvezza giovanile.
In questo contesto vanno collocati e interpretati quelli che Don Bosco riconosce come interventi prodigiosi di Maria: le “grazie” accordate alle persone (spirituali e corporali), la potente protezione sua sull’Oratorio e sulla nascente Famiglia salesiana e sul loro prodigioso sviluppo a vantaggio delle anime.
Le grazie personali, l’accorgerci della presenza particolare di Dio, per intercessione di Maria, che guida provvidenzialmente l’esistenza personale e istituzionale. Se non percepisci la Presenza, sei in balia del caso.

2.3. Stimolo alla santità
Don Bosco vive la devozione mariana come stimolo e sostegno della tensione alla perfezione cristiana. Nella stessa prospettiva egli la inculca sapientemente ai giovani per promuovere in essi la vita cristiana e stimolarli al desiderio di santità.
Valorizzando la sensibilità dei suoi ragazzi e i gusti popolari della loro pietà, Don Bosco seppe trasformare una tendenza devozionale, venata di sentimento romantico, in un potente strumento di formazione spirituale (incoraggiando, correggendo, indirizzando).
Maria non ci lascia mai dove ci trova. Come all’inizio dei Segni del Vangelo di Giovanni, sa che noi dobbiamo esser guidati, accompagnati…per un itinerario preciso: fate quello che vi dirà e arriverete lì dove IO vi aspetto, ci dice don Bosco. Vedere l’invisibile.

3. Identità salesiana e devozione mariana
Per concludere vi condivido, con semplicità, ciò di cui viviamo come confratelli, e che è al centro della nostra vocazione. Amo concludere con questa parte, perché è l’ossatura della mia e nostra vita. Se fa tanto bene a me, a noi, sicuramente farà bene a tutti.

Innanzitutto, le Costituzioni, che ci delineano i tratti caratterizzanti della nostra devozione mariana. L’articolo 8 (collocato nel primo capitolo, relativo agli elementi che assicurano l’identità della Congregazione Salesiana) sintetizza il senso della presenza di Maria nella nostra Società: ella ha indicato a Don Bosco il suo campo d’azione, l’ha costantemente guidato e sostenuto, continua tra noi la sua missione di Madre e Ausiliatrice: noi «ci affidiamo a lei, umile serva in cui il Signore ha fatto grandi cose, per diventare tra i giovani testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio».

L’articolo 92 presenta il ruolo di Maria nella vita e nella pietà del salesiano: modello di preghiera e di carità pastorale; maestra di sapienza e guida della nostra famiglia; esempio di fede, di sollecitudine per i bisognosi, di fedeltà nell’ora della croce, di gioia spirituale; nostra educatrice alla pienezza di donazione al Signore e al coraggioso servizio dei fratelli. Ne deriva, dunque, una devozione filiale e forte, che si esplicita nella preghiera (rosario quotidiano e celebrazione delle sue feste) e nella imitazione convinta e personale.

La migliore sintesi, tuttavia, si trova a mio parere nella Preghiera di affidamento a Maria SS. Ausiliatrice che quotidianamente si recita in ogni nostra comunità dopo la meditazione. Fu don Rua nel 1894 a comporla, come espressione di quotidiana consacrazione nell’impegno di fedeltà e di generosità. Oggi è stata riveduta, ma conserva lo stesso impianto di quella antica e i medesimi contenuti. Ecco il testo primitivo:

«Santissima e immacolata Vergine Ausiliatrice, noi ci consacriamo interamente a voi e vi promettiamo di sempre operare alla maggior gloria di Dio e alla salute delle anime

Vi preghiamo di rivolgere i vostri sguardi pietosi sopra la Chiesa, l’augusto suo Capo, i Sacerdoti e i Missionari, sopra la Famiglia Salesiana, i nostri parenti e benefattori e la gioventù alle nostre cure affidata, sopra i poveri peccatori, i moribondi e le anime del purgatorio.

Insegnateci, o Madre tenerissima, a ricopiare in noi le virtù del nostro Fondatore, in particolar modo l’angelica modestia, l’umiltà profonda e l’ardente carità.

Fate, o Maria Ausiliatrice, che la potente vostra intercessione ci renda vittoriosi contro i nemici dell’anima nostra in vita e in morte, affinché possiamo venire a farvi corona con Don Bosco nel Paradiso. Così sia».

Come si può vedere la versione attuale non fa che riprendere, con alcuni sviluppi, il testo di Don Rua. Credo che sia bene, ogni tanto, riprenderla e meditarla. È strutturata in quattro parti: promessa; intercessione; docilità, affidamento.

Nella prima parte (Santissima) si ricorda il fine ultimo della nostra consacrazione promettendo di orientare ogni nostra azione unicamente al servizio di Dio e alla salvezza del prossimo, nella fedeltà all’essenza della vocazione salesiana.

Nella seconda parte (Ti preghiamo) si condensa il senso ecclesiale, salesiano e missionario della nostra consacrazione, affidando all’intercessione di Maria la Chiesa, la Congregazione e la Famiglia Salesiana, i giovani, soprattutto i più poveri, tutti gli uomini redenti da Cristo. Qui è ben delineata la passione che deve alimentare e caratterizzare la preghiera salesiana: universalità, ecclesialità, missionarietà giovanile.

Nella terza parte (Insegnaci) sono concentrate le virtù che caratterizzano la fisionomia tipica del salesiano discepolo di Don Bosco: ci si mette alla scuola di Maria per crescere nell’unione con Dio, nella castità, nell’umiltà e nella povertà, nell’amore al lavoro e alla temperanza, nell’ardente carità amorevole (bontà e donazione illimitata ai fratelli), nella fedeltà alla Chiesa e al suo magistero.

Nell’ultima parte (Fa’, o Maria Ausiliatrice) ci si affida all’intercessione della Vergine Ausiliatrice per ottenere la fedeltà e la generosità nel servizio di Dio fino alla morte e l’ammissione nella comunione eterna dei santi.

Questa eccellente sintesi, che contiene un completo programma di vita spirituale e delinea i tratti fisionomici della nostra identità, può servirci oggi di riferimento e di traccia concreta per la verifica e la programmazione spirituale. E così sia per ciascuno di noi!




Strenna 2025. Ancorati alla speranza, pellegrini con i giovani

INTRODUZIONE. ANCORATI ALLA SPERANZA, PELLEGRINI CON I GIOVANI
1. INCONTRO A CRISTO NOSTRA SPERANZA PER RINNOVARE IL SOGNO DI DON BOSCO
1.1 Il Giubileo
1.2 L’anniversario della prima spedizione missionaria salesiana
2. IL GIUBILEO: CRISTO NOSTRA SPERANZA
2.1 Pellegrini, ancorati alla speranza cristiana
2.2 Speranza come cammino verso Cristo, cammino verso la vita eterna
2.3 Caratteristiche della speranza
2.3.1 La speranza, tensione continua, pronta, visionaria e profetica
2.3.2 La speranza è scommessa sul futuro
2.3.3 La speranza non è un fatto privato
3. LA SPERANZA COME FONDAMENTO DELLA MISSIONE
3.1 La speranza è un invito alla responsabilità
3.2 La speranza domanda coraggio alla comunità cristiana nell’evangelizzazione.
3.3 «Da mihi animas»: lo “spirito” della missione
3.3.1 Gli atteggiamenti dell’inviato
3.3.2 Riconoscere, Ripensare e Rilanciare
4. UNA SPERANZA GIUBILARE E MISSIONARIA CHE SI TRADUCE IN VITA CONCRETA E QUOTIDIANA
4.1 La speranza forza nel quotidiano che esige testimonianza
4.2 La speranza è arte della pazienza
5. L’ORIGINE DELLA NOSTRA SPERANZA: DA DIO A DON BOSCO
5.1 Dio è l’origine della nostra speranza
5.1.1 Breve richiamo al sogno
5.1.2 Don Bosco “gigante” della speranza
5.1.3 Caratteristiche della speranza in Don Bosco
5.1.4 I “frutti” della speranza in Don Bosco
5.2 La fedeltà di Dio: fino alla fine
6. CON… MARIA, SPERANZA E PRESENZA MATERNA

INTRODUZIONE. ANCORATI ALLA SPERANZA, PELLEGRINI CON I GIOVANI

Carissime sorelle e fratelli appartenenti ai diversi gruppi della Famiglia Salesiana di don Bosco, vi giunga il saluto più cordiale all’inizio di questo nuovo anno 2025!

Non è senza emozione che mi rivolgo a tutti e a ciascuno in questo tempo di grazia segnato da due importanti avvenimenti per la vita della Chiesa e per quella della nostra Famiglia: il Giubileo dell’anno 2025, iniziato solennemente il 24 dicembre scorso con l’apertura della porta santa della Basilica di San Pietro in Vaticano, e la ricorrenza del 150° anniversario della prima spedizione missionaria voluta dal nostro padre don Bosco, partita l’11 novembre 1875 alla volta dell’Argentina e di altri paesi del continente americano.

Si tratta di due importanti eventi che trovano nella speranza il loro punto di incontro. Infatti, papa Francesco ha indicato esattamente questa virtù come prospettiva nell’indire il Giubileo; allo stesso modo l’esperienza missionaria è foriera di speranza per tutti: per coloro che sono partiti (e partono) e per coloro che sono stati raggiunti dai missionari.

L’anno che ci è donato si presenta, dunque, ricco di spunti per la nostra crescita concreta e quotidiana, affinché la nostra umanità diventi feconda nell’attenzione agli altri… Questo avverrà solo nei cuori che mettono Dio al centro, al punto tale da poter affermare: «Prima di me ho messo te».

In questo mio commento cercherò di mettere in evidenza questi elementi, per approfondire, in chiave carismatica, quanto la Chiesa è invitata a vivere lungo questo anno, e porre l’accento su ciò che per noi, Famiglia di don Bosco, deve guidarci verso nuovi orizzonti.

1. INCONTRO A CRISTO NOSTRA SPERANZA PER RINNOVARE IL SOGNO DI DON BOSCO

Il titolo della Strenna comporta l’intreccio di due eventi: il giubileo ordinario dell’anno 2025 e il 150° anniversario della prima spedizione missionaria inviata da don Bosco in Argentina.

La concomitanza, che oso definire “provvidenziale”, dei due eventi rende il 2025 un anno decisamente straordinario per tutti noi e per i Salesiani di Don Bosco ancora di più. Infatti, nei mesi di febbraio, marzo e aprile ci sarà la celebrazione del Capitolo Generale 29° che porterà, tra le altre cose, all’elezione del nuovo Rettor Maggiore e del nuovo Consiglio generale.

Eventi globali e particolari, quindi, che ci coinvolgono a diverso titolo e che vogliamo vivere con profondità e intensità. Perché è proprio grazie a questi eventi che possiamo sperimentare la gioia di andare incontro a Cristo e l’importanza di rimanere ancorati alla speranza.

1.1 Il Giubileo

«Spes non confundit! La speranza non delude!»[1].

Così papa Francesco ci presenta il Giubileo. Che meraviglia! Che indicazione “profetica”!

Il Giubileo un pellegrinaggio per rimettere al centro della nostra vita e della vita del mondo Gesù Cristo. Perché lui è la nostra speranza. Lui è la Speranza della Chiesa e del mondo intero!

Siamo tutti consapevoli che oggi il mondo ha bisogno di quella speranza che ci mette in relazione con Gesù Cristo e con gli altri fratelli e sorelle. Serve quella speranza che ci rende pellegrini, che ci mette in movimento e che ci fa camminare.

Parliamo della speranza come riscoperta della presenza di Dio. Scrive Papa Francesco: «La speranza ricolmi il cuore!»[2], non solo scaldi il cuore, ma lo riempia, lo riempia in una misura traboccante!

1.2 L’anniversario della prima spedizione missionaria salesiana

E di questa speranza traboccante erano pieni i cuori dei partecipanti alla prima spedizione missionaria Salesiana in Argentina 150 anni fa.

Don Bosco da Valdocco getta il cuore oltre ogni confine, mandando i suoi figli dall’altra parte del mondo! Li manda oltre ogni sicurezza umana, li manda per portare avanti ciò che lui aveva cominciato. Si mette in cammino con gli altri, sperando e infondendo speranza. Li manda e basta e i primi (giovani) confratelli partono e vanno. Dove? Nemmeno loro sanno! Ma si affidano alla speranza, obbediscono. Perché è la presenza di Dio che ci guida.

In quell’obbedienza ricca di entusiasmo trova nuova energia anche la nostra attuale speranza e ci spinge a metterci in cammino come pellegrini.

Ecco perché questo anniversario va celebrato: perché ci aiuta a riconoscere un dono (non una conquista personale, ma un dono gratuito, del Signore), ci permette di ricordare e, dal ricordo, di prendere forza per affrontare e costruire il futuro.

Viviamo quindi, oggi, per rendere possibile questo futuro e facciamolo nell’unico modo che riteniamo grande: condividendo con i giovani e con tutte le persone dei nostri ambienti (cominciando dai più poveri e dimenticati) il viaggio per andare incontro a Cristo nostra sola Speranza.

2. IL GIUBILEO: CRISTO NOSTRA SPERANZA

Giubileo è camminare insieme, ancorati in Cristo nostra speranza. Ma cosa vuol dire davvero?

Riprendo gli elementi della Bolla di indizione del Giubileo 2025 che mettono in evidenza alcune caratteristiche della speranza.

2.1 Pellegrini, ancorati alla speranza cristiana

Siamo convinti che niente e nessuno potrà separarci da Cristo[3]. Perché è a lui che vogliamo e dobbiamo rimanere aggrappati, ancorati. Non possiamo camminare senza la nostra ancora.

L’ancora della speranza è, dunque, Cristo stesso, che porta le sofferenze e le ferite dell’umanità sulla croce in presenza del Padre.

L’ancora, infatti, ha la forma della croce, e per questo veniva raffigurata anche nelle catacombe per simboleggiare l’appartenenza dei fedeli defunti a Cristo Salvatore.

Quest’ancora è già saldamente attaccata al porto della salvezza. Il nostro compito è quello di attaccare la nostra vita ad essa, la corda che lega la nostra nave all’àncora di Cristo.

Noi navighiamo sulle onde agitate del mare e abbiamo bisogno di ancorarci a qualcosa di solido. Ma il compito ormai non è più quello di gettare l’àncora e di fissarla al fondo marino. Il compito è quello di attaccare la nostra nave alla corda che, per così dire, pende dal Cielo, là dove l’àncora di Cristo è saldamente fissata. Attaccandoci a questa corda, ci attacchiamo all’àncora della salvezza e rendiamo la nostra speranza certa.

La speranza è certa quando la barca della nostra vita si attacca a quella corda che ci lega all’àncora che è fissata in Cristo crocifisso che sta alla destra del Padre cioè nella comunione eterna del Padre, nell’amore dello Spirito Santo[4].

Tutto è ben espresso nell’orazione liturgica della solennità dell’Ascensione del Signore:

«Esulti di santa gioia la tua Chiesa, o Padre, per il mistero che celebra in questa liturgia di lode, poiché nel tuo Figlio asceso al cielo la nostra umanità è innalzata accanto a te, e noi, membra del suo corpo, viviamo nella speranza di raggiungere Cristo, nostro capo, nella gloria»[5].

Lo scrittore e politico ceco Vaclay Havel definisce la speranza come uno stato d’animo, una dimensione dell’anima. Non dipende dall’osservazione preventiva del mondo, non si tratta di una previsione.

Byung-Chul Han aggiunge: “La speranza è un orientamento del cuore che trascende il mondo immediato dell’esperienza, è un ancoraggio da qualche parte oltre all’orizzonte.

Le radici della speranza si trovano dentro il trascendente: ecco perché non è la stessa cosa avere Speranza o essere soddisfatto perché le cose vanno bene. Potremmo pensare che sperare sia semplicemente voler sorridere alla vita perché lei a sua volta ti sorrida e invece no, dobbiamo andare più a fondo, dobbiamo percorrere quella corda che ci porta verso l’ancora.

La speranza è la capacità di ognuno di noi di lavorare per qualcosa perché è giusto farlo, non perché quel qualcosa avrà un successo garantito. Potrebbe essere un fallimento, potrebbe andar male: noi non speriamo vada bene, non siamo ottimisti. Lavoriamo perché questo accada. Ecco perché la speranza non è uguale all’ottimismo. La speranza non è la convinzione che qualcosa andrà bene ma la certezza che qualcosa ha senso indipendentemente dal suo risultato.

Fare qualcosa perché ha senso: ecco, in questo consiste la speranza che presuppone dei valori e presuppone la fede.

È questo che le dà la forza per vivere, e ci dà la forza per provare qualcosa ancora e ancora, anche nella disperazione[6].”

Ma come si può camminare restando ancorati? L’ancora ti zavorra, ti frena, ti fissa. Dove porta questo cammino? Porta all’eternità.

2.2 Speranza come cammino verso Cristo, cammino verso la vita eterna

La promessa di vita eterna, proprio per come è fatta a ciascuno di noi, non scavalca il cammino della vita, non è un salto in alto, non propone di salire su un razzo che si stacca da terra e vola nello spazio lasciando a terra la strada, la polvere del cammino, né lascia andare la nave alla deriva in mezzo al mare senza di noi.

Questa promessa è appunto un’ancora che si fissa nell’eterno, ma alla quale rimaniamo attaccati da una corda che viene a rendere salda la nave che attraversa il mare. Ed è proprio il fatto che essa è fissata in Cielo che permette alla nave di non rimanere ferma in mezzo al mare, ma di avanzare attraverso i flutti.

Se l’ancora di Cristo fissasse l’uomo al fondo del mare, tutti noi rimarremmo fermi dove siamo, magari tranquilli, senza problemi, ma fermi, senza viaggiare, senza andare avanti. Invece, proprio l’ancoraggio della vita al Cielo fa sì che la promessa che suscita la nostra speranza non arresta il cammino, non dà la sicurezza di un rifugio nel quale rinchiuderci e arrestarci, ma dona a noi una certezza nel camminare e nel continuare il cammino. La promessa di una meta certa, già raggiunta per noi da Cristo, rende saldo e deciso ogni passo nel cammino della vita.

È importante intendere il Giubileo come pellegrinaggio, come invito a mettersi in movimento, ad uscire da sé per andare verso Cristo.

Giubileo, allora, è da sempre sinonimo di cammino. Se desideri veramente Dio ti devi muovere, devi camminare. Perché il desiderio di Dio, la nostalgia di Dio ti muove per trovarLo e, contemporaneamente, conduce a ritrovare te stesso e gli altri.

«Siamo nati e non moriremo mai più»[7].

È bello e significativo il titolo della biografia della serva di Dio Chiara Corbella Petrillo. Sì, perché il nostro venire al mondo è orientato alla vita eterna. La vita eterna è una promessa che sfonda la porta della morte, aprendoci al “faccia a faccia con Dio”, per sempre. La morte è una porta che si chiude e allo stesso tempo un portone che si spalanca all’incontro definitivo con Dio!

Sappiamo quanto vivo in Don Bosco sia stato il desiderio del Cielo, proposto e condiviso gioiosamente con i giovani dell’Oratorio.

2.3 Caratteristiche della speranza

2.3.1 La speranza, tensione continua, pronta, visionaria e profetica

Gabriel Marcel[8], il cosiddetto filosofo della speranza ci insegna che la speranza si trova nel tessuto di un’esperienza continua, sperare significa dare credito ad una realtà in quanto portatrice di futuro.

Eric Fromm[9] scrive che la speranza non è un’attesa passiva, bensì una tensione continua, costante. È come una tigre, accovacciata che salta solo quando è il momento preciso.

Avere speranza è essere vigili in ogni momento, per ogni cosa che ancora non è successa. Speravano le vergini che attendevano lo sposo con le lampade accese, sperava don Bosco di fronte alle difficoltà e si inginocchiava a pregare.

La speranza è pronta nel momento in cui ogni cosa sta in procinto di nascere.

È vigile, attenta, in ascolto, in grado di guidare nel creare qualcosa di nuovo, nel dar vita al futuro in terra.

Per questo è “visionaria e profetica”. Focalizza la nostra attenzione verso ciò che non è ancora, è colei che aiuta a partorire qualcosa di nuovo.

2.3.2 La speranza è scommessa sul futuro

Senza speranza non c’è rivoluzione, né futuro, c’è solo un presente fatto di sterile ottimismo.

Spesso si pensa che chi spera sia un ottimista mentre il pessimista sia essenzialmente il suo opposto. Non è così. È importante non confondere la speranza con l’ottimismo. La speranza è molto più profonda, perché non dipende da umori, sensazioni o sentimentalismi. L’essenza dell’ottimismo è la positività innata. L’ottimista vive convinto che in qualche modo le cose miglioreranno. Per un ottimista il tempo è chiuso, non contempla il futuro: tutto andrà bene e basta.

Paradossalmente anche per il pessimista il tempo è chiuso: si ritrova intrappolato nel presente come in una prigione, nega tutto senza avventurarsi in altri mondi possibili. Il pessimista è testardo quanto l’ottimista, entrambi sono ciechi alle possibilità, perché il possibile gli risulta alieno, manca loro la passione per il possibile.

A differenza di entrambi la speranza scommette su quello che può andare oltre su quello che potrebbe essere.

E ancora, l’ottimista (così come il pessimista), non agisce, perché ogni azione comporta un rischio e dal momento che non vuole correre questo rischio, è fermo, non vuole fare esperienza del fallimento.

La speranza invece si muove per cercare, tenta di trovare una direzione, si dirige verso ciò che non conosce, fa rotta verso cose nuove. Questo è il pellegrinare di un cristiano.

2.3.3 La speranza non è un fatto privato

Tutti noi portiamo nel cuore delle speranze. Non è possibile non sperare, ma è anche vero che ci si può illudere, considerando prospettive e ideali che non si realizzeranno mai, che sono solo delle chimere e specchietti per le allodole.

Molto della nostra cultura, specialmente occidentale, è piena di false speranze che illudono e distruggono o possono rovinare irrimediabilmente l’esistenza di singoli e di intere società.

Secondo il pensiero positivo basta sostituire i pensieri negativi con altri positivi per vivere più felici. Attraverso questo semplice meccanismo gli aspetti negativi della vita vengono omessi completamente e il mondo appare come un mercato di Amazon che ci fornirà qualunque cosa vogliamo grazie al nostro atteggiamento positivo.

Conclusione, se bastasse la nostra volontà di pensare positivamente per essere felice, allora ognuno sarebbe l’unico responsabile della propria felicità.

Paradossalmente, il culto alla positività isola le persone, le rende egoiste e distrugge l’empatia, perché le persone sono sempre più impegnate solo con sé stesse e non si interessano della sofferenza degli altri.

La speranza a differenza del pensiero positivo non evita la negatività della vita, non isola ma unisce e riconcilia, perché il protagonista della Speranza non sono io, focalizzato sul mio ego, trincerato esclusivamente su me stesso, il segreto della Speranza siamo noi.

Per questo, sorelle alla Speranza sono l’Amore, la Fede e la Trascendenza.

3. LA SPERANZA COME FONDAMENTO DELLA MISSIONE

3.1 La speranza è un invito alla responsabilità

La speranza è un dono e, come tale, va trasmesso a chiunque incontriamo lungo la nostra strada.

San Pietro lo afferma chiaramente: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi»[10]. Ci invita a non aver paura, ad agire nella quotidianità, a rendere ragione – quanto spirito salesiano in questa parola “ragione”! – della speranza. È questa una responsabilità per il cristiano. Se siamo donne e uomini di speranza, si vede!

«Rendere ragione della speranza che è in noi», diventa annuncio della “buona novella” di Gesù e del suo Vangelo.

Ma perché è necessario rispondere a chiunque ci chieda conto della speranza che è in noi? E perché sentiamo il bisogno di ritrovare speranza?

Nella Bolla di indizione del Giubileo Spes non confundit, Papa Francesco ricorda che «tutti, in realtà, hanno bisogno di recuperare la gioia di vivere, perché l’essere umano, creato a immagine e somiglianza di Dio, non può accontentarsi di sopravvivere o vivacchiare, di adeguarsi al presente lasciandosi soddisfare da realtà soltanto materiali. Ciò rinchiude nell’individualismo e corrode la speranza, generando una tristezza che si annida nel cuore, rendendo acidi e insofferenti»[11].

Un’osservazione che colpisce perché descrive tutta la tristezza che si respira nelle nostre società e nelle nostre comunità. È una tristezza mascherata di falsa gioia, quella che costantemente ci viene annunciata, promessa e assicurata dai media, dalla pubblicità, dalla propaganda dei politici, da tanti falsi profeti del benessere. Accontentarsi del benessere ci impedisce di aprirci a un bene ben più grande, ben più vero, ben più eterno: quello che Gesù e gli apostoli chiamano “la salvezza dell’anima, la salvezza della vita”; un bene per il quale Gesù ci invita a non temere di perdere la vita, i beni materiali, le false sicurezze che spesso crollano in un istante.

Su queste “domande”, più o meno espresse (anche dai giovani), abbiamo il compito di «rendere ragione». Cosa desidero per i giovani e per tutte le persone che incontro sul mio cammino? Cosa vorrei chiedere a Dio per loro? Come vorrei che cambiasse la loro vita?

Esiste solo una risposta: la vita eterna. Non solo la vita eterna come uno stato sublime che possiamo raggiungere dopo la morte, ma la vita eterna possibile qui e ora, la vita eterna come la definisce Gesù̀: «Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo»[12], cioè una vita definita, illuminata dalla comunione con Cristo e, tramite Lui, con il Padre.

E a noi spetta il compito di accompagnare le generazioni più giovani in questo cammino verso la vita eterna, nell’azione educativa che ci contraddistingue. Un’azione che per noi Famiglia Salesiana è una missione. E cosa muove questa nostra missione? Sempre Cristo, nostra speranza.

La missione educativa, infatti, ha al centro la speranza.

In definitiva, la speranza di Dio non è mai speranza solo per sé. È sempre speranza per altri: non ci isola, ci rende solidali e ci stimola a educarci reciprocamente alla verità e all’amore.

3.2 La speranza domanda coraggio alla comunità cristiana nell’evangelizzazione.

Coraggio e speranza sono un abbinamento interessante. Infatti, se è vero che è impossibile non sperare, è altrettanto vero che per sperare è necessario il coraggio. Il coraggio nasce dall’avere lo stesso sguardo di Cristo, capace di sperare contro ogni speranza[13], di vedere soluzione anche là dove apparentemente sembrano non esserci vie d’uscita. E quanto è “salesiano” questo atteggiamento!

Tutto ciò richiede il coraggio di esser se stessi, di riconoscere la propria identità nel dono di Dio e investire le proprie energie in una responsabilità precisa. Consapevoli del fatto che, ciò che ci è stato affidato, non è nostro, e che abbiamo il compito di trasmetterlo alle prossime generazioni. Questo è il cuore di Dio questa è la vita della Chiesa.

Un atteggiamento che ritroviamo nella prima spedizione missionaria.

Ritengo molto utile il riferimento all’art. 34 delle Costituzioni dei Salesiani di Don Bosco: esso mette in evidenza ciò che sta al cuore del nostro movimento carismatico e apostolico. Suggerisco a ciascuno dei gruppi della nostra articolata e bella Famiglia di riprendere gli stessi elementi che qui offro, rileggendo le rispettive Costituzioni e Statuti.

L’articolo ha come titolo: Evangelizzazione e catechesi e recita così:

«“Questa società nel suo principio era un semplice catechismo”. Anche per noi l’evangelizzazione e la catechesi sono la dimensione fondamentale della nostra missione.

Come don Bosco, siamo chiamati tutti e in ogni occasione a esser educatori alla fede. La nostra scienza più eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero.

Camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signore risorto, affinché, scoprendo in Lui e nel suo Vangelo il senso supremo della propria esistenza, crescano come uomini nuovi.

La Vergine Maria è una presenza materna in questo cammino. La facciamo conoscere e amare come Colei che ha creduto, aiuta ed infonde speranza».

Questo articolo rappresenta il cuore pulsante che delinea bene, anche per questa Strenna, quali siano le energie e le opportunità come compimento e attualizzazione del “sogno globale” che Dio ha ispirato a Don Bosco.

Se vivere il Giubileo è anzitutto fare in modo che Gesù sia e torni ad essere al primo posto, lo spirito missionario è la conseguenza di questo riconosciuto primato, che, rafforza la nostra speranza e si traduce in quella carità educativa e pastorale che fa annunciare a tutti la persona di Gesù Cristo. Questo è il cuore dell’evangelizzazione e caratterizza l’autentica missione.

È significativo richiamare l’inizio della prima enciclica di Benedetto XVI, Deus caritas est:

«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva»[14].

Quindi, prioritario e fondamentale è l’incontro con Cristo, non la “semplice” diffusione di una dottrina, ma una profonda esperienza personale di Dio che spinge a comunicarLo, a farLo conoscere e sperimentare diventando veri “mistagoghi” della vita dei giovani.

3.3 «Da mihi animas»: lo “spirito” della missione

Don Bosco teneva sempre davanti agli occhi una frase che i giovani potevano leggere passando davanti alla sua camera, un’espressione che colpì particolarmente Domenico Savio: «Da mihi animas cetera tolle».

C’è un fondamentale equilibrio che unisce, in questo motto, le due priorità che hanno guidato la vita di don Bosco – e che significativamente chiamiamo “grazia di unità” – che ci consentono di salvaguardare sempre l’interiorità e l’azione apostolica.

Se nel cuore mancasse l’amore di Dio come potrà esserci vera carità pastorale? E allo stesso tempo, se l’apostolo non scoprisse il volto di Dio nel prossimo, come si potrebbe dire che ama Dio?

Il segreto di don Bosco è quello di aver vissuto personalmente l’unico «movimento di carità verso Dio e verso i fratelli»[15] che caratterizza lo spirito salesiano.

3.3.1 Gli atteggiamenti dell’inviato

Due i sogni-chiave della vita di Don Bosco, nei quali sono evidenti gli atteggiamenti dell’apostolo, di colui che è inviato:

  • il “sogno dei nove anni” nel quale a Giovannino Gesù e Maria chiedono di rendersi umile, forte e robusto con l’obbedienza e la scienza, raccomandandogli sempre la bontà per conquistare il cuore dei giovani e tenendo sempre Maria come maestra e guida;
  • il “sogno del pergolato di rose” che indica la “passione” nella vita salesiana che richiede di avere le “buone scarpe” della mortificazione e della carità.

3.3.2 Riconoscere, Ripensare e Rilanciare

Celebrare il 150° anniversario della prima spedizione missionaria di don Bosco rappresenta un grande dono per

  • Riconoscere e ringraziare Dio.

La riconoscenza rende palese la paternità di ogni bella realizzazione. Senza riconoscenza non c’è capacità di accogliere. Tutte le volte che nella nostra vita personale ed istituzionale non riconosciamo un dono, rischiamo seriamente di vanificarlo e di “impadronircene.

  • Ripensare, perché “nulla è per sempre”.

La fedeltà comporta la capacità, di cambiare nell’obbedienza, verso una visione che viene da Dio e dalla lettura dei “segni dei tempi”. Nulla è per sempre: dal punto di vista personale e istituzionale la vera fedeltà è la capacità di cambiare, riconoscendo in cosa il Signore chiama ciascuno di noi.

Ripensare, allora, diventa un atto generativo, in cui si uniscono fede e vita; un momento nel quale chiedersi: cosa vuoi dirci Signore con questa persona, con questa situazione alla luce dei segni dei tempi che, per esser letti, chiedono di avere il cuore stesso di Dio?

  • Rilanciare, ricominciare ogni giorno.

La riconoscenza porta a guardare lontano e ad accogliere le nuove sfide, rilanciando la missione con speranza. Missione è portare la speranza di Cristo con la consapevolezza lucida e chiara, legata alla fede, che fa riconoscere che quanto vedo e vivo “non è roba mia”.

4. UNA SPERANZA GIUBILARE E MISSIONARIA CHE SI TRADUCE IN VITA CONCRETA E QUOTIDIANA

4.1 La speranza forza nel quotidiano che esige testimonianza

San Tommaso D’Aquino scrive: «Spes introducit ad caritatem»[16], la speranza prepara e predispone alla carità la nostra vita, la nostra umanità. Una carità che è anche giustizia, azione sociale.

La speranza ha bisogno della testimonianza. Siamo al cuore della missione, perché la missione non è fare cose, prima di tutto, ma è testimonianza di colui che ha vissuto un’esperienza e la racconta. Il testimone è portatore di una memoria, sollecita domande a chi lo incontra, porta stupore.

La testimonianza della speranza richiede una comunità, è opera di un soggetto collettivo ed è contagiosa, come è contagiosa la nostra umanità, perché la testimonianza è legame con il Signore.

La speranza nella testimonianza della missione è da costruire di generazione in generazione, tra adulti e giovani: questa è via di futuro. Nella nostra cultura il consumismo mangia il futuro, l’ideologia del consumo spegne tutto nel “qui ed ora”, nel “tutto e subito”. Il futuro però non puoi consumarlo, non puoi appropriarti di quanto è altro da te, non puoi appropriarti dell’altro[17].

Nella costruzione del futuro la speranza è la capacità di promettere e di mantenere le promesse… cosa splendida e rara nel nostro mondo. Promettere è sperare, mettere in movimento, per questo – come detto – la speranza è cammino, è l’energia stessa del cammino.

4.2 La speranza è arte della pazienza

Ogni vita, ogni dono, ogni cosa, per crescere, ha bisogno di tempo. Così anche i doni di Dio, richiedono tempo per maturare. Ecco perché nella nostra epoca in cui, tutto e subito, nel nostro “consumare” il tempo e la vita, ci è chiesto di dare fiato e forza alla virtù della pazienza: perché la speranza si realizza nella pazienza[18]. Speranza e pazienza, infatti, sono intimamente collegate.

La speranza comporta la capacità di saper aspettare, di attendere la crescita, quasi a dire che “una virtù tira l’altra”!

Affinché la speranza divenga realtà, si manifesti in senso compiuto, occorre pazienza. Nulla si manifesta in modo miracolistico, perché tutto è sottomesso alla legge del tempo. La pazienza è l’arte del contadino che semina e sa aspettare che il seme gettato cresca e porti frutto.

La speranza inizia in noi come attesa, e si esercita come attesa vissuta coscientemente nella nostra umanità. L’attesa è una dimensione molto importante dell’esperienza umana. L’uomo sa attendere, l’uomo è sempre in una dimensione di attesa, perché è la creatura che vive nel tempo in modo cosciente.

L’attesa umana è la vera misura del tempo, una misura che non è numerica, non è cronologica. Noi ci siamo abituati a calcolare l’attesa, a dire che abbiamo aspettato un’ora, che il treno è in ritardo di cinque minuti, che Internet ci ha fatto attendere quattordici interminabili secondi prima di rispondere al nostro clic, ma quando la misuriamo così, snaturiamo l’attesa, ne facciamo una cosa, un fenomeno staccato da noi stessi e da ciò che attendiamo. È come se l’attesa fosse qualcosa a sé, in sé, senza relazione. Invece l’attesa – siamo al punto cruciale – è relazione, è una dimensione del mistero della relazione.

Solo chi ha speranza, ha pazienza. Solo chi ha speranza diventa capace di “sopportare”, di “sostenere dal basso” le differenti situazioni che l’esistenza presenta. Chi sopporta attende, spera, e riesce a sopportare tutto, perché la sua fatica ha il senso dell’attesa, ha la tensione dell’attesa, l’energia amante dell’attesa.

Sappiamo che il richiamo alla pazienza e all’attesa comportano, a volte, l’esperienza della fatica, del lavoro, del dolore e della morte[19]. Ebbene, fatica, dolore e morte smascherano l’illusione di possedere il tempo, il senso del tempo, il valore del tempo, il senso e il valore della nostra vita. Sono esperienze negative, ma anche positive, perché la fatica, il dolore e la morte possono essere occasioni per ritrovare il vero senso del tempo della vita.

E, ancora una volta, «rendere ragione della speranza che è in noi», diventando annuncio della “buona novella” di Gesù e del suo Vangelo.

5. L’ORIGINE DELLA NOSTRA SPERANZA: DA DIO A DON BOSCO

Don Egidio Viganò ha offerto alla Congregazione e alla Famiglia Salesiana un’interessante riflessione sul tema della speranza, attingendo alla nostra ricchissima tradizione ed evidenziando alcuni caratteri specifici dello spirito salesiano letti alla luce di questa virtù teologale. In modo particolare fece questo, commentando, per le partecipanti al Capitolo Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, il sogno dei dieci diamanti di don Bosco[20].

Vista la profondità dei contenuti proposti, mi pare utile ricordare il contributo del VII Successore di don Bosco per richiamare alla nostra memoria ciò che, sempre nella prospettiva della speranza, siamo tutti chiamati a vivere.

5.1 Dio è l’origine della nostra speranza

5.1.1 Breve richiamo al sogno

È a tutti nota la narrazione di questo straordinario sogno che don Bosco ebbe a San Benigno Canavese la notte tra il 10 e l’11 settembre 1881. Ne richiamo sinteticamente la struttura.[21]

Il Sogno si svolge in tre scene. Nella prima il Personaggio incarna il profilo del salesiano: nel lato anteriore del suo manto presenta cinque diamanti, tre sul petto, che sono «Fede» «Speranza» e «Carità», e due sulle spalle, che sono «Lavoro» e «Temperanza»; nel lato posteriore presenta altri cinque diamanti, che indicano «Obbedienza» «Voto di Povertà» «Premio» «Voto di Castità» «Digiuno».

Don Rinaldi definisce questo Personaggio coi dieci diamanti: «Il modello del vero Salesiano».

Nella seconda scena il Personaggio mostra l’adulterazione del modello: il suo manto «era divenuto scolorato, tarlato e sdruscito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti eravi invece un profondo guasto cagionato dal tarlo e da altri piccoli insetti».

Questa scena tanto triste e deprimente mostra «il rovescio del vero salesiano», l’antisalesiano.

Nella terza scena appare «un avvenente giovanetto vestito di abito bianco lavorato con fili d’oro e d’argento [… dall’] aspetto maestoso, ma dolce ed amabile». Egli è portatore di un messaggio. Esorta i Salesiani ad «ascoltare», a «intendere», a mantenersi «forti e animosi», a «testimoniare» con le parole e con la vita, ad «essere oculati» nell’accettazione e nella formazione delle nuove generazioni, a far crescere sanamente la loro Congregazione.

Le tre scene del sogno sono vivaci e provocatorie; ci presentano una sintesi agile, personalizzata e drammatizzata della spiritualità salesiana. Il contenuto del sogno comporta certamente, nella mente di Don Bosco, un importante quadro di riferimento per la nostra identità vocazionale.

Ebbene, il personaggio del sogno – come noto – porta sulla parte frontale il diamante della speranza, che sta a segnalare la certezza dell’aiuto dall’alto in una vita tutta creativa, impegnata cioè a progettare quotidianamente delle attività pratiche per la salvezza, soprattutto della gioventù. Insieme agli altri simboli legati alle virtù teologali, emerge la fisionomia di una persona saggia e ottimista per la fede che lo anima, dinamica e creativa per la speranza che lo muove, sempre orante e umanamente buono per la carità che lo permea.

In corrispondenza al diamante della speranza, sul retro della figura troviamo il diamante del “premio”. Se la speranza mette in luce visibilmente il dinamismo e l’attività del salesiano nella costruzione del Regno, la costanza dei suoi sforzi e l’entusiasmo del suo impegno si fondano sulla certezza dell’aiuto di Dio, reso presente dalla mediazione e dall’intercessione di Cristo e di Maria, il diamante del “premio” sottolinea piuttosto un atteggiamento costante della coscienza che permea ed anima tutto lo sforzo ascetico, secondo la familiare massima di don Bosco: «Un pezzo di paradiso aggiusta tutto!»[22].

5.1.2 Don Bosco “gigante” della speranza

Il salesiano – diceva Don Bosco – «è pronto a sopportare il caldo e il freddo, la sete e la fame, le fatiche e il disprezzo ogni volta che si tratti della gloria di Dio e della salvezza delle anime»[23]; il sostegno interiore di questa esigente capacità ascetica è il pensiero del paradiso come riflesso della buona coscienza con cui lavora e vive. «In ogni nostro ufficio, in ogni nostro lavoro, pena o dispiacere, non dimentichiamo mai che […] Egli tiene minutissimo conto di ogni più piccola cosa fatta pel suo santo nome, ed è di fede, che a suo tempo ci compenserà con abbondante misura. In fin di vita, quando ci presenteremo al suo divin tribunale, mirandoci con volto amorevole, Egli ci dirà: “Bene, servo buono e fedele; perché nel poco sei stato fedele, ti farò padrone del molto; entra nel gaudio del tuo Signore” (Mt 25,2l)»[24]. «Nelle fatiche e nei patimenti non dimenticare mai che abbiamo un gran premio preparato in cielo»[25]. E quando il nostro Padre dice che il salesiano stremato dal troppo lavoro rappresenta una vittoria per tutta la Congregazione, sembra suggerire addirittura una dimensione di fraterna comunione nel premio, quasi un senso comunitario del paradiso!

Il pensiero e la coscienza continua del paradiso sono una delle idee sovrane e uno dei valori di spinta della tipica spiritualità e anche della pedagogia di Don Bosco. È come un far luce e un approfondire l’istinto fondamentale dell’anima che tende vitalmente al proprio fine ultimo.

In un mondo soggetto alla secolarizzazione e alla progressiva perdita del senso di Dio – specialmente a causa del benessere e di certo progresso – è importante resistere alla tentazione – per noi e per i giovani con i quali camminiamo – che ci impedisce di alzare lo sguardo verso il Paradiso e non ci fa sentire il bisogno di sostenere e nutrire un impegno di ascesi vissuto nel lavoro quotidiano. Al suo posto va crescendo uno sguardo temporale, secondo un più o meno elegante orizzontalismo, che crede di saper scoprire l’ideale di tutto all’interno stesso del divenire umano e nella vita presente. Tutto il contrario della speranza!

Don Bosco è stato uno dei grandi della speranza. Ci sono tanti elementi per dimostrarlo. Il suo spirito salesiano è tutto permeato dalle certezze e dall’operosità caratteristiche di questo dinamismo audace di Spirito Santo.

Mi soffermo brevemente a ricordare come don Bosco abbia saputo tradurre nella sua vita l’energia della speranza sui due versanti: l’impegno per la santificazione personale e la missione di salvezza per gli altri; o meglio – e qui risiede una caratteristica centrale del suo spirito – la santificazione personale attraverso la salvezza degli altri. Ricordiamo la famosa formula delle tre “S”: «Salve, salvando salvati»[26]. Sembra un gioco mnemonico detto così semplicemente, a mo’ di slogan pedagogico, ma è profondo e indica come i due versanti della santificazione personale e della salvezza del prossimo siano strettamente legati tra loro.

Nel binomio “lavoro” e “temperanza” si percepisce che la speranza è stata vissuta da Don Bosco come progettazione pratica e quotidiana di un’instancabile operosità di santificazione e di salvezza. La sua fede lo porta a prediligere, nella contemplazione del mistero di Dio, il suo ineffabile disegno di salvezza. Vede nel Cristo il Salvatore dell’uomo e il Signore della storia; in sua Madre, Maria, l’Ausiliatrice dei cristiani; nella Chiesa, il grande Sacramento della salvezza; nella propria maturazione cristiana e nella gioventù bisognosa, il vasto campo del «non-ancora». Perciò il suo cuore erompe nel grido: «Da mihi animas», Signore concedimi di salvare la gioventù e toglimi pure il resto! La sequela del Cristo e la missione giovanile si fondono, nel suo spirito, in un unico dinamismo teologale che costituisce la struttura portante del tutto.

Sappiamo bene che la dimensione della speranza cristiana coniuga la prospettiva del “già” e del “non ancora”: qualcosa di presente e qualcosa in divenire che, tuttavia, a partire dall’oggi comincia a manifestarsi anche se “non ancora” in pienezza.

5.1.3 Caratteristiche della speranza in Don Bosco

La certezza del “già”

Quando noi domandiamo alla teologia qual è l’oggetto formale della speranza, ci risponde che è l’intima convinzione della presenza di Dio che aiuta, che soccorre e assiste; la certezza interiore circa la potenza dello Spirito Santo; l’amicizia con Cristo vittorioso che ci fa dire con San Paolo: «Tutto posso in Colui che mi dà forza» (Fil 4,13).

Il primo elemento costitutivo della speranza è, dunque, la certezza del «già». La speranza stimola la fede a esercitarsi nella considerazione della presenza salvatrice di Dio nelle vicissitudini umane, della potenza dello Spirito nella Chiesa e nel mondo, della regalità di Cristo sulla storia, dei valori battesimali che in noi hanno iniziato la vita della risurrezione.

Il primo elemento costitutivo della speranza è, perciò, un esercizio della fede sull’essenza di Dio come Padre misericordioso e salvatore, su ciò che ha già fatto Gesù Cristo per noi, sulla Pentecoste come inizio dell’epoca dello Spirito Santo, su ciò che c’è già dentro di noi per il Battesimo, per i sacramenti, per la vita nella Chiesa, per l’appello personale della nostra vocazione.

Occorre riflettere che fede e speranza si interscambiano in noi, i loro dinamismi si stimolano e si completano a vicenda e ci fanno vivere nel clima creativo e trascendente della potenza dello Spirito Santo.

La chiara coscienza del “non-ancora”

Il secondo elemento costitutivo della speranza è la coscienza del «non-ancora». Non sembra molto difficile averla; però la speranza esige una chiara coscienza non tanto di ciò che è male e ingiusto, quanto di ciò che manca alla statura di Cristo nel tempo, e, quindi, di ciò che è ingiusto e peccato e anche di ciò che è immaturo, parziale o rachitico nella costruzione del Regno.

Ciò suppone, come quadro di riferimento, una chiara conoscenza del progetto divino di salvezza, su cui s’innesta la capacità critica e di discernimento da parte di colui che spera. Così la critica dell’uomo di speranza non è semplicemente psicologica o sociologica, ma trascendente, secondo l’orbita teologale della «nuova creatura»; si serve anche degli apporti delle scienze umane, e di gran lunga le oltrepassa.

Con la coscienza del «non-ancora», chi spera percepisce ciò che è male, ciò che non è ancora maturo, ciò che è seme in ordine al Regno di Dio e s’impegna per far crescere il bene e per combattere il peccato con la prospettiva storica di Cristo. La capacità di discernimento del «non-ancora» è misurata sempre dalla certezza del «già». Quindi e direi soprattutto nei tempi difficili, chi spera spinge e stimola la sua fede a scoprire i segni della presenza di Dio e le mediazioni che ci guidano nell’orbita da Lui tracciata. È questa una qualità molto importante oggi: saper individuare i semi per aiutarli a schiudersi e a crescere.

Come si fa a sperare se non c’è questa capacità di discernimento? Non basta saper percepire tutto il peso del male, bisogna essere sensibili anche alla primavera «che brilla d’intorno». Quindi in questi tempi, che noi diciamo difficili (e lo sono realmente, paragonandoli con quelli che abbiamo vissuto prima di una certa tranquillità), la speranza ci aiuta a percepire che c’è anche tanto bene nel mondo e che qualcosa sta crescendo.

L’operosità salvifica

Un terzo elemento costitutivo della speranza è la sua esigenza operativa accompagnata dall’impegno concreto di santificazione, di inventiva e di sacrificio apostolici. Bisogna collaborare con il “già” in crescita, urge muoversi per lottare contro il male in noi e negli altri, soprattutto nella gioventù bisognosa.

Il discernimento del “già” e del “non-ancora” ha bisogno di tradursi nella pratica della vita, aprendosi ai propositi, ai progetti, alla revisione, all’inventiva, alla pazienza e alla costanza. Non tutto risulterà “come speravamo”: ci saranno degli insuccessi, dei contrattempi, delle cadute, delle incomprensioni. La speranza cristiana partecipa connaturalmente anche alle oscurità della fede.

5.1.4 I “frutti” della speranza in Don Bosco

Dai tre elementi costitutivi della speranza, che ho appena indicato, derivano alcuni frutti particolarmente significativi per lo spirito salesiano di Don Bosco.

La gioia

Dal primo elemento costitutivo – la certezza del “già” – deriva come frutto più caratteristico la gioia. Ogni vera speranza esplode in gioia.

Lo spirito salesiano assume la gioia della speranza per una affinità tutta propria. Persino la biologia ce ne suggerisce qualche esempio. La gioventù che è speranza umana (e quindi suggerisce una certa analogia con il mistero della speranza cristiana), è avida di gioia. E noi vediamo Don Bosco tradurre la speranza in un clima di gioia per la gioventù da salvare. Domenico Savio, cresciuto alla sua scuola, diceva: «Noi facciamo consistere la santità nello stare sempre allegri». Non si tratta di un’ilarità superficiale propria del mondo, ma di un gaudio interiore, di un substrato di vittoria cristiana, di una sintonia vitale con la speranza, che esplode in allegria. Una gioia che procede, in definitiva, dalle profondità della fede e della speranza.

C’è poco da fare. Se siamo tristi è perché siamo superficiali. Capisco che c’è una tristezza cristiana: Gesù Cristo l’ha vissuta. Nel Getsemani la sua anima si è rattristata fino alla morte, ha sudato sangue. Si tratta certamente di un altro tipo di tristezza.

Però, l’afflizione o la malinconia per cui una suora ha l’impressione di non essere capita da nessuno, che le altre non la prendano in considerazione, che abbiano invidia o incomprensione delle sue qualità, ecc. è una tristezza che non si deve alimentare. A questa bisogna contrapporre la profondità della speranza: Dio è con me e mi vuole bene; che importa che altri non mi considerino tanto?

La gioia, nello spirito salesiano, è clima quotidiano; deriva da una fede che spera e da una speranza che crede, ossia da quel dinamismo di Spirito Santo che in noi proclama la vittoria che vince il mondo!… È indispensabile la gioia per testimoniare con autenticità quello in cui crediamo e speriamo.

Lo spirito salesiano è anzitutto e soprattutto questo e non una riduzione a sole osservanze e mortificazioni. La speranza ci porterà anche a fare molte mortificazioni, ma come allenamenti di volo e non come punzecchiature da prigione! Quindi: dalla speranza tanta gioia!

Il mondo cerca di superare la sua limitatezza e il suo disorientamento con una vita riempita di sensazioni eccitanti. Coltiva la promozione e la soddisfazione dei sensi, il film pungente, l’erotismo, la droga, ecc. È una maniera di evadere da una situazione caduca che sembra non avere senso, per cercare qualche cosa che sconfini verso una “caricatura di trascendenza”.

La pazienza

Un altro “frutto” della speranza – che procede dalla coscienza del “non-ancora” – è la pazienza. Ogni speranza comporta un indispensabile corredo di pazienza. La pazienza è un atteggiamento cristiano, legato intrinsecamente con la speranza nel suo non breve “non-ancora”, con i suoi guai, le sue difficoltà e le sue oscurità. Credere alla risurrezione e operare per la vittoria della fede, mentre si è mortali e immersi nel caduco, esige una struttura interiore di speranza che porta alla pazienza.

L’espressione più sublime di pazienza cristiana l’ha vissuta Gesù soprattutto durante la sua passione e morte. È una pazienza fruttuosa, precisamente per la speranza che la anima. Qui, nella pazienza, più che di iniziativa e di azione, si tratta di cosciente accettazione e di passività virtuosa che sopporta in vista della realizzazione del piano di Dio.

Lo spirito salesiano di Don Bosco ci ricorda sovente la pazienza. Nell’introduzione alle Costituzioni Don Bosco ricorda, alludendo a san Paolo, che le pene che dobbiamo sopportare in questa vita non hanno confronto con il premio che ci attende: «Era solito dire: “Coraggio! La speranza ci sorregga, quando la pazienza vorrebbe mancare”»[27]. «Ciò che sostiene la pazienza, dev’essere la speranza del premio»[28].

Anche madre Mazzarello insisteva su questo punto. Uno dei suoi primi biografi, il Maccono, afferma che la speranza la confortò sempre sostenendola nei suoi patimenti, nelle sue infermità, nei dubbi, e la rallegrò nell’ora della morte: «La sua speranza era molto viva e attiva. Mi pare – testificò una suora – che la speranza l’animasse in tutto e che ella cercasse di infonderla nelle altre. Ci esortava a portare bene le piccole croci giornaliere, e a fare tutto con grande purità d’intenzione»[29].

La speranza è madre della pazienza e la pazienza è difesa e scudo della speranza.

La sensibilità educativa

Dal terzo elemento costitutivo della speranza – “l’operosità salvifica” – procede un altro frutto: la sensibilità pedagogica. È una iniziativa d’impegno adeguato, sia nell’ambito della propria santificazione (sequela del Cristo), sia nell’ambito della salvezza degli altri (missione). Comporta impegno pratico, misurato e costante, tradotto da Don Bosco in una metodologia concreta che comporta queste attenzioni:

  • l’avvedutezza (o santa «furbizia»): quando si tratta di avere iniziative, di risolvere problemi, Don Bosco ce la mette tutta senza pretese di perfezionismo, ma con umile praticità; è ripetuta da lui molte volte la frase: «L’ottimo è nemico del bene»[30].
  • l’ardimento. Il male è organizzato, i figli delle tenebre agiscono con intelligenza. Il Vangelo ci dice che i figli della luce devono essere più scaltri e coraggiosi. Quindi, per lavorare nel mondo, bisogna armarsi di genuina prudenza, ossia di quell’«auriga virtutum» che ci rende agili, tempestivi e penetranti nell’applicazione di una vera intrepidezza nel bene.
  • la magnanimità. Non dobbiamo rinchiudere il nostro sguardo dentro le pareti di casa. Siamo stati chiamati dal Signore a salvare il mondo, abbiamo una missione storica più importante di quella degli astronauti o degli uomini di scienza… Siamo impegnati nella liberazione integrale dell’uomo. Il nostro animo deve aprirsi a visioni molto ampie. Don Bosco voleva che fossimo «all’avanguardia del progresso» (e si trattava, quando disse questa frase, di mezzi di comunicazione sociale).

Conosciamo la magnanimità di Don Bosco nel lanciare i giovani alle responsabilità apostoliche; pensiamo, per esempio, ai primi missionari partiti per l’America. Sia i Salesiani sia le Figlie di Maria Ausiliatrice erano poco più che ragazzi e ragazze!

Don Bosco si muoveva in orizzonti vasti. Non gli bastava né Valdocco né Mornese; non poteva rimanere solo dentro i limiti di Torino, del Piemonte, dell’Italia o dell’Europa. Il suo cuore palpitava con quello della Chiesa universale, perché si sentiva quasi investito della responsabilità di salvezza di tutta la gioventù bisognosa del mondo. Voleva che i Salesiani sentissero come propri tutti i più grandi e urgenti problemi giovanili della Chiesa per essere disponibili ovunque. E, mentre coltivava la magnanimità dei progetti e delle iniziative, era concreto e pratico nella loro realizzazione, con il senso della gradualità e con la modestia degli inizi.

Ecco sul volto del Salesiano deve sempre brillare, come nota di simpatia, la magnanimità: non deve essere una testolina senza visioni, ma avere grandezza d’animo perché ha un cuore abitato dalla speranza.

Péguy, con la sua acutezza un po’ violenta, ha scritto: «Una capitolazione è in sostanza un’operazione in cui si incomincia a spiegare invece di attuare. I codardi sono stati sempre delle persone di molte spiegazioni». Sul volto salesiano deve sempre brillare, come nota di simpatia, anche la mistica della decisione e l’ardimento umile della praticità. Don Bosco era deciso negli impegni di bene, anche se non poteva incominciare con l’ottimo; diceva che le sue opere si iniziavano magari nel disordine per tendere poi verso l’ordine!

La speranza mette sul volto del Salesiano, accanto alla profondità della contemplazione, alla gioia della filiazione divina, all’entusiasmo della gratitudine e dell’ottimismo (che provengono dalla “fede”), anche il coraggio dell’iniziativa, lo spirito di sacrificio della pazienza, la saggezza della gradualità pedagogica, l’utopia della magnanimità, la modestia della praticità, la prudenza della furbizia e il sorriso dell’allegria.

5.2 La fedeltà di Dio: fino alla fine

Finora abbiamo dato uno sguardo a ciò che don Bosco e i nostri santi e beati hanno espresso chiaramente nelle loro esistenze. Si tratta di elementi che spingono ciascuno di noi personalmente e come Famiglia Salesiana a far emergere o – per riprendere le parole di don Egidio Viganò – far brillare quella speranza della quale siamo chiamati a «rendere ragione», soprattutto ai giovani e, tra questi, i più poveri.

È giunto il momento di “sbirciare” un po’ oltre ciò che è “immediatamente visibile” e cercare di conoscere ciò che attende la nostra vita e ci dà il coraggio di aspettare operosamente mentre collaboriamo alla venuta del “giorno del Signore”.

Quindi, sempre riprendendo l’analisi schietta e intensa del VII Successore di don Bosco, concentriamo la nostra attenzione sulla prospettiva del “premio”.

Il diamante del “premio” è collocato con altri quattro nella parte posteriore del manto del personaggio del sogno. È quasi un segreto, una forza che opera dal di dentro, che ci dà la spinta e ci aiuta a sorreggere e difendere i grandi valori visti nella parte anteriore. È interessante osservare che il diamante del “premio” è collocato sotto quello della “povertà”, perché ha certamente una relazione con le “privazioni” legate ad essa.

Sui suoi raggi si leggono le seguenti parole: «Se vi attrae la grandezza dei premi, non vi spaventi la quantità delle fatiche». «Chi soffre con Me, con Me godrà». «È momentaneo ciò che soffriamo sulla terra, eterno è ciò che farà gioire i miei amici nel Cielo».

Il vero Salesiano ha nella fantasia, nel cuore, nei desideri, negli orizzonti di vita la visione del premio, come pienezza dei valori proclamati dal Vangelo. Per questa ragione «è sempre lieto. Diffonde questa gioia e sa educare alla letizia della vita cristiana e al senso della festa»[31].

Nella casa di Don Bosco e nelle nostre case salesiane si parlava molto del Paradiso. Era un’idea permanente e onnipresente riassunta in alcuni famosi detti: «Pane, lavoro e Paradiso»[32]; «Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto»[33]. Sono frasi ricorrenti a Valdocco e a Mornese.

Certamente molte Figlie di Maria Ausiliatrice ricorderanno la descrizione fatta da madre Enrichetta Sorbone sullo spirito di Mornese: «Qui siamo in Paradiso, nella casa c’è un ambiente di Paradiso!»[34]. E non era certo a causa delle privazioni o della mancanza di problemi. Era come la traduzione spontanea, balzata dal cuore, del cartello che aveva fatto mettere Don Bosco: «Servite Domino in laetitia»[35].

Anche Domenico Savio aveva percepito lo stesso caldo e trascendente clima di vita: «Noi facciamo consistere la santità nello stare sempre allegri»[36].

Nelle biografie di Domenico Savio, Francesco Besucco e Michele Magone, Don Bosco, anche descrivendone l’agonia, ci tiene a sottolineare questa ineffabile gioia, unita a una vera ansia di Paradiso. Molto più che l’orrore della morte, i suoi ragazzi sentono l’attrattiva della Pasqua.

Il pensiero del premio è uno dei frutti della presenza dello Spirito Santo, ossia, dell’intensità della fede, della speranza e della carità, tutte e tre insieme, anche se è più strettamente legato alla speranza. Infonde nel cuore una gioia e una allegria che vengono dall’Alto e trovano una bella sintonia con le stesse tendenze innate del cuore umano. Lo constatiamo vivendo tra i ragazzi e le ragazze: la gioventù intuisce con maggior freschezza che l’uomo è nato per la felicità.

Ma non abbiamo neppure bisogno di andare a cercarlo tra i giovani. Prendiamo uno specchio e guardiamoci: ci basta ascoltare i battiti del nostro cuore. Siamo nati per raggiungere la felicità, l’aspettiamo anche senza confessarlo.

L’idea del Paradiso, sempre presente nella casa di Don Bosco, non è un’utopia per ingenui inganni, non è la carota che inganna il cavallo perché cammini più in fretta, è l’ansia sostanziale del nostro essere; ed è soprattutto la realtà dell’amore di Dio, della risurrezione di Gesù Cristo operante nella storia; è la presenza viva dello Spirito Santo che spingono, di fatto, verso il premio.

Don Bosco non disprezza nessuna gioia dei giovani. Al contrario, la suscita, la incrementa, la sviluppa. La famosa “allegria” in cui fa consistere la santità non è solo una gioia intima, nascosta nel cuore come frutto della grazia. Questa ne è la radice. Essa si esprime anche all’esterno, nella vita, nel cortile e nel senso della festa.

Come preparava le solennità religiose, gli onomastici, i giorni festivi dell’Oratorio! Si preoccupava persino di organizzare la celebrazione del proprio onomastico, non per sé, ma per creare un clima di riconoscenza gioiosa nell’ambiente.

Pensiamo alle coraggiose passeggiate autunnali: due o tre mesi per prepararle, 15 o 20 giorni per viverle; poi i prolungati ricordi e commenti: una gioia molto distesa nel tempo. Che fantasia e che coraggio! Da Torino ai Becchi, a Genova, a Mornese, a tanti paesi del Piemonte, con decine e decine di ragazzi… La passeggiata, il gioco, la musica, il canto, il teatro: sono elementi sostanziali del Sistema Preventivo che, anche come metodo pedagogico, suppone una spiritualità appropriata ed esplosiva, frutto di una fede, una speranza e una carità convinte, valori del cielo proprio qui sulla terra.

Sul firmamento di Valdocco s’affacciava sempre, di giorno e di notte, con nubi o senza nubi, il Paradiso. Testimoniare oggi i valori del premio è una profezia urgente per il mondo e soprattutto per la gioventù. La civiltà tecnico-industriale che cosa ha apportato alla società del consumo? Una enorme possibilità di comodità e di piacere, con una conseguente e pesante tristezza.

Tra l’altro leggiamo nelle Costituzioni dei Salesiani di Don Bosco – ma vale per ogni cristiano – che «il salesiano [è] un segno della forza della resurrezione» e che «nella semplicità e laboriosità della vita quotidiana» è «educatore che annuncia ai giovani “cieli nuovi e terra nuova”, stimolando in loro gli impegni e la gioia della speranza»[37].

A Mornese e a Valdocco non c’erano né comodità, né dittature e tutto respirava spontaneità e allegria. Il progresso tecnico ha facilitato oggi tante cose, ma non è aumentata la vera gioia dell’uomo. È cresciuta, invece, l’angustia, la nausea, si è acuita la mancanza di senso dell’esistenza che purtroppo continuiamo a rilevare – specialmente nelle società opulente – con la tragica statistica dei suicidi adolescenziali e giovanili.

Oggi oltre alla povertà materiale che affligge ancora una grandissima porzione di umanità, diventa urgente trovare il modo di far percepire alla gioventù il senso della vita, gli ideali superiori, l’originalità di Gesù Cristo.

Si cerca la felicità, tendenza fondamentale dell’uomo, ma non se ne conosce più la giusta strada, e allora va crescendo un’immensa disillusione.

I giovani, anche a causa della mancanza di adulti significativi, si sentono incapaci di affrontare la sofferenza, il dovere e l’impegno costante. Il problema della fedeltà agli ideali e alla propria vocazione è diventato cruciale. La gioventù si sente incapace di assumere sofferenze e sacrifici. Vive in un’atmosfera in cui trionfa il divorzio tra amore e sacrificio, in modo tale che la ricerca e il conseguimento del solo benessere finisce per asfissiare la capacità di amare e, quindi, di sognare il futuro.

Giustamente, come dicevamo, il diamante del premio è collocato sotto quello della povertà, quasi a indicarci che i due si completano e si sostengono a vicenda. Di fatto la povertà evangelica comporta una visione concreta e trascendente di tutta la realtà con un’ottica realista anche circa le rinunce, le sofferenze, i contrattempi, le privazioni e le pene.

Qual è l’energia interiore che fa affrontare tutto con fiducia e con volto ilare, senza scoraggiarsi? È, in definitiva, il senso della presenza del cielo sulla terra. Questo senso procede dalla fede, dalla speranza e dalla carità, che ci fanno rileggere tutta l’esistenza con l’ottica dello Spirito Santo.

Il mondo ha urgente bisogno di profeti che proclamino con la vita la grande verità del Paradiso. Non un’evasione alienante, ma un’intensa realtà stimolante!

Dunque, nello spirito di Don Bosco è costante la preoccupazione di curare la dimestichezza con il Paradiso, quasi a costituirne il firmamento della mente, l’orizzonte del cuore salesiano: lavoriamo e lottiamo sicuri di un premio, guardando alla Patria, alla casa di Dio, alla Terra promessa.

È bene precisare che la prospettiva del premio non consiste riduttivamente nel conseguimento di una “ricompensa”, di una sorta di consolazione per una vita vissuta in mezzo a tanti sacrifici, sopportazioni… Niente di tutto questo! Se fosse solo “ricompensa”, assomiglierebbe a un ricatto. Ma Dio non opera in questo modo. Nel Suo amore non può che offrire all’uomo Sé stesso. Questa – come afferma Gesù – è la vita eterna: la conoscenza del Padre. Dove “conoscere” significa “amare”, divenire pienamente partecipi di Dio, in continuità con l’esistenza terrena vissuta “in grazia”, ossia nell’amore a Dio e ai fratelli e alle sorelle.

In questo cammino siamo invitati a volgere lo sguardo a Maria, la quale si fa presente come aiuto quotidiano, come Madre precorritrice e ausiliatrice. Don Bosco è sicuro di questa sua presenza tra noi e vuole dei segni che ce lo ricordino.

Per Lei ha edificato una Basilica, centro di animazione e diffusione della vocazione salesiana. Voleva la Sua immagine nei nostri ambienti di vita; vincolava ogni iniziativa apostolica alla Sua intercessione e ne commentava con commozione la reale e materna efficacia. Ricordiamo, ad esempio, ciò che disse alle Figlie di Maria Ausiliatrice nella casa di Nizza: «La Madonna è veramente qui, qui in mezzo a voi! La Madonna passeggia in questa casa e la copre col suo manto»[38].

Oltre a Lei, cerchiamo nella casa di Dio anche altri amici. I nostri Santi e Beati, a cominciare dai volti a noi più familiari e che fanno parte del cosiddetto “giardino salesiano”.

Non facciamo queste scelte per dividere la grande casa di Dio in piccoli appartamenti privati, ma piuttosto per sentirci in essa più facilmente a casa nostra e poter parlare di Dio, del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo, di Cristo e di Maria, della creazione e della storia, non con la trepidazione di chi ha ascoltato l’alta lezione di un pensatore denso, difficile e anche ermetico, ma con quel senso di familiarità e di gioiosa semplicità con cui si conversa con coloro che sono stati i nostri parenti, i nostri fratelli e le nostre sorelle, i nostri colleghi e i nostri compagni di lavoro. Alcuni di essi non li abbiamo conosciuti in vita, ma li sentiamo vicini e ci ispirano particolare fiducia. Parlare con san Giuseppe, con Don Bosco, con madre Mazzarello, con don Rua, con Domenico Savio, con Laura Vicuña, con don Rinaldi, con mons. Versiglia e don Caravario, con suor Teresa Valsè, con suor Eusebia Palomino, ecc., è proprio un dialogo “di casa”, di famiglia.

Ecco quanto ci suggerisce il diamante del premio: sentirsi a casa con Dio, con Cristo, con Maria, con i Santi; sentire la loro presenza nella propria casa, in un clima di famiglia che dà senso di Paradiso all’ambiente quotidiano di vita.

6. CON… MARIA, SPERANZA E PRESENZA MATERNA

Al termine di questo commento non possiamo che volgere il nostro cuore e il nostro sguardo alla vergine Maria, come ci ha insegnato don Bosco.

La speranza domanda fiducia, capacità di consegnarsi e di affidarsi.

In tutto ciò abbiamo una guida e una maestra in Maria Santissima.

Lei ci testimonia che sperare è affidarsi e consegnarsi, ed è vero tanto per l’esistenza come per la vita eterna.

In questo cammino la Madonna ci prende per mano, ci insegna come fidarci di Dio, come consegnarci liberamente all’amore trasmesso da suo Figlio Gesù.

L’indicazione e la “carta di navigazione” che ci presenta, è sempre la stessa: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»[39]. Un invito che ogni giorno assumiamo nella nostra vita.

In Maria scorgiamo la realizzazione del premio.

Maria incarna in sé l’attrattiva e la concretezza del Premio: Essa,

«finito il corso della sua vita terrena, fu assunta alla celeste gloria col suo corpo e con la sua anima, e dal Signore esaltata come la Regina dell’universo, perché fosse più pienamente conformata al Figlio suo, il Signore dei dominanti, il vincitore del peccato e della morte»[40].

Possiamo leggere sulle Sue labbra alcune belle espressioni provenienti da San Paolo. Siccome sono ispirate dallo Spirito Santo, Sposo di Maria, certamente sono da Lei condivise.

Eccole:

«Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?

Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze,né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore»[41].

Carissimi sorelle e fratelli, carissimi giovani,

Maria Ausiliatrice, Don Bosco e tutti i nostri Santi e Beati ci sono vicini in questo anno così straordinario. Siano loro ad accompagnarci a vivere con profondità le istanze del Giubileo, aiutandoci a mettere al centro della vita la persona di Gesù Cristo «il Salvatore annunciato nel Vangelo, che vive oggi nella Chiesa e nel mondo»[42].

Ci spingano, sull’esempio delle prime e dei primi missionari inviati da don Bosco, a fare sempre e ovunque della nostra vita un dono gratuito per gli altri, soprattutto per i giovani e tra loro quelli più poveri.

Per ultimo, un augurio: che quest’anno faccia crescere in noi la preghiera per la pace, per un’umanità pacificata. Invochiamo il dono della pace – lo shalom biblico – che contiene tutti gli altri e trova compimento solo nella speranza.

Un abbraccio fraterno

Don Stefano Martoglio S.D.B.

Vicario del Rettor Maggiore

Roma, 31 dicembre 2024


[1] Francesco, Spes non confundit. Bolla di indizione del Giubileo Ordinario dell’Anno 2025, Città del Vaticano 9 maggio 2024.

[2] Ibi.

[3] Cf. Rm 8,39.

[4] Rm 5,3-5

[5] Messale romano, LEV, Roma 20203, 240.

[6] Byung-Chul Han, El espìritu de la esperanza, p.18, Herder, Barcellona 2024.

[7] C. Paccini – S. Troisi, Siamo nati e non moriremo mai più. Storia di Chiara Corbella Petrillo, Porziuncola, Assisi (PG) 2001.

[8] Gabriel Marcel, Philosophie der Hoffnung, Mùnich, List 1964.

[9] Erich Fromm, La revolucìonde la esperanza, Ciudad de México 1970.

[10] 1Pt 3,15.

[11] Francesco, Spes non confundit, 9.

[12] Gv 17,3.

[13] Cf. Rm 4,18.

[14] Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus caritas est, Città del Vaticano 25 dicembre 2005, 1.

[15] Cost. SDB, 3.

[16] Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, IIª-IIae q. 17 a. 8 co.

[17] Cf. E. Levinas, Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book, Milano 2023.

[18] Per queste riflessioni ho attinto alla ricca riflessione dell’Abate generale dell’Ordine dei Cistercensi M. G. Lepori, Capitoli dell’Abate Generale OCist al CFM 2024. Sperare in Cristo reperibile in più lingue al sito: www.ocist.org

[19] Cfr Rm, 5,3-5

[20] E. Viganò, Un progetto evangelico di vita attiva, Elle Di Ci, Leumann (TO) 1982, 68-84.

[21] Cf. E. Viganò, Profilo del Salesiano nel sogno del personaggio dai dieci diamanti, in ACS 300 (1981), 3-37. L’intera narrazione del sogno è reperibile in ACS 300 (1981), 40-44; oppure in MB XV, 182-187.

[22] MB VIII, 444.

[23] Cost. SDB, 18.

[24] P. Braido (a cura di), Don Bosco Fondatore “Ai Soci Salesiani”(1875-1885). Introduzione e testi critici, LAS, Roma 1995, 159.

[25] MB V, 442.

[26] MB V, 409.

[27] MB XII, 458.

[28] Ibi.

[29] F. Maccono, Santa Maria Domenica Mazzarello. Confondatrice e prima Superiora Generale delle FMA. Vol. I, FMA, Torino 1960, 398.

[30] MB X, 893.

[31] Cost. SDB, 17.

[32] MB XII, 600.

[33] MB VIII, 444.

[34] Citato in E. Viganò, Riscoprire lo spirito di Mornese, in ACS (1981), 62.

[35] Sal 99.

[36] MB V, 356.

[37] Cost. SDB, 63. Si veda anche E. Viganò, «Rendere ragione della gioia e degli impegni della speranza, testimoniando le insondabili ricchezze di Cristo». Strenna 1994. Commento del Rettor Maggiore, Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Roma 1993.

[38] G. Capetti, Il cammino dell’Istituto nel corso di un secolo. Vol. I, FMA, Roma 1972-1976, 122.

[39] Gv 2,5.

[40] LG, 59.

[41] Rm 8,34-39.

[42] Cost. SDB, 196.




Che dono, il tempo!

L’inizio del nuovo anno, nella nostra liturgia, è illuminato dall’antichissima benedizione con cui i sacerdoti israeliti benedicevano il popolo: «Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia, il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace»

Cari amici e lettori del Bollettino Salesiano, siamo all’inizio di un anno nuovo, esprimiamoci quindi a vicenda i migliori auguri per il tempo che verrà, per il tempo che viene, dono che contiene ogni altro dono in cui si sviluppa la nostra vita.
Riempiamo dunque questo augurio di contenuti che lo illuminino. Diamo la parola a Don Bosco che quando arrivò nel seminario di Chieri, si soffermò sulla meridiana che, ancora oggi, campeggia sul muro del cortile, e raccontava: «Alzando lo sguardo sopra una meridiana, lessi questo verso: Afflictis lentae, celeres gaudentibus horae». Ecco, dissi all’amico, ecco il nostro programma: stiamo sempre allegri e passerà presto il tempo (Memorie Biografiche I,374).
Il primo augurio che ci scambiamo, per viverlo, è quello che don Bosco ci ricorda: vivi bene, vivi sereno e trasmetti serenità a chi ti circonda, il tempo avrà un altro valore! Ogni momento del tempo è un tesoro; ma è un tesoro che passa in fretta. Sempre don Bosco amava commentare: «I tre nemici dell’uomo sono; la morte (che sorprende); il tempo (che gli sfugge), il demonio (che gli tende i suoi lacci)» (MB V,926).
«Ricordati che essere felice non è avere un cielo senza tempeste, una strada senza incidenti stradali, lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni» raccomanda un antico augurio. «Essere felici non è solo celebrare i successi, ma apprendere lezioni dai fallimenti. Essere felici è riconoscere che vale la pena vivere la vita, nonostante tutte le sfide, incomprensioni e periodi di crisi. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita».
Un saggio teneva nel suo studio un enorme orologio a pendolo che ad ogni ora suonava con solenne lentezza, ma anche con gran rimbombo.
«Ma non la disturba?» chiese uno studente.
«No» rispose il saggio. «Perché così ad ogni ora sono costretto a chiedermi: che cosa ho fatto dell’ora appena trascorsa?».
Il tempo è l’unica risorsa non rinnovabile. Si consuma ad una velocità incredibile. Sappiamo che non avremo un’altra possibilità. Perciò tutto il bene che possiamo fare, l’amore, la bontà e la gentilezza di cui siamo capaci li dobbiamo donare adesso. Perché non torneremo su questa terra un’altra volta. Con un perenne velo di rimorso nel nostro intimo, sentiamo che Qualcuno ci chiederà: «Che ne hai fatto di tutto quel tempo che ti ho regalato?»

La nostra speranza si chiama Gesù
Nel tempo nuovo che abbiamo appena cominciato, le date e i numeri di un calendario sono segni convenzionali, sono segni e numeri inventati per misurare il tempo. Nel passaggio dall’anno vecchio al nuovo anno è cambiato molto poco, eppure la percezione di un anno che finisce ci costringe a fare sempre un bilancio. Quanto abbiamo amato? Quanto abbiamo perduto? Quanto siamo diventati migliori, o quanto siamo diventati peggiori? Il tempo che passa non ci lascia mai uguali.
La liturgia, nel sorgere dell’anno nuovo, ha un modo tutto suo di farci fare un bilancio. Essa lo fa attraverso le parole iniziali del vangelo di Giovanni; parole che possono sembrare difficili ma che in realtà riflettono la profondità della vita: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolta”. Al fondo di ogni nostra vita risuona una Parola più grande di noi. Essa è il motivo per cui esistiamo, per cui il mondo esiste, per cui ogni cosa esiste. Questa Parola, questo Verbo, è Dio stesso, è il Figlio, è Gesù. Il nome del motivo per cui siamo stati fatti si chiama Gesù.
È Lui il vero motivo per cui ogni cosa esiste, ed è in Lui che possiamo capire ciò che esiste. La nostra vita non va giudicata confrontandola con la storia, con i suoi eventi e la sua mentalità. La nostra vita non può essere giudicata guardando a noi stessi e alla nostra sola esperienza. La nostra vita è comprensibile solo se la si accosta a Gesù. In Lui tutto assume un senso e un significato, anche di quello che di contradditorio e ingiusto ci è capitato. È guardando a Gesù che capiamo qualcosa di noi stessi. Lo dice bene un salmo quando afferma: “Alla tua luce vediamo la luce”.
Questo è il modo di vedere il Tempo secondo il Cuore di Dio, e noi ci auguriamo di vivere questo tempo nuovo così.
Il nuovo anno porterà a tutti noi, alla famiglia salesiana, alla Congregazione importanti eventi e novità. Tutte dentro il dono del Giubileo che nella Chiesa stiamo vivendo.
Dentro lo spirito del Giubileo lasciamo trasportare dalla Speranza che è la presenza di Dio nella nostra vita.
Il primo mese di questo nuovo anno, gennaio, è trapuntato di feste Salesiane che di portano alla Festa di Don Bosco, ringraziamo Dio di questa delicatezza con cui ci dona di iniziare l’anno nuovo.
Lasciamo quindi l’ultima parola a don Bosco e fissiamo questa sua massima, perché forgi il nostro 2025: Figlioli miei, conservate il tempo e il tempo conserverà voi in eterno (MB XVIII 482,864).




Appello Missionario 2025

Carissimi confratelli,

un saluto fraterno e cordiale dal Sacro Cuore di Roma.

In questo giorno, 18 di dicembre, come ogni anno, nel ricordo della fondazione della nostra Congregazione, nel 1859, vengo a voi con questo scritto che rinnova lo spirito delle origini, lo spirito missionario che ha reso, fin dal principio, la Congregazione quello che è.

In questo anno, con emozione, do voce al cuore della Congregazione, nel 150° anniversario della prima spedizione missionaria. La celebrazione di questo anniversario segna il nostro cuore ed il nostro animo. Ci chiede di rinnovare lo spirito missionario che da sempre è nel cuore del carisma, perché ringraziando per la fedeltà di Dio, dia energia di futuro all’evangelizzazione e alla Congregazione.

Celebrare il 150° anniversario della prima spedizione missionaria di don Bosco rappresenta un grande dono per:

Ringraziare, per riconoscere la grazia di Dio.
La riconoscenza rende palese la paternità di ogni bella realizzazione. Senza riconoscenza non c’è capacità di accogliere. Tutte le volte che nella nostra vita personale ed istituzionale non riconosciamo un dono, rischiamo seriamente di vanificarlo e di “impadronircene. Parlando di spirito della missione siamo al centro della vita del discepolo: una cosa infinitamente più grande di noi, che è la dinamica fondante ed originale della Chiesa, per ogni generazione.

Ripensare, perché “nulla è per sempre”.
La fedeltà comporta anche la capacità di cambiare nell’obbedienza a una visione che viene da Dio e dalla lettura dei “segni dei tempi”. Nulla è per sempre: dal punto di vista personale e istituzionale la vera fedeltà è la capacità di cambiare, riconoscendo in cosa il Signore chiama ciascuno di noi. Ripensare, allora, diventa un atto generativo, in cui si uniscono fede e vita; un momento nel quale chiedersi: cosa vuoi dirci Signore con questa persona, con questa situazione alla luce dei segni dei tempi che, per esser letti, chiedono di avere il cuore stesso di Dio?

Rilanciare, ricominciare ogni giorno.
La riconoscenza porta a guardare lontano e ad accogliere le nuove sfide, rilanciando le missioni con speranza. L’attività missionaria è portare la speranza di Cristo con la consapevolezza lucida e chiara, legata alla fede, che fa riconoscere che quanto vedo e vivo “non è roba mia”, e mi dà la forza per andare avanti, personalmente e istituzionalmente.

Tutto ciò richiede il coraggio di esser sé stessi, di riconoscere la propria identità nel dono di Dio e investire le proprie energie in una responsabilità precisa. Consapevoli del fatto che, ciò che ci è stato affidato, non è nostro, e che abbiamo il compito di trasmetterlo alle prossime generazioni.

Questo è il cuore di Dio questa è la vita della Chiesa.

Il Santo Padre ci ha donato in questi ultimi tempi una lettera Enciclica “Dilexit nos” sull’amore umano e Divino del cuore di Gesù Cristo. Questo dono di Papa Francesco illumina il nostro cuore missionario.

Il Papa ci indica l’azione sociale ed il mondo intero come destinazione naturale della devozione autentica al Sacro Cuore. Al numero 205 dell’Enciclica così dice: “che culto sarebbe per Cristo se ci accontentassimo di un rapporto individuale senza interessa per aiutare gli altri a soffrire meno e vivere meglio? Potrei forse piacere al Cuore che ha tanto amato se rimaniamo in un “esperienza religiosa intima, senza conseguenze fraterne e sociali?

Papa Francesco ci dice chiaramente che chi è intimo del cuore del Signore non può non essere dotato di uno spirito missionario che abbraccia il mondo intero, perché il suo cuore si è dilatato, ampliato! C’è una relazione diretta: più abitiamo l’intimità del Cuore di Cristo e più saremo capaci di raggiungere i più lontani confini della terra.

Il cuore di Cristo mi spinge ad essere attento alle ferite del cuore dell’umanità.
In una parola: il cuore della missione è il cuore di Dio.

Che forza e che energia il Santo Padre ci trasmette, in questo anno che ci introduce nel 150° della prima spedizione missionaria.

La storia continua con noi. Oggi don Bosco ha bisogno dei Salesiani che si rendono disponibili come “semplici strumenti” per realizzare il sogno missionario. Questo è il mio appello ai confratelli che sentono nel profondo del loro cuore, la chiamata di Dio, dentro la nostra comune vocazione salesiana, a rendersi disponibili come missionari con un impegno per tutta la vita (ad vitam), dovunque il Rettor Maggiore li invierà.

Allo scorso appello di don Angel, nel dicembre 2023 hanno aderito 48 salesiani che sono stati scelti 24 come membri della 155° spedizione missionaria. In questo anno che prepara il 150° della prima spedizione missionaria, la mia preghiera e il mio auspicio è che possano esser ancora di più.

Il dialogo con il Consigliere Generale per le Missioni e la riflessione condivisa all’interno del Consiglio Generale, sulla base del progetto missionario presentato al Consiglio (ACGA31, p. 66) mi permette di precisare le urgenze individuate per il 2025, dove vorrei che un numero significativo di confratelli potesse essere inviato:

– Nordafrica, Africa Meridionale (AFM), Africa Occidentale Nord (AON), Mozambico;
– la nuova presenza che inizieremo in Vanuatu;
– Albania, Romania, per il ‘Progetto Calabria-Basilicata’ (IME);
– Cile, Mongolia, Uruguay, e altre frontiere ed eventuali urgenze.

Invito gli Ispettori, con loro i Delegati ispettoriale per l’animazione missionaria, ad essere i primi ad aiutare i confratelli a facilitare il loro discernimento, invitandoli, dopo il dialogo personale, a mettersi a disposizione del Rettor Maggiore per rispondere ai bisogni missionari della Congregazione. Poi il Consigliere Generale per le Missioni continuerà il discernimento che porterà alla scelta dei missionari per la prossima 156° spedizione missionaria, che si terrà a Valdocco 1’11 novembre 2025.

Il Signore benedica e la Madonna accompagni tutti noi, Santo Natale a tutti e un buon anno nuovo nel nome della Speranza, che è presenza di Dio.

Roma, 18 dicembre 2024

Sac. Stefano Martoglio
Vicario (ex. art. 143 cost. S.D.B.)
Prot. n. 24/0575




Un cuore grande come i lidi del mare

Un tempo nuovo ci è donato: dal Cuore di Dio al cuore dell’umanità, nello specchio del gran cuore di don Bosco.

Cari amici e lettori, in questo numero di dicembre mi rivolgo a voi con i migliori auguri di un anno nuovo! Di un tempo nuovo che ci è donato da vivere con intensità e con “novità di vita” e faccio mio, come augurio propizio ed opportuno, il dono che il Santo Padre ci ha fatto nei giorni scorsi: lettera Enciclica Dilexit Nos sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo.
Noi salesiani siamo abituati a cantare: «Dio ti ha dato un cuore grande / come la sabbia del mare. / Dio ti ha donato il suo spirito: / ha liberato il tuo amore».
Papa Pio XI, che ben lo conosceva, disse che don Bosco aveva una “bellissima particolarità”: era “un grande amatore di anime” e le vedeva «nel pensiero, nel cuore, nel sangue di Nostro Signore Gesù Cristo». Del resto nello stemma della nostra Congregazione c’è un cuore ardente.
Papa Francesco si introduce così al n.2 della Dilexit Nos: “per esprimere l’amore di Gesù si usa spesso il simbolo del cuore. Alcuni si domandano se esso abbia un significato tuttora valido. Ma quando siamo tentati di navigare in superficie, di vivere di corsa senza sapere alla fine perché, di diventare consumisti insaziabili e schiavi degli ingranaggi di un mercato a cui non interessa il senso della nostra esistenza, abbiamo bisogno di recuperare l’importanza del cuore”.
Come è forte questa indicazione del nostro Papa per indicarci un modo nuovo di vivere, in un tempo nuovo che ci è donato, l’anno che verrà.
Al n. 21, Papa Francesco scrive: “il nucleo di ogni essere umano, il suo centro più intimo, non è il nucleo dell’anima ma dell’intera persona nella sua identità unica, che è di anima e corpo. Tutto è unificato nel cuore, che può essere la sede dell’amore con tutte le sue componenti spirituali, psichiche e anche fisiche. In definitiva, se in esso regna l’amore, la persona raggiunge la propria identità in modo pieno e luminoso, perché ogni essere umano è stato creato anzitutto per l’amore, è fatto nelle sue fibre più profonde per amare ed essere amato”.
Ed aggiunge al numero 27 della stessa Lettera Enciclica: “davanti al Cuore di Gesù vivo e presente, la nostra mente, illuminata dallo Spirito, comprende le parole di Gesù. Così la nostra volontà si mette in moto per praticarle. Ma ciò potrebbe rimanere una forma di moralismo autosufficiente. Sentire e gustare il Signore e onorarlo è cosa del cuore. Solo il cuore è capace di mettere le altre facoltà e passioni e tutta la nostra persona in atteggiamento di riverenza e di obbedienza amorosa al Signore”.
Non mi dilungo oltre, sperando di avervi stuzzicato a leggere questa splendida Lettera Enciclica che non è solo un dono grande per vivere in modo nuovo il tempo che ci è donato, e già sarebbe sufficiente; è anche un’indicazione profondamente “salesiana”.
Quanto don Bosco ha scritto e lavorato nella diffusione proprio della devozione al Sacro Cuore di Gesù, come amore divino che accompagna la nostra realtà umana.

Una magnifica spinta
Nelle Memorie Biografiche al volume VIII, 243 – 244, troviamo così scritto, riferito a don Bosco: “la devozione al S. Cuore, che nel suo animato aveva ardentissima, animava tutte le sue opere, dava efficacia ai suoi discorsi familiari, alle sue prediche, e all’esercizio del suo ministero, sicché ne restavamo tutti incantati e persuasi (dice la testimonianza di don Bonetti). Parve altresì che il Sacro Cuore cooperasse anche con soprannaturali aiuti al compimento della sua ardua missione”.
Questa testimonianza della devozione di don Bosco al Sacro Cuore si identifica “plasticamente” con la Basilica omonima costruita da don Bosco a Roma su richiesta del Papa del tempo.
L’edificio materiale rimanda e richiama tutti noi alla “monumentale” devozione di don Bosco al Sacro Cuore. Come per la Madonna così per il Sacro Cuore, la devozione di don Bosco si manifesta nelle chiese che ha costruito. Perché la devozione al Sacro Cuore è l’Eucarestia, il culto Eucaristico.
Il cuore di don Bosco in costante amore con l’Eucarestia è una magnifica spinta personale per rendere vivo e vero questo nel nuovo anno. Un vero e profondo augurio di buon anno nuovo vissuto in pienezza. Come prosegue il canto: «Hai formato uomini / dal cuore sano e forte: / li hai mandati per il mondo ad annunciare / il Vangelo della gioia».

Mi piace concludere questo breve messaggio, augurando a tutti di cuore un buon anno nuovo, con l’immagine che Papa Francesco riporta nelle prime pagine dell’enciclica, rifacendosi agli insegnamenti di sua nonna sul significato del nome dei dolci di carnevale, le “busie”… perché nella cottura l’impasto si gonfia e rimane vuoto…quindi ha una esteriorità a cui corrisponde un vuoto dentro; sembrano da fuori ma non sono, son “busie”.
Che l’anno nuovo sia per tutti noi pieno e ricco di sostanza, concretizzando nell’accoglienza di Dio che viene in mezzo a noi.
La Sua venuta porti pace e verità, ciò che si vede da fuori corrisponda a ciò che c’è dentro!
Auguri di cuore a tutti voi!




Il sentiero delle rose

«“Oh! Don Bosco cammina sempre sulle rose. Egli va avanti tranquillissimo: tutto gli va bene” Ma essi non vedevano le spine che laceravano le mie povere membra. Tuttavia andai avanti». Di spine e di rose è intrecciata ogni vita, come nel celebre sogno del pergolato di rose di don Bosco. La Speranza è la forza che nonostante le spine ci fa andare avanti.

Cari Lettori, amici della famiglia salesiana e benefattori che aiutano l’opera di Don Bosco in tutte le situazioni ed in tutti i contesti, inviandovi un pensiero tramite il Bollettino Salesiano, ho scelto di rimanere ancora un poco sul tema della Speranza, come già abbiamo fatto il mese scorso.
Questo non solo per amore di continuità, ma soprattutto perché è un tema di cui parlare, perché ne abbiamo tutti molto bisogno. È una declinazione della delicatezza di Dio nella nostra vita.
Ma quando parliamo di speranza, prima di tutto, ricordiamo che è un elemento di profonda umanità, ed un criterio chiaro per interpretare la vita, in tutte le religioni.
La speranza ha molto a che fare con la trascendenza e con la fede, l’amore e la vita eterna, sottolinea il filosofo coreano Byung-Chul Han. Noi lavoriamo, produciamo e consumiamo, sottolinea nei suoi scritti questo filosofo, ma in questo modo di vivere non c’è nessuna forma di apertura al trascendente, nessuna Speranza.
Viviamo in un tempo privato della dimensione della festa, anche se siamo pieni di cose che ci stordiscono; un tempo senza festa è un tempo senza speranza. La società dei consumi e della performance in cui viviamo, rischia di renderci incapaci di felicità, di gioire per la situazione in cui ci troviamo. Anche la situazione più difficile ha sempre delle briciole di luce!
La speranza ci fa credenti nel futuro, perché il luogo di sperimentazione più intensa della speranza è la trascendenza.
Lo scrittore e politico Ceco Vaclay Havel, presidente della Cecoslovacchia nell’epoca della “rivoluzione di velluto”, che molti di noi ricordano, definisce la speranza come uno stato d’animo, una dimensione dell’anima.
La speranza è un orientamento del cuore che trascende il mondo immediato dell’esperienza; è un ancoraggio da qualche altra parte oltre all’orizzonte.
Le radici della speranza si trovano da qualche parte dentro il trascendente ecco perché non è la stessa cosa avere Speranza o essere soddisfatti perché le cose vanno bene.
Quando parliamo di futuro lo intendiamo in relazione a cosa accadrà domani, il mese prossimo, tra due anni. Il futuro è quello che possiamo pianificare, prevedere gestire ed ottimizzare.
La Speranza è la costruzione di un futuro che ci unisce al futuro che non finisce, al trascendente, alla dimensione Divina. Coltivare la speranza fa bene al nostro cuore perché mette energia nella costruzione della nostra strada verso il Paradiso.

La parola più pronunciata da Don Bosco
Scrisse Don Alberto Caviglia: «A svolgere le pagine che riportano parole e discorsi di Don Bosco, si trova che quella del Paradiso fu la parola ch’egli ripeteva in ogni circostanza come argomento animatore supremo di ogni attività nel bene e di ogni sopportazione delle avversità».
«Un pezzo di Paradiso aggiusta tutto!» ripeteva Don Bosco in mezzo alle difficoltà. Anche nelle moderne scuole per manager si insegna che una visione positiva del futuro si trasforma in forza di vita.
Quando, anziano e cadente, attraversava il cortile a passettini di formica, quelli che lo incrociavano gli rivolgevano il solito saluto distratto: «Dove andiamo, Don Bosco?» Sorridendo, il santo rispondeva: «In Paradiso».
Quanto insisteva don Bosco su questo: il Paradiso! Faceva crescere i suoi giovani con la visione del Paradiso nel cuore e negli occhi. Tutti noi sappiamo che possiamo esser cristiani, anche convinti, ma non credere al Paradiso.
Don Bosco ci insegna ad unire il nostro aldiquà, con l’aldilà. E lo fa con la virtù della Speranza.
Portiamo in cuore questo, ed apriamo il nostro cuore alla carità, alla nostra umanità che incarna ciò in cui crediamo profondamente.
Se ricevete questo breve scritto nel mese di novembre, vivete questa speranza con i nostri Santi e con i vostri defunti, tutti uniti in una cordata che parte dal nostro quotidiano e porta all’infinito.
Come don Bosco, vivere come se vedessimo l’invisibile, nutriti dalla Speranza che è la presenza Provvidente di Dio. Solo chi è profondamente concreto, come lo era don Bosco, è in grado di vivere fissando l’invisibile.




Il nostro annuale regalo

Tradizionalmente come Famiglia Salesiana riceviamo ogni anno la Strenna; un regalo di inizio anno, ed in queste poche righe mi è caro guardare dentro a questo dono per accoglierlo come merita, senza perder nulla della freschezza del dono.

Un dono, perché prima di tutto, strenna vuol dire: ti faccio un regalo! Ti regalo una cosa importante per celebrare un tempo nuovo, un anno nuovo. Così la pensò don Bosco e la consegnò a tutti i giovani e gli adulti che stavano con lui.
Questo dono, la strenna, voglio consegnartela per l’inizio dell’anno nuovo, di un tempo nuovo.
Bello ed importante questo: un anno nuovo, un tempo nuovo è un contenitore in cui staranno tutti gli altri contenuti. L’anno che verrà non è uguale a quelli che hai vissuto fin ora, l’anno nuovo necessita uno sguardo nuovo per viverlo in pienezza; perché l’anno nuovo non tornerà! Ogni tempo è unico perché noi siamo diversi dallo scorso anno, da come eravamo l’anno scorso.
La Strenna è prepararsi a questo tempo nuovo, cominciando a guardare dentro a questo nuovo anno, mettendo in luce alcune cose che di questo anno saranno parte importante.

Il filo rosso
Il dono del tempo, della vita; nella vita il dono di Dio e tutti gli altri doni dentro: persone situazioni, occasioni, relazioni umane. Dentro questo provvidenziale modo di vedere il dono del tempo e della vita la strenna, dono che Don Bosco… e dopo di lui i suoi successori fanno ogni anno a tutta la famiglia salesiana… è uno sguardo sull’anno nuovo, sul tempo nuovo, per vederlo con occhi nuovi.
La strenna è un aiuto a vedere il tempo che verrà mettendo a fuoco un filo rosso che guida questo tempo nuovo: il filo rosso che la strenna ci dona è la Speranza. Importante anche questo! L’anno nuovo sicuramente avrà moltissime cose, ma tu non disperderti! Comincia a pensare su quanto è importante…non disperderti, raccogli!
La strenna che il nostro don Angel ci ha imbastito, come un abito nuovo, mette in luce degli eventi che tutti vivremo, e li unisce con un filo rosso, la Speranza!
Gli eventi che la strenna del 2025 mette in risalto sono eventi globali o particolari che ci coinvolgono, perché li viviamo bene:

• Il giubileo ordinario dell’anno 2025: un Giubileo è un evento di Chiesa che, nella tradizione Cattolica, il Santo Padre ci dona. Vivere il Giubileo è vivere questo pellegrinaggio che la Chiesa ci offre per rimettere al centro della nostra vita e della vita del Mondo la presenza del Cristo. Il giubileo che Papa Francesco ha un tema generatore: Spes non confundit! La Speranza non delude! Che meraviglia di tema generatore! Se di una cosa ha bisogno il Mondo in questo momento difficile è proprio la Speranza, ma non la speranza di quanto crediamo di poter fare da soli noi stessi, con il rischio che diventi una illusione. La Speranza della ri-scoperta della Presenza di Dio. Scrive Papa Francesco: “La Speranza ricolmi il cuore!” Non solo scaldi il cuore, lo riempia. Lo riempia in una misura traboccante!
• La Speranza ci rende pellegrini, il Giubileo è pellegrinaggio! Ti mette in moto dentro, altrimenti non è Giubileo. Dentro questo evento di Chiesa che ci fa sentire Chiesa noi, come Congregazione Salesiana e come Famiglia Salesiana, abbiamo un anniversario importante: nel 2025 ricorre
• il 150° della prima spedizione missionaria in Argentina
Don Bosco, a Valdocco, butta il cuore oltre ogni confine: manda i suoi figli dall’altra parte del mondo! Li manda, oltre ogni sicurezza umana, li manda quando non ha nemmeno quelli che gli servirebbero per portare avanti ciò che aveva cominciato.
Li manda e basta! Alla Speranza si obbedisce, perché la Speranza guida la Fede e mette in moto la Carità. Li manda ed i primi confratelli partono e vanno, dove nemmeno loro sapevano! Da lì siamo nati tutti noi, dalla Speranza che ci mette in cammino e ci rende pellegrini.
Questo anniversario va celebrato, come ogni anniversario, perché ci aiuta a riconoscere il Dono, (non è una tua proprietà, ti è stato dato in dono) a ricordare e a dare forza per il tempo che verrà della energia della Missione.
La Speranza fonda la Missione, perché la Speranza è una responsabilità che non puoi nascondere né tenere per te! Non tenere nascosto quanto ti è donato; riconosci il donatore e consegna con la tua vita quanto ti è stato donato alle generazioni successive! Questa è la vita della Chiesa, la vita di ciascuno di noi.
San Pietro che vedeva lungo, nella sua prima lettera scrive: “siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi chieda conto della speranza che è in voi!” (1 Pt, 3,15). Dobbiamo pensare che rispondere non sono parole, è la vita che risponde!
Con la speranza che è in te, vivi e prepari questo nuovo anno che verrà, un cammino con i giovani, con i fratelli per rinnovare il Sogno di Don Bosco ed il Sogno di Dio.

Il nostro stemma
«Sul mio labaro brilla una stella» si cantava un tempo. Sul nostro stemma oltre alla stella, campeggiano una grande ancora e un cuore infiammato.
Ecco alcune immagini semplici per cominciare a muovere il nostro cuore verso il tempo che verrà, “Ancorati nella speranza, pellegrini con giovani”. Ancorati è un termine molto forte: l’ancora è la salvezza della nave nella tempesta, fermi, forti, radicati nella Speranza!
Dentro questo tema generatore ci sarà tutta la nostra vita quotidiana: persone, situazioni, decisioni…il “micro” di ognuno di noi che si salda con il “macro” di quanto tutti insieme vivremo…consegnando a Dio il dono di questo tempo che ci è donato. Perché alla Strenna che tutti riceveremo devi aggiungere la tua parte; il tuo quotidiano che saprai illuminare con quanto abbiamo scritto e riceveremo, altrimenti non è una Speranza, non è ciò su cui si fonda la tua vita e non ti mette in “movimento” rendendoti Pellegrino.
Questo cammino lo affidiamo alla Madre del Signore, Madre della Chiesa e Ausiliatrice nostra; Pellegrina di Speranza insieme a noi.