LA PRESENZA DI MARIA, IN SAN FRANCESCO DI SALES (8/8)
Le prime notizie che abbiamo sulla devozione a Maria nella famiglia di Sales si riferiscono alla mamma, la giovane Francesca de Sionnaz, devota della Vergine, fedele alla preghiera del Rosario. L’amore a questa pia pratica passa nel figlio, che ragazzino ad Annecy si iscrive alla Confraternita del Rosario, impegnandosi a recitarlo tutto o in parte ogni giorno. La fedeltà allo chapelet lo accompagnerà tutta la vita.
La devozione alla Vergine continua negli anni parigini. Entrò nella Congregazione di Maria, che riuniva l’élite spirituale degli studenti del loro collegio.
C’è poi la crisi spirituale che irrompe alla fine del 1586: per varie settimane non mangia, non dorme, si dispera. Ha in testa l’idea di essere abbandonato dall’amore di Dio e di “non poter mai più vedere il vostro dolcissimo volto”. Finché un giorno di gennaio 1587, di ritorno dal collegio, entra nella chiesa di Saint-Etienne-des-Grès e davanti alla Vergine compie un atto di abbandono: recita la Salve Regina e viene liberato dalla tentazione e riacquista la serenità.
La preghiera e la devozione alla Madre di Dio continuano certamente negli anni di Padova: avrà affidato a Lei la sua vocazione al sacerdozio…
Il 18 dicembre 1593 è ordinato sacerdote e sicuramente avrà celebrato qualche messa nella chiesa di Annecy, dedicata a Notre Dame de Liesse (Nostra Signora della Gioia), per ringraziare Colei che l’aveva preso e condotto per mano durante quei lunghi anni di studio.
Passano gli anni e arriviamo all’agosto del 1603 Francesco riceve la lettera-invito da parte dell’arcivescovo di Bourges a predicare la prossima quaresima a Digione. “La nostra Congregazione è frutto del viaggio a Digione” scriverà all’amico P. Pollien.”
Sarà proprio durante questo quaresimale, iniziato il 5 marzo 1604, che Francesco incontrerà la baronessa Giovanna Frémyot di Chantal. Inizierà un cammino verso Dio alla ricerca della Sua volontà, un cammino che durerà sei anni e che si concluderà il 6 giugno 1610, giorno in cui nasce la Visitazione con l’ingresso in noviziato di Giovanna e di altre due donne. “La nostra piccola Congregazione è davvero un’opera del Cuore di Gesù e di Maria” e dopo poco tempo aggiunge fiducioso: “Dio ha cura delle sue serve e la Madonna provvede loro il necessario”. Le sue Figlie si sarebbero chiamate Religiose della Visitazione di Santa Maria.
A quattrocento anni dalla fondazione, il monastero della Visitazione di Parigi scrive che l’Ordine non ha mai smesso di attingere in questa scena del Vangelo tutto il meglio della propria spiritualità. “Contemplazione e lode del Signore, unite al servizio del prossimo; spirito di ringraziamento e umiltà del Magnificat; povertà reale che si getta con confidenza infinita nella bontà del Padre; disponibilità allo Spirito; ardore missionario per rivelare la presenza del Cristo; gioia nel Signore; Maria che custodisce fedelmente tutte queste cose nel suo cuore”.
Giovanna di Chantal così sintetizza lo spirito salesiano: “uno spirito di profonda umiltà verso Dio e di una grande dolcezza verso il prossimo” che sono appunto le virtù che immediatamente nascono dalla contemplazione vissuta del mistero della Visitazione.
Nel Trattenimento sullo spirito di semplicità, Francesco alle sue Visitandine dice: “Dobbiamo avere una fiducia totalmente semplice, che ci faccia rimanere quiete nelle braccia del nostro Padre e della nostra cara Madre, sicure che Nostro Signore e la Madonna, nostra cara Madre, ci proteggeranno sempre con la loro cura e materna tenerezza”. La Visitazione è il monumento vivente dell’amore di Francesco alla Madre di Gesù.
L’amico, monsignore J.P. Camus, così riassume l’amore alla Vergine di Francesco: “Fu veramente grande la sua devozione alla Madre dello splendido amore, della scienza, dell’amore casto e della santa speranza. Sin dalla sua tenera età si dedicò a onorarla”.
Nelle lettere la presenza di Maria è come il lievito nella pasta: discreta, silenziosa, attiva ed efficace. Non mancano preghiere composte da Francesco stesso.
L’8 dicembre (!) 1621 ne invia una ad una visitandina: “La gloriosissima Vergine, voglia colmarci del suo amore, affinché insieme, voi e io, che abbiamo avuto la fortuna d’essere chiamati e imbarcati sotto la sua protezione e nel suo nome, compiamo santamente la nostra navigazione in umile purità e semplicità, in modo che un giorno ci possiamo trovare nel porto della salvezza, che è il Paradiso”.
Quando scrive lettere a ridosso di qualche festa mariana, non perde occasione per farvi cenno o prendervi spunto per una riflessione. Così, – per l’Assunzione di Maria al cielo: “Questa santa Vergine, con le sue preghiere, voglia farci vivere in questo santo amore! Che esso sia sempre l’unico oggetto del nostro cuore. – per l’Annunciazione: è il giorno “del saluto più fortunato che sia mai stato rivolto a una persona. Io supplico questa gloriosa Vergine a volervi concedere un po’ della consolazione che essa ricevette”
Chi è Maria per Francesco?
a. È la Madre di Dio Non solo Madre, ma anche… nonna! “Onora, riverisci e rispetta con un amore speciale la santa e gloriosa Vergine Maria: ella è Madre del nostro Padre sovrano e perciò anche nostra cara nonna. Ricorriamo a Lei quali nipotini, gettiamoci sulle sue ginocchia con assoluta fiducia; in ogni momento, in ogni circostanza, facciamo appello a questa dolce Madre, invochiamo il suo amore materno e, facendo ogni sforzo per imitare le sue virtù, abbiamo per Lei un sincero cuore di figli”.
Ci porta a Gesù: “Fate tutto quello che Lui vi dirà!” “Se vogliamo che Nostra Signora chieda a suo Figlio di cambiare l’acqua della nostra tiepidezza nel vino del suo amore, bisogna che facciamo tutto quello che Lui ci dirà. Facciamo bene quello che il Salvatore ci dirà, riempiamo bene i nostri cuori dell’acqua della penitenza e ci verrà cambiata questa acqua tiepida in vino di amore fervente”.
b. È il modello che dobbiamo imitare Nell’ascoltare la Parola di Dio. “Accoglila nel tuo cuore come un unguento prezioso, seguendo l’esempio della Santissima Vergine, che conservava con cura nel proprio, tutte le lodi dette in onore del Figlio”.
Modello nel vivere in umiltà. “La Santissima Vergine, Nostra Signora, ci ha dato un esempio notevolissimo di umiltà quando ha pronunciato queste parole: Ecco la serva del Signore, si faccia di me secondo la tua parola; dicendo che è la serva del Signore, esprime l’atto di umiltà più grande che si possa fare e immediatamente compie un atto di generosità eccellentissima, dicendo: Si faccia di me secondo la tua parola”.
Modello nel vivere una santità comune. “Se si vuole essere santi di una vera santità, bisogna che sia comune, quotidiana, feriale come quella di Nostro Signore e della Madonna”
Modello nel vivere nella serenità: “Se vi sentite eccessivamente preoccupata, rasserenate la vostra anima e cercate di ridarle la tranquillità. Immaginate come la Vergine lavorava tranquillamente con una mano, mentre con l’altra teneva nostro Signore, durante la sua infanzia: lo teneva su un braccio, non distogliendo mai da Lui il suo sguardo”.
Modello nel donarci a Dio per tempo: “Oh quanto sono felici le anime che, a imitazione di questa santa Vergine, si consacrano come primizie, fin dalla loro giovinezza, al servizio di Nostro Signore”.
c. È la forza nella sofferenza Il marito della signora di Granieu soffre attacchi di gotta molto dolorosi. Francesco partecipa alla sofferenza di un signore e aggiunge: “Un dolore che la nostra santissima Signora e Badessa (è la Vergine Maria) vi può alleviare assai, conducendovi sul monte Calvario, dove tiene il noviziato del suo monastero, insegnando non solo a soffrire bene, ma a soffrire con amore tutto quello che avviene sia per noi sia per i nostri cari”.
Concludo con questo splendido passo che sottolinea il legame che unisce Maria e il credente ogni volta che si accosta all’Eucaristia: “Volete diventare parenti della Vergine Maria? Comunicatevi! Infatti ricevendo il Santo Sacramento voi ricevete la carne della sua carne e il sangue del suo sangue, dal momento che il prezioso corpo del Salvatore, che è nella divina Eucaristia, è stato fatto e formato con il suo sangue purissimo e con la collaborazione dello Spirito Santo. Non potendo essere parenti della Madonna allo stesso modo di Elisabetta, siatelo imitando le sue virtù e la sua vita santa”.
Alcuni episodi della vita di Francesco che ci introducono nella contemplazione della “dolcezza salesiana”.
Francesco, per migliorare la situazione del clero nelle parrocchie, aveva stabilito che fossero messe a concorso: almeno tre candidati per una parrocchia. Sarebbe stato scelto il migliore. Ora, era successo che un cavaliere di Malta, furibondo perché uno dei suoi servitori era stato escluso da un concorso (questo candidato sapeva più corteggiare le donne che commentare il Vangelo!), era entrato bruscamente nello studio del vescovo e lo aveva insultato con ingiurie e minacce e Francesco era rimasto in piedi, con il cappello in mano. Il fratello del vescovo gli domandò poi se mai la collera lo avesse preso qualche volta e il sant’uomo non gli nascose che “allora e spesso la collera ribolliva nel suo cervello come l’acqua che bolle in una pentola sul fuoco; ma che per grazia di Dio, quand’anche avesse dovuto morire per aver resistito con violenza a questa passione, non avrebbe mai detto una parola in suo favore”.
Si stava costruendo il primo monastero in città (la Sainte Source) e i lavori non andavano avanti perché i domenicani protestavano con gli operai in quanto, secondo loro, non esisteva la distanza richiesta tra i due edifici. Ci sono delle vivaci proteste e il vescovo con bontà e pazienza accorre per calmare gli animi. Questa calma e dolcezza non piacquero a Giovanna di Chantal, che sbottò dicendo: “La vostra dolcezza non farà che aumentare l’insolenza di queste persone malevole”. “Non sarà, non sarà – rispose Francesco – e poi, Madre, volete che nel giro di un quarto d’ora io distrugga quell’edificio della pace interiore alla cui costruzione sto lavorando da oltre diciotto anni?”.
Una premessa è d’obbligo per comprendere bene cosa sia la dolcezza salesiana. Ce ne parla un esperto: il salesiano don Pietro Braido: “Non è sentimentalismo, che richiama forme espressive sdolcinate; non è buonismo, tipico di chi chiude volentieri gli occhi sulla realtà per non avere problemi e seccature; non è la miopia di chi vede tutto bello e buono e per il quale tutto va sempre bene; non è l’atteggiamento inerte di chi non ha proposte da fare… La dolcezza salesiana (don Bosco userà il termine amorevolezza) è un’altra cosa: nasce indubbiamente da una profonda e solida carità ed esige un attento controllo delle proprie risorse emotive ed affettive; si esprime in un carattere di umore sereno costante, segno di una persona dall’umanità ricca; richiede capacità di empatia e di dialogo e crea un’atmosfera serena, priva di tensioni e di conflittualità. Dunque la dolcezza di Francesco non va confusa con la debolezza, anzi è forza che richiede controllo, bontà d’animo, chiarezza di intenti e forte presenza di Dio”.
Ma Francesco non è nato così! Dotato di spiccata sensibilità, era facile agli sbalzi di umore e agli scatti d’ira. Scrive il Lajeunie: “Francesco di Sales era un vero savoiardo, abitualmente calmo e dolce, ma capace di terribili collere; un vulcano sotto la neve. Per natura era molto pronto a montare in collera, ma che si impegnava tutti i giorni a correggersi. Con questo temperamento vivo e sanguigno, la sua dolcezza abituale fu sovente messa alla prova. Era molto ferito da parole insolenti e spiacevoli, da gesti volgari. Nel 1619 a Parigi confessava che aveva ancora degli scatti di collera nel suo cuore e doveva tenerne a freno le briglie con due mani! “Ho fatto un patto con la mia lingua di non dire una parola quando fossi stato in collera. Per grazia di Dio ho potuto avere la forza di frenare la passione della collera, cui naturalmente ero incline”. È per la grazia di Dio che aveva acquistato la capacità di dominare le sue passioni colleriche a cui la sua indole era portata. La sua dolcezza era dunque una forza, il frutto di una vittoria”.
Non è difficile scoprire dietro le prossime citazioni l’esperienza personale del santo, fatta di pazienza, di autocontrollo, di lotta interiore … Ad una signora dice: “Siate molto dolce e affabile in mezzo alle occupazioni che avete, perché tutti si attendono da voi questo buon esempio. È facile guidare la barca quando non è ostacolata dai venti; ma in mezzo ai fastidi, ai problemi, è difficile conservarsi sereni, come è difficile seguire la rotta in mezzo alle burrasche”. Alla signora di Valbonne, che Francesco definisce “una perla”, scrive: “Dobbiamo restare sempre saldi nella pratica delle nostre due care virtù: la dolcezza nei riguardi del prossimo e l’amabilissima umiltà nei riguardi di Dio”. Ritroviamo unite le due virtù care al Cuore di Gesù: dolcezza e umiltà.
Occorre esercitare la dolcezza anche verso sé stessi. “Ogni volta che troverete il vostro cuore fuori della dolcezza, contentatevi di prenderlo molto delicatamente con la punta delle dita per rimetterlo al suo posto e non prendetelo a pugni chiusi o troppo bruscamente. Bisogna essere disposti a servire questo cuore nelle sue malattie e anche ad usargli qualche gentilezza; e dobbiamo legare le nostre passioni e le nostre inclinazioni con catene d’oro, cioè, con le catene dell’amore.” “Chi sa conservare la dolcezza fra i dolori e le infermità e la pace fra il disordine delle sue molteplici occupazioni è quasi perfetto. Questa costanza d’umore, questa dolcezza e soavità di cuore è più rara che la perfetta castità, ma ne è tanto più desiderabile. Da questa, come dall’olio della lampada, dipende la fiamma del buon esempio, perché non vi è altra cosa che edifichi tanto come la bontà caritatevole.”
Ai genitori, educatori, insegnanti, superiori in genere Francesco ricorda di usare dolcezza soprattutto quando si tratta di muovere qualche osservazione o rimprovero a qualcuno. Qui emerge lo spirito salesiano: “Anche rimproverandoli, com’è necessario, bisogna usare con essi molto amore e dolcezza. In questo modo, i rimproveri ottengono facilmente qualche buon risultato. La correzione dettata dalla passione, anche quando ha basi ragionevoli, ha molto meno efficacia di quella che viene unicamente dalla ragione”. “Vi garantisco che ogni volta che sono ricorso a repliche pungenti, ho dovuto pentirmene. Gli uomini fanno molto di più per amore e carità che per severità e rigore”.
La dolcezza va a braccetto con un’altra virtù: la pazienza. Ecco allora qualche lettera che la consiglia: “Finché restiamo quaggiù, dobbiamo rassegnarci a portare noi stessi fino a che Dio ci porti in cielo. Bisogna dunque aver pazienza e non pensare mai che possiamo correggere in un giorno le cattive abitudini che abbiamo contratte per la poca cura che abbiamo avuto della nostra salute spirituale […]. Bisogna, riconosciamolo, aver pazienza con tutti, ma in primo luogo con sé stessi”. Alla signora de Limonjon scrive: “Non è possibile arrivare in un giorno là dove aspirate: bisogna guadagnare oggi questo punto, domani quell’altro; e così, un passo dopo l’altro, arriveremo a essere padroni di noi stessi; e non sarà una conquista da poco”.
Per Francesco la pazienza è la prima virtù da mettere in cantiere nella costruzione di un solido edificio spirituale. “L’effetto della pazienza è quello di possedere bene la propria anima e la pazienza è tanto più perfetta quanto più è libera dall’inquietudine e dalla fretta”. “Abbiate pazienza riguardo alla vostra croce interiore: il Salvatore la permette affinché, un giorno, possiate conoscere meglio quello che siete da voi stessa. Non vedete che l’agitazione del giorno viene calmata dal riposo della notte? Questo vuol dire che la nostra anima non ha bisogno di altro che di abbandonarsi completamente a Dio e di essere disposta a servirlo tanto fra le rose come tra le spine”.
Ecco due lettere concrete: alla signora de la Fléchère scrive: “Che volete dunque che vi dica circa il ritorno delle vostre miserie, se non che occorre riprendere le armi e il coraggio e combattere più decisamente che mai? Per sistemare i vostri affari dovrete usare molta pazienza e rassegnazione. Dio benedirà il vostro lavoro”.
E alla signora di Travernay aggiunge: “Dovete saper prendere con pazienza e dolcezza e per amore di Colui che le permette, le noie che vi toccano nel corso della giornata. Perciò elevate spesso il vostro cuore a Dio, implorate il suo aiuto e considerate come principale fondamento della vostra consolazione la fortuna che avete di essere sua!”.
Infine questo testo che io chiamo l’inno alla carità secondo san Francesco di Sales. “Colui che è dolce non offende nessuno, sopporta volentieri coloro che gli fanno del male, soffre con pazienza i colpi che riceve e non rende male per male. Chi è dolce non si turba mai, ma conforma tutte le sue parole all’umiltà, vincendo il male col bene. Fate sempre le correzioni col cuore e con parole dolci. In questo modo le correzioni produrranno migliori effetti. Non ricorrete mai alle rappresaglie verso coloro che vi hanno dato dei dispiaceri. Non risentitevi e non adiratevi mai per nessun motivo, perché questa è sempre un’imperfezione”.
Francesco riceve la prima Comunione e la Cresima all’età di nove anni circa. Da allora si comunicherà ogni settimana o almeno una volta al mese. Dio prende possesso del suo cuore e Francesco rimarrà fedele a questa amicizia che diventerà progressivamente l’amore della sua vita.
La fedeltà a una vita cristiana continua e si rafforza nei dieci anni di Parigi. “Si comunica, se non può più spesso, almeno una volta al mese.” E questo per dieci anni!
Sul periodo di Padova sappiamo che andava a messa tutti i giorni e che si comunicava una volta alla settimana. L’Eucaristia unita alla preghiera diventa l’alimento della sua vita cristiana e della sua vocazione. È in questa profonda unità con il Signore che percepisce la Sua volontà: qui matura il desiderio di essere “tutto di Dio”.
Francesco viene ordinato sacerdote il 18 dicembre 1593 e l’Eucaristia sarà il cuore delle sue giornate e la forza del suo spendersi per gli altri. Ecco alcune testimonianze, tratte dai Processi di beatificazione: “Era facile notare come si tenesse in profondo raccoglimento e attenzione davanti a Dio: gli occhi modestamente abbassati, il suo volto era tutto raccolto con una dolcezza e una serenità così grande che coloro che lo osservavano attentamente ne erano colpiti e commossi”.
“Quando celebrava la S. Messa era completamente diverso da com’era di solito: volto sereno, senza distrazioni e, al momento della comunione, quelli che lo vedevano erano profondamente colpiti dalla sua devozione.”
San Vincenzo de Paoli aggiunge: “Richiamando alla mente le parole del servo di Dio, provo una tale ammirazione che sono portato a vedere in lui l’uomo che più di tutti ha riprodotto il Figlio di Dio vivente sulla terra”.
Sappiamo già della sua partenza nel 1594 come missionario per il Chiablese. I primi mesi li trascorre al riparo della fortezza degli Allinges. Visitando quello che resta di questa fortezza, si rimane impressionati dalla cappella, rimasta intatta: piccola, buia, gelida, rigorosamente in pietra. Qui Francesco ogni mattino, verso le quattro, celebra l’Eucaristia e sosta in preghiera, prima di scendere a Thonon con il cuore colmo di carità e di misericordia, attinte al divino sacramento. Francesco trattava la gente con rispetto, anzi con compassione e “se gli altri miravano a farsi temere, egli desiderava farsi amare ed entrare negli animi per la porta del compiacimento” (J.P. Camus).
È l’Eucaristia che sostiene le fatiche iniziali: non risponde agli insulti, alle provocazioni, al linciaggio; si relaziona con tutti con cordialità. La sua prima predica da suddiacono era stata sul tema dell’Eucaristia e gli sarà certamente servita soprattutto ora, perché “questo augusto sacramento” sarà il suo cavallo di battaglia: nei sermoni tenuti nella chiesa di sant’Ippolito, sovente affronterà questo tema ed esporrà con chiarezza e passione il punto di vista cattolico.
Questa testimonianza, indirizzata all’amico A. Favre, dice la qualità e l’ardore della sua predicazione su un tema così importante: “Ieri poco mancò che le persone più in vista della città venissero pubblicamente ad ascoltare la mia predica, avendo sentito dire che avrei parlato dell’augusto sacramento dell’Eucaristia. Avevano tanta voglia di sentirmi esporre il pensiero cattolico circa questo mistero che quelli che non avevano osato venire pubblicamente, mi ascoltarono da un posto segreto nel quale non potevano essere visti.”
Il Corpo del Signore trasfonde a poco a poco nel suo cuore di pastore dolcezza, mitezza, bontà per cui anche la sua voce di predicatore ne risente: tono tranquillo e benevolo, mai aggressivo o polemico! “Sono convinto che chi predica con amore, predica a sufficienza contro gli eretici, anche se non dice una sola parola né discute con loro”.
Eloquente più di un trattato questa esperienza avvenuta il 25 maggio 1595. Alle tre del mattino, mentre meditava profondamente sul santissimo e augustissimo sacramento dell’Eucaristia, si sentì rapito da una così grande abbondanza di Spirito Santo che il suo cuore si lasciò andare in un effluvio di delizie, in tal modo da essere costretto alla fine a gettarsi per terra ed esclamare: “Signore, ritirati da me perché non posso più sostenere la sovrabbondanza della tua dolcezza”.
Nel 1596, dopo più di due anni di catechesi, decide di celebrare le tre Messe di Natale. Furono celebrate tra l’entusiasmo e la commozione generale. Francesco era felice! Questa messa di mezzanotte del Natale 1596 fu uno dei vertici della sua vita. In questa Messa c’era la Chiesa, la Chiesa cattolica ristabilita nel suo fondamento vivente.
Il Concilio di Trento aveva caldeggiato la pratica delle sante Quarantore, che consistevano nell’adorazione del Santissimo Sacramento per tre giorni consecutivi da parte di tutta la comunità cristiana. A inizio settembre 1597 si svolsero ad Annemasse, alle porte di Ginevra, con la presenza del vescovo, di Francesco e di altri collaboratori, con un frutto molto più grande di quello che si sperava. Furono giorni intensi di preghiera, processioni, prediche, messe. Oltre quaranta parrocchie vi parteciparono con un numero incredibile di persone.
Visto il successo, l’anno seguente si svolsero a Thonon. Fu una festa di vari giorni che superò ogni attesa. Tutto finì a notte inoltrata, con l’ultimo sermone tenuto da Francesco. Predicò sull’Eucaristia.
Molti studiosi della vita e delle opere del santo sostengono che solo il suo grande amore per l’Eucaristia può spiegare il “miracolo” del Chiablese, cioè come questo giovane prete in soli quattro anni abbia potuto ricondurre tutta la vasta regione alla Chiesa. E questo amore durò tutta la vita, fino alla fine. Nell’ultimo incontro che ebbe a Lione con le sue Figlie, le Visitandine, ormai in fin di vita, parlò loro della confessione e della comunione.
Che cos’era l’Eucarestia per il nostro santo? Era anzitutto:
Il cuore della sua giornata, che lo faceva vivere in un’intima comunione con Dio. “Non ti ho ancora parlato del sole degli esercizi spirituali: il santissimo e sommo Sacrificio e Sacramento della Messa, centro della religione cristiana, cuore della devozione, anima della pietà”.
È la consegna fiduciosa della sua vita a Dio al quale chiede forza per continuare la sua missione con umiltà e carità. “Se il mondo vi chiede perché vi comunicate così spesso, rispondete che è per imparare ad amare Dio, per purificarvi dalle vostre imperfezioni, per liberarvi dalle vostre miserie, per trovare forza nelle vostre debolezze e consolazioni nelle vostre afflizioni. Due tipi di persone devono comunicarsi sovente: i perfetti, perché essendo ben disposti farebbero un torto a non accostarsi alla fonte e sorgente della perfezione; e gli imperfetti per poter tendere alla perfezione. I forti per non indebolirsi e deboli per rafforzarsi. I malati per guarire e i sani per non ammalarsi”.
L’Eucaristia crea in Francesco una profonda unità con tante persone. “Questo sacramento non solo ci unisce a Gesù Cristo, ma anche al nostro prossimo, con quelli che partecipano allo stesso cibo e ci rende una cosa sola con loro. E uno dei principali frutti è la mutua carità e la dolcezza di cuore gli uni verso gli altri dal momento che apparteniamo allo stesso Signore e in Lui siamo uniti cuore a cuore gli uni gli altri”.
È una progressiva trasformazione in Gesù. “Coloro che fanno una buona digestione corporale risentono un rafforzamento per tutto il corpo, per la distribuzione generale che si fa del cibo. Così, Figlia mia, quelli che fanno una buona digestione spirituale risentono che Gesù Cristo, che è il loro cibo, si diffonde e comunica a tutte le parti della loro anima e del loro corpo. Essi hanno Gesù Cristo nel cervello, nel cuore, nel petto, negli occhi, nelle mani, nelle orecchie, nei piedi. Ma che fa questo Salvatore dappertutto? Raddrizza tutto, tutto purifica, tutto mortifica, vivifica ogni cosa. Ama nel cuore, capisce nel cervello, anima nel petto, vede negli occhi, parla nella lingua, e così via: fa tutto in tutti e allora viviamo, non noi, ma è Gesù Cristo che vive in noi. Trasforma anche i giorni e le notti, per cui “Le notti sono giorni quando Dio è nel nostro cuore e i giorni diventano notti quando Lui non c’è”.
LA VOLONTÀ DI DIO CERCATA E SEGUITA, IN SAN FRANCESCO DI SALES (5/8)
È questo il tema più gettonato negli scritti di San Francesco di Sales, il tema su cui torna più spesso.
La scoperta di Dio come Padre Provvidente e l’amore alla sua volontà va di pari passo nella vita di Francesco: egli ci ricorda che: “tutti i giorni gli chiediamo: Sia fatta la tua volontà, ma, quando dobbiamo farla realmente, come riesce difficile! Ci offriamo a Dio così spesso e gli diciamo ogni volta: ‘Io sono vostro; eccovi il mio cuore!’ Ma, quando Egli vuole servirsi di noi, siamo così neghittosi! Come possiamo dire di essere suoi, se non vogliamo uniformarci alla sua santa volontà?”
“La volontà di Dio deve diventare l’unica cosa da cercare e volere, senza mai allontanarsene per nessun motivo! Camminate sotto la guida della Provvidenza di Dio, non pensando che al giorno presente e lasciando a Nostro Signore il cuore che gli avete dato, senza mai volerlo riprendere per nessuna cosa”.
Francesco di Sales insegna che seguire la volontà di Dio è la via migliore per arrivare a farsi santi e questa via è aperta a tutti. Scrive: “Io intendo offrire i miei insegnamenti a quelli che vivono nelle città, in famiglia, a corte, e che, in forza del loro stato, sono costretti, dalle convenienze sociali, a vivere in mezzo agli altri. La devozione deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta, l’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli”.
Quella che Francesco di Sales chiama devozione, Papa Francesco la chiama santità e scrive parole che sembrano uscire direttamente dalla penna di Francesco di Sales: “Per essere santi non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie, per dedicare molto tempo alla preghiera. Non è così. Tutti siamo chiamati ad essere santi vivendo con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno, lì dove si trova”.
In una lettera Francesco scrive: “Per l’amore di Dio, abbandonatevi interamente alla sua volontà e non crediate di poterlo servire in altro modo, perché non lo serviamo mai bene se non quando lo serviamo come vuole Lui”.
Questo richiede “di non dover seminare nel campo del vicino, per quanto esso sia bello, finché il nostro non è ancora stato seminato del tutto. È sempre molto dannosa quella distrazione del cuore che porta ad avere il cuore in un posto e il dovere in un altro”.
Di tanto in tanto mi sento rivolgere questa domanda: “Come faccio a capire qual è la volontà di Dio nei miei confronti?”.
Ho trovato una risposta nella vita del santo.
Per più di sei anni è durata l’attesa di Giovanna di Chantal prima di poter consacrare tutta sé stessa al Signore e fondare con Francesco quello che diventerà l’Ordine della Visitazione. Durante tutto questo periodo il Santo cerca di comprendere qual è la volontà di Dio al riguardo. Ce ne parla lui stesso in una lettera a Giovanna: “Quel grande movimento di spirito che vi ha condotta come per forza e con grande consolazione; la lunga riflessione che mi sono imposto prima di darvi il mio assenso; il fatto che né voi né io ci siamo fidati solo di noi stessi; il fatto che abbiamo dato alle prime agitazioni della vostra coscienza tutto il tempo per calmarsi; le preghiere, non di un giorno o due, ma di parecchi mesi, che hanno preceduto la vostra scelta, sono segni infallibili che ci permettono di affermare senza ombra di dubbio che tale era la volontà di Dio”.
Preziosa questa testimonianza che mette in luce la prudenza di Francesco, che sa attendere con calma, senza rinunciare a tutti i mezzi a disposizione per decifrare la volontà di Dio a riguardo suo e della baronessa. Sono mezzi che valgono anche per te oggi: riflettere a lungo davanti al Signore, chiedere consiglio a persone sagge, non prendere decisioni affrettate, pregare tanto. Ne dà la motivazione a Giovanna: “Finché Dio vorrà che restiate nel mondo per amore di Lui, restateci volentieri e con gioia. Molti escono dal mondo senza però uscire da sé stessi e cercano in questo modo i loro gusti, la loro tranquillità e le loro soddisfazioni. Usciamo dal mondo per servire Dio, per seguire Dio e per amare Dio. Dato che non aspiriamo ad altro che al suo santo servizio, dovunque lo serviamo, ci troveremo sempre contenti”
Una volta compresa con sufficiente chiarezza quella che è la volontà di Dio, si richiede l’obbedienza, cioè metterla in pratica, viverla! Alla baronessa di Chantal scrive queste righe a lettere maiuscole: saranno il programma di tutta la sua vita e direi il concentrato della spiritualità di Francesco:
OCCORRE FARE TUTTO PER AMORE E NULLA PER TIMORE; OCCORRE AMARE L’OBBEDIENZA PIU’ DI QUANTO SI TEME LA DISOBBEDIENZA
Obbedire è dire l’amore a Dio che mi chiama a vivere la sua volontà in concrete circostanze di vita.
L’obbedienza è la forma dell’amore Ecco le conseguenze di questa consegna alla volontà di Dio che Francesco ricorda a tante persone con immagini splendide. Alla signora Brûlart, madre di famiglia, scrive: “Tutto quello che noi facciamo riceve il suo valore dalla nostra conformità alla volontà di Dio. Bisogna amare quello che ama Dio. Ora egli ama la nostra vocazione. Dunque amiamola anche noi e non perdiamo il tempo pensando a quella degli altri”.
I progressi vanno sottolineati e incoraggiati. “Mi avete detto una parola meravigliosa: che Dio mi metta nella salsa che vuole; non me ne importa, purché lo possa servire. Bisogna amare questa volontà di Dio e l’obbligo che essa suppone in noi, fosse anche quello di custodire i porci o di compiere gli atti più umili per tutta la vita, perché, in qualunque salsa ci metta il buon Dio, non deve importarci un bel nulla. Questo è il traguardo della perfezione”.
E ora alcune immagini: quella del giardino. “Non seminate i vostri desideri nel giardino d’un altro, ma badate solo a coltivar bene il vostro. Non desiderate di non essere quello che siete, ma desiderate di essere nel migliore dei modi quello che siete. Questo è il grande segreto e il segreto meno compreso della vita spirituale. A che giova costruire castelli in Spagna, se dobbiamo vivere in Francia? Questa è una mia vecchia lezione, e voi la comprendete bene”.
L’immagine della barca. “A noi pare che, cambiando barca, staremo meglio. Sì, staremo meglio se cambieremo noi stessi! Io sono nemico giurato di tutti quei desideri inutili, pericolosi e cattivi. Infatti, sebbene quello che desideriamo sia buono, il nostro desiderio è cattivo, poiché Dio non ci chiede quel bene, ma un altro al quale vuole che ci applichiamo.”
L’immagine del bambino. Occorre affidare “il nostro proposito generale alla Provvidenza divina, abbandonandoci tra le sue braccia, come il bambinello, che per crescere mangia ogni giorno quello che gli dà suo padre, sicuro che lo fornirà sempre di cibo, in proporzione del suo appetito e delle sue necessità”.
Francesco insiste su questo punto che è fondamentale: “Che importa a un’anima, veramente innamorata, che lo Sposo celeste sia servito in un modo o in un altro? Chi cerca unicamente la soddisfazione del suo Diletto è contento di tutto quello che lo rende contento!”.
Commuove leggere questo passo, scritto a seguito di una brutta malattia di Giovanna di Chantal: “Voi, per me, siete più preziosa che me stesso; ma questo non mi impedisce d’uniformarmi pienamente alla volontà divina. Noi intendiamo servire Dio in questo mondo con tutto il nostro essere: se egli stima meglio che siamo uno in questo mondo e uno nell’altro o tutti e due nell’altro, sia fatta la sua santissima volontà”.
Per concludere ancora qualche altro flash dalle lettere: “Noi vogliamo servire Dio, ma seguendo la nostra volontà e non la sua. Dio dichiarò di non gradire nessun sacrificio contrario all’ubbidienza. Dio mi comanda di servire le anime e io voglio restare in contemplazione: la vita contemplativa è buona, ma non quando è in opposizione all’ubbidienza. Non possiamo scegliere noi stessi i nostri doveri: dobbiamo vedere quello che vuole Dio; e, se Dio vuole che lo serva facendo una cosa, non devo volerlo servire facendone un’altra” “Se siamo santi secondo la nostra volontà, non saremo mai santi come si deve: dobbiamo esserlo secondo la volontà di Dio!”
LA FIDUCIA IN DIO PROVVIDENZA, IN SAN FRANCESCO DI SALES (4/8)
Entriamo nel cuore di Francesco di Sales per coglierne tutta la bellezza e la ricchezza.
“La nostra fede in Dio dipende dall’immagine che abbiamo di Dio!” dove per fede si intende la nostra relazione con Lui.
Francesco ci presenta nei suoi scritti il Dio in cui crede, ci consegna la sua immagine di Dio, un Dio scoperto come Padre che provvede e ama i suoi figli e di conseguenza la relazione che Francesco vive con lui è una relazione di fiducia totale e illimitata.
Gustiamo questi passaggi tratti dalle sue lettere, in cui fotografa il volto del Padre che è Provvidenza e si cura di noi.
“Figlia mia carissima, quanto il Signore vi pensa e con quanto amore vi guarda! Sì, Egli pensa a voi e non solo a voi, ma persino all’ultimo capello del vostro capo: è una verità di fede che non bisogna assolutamente mettere in dubbio”.
“Serviamo bene Dio e non diciamo mai: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Di dove verranno le nostre sorelle? Tocca al Padrone della casa prendersi questi fastidi, tocca alla Padrona della nostra casa ammobiliarla; e le nostre case appartengono a Dio e alla sua santa Madre”.
Gesù nel Vangelo ci invita a tradurre questa fiducia nel vivere bene il presente e Francesco lo ribadisce in questa lettera: “Cercate di fare bene oggi, senza pensare al domani; domani poi cercherete di fare altrettanto; e non pensate a quello che farete in tutta la durata della vostra carica, ma compite il vostro dovere giorno per giorno senza darvi pensiero dell’avvenire, perché il vostro Padre celeste, che ha cura di guidarvi oggi, vi guiderà anche domani e posdomani, in proporzione della fiducia che, conoscendo la vostra debolezza, riporrete nella sua Provvidenza”. “Egli vi ha custodita fino ad oggi. Tenetevi ben stretta alla mano della sua Provvidenza ed Egli vi assisterà in tutte le circostanze e, dove non potrete camminare, vi porterà. Non pensate punto a quello che vi capiterà domani, perché lo stesso Padre, che ha cura di voi oggi, avrà cura di voi anche domani e sempre. Cosa può temere un figlio nelle braccia di un padre così grande?”.
E il cuore di Francesco come è orientato in questo campo? In questo stralcio di lettera possiamo contemplare il suo cuore che è come un pulcino sotto la protezione della Provvidenza: “Dio al quale appartengo disponga di me secondo il suo beneplacito: poco importa il luogo in cui dovrò terminare questo misero resto dei miei giorni mortali, purché li possa terminare nella sua grazia. Nascondiamo dolcemente la nostra piccolezza in quella grandezza e, come un pulcino che, sotto le ali della madre, vive sicuro e al caldo, riposiamo i nostri cuori sotto la dolce e amorosa Provvidenza di Nostro Signore”.
Se Francesco vive questa relazione di fiducia nei confronti di Dio, può offrire buoni consigli in merito ai destinatari delle sue lettere, forte della sua esperienza. Ascoltiamone alcuni. “Siamo fedeli, umili, dolcemente e amabilmente risoluti di proseguire per la via sulla quale la Provvidenza celeste ci ha collocati”
La Madre Favre a Lione sente il peso della carica, che non è secondo i suoi gusti. Il segreto per superare questo stato d’animo? “Gettate decisamente il vostro pensiero sulle spalle del Signore e Salvatore ed Egli vi porterà e vi fortificherà. Tenete fisso lo sguardo sulla volontà di Dio e sulla sua provvidenza”
La nostra fiducia in Dio, la convinzione di essere in buone mani è messa talora a dura prova, soprattutto quando il dolore, la malattia, la morte bussano alla porta della nostra vita o a quella di persone che ci sono care. Francesco lo sa e non per questo si tira indietro o si scoraggia.
“Confidare in Dio nella dolcezza e nella pace della prosperità è cosa che quasi tutti sanno fare; ma abbandonarsi a Lui interamente tra gli uragani e le tempeste è caratteristica dei suoi figli”
“I piccoli avvenimenti offrono le occasioni per le mortificazioni più umili e i migliori atti d’abbandono in Dio. Negli avvenimenti più dolorosi, occorre adorare profondamente la divina Provvidenza. Bisogna morire o amare. Vorrei che mi si strappasse il cuore o che, se questo mi resta, mi restasse solo per questo amore”.
Quante persone pregano per ottenere questa o quella grazia dal Signore e, quando questa non arriva o tarda ad arrivare, si scoraggiano e la loro fiducia in Lui vacilla. Splendido è questo ammonimento scritto ad una Signora di Parigi, pochi mesi prima della morte del santo: “Dio ha nascosto nel segreto della sua Provvidenza il tempo in cui intende esaudirvi e il modo con cui vi esaudirà; e forse, vi esaudirà in modo eccellente non esaudendovi secondo i vostri disegni, ma secondo i suoi”
Nella Pentecoste del 1607 Francesco rivela a Giovanna il suo progetto: fondare con lei e per mezzo di lei un nuovo istituto. A seguito di questo incontro una lettera che dice con quale spirito occorre continuare il cammino, che durerà ancora quattro anni! “Tenete il vostro cuore ben aperto e fatelo riposare spesso fra le braccia della Provvidenza divina. Coraggio, coraggio! Gesù è nostro: che i nostri cuori siano sempre suoi”.
Nel giro di pochi anni vari lutti colpiscono le famiglie di Francesco e di Giovanna. Muore improvvisamente la sorellina di Francesco, Giovanna. Ecco come i santi sanno vivere questi eventi: “Mia cara figlia, in mezzo al mio cuore di carne, che prova tanto dolore per questa morte, sento molto sensibilmente una certa soavità, una tranquillità e un dolce riposo del mio spirito nella Provvidenza divina, che infonde nella mia anima una grande gioia anche nei dispiaceri”
All’inizio del 1610 due nuovi lutti: la morte improvvisa di Carlotta, l’ultima figlia della baronessa, di circa dieci anni e la morte della mamma di Francesco, la signora di Boisy. “Non bisogna dunque, carissima Figlia, adorare in tutto e per tutto la suprema Provvidenza i cui consigli sono santi, buoni e amabilissimi? Confessiamo, Figlia mia diletta, confessiamo che Dio è buono e che la sua misericordia dura per l’eternità. Ho provato una grande dolore per questa separazione, ma devo anche dire che è stato un dolore tranquillo, sebbene vivo. Piansi senza amarezza spirituale”.
E nella malattia? Dopo aver superato una crisi di salute, assai grave, Francesco scrive questa preziosa testimonianza di come ha vissuto la malattia: “Io non sono né guarito né malato; ma penso di potermi ristabilire del tutto assai presto. Figlia mia carissima, dobbiamo lasciare la nostra vita e tutto quello che siamo alla pura disposizione della divina Provvidenza, perché, in definitiva, non apparteniamo a noi stessi, ma a Colui che, per renderci suoi, ha voluto essere tutto nostro in un modo così amabile”.
La conclusione migliore a questa carrellata di messaggi che Francesco ci lancia attraverso le sue lettere mi pare sia quella che il Santo scrive nella Filotea. È un capolavoro di freschezza e di gioia.
“In tutte le tue occupazioni appoggiati completamente alla Provvidenza di Dio, che è la sola che possa dare compimento ai tuoi progetti. Fa’ come i bambini che con una mano si aggrappano a quella del papà e con l’altra raccolgono le fragole e le more lungo le siepi; anche tu fai lo stesso: mentre con una mano raccogli e ti servi dei beni di questo mondo, con l’altra tieniti aggrappata al Padre celeste, volgendoti ogni tanto verso di Lui, per vedere se le tue occupazioni e i tuoi affari sono di suo gradimento. Fa’ attenzione a non lasciare la sua mano e la sua protezione, pensando così di raccogliere e accumulare di più. Se il Padre celeste ti lascia non farai più nemmeno un passo, ma finirai subito a terra. Voglio dire, Filotea, che quando sarai in mezzo agli affari e alle occupazioni ordinarie, che non richiedono un’attenzione molto accurata e assidua, guarda Dio più delle occupazioni; quando gli affari sono così importanti che richiedono tutta la tua attenzione per riuscire bene, ogni tanto dà uno sguardo a Dio, come fanno coloro che navigano in mare i quali per raggiungere il porto previsto, guardano più il cielo che la nave. Così Dio lavorerà con te, in te e per te, e il tuo lavoro sarà accompagnato dalla gioia”.
IL “DA MIHI ANIMAS” DI SAN FRANCESCO DI SALES (3/8)
Occorre anzitutto precisare cosa si intende per zelo pastorale: “Zelo non significa solo impegno, darsi da fare: esprime un orientamento totalizzante, l’ansia e quasi il tormento di portare a salvezza ogni persona, a tutti i costi, con tutti i mezzi, attraverso una ricerca instancabile degli ultimi e dei più abbandonati pastoralmente.
Spesso, quando si sente parlare di zelo pastorale, si richiamano alla mente figure caratterizzate da grande attività, generose nello spendersi per gli altri, animate da una carità che a volte non hanno neppure “il tempo di mangiare”. Francesco è stato una di queste figure, completamente votato al bene delle anime della sua diocesi e non solo. Tuttavia con il suo esempio ci consegna un ulteriore messaggio: il suo vivere il da mihi animas scaturisce dalla cura che ha avuto della sua vita interiore, della sua preghiera, della sua consegna senza riserve a Dio. Sono quindi le due facce del suo zelo che vogliamo far emergere dalla sua vita e dai suoi scritti.
Quando nasce Francesco si è concluso da poco il Concilio di Trento che, sul piano pastorale, ha richiamato i vescovi ad una cura più attenta e generosa della propria diocesi, cura fatta anzitutto di residenzialità, di presenza tra la gente, di istruzione del clero attraverso la creazione di seminari, le visite frequenti alle parrocchie, la formazione dei parroci, la diffusione del Catechismo come strumento di evangelizzazione per i più piccoli e non solo…; tutta una serie di misure per riportare i vescovi e i sacerdoti a prendere coscienza della loro identità di pastori in cura d’anime.
Francesco prende sul serio questi richiami al punto da diventare, insieme a san Carlo Borromeo, il modello del vescovo pastore, tutto dedito al suo popolo, come lui stesso ebbe a dire, ricordando la sua consacrazione episcopale: “Quel giorno Dio mi ha tolto da me stesso per prendermi per sé e quindi darmi al popolo, intendendo dire che mi aveva trasformato da ciò che ero per me in ciò che dovevo essere per loro”.
Francesco, sacerdote per nove anni e vescovo per venti, visse all’insegna di questa donazione totale a Dio e ai fratelli. A fine 1593, pochi giorni dopo la sua ordinazione sacerdotale, pronuncia un celebre discorso, detto arringa per il contenuto e il vigore con cui fu pronunciato.
L’anno seguente si offre “missionario” nel Chiablese e parte munito di una robusta fune: “La preghiera, l’elemosina e il digiuno sono le tre parti che compongono la fune che il nemico rompe con difficoltà. Con la grazia divina, cercheremo di legare con essa questo nemico”. Predica nella chiesa di Sant’Ippolito, a Thonon, dopo il culto protestante.
Il suo apostolato nel Chiablese all’inizio è un apostolato di contatto con la gente: sorride, parla, saluta, si ferma e si informa… convinto che i muri della diffidenza si abbattono solo con relazioni di amicizia e di simpatia. Se riuscirà a farsi amare, tutto sarà più facile e più semplice. “Sono stanco morto”, scrive al suo vescovo, ma non si arrende.
Ama recitare il Rosario ogni giorno, anche la sera tardi e quando teme di addormentarsi per la stanchezza lo recita in piedi o passeggiando. L’esperienza missionaria di Francesco nel Chiablese si interrompe definitivamente verso la fine del 1601 per raggiungere Parigi, dove dovrà trattare dei problemi della diocesi e vi rimarrà nove lunghi mesi.
Per impegni politici e per amicizia con tante persone frequenta la corte e proprio in questo luogo Francesco scopre tanti uomini e donne desiderose di camminare verso il Signore. Qui nasce l’idea di un testo che riassumesse in forma concisa e pratica i principi della vita interiore e ne facilitasse l’applicazione per tutte le classi sociali. E così da questo anno il Santo inizia a mettere insieme i primi materiali che più tardi concorreranno alla composizione della Filotea.
Al ritorno da Parigi apprende la notizia della morte del suo caro vescovo. Si prepara alla sua consacrazione episcopale con due settimane di silenzio e di preghiera. Da subito avverte il peso del nuovo incarico: “Non si può credere quanto io mi senta assillato e oppresso da questa grande e difficile carica”.
In sintesi, lo zelo di Francesco nei vent’anni che vivrà come vescovo si manifesta soprattutto in questi ambiti:
Visita le parrocchie e i monasteri per conoscere la sua diocesi: ne scopre a poco a poco difetti e limiti anche gravi, come pure la bellezza, la generosità e il buon cuore di tante, tante persone. Per visitare le parrocchie rimane fuori Annecy per lungo tempo: “Partirò di qui fra dieci giorni e continuerò la visita pastorale per cinque mesi interi fra le alte montagne, dove la gente mi attende con molto affetto”; “Tutte le sere quando mi ritiro, non riesco più a muovere il corpo né lo spirito, tanto mi sento stanco in tutte le membra. Però, ogni mattina, mi ritrovo più arzillo che mai”. Soprattutto ascolta i suoi preti e li incoraggia a vivere con fedeltà la loro vocazione.
L’apostolato della penna: l’Opera omnia di Francesco consta di 27 poderosi volumi… Ci si domanda come un uomo abbia potuto scrivere tanto. Quanta fatica, quanto tempo rubato al sonno, al riposo! Tutte le pagine uscite dalla sua penna sono la conseguenza della sua passione per le anime, della grande volontà di portare il Signore a tutti quelli che incontrava, nessuno escluso.
La fondazione dell’Ordine della Visitazione Nel 1610 nasce una nuova realtà: tre donne (la baronessa de Chantal, Jacqueline Favre e Charlotte de Bréchard) danno vita ad una nuova forma di vita religiosa, fatta esclusivamente di preghiera e di carità. Si ispirano al quadro evangelico della Visitazione della Vergine Maria alla cugina Elisabetta.
L’altro aspetto del suo zelo è la cura della sua vita spirituale. Il cardinal Carlo Borromeo in una lettera al clero scriveva: “Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso”.
Ritorna a casa sfinito e bisognoso di “riassestare il mio povero spirito. Mi propongo di fare una revisione completa di me stesso e di rimettere tutti i pezzi del mio cuore al loro posto”. “Al ritorno dalla visita, quando ho voluto rivedere bene la mia anima, mi ha fatto compassione: l’ho trovata così dimagrita e disfatta che pareva la morte. Sfido! Per quattro o cinque mesi non aveva quasi avuto un momento per respirare. Le starò vicino per il prossimo inverno e cercherò di trattarla bene”.
S. Francesco di Sales e s. Francisca de Chantal. Vetrata, Chiesa di San Maurizio di Thorens, Francia
Nella Filotea scriverà: “Un orologio, per buono che sia, bisogna caricarlo e dargli la corda almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera, e inoltre, almeno una volta all’anno, bisogna smontarlo completamente, per togliere la ruggine accumulata, raddrizzare i pezzi storti e sostituire quelli troppo consunti.
La stessa cosa deve fare chi ha seriamente cura del proprio cuore; lo deve ricaricare in Dio, sera e mattina, per mezzo degli esercizi indicati sopra; deve inoltre ripetutamente riflettere sul proprio stato, raddrizzarlo e ripararlo; e, infine, deve smontarlo almeno una volta all’anno, e controllare accuratamente tutti i pezzi, ossia tutti i suoi sentimenti e le sue passioni, per riparare tutti i difetti che vi scopre”.
Sta per iniziare la quaresima e ad un amico scrive questo significativo biglietto: “Consacrerò questa Quaresima a osservare l’obbligo della residenza nella mia cattedrale e a riassettare un poco la mia anima, che è tutta come scucita per i grandi strapazzi a cui è stata sottoposta. È come un orologio scassato: bisogna smontarlo, pezzo per pezzo, e, dopo averlo ben ripulito e oliato, rimontarlo per fargli segnare le ore al tempo giusto”.
L’attività di Francesco va di pari passo con la cura della sua vita interiore; è questo un grande messaggio per noi oggi, per evitare di diventare tralci secchi e quindi inutili!
Per concludere. “Ho sacrificato la mia vita e la mia anima a Dio e alla sua Chiesa: che importa se devo scomodarmi, quando si tratta di procurare qualche vantaggio alla salute delle anime?”.
Dopo aver incontrato Francesco di Sales attraverso il racconto della sua vita, guardiamo alla bellezza del suo cuore e presentiamo alcune virtù con l’obiettivo di far nascere in tanti il desiderio di approfondire la ricca personalità di questo santo.
La prima fotografia, quella che affascina da subito chi si avvicina a Francesco di Sales, è l’amicizia! È il biglietto da visita con cui egli si presenta.
C’è un episodio di Francesco ventenne che pochi conoscono: dopo dieci anni di studio a Parigi è arrivato il momento di ritornare in Savoia, a casa, ad Annecy. Quattro suoi compagni lo accompagnano fino a Lione e si salutano in lacrime.
Questo fatto ci aiuta a comprendere e a gustare quanto Francesco scrive verso la fine della sua vita, consegnandoci una rara fotografia del suo cuore: “Penso che nel mondo non vi siano anime che amino più cordialmente e più teneramente e, per dire tutto molto alla buona, più amorosamente di me, perché a Dio è piaciuto fare così il mio cuore. E tuttavia, amo le anime indipendenti, vigorose, perché la tenerezza troppo grande sconvolge il cuore, lo rende inquieto e lo distrae dalla meditazione amorosa di Dio. Quello che non è Dio, non è nulla per noi”.
E ad una signora parla della sua sete di amicizia: “Vi devo dire in confidenza queste poche parole: non vi è al mondo un uomo che abbia un cuore più tenero e più assetato di amicizia che il mio o che senta più dolorosamente di me le separazioni”.
Antoine FAVRE – Ritratto, collezione privata Fonte: Wikipedia
Tra le centinaia di destinatari delle sue lettere, ne ho scelti tre, scrivendo ai quali Francesco mette in risalto le caratteristiche dell’amicizia salesiana, quale l’ha vissuta e che propone a noi oggi. Il primo grande amico che incontriamo è il suo concittadino Antoine Favre. Francesco, laureato brillantemente in giurisprudenza, ha una gran voglia di incontrare e di guadagnarsi la stima di questo luminare.
In una delle prime lettere troviamo un’espressione, che suona come una sorta di giuramento: “Questo dono (l’amicizia), tanto apprezzabile anche per la sua rarità, è veramente impagabile e per me tanto più caro in quanto che non avrebbe mai potuto toccarmi per i miei meriti personali. Vivrà sempre nel mio petto l’ardente desiderio di coltivare diligentemente tutte le amicizie!”
La prima caratteristica dell’amicizia è la comunicazione, il dare notizie, il condividere stati d’animo.
A inizio dicembre 1593 nasce a Francesco l’ultima sorellina, Giovanna, e ne dà prontamente notizia all’amico: “Vengo a sapere che mia carissima madre, che è nel suo quarantaduesimo anno d’età, darà presto alla luce il suo tredicesimo figlio. Corro da lei, sapendo che suole rallegrarsi moltissimo per la mia presenza”.
Siamo a pochi giorni dall’ordinazione sacerdotale e Francesco confida all’amico: “Voi siete l’unico uomo ch’io stimo capace di comprendere pienamente il turbamento del mio spirito; è infatti tremendo presiedere la celebrazione della Messa ed è cosa molto difficile celebrarla con la dovuta dignità”.
Dopo neppure un anno dalla ordinazione troviamo Francesco “missionario” nel Chiablese; comunica la sua fatica e la sua amarezza all’amico: “Oggi comincio a predicare l’Avvento a quattro o cinque umili persone: tutti gli altri ignorano maliziosamente che cosa voglia dire Avvento”. Qualche mese dopo con gioia gli dà notizia dei suoi primi successi apostolici: “Finalmente cominciano a biondeggiare le prime spighe!”
Un altro grande amico di Francesco fu Giovenale Ancina. I due si incontrano a Roma (1599); saranno entrambi consacrati vescovi alcuni anni dopo. Francesco gli scrive varie lettere; in questa prega l’amico, vescovo di Saluzzo, di tenerlo “strettamente unito seco nel suo cuore e anche si degni spesso darmi gli avvisi e i ricordi che lo Spirito Santo gli ispirerà”.
Tra gli amici incontrati a Parigi spicca quella con il celebre padre Pietro de Bérulle, incontrato al circolo di Madame Acarie. A lui Francesco scrive pochi giorni dopo la sua consacrazione episcopale: “Io sono vescovo consacrato dall’8 di questo mese, giorno di Nostra Signora. Questo mi spinge a scongiurarvi d’aiutarmi tanto più cordialmente con le vostre preghiere. Non c’è rimedio: avremo sempre bisogno di lavarci i piedi, poiché camminiamo nella polvere. Il nostro buon Dio ci conceda la grazia di vivere e di morire nel suo servizio”.
Un altro grande amico di Francesco fu Vincenzo de’ Paoli. Tra loro nacque un’amicizia che continuò oltre la morte del fondatore della Visitazione, in quanto che Vincenzo prese a cuore l’Ordine e ne divenne il punto di riferimento fino alla fine dei suoi giorni (1660). Vincenzo rimase sempre riconoscente al santo vescovo dal quale aveva ricevuto salutari rimproveri sul suo carattere irruente e suscettibile. Ne fece tesoro e poco per volta si corresse e pensando al suo amico non esitava a definirlo “la persona che più di ogni altro aveva rappresentato al vivo l’immagine del Salvatore”.
Leggendo queste lettere scopriamo alcune qualità che devono reggere una vera amicizia: la comunicazione, la preghiera e il servizio (perdono, correzione …).
Ci imbattiamo ora in tanti uomini e donne, cui Francesco indirizza lettere di amicizia spirituale. Alcuni esempi:
Alla signora de la Fléchère scrive: “Abbiate pazienza con tutti, ma principalmente con voi stessa. Voglio dire che non vi dovete punto turbare per le vostre imperfezioni e avere sempre il coraggio di riprendervi prontamente”.
San Vincenzo de’ Paoli – Fondatore della Congregazione della Missione (lazzaristi) Ritratto, Simon François de Tours; Fonte: Wikipedia
Alla signora di Charmoisy scrive: “Dovete stare attenta a cominciare con dolcezza, e di quando in quando dare uno sguardo al vostro cuore per vedere se si è conservato dolce. Se non si è conservato così, raddolcirlo prima di fare qualsiasi cosa”
Queste lettere sono un trattato di amicizia, non perché si parli di amicizia, ma perché chi scrive vive una relazione di amicizia, sapendo creare un clima e uno stile in modo che questa si percepisca e porti frutti di vita buona.
La stessa cosa vale per la corrispondenza con le sue Figlie, le Visitandine.
Alla Madre Favre che sente il peso della sua carica scrive: “Occorre armarsi di una coraggiosa umiltà e rigettare tutte le tentazioni di scoraggiamento nella santa fiducia che abbiamo in Dio. Siccome questa carica vi è stata imposta per volontà di coloro ai quali dovete obbedire, Dio si metterà alla vostra destra e la porterà con voi, o meglio, la porterà Lui, ma la porterete anche voi”
Alla Madre di Bréchard scrive: “Chi sa conservare la dolcezza fra i dolori e le infermità e la pace fra il disordine delle sue molteplici occupazioni è quasi perfetto. Questa costanza d’umore, questa dolcezza e soavità di cuore è più rara che la perfetta castità, ma ne è tanto più desiderabile. Da questa, come dall’olio della lampada, dipende la fiamma del buon esempio, perché non vi è altra cosa che edifichi tanto come la bontà caritatevole”.
Santa Giovanna Francesca FRÉMIOT DE CHANTAL, cofondatrice dell’Ordine della Visitazione di Santa Maria Autore sconosciuto, Monastero della Visitazione di Maria Santissima a Toledo, Ohio (USA); Fonte: Wikipedia
Tra le varie Madri fondatrici un posto particolare spetta alla Fondatrice, Giovanna di Chantal alla quale fin dall’inizio Francesco scrive: “Credete fermamente che io ho una viva e straordinaria volontà di servire il vostro spirito con tutta la capacità delle mie forze. Mettete a profitto il mio affetto e usate di tutto quello che Dio mi ha dato per il servizio del vostro spirito. Eccomi qui tutto vostro”
E lo dichiara a Giovanna: “Amo questo amore. Esso è forte, ampio, senza misura né riserva, ma dolce, forte, purissimo e tranquillissimo; in una parola è un amore che vive solo in Dio. Dio che vede tutte le pieghe del mio cuore, sa che in questo non v’è nulla che non sia per Lui e secondo Lui, senza il quale non voglio essere nulla per nessuno”.
Questo Dio che Francesco e Giovanna intendono servire è sempre presente, è la garanzia, perché questo amore resti sempre una consacrazione a Lui solo: “Vorrei potervi esprimere il sentimento che oggi, mentre mi comunicavo, ho avuto della nostra cara unità, perché è stato un sentimento grande, perfetto, dolce, potente e tale da potersi quasi dire un voto, una consacrazione”. “Chi mai avrebbe potuto fondere due spiriti in modo così perfetto, che non fossero più che un solo spirito indivisibile e inseparabile, se non Colui che è unità per essenza? […]. Mille e mille volte ogni giorno il mio cuore si trova vicino a voi con mille e mille auguri che presenta a Dio per vostra consolazione”. “La santa unità che Dio ha operata è più forte che tutte le separazioni, e la distanza dei luoghi non le può nuocere minimamente. Dunque Dio ci benedica sempre con il suo santo amore. Egli ci ha fatti un cuore unico nello spirito e nella vita”.
Termino con un augurio, quello che Francesco scrive ad una delle prime Visitandine, Jacqueline Favre: “Come sta il povero cuore tanto amato? È sempre coraggioso e vigilante per evitare le sorprese della tristezza? Vi prego: non tormentatelo, neppure quando vi ha giocato qualche piccolo brutto tiro, ma riprendetelo dolcemente e riconducetelo sulla sua strada. Questo cuore diventerà un grande cuore, fatto secondo il cuore di Dio”.
Francesco nasce nel castello di famiglia a Thorens (20 km circa da Annecy). È settimino e “fu un miracolo che, in un parto così pericoloso, la mamma non avesse perso la vita”. È il primogenito cui faranno seguito sette tra fratelli e sorelle. La mamma, Francesca de Sionnaz, ha appena 15 anni mentre il papà, il Sig. de Boisy, ne ha 43! All’epoca il matrimonio, nelle classi nobili, era un’occasione per salire nella scala sociale (mettere insieme titoli nobiliari, terre, castelli…). Il resto, amore compreso, veniva dopo!
Chiesa di San Maurizio di Thorens, Francia
È battezzato nella piccola chiesa di San Maurizio di Thorens. Francesco anni dopo sceglierà quell’umile chiesetta per la sua consacrazione episcopale (8 dicembre 1602). I primi anni Francesco li vive insieme ai suoi tre cugini nello stesso castello: con loro gioca, si diverte e contempla la splendida natura che lo circonda e che per lui diventa il grande libro da cui attingerà mille esempi per i suoi libri. L’educazione che riceve dai Genitori è di chiaro stampo cattolico. “Si deve sempre pensare a Dio ed essere uomini di Dio” ripeteva il padre e Francesco farà tesoro di questo consiglio. I genitori frequentano con assiduità la parrocchia e trattano con correttezza i dipendenti e sanno fare generosa carità quando occorre. I primi ricordi di Francesco non sono solo quelli legati alla bellezza di quella meravigliosa natura, ma sono anche gli spettacoli di distruzione e di morte, dovuti alle guerre fratricide in nome del Vangelo.
Arriva l’ora di andare a scuola: Francesco lascia la sua casa e si reca in collegio prima a La Roche per circa due anni e poi per tre ad Annecy in compagnia dei suoi cugini. Questo tempo è segnato da alcuni fatti importanti: – nella chiesa di S. Domenico (attuale chiesa di San Maurizio) riceve la prima Comunione e la Cresima e da allora in poi si comunicherà spesso. – si iscrive alla confraternita del Rosario e da allora prende l’abitudine a recitarlo ogni giorno. – chiede di ricevere la tonsura: il padre gli concede il permesso, dal momento che questo passo non implicava l’inizio della carriera ecclesiastica. Francesco è un ragazzo normale, studioso, obbediente con un tratto caratteristico: “non lo si vedeva mai prendere in giro nessuno!”. Ormai la Savoia gli aveva insegnato tutto quello che poteva. E così nel 1578 Francesco, con gli inseparabili cugini e sotto l’occhio vigile del precettore Déage, parte alla volta di Parigi, dove resterà per dieci anni, allievo del collegio del Clermont, gestito dai gesuiti.
2. I dieci anni che contano: 1578-1588
L’orario del Collegio è severo e anche le prescrizioni religiose sono esigenti. In questi anni Francesco studia il latino, il greco, l’ebraico, familiarizza con i classici, si perfeziona nella lingua francese. Ha ottimi insegnanti. Nel tempo libero frequenta ambienti altolocati, ha libero accesso alla Corte, eccelle nelle arti della nobiltà, segue alcuni corsi di teologia alla Sorbona. Ascolta, in particolare, il Commento al Cantico dei Cantici del P. Génébrard e ne esce sconvolto: scopre dentro l’allegoria dell’amore di un uomo per una donna la passione di Dio per l’umanità. Si sente amato da Dio! Ma in pari tempo matura nella sua mente l’idea di essere escluso da questo amore. Si sente dannato! Entra in crisi e per sei settimane non dorme, non mangia, piange, si ammala. Esce da questo stato affidandosi alla Madonna nella chiesa di S. Etienne des Grès con l’atto di abbandono eroico alla misericordia e bontà di Dio. Recita una Salve Regina e la tentazione svanisce. Finalmente, terminati gli esami conclusivi, può lasciare Parigi, non senza rincrescimento. Quale gioia per Francesco ritornare a casa e riabbracciare i genitori, i fratellini e le sorelline che nel frattempo erano arrivati a rallegrare la famiglia. Il tutto per pochi mesi soltanto, perché bisogna ripartire per completare “il sogno di papà”: diventare un grande nel campo del diritto.
3. Gli anni di Padova: 1588-1591
Sono gli anni decisivi per Francesco sul piano umano, culturale e spirituale. Padova è la capitale del Rinascimento italiano con migliaia di studenti che provengono da tutta Europa: nelle università si trovano i più celebri insegnanti, gli spiriti migliori del tempo. Qui Francesco studia diritto e al tempo stesso approfondisce la teologia, legge i Padri della Chiesa, si mette nelle mani di un saggio direttore spirituale, il gesuita P. Possevino. Probabilmente a causa di una febbre tifoidea, viene ridotto in fin di vita; riceve i sacramenti e fa testamento: “Il mio corpo, quando sarò spirato, consegnatelo agli studenti di medicina”. Era tale il fervore per lo studio e la sete di conoscere il corpo umano che gli studenti di medicina, a corto di cadaveri, andavano a dissotterrarli al cimitero! Importante questo testamento di Francesco perché dice la sensibilità, che conserverà per tutta la vita, nei confronti della cultura, delle novità scientifiche tipiche del Rinascimento. Guarisce, conclude brillantemente i suoi studi il 5 settembre 1591 e lascia Padova “laureato a pieni voti in utroque” (diritto civile ed ecclesiastico). Il padre ne è fiero.
4. Verso il sacerdozio: 1593
Nel cuore di Francesco ci sono altri sogni, molto lontani da quelli di suo padre, ma come dirglielo? Il Signor di Boisy ha posto in Francesco tutte le sue speranze! Viene nominato Prevosto della cattedrale di Annecy. Forte di questo titolo onorifico si incontra con il padre per dirgli la sua intenzione di diventare sacerdote. Fu uno scontro durissimo e comprensibile. “Pensavo e speravo che sareste stato il bastone della mia vecchiaia e il sostegno della famiglia…Non condivido le vostre intenzioni, ma non vi nego la mia benedizione” concluse il padre. La via del sacerdozio è aperta: in pochi mesi Francesco riceve gli ordini minori, il suddiaconato, il diaconato e finalmente il 18 dicembre l’ordinazione sacerdotale. Si prepara tre giorni per celebrare la prima messa il 21 dicembre. Alcuni giorni dopo Natale, Francesco di Sales può essere ufficialmente “insediato” prevosto della cattedrale e in quell’occasione pronunciò uno dei suoi discorsi più famosi, una vera e propria arringa. Si sente già fin d’ora l’ardore e lo zelo del pastore, in sintonia con quanto il Concilio di Trento aveva indicato come via alla riforma.
5. Missionario nel Chiablese: 1594-1598
Il Chiablese è il territorio che si affaccia al lago di Ginevra. I sacerdoti di questa zona della Savoia erano stati cacciati dai Calvinisti di Ginevra e le chiese erano senza pastori. Ora però, nel 1594, il Duca Carlo Emanuele ha riconquistato quelle terre e sollecita il vescovo di Annecy ad inviare nuovi missionari. La proposta rimbalza sul clero, ma nessuno ha il coraggio di andare in quelle terre così ostili, rischiando la propria vita. Solo Francesco si dichiara disponibile e il 14 settembre, con il cugino Luigi, parte per questa missione. Prende dimora nel castello degli Allinges, dove il Barone Hermanance veglia sulla sua incolumità. Così ogni mattina, dopo la messa, scende alla ricerca dei Signori di Thonon. La domenica predica nella chiesa di S. Ippolito, ma i fedeli sono poche persone.
Capella del castello degli Allinges, Francia
Allora decide di scrivere e far stampare le sue prediche: le affigge nei luoghi pubblici e le fa scivolare sotto la porta di cattolici e protestanti. Il suo modello è Gesù per le strade della Palestina: si ispira alla sua dolcezza e bontà, alla sua franchezza e sincerità. Non mancano ostilità e chiusure, ma arrivano anche “le prime spighe”, cioè le prime conversioni. Era severo e inflessibile verso l’errore e verso coloro che diffondevano l’eresia, ma di una pazienza senza limiti nei confronti di tutti coloro che riteneva vittime delle teorie degli eretici. “Io amo la predicazione che si affida più all’amore del prossimo che all’indignazione, persino degli ugonotti, che occorre trattare con grande compassione, non già lusingandoli, bensì deplorandoli”. Lo spirito salesiano sembra concentrata in questa espressione di Francesco: “La verità che non è caritatevole sgorga da una carità che non è vera”. Di questo periodo straordinario per lo zelo, la bontà e il coraggio di Francesco va ancora ricordato l’iniziativa di celebrare nella chiesa di s. Ippolito le tre messe di Natale nel 1596. Ma l’iniziativa che maggiormente contribuì a smantellare l’eresia dal territorio del Chiablese fu quella delle Sante Quarantore, promosse e animate da un nuovo collaboratore di Francesco, padre Cherubino della Maurienne. Nel 1597 furono celebrate ad Annemasse, alle porte di Ginevra. L’anno seguente le Sante Quarantore si tennero a Thonon (inizio di ottobre 1598). A fine anno Francesco deve lasciare la “missione” e scendere a Roma per trattare vari problemi della Diocesi. A Roma contrae amicizie importanti (Bellarmio, Baronio, Ancina…) e incontra i preti dell’Oratorio di S. Filippo Neri e si innamora del loro spirito. Ritorna ad Annecy passando per Loreto, quindi in nave risale fino a Venezia; si ferma a Bologna e a Torino dove discute con il Duca quanto concesso dal Papa a favore delle parrocchie della diocesi. Nel 1602 si reca a Parigi sempre per trattare con il nunzio e con il Re delicate questioni diplomatiche concernenti la diocesi e i rapporti con i calvinisti. Qui si fermerà per nove lunghi mesi e tornerà a casa con un pugno di mosche. Se questo è il risultato diplomatico, molto ricco e importante è invece il profitto spirituale e umano che ne sa trarre. Decisivo per la vita di Francesco è l’incontro con il famoso “Circolo della Signora Acarie”: è una sorta di cenacolo spirituale dove si leggono le opere di S. Teresa d’Avila e di S. Giovanni della Croce e grazie a questo movimento spirituale verrà introdotto in Francia il Carmelo riformato. Sulla via del ritorno, Francesco riceve la notizia della morte del suo amato vescovo.
6. Francesco, vescovo di Ginevra: 1602 – 1622
L’8 dicembre 1602 nella piccola chiesetta di Thorens Francesco viene consacrato vescovo e resterà alla guida della sua diocesi per venti anni. “Quel giorno Dio mi aveva tolto da me stesso per prendermi per sé e quindi darmi al popolo, intendendo dire che mi aveva trasformato da ciò che ero per me in ciò che dovevo essere per loro”. Di questo periodo metto in risalto tre aspetti importanti:
6.1 Francesco pastore
In questi anni brilla il suo zelo concentrato nelle parole: “Da mihi animas” che diventano il suo programma. “Il prete è tutto per Dio e tutto per il popolo” soleva ripetere e lui ne era il modello, per primo! I problemi della diocesi sono tanti e molto gravi: riguardano il clero, i monasteri, la formazione dei futuri ministri, il seminario inesistente, la catechesi, la mancanza di risorse economiche. Francesco inizia subito la visita alle oltre quattrocento parrocchie, visita che si protrae per cinque o sei anni: parla con i sacerdoti, conforta, incoraggia, risolve i problemi più spinosi, predica, amministra il sacramento della cresima ai ragazzi o ai futuri sposi, celebra matrimoni… Per ovviare all’ignoranza del clero fa scuola di teologia in casa sua, ogni anno raduna i suoi preti in Sinodo, predica… “Per alcuni anni insegnò ad Annecy molti argomenti di indole teologica ai suoi canonici e dettava loro lezioni in latino. Erano molti coloro che aspiravano alla vita religiosa o al sacerdozio: non erano le vocazioni che mancavano. Molto spesso mancava la vocazione! Scrive un opuscolo Avvertimenti ai confessori, un gioiello di zelo pastorale dove si intrecciano dottrina, esperienza personale, consigli… Visita i numerosi monasteri della diocesi: alcuni li chiude, in altri sposta il personale, ne fonda di nuovi. Lotterà fino alla fine per avere un Seminario: mancano i fondi per l’egoismo dei Cavalieri di S. Lazzaro e di S. Maurizio, che trattengono le rendite dovute alla diocesi. La caratteristica dominante in Francesco pastore è la sua capacità di accompagnare le persone. “È una fatica guidare le anime singole, ma una fatica che fa sentire leggeri come quella dei mietitori e dei vendemmiatori, i quali non sono mai tanto contenti come quando hanno molto lavoro e molto da portare”. Caratteristiche di questa educazione individualizzata: Ricchezza di umanità: “Penso che nel mondo non vi siano anime che amino più cordialmente e più teneramente e, per dire tutto molto alla buona, più amorosamente di me, perché a Dio è piaciuto fare così il mio cuore”. Padre e fratello: sa essere molto esigente, ma sempre con dolcezza e serenità. Non abbassa la posta in gioco: basta leggere la prima parte della Filotea per rendersene conto. Prudenza e concretezza: “Usatevi molti riguardi durante questa gravidanza… se vi stancate a stare inginocchiata, mettetevi a sedere e se non avete l’attenzione sufficiente per pregare mezz’ora, pregate solo per un quarto d’ora…” (Madame de la Fléchère) Senso di Dio: “Occorre fare tutto per amore e nulla per forza; occorre amare l’obbedienza più di quanto si tema la disobbedienza”. “Dio sia il Dio del vostro cuore”. Francesco fu definito la copia più vera di Gesù in terra (S. Vincenzo di Paoli)
6.2 Francesco scrittore:
Nonostante gli impegni legati al suo essere vescovo, Francesco trova il tempo per dedicarsi a scrivere. Che cosa? Migliaia di lettere a persone che chiedono la sua guida spirituale, ai monasteri della Visitazione di recente fondazione, a personaggi di spicco della nobiltà o della Chiesa per tentare di risolvere problemi, ai suoi familiari ed amici. Nel 1608 viene pubblicata la Introduzione alla vita devota: è lo scritto più noto di Francesco. “È nel carattere, nel genio, ma soprattutto nel cuore di Francesco di Sales che occorre cercare la vera origine e la preparazione remota dell’Introduzione alla Vita Devota o Filotea”: così scrive nell’introduzione all’edizione critica di Annecy don Machey, un uomo che ha dedicato la vita allo studio delle opere del Santo. La prefazione porta la data dell’8 agosto 1608. Questo libro ricevette un’accoglienza entusiasta. La Chantal parla di questo libro come “di un libro dettato dallo Spirito Santo”. In 400 anni di vita, il libro ha avuto oltre 1300 edizioni con milioni di copie, tradotto in tutte le lingue del mondo. A distanza di quattro secoli queste pagine conservano intatto il loro fascino e la loro attualità.
Nel 1616 appare un altro scritto di Francesco: Il Trattato dell’amor di Dio, il suo capolavoro, scritto per coloro che vogliono puntare alle vette! Li guida con sapienza e con esperienza a vivere l’abbandono totale alla volontà di Dio fino al punto “dove si incontrano gli amanti!” cioè al Calvario. Solo i santi sanno guidare alla santità.
6.3 Francesco fondatore
Nel 1604 Francesco si reca a Digione a predicare la Quaresima, invitato dall’arcivescovo di Bourges, Andrea Fremyot. Fin dai primi giorni rimane colpito dall’attenzione e dal comportamento devoto di una dama presente. È la baronessa Giovanna Francesca Fremyot de Chantal, sorella dell’arcivescovo. Dal 1604, anno dell’incontro di Giovanna con Francesco, al 1610, data dell’entrata di Giovanna in noviziato ad Annecy, i due santi si incontrano quattro o cinque volte, ogni volta per una settimana o una decina di giorni. Gli incontri sono rallegrati dalla presenza di varie persone di famiglia (la mamma, la sorella di Francesco) o amiche (la Signora Brulart, la badessa di Puy d’Orbe…). Giovanna vorrebbe accelerare i tempi, ma Francesco procede con prudenza. Poco alla volta i vari nodi si allentano, giungono consensi, la serenità e la pace crescono e questo permette di risolvere meglio i problemi. Dio ha preso possesso del suo cuore e l’ha resa donna pronta a dare la sua vita per Lui. Il suo sogno, a lungo coltivato, si realizza il 6 giugno 1610: giornata storica! Giovanna e le sue due amiche (Giacomina Favre e Carlotta di Bréchard) entrano in una casetta, “la Galerie”, e iniziano l’anno di noviziato. Il 6 giugno dell’anno seguente le prime tre professioni nelle mani di Francesco. Intanto altre giovani e altre donne chiedevano di essere accolte. Prende così il via la famiglia religiosa che si ispira alla Visitazione di Maria. L’espansione del nuovo Ordine ha del prodigioso. Alcune cifre: dal 1611 (anno di fondazione) al 1622 (anno della morte di Francesco) le fondazioni sono tredici: Annecy, Lione, Moulins, Grenoble, Bourges, Parigi…. Alla morte di Giovanna, nel 1641, i monasteri saranno 87 con una media di oltre 3 all’anno! Tra questi anche due in Piemonte: a Torino e a Pinerolo!
7. Ultimi anni
Francesco negli ultimi anni di vita deve prendere per due volte la strada di Parigi: viaggi importanti sul piano diplomatico e spirituale, viaggi faticosi per lui stanco e malandato in salute. La fama della santità di Francesco è nota a Parigi al punto che il cardinale Henri de Gondi pensa a lui come a suo successore e glielo propone. Nota è la simpatica risposta di Francesco: “Io ho sposato una povera donna (la diocesi di Annecy); non posso divorziare per sposarne una ricca (la diocesi di Parigi)!” Nel suo ultimo anno di vita intraprende un nuovo viaggio a Pinerolo, in Piemonte, su richiesta del Papa per riportare la pace in un monastero di Foglianti (Cistercensi riformati) che non riescono a mettersi d’accordo sul superiore generale. Francesco riuscì a rappacificare menti e cuori con soddisfazione unanime. Un altro ordine del Duca impone a Francesco di accompagnare il cardinal Maurizio di Savoia ad Avignone per incontrare il re Luigi XIII. Al ritorno si ferma a Lione nel monastero delle Visitandine. Qui incontra per l’ultima volta Giovanna de Chantal. È stremato, ma predica ancora fino alla fine, che sopraggiunge il 28 dicembre 1622. Francesco è morto con un sogno: ritirarsi dagli affari della diocesi e trascorrere gli ultimi anni di vita nel quieto Monastero di Talloires, sulle sponde del lago, a scrivere il suo ultimo libro Trattato dell’amore del prossimo e a recitare il Rosario. Siamo certi che il libro l’aveva già scritto con l’esempio della sua vita; quanto alla recita del Rosario, ora non gli mancano né il tempo, né la tranquillità.