Profeti del perdono e della gratuità

In questi tempi, dove le notizie, giorno dopo giorno, ci comunicano esperienze di conflitto, di guerra e di odio, quanto è grande il rischio che noi come credenti finiamo per essere coinvolti in una lettura degli eventi che si riduce solamente a livello politico oppure ci limitiamo a prendere posizione a favore di una parte o dell’altra con degli argomenti che hanno a che fare con la nostra maniera di vedere le cose, con la nostra maniera di interpretare la realtà.

Nel discorso di Gesù che segue le beatitudini c’è una serie di “piccole/grandi lezioni” che il Signore offre. Sempre iniziano con il versetto “avete inteso che fu detto”. In una di queste il Signore richiama l’antico detto “occhio per occhio e dente per dente” (Mt 5,38).
Fuori dalla logica del Vangelo, questa legge non solo non è contestata, ma può anche essere presa come una regola che esprime il modo ristabilire i conti con coloro che ci hanno offeso. Ottenere vendetta è percepita come diritto‚ Fino a essere anche un dovere.
Gesù si presenta davanti a questa logica con una proposta completamente differente, totalmente opposta. A quello che abbiamo inteso, Gesù ci dice: “Ma io vi dico” (Mt 5,39). E qui come cristiani dobbiamo fare molta attenzione. Le parole di Gesù che seguono sono importanti non solamente per sé stesse, ma perché esprimono in una maniera molto sintetica tutto il suo messaggio. Gesù non viene per dirci che c’è un altro modo di interpretare la realtà. Gesù non si avvicina a noi per allargare lo spettro delle opinioni a proposito delle realtà terrene, in modo particolare quella che toccano la nostra vita. Gesù non è un’altra opinione, ma lui stesso incarna la proposta alternativa alla legge della vendetta.
La frase “ma io vi dico” è di fondamentale importanza perché adesso non è più la parola pronunciata, ma la persona stessa di Gesù. Quello che Gesù ci comunica lui lo vive. Quando Gesù dice “di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra” (Mt 5,39), queste stesse parole le ha vissute in prima persona. Sicuramente non possiamo dire di Gesù che predica bene ma vi fa male nel suo messaggio.
Per ritornare ai nostri tempi, queste parole di Gesù rischiano di essere percepite come le parole di una persona debole, reazioni di chi non è più capace di reagire ma soltanto di subire. E in effetti quando noi guardiamo a Gesù che si offre completamente sul legno della Croce, questa è l’impressione che possiamo avere. Eppure, sappiamo benissimo che col sacrificio sulla croce e frutto di un vissuto che parte dalla frase “ma io vi dico”. Perché tutto ciò che Gesù ci ha detto, lui ha finito per assumerlo in pieno. E assumendolo in pieno è riuscito a passare dalla croce alla vittoria. Quella di Gesù è una logica che apparentemente comunica una personalità perdente. Ma sappiamo benissimo che il messaggio che Gesù ci ha lasciato, e che lui lo ha vissuto pienamente, e la medicina di cui questo mondo oggi ne ha proprio bisogno.

Essere profeti del perdono significa assumere il bene come risposta al male. Significa avere la determinazione che la potenza del maligno non condizionerà il mio modo di vedere e di interpretare la realtà. Il perdono non è la risposta del debole. Il perdono è il segno più eloquente di quella libertà che è capace di riconoscere le ferite che il male lascia dietro di sé, ma che quelle stesse ferite non saranno mai una polveriera che fomenta la vendetta e l’odio.
Reagire al male con il male non fa altro che allargare ed approfondire le ferite dell’umanità. La pace e la concordia non crescono sul terreno dell’odio ed è la vendetta.

Essere profeti della gratuità richiede da noi la capacità di guardare al povero e all’ingente non con la logica del profitto, ma con la logica della carità. Il povero non sceglie di essere povero, ma chi sta bene alla possibilità di scegliere di essere generoso, buono e pieno di compassione. Quanto sarebbe differente il mondo se i nostri leader politici in questo scenario dove stanno crescendo i conflitti le guerre, abbiano la sensatezza di guardare a coloro che pagano il prezzo in queste divisioni, e sono i poveri, di emarginati quelli che non possono scappare perché non ce la fanno.
Se partiamo da una lettura puramente orizzontale, c’è da disperarsi. Non ci rimane altro che rimanere chiusi nelle nostre mormorazioni nelle nostre critiche. Eppure, no! Noi siamo educatori dei giovani. Sappiamo bene che questi giovani in questo nostro mondo stanno cercando punti di riferimento di un’umanità sana, di leaders politici capace di interpretare la realtà con dei criteri di giustizia e di pace. Ma quando i nostri giovani guardano attorno, sappiamo bene che colgono solamente il vuoto di una visione povera della vita.
Noi che siamo impegnati per la educazione dei giovani abbiamo una grossa responsabilità. Non basta commentare il buio che lascia un’assenza quasi completa di leadership. Non basta commentare che non ci sono proposte che hanno la capacità di infiammare la memoria dei giovani. Spetta ad ognuno e ad ognuna di noi accendere quella candela di speranza in questo buio, offrire esempi di umanità riuscita nella quotidianità.
Davvero vale la pena oggi essere profeti del perdono e della gratuità.




La sindrome di Filippo e quella di Andrea

Nel racconto del vangelo di Giovanni, capitolo 6, versetti 4-14, che presenta la moltiplicazione dei pani, abbiamo alcuni dettagli sui quali mi soffermo un po’ a lungo tutte quelle volte che io medito o commento questo brano.

Tutto inizia quando davanti alla “grande” folla affamata, Gesù invita i discepoli a prendere la responsabilità di darle da mangiare.
I dettagli di cui parlo sono, il primo, quando Filippo dice che non è possibile assumere questa chiamata a causa della quantità di gente presente. Andrea, invece, mentre fa notare che “c’è qui un ragazzo che ha cinque pani d’orzo e due pesci” per poi sottovalutare questa stessa possibilità con un semplice commento: “ma che cos’è questo per tanta gente?” (v.9).
Desidero semplicemente condividere con voi, carissimi lettrici e lettori, come noi cristiani, che abbiamo la chiamata di condividere la gioia della nostra fede, alcune volte, senza saperlo, possiamo essere contagiati dalla sindrome di Filippo o da quella di Andrea. Qualche volta forse anche da ambedue!
Nella vita della Chiesa, come anche nella vita della Congregazione e della Famiglia Salesiana le sfide non mancano e non mancheranno mai. La nostra non è una chiamata a formare un gruppo di persone dove si cerca soltanto di stare bene, senza disturbare e senza essere disturbati. Non è una esperienza fatta di certezze prefabbricate. Fare parte del corpo di Cristo non ci deve distrarre e neanche toglierci dalla realtà del mondo, così com’è. Al contrario, ci spinge ad esserne pienamente coinvolti nelle vicende della storia umana. Ciò significa innanzitutto guardare la realtà con soltanto con gli occhi umani, ma anche, e soprattutto, con gli occhi di Gesù. Siamo invitati a rispondere guidato dall’amore che trova la sua fonte nel cuore di Gesù, cioè vivere per gli altri come Gesù ci insegna e ci mostra.

La sindrome di Filippo
La sindrome di Filippo è sottile e per questo motivo che è anche molto pericolosa. L’analisi che fa Filippo è giusta e corretta. La sua risposta all’invito di Gesù non è sbagliata. Il suo ragionamento segue una logica umana molto lineare e senza difetti. Guardava la realtà con i suoi occhi umani, con una mente razionale e, a conti fatti, non percorribile. Davanti a questo modo “ragionato” di procedere, l’affamato smette di interpellarmi, il problema è suo, non mio. Per essere più precisi alla luce di ciò che viviamo quotidianamente: il rifugiato poteva stare a casa sua, non deve disturbarmi; il povero e il malato se la vedono loro e non spetta a me essere parte del loro problema, tantomeno per trovare loro la soluzione. Ecco la sindrome di Filippo. È un seguace di Gesù, però la sua maniera di vedere e interpretare la realtà ancora è ferma, non sfidata, lontana anni luce di quella del suo maestro.

La sindrome di Andrea
Segue la sindrome di Andrea. Non dico che è peggio della sindrome di Filippo, ma ci manca poco per essere più tragica. È una sindrome fine e cinica: vede qualche possibile opportunità, però non va oltre. C’è una piccolissima speranza, però umanamente non è percorribile. Allora si giunge a squalificare sia il dono come anche il donatore. E il donatore a chi in questo caso tocca “sfortuna”, è un ragazzo che è semplicemente pronto a condivider quello che ha!
Due sindromi che sono ancora con noi, nella Chiesa e anche tra noi pastori e educatori. Stroncare una piccola speranza è più facile che dare spazio alla sorpresa di Dio, una sorpresa che può far sbocciare una seppur piccola speranza. Lasciarsi condizionare da clichés dominanti per non esplorare opportunità che sfidano letture ed interpretazioni riduttive, è una tentazione permanente. Se non stiamo attenti, diventiamo profeti ed esecutori della nostra stessa rovina. A forza di restare chiusi in una logica umana, “accademicamente” raffinata e “intellettualmente” qualificata, lo spazio ad una lettura evangelica diventa sempre più limitato, e finisce per sparire.
Quando questa logica umana e orizzontale è messa in crisi, per difendersi uno dei segni che suscita è quello del “ridicolo”. Chi osa sfidare la logica umana perché lascia entrare l’aria fresca del Vangelo, sarà riempito di ridicolo, attaccato, preso in giro. Quando questo è il caso, stranamente possiamo dire che siamo davanti ad una strada profetica. Le acque si muovono.

Gesù e le due sindromi
Gesù supera le due sindromi “prendendo” i pani considerati pochi e per conseguenza irrilevanti. Gesù apre la porta a quello spazio profetico e di fede che ci è chiesto di abitare. Davanti alla folla non possiamo accontentarci di fare letture e interpretazioni autoreferenziali. Seguire Gesù implica andare oltre il ragionamento umano. Siamo chiamati a guardare alle sfide con i suoi occhi. Quando Gesù ci chiama, da noi non chiede soluzioni ma donazione di tutto noi stessi, con ciò che siamo e ciò che abbiamo. Eppure, il rischio è che davanti alla sua chiamata rimaniamo fermi, per conseguenza schiavi, del nostro pensiero e avidi di ciò che crediamo di possedere.
Solo nella generosità fondata sull’abbandono alla sua Parola arriviamo a raccogliere l’abbondanza dell’agire provvidenziale di Gesù. “Essi quindi li raccolsero e riempirono dodici ceste di pezzi che di quei cinque pani d’orzo erano avanzati a quelli che avevano mangiato” (v.13): il piccolo dono del ragazzo fruttifica in maniera sorprendente solo perché i due sindromi non hanno avuto l’ultima parola.
Papa Benedetto così commenta questo gesto del ragazzo: “Nella scena della moltiplicazione, viene segnalata anche la presenza di un ragazzo, che, di fronte alla difficoltà di sfamare tanta gente, mette in comune quel poco che ha: cinque pani e due pesci. Il miracolo non si produce da niente, ma da una prima modesta condivisione di ciò che un semplice ragazzo aveva con sé. Gesù non ci chiede quello che non abbiamo, ma ci fa vedere che se ciascuno offre quel poco che ha, può compiersi sempre di nuovo il miracolo: Dio è capace di moltiplicare il nostro piccolo gesto di amore e renderci partecipi del suo dono” (Angelus, 29 luglio 2012).
Davanti alle sfide pastorali che abbiamo, davanti a tanta sete e fame di spiritualità che i giovani esprimono, cerchiamo di non aver paura, di non restare attaccati alle nostre cose, ai nostri modi di pensare. Offriamo quel poco che abbiamo a Lui, affidiamoci alla luce della sua Parola e che questa e solo questa sia il criterio permanente delle nostre scelte e la luce che guida le nostre azioni.

Foto: Miracolo evangelico della moltiplicazione dei pani e dei pesci, vetrata dell’Abbazia Tewkesbury di Gloucestershire (Regno Unito), opera del 1888, realizzata dalla Hardman & Co




Messaggio di don Fabio Attard nella festa del Rettor Maggiore

Carissimi confratelli, carissimi collaboratori e collaboratrici delle nostre Comunità Educative Pastorali, carissimi giovani,

            Permettetemi di condividere con voi questo messaggio che viene dal profondo del mio cuore. Lo comunico con tutto l’affetto, l’apprezzamento e la stima che nutro per ognuno e ognuna di voi mentre siete impegnati nella missione di essere educatori, pastori e animatori dei giovani in tutti i continenti.
            Siamo tutti consapevoli che l’educazione dei giovani chiede sempre di più persone adulte significative, persone che hanno una spina dorsale moralmente solida, capace di trasmettere speranza e visione per il loro futuro.
            Mentre tutti ci troviamo impegnati a camminare con i giovani, accogliendoli nelle nostre case, offrendo loro opportunità educative di ogni tipo e di ogni genere, nella varietà degli ambienti che noi portiamo avanti, siamo anche consapevoli delle sfide culturali, sociali ed economici che dobbiamo affrontare.
            Accanto a queste sfide che fanno parte di ogni processo educativo pastorale, in quanto si tratta sempre di un dialogo continuo con le realtà terrene, riconosciamo che, come conseguenza delle situazioni di guerre e conflitti armati in varie parti del mondo, la chiamata che viviamo sta diventando più complessa e difficile. Tutto questo ha il suo effetto sull’impegno che noi stiamo portando avanti. È incoraggiante vedere che malgrado le difficoltà che dobbiamo affrontare, siamo determinati a continuare a vivere con convinzione la nostra missione.
            In questi ultimi mesi, il messaggio di Papa Francesco e adesso la parola di Papa Leone XIV continuamente stanno invitando il mondo a guardare in faccia questa dolorosa situazione che sembra come uno spirale che cresce in maniera spaventosa. Sappiamo che le guerre non producono mai pace. Siamo consapevoli, e alcuni di noi lo stanno vivendo in prima fila, che ogni conflitto armato e ogni guerra porta con sé sofferenza, dolore e aumenta ogni tipo povertà. Tutti conosciamo che coloro che alla fine pagano il prezzo di tali situazioni sono gli sfollati, gli anziani, i bambini e i giovani che si trovano senza presente e senza futuro.
            Per questo motivo carissimi confratelli e carissimi nostri collaboratori e giovani di tutto il mondo, vorrei gentilmente chiedervi che per la festa del Rettor Maggiore, che è una tradizione che risale al tempo di Don Bosco, ogni comunità attorno al giorno della festa del Rettor Maggiore celebri la santa Eucaristia per la pace.
            È un invito alla preghiera che trova la sua fonte nel sacrificio di Cristo, crocifisso e risorto. Una preghiera come testimonianza perché nessuno rimanga indifferente in una situazione mondiale scossa da un crescente numero di conflitti.
            Questo nostro è un gesto di solidarietà con tutti coloro, specialmente salesiani, laici e giovani, che in questo momento particolare, con grande coraggio e determinazione continuano a vivere la missione salesiana in mezzo a situazioni segnate da guerre. Sono salesiani, laici e giovani che chiedono e apprezzano la solidarietà di tutta la Congregazione, solidarietà umana, solidarietà spirituale, solidarietà carismatica.
            Mentre da parte mia e da parte di tutto il Consiglio Generale stiamo facendo tutto il possibile a essere molto vicini in maniera concreta a tutti, credo che in questo momento particolare vada dato tale segno di vicinanza e di incoraggiamento da parte di tutta la Congregazione.
            A voi carissimi nostri fratelli e carissime nostre sorelle in Myanmar, Ucraina, Medio Oriente, Etiopia, Est della Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Haiti e Centro America, vogliamo dirvi ad alta voce che siamo con voi. Vi ringraziamo per la vostra testimonianza. Vi assicuriamo la nostra vicinanza umana e spirituale.
            Continuiamo a pregare per il dono della pace. Continuiamo a pregare per questi nostri confratelli, laici e giovani che, vivendo in situazioni molto difficili, continuano a sperare e a pregare affinché la pace emerga. Il loro esempio, la donazione di sé stessi e la loro appartenenza al carisma di Don Bosco, è per noi una testimonianza forte. Essi, insieme a tante persone consacrate, sacerdoti e laici impegnati, sono i martiri moderni, cioè testimoni dell’educazione e dell’evangelizzazione, che malgrado tutto, come veri pastori e ministri della carità evangelica, continuano ad amare, credere e sperare per un futuro migliore.
            Tutti noi, questa chiamata alla solidarietà, la assumiamo con tutto il nostro cuore. Grazie.

Prot. 25/0243 Roma, 24 giugno 2025
don Fabio ATTARD,
Rettor Maggiore

Foto: shutterstock.com




Quando il Signore bussa

Un confratello mi ha detto: «Padre, abbiamo solo bisogno della tua vicinanza, del tuo ascolto, della tua preghiera. Questo ci consola, ci incoraggia e ci dà forza e speranza perché continuiamo a servire i giovani, poveri e feriti, impauriti e terrorizzati!»

Il 25 marzo 2025 la Chiesa celebra la solennità dell’annunciazione dell’Angelo Gabriele a Maria. Una delle solennità più significative per la fede cristiana. In questa solennità noi facciamo memoria dell’iniziativa di Dio che entra a far parte di quella storia umana che lui stesso ha creato. In quel giorno nella Santa Eucaristia noi recitiamo il credo e quando professiamo che il Figlio di Dio si è fatto uomo noi credenti ci inginocchiamo come segno di stupore per questa iniziativa meravigliosa di Dio davanti alla quale non ci resta che metterci in ginocchio.
Nella esperienza dell’annunciazione Maria ha paura: “Non temere Maria” le dice l’Angelo. Dopo che ha espresso le sue domande, essendo assicurata che si tratta del progetto di Dio per lei, Maria risponde con una semplice frase che rimane per noi oggi un richiamo è un invito. Maria, la Benedetta tra le donne, dice semplicemente: “Sia fatto di me secondo la tua parola”.
Il 25 marzo passato il Signore ha bussato sulla porta del mio cuore attraverso la chiamata che i miei fratelli al Capitolo Generale 29° mi hanno rivolto. Mi hanno chiesto di mettermi disponibile per assumere la missione di essere Rettor Maggiore dei Salesiani di Don Bosco, la Congregazione di San Francesco di Sales. Confesso che lì per lì sentivo il peso dell’invito, momenti che disorientano perché quello che il Signore stava chiedendomi non era una cosa leggera. Il punto è che quando arriva la chiamata, noi come credenti entriamo in quello spazio sacro dove sentiamo forte il fatto che è Lui che prende l’iniziativa. La strada davanti a noi è solo quella di semplicemente abbandonarsi nelle mani di Dio, senza se e senza ma. E tutto questo naturalmente non è facile.

«Vedrai come il Signore lavora»
In queste prime settimane mi sto ancora chiedendo come Maria che senso ha tutto questo? Poi pian piano comincio ad arrivare quella consolazione che una volta mi diceva un mio Ispettore: “quando il Signore chiama è Lui che prende l’iniziativa, da Lui dipende quello che si fa. Tu solo tieniti pronto e disponibile. Vedrai come il Signore lavora.”
Alla luce di questa esperienza personale ma di portata assai ampia, perché si tratta della Congregazione Salesiana e della Famiglia Salesiana, mi sono immediatamente rivolto ai miei cari fratelli Salesiani. Fin dal primo momento ho chiesto loro che mi accompagnino con la loro preghiera, la loro vicinanza il loro sostegno.
Devo confessare che queste prime settimane già sento che questa missione deve ispirarsi a Maria. Lei dopo l’annunzio dell’Angelo si mise in cammino a aiutare sua cugina Elisabetta. E così mi sono messo a servire i miei fratelli, ascoltarli, condividendo e rassicurando loro il sostegno di tutta la Congregazione, specialmente per coloro che vivono in situazioni di guerre, conflitti e povertà estreme.
Mi ha colpito il commento di un ispettore che con i suoi confratelli sta vivendo una situazione estremamente difficile. Dopo un colloquio molto fraterno mi disse: “Padre, abbiamo solo bisogno della tua vicinanza, del tuo ascolto, della tua preghiera. Questo ci consola, ci incoraggia e ci dà forza e speranza perché continuiamo a servire i giovani, poveri e feriti, impauriti e terrorizzati!” Dopo questo commento siamo rimasti in silenzio, lui e io, con qualche lacrima che scendeva dai suoi occhi e devo dire anche dai miei.
Finito l’incontro sono rimasto solo nel mio ufficio. Mi sono chiesto se questa missione che il Signore mi chiede di accettare non è forse quella di rendermi fratello accanto ai miei fratelli che soffrono ma sperano? Che combattono a fare il bene per i poveri e non hanno nessuna intenzione di smettere? Sentivo dentro di me una voce che mi diceva che vale la pena dire ‘sì’ quando il Signore bussa, costi quel che costi!




Discorso del Rettor Maggiore alla chiusura del Capitolo Generale 29

Carissimi confratelli,

            Arriviamo alla fine di questa esperienza del XXIX Capitolo Generale con un cuore colmo di gioia e di gratitudine per tutto quello che abbiamo potuto vivere, condividere e progettare. Il dono della presenza dello Spirito di Dio che ogni giorno abbiamo supplicato nella preghiera mattutina come anche durante i lavori per mezzo della conversazione nello Spirito, è stata la forza centrale dell’esperienza del Capitolo Generale. Il protagonismo dello Spirito lo abbiamo cercato e ci è stato donato abbondantemente.
            La celebrazione di ogni Capitolo Generale è come una pietra miliare nella vita di ogni congregazione religiosa. Questo vale anche per noi, per la nostra amatissima Congregazione Salesiana. È un momento che dà continuità al cammino che da Valdocco continua a essere vissuto con impegno e portato avanti con zelo e determinazione nelle varie parti del mondo.
            Arriviamo alla fine di questo Capitolo Generale con l’approvazione di un Documento Finale che ci servirà come carta di navigazione per i prossimi sei anni – 2025-2031. Il valore di tale Documento Finale lo vedremo e lo sentiremo nella misura che la stessa dedicazione nell’ascolto, la stessa premura di lasciarci accompagnare dallo Spirito Santo che hanno segnato queste settimane riusciamo a mantenerle dopo la conclusione di questa esperienza di pentecoste salesiana.
            Fin dall’inizio da quando il Rettor Maggiore don Angel Fernández Artime ha reso pubblica la Lettera di Convocazione del Capitolo Generale 29, 24 settembre 2023, ACG 441, chiare erano le motivazioni che dovevano guidare i lavori pre-capitolari e dopo anche i lavori dello stesso Capitolo Generale. Il Rettor Maggiore scrive che:

Il tema scelto è frutto di una ricca e profonda riflessione che abbiamo portato avanti nel Consiglio Generale sulla base delle risposte ricevute dalle Ispettorie e della visione che abbiamo della Congregazione in questo momento. Siamo stati piacevolmente sorpresi dalla grande convergenza e armonia che abbiamo trovato in tanti contributi delle Ispettorie, che avevano molto a che fare con la realtà che vediamo nella Congregazione, con il cammino di fedeltà che esiste in molti settori e anche con le sfide del presente. (ACG 441)

            Il processo di ascolto delle Ispettorie che ha portato all’individuazione del tema di questo Capitolo Generale è già una indicazione chiara di una metodologia di ascolto. Alla luce di quanto abbiamo vissuto in queste settimane si conferma il valore del processo dell’ascolto. La maniera come abbiamo prima individuato e poi interpretato le sfide che la Congregazione è determinata di affrontare ha evidenziato quel clima salesiano tipico nostro, spirito di famiglia, che non vuole evitare le sfide, che non cerca di uniformare il pensiero, ma che fa tutto il possibile per arrivare a quello spirito di comunione dove ognuno di noi possa riconoscere la via per essere il don Bosco oggi.
            Il punto focale delle sfide individuate ha a che fare con il “riferimento alla centralità di Dio (come Trinità) e di Gesù Cristo come Signore della nostra vita, senza mai dimenticare i giovani e il nostro impegno nei loro confronti” (ACG 441). Lo svolgimento dei lavori del Capitolo Generale testimonia non solo il fatto che abbiamo la capacità di individuare le sfide ma abbiamo anche trovato il modo di far emergere quella concordia e unità, riconoscendo a facendo tesoro del fatto che ci troviamo in continenti e contesti diversi, culture e lingue diverse. In più, questo clima conferma che quando noi oggi guardiamo la realtà con gli occhi e con il cuore di don Bosco, quando siamo davvero appassionati di Cristo e dedicati ai giovani, allora scopriamo che la diversità diventa ricchezza, che camminare insieme è bello anche se faticoso, che solo insieme possiamo affrontare le sfide senza paura.
            In un mondo frammentato da guerre, confitti e ideologie spersonalizzanti, in un mondo segnato da pensieri e modelli economici e politici che tolgono il protagonismo ai giovani, la nostra presenza è un segno, un «sacramento» di speranza. I giovani, senza distinzione di colore della pelle, di appartenenza religiosa o etnica, ci chiedono di promuovere proposte e luoghi di speranza. Sono figlie e figlio di Dio che da noi aspettano che siamo servi umili.
            Un secondo punto che è stato confermato e ribadito da questo Capitolo Generale è la condivisa convinzione che “se nella nostra Congregazione mancassero la fedeltà e la profezia, saremmo come la luce che non brilla e il sale che non dà sapore.” (ACG 441). Il punto qui non è tanto se vogliamo essere più autentici o meno, ma il fatto stesso che questa è l’unica strada che abbiamo ed è quella che qui in queste settimane è stata fortemente ribadita: crescere nella autenticità!
            Il coraggio mostrato in alcuni momenti del Capitolo Generale è una eccellente premessa per il coraggio che ci sarà chiesto nel futuro su altri temi che da questo Capitolo Generale sono usciti. Sono sicuro che questo coraggio qui ha trovato un terreno fertile, un ecosistema sano e promettente e che augura bene per il futuro. Avere coraggio significa non lasciare che la paura abbia l’ultima parola. La parabola dei talenti ce lo insegna in maniera chiara. A noi il Signore ci ha dato un solo talento: il carisma salesiano, concentrato nel Sistema Preventivo. Ad ognuno di noi sarà chiesto cosa abbiamo fatto di questo talento.

            Insieme, siamo chiamati a farlo fruttificare in contesti sfidanti, nuovi e inediti. Non abbiamo nessun motivo per seppellirlo. Abbiamo tante motivazioni, tante grida dei giovani che ci spingono ad «uscire» a seminare speranza. Questo passo coraggioso, pieno di convinzione lo ha già vissuto don Bosco a suo tempo e che oggi ci chiede di viverlo come lui e con lui.

Vorrei commentare alcuni punti che si trovano già nel Documento Finale e che credo che possano servire come frecce che ci incoraggiano nel cammino dei prossimi sei anni.

1. Conversione personale
            Il nostro cammino come Congregazione Salesiana dipende da quelle scelte personali, intime e profonde che ognuno di noi decide di fare. Allargando lo sfondo contro il quale bisogna riflettere sul tema della conversione personale, è importante ricordare come in questi anni dopo il Concilio Vaticano II, la Congregazione ha fatto un cammino di riflessione spirituale, carismatica e pastorale che è stato magistralmente commentato da don Pascual Chávez nei suoi interventi settimanali. Questa lettura e questo contributo arricchisce ulteriormente quella riflessione importante che ci ha lasciato il Rettor Maggiore don Egidio Viganó nella sua ultima lettera alla Congregazione: Come rileggere oggi il carisma del fondatore (ACG 352, 1995). Se oggi parliamo di un «cambio di epoca», don Viganó nel 1995 scriveva:

La rilettura del carisma del nostro Fondatore ci tiene impegnati ormai da ben trent’anni. Due grandi fari di luce ci hanno aiutato in questo impegno: il primo è il Concilio Ecumenico Vaticano II, il secondo è il cambio epocale di quest’ora di accelerazione della storia” (ACG 352, 1995).

            Faccio riferimento a questo cammino della Congregazione con le sue ricchezze e patrimonio perché il tema della conversione personale è quello spazio dove questo cammino della Congregazione trova la sua conferma e la sua ulteriore spinta. La conversione personale non è un affare intimistico, autoreferenziale. Non si tratta di una chiamata che tocca solo me in maniera distaccata da tutto e da tutti. La conversione personale è quell’esperienza singolare da dove poi uscirà e emergerà una rinnovata pastorale. Il cammino della Congregazione lo possiamo constatare perché trova nel cuore di ognuno di noi il suo punto di partenza. Da qui possiamo notare quel continuo e convinto rinnovamento pastorale. Papa Francesco in una frase condensa questa urgenza: “l’intimità della Chiesa con Gesù è un’intimità itinerante, e la comunione «si configura essenzialmente come comunione missionaria»” (Christifideles laici n.32, Evangelii gaudium 23).
            Questo ci porta scoprire che quando stiamo insistendo sulla conversione personale dobbiamo fare attenzione a non cadere, da una parte, in una interpretazione intimistica della esperienza spirituale e dall’altra a non sottovalutare quello che è il fondamento di ogni cammino pastorale.
            In questa chiamata di rinnovata passione per Gesù, invito ogni salesiano e ogni comunità a prendere sul serio le scelte e gli impegni concreti che come Capitolo Generale abbiamo creduto urgenti per una più autentica testimonianza educativo pastorale. Crediamo che non possiamo crescere pastoralmente senza quell’atteggiamento di ascolto alla Parola di Dio. Riconosciamo che i vari impegni pastorali che abbiamo, le necessità sempre più crescenti che ci si presentano e che testimoniano una povertà che non si arresta mai, rischiano di toglierci il tempo necessario di «stare con Lui». Questa sfida già la troviamo fin dall’inizio della nostra Congregazione. Si tratta di avere chiare le priorità che rafforzano la nostra spina dorsale spirituale e carismatica che dà anima e credibilità alla nostra missione.
            Don Alberto Caviglia, quando commenta il tema della “Spiritualità Salesiana” nelle sue Conferenze sullo Spirito Salesiano scrive:

La meraviglia più grande che hanno avuto coloro che studiarono don Bosco per il processo di canonizzazione… fu la scoperta dell’incredibile lavoro di costruzione dell’uomo interiore.
Il Card. Salotti (…) riferendosi agli studi che andava facendo, diceva al S. Padre che «nello studiare i voluminosi processi di Torino, più che la grandezza esteriore dell’opera sua colossale, lo ha colpito la vita interiore dello spirito, da cui nacque e si alimentò tutto il prodigioso apostolato del Ven. Don Bosco».
Molti conoscono soltanto l’opera esterna che sembra così rumorosa, ma ignorano in gran parte quell’edificio sapiente, sublime di perfezione cristiana che egli aveva eretto pazientemente nell’anima sua coll’esercitarsi ogni giorno, ogni ora nella virtù propria del suo stato.

            Carissimi fratelli, qui abbiamo il nostro don Bosco. È questo don Bosco che oggi noi siamo chiamati a scoprire. L’Articolo n.21 delle nostre Costituzioni ce lo dice in maniera molto chiara:

Lo studiamo e lo imitiamo, ammirando in lui uno splendido accordo di natura e di grazia. Profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente, egli era aperto alle realtà terrestri; profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito Santo, viveva “come se vedesse l’invisibile”.
Questi due aspetti si sono fusi in un progetto di vita fortemente unitario: il servizio dei giovani. Lo realizzò con fermezza e costanza, fra ostacoli e fatiche, con la sensibilità di un cuore generoso. “Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa che non avesse di mira la salvezza della gioventù…Realmente non ebbe a cuore altro che le anime” (Cost. 21).

            Mi piace qui ricordare un invito di Madre Teresa alle sue consorelle qualche anno prima di morire. La sua dedicazione e quella delle sue consorelle ai poveri è nota a tutti. Però ci fa bene ascoltare queste sue parole scritte alle sue consorelle:

Finché non riuscirai a sentire Gesù nel silenzio del tuo cuore, non riuscirai a sentirlo dire «Ho sete» nel cuore dei poveri. Non rinunciare mai a questo contatto intimo e quotidiano con Gesù come persona viva e reale, non solo come idea. (“Until you can hear Jesus in the silence of your own heart, you will not be able to hear him saying, “I thirst” in the hearts of the poor. Never give up this daily intimate contact with Jesus as the real living person – not just the idea”, in https://catholiceducation.org/en/religion-and- philosophy/the-fulfillment-jesus-wants-for-us.html)

            Solo ascoltando nel profondo del cuore a chi ci chiama a seguirlo, Gesù Cristo, possiamo davvero ascoltare con un cuore autentico coloro che ci chiamano a servirli. Se la motivazione radicale del nostro essere servi non trova le sue radici nella persona di Cristo, l’alternativa è che le nostre motivazioni siano nutriti dal terreno del nostro ego. E la conseguenza è che poi la nostra stessa azione pastorale finisce per inflazionare lo stesso ego. L’urgenza di recuperare lo spazio mistico, il terreno sacro dell’incontro con Dio, un terreno nel quale dobbiamo togliere i sandali delle nostre certezze e delle nostre maniere di interpretare la realtà con le sue sfide, in queste settimane è stato ribadito più volte e in varie maniere.
            Carissimi fratelli, qui abbiamo il primo passo. Qui diamo prova se vogliamo davvero essere figli autentici di don Bosco. Qui diamo prova se davvero amiamo e imitiamo don Bosco.

2. Conoscere don Bosco non solo amare don Bosco
            Siamo consapevoli che un’altra sfida centrale che abbiamo come Salesiani è quella di comunicare la buona novella con la nostra testimonianza e attraverso le nostre proposte educativo pastorali in una cultura che sta subendo un cambio radicale. Se nell’occidente parliamo della indifferenza alla proposta religiosa frutto della sfida della secolarizzazione, notiamo come in altri continenti la sfida prende altre forme, prima di tutto il cambio verso una cultura globalizzata che sposta radicalmente le scale di valori e stili di vita. In un mondo fluido e iperconnesso, quello che abbiamo conosciuto ieri, oggi è radicalmente cambiato: in breve qui si tratta del tema più volte accennato del cambio di epoca.
            Avendo questo cambiamento i suoi effetti a tutto campo, è positivo vedere come la Congregazione dal CGS (1972) fino ad oggi è in un continuo cammino di ripensamento e riflessione sulla sua proposta educativo pastorale. È un processo che risponde alla domanda “cosa farebbe don Bosco oggi, in una cultura secolarizzata e globalizzata come la nostra?”
            In tutto questo movimento riconosciamo come fin dalle sue origini la bellezza e la forza del carisma salesiano risiedono proprio nella sua capacità interna di dialogare con la storia dei giovani che in ogni epoca siamo chiamati a incontrare. Ciò che noi contempliamo a Valdocco, terra santa salesiana, è il soffio dello Spirito che ha guidato don Bosco e che riconosciamo che continua a guidare anche noi oggi. Le Costituzioni iniziano precisamente con questa fondante e fondamentale certezza:

Lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco.
Formò in lui un cuore di padre e di maestro, capace di una dedizione totale: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”.
Per prolungare nel tempo la sua missione lo guidò nel dar vita a varie forze apostoliche, prima fra tutte la nostra Società.
La Chiesa ha riconosciuto in questo l’azione di Dio, soprattutto approvando le Costituzioni e proclamando santo il Fondatore.
Da questa presenza attiva dello Spirito attingiamo l’energia per la nostra fedeltà e il sostegno della nostra speranza. (Cost. 1)

            Il carisma salesiano racchiude un invito innato a metterci di fronte ai giovani nello stesso modo in cui don Bosco si metteva di fronte a Bartolomeo Garelli… «suo amico»!
            Tutto questo sembra molto facile a dirlo, si presenta come un’esortazione amicale. In realtà, nasconde dentro di sé l’urgente invito a noi, figli di don Bosco, affinché nell’oggi della storia, là dove noi ci troviamo, riproponiamo il carisma salesiano in modo adeguato e significativo. Però, c’è una condizione indispensabile che ci permette di fare questo cammino: la conoscenza vera e seria di don Bosco. Non possiamo dire di «amare» veramente don Bosco, se non siamo impegnati seriamente a «conoscere» don Bosco.
            Spesso il rischio è di accontentarci con una conoscenza di don Bosco che non riesce a connettersi con le sfide attuali. Attrezzati solo con una conoscenza superficiale di don Bosco, siamo davvero poveri di quel bagaglio carismatico che ci rende autentici figli suoi. Senza conoscere don Bosco non possiamo e non arriviamo a incarnare don Bosco nelle culture dove siamo. Ogni sforzo che presume solo questa povertà di conoscenza carismatica risulta solamente in operazioni carismatiche di cosmesi, che alla fine sono un tradimento della stessa eredità di don Bosco.
            Se desideriamo che il carisma salesiano sia in grado di dialogare con la cultura attuale, le culture attuali, dobbiamo continuamente approfondirlo per sé stesso e alla luce delle sempre nuove condizioni in cui viviamo. Il bagaglio che abbiamo ricevuto all’inizio della nostra fase formativa iniziale se non è seriamente approfondito, oggi non è sufficiente, semplicemente è inutile, se non addirittura dannoso.
            In questa direzione, la Congregazione ha fatto e sta facendo un enorme sforzo per rileggere la vita di don Bosco, il carisma salesiano alla luce delle attuali condizioni sociali e culturali, in tutte le parti del mondo. È un patrimonio che abbiamo, ma corriamo il rischio di non conoscerlo perché non riusciamo a studiarlo come merita. La perdita di memoria rischia non solo farci perdere il contatto con il tesoro che abbiamo, ma rischia di farci anche credere che questo tesoro non esista. E questo sarà davvero tragico non tanto e soltanto per noi Salesiani, ma per quelle folle di giovani che ci stanno aspettando.
            L’urgenza di tale approfondimento non è solo di natura intellettualistica ma tocca la sete che esiste per una seria formazione carismatica dei laici nelle nostre CEP. Il Documento Finale questo tema lo tratta spesso e in maniera sistematica. I laici che oggi partecipano con noi alla missione salesiana sono persone desiderose di una più chiara proposta formativa salesianamente significativa. Non possiamo vivere questi spazi di convergenza educativo pastorale se il nostro linguaggio e il nostro modo di comunicare il carisma non hanno la capacità conoscitiva e la preparazione giusta per suscitare curiosità e attenzione da parte di coloro che vivono con noi la missione salesiana.
            Non basta dire che amiamo don Bosco. Il vero «amore» per don Bosco implica l’impegno di conoscerlo e studiarlo e non solo alla luce del suo tempo, ma anche alla luce del grande potenziale della sua attualità, alla luce del nostro tempo. Il Rettor Maggiore don Pascual Chávez, aveva invitato tutta la Congregazione e la Famiglia Salesiana perché i tre anni che hanno preceduto il «Bicentenario della nascita di don Bosco 1815-2013» fossero tempo di approfondimento della storia, pedagogia e spiritualità di don Bosco (Don Pascual CHÁVEZ, Aguinaldo 2012, “Conoscendo e imitando don Bosco, facciamo dei giovani la missione della nostra vita” ACG 412).
È un invito che è più che mai attuale. Questo Capitolo Generale è una chiamata e un’opportunità per rafforzare tale conoscenza del nostro Padre e Maestro.
            Riconosciamo carissimi fratelli, che a questo punto questo tema si collega con quello precedente – la conversione personale. Se non conosciamo don Bosco e se non lo studiamo, non possiamo comprendere le dinamiche e le fatiche del suo cammino spirituale e per conseguenza le radici delle sue scelte pastorali. Arriviamo ad amarlo solo superficialmente, senza la vera capacita di imitarlo come l’uomo profondamente santo. Soprattutto sarà impossibile inculturare oggi il suo carisma nei diversi contesti e nelle diverse situazioni. Solo rafforzando la nostra identità carismatica, potremo offrire alla Chiesa e alla società una testimonianza credibile e una proposta educativo pastorale significativa e rilevante ai giovani oggi.

3. Il cammino continua
            In questa terza parte vorrei incoraggiare tutte le Ispettorie a mantenere vive le attenzioni in alcuni settori che attraverso le varie Delibere e impegni concreti abbiamo voluto dare un segno di continuità.
            Il campo dell’animazione e il coordinamento dell’emarginazione e del disagio giovanile è stato un settore nel quale in questi decenni la Congregazione si è molto impegnata. Credo che la risposta da parte delle Ispettorie alla povertà crescente è un segno profetico che ci contraddistingue e che trova tutti noi determinati a continuare a rafforzare la risposta salesiana a favore dei più poveri.
            L’impegno della Ispettorie nel campo della promozione di ambienti sicuri continua a trovare una risposta sempre più crescente e professionale nelle Ispettorie. Lo sforzo in questo campo è una testimonianza che questa strada è quella giusta per affermare l’impegno per la dignità di tutti, specialmente i più vulnerabili.
            Il campo della ecologia integrale emerge come una chiamata per un maggior lavoro educativo e pastorale. La crescita dell’attenzione nelle comunità educative pastorali per i temi ambientali ci chiede un impegno sistematico per promuovere cambiamento di mentalità. Le varie proposte di formazione in questo ambito già presenti nella Congregazione vanno riconosciute, accompagnate e ulteriormente rafforzate.
            Ci sono poi due aree che vorrei invitare la Congregazione a considerare attentamente per i prossimi anni. Fanno parte di una visione più larga dell’impegno della Congregazione. Credo che siano due aree che avranno delle conseguenze sostanziali sui nostri processi educativo pastorali.

3.1 Intelligenza artificiale – una missione reale in un mondo artificiale
            Come Salesiani di don Bosco, siamo chiamati a camminare con i giovani in ogni ambiente in cui vivono e crescono, anche nel vasto e complesso mondo digitale. Oggi l’Intelligenza Artificiale (IA) si presenta come un’innovazione rivoluzionaria, in grado di plasmare il modo in cui le persone imparano, comunicano e costruiscono relazioni. Tuttavia, per quanto rivoluzionaria possa essere, l’IA rimane esattamente questo: artificiale. Il nostro ministero, radicato nell’autentica connessione umana e guidato dal Sistema Preventivo, è profondamente reale. L’intelligenza artificiale può assisterci, ma non può amare come noi. Può organizzare, analizzare e insegnare in modi nuovi, ma non potrà mai sostituire la dimensione relazionale e quella pastorale che definiscono la nostra missione salesiana.
            Don Bosco era un visionario, che non temeva l’innovazione, sia a livello ecclesiale come a livello educativo, culturale e sociale. Quando questa innovazione serviva al bene dei giovani don Bosco andava avanti con una velocità sorprendente. Sfruttava la stampa, i nuovi metodi educativi e i laboratori per elevare i giovani e prepararli alla vita. Se fosse tra noi oggi, senza dubbio guarderebbe all’IA con occhio critico e creativo. La vedrebbe non come un fine ma come un mezzo, uno strumento per amplificare l’efficacia pastorale senza perdere di vista la persona umana, sempre al centro.
            L’IA non è solo uno strumento: è parte della nostra missione di Salesiani che vivono nell’era digitale. Il mondo virtuale non è più uno spazio separato ma una parte integrante della vita quotidiana dei giovani. L’IA può aiutarci a rispondere alle loro esigenze in modo più efficiente e creativo, offrendo percorsi di apprendimento personalizzati, mentorship virtuale e piattaforme che favoriscono connessioni significative.
            In questo senso, l’IA diventa sia uno strumento che una missione, in quanto ci aiuta a raggiungere i giovani dove si trovano, spesso immersi nel mondo digitale. Pur abbracciando l’IA, dobbiamo riconoscere che è solo un aspetto di una realtà più ampia che comprende i social media, le comunità virtuali, la narrazione digitale e molto altro. Insieme, questi elementi formano una nuova frontiera pastorale che ci sfida a essere presenti e proattivi. La nostra missione non è semplicemente quella di utilizzare la tecnologia, ma di evangelizzare il mondo digitale, portando il Vangelo in spazi dove altrimenti potrebbe essere assente.
            La nostra risposta all’IA e alle sfide digitali deve essere radicata nello spirito salesiano di ottimismo e impegno proattivo. Continuiamo a camminare con i giovani, anche nel vasto mondo digitale, con cuori pieni di amore perché appassionati a Cristo e radicati nel carisma di don Bosco. Il futuro è luminoso quando la tecnologia è al servizio dell’umanità e quando

la presenza digitale è piena di autentico calore salesiano e impegno pastorale. Abbracciamo questa nuova sfida, fiduciosi che lo spirito di don Bosco ci guiderà in ogni nuova opportunità.

3.2 L’Università Pontificia Salesiana
            L’Università Pontificia Salesiana (UPS) è l’Università della Congregazione Salesiana, l’Università che appartiene a tutti noi. Costituisce una struttura di grande e strategica importanza per la Congregazione. La sua missione consiste nel far dialogare il carisma con la cultura, l’energia dell’esperienza educativa e pastorale di don Bosco con la ricerca accademica, così da elaborare una proposta formativa di alto profilo a servizio della Congregazione, della Chiesa e della società.
            Fin dagli inizi la nostra Università ha avuto un ruolo insostituibile nella formazione di tanti confratelli per ruoli di animazione e di governo e tuttora svolge questo compito prezioso. In un’epoca caratterizzata da disorientamento diffuso circa la grammatica dell’umano e il senso dell’esistenza, dalla disgregazione del legame sociale e dalla frammentazione dell’esperienza religiosa, da crisi internazionali e fenomeni migratori, una Congregazione come la nostra è urgentemente chiamata ad affrontare la missione educativa e pastorale usufruendo delle solide risorse intellettuali che si elaborano all’interno di una università.
            Come Rettor Maggiore e come Gran Cancelliere dell’UPS desidero ribadire che le due priorità fondamentali per l’Università della Congregazione sono la formazione di educatori e pastori, salesiani e laici, a servizio dei giovani e l’approfondimento culturale – storico, pedagogico e teologico – del carisma. Intorno a questi due assi portanti, che richiedono dialogo interdisciplinare e attenzione interculturale, l’UPS è chiamata a sviluppare il proprio impegno di ricerca, di insegnamento e di trasmissione del sapere. Mi rallegro pertanto che in vista del 150° anniversario dello scritto di don Bosco sul Sistema Preventivo sia stato avviato, in collaborazione con la Facoltà “Auxilium” delle FMA, un serio progetto di ricerca per mettere a fuoco l’ispirazione originaria della prassi educativa di don Bosco e per esaminare come essa ispiri oggi le pratiche pedagogiche e pastorali nella diversità dei contesti e delle culture.
            Il governo e l’animazione della Congregazione e della Famiglia Salesiana trarranno certamente benefici dal lavoro culturale dell’Università, così come lo studio accademico riceverà linfa preziosa mantenendo uno stretto contatto con la vita della Congregazione e il suo servizio quotidiano ai giovani più poveri di ogni parte del mondo.

3.3 150 anni – il viaggio continua
            Siamo chiamati rendere grazie e lode a Dio in questo anno giubilare della speranza perché in quest’anno ricordiamo l’impegno missionario di don Bosco che nell’anno 1875 trova un momento molto significativo di sviluppo. La riflessione che nella Strenna 2025 ci ha offerto il Vicario del Rettor Maggiore, don Stefano Martoglio, ci ricorda il tema centrale del 150° anniversario della prima spedizione missionaria di don Bosco: riconoscere, ripensare e rilanciare.
            Alla luce del Capitolo Generale 29° che stiamo concludendo ci aiuta a mantenere vivo questo invito nel sessennio che ci spetta. Come dice il testo della Strenna 2025, siamo chiamati ad essere riconoscenti perché “la riconoscenza rende palese la paternità di ogni bella realizzazione. Senza riconoscenza non c’è capacità di accogliere.”
            Alla riconoscenza aggiungiamo il dovere del ripensare la nostra fedeltà, perché “la fedeltà comporta la capacità, di cambiare nell’obbedienza, verso una visione che viene da Dio e dalla lettura dei «segni dei tempi» … Ripensare, allora, diventa un atto generativo, in cui si uniscono fede e vita; un momento nel quale chiedersi: cosa vuoi dirci Signore?”
            Infine il coraggio di rilanciare, ricominciare ogni giorno. Come stiamo facendo in questi giorni, guardiamo lontano per “accogliere le nuove sfide, rilanciando la missione con speranza. (Perché la) Missione è portare la speranza di Cristo con la consapevolezza lucida e chiara, legata alla fede.”

4. Conclusione
            Alla fine di questo discorso conclusivo vorrei presentare una riflessione di Tomáš HALÍK, tratta dal suo libro Il pomeriggio del cristianesimo (HALÍK, Tomáš, Pomeriggio del cristianesimo. Il coraggio di cambiare (Edizioni Vita e Pensiero, Milano 2022). L’autore nell’ultimo capitolo del libro che porta il nome “La società della via”, presenta quattro concetti ecclesiologici.
            Credo che questi quattro concetti ecclesiologici possono aiutarci a interpretare positivamente le grandi opportunità pastorali che ci attendono. Questa riflessione la propongo con la consapevolezza che ciò che propone l’autore si trova intimamente legato al cuore del carisma salesiano. Colpisce e sorprende il fatto che più noi ci addentriamo a fare una lettura carismatico pastorale come anche pedagogica e culturale della realtà attuale, si conferma sempre di più la convinzione che il nostro carisma ci fornisce una solida base affinché i vari processi che stiamo accompagnando trovino la loro giusta collocazione in un mondo dove i giovani stanno aspettando che si offra loro speranza, gioia e ottimismo. È bene che riconosciamo con grande umiltà ma allo stesso tempo con un grande senso di responsabilità come il carisma di don Bosco continui a fornire linee guida oggi, non solo per noi, ma per tutta la Chiesa.

Chiesa come popolo di Dio in pellegrinaggio nella storia. Questa immagine delinea una Chiesa in movimento e alle prese con incessanti cambiamenti. Dio plasma la forma della Chiesa nella storia, le si rivela per mezzo della storia e le impartisce i suoi insegnamenti attraverso gli avvenimenti storici. Dio è nella storia (Id. p. 229).

            La nostra chiamata ad essere educatori e pastori consiste proprio nel camminare con il gregge in questa fase della storia, in questa società in continuo cambiamento. La nostra presenza nei vari “cortili della vita delle persone” è la presenza sacramentale di un Dio che vuole incontrare coloro che lo cercano senza saperlo. In questo contesto, “il sacramento della presenza” acquista per noi un valore inestimabile perché si intreccia con le vicende storiche dei nostri giovani e di tutti coloro che si rivolgono a noi nelle varie espressioni della missione salesiana – il CORTILE.

La ‘scuola’ è la seconda visione della Chiesa – scuola di vita e scuola di sapienza. Viviamo in un’epoca in cui nello spazio pubblico di molti Paesi europei non domina né una religione tradizionale né l’ateismo, ma prevalgono piuttosto agnosticismo, apateismo e analfabetismo religioso… In questa epoca è urgentemente necessario che la società cristiana si trasformi in una ‘scuola’ seguendo l’ideale originario delle università medievali, sorte come comunità di docenti e alunni, comunità di vita, preghiera e insegnamento (Id. pp. 231-232).

            Ripercorrendo il progetto educativo pastorale di don Bosco dalle sue origini, scopriamo come questa seconda proposta tocchi direttamente l’esperienza che attualmente offriamo ai nostri giovani: la scuola e la formazione professionale sia come luoghi sia come cammini esperienziali. Sono percorsi educativi come strumento indispensabile per dare vita a un processo integrale dove cultura e fede si incontrano. Per noi oggi questo spazio è una eccellente opportunità dove possiamo testimoniare la buona notizia nell’incontro umano e fraterno, educativo e pastorale con tante persone e, soprattutto, con tanti bambini e ragazzi perché essi sentano accompagnati verso un futuro dignitoso. L’esperienza educativa per noi pastori è uno stile di vita che comunica saggezza e valori in un contesto che incontra e va oltre la resistenza e che fa sciogliere la indifferenza con la empatia e la vicinanza. Camminare insieme promuove uno spazio di crescita integrale ispirato alla saggezza e ai valori del Vangelo – la SCUOLA.

La Chiesa come ospedale da campo…Troppo a lungo, faccia a faccia con le malattie della società, la Chiesa si è limitata a fare la morale; ora si trova davanti al compito di riscoprire e applicare il potenziale terapeutico della fede. La missione diagnostica dovrebbe essere svolta da quella disciplina per la quale ho proposto il nome di cairologia – l’arte di leggere e interpretare i segni dei tempi, l’ermeneutica teologica dei fatti della società e della cultura. La cairologia dovrebbe dedicare la sua attenzione alle epoche di crisi e di cambiamento dei paradigmi culturali. Dovrebbe sentirle come parte di una ‘pedagogia di Dio’, come il tempo opportuno per approfondire la riflessione sulla fede e rinnovarne la prassi. In un certo senso, la cairologia sviluppa il metodo del discernimento spirituale, che è una componente importante della spiritualità di sant’Ignazio e dei suoi discepoli; lo applica quando approfondisce e valuta lo stato attuale del mondo e i nostri compiti in esso (Id. pp. 233-234).

            Questo terzo criterio ecclesiologico va al cuore dell’approccio salesiano. Non siamo presenti nella vita dei bambini e dei giovani per condannarli. Ci rendiamo disponibili per offrire loro uno spazio sano di comunione (ecclesiale), illuminato dalla presenza di un Dio misericordioso che non pone condizioni a nessuno. Elaboriamo e comunichiamo le varie proposte pastorali proprio con questa visione di facilitare l’incontro dei giovani con una proposta spirituale capace di illuminare i tempi in cui vivono, di offrire loro una speranza per il futuro. La proposta della persona di Gesù Cristo non è frutto di uno sterile confessionalismo o cieco proselitismo, ma la scoperta di una relazione con una persona che offre amore incondizionato a tutti. La nostra testimonianza e quella di tutti coloro che vivono l’esperienza educativo pastorale, come comunità, è il segno più eloquente e il messaggio più credibile dei valori che vogliamo comunicare per poterli condividere – la CHIESA.

Il quarto modello di Chiesa… è necessario che la Chiesa istituisca dei centri spirituali, luoghi di adorazione e contemplazione, ma anche di incontro e dialogo, dove sia possibile condividere l’esperienza della fede. Molti cristiani sono preoccupati del fatto che in un gran numero di Paesi si stia sfilacciando la rete delle parrocchie, che è stata costituita alcuni secoli fa in una situazione socio-culturale e pastorale completamente diversa e nell’ambito di una differente interpretazione di sé della Chiesa (Id. pp. 236-237).

            Il quarto concetto è quello di una “casa” capace di comunicare accoglienza, ascolto e accompagnamento. Una “casa” in cui si riconosce la dimensione umana della storia di ogni persona e, allo stesso tempo, si offre la possibilità di permettere a questa umanità di raggiungere la sua maturità. Don Bosco chiama giustamente “casa” il luogo in cui la comunità vive la sua chiamata perché, accogliendo i nostri giovani, sa assicurare le condizioni e le proposte pastorali necessarie affinché questa umanità cresca in modo integrale. Ogni nostra comunità, “casa”, è chiamata ad essere testimone dell’originalità dell’esperienza di Valdocco: una “casa” che intercetta la storia dei nostri giovani, offrendo loro un futuro dignitoso – la CASA.

            Nelle nostre Costituzioni, Art. 40 troviamo la sintesi di tutti questi “quattro concetti ecclesiologici”. È una sintesi che serve come invito e anche come incoraggiamento per il presente e il futuro delle nostre comunità educativo pastorali, delle nostre ispettorie, della nostra amatissima Congregazione Salesiana:

L’oratorio di don Bosco criterio permanente
            Don Bosco visse una tipica esperienza pastorale nel suo primo oratorio, che fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria.
            Nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza di Valdocco rimane criterio permanente e di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera.

            Grazie.
            Roma, 12 aprile 2025