Preparazioni per il 150° Anniversario della Prima Spedizione Missionaria salesiana (1875-2025)

L’anno prossimo, 2025, si compiono 150 anni della partenza per la prima spedizione missionaria salesiana. In vista di quest’anniversario, il dicastero delle Missioni Salesiane vuole preparare l’evento e lancia un’introduzione per le comunità salesiane, in modo puntuale. Questo avvenimento viene proposto come: Ringraziare, Ripensare, Rilanciare.

Ringraziare: Ringraziamo Dio per il dono della vocazione missionaria che permette oggi ai figli di Don Bosco di raggiungere i giovani poveri e abbandonati in 136 paesi.

Ripensare: È un’occasione propizia per ripensare e sviluppare una visione rinnovata delle missioni salesiane alla luce delle nuove sfide e delle nuove prospettive che hanno portato a nuove riflessioni missiologiche.

Rilanciare: Non abbiamo solo una storia gloriosa da ricordare e di cui essere grati, ma anche una grande storia ancora da realizzare! Guardiamo al futuro con zelo missionario ed entusiasmo rinnovato per raggiungere un numero ancora maggiore di giovani poveri e abbandonati.

Il Logo Ufficiale: il globo terrestre attraversato da alcune onde, che simboleggiano il coraggio e le nuove sfide, ma anche il dinamismo e la temerarietà. Al centro si trova una nave, simbolo della prima spedizione missionaria salesiana (1875), e il fuoco di un rinnovato entusiasmo missionario. La forma della ruota allude all’unità e alla connessione reciproca. È possibile utilizzare il logo, ma solo nella versione ufficiale senza fare modifiche o cambiamenti in nessuna parte del logo. È possibile scaricarlo in diversi formati (http://tinyurl.com/49zh69je), oppure richiederlo via e-mail (cagliero11 @ sdb.org).

L’obiettivo delle celebrazioni:
Mantenere vivo lo spirito e l’entusiasmo missionario nella Congregazione, al fine di promuovere un maggiore zelo missionario e una maggiore generosità tra i Salesiani e di tutta la CEP (Comunità Educativo Pastorale) (cf. Linee programmatiche del Rettore Maggiore per la Congregazione Salesiana dopo il Capitolo Generale 28, n. 7, ACG 433/2020).

Non è un evento ma un processo di rinnovamento missionario
Il 150° anniversario della prima spedizione missionaria non deve essere un evento commemorativo, ma un processo di rinnovamento missionario già iniziato con la stesura del piano sessennale di animazione missionaria. Il suo momento forte è il 2025, ma continua negli anni successivi. Ciò avviene a tre livelli.

1. A livello ispettoriale
Le celebrazioni avverranno principalmente a livello di Ispettoria.  Attraverso il CORAM (Coordinatori Regionali per l’Animazione Missionaria), il Settore Missioni continuerà a seguire il piano di animazione missionaria di ogni Ispettoria, di cui fanno parte le iniziative a livello Ispettoriale per il 2025.

Nel contesto delle celebrazioni, tramite il DIAM (Delegati Ispettoriali per l’Animazione Missionaria), ogni Ispettoria sarà attivamente incoraggiata a valutare come ha messo in pratica le Linee Programmatiche n. 2, 5, 7.

“È urgente dare priorità assoluta all’impegno per l’evangelizzazione dei giovani con proposte consapevoli, intenzionali ed esplicite. Siamo invitati a far conoscere loro Gesù e la Buona Novella del Vangelo per la loro vita. […] Rispondere alla «urgenza di riproporre con più convinzione il primo annuncio, perché “non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio”» (Christus Vivit, no. 214) (Linee Programmatiche, n. 2)

Ogni Ispettoria fa l’opzione radicale, preferenziale, personale – cioè da parte di ogni salesiano – e istituzionale a favore dei più bisognosi, dei ragazzi, delle ragazze e dei giovani poveri ed esclusi, con particolare attenzione alla difesa di coloro che sono sfruttati e vittime di qualsiasi abuso e violenza (“abuso di potere, economico, di coscienza, sessuale”) (Linee Programmatiche n. 5).
Abbiamo concretizzato l’appello missionario invitando ogni Ispettoria ad aprire al proprio interno un progetto missionario (rifugiati, immigrati, valichi di frontiera, bambini sfruttati…) durante il sessennio precedente, dando priorità alla significatività e alle reali richieste di aiuto dei giovani di oggi (Linee Programmatiche n. 7).”

Ad ogni Ispettoria verrà chiesto di presentare un’iniziativa concreta per il 2025 (per esempio: le ispettorie ARS e ARN sta preparando un Congresso storico, la Visitatoria ZMB ha iniziato già una nuova presenza in Botswana, ecc.) che verrà socializzata attraverso l’ANS (Agenzia iNfo Salesiana), ecc.

2. A livello del Settore Missioni
Tutto l’anno 2025 sarà un’occasione per socializzare il risultato del lavoro in corso nel Settore Missioni su rifugiati, rom, “Lo sviluppo dalla prospettiva salesiana”, identità dei Musei Salesiani, identità delle Procure Missionarie Ispettoriale, Tavola rotonda di missiologi e teologi sulle missioni salesiane oggi, Volontariato Missionario Salesiano, Bosco Food (per favorire una mentalità interculturale), sussidi per l’Animazione Missionaria, per la GMS (Giornata Missionaria Salesiana) 2025, ecc.

3. A livello di Congregazione
L’invio missionario l’11 novembre 2025 nella Basilica di Maria Ausiliatrice, a Valdocco. È una celebrazione con la quale la Congregazione rinnova, davanti a Maria Ausiliatrice, il suo impegno missionario.

Il Rettor Maggiore invita ogni Ispettoria ad inviare il DIAM per la celebrazione. Trascorreranno alcuni giorni (9-12 novembre 2025) a Valdocco e Genova per “Ringraziare, Ripensare, Rilanciare.”




La consegna della Croce Missionaria Salesiana

Il 24 settembre, il Rettor Maggiore ha presieduto alla consegna della croce missionaria ai membri della 154ª spedizione missionaria della Congregazione Salesiana. Si tratta del 154° gruppo da quando don Bosco presiedette il primo invio missionario a Valdocco l’11 novembre 1875.

L’invio missionario nella Basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco è un gesto con cui la Congregazione Salesiana rinnova, davanti a Maria Ausiliatrice, il suo impegno missionario. Il centro di questa commovente celebrazione è il missionario che riceve la croce missionaria dal successore di don Bosco, il Rettor Maggiore. La croce missionaria salesiana, infatti, viene consegnata dal Rettor Maggiore solo a coloro che offrono il dono radicale e completo di sé che, per sua natura, implica una disponibilità totale senza limiti di tempo (ad vitam).

Ricevere la croce missionaria suscita molte emozioni e comporta sfide spirituali. Queste sono tutte espresse nei disegni della croce stessa che i missionari ricevono. La vita del missionario è centrata nella persona di Cristo e di Cristo crocifisso. Ciò implica che il missionario prima riceve e poi trasmette il grande insegnamento della Croce: l’amore infinito del Padre che dà il meglio di sé, suo Figlio; l’amore fino in fondo che è obbediente e generoso nel donarsi alla volontà del Padre per la salvezza dell’umanità. Per ogni missionario salesiano “La nostra più alta conoscenza […] è conoscere Gesù Cristo, e la nostra più grande gioia è rivelare a tutti gli uomini le insondabili ricchezze del suo mistero” (Costituzioni SDB art. 34).

Il Buon Pastore nella croce missionaria salesiana rivela la cristologia salesiana: la carità pastorale è il nucleo dello spirito salesiano, “l’atteggiamento che conquista i cuori con la dolcezza e il dono di sé” (Costituzioni SDB art. 10-11).

Da Mihi Animas cetera Tolle (dammi le anime, togli il resto): questo è il motto che ha caratterizzato i Figli di Don Bosco fin dall’inizio. In un contesto missionario questa breve preghiera salesiana acquista un significato particolare: lasciare tutto, anche la propria terra, la propria cultura e le cose che danno sicurezza, per dedicarsi senza limiti a coloro a cui si è inviati, per essere per loro strumento di salvezza.

Lo Spirito Santo che scende sul Buon Pastore come nel fiume Giordano scende ora su Cristo presente nel dinamismo pastorale della Chiesa. Senza lo Spirito Santo, e senza la luce, il discernimento, la forza e la santità che discendono dallo Spirito, ogni attività missionaria non sarebbe altro che una serie di attività, a volte vuote, svolte in luoghi lontani.

Infine, il testo scritto sul retro della croce:Euntes ergo docete omnes nationes baptizantes eos in nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti” (Mt 28,19) (Andate, dunque, e fate discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo): rappresenta il cuore del mandato missionario conferito dal Signore risorto. Il testo dà il mandato di insegnare a tutti gli uomini perché diventino seguaci e discepoli di Gesù (il testo greco sottolinea mathêteúsate, “fate discepoli”, che è più di docete, “insegnate”). L’evangelizzazione, la pienezza della grazia passano attraverso le parole e le azioni, con la più grande di tutte le grazie sacramentali che è il battesimo, che immerge la persona nel mistero della comunione con Dio.

Nel 1875 don Bosco inviò 10 salesiani italiani in Argentina. Oggi i missionari provengono dai cinque continenti e sono inviati nei cinque continenti. Ogni salesiano, ogni Ispettoria è corresponsabile dell’attività missionaria dell’intera Congregazione. Grazie ai missionari salesiani, il carisma di don Bosco è oggi presente in 134 Paesi. Le riflessioni di alcuni membri delle 154 spedizioni missionarie rivelano quanto i missionari salesiani abbiano toccato la vita delle persone, generando a loro volta nuove vocazioni missionarie salesiane.

Ch. Jorge DA LUÍSA JOÃO, salesiano di Bengo, Angola, ha 31 anni. “Il seme della mia vocazione missionaria si è sviluppato quando guardavamo video missionari nella comunità salesiana di Benguela, dove sono diventato aspirante esterno. Poi durante il prenoviziato, il noviziato e il postnoviziato si è sviluppato con l’accompagnamento della mia guida spirituale. Ora che il Rettor Maggiore ha accettato la mia domanda di missione e mi manda a Capo Verde, il mio sogno è quello di dare tutta la mia vita nella terra di missione dove sarò inviato e di essere sepolto lì, proprio come i missionari che hanno dato tutto per l’Angola e i cui corpi riposano sul suolo angolano”.

Ch. Soosai ARPUTHARAJ è di Michaelpalayam, Tamilnadu, India. “La mia vocazione missionaria è nata quando ero agli esordi della mia formazione iniziale, ma avevo paura di dire a qualcuno del mio desiderio missionario. Ma durante l’incontro per i giovani salesiani della nostra Ispettoria ci hanno parlato dell’esperienza missionaria. Questo mi ha fatto chiedere: “Perché non posso diventare missionario ad gentes nella congregazione salesiana?”. Sono grato al Vicario del mio Ispettore che mi ha guidato a prendere finalmente questa decisione di offrirmi al Rettor Maggiore per andare ovunque mi manderà. Così, ho accettato di buon grado la proposta del Consigliere Generale per le Missioni di mandarmi in Romania. So che questa è la chiamata di Dio a donare la mia vita ai giovani della Romania”.

Ch. Joshua TARERE, 30 anni, originario di Vunadidir, East New Britain, Papua Nuova Guinea. È il primo missionario salesiano dell’Oceania. “Quando ero bambino conoscevo solo il sacerdote diocesano della mia parrocchia. Come studente secondario non frequentavo una scuola salesiana. Ma grazie ai salesiani di don Bosco Rapolo che venivano nella mia parrocchia per la messa domenicale, sono stato ispirato dal loro lavoro missionario. Venivano nel mio paese per servire i giovani. Questa esperienza di servizio e di disponibilità verso gli altri mi ha aiutato a identificarmi con la loro vocazione missionaria.
Durante il noviziato il mio Maestro dei Novizi, don Philip Lazatin, mi ha incoraggiato a discernere e chiarire il mio interesse missionario. Nel postnoviziato ho continuato il discernimento con il mio Rettore, don Ramon Garcia, e con la mia guida spirituale, per scoprire se il mio desiderio di essere missionario salesiano sia veramente una chiamata di Dio. Dopo un lungo periodo di discernimento, ho finalmente deciso di fare domanda al Rettor Maggiore e di mettermi a disposizione ovunque mi manderà. L’ho fatto liberamente, senza alcuna pressione da parte di nessuno. Mi dicono che sono il primo salesiano dell’Oceania a essere missionario. Ma per me questo non è importante. Ciò che conta è la mia disponibilità a rispondere con generosità alla chiamata personale di Dio.
Come missionario in Sud Sudan, provo un sentimento misto di paura e coraggio. I media presentano tutte le immagini negative della violenza e degli sfollati in Sud Sudan. Ma sono anche ispirato a essere coraggioso perché so perfettamente che il Signore che mi ha mandato per la sua missione si prenderà sicuramente cura di me. Le mie paure non hanno sovrastato il mio grande desiderio di servire, amare ed essere un tutt’uno con la nuova cultura e il nuovo popolo a cui sono stato inviato”.

Ch. Francois MINO NOMENJANAHARY di Antananarivo, la capitale del Madagascar, ha 25 anni. Destinato alla Visitatoria di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone, ci offre oggi la sua testimonianza. “Devo ammettere che non avevo mai sentito parlare della Papua Nuova Guinea, fino a quando padre Alfred Maravilla mi ha proposto di andarci. Ho accettato di buon grado di essere inviato perché ho offerto la mia disponibilità a rispondere alla chiamata di Dio a essere missionario. Ho dovuto anche spiegare ai miei genitori e alla mia famiglia qual è la mia destinazione missionaria. Grazie a Dio, hanno accettato. Certo, come tutti, ho le mie paure. Sono felice di aver incontrato in questo corso i missionari della Papua Nuova Guinea. Sono felice di sapere che il primo sacerdote cattolico della Papua Nuova Guinea, Louis Vangeke, si è formato nel seminario in Madagascar. Questo mi fa sentire anche legato alla mia terra di missione”.

Don Michał CEBULSKI di Katowice, Polonia, ha 29 anni. È stato ordinato pochi mesi fa, a giugno. “Da giovane salesiano ha trascorso un anno di formazione pratica in Irlanda. Fin da bambino, ho sentito storie di missionari che hanno sviluppato in me il desiderio di essere come loro. Sono felice di essere stato inviato in Lituania, il Paese che confina con la Polonia. Anche se il mio Paese confina con la Lituania e abbiamo delle somiglianze per quanto riguarda il cibo e la cultura, la lingua lituana non sarà facile per me. Il mio nuovo Provinciale mi ha detto che dovrò studiare l’italiano per alcuni mesi. Ma quando sarò in Lituania, la mia priorità sarà quella di avvicinarmi alla gente e di capire la loro cultura. Spero che il popolo lituano possa scoprire l’amore di Dio attraverso il mio servizio. Voglio aiutare i giovani a vivere con la vera gioia, che, come ci ha detto don Bosco, nasce da un cuore puro”.

Sig. Kerwin P. VALEROSO, un coadiutore salesiano di 35 anni di Pura, Tarlac, Filippine, sta per partire per la nuova Circoscrizione del Nord Africa (CNA). “Una volta ho visto le foto delle prime tre spedizioni missionarie dei salesiani. Pensando ai luoghi che hanno raggiunto, alle opere che hanno costruito, ai cuori che hanno toccato e alle anime che hanno salvato, ho sentito che questa era la mia vocazione. Sono grato ai miei formatori, mentori e amici che hanno condiviso con me il viaggio per purificare e rafforzare la mia vocazione missionaria.
Sono grato alla mia famiglia, ai confratelli e agli amici che mi hanno fatto sentire il loro sostegno, le loro preghiere e i loro auguri mentre mi accingevo a rispondere alla mia vocazione missionaria. Non nascondo di provare un sentimento misto di gioia e paura nell’andare in Nord Africa, di cui non conosco ancora la lingua, la cultura e la gente. Non conosco nemmeno l’Islam. Tuttavia, il mio compito principale è quello di imparare bene quest’anno la lingua francese. Devo dire che i nostri confratelli di Parigi, in Francia, mi hanno fatto sentire davvero accolto. Sono anche grato alla mia Provincia di origine (FIN) che, nonostante la moltitudine di lavoro nell’apostolato, mi ha generosamente incoraggiato a offrirmi per le opere missionarie della nostra Congregazione”.

Ch. Dominic NGUYEN QUOC OAT, 30 anni, è di Dong Nai, Vietnam. “Mi sono interessato alla missione fin da quando frequentavo la scuola secondaria. Ho persino condiviso con i miei compagni di scuola il mio sogno di diventare missionario. Da giovane salesiano ho fatto discernimento perché credo che Dio mi stia invitando a essere missionario per Lui e per il suo popolo, quindi ho chiesto di impegnarmi in missione per tutta la vita ovunque il Rettor Maggiore mi manderà.
Dio mi ha offerto l’opportunità di essere missionario in Gran Bretagna. Sono felice di accettare la mia destinazione missionaria, anche se ho qualche preoccupazione perché sono un asiatico che viene mandato in Europa. Devo imparare meglio la lingua e la cultura del mio Paese di missione. Ma credo che Dio, che mi ha chiamato a essere un missionario salesiano, continuerà a benedirmi con la sua Grazia per portare a termine la missione che mi ha affidato”.

Don Andre DELIMARTA è uno dei primi due salesiani indonesiani. A 55 anni, è stato Maestro dei Novizi, Rettore e Parroco nella sua Visitatoria (INA). È membro della 153ª spedizione missionaria dello scorso anno destinata alla Malesia, ma riceverà la croce missionaria solo il 24 settembre prossimo. “Sono cresciuto con i salesiani. L’amorevolezza, il duro lavoro, l’impegno e lo spirito di sacrificio di missionari salesiani come don Alfonso Nacher, don Jose Carbonell, il diacono Baltasar Pires e don Jose Kusy hanno avuto un grande impatto su di me. Sono stati loro a insegnarmi don Bosco, a farmi conoscere la Congregazione e a farmi innamorare del loro zelo missionario.
Quando ero in formazione iniziale volevo essere missionario, ma i miei formatori me lo hanno proibito perché dicevano che don Bosco deve radicarsi in Indonesia. In effetti, come primo salesiano indonesiano avevo insistito perché il carisma di don Bosco si radicasse in Indonesia come nostra priorità. Ma quando l’insistente appello per i missionari è stato trasmesso alla nostra Visitatoria, la mia vocazione missionaria si è riaccesa. Il mio amore per don Bosco e per la Congregazione mi ha fatto decidere di offrirmi come missionario. Se la Congregazione ha bisogno di missionari, allora voglio dire: “Eccomi! Andrò!”.

Ecco tutti i 24 membri della 154° Spedizione Missionaria Salesiana:

– Shivraj BHURIYA, dall’India (Ispettoria di Mumbai – INB) alla Slovenia (SLO);
– Thomas NGUYEN QUANG QUI, dal Vietnam (VIE) alla Gran Bretagna (GBR);
– Dominic NGUYEN QUOC OAT, dal Vietnam (VIE) alla Gran Bretagna (GBR);
– Jean Bernard Junior Gerald GUIELLE FOUETRO, dalla Repubblica del Congo (Ispettoria Africa Congo Congo – ACC) alla Germania (GER);
– Blaise MULUMBA NTAMBWE, dalla Repubblica Democratica del Congo (Ispettoria Africa Centrale – AFC) alla Germania (GER);
– don Michael CEBULSKI, dalla Polonia (Ispettoria di Cracovia – PLS) alla Lituania (Circoscrizione Speciale Piemonte e Valle d’Aosta – ICP)
– il sig. Kerwin VALEROSO, dalle Filippine (Ispettoria delle Filippine Nord – FIN) alla Circoscrizione Nord Africa (CNA);
– il sig. Joseph NGO DUC THUAN, dal Vietnam (VIE) alla Circoscrizione Nord Africa (CNA);
– don Domenico PATERNÒ, dall’Italia (Ispettoria Sicula – ISI) alla Circoscrizione Nord Africa (CNA);
– David BROON, dall’India (Ispettoria di Tiruchy – INT) all’Albania (Ispettoria dell’Italia Meridionale – IME);
– Elisée TUUNGANE NZIBI, dalla Repubblica Democratica del Congo (Ispettoria Africa Centrale – AFC) all’Albania (Ispettoria dell’Italia Meridionale – IME);
– don George KUJUR, dall’India (Ispettoria di Dimapur – IND) al Nepal (Ispettoria di India-Calcutta – INC);
– Soosai ARPUTHARAJ, dall’India (Ispettoria di Chennai – INM) alla Romania (Ispettoria dell’Italia Nord Est – INE);
– John the Baptist NGUYEN VIET DUC, dal Vietnam (VIE) alla Romania (Ispettoria dell’Italia Nord Est – INE);
– il sig. Mario Alberto JIMÉNEZ FLORES, dal Messico (Ispettoria di Guadalajara – MEG) alla Delegazione del Sudan del Sud (DSS);
– Sarathkumar RAJA, dall’India (Ispettoria di Chennai – INM) allo Sri Lanka (LKC);
– Lyonnel Richie Éric BOUANGA (dalla Repubblica del Congo (Ispettoria Africa Congo Congo – ACC) alla Visitatoria di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone (PGS);
– Joshua TARERÉ, dalla Papua Nuova Guinea (PGS) alla Delegazione del Sudan del Sud (DSS);
– Nomenjanahary François MINO, dal Madagascar (MDG) alla Visitatoria di Papua Nuova Guinea e Isole Salomone (PGS);
– Jean KASONGO MWAPE, dalla Repubblica Democratica del Congo (Ispettoria Africa Centrale – AFC) al Brasile (Ispettoria di Brasile-Porto Alegre – BPA);
– Khyliait WANTEILANG, dall’India (Ispettoria di Shillong – INS), al Brasile (Ispettoria di Brasile-Porto Alegre – BPA);
– don Joseph PHAM VAN THONG, dal Vietnam (VIE) al Sudafrica (Visitatoria dell’Africa Meridionale – AFM);
– don Miguel Rafael Coelho GIME, dall’Angola (ANG) al Mozambico (MOZ);
– Klimer Xavier SANCHEZ, dall’Ecuador (ECU) al Mozambico (MOZ).




Verso una visione missionaria rinnovata

Le missioni salesiane all’estero, una delle caratteristiche della Congregazione fondata di san Giovanni Bosco, iniziate durante la sua vita, continuano, anche se i concetti di missione e missionari sono cambiati per la necessità dei tempi.

Oggi ci troviamo in un contesto diverso rispetto a quello dei progetti missionari che hanno diffuso la Congregazione in America (1875), in Asia (1906) e in Africa (1980). Nuove prospettive ed interrogativi hanno portato nuove riflessioni missiologiche. Urge una visione rinnovata delle missioni salesiane.

In molti Paesi, inclusi i paesi di antica tradizione cristiana, ci sono dei centri urbani, o quartieri, dove vivono persone che non conoscono Gesù, altre che, dopo averlo conosciuto, lo hanno abbandonato, o altri ancora che vivono la loro fede come una tradizione culturale. Dunque, oggi “le missioni” non possono essere comprese solo in termini geografici, di movimento verso “le terre di missione” come una volta, ma anche in termini sociologici, culturali e, perfino, di presenza nel continente digitale. Oggi “le missioni” si trovano dovunque ci sia bisogno di annunciare il Vangelo. Ed i missionari provengono dai cinque continenti e sono inviati ai cinque continenti.

I missionari salesiani collaborano con la Chiesa nel compiere la sua missione per evangelizzare (Mt 28,19-20). Annunciare il Vangelo, specialmente ai giovani, è il compito missionario primario di ogni salesiano. Le iniziative dei salesiani per la promozione umana, motivate da una fede profonda, sono un Primo Annuncio di Gesù Cristo. Come educatori-pastori ogni salesiano apprezza i “raggi di Verità” nelle culture e nelle altre religioni. Nei contesti in cui non si può nemmeno menzionare il nome di Gesù, lo annunciamo con la testimonianza di vita salesiana personale e comunitaria. È l’intenzionalità nel promuovere il Primo Annuncio che può aiutarci nel superare il pericolo di essere considerati come dei fornitori di servizi sociali o dei lavoratori sociali anziché testimoni del primato di Dio ed annunciatori del Vangelo.

I giovani Salesiani missionari oggi portano un nuovo paradigma di missioni e un rinnovato modello di missionari: il missionario salesiano non è solo colui che dà, che porta progetti e magari raccoglie soldi, ma soprattutto colui che vive con il suo popolo, che dà grande importanza alla relazione interpersonale; non solo insegna, ma soprattutto impara dal popolo che serve, che non è solo destinatario passivo dei suoi sforzi. Di fatto, non è il fare che conta, ma l’essere, che diventa un’autorevole proclamazione di Gesù Cristo.

Esistono ancora missionari salesiani che offrono la loro vita per la testimonianza di Gesù? Sì, e non provengono più dell’Europa come una volta, ma vengono da tutto il mondo e vanno in tutto il mondo. Presentiamo alcuni giovani missionari che hanno risposto alla chiamata divina.

Parliamo del 28enne malgascio François Tonga che è andato missionario in Albania a testimoniare la sua identità cristiana e religiosa salesiana. Il suo compito di tirocinante nella casa salesiana della capitale, Tirana, è di coordinare le lezioni scolastiche di più di 800 ragazzi. È una sfida non da poco imparare la lingua e capire la cultura albanese, per dare testimonianza in un contesto maggioritario musulmano, anche se – grazie a Dio – non si vive in una situazione di scontro tra le religioni, ma di rispetto reciproco. È una testimonianza fatta di presenza e assistenza tra i ragazzi poveri ed emarginati, e di preghiera per i giovani che si incontrano ogni giorno. E la risposta non si fa attendere: giovani, genitori e collaboratori danno il loro aiuto e offrono una buona accoglienza.

E il caso anche di un altro 28enne, Joël Komlan Attisso, togolese di origine che ha accettato di essere inviato da tirocinante in missione nella Scuola Secondaria Tecnica Don Bosco di Kokopo, nella Provincia della Nuova Britannia Orientale di Papua Nuova Guinea. La missione, con la grazia di Dio, di essere chiamati e inviati a servire tutti – e specialmente i giovani – porta già i suoi frutti: l’accoglienza, l’apertura, l’aiuto e l’amore si scambia, anche se si appartiene a realtà culturali diverse. Questo fa ricordare il sogno di don Bosco sull’Oceania, quando vide una  moltitudine di giovani che dicevano: “«Venite in nostro aiuto! Perché non compite l’opera che i vostri padri hanno incominciata?» […] Mi pare che tutto questo insieme indicasse che la divina Provvidenza offriva una porzione del campo evangelico ai Salesiani, ma in tempo futuro. Le loro fatiche otterranno frutto, perché la mano del Signore sarà costantemente con loro, se non demeriteranno de’ suoi favori.

Parliamo anche del vietnamita 30enne Joseph Thuan Thien Truc Tran, coadiutore salesiano, laureato in informatica e inviato a Juba nel Sud Sudan, dove gli impegni non mancano: tre scuole elementari, una scuola secondaria, una scuola tecnica, una parrocchia, un campo per gli sfollati e un pre-noviziato, in totale, un complesso di circa 5000 studenti. Attirato della testimonianza di un salesiano che ha lavorato come medico nel Sudan, don John Lee Tae Seok ha deciso di dire il suo “sì” di totale disponibilità a essere inviato nella missione indicata dai suoi superiori, affidandosi esclusivamente alla fede e alla grazia di Dio, tanto necessaria in uno dei paesi considerato tra i più pericolosi al mondo.

Un altro giovane salesiano tirocinante che ha dato la sua disponibilità per le missioni è Rolphe Paterne Mouanga, della Repubblica del Congo (Congo-Brazzaville o ex Congo francese). Inviato nella casa salesiana “Don Bosco Central”di Santa Cruz in Bolivia, in un’opera che comprende oratorio, scuola primaria, scuola secondaria e parrocchia, è uno dei due primi missionari dell’Africa in questo paese, assieme al suo compatriota David Eyenga. Le sue origini africane lo aiutano a familiarizzare con i giovani che sono incuriositi e interessati a conoscerlo e questo rapporto si rafforza attraverso lo sport, verso cui è tanto portato. La diversità culturale della Bolivia è una vera sfida, perché non si tratta solo di integrarsi nella cultura locale ma anche di essere flessibile nell’adattarsi a ogni situazione. Però l’apertura, l’accoglienza, la collaborazione e la condivisione dei giovani e dei collaboratori lo aiutano in questo impegno. Vuole mostrarsi aperto e disponibile a integrarsi con quello che lui ormai considera “il suo popolo”.

L’altro compaesano di Rolphe, David Eyenga, è stato inviato anche lui in Bolivia, ma nella casa salesiana di Kami, Cochabamba: una presenza salesiana complessa che comprende una scuola tecnica agraria, la parrocchia, un’opera di assistenza e promozione sociale, un internato e anche una radio. Anche in questa zona si sentono fortemente le differenze culturali, nel modo di relazionarsi con gli altri, soprattutto in termini di ospitalità, pasti, danze e altre tradizioni locali. Questo richiede molta pazienza per riuscire a rapportarsi con la mentalità locale. Si spera e si prega che la presenza dei missionari sia uno stimolo anche per le vocazioni locali.

Emmanuel Jeremia Mganda, un 30enne di Zanzibar, Tanzania è un altro giovane che ha accolto l’invito di Dio alla missione. È stato inviato in Amazzonia, Brasile, tra gli yanomami, una tribù indigena che vive in comunità a Maturacá. I suoi compiti educativi nell’oratorio e l’attività religiosa lo hanno arricchito pastoralmente e spiritualmente. L’accoglienza che ha ricevuto, mostratasi anche nel nome dato, di “YanomamiInshiInshi” (Yanomami nero), lo ha fatto sentire come uno di loro, lo ha aiutato molto a integrarsi, a capire e a condividere l’amore per il Creato e la protezione di questo bene di Dio.

C’è speranza che le missioni iniziate da don Bosco, quasi 150 anni fa, continuino? Che il sogno di don Bosco – o meglio dire – che i sogni di don Bosco arrivino a compimento? C’è una sola risposta: la volontà divina non può venire meno, basta che i salesiani rinuncino alle loro comodità e agiatezze e si dispongano ad ascoltare la chiamata divina.




Connettersi alla mentalità dei Millennials e della “Generazione Z”

La comunicazione coinvolge diverse componenti che dobbiamo seriamente prendere in considerazione: prima di tutto, il mittente che codifica il messaggio scegliendo il mezzo attraverso il quale questo viene trasmesso dal mittente al ricevitore. Il ricevitore, a sua volta, analizza il messaggio nel suo contesto e lo interpreta secondo l’intenzione del mittente o in una maniera diversa. Infine, il feedback indica la qualità del messaggio ricevuto. Qualsiasi tentativo di comunicare Cristo oggigiorno, parte dalla comprensione della mentalità della generazione dei giovani di oggi. Il presente articolo tratterà proprio questo tema.

Una generazione è un gruppo che potrebbe essere identificato dall’anno di nascita e da eventi significativi che ne abbiano modellato la personalità, i valori, le aspettative, le qualità comportamentali e le capacità motivazionali. I sociologi chiamano la generazione dei nati tra il 1943 e il 1960 “Baby Boomer”. La GenerazioneX comprende i nati tra il 1961 e il 1979. I Millennials (chiamati anche Generazione Y) include i nati tra il 1980 e il 2000. Della Generazione Z fanno parte i nati dopo il 2000.

I mittenti sono i pastori-educatori salesiani e gli animatori giovanili. I ricevitori sono i giovani ed i giovani adulti di oggi che sono costituiti principalmente dai Millennials e dalla Generazione Z. Perciò, questa presentazione si focalizzerà sul cercare di capire la loro mentalità per scoprire i modi di comunicare a loro il nostro messaggio, Gesù Cristo. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alla realtà del “divario digitale”, che riflette l’enorme e crescente disuguaglianza sociale tra coloro che hanno facile accesso a Internet e coloro che non ce l’hanno, specialmente molti giovani. Quindi, i fattori socio-economici del divario digitale sono varianti importanti da considerare; tuttavia qui vengono evidenziate le caratteristiche che si ritrovano comunemente in tutti i contesti. Una risposta importante a questo articolo è il confronto tra ciò che viene descritto qui e il contesto specifico del lettore.

I MILLENNIALS
Oggi i Millennials hanno tra i 20 e i 41 anni circa. Hanno imparato ad usare la tecnologia e ne sono diventati dipendenti in un’età più precoce rispetto alle generazioni precedenti. I più giovani Millennials non potrebbero nemmeno immaginare la vita senza smartphone e internet. Appartengono a una generazione che è estremamente connessa attraverso i social media. Vivono in un’epoca in cui un post può raggiungere innumerevoli persone e attraversare barriere linguistiche, culturali e geografiche. Questo ha creato in loro il desiderio di poter accedere a tutte le informazioni che vogliono e che forniscano loro risposte e feedback istantanei.

I Millennials vogliono essere coinvolti avendo l’opportunità di condividere i loro pensieri poiché amano socializzare le idee e scegliere la migliore fra queste. Vogliono essere parte della conversazione ascoltando e parlando. Quando le loro opinioni vengono ascoltate, si sentono apprezzati e saranno pronti ad impegnarsi in qualcosa di cui si sentono parte. I Millennials vogliono che la loro fede sia olisticamente integrata nella loro vita, compreso l’ambito della tecnologia. Sono la generazione delle app. Le app sono diventate per loro uno strumento per comunicare, elaborare informazioni, acquistare beni o anche leggere le Scritture e pregare. Sono esperti di tecnologia e usano le app fino a due ore al giorno. Desiderano essere visibili. Sono ottimisti e vogliono condividere, preferendo comunicare attraverso messaggi di testo. Sono concentrati sull’“adesso” ma tendono ad essere idealisti.

LA GENERAZIONE Z
Oggi i ragazzi della Generazione Z sono quelli che hanno 21 anni o meno. Sono i primi ad avere internet a portata di mano. Sono nativi digitali perché sono stati esposti a internet, ai social network e ai cellulari fin dalla più tenera età. Usano internet per socializzare senza distinguere gli amici che incontrano online da quelli del mondo fisico. Per loro, il mondo virtuale è tanto reale quanto il mondo in presenza. Sono sempre connessi: per loro non esiste più l’offline. Sono attivi creatori e grandi consumatori di contenuti online. Preferiscono i siti internet per comunicare e interagire con le persone, specialmente usando le immagini; prediligono partecipare e rimanere connessi tramite la tecnologia a portata di mano. Sono creativi, realistici e concentrati sul futuro.

Hanno una profonda consapevolezza su questioni ed eventi importanti e hanno un grande desiderio di cercare la verità, ma vogliono scegliere e scoprire la verità da soli. Infatti, la ricerca della verità è al centro del loro comportamento tipico e dei loro modelli di consumo.
Quelli della Generazione Z usano i social network come Facebook, WhatsApp, Twitter, Instagram, Tiktok, Tumblr per ottenere informazioni sulle questioni sociali, sulla salute e l’alimentazione, sulla spiritualità ecc. Ma sono anche grandi utilizzatori di piattaforme sociali anonime come Snapchat, Secret, Whisper, dove qualsiasi immagine compromettente scompare quasi istantaneamente. Con una grande quantità di informazioni a loro disposizione, sono più pragmatici e meno idealisti dei Millennials. Il loro continuo ricorrere all’online potrebbe condurli al rischio di condividere eccessivamente le informazioni personali nel mondo virtuale e a diventare dipendenti da internet. Il loro carattere viene plasmato da ciò che pubblicano su se stessi online e da ciò che gli altri pubblicano e commentano sul loro conto. Tra di essi, una grande maggioranza in tutti i continenti si dichiara religiosa ma non si identifica necessariamente in una religione: credono senza appartenere, altri appartengono senza credere. Coloro che dichiarano di non appartenere a nessuna religione specifica provengono normalmente da famiglie senza fede religiosa o da cristiani tiepidi. Sono molto meno religiosi rispetto ai Millennials.

I SOCIAL MEDIA
È vero che i social media potrebbero in qualche modo ostacolare le relazioni interpersonali autentiche. Potrebbero anche essere usati come piattaforma per la distribuzione e l’accesso a materiali che potrebbero causare danni morali, sociali e spirituali. In verità, qualsiasi mezzo ha il potenziale per essere usato per il male. È vero che i social media sono stati usati, per esempio, per globalizzare populismi e per scatenare rivoluzioni come la primavera araba e le proteste dei gilet gialli in Francia.

Eppure, i social media hanno anche permesso alle persone di rimanere connesse a livello globale, hanno dato a ciascuno di noi la capacità di aggiornarsi a vicenda su ciò che sta accadendo nelle nostre vite, di condividere idee potenti e di invitare le persone a conoscere Gesù Cristo. I social media sono diventati il nostro cortile virtuale. Perciò, è importante che passiamo dalla demonizzazione del mezzo, all’educazione dei giovani al suo uso corretto e allo sviluppo delle sue potenzialità per evangelizzare.

COMUNICARE CRISTO
La testimonianza credibile è una condizione importante per comunicare Cristo. Nel mondo virtuale, la testimonianza implica visibilità (manifestiamo in maniera visibile la nostra identità cattolica), verità (ci assicuriamo di essere portatori della verità e non di notizie false) e credibilità (le immagini che presentiamo rafforzano il messaggio che vogliamo comunicare). La fede deve essere presentata ai Millennials e alla Generazione Z in modi nuovi e coinvolgenti. Questo, a sua volta, offrirà loro la possibilità di condividere la fede con i propri coetanei. Dovremmo resistere alla tentazione di bombardare i social media con messaggi e immagini religiose. Questo, in realtà, allontanerà un gran numero di giovani.
Il Primo annuncio non riguarda le dottrine cristiane da insegnare. L’aggettivo “primo” non va inteso in senso strettamente lineare o cronologico come il primo momento dell’annuncio, perché in realtà ne impoverisce la ricchezza.  È piuttosto “primo” nel senso in cui il termine arché era inteso dagli antichi filosofi greci come il principio o l’elemento fondamentale da cui tutto ha origine, o quello da cui tutte le cose sono formate. È il fondamento di una nuova evangelizzazione e di tutto il processo di evangelizzazione.
Il primo annuncio cerca di promuovere un’esperienza travolgente ed entusiasmante capace di suscitare il desiderio di cercare la verità e l’interesse per la persona di Gesù. Questa, eventualmente, porta ad una prima adesione a Lui, o alla rivitalizzazione della fede in Lui. Il primo annuncio è quella scintilla che porta alla conversione. Questa scelta per Cristo è il feedback del messaggio. Ad esso segue poi il processo di evangelizzazione attraverso il catecumenato e la catechesi sistematica. Senza il primo annuncio che porta ad un’opzione personale per Cristo, qualsiasi sforzo di evangelizzazione sarà sterile. Invece, la sfida per ogni pastore-educatore salesiano, per ogni animatore giovanile, per ogni discepolo missionario è quella di aiutare gli stessi Millennials e la Generazione Z a creare sui social media contenuti basati sulla fede che possano suscitare nei loro coetanei un interesse a conoscere la persona di Gesù Cristo. Non si tratta di creare contenuti per i social media. Questa è una tentazione a cui bisogna resistere con forza. Il nostro compito è quello di formare e accompagnare gli stessi Millennials e la Generazione Z in modo che possano creare per se stessi e per i loro coetanei dei contenuti basati sulla fede, condivisi sui social media, che possano risvegliare l’interesse a conoscere la persona di Gesù Cristo. Davvero, oggi i social media sono una piattaforma privilegiata per comunicare Cristo ai giovani. Sta a ciascuno di noi usarli con creatività missionaria!

GLI AMBIENTI VIRTUALI GIOVANILI DI OGGI
Nuove intuizioni da una prospettiva missionaria
Sondaggio effettuato da Juan Carlos Montenegro e don Alejandro Rodriguez sdb, Ispettoria San Francisco (SUO), Stati Uniti d’America.

Il comando di Gesù “Andate e fate discepoli” (Mt 28,19) continua a risuonare per noi oggi. Il nostro amore per Cristo ci sfida ad andare oltre i nostri confini e raggiungere ogni persona, in particolare i giovani della società attuale. Per fare questo abbiamo bisogno di osservare la realtà dal loro punto di vista, capire in che modo essi elaborano le informazioni e come queste informazioni influenzino il loro comportamento. Tuttavia, la nostra missione principale come educatori-evangelizzatori salesiani è di avvicinarli a Cristo e avvicinare Cristo a loro.

Le differenze generazionali potrebbero essere una sfida che non aiuta a metterci in cammino per essere “pienamente” presenti in questo nuovo cortile dove i giovani hanno costruito il proprio linguaggio, hanno sviluppato le proprie regole e hanno creato nuove espressioni e diversi tipi di relazioni significative. Questo nuovo cortile è un mondo virtuale dove i giovani di oggi vivono, interagiscono, sognano, si impegnano e soffrono. L’amore e il sigillo missionario di don Bosco ci spingono ad abbracciare questa nuova realtà con speranza, fede e carità pastorale.

Se non conosciamo la nuova realtà che i giovani stanno affrontando nel mondo virtuale, la nostra proposta e il nostro accompagnamento come educatori-evangelizzatori saranno insignificanti e irrilevanti. Il Quadro di Riferimento della Pastorale Giovanile Salesiana (2015) ci chiama ad essere presenti nel “nuovo cortile”. Ora più che mai, dobbiamo innovare e adattare il nostro stile salesiano di presenza tra i giovani.

Per capire che cosa sta succedendo in questo nuovo cortile virtuale, il Settore Missioni ha condotto un sondaggio online a livello congregazionale cercando di capire i nostri giovani, che cosa pensano, che cosa fanno, che cosa si aspettano riguardo ai contenuti, alle possibilità e all’uso dei social media. Il sondaggio online in 6 lingue ha coinvolto 1731 giovani delle nostre comunità educativo-pastorali salesiane che hanno tra i 13 e i 18 anni provenienti da 37 paesi e 6 diversi continenti. Questo è importante da tenere presente perché le risposte dei giovani che non provengono dall’ambiente salesiano possono essere diverse.

Punti rilevanti:
            • È noto che l’aumento dell’utilizzo di internet è associato nei giovani ad una diminuzione nella comunicazione con i membri della famiglia, ad un calo della partecipazione alla vita sociale e ad un aumento della depressione e della solitudine. Questi sono temi importanti da tenere a mente per quanto riguarda l’accompagnamento nella nostra pianificazione pastorale.
            • Il 91% dei nostri giovani usa i telefoni cellulari per accedere ai social media. Questi dispositivi sono associati a problemi comportamentali e anche a possibili problemi di salute. Il 75% degli intervistati è connesso a Internet per oltre 6 ore a settimana, ma può superare le 20 ore in alcuni casi. L’essere connessi ha molte implicazioni, come lo spostamento dello sviluppo delle abilità sociali, delle relazioni, della conoscenza ecc.

            • I giovani intervistati ritengono che le più grandi minacce derivanti dall’uso dei social media siano il bullismo online, la pedofilia, le fake news, i molestatori e gli hacker. Mentre il 26% dei nostri giovani afferma di essere stato vittima di bullismo.
            • Per mancanza di supervisione e/o formazione e accompagnamento i giovani sono esposti a contenuti per adulti; la presenza educativa più urgente degli adulti inizia con i ragazzi all’età di 11-13 anni perché è il momento in cui, secondo l’indagine, sono più vulnerabili ai contenuti di questo tipo sulle pagine web.
            • Per quanto riguarda la nostra presenza con contenuti religiosi, il 73% dei giovani che hanno partecipato a questo sondaggio hanno avuto qualche tipo di contatto con contenuti religiosi. Il 48% crede che internet aiuti a sviluppare la loro relazione con Dio.
            • I nostri giovani visitano siti web che sono legati a video e musica, giochi, tutorial ecc. L’88% degli intervistati preferisce i video come tipo di contenuto.
            • I giovani preferiscono WhatsApp (64%), Instragram (61%), Youtube (41%), TikTok o Facebook (37%) e Messenger (33%). Questa informazione ci aiuta a migliorare le nostre modalità di comunicazione con loro perché gli adulti potrebbero sforzarsi di più per essere presenti in piattaforme dove i giovani non ci sono. Forse i migliori canali di comunicazione potrebbero essere Facebook per i genitori e Instagram per i nostri giovani.

Questa indagine è un potente richiamo che sfida noi educatori ed evangelizzatori dei giovani ad essere presenti tra i nostri giovani in modo rilevante e significativo nei social media.




Sinodalità missionaria

La Sinodalità Missionaria: Una Prospettiva Salesiana

Sinodalità nel Nuovo Testamento

Negli ultimi anni, il sostantivo “sinodalità” è diventato di uso comune. Purtroppo, alcuni hanno una propria comprensione ideologica o errata del concetto. Non sorprende quindi che molte persone, anche religiosi e sacerdoti, si chiedano apertamente: “Che cos’è questa cosa? Che cosa significa?”. Sinodalità è in realtà una parola nuova per una realtà antica. Gesù, il pellegrino che annunciava la Buona Novella del Regno di Dio (Lc 4,14-15), ha condiviso con tutti la verità e l’amore della comunione con Dio e con le sorelle e i fratelli. L’immagine dei discepoli di Emmaus in Luca 24,18-35 è un altro esempio di sinodalità: hanno iniziato ricordando gli eventi vissuti; poi hanno riconosciuto la presenza di Dio in quegli eventi; infine, hanno agito tornando a Gerusalemme per annunciare la risurrezione di Cristo. Questo significa che noi, discepoli di Gesù, dobbiamo camminare insieme nella storia come popolo di Dio della nuova alleanza. Infatti, negli Atti degli Apostoli, il Popolo di Dio avanza insieme, sotto la guida dello Spirito Santo, durante il Concilio di Gerusalemme (Atti 15; Gal 2,1-10).

Sinodalità nella Chiesa primitiva

Nella Chiesa primitiva, Sant’Ignazio di Antiochia (50-117) ricordava alla comunità cristiana di Efeso che tutti i suoi membri sono “compagni di viaggio”, in virtù del loro battesimo e della loro amicizia con Cristo. Mentre San Cipriano di Cartagine (200-258) insisteva sul fatto che nella Chiesa locale non si dovesse fare nulla senza il vescovo. Allo stesso modo, per San Giovanni Crisostomo (347-407) “Chiesa” è un termine per “camminare insieme” attraverso la relazione reciproca e ordinata dei membri che li porta ad avere una mente comune.

Nella Chiesa primitiva, la parola greca composta da due parti: syn (che significa “con”) e ódós (che significa “cammino”) era usata per descrivere il cammino del popolo di Dio sullo stesso sentiero per rispondere a questioni disciplinari, liturgiche e dottrinali. Così, i sinodi si sono tenuti periodicamente nelle Chiese locali e nelle diocesi a partire dalla metà del II secolo, cioè dal 150 circa. Allo stesso modo, dal 325 a Nicea, la riunione di tutti i vescovi della Chiesa, chiamata “Concilio” in latino, iniziò a prendere decisioni come espressione della comunione con tutte le Chiese.

Sinodalità nel Vaticano II

Il Concilio Vaticano II non ha affrontato in modo specifico il tema della sinodalità né ha utilizzato questo termine o concetto nei suoi documenti. Ha invece utilizzato il termine “collegialità” per il metodo di costruzione dei processi conciliari. Tuttavia, la sinodalità è al centro del lavoro di rinnovamento che il Concilio stava incoraggiando. Mentre la collegialità riguarda il processo decisionale dei vescovi a livello della Chiesa universale, la sinodalità è il frutto degli sforzi attivi per vivere le prospettive del Concilio Vaticano II a livello locale. Questa comprensione è stata incarnata nella visione della natura della Chiesa come “comunione” che ha ricevuto la “missione” di proclamare e stabilire tra tutti i popoli il regno di Dio (Lumen gentium, 5). Essa immagina la Chiesa che cammina insieme e condivide “le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce” di tutti coloro con cui camminiamo (Gaudium et spes, 1).

Papa Francesco e la Sinodalità

Dal 2013, Papa Francesco ci insegna la sinodalità in tutto ciò che fa e dice. La sinodalità non è una semplice discussione, né è come le deliberazioni dei parlamenti alla ricerca del consenso che si concludono con il voto della maggioranza. Non è discutere, argomentare o ascoltare per rispondere. Non è un processo di democratizzazione o di messa ai voti di una dottrina. Non è un piano o un programma da attuare. Non si tratta nemmeno di ciò che vogliono i vescovi o altre parti interessate, né di comando e controllo. La sinodalità riguarda invece chi siamo e chi aspiriamo a essere come comunità cristiana, come corpo di Cristo. È lo stile di vita che qualifica la vita e la missione dell’intera Chiesa. Sinodalità è ascolto attento per capire a livello personale e più profondo. È una Chiesa di partecipazione e di corresponsabilità, a partire dal Papa, dai vescovi e coinvolgendo tutto il popolo di Dio, affinché tutti possiamo scoprire la volontà di Dio nell’affrontare una serie di sfide particolari.

La presenza dello Spirito Santo, attraverso il sacramento del Battesimo ricevuto, permette alla totalità del popolo di Dio di avere un istinto di fede (sensus fidei) che lo aiuta a discernere ciò che è veramente di Dio e a sentire, intuire e percepire in armonia con la Chiesa. La sinodalità comporta l’esercizio del sensus fidei di tutto il popolo di Dio, il ministero di guida del collegio episcopale con il clero e il ministero di unità del Vescovo di Roma.

Sinodalità e Discernimento

La sinodalità è caratterizzata soprattutto da un costante discernimento della presenza dello Spirito Santo. Si tratta di una realtà dinamica e in divenire, perché non possiamo prevedere dove lo Spirito Santo può condurci. La sinodalità non è un percorso tracciato in anticipo. È invece un incontro che forma e trasforma. È un processo che ci sfida a riconoscere la funzione profetica del popolo di Dio e ci richiede di essere aperti all’inaspettato di Dio. Attraverso l’ascolto reciproco e il dialogo, Dio viene a toccarci, a scuoterci, a cambiarci interiormente. In ultima analisi, la sinodalità è l’espressione del coinvolgimento collettivo e del senso di corresponsabilità per la Chiesa della totalità del popolo di Dio.

Questo implica un atteggiamento di ascolto attento, con umiltà, rispetto, apertura, pazienza verso le nostre esperienze e disponibilità ad ascoltare anche idee discordanti, persone che hanno abbandonato la pratica della fede, persone di altre tradizioni di fede o addirittura di nessun credo religioso per poter discernere i suggerimenti dello Spirito Santo, che è il protagonista principale, e di conseguenza promuovere l’azione di Dio nelle persone e nella società agendo con saggezza e creatività.

La Chiesa è missionaria

La Chiesa esiste per diffondere la buona novella di Gesù. Pertanto, la sua attività missionaria consiste soprattutto nell’annunciare il nome, l’insegnamento, la vita, le promesse, il regno e il mistero di Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 14, 22). Poiché tutti i membri della Chiesa, in virtù del battesimo ricevuto, sono agenti di evangelizzazione, di conseguenza una Chiesa sinodale è un presupposto indispensabile per una nuova energia missionaria che coinvolga l’intero popolo di Dio. L’evangelizzazione senza sinodalità manca di attenzione alle strutture della Chiesa. Al contrario, la sinodalità senza evangelizzazione significa che siamo solo un altro club sociale, commerciale o filantropico.

Sinodalità Missionaria

La sinodalità missionaria è un approccio sistemico alla realtà pastorale. Inviato ad annunciare il Vangelo, ogni battezzato, come discepolo-missionario, deve imparare ad ascoltare con attenzione e rispetto, come compagni di viaggio, la gente del luogo, i seguaci di altre religioni, le grida dei poveri e degli emarginati, coloro che non hanno voce nello spazio pubblico, per essere più vicini a Gesù e al suo Vangelo e diventare una Chiesa in uscita, non chiusa in se stessa.

Se la nostra testimonianza pubblica non è sempre evangelizzatrice in senso lato, siamo solo un’altra ONG, in un mondo di crescente disuguaglianza e isolamento. Oggi c’è una crescente consapevolezza che tutto ciò che facciamo come cattolici è un punto di contatto con l’evangelizzazione. Evangelizziamo attraverso il modo in cui accogliamo le persone, il modo in cui trattiamo i nostri amici e familiari, il modo in cui spendiamo i nostri soldi come individui, comunità e gruppi, il modo in cui ci prendiamo cura dei poveri e raggiungiamo gli emarginati, il modo in cui usiamo i social media, il modo in cui ascoltiamo con attenzione i desideri dei giovani e il modo in cui siamo in disaccordo e dialoghiamo tra di noi.

Il Processo sinodale

Per ascoltare con attenzione il senso della fede del popolo di Dio (sensus fidelium), che la Chiesa insegna come autentico garante della fede che esprime, Papa Francesco ha istituito il “processo sinodale”. Camminando insieme, discutendo e riflettendo come popolo di Dio, la Chiesa crescerà nella sua autocomprensione, imparerà a vivere la comunione, favorirà la partecipazione e si aprirà alla missione di evangelizzazione.

Il processo sinodale, infatti, ha lo scopo di ispirare speranza, stimolare la fiducia, ricucire le ferite per tessere relazioni nuove e più profonde, imparare gli uni dagli altri e illuminare le menti per sognare con entusiasmo la Chiesa e la nostra missione comune. È un kairos o momento maturo nella vita della Chiesa per la conversione in preparazione all’evangelizzazione ed è un momento di evangelizzazione.

Sinodalità e il carisma salesiano

Dai tesori pedagogici e spirituali del carisma salesiano possiamo ricavare espressioni di sinodalità missionaria.

Il nostro Patrono, San Francesco di Sales, ha fatto della vera amicizia il contesto necessario in cui si svolge il cammino insieme attraverso l’accompagnamento spirituale. Egli riteneva che non ci potesse essere un vero accompagnamento spirituale senza una vera amicizia. Tale amicizia implica sempre una comunicazione reciproca e un arricchimento reciproco, che permette alla relazione di diventare veramente spirituale.

Nell’Oratorio di Valdocco, Don Bosco ha preparato i suoi ragazzi alla vita e li ha resi consapevoli dell’amore di Dio per loro, li ha aiutati ad amare la loro fede cattolica e a praticarla nella vita quotidiana. Si preoccupava di mantenere un rapporto individuale per offrire loro, secondo le necessità di ciascuno, un accompagnamento personale e di gruppo. Così scriveva nella sua lettera da Roma del 1884: “la familiarità porta all’amore e l’amore porta alla fiducia. È questo che apre il cuore e i giovani rivelano tutto senza paura”. Mantenendo un bell’equilibrio tra un ambiente sano e maturo e la responsabilità individuale, l’Oratorio divenne una casa, una parrocchia, una scuola e un campo da gioco.

Don Bosco formò attorno a sé una comunità in cui i giovani stessi erano protagonisti. Favorì la partecipazione e la condivisione di responsabilità da parte di ecclesiastici, salesiani, laici. Lo aiutavano a tenere il catechismo e altre lezioni, ad assistere in chiesa, a guidare i giovani nella preghiera, a prepararli per la prima comunione e la cresima, ad assistere nel cortile dove giocavano con i ragazzi, ad aiutare i più bisognosi a trovare un impiego presso qualche datore di lavoro onesto. In cambio, Don Bosco si prendeva diligentemente cura della loro vita spirituale, attraverso incontri personali, conferenze, direzione spirituale e amministrazione dei sacramenti. Da questo ambiente nacque una nuova cultura in cui si respirava un profondo amore per Dio e per la Madonna, che a sua volta creò un nuovo stile di relazione tra i giovani e gli educatori, tra i laici e i sacerdoti, tra gli artigiani e gli studenti.

Oggi la Comunità Educativo-Pastorale (CEP), attraverso il Piano Educativo-Pastorale Salesiano (PEPS), è il centro di comunione e condivisione dello spirito e della missione di Don Bosco. Nella CEP promuoviamo un nuovo modo di pensare, giudicare e agire, un nuovo modo di affrontare i problemi e un nuovo stile di relazioni – con i giovani, i salesiani e i laici, in vari modi, come leader e collaboratori.

Un elemento essenziale del carisma di Don Bosco è lo spirito missionario che ha trasmesso ai suoi salesiani e a tutta la famiglia salesiana. Questo è riassunto nel Da mihi animas e si esprime attraverso il “cuore oratoriano”, il fervore, lo slancio e la passione per l’evangelizzazione, in particolare dei giovani. È la capacità di dialogo interculturale e interreligioso e la disponibilità ad essere inviato dove c’è bisogno, in particolare nelle periferie.

Un tempo di conversione

La conversione personale e comunitaria sarà sempre necessaria, perché riconosciamo umilmente che in noi ci sono ancora tanti ostacoli ai nostri sforzi per vivere la sinodalità missionaria: l’urgenza di insegnare più che di ascoltare; un senso di diritto al privilegio; l’incapacità di essere trasparenti e responsabili; la lentezza nel dialogo e la mancanza di presenza animatrice tra i giovani; la propensione al controllo e alla rivendicazione del diritto esclusivo di prendere decisioni; la mancanza di fiducia nella responsabilizzazione dei laici come partner della missione; e la mancanza di riconoscimento della presenza dello Spirito Santo nelle culture e nei popoli, anche prima del nostro arrivo.

In effetti, la sinodalità missionaria salesiana è allo stesso tempo un dono e un compito!