Salesiani a Tijuana. Una casa ai confini

A soli 30 metri dal confine con gli Stati Uniti, una casa salesiana in Messico offre numerosi servizi ai giovani, ai poveri e ai migranti, nella zona di confine terrestre più trafficata del mondo, in una città la cui popolazione è triplicata negli ultimi 30 anni e in una zona famosa in tutto il mondo per il muro che separa il Messico dagli Stati Uniti.

I Salesiani sono arrivati nella città di Tijuana, Baja California (Messico), in occasione della festa di San Giuseppe, il 19 marzo 1987.
Fu alla fine degli anni Ottanta che l’allora ispettore guardò verso il confine settentrionale del Messico, sottolineando che le presenze del Nord avrebbero dovuto rappresentare dei “polmoni” per garantire aria purificata alla missione e alla vita apostolica e religiosa dell’Ispettoria Salesiana.
Con questa intenzione e volendo rispondere ai molti bisogni della città, i Salesiani si impegnarono a trovare spazi per realizzare oratori in città. In meno di un decennio, furono costruiti 9 oratori dove i giovani trovarono una casa, un parco giochi, una scuola e una chiesa.
Con il passare del tempo si è concentrata l’attenzione su diverse esigenze, sono state create sei residenze-lavoro in diversi quartieri popolari della città, formando il Progetto Salesiano Tijuana. Ognuna di esse ospita diverse istituzioni, dando vita a più di dieci fronti di lavoro.

La prima delle opere è stata la Parrocchia e l’Oratorio Maria Auxiliadora, situata nella “Colonia Herrera”. Sia la parrocchia sia l’oratorio si occupano di vari problemi della colonia. Si stanno compiendo passi verso un accordo con l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) per offrire un centro sanitario comunitario con consulenza legale e psicologica e assistenza medica. Nel territorio della parrocchia c’è una casa di accoglienza per famiglie di migranti chiamata “Pro amore DEI”, che è accompagnata da varie attività. Questo Oratorio di Maria Ausiliatrice offre laboratori brevi e flessibili, che offrono diverse opportunità di apprendimento, il tutto per il bene delle famiglie; questi laboratori sono frequentati da bambini e famiglie in situazioni vulnerabili. Alcuni di questi laboratori sono: laboratorio di sartoria, laboratorio di bellezza, laboratorio di scuola calcio, laboratorio di zumba, laboratorio di chitarra e laboratorio di computer, consulenza psicologica e formazione per adulti o giovani al di fuori dell’ambito scolastico, in accordo con l’INEA (Istituto Nazionale per l’Educazione degli Adulti).

Un’altra presenza, collocata nel centro della città è l’Oratorio San Francisco de Sales, situato nella colonia Castillo. Questa presenza ospita anche diverse istituzioni, tra cui: una delle sedi della residenza della comunità religiosa, l’Oratorio, gli uffici della COMAR (Commissione Messicana per l’Aiuto ai Rifugiati) che, in collaborazione con l’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati), fornisce servizi ai richiedenti asilo (carte d’identità, offerte di lavoro, supporto legale) e gli uffici del Progetto Salesiano Tijuana. Si tratta di un insieme di servizi per i più svantaggiati, cioè gli stranieri che arrivano in città in cerca di rifugio con un’attenzione dignitosa verso i loro diritti. Nell’oratorio, le famiglie della colonia vengono assistite con laboratori flessibili e agili, offrendo uno spazio di crescita (è una colonia di lavoratori che negli ultimi anni ha sofferto molto per lo spaccio di droga e gli omicidi dovuti a questa situazione). Per il Progetto Salesiano Tijuana è stato e continua ad essere di grande importanza aprirsi alla creazione di reti e alleanze con varie istituzioni che rafforzano e promuovono l’aiuto ai giovani, ai migranti e alle famiglie in situazioni vulnerabili.

L’Oratorio Domingo Saviosi trova nel cuore della colonia “SánchezTaboada”. Questa colonia è molto particolare. Secondo recenti statistiche, il quartiere Sanchez Taboada occupa il primo posto nella classifica della violenza in città. In questo quartiere sono state uccise 146 persone in meno di cinque mesi, il che lo rende la colonia più violenta; qui è stato registrato il maggior numero di omicidi intenzionali. Qui si trova la nostra presenza salesiana, che sviluppa diversi servizi: una presenza che vuole soprattutto portare speranza alle famiglie e opportunità ai bambini. La situazione di violenza, povertà e la posizione orografica della casa salesiana richiedono un costante sostegno finanziario per mantenere le strutture e per trovare il personale adeguato a fornire i servizi educativi. Tra le attività attualmente offerte ci sono: laboratorio di calcio, laboratorio di chitarra, laboratorio di pallavolo, laboratorio di regolamento scolastico per bambini e adolescenti, laboratorio di inglese e laboratorio di informatica. In questo oratorio, come nelle altre cinque presenze, la catechesi sacramentale e i servizi e le celebrazioni liturgiche sono offerti nella cappella.

L’Oratorio San José Obrero si trova nella parte orientale della città, nella colonia chiamata “Ejido Matamoros”. Dispone di strutture sportive che offrono servizi a un gran numero di giovani, bambini e adulti che vengono a giocare a calcio; nel corso di una settimana, più di mille utenti passano per questo centro sportivo. In questo oratorio, anche il Movimento Giovanile Salesiano è molto attivo, soprattutto per gli adolescenti e i bambini, con il movimento Amici di Domenico Savio, gli accoliti e i cori. La Cappella dell’Oratorio offre servizi liturgici quotidiani aperti alla comunità. La presenza salesiana in questo oratorio comprende anche una scuola superiore che, essendo situata in una zona di così grande crescita della città, può continuare a fornire un servizio educativo indispensabile e, in prospettiva, dovrebbe crescere nel numero di studenti e nella qualità dei suoi servizi educativi.

L’Oratorio San Juan Bosco si trova nella colonia Mariano Matamoros a El Florido. È un’oasi di pace nella parte orientale della città e la chiamiamo così perché nel 2022, anche qui sono stati registrati 92 omicidi. Questa presenza salesiana si trova in una zona di insediamenti di famiglie che lavorano nelle “maquilas” e lì l’opera salesiana ha sviluppato una presenza ampia e complessa, composta da quattro istituzioni: la casa di accoglienza Don Bosco (una casa di accoglienza per donne e bambini, operativa dal dicembre 2021), la scuola Don Bosco (una scuola con 200 alunni, maschi e femmine, che frequentano l’istruzione primaria) l’oratorio – centro giovanile (accoglie bambini, gruppi giovanili, atleti del campionato di calcio e di basket, gruppo di balletto folcloristico, laboratori), la cappella San Juan Bosco (offre servizi liturgici con un grande afflusso di famiglie e bambini che frequentano la catechesi). L’insieme di queste istituzioni dà vita a un centro di integrazione per la comunità locale, essendo uno spazio per una varietà di persone (migranti, bambini, giovani, famiglie) che offre l’opportunità di attualizzare la missione salesiana, rispondendo alle esigenze sociali. Per realizzare queste istituzioni di grande opera sociale, i Salesiani lavorano attraverso accordi di collaborazione con varie organizzazioni civili e governative e creando accordi con le agenzie delle Nazioni Unite (UNHCR, OIM, UNICEF); lavorano anche con grande apertura e flessibilità con altre istituzioni che forniscono sostegno e supporto nelle aree della salute e dell’istruzione.

Il Desayunador Salesiano è un’opera di assistenza sociale che dà vita a due istituzioni (un centro per la colazione e una casa di accoglienza per uomini migranti), che a loro volta forniscono un’ampia gamma di servizi ai beneficiari. Quest’opera salesiana si trova nella zona centro-settentrionale della città di Tijuana. I suoi inizi risalgono al 1999, ma prima di quell’anno alcuni “tacos” venivano già offerti negli uffici del progetto salesiano. Questo servizio di alimentazione dei poveri e dei migranti che vagano per la città si è sviluppato ed evoluto, e nel 2007-2008 è stato istituito con una sede propria per questa attività nel luogo in cui opera attualmente: qui si presta attenzione ai migranti vulnerabili (deportati/rimpatriati, stranieri provenienti dal centro e dal sud del Messico), ai senzatetto, agli anziani, alle famiglie povere o estremamente povere, agli uomini, alle donne e ai bambini che hanno fame.

Tra la varietà di servizi offerti ci sono: colazioni (tra 900 e 1200 al giorno), telefonate all’estero (25 al giorno), docce (fino a 150 al giorno, tre volte alla settimana), tagli di capelli, consegna di cibo alle famiglie povere (3-5 al giorno), offerta di cambio di vestiti (fino a 150 al giorno, tre volte alla settimana), assistenza medica (40-60 al giorno), consulenza legale (8-20 al giorno) su questioni migratorie, assistenza psicologica, supporto e sostegno emotivo, workshop per la prevenzione della violenza contro le donne, laboratori (arte grafica, mosaico bizantino, alebrijes e piñatas, workshop radiofonico ecc.), scambio di lavoro formale e informale (8-20 al giorno), collegamenti con i centri di riabilitazione. L’attività del Desayunador e del rifugio è sostenuta con l’aiuto di volontari giornalieri (locali, nazionali e internazionali) in varie forme o periodi, sviluppando una grande apertura alla collaborazione interistituzionale.

L’impegno salesiano in questo grande Progetto Salesiano Tijuana è fondamentale perché la città continua a crescere, continua ad essere la città di confine con il maggior numero di persone in mobilità e in situazione di migrazione; parlare di Tijuana come confine significa parlare del confine terrestre più attraversato al mondo. Si tratta del passaggio di oltre 20 milioni di veicoli e di oltre 60 milioni di persone che in un anno entrano negli Stati Uniti attraverso questo confine. La migrazione rimane un tema di grande attualità. In questa città di confine, con così tanti migranti, ci sono problemi di traffico di esseri umani, di coinvolgimento nel mondo della vendita e del consumo di droga. La città di Tijuana continua ad offrire grandi opportunità per la realizzazione dei sogni, con un’ampia gamma di posti di lavoro, ma continua anche ad essere una città con un alto livello di criminalità, una delle più violente del Paese.

Senza dubbio, i migranti, i bambini, i giovani e le famiglie guardano al Progetto Salesiano di Tijuana per avere aiuto e speranza nella costruzione del loro futuro. La missione salesiana di Tijuana continua ad essere un luogo dove i sogni di don Bosco e la realizzazione del carisma della Famiglia Salesiana possono prendere vita.

È possibile seguire la presenza salesiana a Tijuana anche attraverso i suoi social network: Facebook, Twitter, Instagram, Youtube.

don Agustín NOVOA LEYVA, sdb
direttore Casa Salesiana Tijuana, Messico




Scoperta della vocazione missionaria

L’esperienza di Rodgers Chabala, giovane missionario zambiano in Nigeria, a partire dalla riscoperta di don Bosco nella visita ai suoi luoghi.

Il giovane salesiano Rodgers Chabala è parte della nuova generazione di missionari, secondo il paradigma rinnovato che va oltre i confini geografici o i precetti culturali: dallo Zambia è stato inviato come missionario in Nigeria. Il corso missionari vissuto lo scorso settembre è stato per lui un momento forte, in particolare l’atmosfera respirata nei luoghi di don Bosco: una vera esperienza spirituale.

Don Bosco iniziò il suo lavoro con i propri ragazzi accorgendosi che nessuno si occupava dell’anima di questi giovani piemontesi, che finivano spesso in carcere per furti, contrabbando o altri crimini. Se questi giovani avessero avuto un amico fidato, qualcuno che li avesse istruiti e dato loro il buon esempio, non sarebbero finiti lì e così don Bosco fu inviato da Dio a loro. Possiamo dire che tutto iniziò con il sogno dei nove anni, che don Bosco comprese gradualmente nel tempo, grazie all’aiuto di tante persone che lo aiutarono a fare discernimento. Il suo desiderio pastorale di curarsi delle anime dei giovani raggiunse tutto il mondo grazie ai missionari salesiani, iniziando da quel gruppo di undici inviato in Patagonia, Argentina, nel 1875. Inizialmente don Bosco non aveva chiara l’intenzione di inviare missionari, ma Dio nel tempo purificò questo desiderio e permise la diffusione del carisma salesiano in ogni angolo della nostra Terra.

La vocazione missionaria salesiana è una “vocazione dentro la vocazione”, una chiamata alla vita missionaria all’interno della propria vocazione salesiana. Rodgers, sin dagli inizi, sentiva forte il desiderio missionario, ma non era facile far capire agli altri quali fossero le sue motivazioni. Al tempo dell’aspirantato, quando ancora non conosceva bene la vita salesiana, fu colpito molto dalla testimonianza di un missionario polacco e iniziò a riflettere e lottare con sé stesso per decifrare le intenzioni del proprio cuore. Quando il missionario chiese “chi vuole essere missionario?”, Rodgers non dubitò ed iniziò il percorso del discernimento, partendo dalla risposta del salesiano polacco, ovvero di iniziare amando il proprio Paese. Ovviamente, tante sfide iniziarono ad emergere e non mancarono i momenti di scoraggiamento. Come per don Bosco, per Rodgers sono stati fondamentali l’aiuto e la mediazione di tante persone per distinguere la voce di Dio da altre influenze e purificare le proprie intenzioni. Dio parla attraverso le persone, il discernimento non è un processo meramente individuale, ha sempre una dimensione comunitaria.

Lo scorso settembre, Rodgers ha partecipato al corso di formazione per nuovi missionari, che precede l’invio ufficiale da parte del Rettor Maggiore. Arrivato qualche giorno dopo gli altri, ha ritrovato, dopo diversi anni, alcuni suoi compagni di noviziato e il suo vecchio direttore dello studentato di filosofia. Unitosi al gruppo, da subito ha notato un clima particolare, facce sorridenti e gioia vera. Le riflessioni sull’interculturalità e gli altri approfondimenti curati dal Settore per le Missioni sono stati strumenti utili per prepararsi alla partenza missionaria. Durante il corso, i partecipanti hanno avuto l’opportunità di visitare i luoghi di don Bosco, prima al Colle Don Bosco e poi a Valdocco. Don Alfred Maravilla, Consigliere generale per le Missioni, ha chiesto ai neomissionari: “Queste visite ai luoghi santi di don Bosco che effetto hanno nella tua vita?”. Quando si legge la vita di don Bosco sui libri, possono sorgere dubbi e si può addirittura essere scettici, ma vedere con i propri occhi quei luoghi e respirare l’atmosfera di don Bosco ripercorrendo la sua storia è qualcosa che difficilmente si può raccontare. Oltre alla memoria storica di quello che è capitato a don Bosco, a Domenico Savio e a Mamma Margherita, questi luoghi hanno la capacità di rinvigorire il carisma salesiano e fanno riflettere sulla propria vocazione. La semplicità e lo spirito di famiglia di don Bosco mostrano come la povertà non è un ostacolo alla santità e alla realizzazione del Regno di Dio. Parlando di don Bosco spesso corriamo il rischio di omettere la parte mistica, concentrandoci solo sulle attività e sulle opere. Don Bosco era veramente un mistico nello spirito, che coltivava un’intima relazione con il Signore ed è questo il punto di partenza per la sua missione giovanile.

Arriviamo così al 25 Settembre 2022: don Ángel Fernández Artime, il don Bosco di oggi, presiede la messa con l’invio dei salesiani della 153esima spedizione missionaria SDB e delle suore della 145esima spedizione FMA, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, a Valdocco. Rodgers ricorda di aver incontrato, qualche giorno prima, il suo nuovo superiore dell’ispettoria ANN (Nigeria-Niger), ed aver sentito il peso della responsabilità della scelta missionaria fatta. Durante la messa, dice Rodgers, “ho ricevuto la croce missionaria e il desiderio di essere missionario è stato ampiamente attualizzato”.
“Una volta per tutte, la vocazione missionaria è una vocazione bellissima, una volta compiuto attentamente il cammino di discernimento. Richiede un’apertura mentale per apprezzare lo stile di vita degli altri popoli. Preghiamo quindi per tutti i missionari del mondo e per coloro che stanno discernendo la vocazione missionaria, affinché Dio li guidi e li ispiri nella loro vita.”

A consegnato,
Marco Fulgaro




Volontariato internazionale a Benediktbeuern

Don Bosco Volunteers: l’impegno dei giovani per un futuro migliore

Da più di vent’anni l‘Ispettoria tedesca dei Salesiani di Don Bosco è impegnata nel campo del volontariato giovanile. Tramite il programma “Don Bosco Volunteers” i Salesiani in Germania offrono ogni anno a circa 90 giovani un’esperienza formativa e di vita nelle case salesiane dell’Ispettoria e in diversi paesi del mondo.

Per molti giovani tedeschi è consuetudine, una volta completato il percorso formativo scolastico, dedicare un anno della loro vita ad attività nel sociale. Il profilo dei Salesiani rappresenta per molti giovani tedeschi una fonte d’ispirazione nella scelta di un’organizzazione, che li accompagni durante questa esperienza. Nonostante la secolarizzazione della società tedesca e una costante perdita di fedeli da parte della Chiesa negli ultimi anni, molti giovani bussano alla porta dei Salesiani con la chiara intenzione di aiutare il prossimo e dare un piccolo contributo per un mondo migliore. Questi giovani trovano nella figura di don Bosco una forma di fede e un esempio di vita.

Non tutti coloro i quali fanno richiesta d’ammissione al programma di volontariato presso gli uffici competenti dell’Ispettoria a Benediktbeuern e a Bonn hanno avuto nel corso della loro vita esperienze in gruppi giovanili legati alla Chiesa e in particolar modo con i Salesiani. Alcuni di loro non sono battezzati, ma riconoscono nell’offerta formativa dei Salesiani una possibilità di crescita personale, basata su valori fondamentali per il proprio sviluppo. È per questo che ogni anno tantissimi giovani cominciano un’esperienza di volontariato con il programma “Don Bosco Volunteers”: nell’ambito di weekend formativi, i giovani apprendono non solo utili informazioni sui progetti, ma si confrontano con il sistema preventivo e la spiritualità salesiana, preparandosi in questo modo al periodo che metteranno a servizio di altri giovani.

I volontari e le volontarie vengono accompagnati durante la loro esperienza da un team di coordinatori e coordinatrici, che si prende cura non solo degli aspetti organizzativi, ma soprattutto del supporto prima, durante e dopo l’esperienza di volontariato. E sì, perché l’anno di volontariato non finisce l’ultimo giorno di servizio presso la casa salesiana ospitante, ma continua per tutta la vita. Quest’anno al servizio degli altri rappresenta una base di valori che ha un forte impatto sullo sviluppo futuro delle volontarie e dei volontari. Don Bosco educava i giovani per far di loro degli onesti cittadini e dei buoni cristiani: l’offerta di volontariato del programma Don Bosco Volunteers s’ispira proprio a questo principio fondamentale della pedagogia salesiana e cerca di gettare le basi per una società migliore, in cui i valori cristiani ritornino a caratterizzare la nostra vita.

L’Ispettoria tedesca mette a disposizione possibilità d’incontro per i giovani in tutte le fasi dell’esperienza di volontariato: incontri d’orientamento, offerte informative online, corsi di formazione, feste e incontri annuali di scambio d’esperienze sono attività di base su cui si costruisce il successo del programma “Don Bosco Volunteers”.

Un gruppo di coordinamento formato da collaboratori e collaboratrici del centro di formazione giovanile Aktionszentrum di Benediktbeuern e della Procura Missionaria di Bonn, affiancato dall’economo ispettoriale padre Stefan Stöhr e dall’incaricato per la pastorale giovanile padre Johannes Kaufmann, gestisce e dirige ciascuna attività, sviluppando il programma in tutte le sue componenti. L’esperienza dei volontari inizia con la richiesta d’ammissione all’iniziativa: i giovani che prendono parte al programma nazionale cominciano il servizio a settembre e partecipano a 25 giornate formative durante l’anno di volontariato. Per i volontari e le volontarie che intendono andare all’estero il percorso è un po’ più articolato: dopo un incontro d’orientamento, in autunno vengono effettuate le selezioni e le candidate e i candidati ricevono informazioni da ex volontarie e volontari che hanno già preso parte al programma in passato. La fase formativa comincia nei primi mesi dell’anno e prevede in tutto 12 giorni di preparazione, durante i quali le volontarie e i volontari ricevono informazioni sulla pedagogia di don Bosco, sul lavoro dei Salesiani nel mondo, su temi importanti come la comunicazione interculturale e le procedure da seguire in caso d’emergenza durante l’esperienza all’estero. A luglio le volontarie e i volontari ricevono la benedizione e una medaglia di don Bosco come simbolo dell’appartenenza alla Famiglia Salesiana.

La partenza dei giovani è prevista a settembre e, verso la metà del servizio, nelle diverse regioni in cui operano i volontari vengono offerti degli incontri di riflessione tenuti dal team di coordinamento dell’Ispettoria tedesca. L’esperienza si chiude con un seminario conclusivo, poco dopo il rientro dall’attività all’estero, in cui vengono gettate le basi per un impegno futuro nella Famiglia Salesiana. A cadenza annuale nell’Ispettoria vengono organizzati due incontri per tutti coloro che hanno preso parte al programma sin dall’inizio delle attività negli anni Novanta. Il team di coordinamento dell’Ispettoria si prende cura di tutti gli aspetti organizzativi tra i quali: ricerca di case salesiane interessate a collaborare nel campo del volontariato; finanziamento delle attività tramite i fondi ministeriali ed europei; supporto in caso d’emergenza; organizzazione degli aspetti legati all’assicurazione sanitaria dei volontari; comunicazioni con le famiglie delle volontarie e dei volontari.

Negli ultimi 25 anni, sono già più di mille i giovani che hanno preso parte al programma “Don Bosco Volunteers” in Germania e all’estero.

Nell’ambito di uno studio condotto alcuni mesi fa dall’Ispettoria tedesca, a cui hanno partecipato circa 180 ex volontarie e volontari, si è potuto riscontrare un costante impegno nel sociale dei giovani anche molti anni dopo l’esperienza di volontariato. In modo particolare, è evidente l’attenzione degli intervistati riguardo a temi come l’ingiustizia sociale, il razzismo, l’ecologia e lo sviluppo sostenibile. Tale studio ha confermato tutta la bontà di questo programma, non solo per l’aiuto immediato che le volontarie e i volontari possono fornire alle comunità ospitanti durante il proprio anno di servizio, ma anche per gli effetti positivi che si possono registrare a lungo termine, una volta conclusi gli studi accademici o dopo aver intrapreso il proprio cammino professionale.

Un aspetto importante del programma “Don Bosco Volunteers” è il suo inquadramento in programmi nazionali ed europei, come ad esempio il “Corpo europeo di solidarietà” della Commissione Europea, i programmi di volontariato nazionale del Ministero per la famiglia e la gioventù o del programma “weltwärts” del Ministero Federale per la Cooperazione Economica, in modo da poter rendere più visibile alle istituzioni l’offerta formativa dei Salesiani. Costanti controlli di qualità, condotti da associazioni competenti, certificano su base biennale l’efficienza e la trasparenza dell’offerta formativa del programma “Don Bosco Volunteers”. Un aspetto di questi controlli di qualità riguarda in particolare la cooperazione tra i nostri uffici competenti e le strutture ospitanti in Germania e nei diversi Paesi del mondo. Questo particolare distingue l’offerta dei Salesiani da molte altre agenzie private di volontariato, che collaborano con diverse organizzazioni dai profili più svariati.

Le nostre volontarie e i nostri volontari operano esclusivamente in strutture salesiane e vengono preparati in modo specifico per questa esperienza di vita. Non ha importanza se un volontario sia impiegato in un piccolo villaggio nel sud dell’India o in una metropoli europea. C’è qualcosa che unisce tutti questi giovani e li fa sentire a casa durante la loro esperienza: don Bosco con la sua presenza nelle comunità ospitanti offre loro un punto di riferimento nella quotidianità e dà loro conforto e protezione nei momenti più difficili. Ovviamente sarebbe semplicistico raccontare che un’esperienza di volontariato si svolge sempre senza intoppi o problemi: la fase d’ambientamento, in particolare, può creare diversi problemi d’integrazione per le volontarie e i volontari. Ma è proprio in queste situazioni che si può constatare una crescita dei giovani, i quali imparano a conoscere meglio se stessi, i propri limiti e le proprie risorse. L’accompagnamento fornito dalle comunità salesiane ospitanti e dal personale dei centri di coordinamento dell’Ispettoria tedesca ha il fine di trasformare anche le fasi più difficili di questo cammino in opportunità di riflessione e crescita personale. Molte sfide ci attendono nel futuro: gli ultimi due anni ci hanno mostrato che il mondo sta cambiando e il timore che la guerra cancelli la prospettiva di una società più equa sembra crescere nelle nuove generazioni. Il programma “Don Bosco Volunteers” vuole essere un barlume di luce e una fonte di speranza, affinché i nostri giovani possano costruire, attraverso il loro impegno, un futuro migliore per il nostro pianeta.
           
            Francesco BAGIOLINI
            Benediktbeuern, Germania

Galleria fotografica Voluntariato internazionale a Benediktbeuern

1 / 6

2 / 6

3 / 6

4 / 6

5 / 6

6 / 6


Voluntariato internazionale a Benediktbeuern
Voluntariato internazionale a Benediktbeuern
Voluntariato internazionale a Benediktbeuern
Voluntariato internazionale a Benediktbeuern
Voluntariato internazionale a Benediktbeuern
Voluntariato internazionale a Benediktbeuern





In memoriam. Don Davide FACCHINELLO, sdb

Una vita spesa per gli altri. Don Davide FACCHINELLO, sdb

            Nato nella millenaria città di Treviso il 21 maggio 1974, è stato battezzato nella chiesa parrocchiale di Loria (Treviso) dove risiedeva la sua famiglia. Frequenta la scuola dell’obbligo nei suoi luoghi natali e continua da interno il biennio della scuola grafica dell’Istituto San Giorgio di Venezia dove conosce i salesiani. Inizia un’esperienza nella Comunità Proposta salesiana di Mogliano Veneto, continuando gli studi grafici a Noventa Padovana da dove riceve i suoi titoli di studio. Questa esperienza lo porta a conoscere le attività dell’oratorio parrocchiale di Mogliano, l’animazione estiva, i gruppi formativi, che diventeranno catalizzatori per la sua risposta ad una chiamata divina, entrando in noviziato nel 1993. La sua prima destinazione pastorale fu nella casa di Mogliano Veneto Astori con l’incarico di catechista della scuola media, dove fino al 2011. Di seguito riceve una nuova destinazione nella casa di Este con i compiti di vicario in comunità e di animatore pastorale tra gli allievi del Centro di Formazione Professionale. Nel suo cuore nasce il desiderio di svolgere un’esperienza pastorale in terra di missione e si mette alla disposizione delle necessità della Congregazione Salesiana a questo scopo. Come i superiori gli indicano come destinazione il Perù, subito comincia a studiare la lingua spagnola, lingua che continua ad approfondire nella realtà della missione, nello stesso tempo che si inserisce nella cultura locale.

            Dal suo arrivo a Perù nel 2017, dopo un periodo di accomodamento, è stato inviato alla comunità missionaria di Monte Salvado, nella regione di Cusco. Lì ha iniziato come vicario parrocchiale della Parrocchia Maria Ausiliatrice di Quebrada Honda, nella Valle di Yanatile, nella selva alta, dove i salesiani accompagniamo le missioni andine. Dopo quasi due anni è stato nominato parroco della stessa il 12 aprile 2019.

            Appena arrivato, si è dedicato a conoscere le persone e mettersi al loro servizio pastorale, essendo fedele alle indicazioni dell’Arcidiocesi di Cusco e in collaborazione don la comunità locale. Essendo una parrocchia missionaria, ha voluto e ha visitato periodicamente tutte le settantatré comunità, si è recato nei villaggi più remoti e ha raggiunto le case più umili e lontane di una vasta regione. Desideroso di avvicinarsi ancora di più alle anime che serviva, si era messo a imparare la lingua quechua.

            Ha avviato progetti di assistenza e promozione, come la mensa parrocchiale e un programma completo di assistenza psicologica, e, da buon salesiano, ha dato impulso a molti oratori nei vari villaggi. Ha sviluppato intensamente il rinnovamento della catechesi sulla linea dell’Iniziazione alla Vita Cristiana, in profonda sintonia con il Progetto Educativo-Pastorale dell’Ispettoria. Il suo impegno nella Chiesa locale era così grande che fu nominato dall’Arcivescovo di Cuzco decano della regione. Tra le testimonianze del popolo, spicca la particolare cura che egli ebbe per alcune persone (i più poveri tra i poveri) che David accompagnò e promosse in modo speciale e molto discreto.

            Le testimonianze ricevute, confermano che era gentile e attento ai fratelli della comunità, un religioso esemplare e un apostolo laborioso e impegnato. Fin dal primo momento ha conquistato il cuore di tutti con la sua gentilezza e la sua serena allegria; ha saputo conquistare la stima e la fiducia delle persone: compagni, collaboratori, parrocchiani e giovani, grazie al suo ottimismo, buon senso, prudenza e disponibilità.

            Oltre a tutto questo lavoro apostolico, Davide era un fratello molto amato: amava stare nella comunità salesiana, i fratelli apprezzavano il suo buon umore e la sua capacità di creare legami stretti.

            I giovani di Monte Salvado (la scuola per i giovani della giungla che frequentano la comunità missionaria salesiana) gli volevano molto bene, apprezzavano il fatto che fosse felice di passare del tempo con loro durante la pausa e rimanevano colpiti dal suo entusiasmo quando insegnava la catechesi: era un vero sacramento della presenza.

            Il suo percorso terreno finisce là: dopo aver condiviso con la comunità parrocchiale la festa della Madre Ausiliatrice nel 24 maggio 2022, nel viaggio di ritorno, parte per il cielo da un incidente stradale successo intorno alla mezzanotte. L’ultima sua celebrazione alla Madonna lo accompagni nel Paradiso.

            Due tratti fondamentali che Don Bosco avevo visto in San Francesco di Sales – carità apostolica e amorevolezza – sono quelli cha ha incarnato di più. È quasi un riflesso di quello che diceva un suo compaesano, don Antonio Cojazzi: “Faccia allegra, cuore in mano, ecco fatto il salesiano”.

            Speriamo che dal Cielo, ci ottenga molte e sante vocazioni per accompagnare i giovani nel loro cammino terreno. Intanto, preghiamo per lui.

            L’eterno riposo dona a lui, o Signore, e splenda a lui la luce perpetua. Riposi in pace.


Video commemorativo




Missionario in Amazonia

Essere missionari in Amazzonia significa lasciarsi evangelizzare dalla foresta

La bellezza degli indigeni del Rio Negro conquista i cuori e fa sì che il proprio cuore cambi, si espanda, si sorprenda e si identifichi con questa terra, al punto che è impossibile dimenticare la “cara Amazzonia”! Questa è l’esperienza di Leonardo, giovane salesiano nel cuore dell’Amazzonia.

Come è nata nel suo cuore l’idea di essere missionario?
Per molti anni questo desiderio è maturato in me ascoltando le storie dei missionari salesiani, la loro testimonianza come portatori dell’amore di Dio al mondo. Ho sempre ammirato questi fratelli che, avendo sperimentato l’amore divino nella loro vita, non potevano rimanere in silenzio; anzi, si sentivano in dovere di annunciarlo agli altri, affinché anche loro potessero dimostrare quanto fossero amati da Dio. Fu così che chiesi di fare un’esperienza nelle missioni salesiane in Amazzonia tra le popolazioni indigene. Nel 2021 ho iniziato a vivere e a lavorare come “tirocinante” nella comunità missionaria di São Gabriel da Cachoeira, nello stato dell’Amazzonia. È stata una vera e propria “scuola missionaria”, ricca di nuove scoperte ed esperienze, di sfide mai immaginate, affrontando realtà fino ad allora totalmente sconosciute.

Quali sono state le sue prime impressioni all’arrivo in una terra sconosciuta?
Dal primo momento in cui ho guardato fuori dal finestrino dell’aereo e ho visto l’immensità della foresta e i numerosi fiumi, la mia mente ha fatto “click”: sono davvero in Amazzonia! Come ho sempre visto in televisione, la regione amazzonica è di una bellezza esuberante, con splendidi paesaggi naturali, veri capolavori di Dio Creatore. Un’altra prima impressione molto bella è quella di vedere tanti fratelli e sorelle indigeni, con caratteristiche fisiche così evidenti, come il colore della pelle, gli occhi chiari e i capelli neri. Vedere la diversità e la ricchezza culturale dell’Amazzonia significa ricordare la nostra storia, ricordare la nostra origine come Brasile e capire meglio chi siamo come popolo.

 

E perché la scelta dell’Amazzonia? Che cosa ha di speciale per lei?
La Chiesa, compresa la nostra Congregazione salesiana, è essenzialmente missionaria. Tuttavia, nella regione del Nord questo è ancora più vero perché i territori sono immensi; l’accesso, generalmente via fiume, è difficile e costoso; la diversità culturale e linguistica è vasta e c’è un’enorme mancanza di sacerdoti, religiosi e altri leader che possano portare avanti l’evangelizzazione e la presenza della Chiesa in queste terre. Pertanto, c’è molto lavoro e un lavoro “pesante”, impegnativo. Non è solo il servizio delle visite, della predicazione, della celebrazione dei sacramenti, come si potrebbe pensare della vita missionaria, ma significa condividere la vita e il lavoro del popolo, portare fardelli pesanti, sentire il bisogno, l’esclusione e l’abbandono del popolo da parte dei politici; passare ore sulla strada o sul fiume; sentire le punture degli insetti; mangiare il cibo della gente semplice, “condito” con le spezie dell’amore, della condivisione e dell’accoglienza; ascoltare le storie degli anziani, spesso con parole ed espressioni che non conosciamo bene; sporcarsi i piedi e i vestiti di fango, non riscaldare le auto; rimanere senza internet e, a volte, anche senza elettricità. .. Tutto questo è coinvolto nella vita missionaria salesiana in Amazzonia!

Ci racconti qualcosa di più sull’opera salesiana dove ha vissuto? Cosa fanno i Salesiani per i giovani della regione?
Uno degli scopi della nostra comunità salesiana di Sao Gabriel è l’Oratorio e l’Opera sociale: è il parco giochi salesiano, il nostro lavoro diretto con i giovani del “Gabriel” che frequentano ogni giorno il nostro Oratorio e trovano nella nostra casa un luogo dove giocare, divertirsi e vivere in modo sano con i loro amici e colleghi. I giovani qui amano lo sport, soprattutto la passione nazionale che è il calcio. Poiché la città non offre molte opzioni per il tempo libero e lo sport, i bambini sono presenti nel nostro lavoro per tutto il tempo in cui siamo operativi e si lamentano molto quando è ora di concludere le attività della giornata. Ogni giorno passano dal nostro lavoro in media 150-200 giovani. Inoltre, il Centro Missionario Salesiano offre corsi per adolescenti e giovani, come informatica e panificazione.

E se un giovane, conoscendovi e apprezzando il carisma, esprime il desiderio di diventare salesiano, c’è un percorso di formazione?
Sì, da qualche anno la nostra comunità gestisce anche il “Centro de Formación indígena” (CFI), che ha lo scopo di accompagnare e accogliere i giovani indigeni di tutte le nostre comunità missionarie che desiderano intraprendere un accompagnamento vocazionale ed essere aiutati nella stesura di un Progetto di vita. Questo accompagnamento costituisce l’Aspirazione Indigena dell’Ispettoria Salesiana Missionaria dell’Amazzonia (ISMA). Oltre a proporre questo itinerario formativo, il CFI offre corsi di portoghese, salesianità, informatica e pasticceria, accompagnamento spirituale e psicologico e inserimento graduale nella vita salesiana. È davvero un’esperienza molto apprezzata da loro, perché sono i primi passi del cammino formativo e si svolge nel loro ambiente, con la loro gente, con l’affetto e la vicinanza dei salesiani e degli animatori laici.

Ha detto che ci sono altre comunità missionarie oltre a San Gabriel? Come mai? Come funziona il lavoro missionario a Rio Negro?
La nostra comunità di Sao Gabriel, poiché ha più collegamenti e servizi, è la base e quella che si occupa del collegamento e della logistica con le nostre missioni che si trovano nell’interno, in particolare Maturacá (con il popolo Yanomami) e Iauaretê (nel “triangolo tukano”). In queste realtà missionarie non esiste un commercio formale e, quando c’è, i prezzi sono estremamente alti. Pertanto, tutti gli acquisti di cibo, prodotti per l’igiene, materiali per le riparazioni e carburante per le imbarcazioni utilizzate nelle “itineranze” (visite pastorali alle comunità fluviali) e per la produzione di energia elettrica tramite generatore, vengono effettuati a São Gabriel e poi inviati da noi, tramite trasporto fluviale, in queste località. È un lavoro manuale molto intenso, perché dobbiamo comprare e poi trasportare molto peso sulle barche che porteranno questi prodotti ai nostri fratelli che vivono e lavorano nelle altre missioni. Portiamo sacchetti di cibo, scatole di polistirolo con la carne e diverse “carotes” (contenitori di plastica per il trasporto di liquidi) da 50 litri di carburante ciascuna. Inoltre, la nostra casa ha diverse stanze, sempre disponibili e preparate per ospitare i fratelli missionari che passano da São Gabriel, per andare o tornare dalle altre missioni. Si tratta di un vero e proprio lavoro di assistenza e di rete.

E di questi “itinerari” sui fiumi, ricorda qualche esperienza forte?
Sì, certo, in relazione alle “itineranze”, un’esperienza che mi ha segnato profondamente è stata l’itineranza a Maturacá. Abbiamo vissuto giorni di profonda esperienza dell’incontro con Dio attraverso l’incontro con l’altro, con chi è diverso da noi, con il prossimo, perché abbiamo fatto la visita pastorale, detta itineranza, alle comunità del popolo Yanomami.

Oltre alla sede della Missione salesiana a Maturacá, abbiamo visitato altre sei comunità (Nazaré, Cachoeirinha, Aiari, Maiá, Marvim e Inambú). Sono stati giorni intensi e impegnativi. In primo luogo perché ogni comunità è molto distante l’una dall’altra e l’accesso è possibile solo attraverso i fiumi della nostra amata Amazzonia, percorsi in una barca a motore (chiamata “voadeira”), sotto il sole forte o la pioggia battente. In secondo luogo, si tratta di comunità tradizionali Yanomami, quindi lo shock culturale è inevitabile, poiché hanno abitudini, costumi e modi di vita completamente diversi da quelli di noi non indigeni. In terzo luogo, ci sono le sfide pratiche, come la mancanza di elettricità 24 ore su 24, l’assenza di segnale telefonico, la scarsa scelta e varietà di cibo, il bagno e il lavaggio dei vestiti nel fiume, la convivenza con gli insetti e gli altri animali della foresta… Una vera e propria “immersione” antropologica e spirituale. Abbiamo celebrato l’Eucaristia in tutte le comunità e diversi battesimi in alcune di esse, abbiamo visitato le famiglie e pregato con i bambini. È stata una fantastica esperienza di incontro, giorni speciali, giorni di gratitudine, giorni di ritorno all’essenziale della nostra fede e della nostra spiritualità giovanile salesiana: l’amore per Gesù, frutto dell’incontro personale con Lui, e l’amore per il prossimo che si manifesta nel desiderio di stare con lui e di diventare suo amico.

Questa straordinaria “itineranza” ha indubbiamente lasciato molto da imparare nella sua vita, non è vero?
L’itineranza è una vera e propria “scuola” e ci dà lezioni di vita: il distacco, perché più “cose” si accumulano, più “pesante” diventa il viaggio; vivere il presente, perché nel mezzo dell’Amazzonia, senza accesso ai mezzi di informazione, l’unico contatto è con la realtà presente, quella che ci circonda, la foresta, il fiume, il cielo, la barca; la gratuità, perché si affrontano le difficoltà e la stanchezza senza aspettarsi gesti di umana gratitudine. Infine, l’itineranza geografica ci porta a una “itineranza interiore”, alla conversione, al ritorno all’essenziale della vita e della fede. Navigare sui fiumi dell’Amazzonia significa navigare verso i fiumi interni.  Essere in missione significa essere costantemente provocati a liberarsi da idee preconcette e rigide per essere più liberi di amare e accogliere l’altro e annunciargli la gioia del Vangelo.

Una lezione molto speciale che imparo ogni giorno in missione è che per essere un buon missionario devo essere una persona profondamente segnata e toccata dall’amore misericordioso di Dio, e solo a partire da questa esperienza posso essere pronto a “portare” e “mostrare” ovunque come Dio ci ama e può trasformare tutta la nostra vita. Imparo anche che, essendo missionario, porto e mostro questo amore, prima di tutto con la mia stessa vita donata alla missione. Senza dire una parola, per il semplice fatto di lasciare le mie origini e abbracciare nuove culture, posso rivelare che l’amore di Dio vale molto di più di tutte le cose che consideriamo preziose nella nostra vita. Pertanto, la vita del missionario è la sua prima e più grande testimonianza e annuncio!

Avete vissuto questa esperienza missionaria, ma si può dire che anche voi siete stati evangelizzati? Cosa vi ha dato soddisfazione nel cuore?
Infine, trovandomi a São Gabriel, il comune più indigeno del Brasile, “casa” di 23 gruppi etnici, multiculturale e multilingue, mi rendo conto ogni giorno che, nel chiamarci a essere missionari, Dio ci chiama a essere capaci di lasciarci incantare dalla bellezza e dal mistero che è ogni persona e ogni cultura del nostro mondo. Per questo, sull’esempio del Maestro Gesù, missionario del Padre, siamo chiamati a “svuotarci” di tutto per “riempirci” delle bellezze e delle meraviglie presenti in ogni angolo della terra e associarle alla preziosità del Vangelo. Questa è stata una delle esperienze più profonde per me.

Alla fine di tutto questo, credo che la soddisfazione venga dai sorrisi e dalle grida dei nostri bambini e bambine che giocano, corrono, saltano, tirano una palla, raccontano le loro barzellette; viene dagli sguardi curiosi e brillanti degli uomini e delle donne della foresta; la gioia viene dalla contemplazione della bellezza della natura, dalla generosità della gente e dalla perseveranza dei cristiani che rimangono, a volte, per mesi senza la presenza di un sacerdote, ma che guardano e toccano con amore e devozione i piedini dell’immaginetta della Madonna o la croce sull’altare. Nelle missioni salesiane di Rio Negro si impara a vivere senza eccessi, a valorizzare la semplicità e a gioire delle piccole cose della vita. Qui tutto diventa festa, danza, musica, celebrazione, fede? Qui si vive nella stessa povertà e semplicità dell’inizio di Valdocco, dove hanno vissuto e si sono santificati don Bosco, mamma Margherita, il bambino Savio, don Rua e tanti altri. Essere in Amazzonia ci arricchisce certamente come persone, cristiani e salesiani di Don Bosco!

Intervista di don Gabriel ROMERO al giovane salesiano Leonardo Tadeu DA SILVA OLIVEIRA, dell’Ispettoria di São João Bosco, con sede a Belo Horizonte, Minas Gerais, Brasile.

Galleria foto Amazonia

1 / 18

2 / 18

3 / 18

4 / 18

5 / 18

6 / 18

7 / 18

8 / 18

9 / 18

10 / 18

11 / 18

12 / 18

13 / 18

14 / 18

15 / 18

16 / 18

17 / 18

18 / 18

 

Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia
Missionario in Amazonia




Famiglia salesiana. Come rami di un albero

Da sempre ammiravo don Bosco, la sua passione per i giovani, la sua spiritualità fatta di gioia e di concretezza, ma ignoravo che attorno a lui ci fosse una grande Famiglia. Quando tempo fa, qualcuno mi parlò per la prima volta della Famiglia Salesiana, mi indicò una grande quercia che si ergeva maestosa davanti a me e mi disse: “Guarda quell’albero. La Famiglia Salesiana è così: ha un forte e solido tronco che è don Bosco, ben radicato a terra, alla realtà concreta del quotidiano – i giovani, i poveri, le sfide di ogni giorno che attendono risposte, … – ed ha tanti rami che guardano al cielo – i vari Gruppi nati dal suo carisma. Ci sono Gruppi di religiosi e gruppi di laici, uomini e donne, ben trentadue realtà che condividono la stessa spiritualità, la stessa passione per la missione, ma ognuno la realizza secondo la sua modalità specifica!”.

Mi piacque l’immagine dell’albero: i rami erano l’uno vicino all’altro, crescevano autonomamente, ma uniti al tronco e si nutrivano della stessa linfa della pianta. Insieme rendevano l’albero frondoso, rigoglioso, un riparo eccezionale per i tanti uccelli che l’avevano scelto come loro casa. Poteva essere una casa anche per me! Mi piacque anche l’idea della “famiglia”: mi sapeva di buono, di intimità, di sostegno reciproco.

La prima cosa che attirò il mio interesse è stato il fatto che tutti i Gruppi insieme, pur nella loro autonomia, formano una grande realtà dove si vive un clima di fraternità e di gioia, di prossimità e di confidenza. È uno stile che caratterizza tutti i Gruppi: i Salesiani di Don Bosco, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Salesiani Cooperatori, l’Associazione dell’ADMA e tutti quelli che, nel corso degli anni, sono stati fondati da “figli di don Bosco”, ognuno con la propria peculiarità. Ci sono suore che si occupano dei lebbrosi e quelle che svolgono la loro missione in piccoli centri dove non arrivano altri; religiose che si mettono a servizio degli indigeni ed altre che accolgono i bambini. E poi ci sono Gruppi di laici, da quelli che evangelizzano attraverso i mass media a quelli che si occupano dell’attività missionaria ad gentes o che si impegnano a essere presenti nel sociale, portando i valori ricevuti negli ambienti salesiani. Infine ci sono anche gli Istituti Secolari maschili e femminili, con laici consacrati impegnati a farsi missione nel cuore del mondo.

Una grande varietà di vocazioni unite dall’unico carisma, dall’unica spiritualità: quella di don Bosco.

Volli anch’io entrare in questa avventura. Man mano che andavo avanti capivo che cosa significasse “appartenere”: come far parte di una famiglia naturale non significa semplicemente avere uno stesso cognome, ma è anche partecipare alla sua storia, condividere i suoi valori, i suoi progetti, le sue fatiche, così è per la Famiglia Salesiana. Appartenere ad essa è una scelta, è una vocazione alla quale si risponde e da quel momento si cresce insieme, si creano e si rinvigoriscono legami, si sogna insieme, si progetta insieme, si costruisce insieme, ci si sostiene, ci si AMA. È questo fare Famiglia!

Già nel 2009 il Successore di don Bosco del tempo, don Pascual Chavez, diceva con forza: “A questa Famiglia faccio il pressante invito ad acquisire una nuova mentalità, a pensarsi ed agire sempre come Movimento, con intenso spirito di comunione (concordia), con convinta volontà di sinergia (unità di intenti), con matura capacità di lavorare in rete (unità di progetti)”.

Non, allora, un’aggregazione di Gruppi che, come monadi, vivono in modo auto-referenziale, ignorando il cammino degli altri, quanto piuttosto la risposta ad una chiamata a vivere in piena comunione, realizzando una vera rivoluzione copernicana! Si tratta di poter avvertire, quando si entra a far parte di un gruppo salesiano, che non si è soli, che in primo luogo si entra a far parte di una Famiglia, di un Movimento di spiritualità apostolica, che poi si specifica in una particolare modalità di vivere lo stesso dono. Si tratta di imparare a riconoscersi come parte di un insieme e a comprendere che, camminando e operando in sinergia con gli altri, ci si arricchisce tutti e si possono ottenere migliori risultati. Si tratta di imparare a riconoscere le ricchezze dei carismi degli altri, di impegnarsi a far crescere non solo il proprio, ma anche gli altri Gruppi e a costruire una comunione fatta di rispetto delle specificità di ognuno, di collaborazione, di apprezzamento per tutti.

Don Bosco ha veramente avuto un’intuizione originale e affascinante: unire le forze per una missione più efficace!

In una lettera al cardinale Giovanni Cagliero (27 aprile 1876), infatti, don Bosco scriveva: “Una volta poteva bastare l’unirsi insieme nella preghiera, ma oggidì che sono tanti i mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo i sessi, è mestieri unirsi nel campo dell’azione e operare”.

E ancora nel Bollettino Salesiano del gennaio 1878, rivolgendosi ai cooperatori: “Bisogna unirci tra noi e tutti con la Congregazione. Uniamoci dunque con il mirare allo stesso fine e con lo usare gli stessi mezzi per conseguirlo. Uniamoci dunque come una sola famiglia con i vincoli della fraterna carità”.

Questo, “lavorare insieme” non sempre vuol dire, però, lavorare “gomito a gomito”, non vuol dire avere un’uniformità di intervento, non vuol dire fare tutti la stessa cosa, ma saper leggere insieme i contesti personali e sociali dei giovani, saper trovare strategie possibili di intervento per raggiungere obiettivi condivisi, sapersi coordinare, in sinergia, nella reciprocità, nella responsabilità comune e di ognuno.

Come in qualsiasi famiglia, anche nella Famiglia di Don Bosco ognuno ha il suo ruolo, ma tutti sono protesi a raggiungere i medesimi traguardi. Ogni gruppo ha il suo specifico, che va rispettato e valorizzato; ha la sua caratterizzazione che non esaurisce da sola il carisma che lo Spirito ha donato attraverso don Bosco alla Chiesa e al mondo, ma ne mette in luce aspetti sempre nuovi ed originali. Nessuno, d’altra parte, può dirsi “proprietario” del carisma, ma semplicemente custode! Nella Famiglia Salesiana si può dire che ogni gruppo è incompleto senza l’altro. Tutto questo mi fa pensare a un volto di don Bosco realizzato con tante tessere di un puzzle: se mancano alcuni pezzi, i tratti della figura saranno deturpati, il volto non potrà riconoscersi. Le tessere unite mostreranno un don Bosco completo.

Insieme, in comunione, per vivere la missione! Così tutti i Gruppi possono collaborare alla formazione e all’approfondimento carismatico; possono, partendo dalle situazioni concrete, programmare insieme e promuovere un impegno condiviso nel territorio dove ognuno possa offrire la propria “specializzazione”; possono lavorare in rete in spirito fraterno, per risultare più efficaci.

Sappiamo bene come oggi sia urgente impegnarsi per un mondo più giusto e più umano; come sia necessario indicare orizzonti di speranza a tanti giovani; come sia indispensabile testimoniare solidarietà, unità, comunione in una società costantemente tentata a chiudersi nel privato.

Sì, questa è veramente una bella Famiglia!

Voglio cantare il mio grazie a don Bosco che, disponibile allo Spirito Santo, ha gettato un seme nella terra. Quel seme ha germogliato, è diventato una grande pianta con tanti rami, foglie, fiori: … un unico grande albero.

Ora so che chiunque senta la stessa passione di don Bosco, lo stesso desiderio di farsi missione per i giovani, i poveri, gli ultimi, troverà il suo posto tra le sue fronde e contribuirà a rendere il mondo più bello.

Giuseppina BELLOCCHI




Dalla Croazia all’Etiopia: Il sogno missionario di don Bosco continua

Dalla Croazia all’Etiopia: Il sogno missionario di don Bosco continua

            Testimonianza di Josip Ivan SOLDO sdb, missionario di don Bosco croato inviato in Etiopia, tra i membri della 151esima spedizione missionaria. La chiamata missionaria nasce all’interno della vocazione salesiana come un invito ad uscire ed andare ovunque il Signore ci chiama.

            Mi chiamo Josip SOLDO, sono un salesiano croato nato in Bosnia-Herzegovina.

            Inizio dicendo che la mia famiglia ha da sempre avuto un ruolo importante nella mia vita: ho tre fratelli e due sorelle, di cui una è mia gemella, sono molto orgoglioso dei miei sedici nipoti, mia madre Veronica è ancora viva mentre mio padre è morto nel 2006.

            Se ripenso alla mia storia vocazionale, posso dire che sin da piccolo ho sentito il desiderio di diventare sacerdote, già a cinque anni ero chierichetto e ho mantenuto questo servizio fino alla scuola media. In adolescenza, però, mi sono allontanato dalla Chiesa, mantenendo soltanto la tradizione di andare a messa la domenica e andandomi a confessare, ma senza un reale interesse e coinvolgimento.

            Intorno ai 24-25 anni è iniziata la mia conversione, a quel tempo lavoravo in una ditta di fast-food e ho sentito il bisogno di riavvicinarmi a Dio, leggendo la Bibbia nelle pause dal lavoro. La Parola di Dio pian piano scendeva nel mio cuore e io mi sentivo confuso, ero un giovane “normale”, amavo andare in discoteca, uscire con gli amici e divertirmi con loro, farmi notare dalle ragazze, sperando poi di trovare un giorno l’anima gemella. L’incontro con un sacerdote salesiano mi ha cambiato la vita e ho preso la decisione di approfondire il carisma di Don Bosco con il desiderio di diventare un giorno salesiano sacerdote. Per due anni sono stato nella comunità del pre-noviziato; avevo bisogno di conoscere veramente Don Bosco perché i Salesiani non sono presenti dove vivevo, basti pensare che nel mio paese mi chiedevano se i Salesiani fossero parte della Chiesa Cattolica pensando che fossero invece una setta. L’idea di aiutare i giovani poveri, educarli per una vita migliore e avvicinarli a Cristo mi affascinò da subito.

            Dal 2016 mi sono trasferito in Italia, a Roma, dove sono rimasto per tre anni, prima nel noviziato di Genzano, dove l’8 Settembre 2017 ho emesso i miei primi voti da religioso, e poi nella Comunità di San Tarcisio per gli studi di filosofia presso l’Università Pontificia Salesiana. Dentro di me sentivo forte il desiderio di andare oltre, di andare lontano, ma non ero ancora maturo per prendere una decisione seria e difficile, come la vita missionaria. Rientrato in Croazia per il tirocinio, ho capito che i miei dubbi, le mie incertezze, le mie paure, il non sentirmi all’altezza o l’inesperienza non potevano frenarmi dalla disponibilità a diventare missionario. Dio lavora attraverso di noi anche quando non siamo consapevoli e non possiamo fare affidamento solo sulle nostre, limitate, forze umane, Lui usa le nostre debolezze, le nostre piccole sfumature per far vedere la sua grandezza. Tante volte mi era capitato di prepararmi bene per gli incontri con i ragazzi e poi spesso loro non si ricordavano nulla dell’incontro, però mi raccontavano di quanto fossero significative per loro le cose dette in momenti informali, di cui spesso io neanche mi rendevo conto. Ho capito che Dio non ha bisogno di supereroi ma di “servi inutili” che hanno nel cuore il desiderio di servirLo e così ho scritto la mia domanda al Rettor Magiore per essere salesiano missionario, ad gentes, ad vitam ad exteros.

            Proprio nell’anno in cui è iniziata la pandemia del Covid, ho ricevuto la risposta dalla Casa Generalizia: missionario con destinazione Etiopia! Il primo passo è stato imparare la pazienza, tra le limitazioni dovute alla situazione sanitaria e le lentezze della burocrazia per ottenere i documenti necessari. Nel frattempo, ho svolto il mio tirocinio nelle comunità di Spalato e di Zagabria, due esperienze diverse in cui ho avuto la possibilità di conoscere tanti confratelli santi e giovani che mi hanno mostrato il volto e la voce di Dio.

            Finalmente, all’inizio di settembre dello scorso anno sono arrivato in Etiopia! Al “Bosco Children” di Addis Abeba ho potuto stare in mezzo ai ragazzi: molti di loro provengono dalla strada, i Salesiani danno loro una seconda opportunità accogliendoli nel centro, ci sono ragazzi rifugiati, ragazzi che sono dovuti fuggire dalle loro città o dalle loro case, altri sono nati e sempre vissuti in strada. Noi Salesiani offriamo loro la possibilità di avere una vita nuova, attraverso l’istruzione, l’alloggio e tutto ciò che è necessario per una vita degna di un essere umano. I ragazzi entrati nel programma del Bosco Children vivono lì per due-tre anni finché non sono pronti per essere reintegrati nella loro famiglia o nella società. Un altro servizio che ho svolto quest’anno è stata la costruzione del sito internet (boscochildren.com), grazie all’aiuto e al sostegno di alcuni bravi confratelli dalla Croazia e il movimento giovanile croato chiamato Nova Eva. Avendo avuto esperienza come cuoco in passato, mi è stato proposto di fare il pane con i ragazzi: ogni giorno preparavamo il pane per tutto il centro e la comunità, con il sogno di aprire un giorno una vera panetteria con posti di lavoro e corsi di formazione. Per il resto, il nostro centro è una “Valdocco ad Addis Abeba”: fattoria con conigli, galline e mucche, scuola per meccanici-auto, falegnameria, metalmeccanici, elettricisti, cucina, sartoria… tutto ciò per educare i nostri ragazzi e prepararli alla vita.

            Lo shock culturale per me è stato abbastanza forte: il cibo diverso, una lingua che non potevo imparare subito, gli usi e costumi di una nuova cultura… vivevo tante emozioni, provavo nervosismo e spesso volevo isolarmi.

            Devo ringraziare il Settore per le Missioni della Congregazione per il corso di formazione per missionari appena concluso perché è stata un’occasione in cui dare un nome a questi shock, vedere che anche gli altri missionari vivono le stesse sfide e che il processo di inculturazione non è facile. Nonostante le difficoltà, io sento nel cuore il forte desiderio di andare avanti e di spingermi oltre per vincere me stesso, con il tempo so che capirò che nella vita missionaria il Signore non chiede molto, “Lui chiede tutto” per darti tutto.

            La mia formazione verso il sacerdozio continua attraverso l’inizio degli studi in teologia, prima di tornare in missione, sicuramente ci saranno nuove sfide, ma ci sarà anche la gioia di essere lì dove il Signore mi vuole, la pienezza nel sapere che quello che faccio è la volontà di Dio. Adesso sento che non c’è nulla che può riempire il cuore così come lo fa il Signore quando ti trovi lì dove Lui ti vuole, quando sai che la tua vita trova la pienezza di senso nel suo piano Divino, e la speranza che non ti lascerà mai dalle sue mani fino al paradiso, dove spero di essere un giorno insieme a tanti fratelli.

A consegnato: Marco FULGARO