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Don Xavier Ernst, nato in Belgio nel 1981, è il nuovo superiore dell’Ispettoria Francia-Belgio Sud. Cresciuto in una famiglia con una sorella adottiva con sindrome di Down, ha scoperto la vocazione durante un ritiro, colpito dalla vicinanza di Don Bosco ai giovani. Dopo la formazione tra Spagna, Belgio e Roma, è stato ordinato sacerdote nel 2013 a Liegi. Attraverso il linguaggio simbolico del ciclismo, tanto caro alla sua esperienza personale, don Xavier racconta il servizio del Provinciale come un ministero di accompagnamento interamente orientato ai giovani. La sua ispettoria affronta sfide importanti: vocazioni, accompagnamento degli anziani e riconfigurazione delle presenze. In una Francia e Belgio secolarizzati, nota un risveglio spirituale tra i giovani che cercano autenticità e profondità. Il suo obiettivo resta fedele a Don Bosco: l’opzione preferenziale per i più poveri, puntando su esperienze di incontro personale con Cristo.
Può farci un’autopresentazione?
Sono nato il 30 ottobre 1981 a Verviers, in Belgio, venti minuti dopo mio fratello gemello, Samuel. Ho seguito gli studi di operatore sociale e ho lavorato per due anni come educatore, prima presso un centro terapeutico per adolescenti a Bruxelles, poi presso un luogo di vita per ragazzi a rischio. Ho fatto il noviziato in Spagna e pronunciato i primi voti il 16 agosto 2005 a Granada. Dopo aver studiato filosofia a Burgos, sono tornato in Belgio, a Bruxelles, per due anni di tirocinio. Per la teologia sono andato di nuovo all’estero: a Roma, in Italia. Sono stato ordinato diacono al Sacro Cuore, con i compagni di Gerini. Ho svolto il servizio diaconale presso la parrocchia salesiana di Liegi, dove sono stato ordinato sacerdote il 20 maggio 2013. Dopo quattro anni trascorsi nella pastorale della scuola e della parrocchia di Liegi, sono stato chiamato a essere delegato ispettoriale per la Pastorale Giovanile in Francia e Belgio-Sud. Negli ultimi tre anni facevo anche servizio come parroco del santuario nazionale San Giovanni Bosco a Parigi.
Caro Padre Xavier, questa volta è in testa al plotone dei salesiani di Francia e Belgio. Per un campione come Lei è un giusto riconoscimento e un onore. La maglia gialla è sua. Questo Tour speciale lo vinceremo?
No, la maglia gialla non è mia, ma sarà sempre dei giovani! Oppure questa maglia non sarà salesiana! In un Grande Tour si parla molto di chi vince, ma ci sono anche tutti coloro che, silenziosamente, rendono possibile la vittoria. Penso in particolare ai “portatori d’acqua” che, durante le salite dei passi di alta montagna, fanno infiniti viaggi avanti e indietro tra le macchine della squadra e i campioni per portare loro acqua e dissetarli. Mi piace pensare al servizio del Provinciale come a un portatore d’acqua che va all’incontro di quelli che hanno sete. La fatica sarà sempre sopportabile se permetterà ai giovani a noi affidati di riportare la vittoria del Paradiso.
Ci può raccontare qualcosa della sua vita (bicicletta compresa)?
Devo tanto alla vita: i miei genitori, la loro scelta di aver adottato una sorella che ha la sindrome di Down (quindi ha qualcosa in più di me: il cromosoma della gioia). Magali non vincerà mai nessuna gara ciclistica, ma ha già conquistato la vittoria più bella: quella dell’Amore. Ho avuto la fortuna di crescere in una famiglia amorevole con tre fratelli e una sorella. Oggi mi diverto molto con i miei nipoti.
Devo molto anche ai miei nonni, che avevano una fede profondamente radicata nel cuore e nel corpo. Mio nonno, che era anche mio padrino, andava sempre in bici fino agli 80 anni. Mi ricordo quando ero piccolo: mi accompagnava con la mano dietro la schiena per aiutarmi a superare la salita del suo villaggio. Quando il Rettore Maggiore chiede spesso “chi è il tuo Cafasso?” per ricordare l’importanza del direttore spirituale, io penso a questa immagine della mano di mio nonno che sostiene, che accompagna, che dà forza… senza prendere il manubrio per me.
Questo plotone familiare incarna perfettamente lo spirito di famiglia tanto caro a Don Bosco.
Com’è finito nella squadra salesiana?
Ho incontrato Don Bosco e lo spirito salesiano durante un ritiro presso una casa salesiana di spiritualità a Farnières, in Belgio. Sono stato colpito da una vignetta a fumetti con l’immagine di Giovanino che diceva al suo accompagnatore don Calosso: “Più tardi sarò prete, ma non come tutti quei preti lontani dai giovani, ai quali non osiamo avvicinarci, che incutono rispetto per paura e timore”. In Don Bosco ho trovato le mie aspirazioni più profonde che crescevano dentro di me: la vocazione di sacerdote-educatore, vivendo in comunità, tra i giovani, con il motto: “educare evangelizzando ed evangelizzare educando”.
Per la sua ispettoria franco-belga ci sono molte salite e difficili tratti di pavé?
Eh sì! La sfida più grande è sia la pastorale vocazionale sia l’accompagnamento dei fratelli più anziani. Dobbiamo anche riconfigurare le nostre presenze di comunità salesiane: prendere la difficile decisione di chiudere alcune case e, magari, di aprirne altre.
La Francia amava moltissimo don Bosco, forse anche per la sua faccia onesta da montanaro savoiardo, e don Bosco ricambiava con tutto il cuore. Come sono visti i Salesiani, oggi?
Esiste un legame intrinseco tra Don Bosco e la Francia: in primo luogo, perché adottò il nome “salesiano” da un santo savoiardo francese. In secondo luogo, viaggiò molto in tutta la Francia, predicando e raccogliendo ingenti fondi per le sue opere di carità, tra cui la costruzione della Basilica del Sacro Cuore. Don Bosco è molto conosciuto nella Chiesa di Francia e Belgio. Molti luoghi e centri giovanili portano il suo nome, anche se non sono salesiani. I Salesiani, affiancati da numerosi laici impegnati, sono apprezzati per la loro presenza tra i giovani, in particolare nel sistema scolastico e nella rete di azione sociale.
Quali sono le opere di punta della sua Ispettoria?
Tra Nizza in Francia, dove Don Bosco inviò i primi quattro salesiani nel 1875 (due giorni prima di inviare i missionari in Patagonia), e Liegi in Belgio, che è l’ultima casa voluta da Don Bosco durante la sua vita, sono numerose le opere salesiane di punta in Francia e in Belgio: sono tutte quelle che restano fedeli al nostro Fondatore accogliendo i giovani più poveri! Il Capitolo Generale 29 lo ha ribadito con forza: l’opzione preferenziale per i più poveri deve rimanere il nostro criterio prioritario. Vorrei sottolineare la nostra ultima presenza aperta in Guadalupa, nel dipartimento più povero della Francia.
Che cosa pensa dei giovani del Belgio e della Francia?
In una società fortemente secolarizzata, stiamo assistendo a una sorta di “risveglio spirituale”. In un mondo in cui tutto è considerato uguale, i giovani desiderano ardentemente guida, profondità e autenticità. Stanno anche dimostrando grande generosità nel loro impegno per varie cause. In un contesto di paura dell’altro, i giovani hanno il gusto dell’incontro e del superamento dei pregiudizi.
Quali sono i piani per una “fuga” decisiva? Su che cosa deve puntare la pastorale giovanile?
Per vincere una gara ciclistica ci sono strategie ben studiate, ma non sempre funzionano: ci sono anche mosse vincenti dettate da una buona intuizione, come il soffio dello Spirito Santo che nessuno si aspettava. A mio avviso, la nostra pastorale giovanile deve concentrarsi su esperienze di incontro personale con Cristo, esperienze sinodali che coinvolgano giovani e adulti di diverse vocazioni, esperienze che permettano la diversità socio-culturale tra i giovani.
Qual è il traguardo?
Il traguardo è il Paradiso. Come disse Don Bosco ai suoi giovani caduti in battaglia: “Vi aspetto tutti in Paradiso”. Ma questo Paradiso, questa vita eterna, questo Regno di Dio si vive già qui e ora.

