26 Ott 2025, Dom

Nella scia di don Bosco: il Beato Michele Rua (1837-1910)

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«Faremo sempre a metà!»
            A 9 anni Michele (già orfano di padre) fu ammesso alla prima Comunione. Si manifestava un ragazzino pio, serio e diligente. Andando o tornando da scuola, Michele incontrava qualche volta don Bosco. Gli correva incontro con gioia, gli baciava la mano e gli domandava: «Me la dà un’immagine?». Don Bosco, come se non avesse sentito, gli metteva sorridendo la sua berretta da prete in testa, gli porgeva la palma sinistra della mano, e con la destra faceva un gesto come per tagliarla a metà: «Prendi, Michelino, gli diceva, prendi!». Michelino rimaneva sconcertato. Stringeva quella mano e pensava: «Che vorrà dire?». Il 3 ottobre 1852, durante la gita che i migliori giovani dell’Oratorio facevano ogni anno ai Becchi per la festa della Madonna del Rosario, Don Bosco gli fece indossare l’abito ecclesiastico. Michele aveva 15 anni. La sera, tornando a Torino, Michele vinse la timidezza e chiese a Don Bosco: «Si ricorda dei nostri primi incontri? Io le chiesi una medaglia, e lei fece un gesto strano, come se volesse tagliarsi la mano e darmela, e mi disse: “Noi due faremo tutto a metà”. Che cosa voleva dire?». E lui: «Ma caro Michele, non l’hai ancora capito? Eppure è chiarissimo. Più andrai avanti negli anni, e meglio comprenderai che io volevo dirti: Nella vita noi due faremo sempre a metà. Dolori, cure, responsabilità, gioie e tutto il resto saranno per noi in comune». Michele rimase in silenzio, pieno di silenziosa felicità: Don Bosco, con parole semplici, l’aveva fatto suo erede universale.
È tradizionale e ben assodata la lettura della figura di don Rua nella luce di don Bosco: è Don Bosco che lo accoglie da ragazzo, lo accompagna nella formazione al sacerdozio, lo forma come educatore e responsabile di una società di educatori. Forse più sorprendente è il ruolo svolto da don Rua nel condividere la chiamata di don Bosco nell’inizio e nel consolidamento dell’opera salesiana. Una scelta fatta fin dai primi anni di permanenza all’oratorio, riaffermata in alcune svolte decisive e maturata con una dedizione e una consegna senza ritorni e senza incertezze. Una comunanza e una sintonia di vita maturate in un vissuto quotidiano di gioie e di dolori, di impegni e di responsabilità, di comunicazione e di collaborazione che non solo segna in modo carismatico l’opera salesiana, ma la caratterizza nel suo futuro sviluppo, in quella fioritura vocazionale che vedrà proprio nel rettorato di don Rua un’espansione impressionante.

Discepolo fidato di don Bosco
            Inseritosi nell’ambiente di Valdocco come studente solerte e generoso, presto leader riconosciuto dell’Oratorio, Michele Rua è presente fin dall’inizio della fondazione Società Salesiana, provenendo dalle file di quel vivaio di vocazioni e di santità giovanile che è la Compagnia dell’Immacolata, fondata da S. Domenico Savio. Questi primi Salesiani si mettono al servizio dei giovani: giornate estenuanti di oratorio, corsi serali, lezioni, assistenza, prove teatrali, di ginnastica o di musica, ricreazioni movimentate, studi, frequenza ai sacramenti. Hanno davanti a sé il luminoso esempio di don Bosco: «Traevo maggior profitto, affermerà più tardi Michele Rua, nell’osservare don Bosco, anche nelle sue azioni più umili, che a leggere e meditare un trattato di ascetica». Nello spirito di un’obbedienza alla volontà di Dio, vissuta nella consegna incondizionata alla mediazione di don Bosco, Michele Rua matura non solo attraverso le diverse responsabilità, che in numero sempre maggiore vanno a posarsi sulle sue spalle, ma soprattutto in quel clima di fiducia e di intensità spirituale, che lo porteranno, in modo quasi naturale e da tutti riconosciuto, a diventare il degno successore di don Bosco. Michele divenne il principale collaboratore del santo, nonostante la giovane età. Ne conquistò la totale fiducia, aiutandolo anche nel trascrivere le bozze dei suoi libri, sovente di notte, rubando le ore al sonno. Di giorno si recava all’oratorio s. Luigi, dalle parti di Porta Nuova, in una zona piena di immigrati. Rua, facendo catechismo e insegnando le elementari nozioni scolastiche, conobbe infinite storie di miseria. Già in questi anni incomincia a sollevare don Bosco da alcune incombenze, mentre gli va dimostrando giorno dopo giorno di averne intuito il valore, percepito gli ideali e di essere disponibile a condividere le sollecitudini carismatiche e fondazionali.
Il 28 luglio 1860, don Rua viene ordinato sacerdote. Don Bosco gli dà certi avvertimenti per iscritto: «Tu vedrai meglio di me l’Opera Salesiana valicare i confini dell’Italia e stabilirsi in molte parti del mondo. Avrai molto da lavorare e molto da soffrire; ma, tu lo sai, solo attraverso il mar Rosso e il deserto si arriva alla Terra Promessa. Soffri con coraggio; e, anche quaggiù, non ti mancheranno le consolazioni e gli aiuti da parte del Signore». La breve, ma significativa esperienza di giovane direttore del collegio di Mirabello (1863-1865), lo vede capace di riportare lo stile e lo spirito di Valdocco in questa prima presenza salesiana fuori Torino. Fra i preziosi consigli che gli dà don Bosco, si nota la preoccupazione di evitare al giovanissimo direttore di ventisei anni lo scoglio dell’attivismo e della mancanza di sollecitudine per le sofferenze fisiche o morali di coloro di cui sarà incaricato. La cronaca dei Salesiani indicherà: «Don Rua si comporta a Mirabello come qui don Bosco. Lo si vede continuamente circondato dagli alunni conquistati dalla sua gentilezza o dal desiderio di sentirlo parlare di mille soggetti interessanti».
Richiamato a Valdocco dopo due anni, don Rua si impone come validissimo primo collaboratore sia nella vita quotidiana dell’oratorio e del collegio, sia nelle diverse imprese avviate da don Bosco: dall’impegno profuso nel seguire i lavori della costruzione e inaugurazione della chiesa di Maria Ausiliatrice (1865-1868), che lo porteranno in fin di vita, al seguire con certosina pazienza il lungo iter redazionale delle Costituzioni della Società di San Francesco di Sales (1858-1874). Anche nelle aspre controversie con mons. Gastaldi (1872-1882) si distingue per la calma, per uno stile d’intervento equilibrato e sempre proteso alla mediazione che spiega, giustifica o semplicemente tace. Affronta gli innumerevoli compiti grazie alla sua mente tanto ordinata quanto metodica, alla padronanza dei nervi, alla memoria prodigiosa, alla tenacia nel lavoro, alla capacità che ha di farsi aiutare, ma soprattutto perché ama don Bosco e lo vuol aiutare. Si adopera per rendere tutta la sua giornata una preghiera continua. La sua azione si svolge sotto lo sguardo di Dio e di Maria.
Nella messa in opera del progetto missionario (1875- 1877), che troverà uno sviluppo miracoloso nel suo rettorato don Rua è il primo e più attivo collaboratore del protagonista assoluto (don Bosco), e nella celebrazione dei primi quattro Capitoli Generali (1877-1886), tenutisi vivente don Bosco, dà il suo ampio e competente contributo. Il decennio 1878-1888 è certamente il periodo più intenso e pieno di responsabilità di don Rua. Quanto più don Bosco avanza negli anni, tanto più crescono le responsabilità del Prefetto, sempre più Vicario di fatto, infine anche di diritto. Don Rua salesiano maturo ed esperto di governo diventa, forte della sua lunga esperienza e della stima goduta presso tutti, l’erede carismatico ed istituzionale del carisma di don Bosco che porterà frutti copiosi alla vita della Chiesa e della società.

Successore fedele di don Bosco
            Nel 1888 don Michele Rua, su richiesta dei suoi confratelli, viene confermato dalla Santa Sede nella carica di Rettor Maggiore. L’eredità è pesante. Il governo delle istituzioni fondate da don Bosco – la Società Salesiana, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e la Pia Unione dei Cooperatori Salesiani – non si presenta facile. Nonostante gli entusiasmi suscitati dalla figura carismatica del Fondatore, la situazione appare fragile sotto molti punti di vista. È necessaria un’opera sistematica di consolidamento dei percorsi formativi, di rafforzamento dell’identità propria, di organizzazione del governo e di coordinamento delle attività. È importante gestire i delicati rapporti con i governi nazionali e la società civile, in un tempo di tensioni sociali e di contrapposizioni ideologiche. Inoltre è necessario rispondere alle crescenti attese riposte sulla missione educativa salesiana.
Divenuto Rettor Maggiore della Società Salesiana e primo successore di don Bosco, don Rua ne è il fedele interprete, realizzatore, consolidatore e continuatore del carisma in tutte le sue dimensioni, con un obiettivo molto chiaro fin dall’inizio del suo mandato: «L’altro pensiero che mi rimase fisso in mente, fu che noi dobbiamo stimarci ben fortunati di essere figli di un tal Padre. Perciò nostra sollecitudine dev’essere di sostenere e a suo tempo sviluppare ognora più le opere da lui iniziate, seguire fedelmente i metodi da lui praticati ed insegnati, e nel nostro modo di parlare e di operare e cercare di imitare il modello, che il Signore nella sua bontà ci ha in lui somministrato. Questo, o Figli carissimi, sarà il programma che io seguirò nella mia carica; questo pure sia la mira e lo studio di ciascuno dei Salesiani».
Per questo diventa missionario e viaggiatore instancabile, percorrendo tantissimi chilometri, visita le case della congregazione sparse per il mondo, coordinandole come una sola grande famiglia. Diceva che i suoi viaggi gli avevano fatto vedere la “povertà ovunque”. I salesiani toglievano dalla strada molti bambini, aprendo oratori e scuole che, pur nella loro semplicità, diventavano in poco tempo centri di accoglienza e istruzione. Fu un grande innovatore in campo educativo: oltre alle scuole, in cui introdusse corsi professionali, organizzò ostelli e circoli sociali. Come responsabile della congregazione affrontava con scrupolo le questioni amministrative che a volte lo portavano ad essere severo con i suoi collaboratori. Ardente apostolo della devozione al Sacro Cuore di Gesù, don Rua scrive ai Salesiani: «Tale devozione è tutto quel che c’è di più salesiano, poiché è al Sacro Cuore del nostro Maestro che andremo ad attingere, nella nostra qualità di educatori, l’amore purissimo della gioventù, la dolcezza e l’indulgenza che devono accompagnare le nostre parole e le nostre azioni, la pazienza nelle contrarietà e le tribolazioni connesse con il nostro compito, lo spirito di sacrificio e lo zelo delle anime».
Nel suo governo don Rua ha come punto di riferimento don Bosco e il suo carisma, la tradizione salesiana, le costituzioni e i regolamenti, le deliberazioni dei Capitoli Generali, gli insegnamenti della chiesa, la legge civile dei paesi dove i salesiani vivono e lavorano, i bisogni dei giovani e le esigenze dei tempi. Nella sua animazione don Rua è sempre attento ad avvertire i salesiani di tutti i pericoli che possono minacciare la stabilità della Congregazione e allo stesso tempo richiama la loro attenzione agli ideali che devono perseguire e vivere nel concreto della storia. Nell’area decisionale da espressione allo spirito di don Bosco aggiornando le Costituzioni Salesiane e i Regolamenti, le strutture di governo e la multiforme varietà di fondazioni salesiane sparse in tutto il mondo. Strumenti di tale azione di governo sono: i Capitoli Generali (CG) che decide di tenere a Valsalice presso la tomba di don Bosco in modo che il Capitolo stesso possa essere un’esperienza di sintonia carismatica con don Bosco, del suo spirito e del suo metodo pastorale ed educativo; il Capitolo Superiore che punta a dare concrete espressioni istituzionali al carisma di don Bosco rispetto a strutture, persone, regole, spiritualità, linee guide d’azione, presenza nella chiesa e nel mondo.
Don Rua proietta lo stile dell’azione del suo governo a tutti i livelli: mondiale, ispettoriale, locale. Il suo è un governo compatto, centrato sulla figura del Rettor Maggiore, il quale, secondo lo spirito salesiano di famiglia, agisce gerarchicamente e collegialmente assieme agli altri superiori. Soprattutto si tratta di un governo carismatico ed esemplare: don Rua stesso è una persona carismatica ed esemplare, vale a dire che governa con il buon esempio, essendo un vero modello. Don Rua non proietta sé stesso, ma don Bosco e il suo carisma sempre e dovunque: davanti ai suoi salesiani, davanti alla Chiesa e alle società civili. Perciò si può dire che mentre governa con l’intelligenza, il suo governo è ancor più rafforzato dalla santità e dalla qualità morale della persona.
Frutti di tale animazione e di tale governo sono: l’espansione delle fondazioni salesiane quasi sempre aperte con la povertà di mezzi e scarsità di personale e in molti luoghi con situazioni molto difficili; le spedizioni missionarie inviate a sostenere e portare a pieno sviluppo le opere già aperte e a tentare delle nuove aperture, in particolare tra i popoli non ancora evangelizzati. Nei suoi 22 anni di governo don Rua aumenta le fondazioni salesiane: dalle 64 case presenti alla morte di don Bosco si arriva a 341 case nel 1910, l’anno della morte di don Rua. Quando don Rua assume la guida della congregazione ci sono solo 6 ispettorie, nel 1910 aumentano fino a 34.
Altro frutto di questa azione benedetta dall’alto e sostenuta da un impegno indefesso è la crescita delle vocazioni. In tale prospettiva don Rua applica il metodo della motivazione assidua, degli appelli e richiami frequenti, dei rimproveri persuasivi, approvando e lodando ogni iniziativa per realizzare l’obiettivo di coltivare vocazioni. Per don Rua l’eccellenza di qualsiasi opera salesiana consiste nella sua capacità di promuovere delle vocazioni, è ciò è indice della fedeltà al carisma di don Bosco, oltre che ad essere segno della fecondità del sistema pastorale e pedagogico salesiano. Non si stanca mai di raccomandare ai salesiani di condurre una vita esemplare e di tendere alla perfezione nella vita quotidiana come mezzo preminente per attirare delle vocazioni. Alla morte di don Bosco i salesiani sono 768, alla morte di don Rua salgono a 4001 salesiani professi e 371 novizi. A questa opera di promozione vocazionale si accompagna un’azione stabilizzatrice dei processi formativi, con l’istituzione dei centri di formazione: noviziati e studentati filosofici e teologici.
Ne risulta un superiore dotato di una insolita capacità di seguire le vicende locali, di indicare con coraggio soluzioni o suggerimenti, pieno di rispetto e, nello stesso tempo, determinato, dopo aver esaminato con cura le situazioni. Dietro quest’interesse si intravede un Padre, Maestro, Amico preoccupato del bene massimo, cioè della fedeltà al carisma donato tramite don Bosco alla chiesa e alla società per favorire la maturazione dei giovani come «buoni cristiani e onesti cittadini». Questa opera di governo e di animazione trovava la sua sorgente nella fedeltà a don Bosco e al suo carisma, attraverso la mediazione delle Costituzioni e dei Regolamenti, l’esperienza vissuta della vita salesiana comunitaria, il contatto diretto con i suoi scritti o nell’originale o nella traduzione e l’accostamento con quelli che erano vissuti al suo fianco. Don Rua è convinto che l’insistere con i salesiani a vivere in comunione stretta con la persona e la figura di don Bosco sia un mezzo sicuro per superare l’individualismo, l’isolamento e le tendenze liberali visibili nella società esterna, per rafforzare un forte senso di appartenenza alla congregazione e per creare comunità salesiane oranti, armoniose, fraterne ed apostoliche, unite sotto i direttori e saldamente legate all’ispettore, al Rettor Maggiore e al Capitolo Superiore.
Al beato Rua, tra molte soddisfazioni (nel 1907 don Bosco fu dichiarato venerabile, nel 1908 si terminò la chiesa romana di Maria Liberatrice), non mancarono certo prove e difficoltà. Nel 1895, un sacerdote salesiano viene assassinato da un alunno mezzo pazzo. Cinque mesi dopo, Monsignor Lasagna, una delle massime speranze della Società salesiana, il suo segretario e quattro suore di Maria Ausiliatrice, sono vittime di un incidente ferroviario. Quattro anni più tardi, un’inondazione distrugge, in Argentina, le realizzazioni materiali di dieci anni di opere missionarie. Nel 1896 il governo anticlericale dell’Ecuador allontanò dal paese i salesiani. In Francia, in occasione della promulgazione della legge detta delle Associazioni (2 giugno 1901), il governo esige la chiusura e l’alienazione degli istituti salesiani. Nel 1907, uno scandalo legato al buon costume viene inventato di sana pianta in un convitto a Varazze e solleva una violenta tempesta contro i Salesiani in tutta l’Italia. Tale vicenda minerà seriamente la sua salute e affetterà la fine della vita.
Concludiamo con un breve passaggio della magistrale omelia tenuta da Paolo VI in occasione della beatificazione (29 ottobre 1972) e che merita di essere letta nella sua interezza. «Chi è Don Rua? È il primo successore di Don Bosco, il Santo Fondatore dei Salesiani. E perché adesso Don Rua è beatificato, cioè glorificato? É beatificato e glorificato appunto perché suo successore, cioè continuatore: figlio, discepolo, imitatore; il quale ha fatto con altri ben si sa, ma primo fra essi, dell’esempio del Santo una scuola, della sua opera personale un’istituzione estesa, si può dire, su tutta la terra; della sua vita una storia, della sua regola uno spirito, della sua santità un tipo, un modello; ha fatto della sorgente, una corrente, un fiume».

Per conoscere la figura e l’opera del beato Michele Rua
Francis Desramaut, Vita di don Michele Rua. Primo successore di don Bosco. LAS, Roma 2009.
Teresio Bosco, Don Michele Rua, Elledici, Torino 2009.
Francesco Motto (a cura), Don Michele Rua nella storia (1837-1910), LAS, Roma 2011.
Associazione cultori storia salesiana, Don Michele Rua primo successore di don Bosco, LAS, Roma 2012.

P. Pierluigi CAMERONI

Salesiano di Don Bosco, esperto di agiografia, autore di vari libri salesiani. È il Postulatore Generale della Società Salesiana di san Giovanni Bosco