Un milione di bambini pregano il Rosario

“Se un milione di bambini pregherà il Rosario, il mondo cambierà” (San Pio da Pietrelcina – Padre Pio)

            Ogni anno, nel mese di ottobre, un’onda di preghiera si diffonde in tutto il mondo, unendo bambini di diverse nazionalità, culture e background in un unico, potente gesto di fede. Questa straordinaria iniziativa, intitolata “Un milione di bambini pregano il Rosario”, è diventata un appuntamento annuale atteso da molti, che incarna la speranza di un futuro migliore attraverso la preghiera e la devozione dei più giovani.

Origini e significato dell’iniziativa
           
L’idea di questa iniziativa è nata nel 2005 a Caracas, capitale del Venezuela, quando un gruppo di bambini si era riunito per pregare il Rosario di fronte a un’immagine della Santissima Vergine Maria. Molte delle donne ivi presenti hanno percepito fortemente la presenza della Vergine Maria, e si ricordarono della profezia di san Pio da Pietrelcina(Padre Pio): «Quando un milione di bambini pregherà il Rosario, il mondo cambierà». Quella frase, apparentemente semplice, esprimeva la profonda convinzione che la preghiera dei più piccoli ha una speciale capacità di toccare il cuore di Dio e influenzare positivamente il mondo.
Ispirate da questa esperienza e dalle parole di Padre Pio, queste donne decisero di trasformare quell’immagine in realtà. Iniziarono organizzando eventi di preghiera locali, invitando i bambini a recitare il Rosario. L’iniziativa crebbe rapidamente, superando i confini del Venezuela e diffondendosi in altri paesi dell’America Latina.
            Nel 2008, l’iniziativa attirò l’attenzione della Fondazione Pontificia “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS), un’organizzazione cattolica internazionale che sostiene la Chiesa in difficoltà in tutto il mondo. Riconoscendo il potenziale di questa campagna di preghiera, l’ACS decise di adottarla e promuoverla a livello globale, con l’intento di coinvolgere un milione di bambini nel recitare il Rosario, una delle preghiere più antiche e amate della tradizione cristiana cattolica.
            Sotto la guida dell’ACS, “Un milione di bambini pregano il Rosario” si è trasformata in un evento mondiale. Ogni anno, il 18 ottobre, bambini di tutti i continenti si uniscono in preghiera, recitando il Rosario per la pace e l’unità nel mondo. La data del 18 ottobre non è casuale: è il giorno in cui la Chiesa cattolica celebra la festa di San Luca evangelista, noto per la sua particolare attenzione alla Vergine Maria nei suoi scritti.

Il Rosario: preghiera mariana e simbolo di pace
           
Il Rosario è una preghiera molto antica, incentrata sulla riflessione sui misteri della vita di Gesù e di Maria, sua madre. Si compone di ripetizioni di preghiere come l’Ave Maria, il Padre Nostro e il Gloria al Padre, e permette ai fedeli di meditare sui momenti centrali del cammino di Cristo sulla terra. Questa pratica non è solo una forma di devozione individuale, ma ha una forte dimensione comunitaria e di intercessione, tanto che in molte apparizioni mariane, come quelle di Fatima e Lourdes, la Madonna ha espressamente chiesto ai bambini la recita del Rosario come mezzo per ottenere la pace nel mondo e la conversione dei peccatori.
            Il Rosario, essendo ripetitivo, permette anche a bambini piccoli, spesso incapaci di seguire preghiere complesse o letture lunghe, di partecipare attivamente e di comprendere il significato della preghiera. Attraverso il semplice atto di ripetere le parole dell’Ave Maria, i bambini si uniscono spiritualmente alla comunità globale dei fedeli, intercedendo per la pace e la giustizia nel mondo.

La dimensione spirituale e educativa
           
L’iniziativa si svolge ogni anno il 18 ottobre, anche se molti gruppi, parrocchie e scuole scelgono di prolungarla per tutto il mese, dedicato tradizionalmente alla Madonna del Rosario.
            Nel giorno dell’evento, i bambini si riuniscono in vari luoghi: scuole, chiese, case private o spazi pubblici. Spesso, i bambini vengono istruiti su come si recita il Rosario e sui significati spirituali dei vari misteri, in modo che possano partecipare con consapevolezza e fede. Sotto la guida di adulti – genitori, insegnanti o leader religiosi – i bambini recitano insieme il Rosario. Molte comunità organizzano eventi speciali intorno a questa preghiera, come canti, letture bibliche o brevi riflessioni adatte ai più giovani.
            Alcune parrocchie organizzano vere e proprie celebrazioni, durante le quali i bambini portano corone del Rosario fatte a mano o realizzate con materiali creativi, per esprimere la loro partecipazione in maniera attiva e coinvolgente. L’iniziativa si conclude con la celebrazione di una Santa Messa speciale dedicata alla Madonna del Rosario e alla pace nel mondo.
            “Un Milione di bambini pregano il Rosario” non è solo un momento di preghiera, ma anche un’opportunità educativa. Molte scuole e gruppi pastorali utilizzano questo evento per insegnare ai bambini i valori della pace, della solidarietà e della giustizia sociale. Attraverso il Rosario, i piccoli imparano l’importanza di affidare le loro preoccupazioni e le sofferenze del mondo a Dio, e comprendono che la pace comincia nei loro cuori e nelle loro famiglie.
            Inoltre, l’iniziativa cerca di far comprendere ai bambini l’universalità della Chiesa e della fede cristiana. Sapere che, contemporaneamente, migliaia di altri bambini in ogni parte del mondo stanno pregando la stessa preghiera crea un senso di comunità globale e di fraternità, che va oltre le barriere linguistiche, culturali e geografiche.

Il valore della preghiera dei bambini
           
La preghiera dei bambini è spesso vista come particolarmente potente nella tradizione cristiana, per la loro innocenza e purezza di cuore. Nella Bibbia, Gesù stesso invita i suoi discepoli a guardare ai bambini come esempio di fede: “In verità vi dico, se non cambierete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt. 18,3).
            I bambini, con il loro cuore aperto e sincero, sono capaci di pregare con una fiducia totale in Dio, senza dubbi o riserve. Questa fiducia e semplicità rendono la loro preghiera particolarmente efficace agli occhi di Dio. Inoltre, la preghiera dei bambini può avere un forte impatto anche sugli adulti, richiamandoli a una fede più pura e profonda.

L’impatto globale
           
Negli anni, “Un milione di bambini pregano il Rosario” ha visto una partecipazione crescente, coinvolgendo milioni di bambini in oltre 140 paesi. Nel 2023, oltre un milione di bambini si sono uniti in preghiera, pregando in particolare per la pace in Terra Santa e per altre intenzioni urgenti.
            L’evento ha anche attirato l’attenzione dei media in vari paesi, contribuendo a diffondere un messaggio di speranza e unità in un mondo spesso dominato da notizie negative. I social media sono diventati uno strumento importante per promuovere l’iniziativa e condividere esperienze. Hashtag come #MillionChildrenPraying e #ChildrenPrayingTheRosary sono diventati virali in molti paesi, creando un senso di comunità globale tra i partecipanti.
            L’iniziativa “Un milione di bambini pregano il Rosario” ha ricevuto il sostegno di molti leader della Chiesa cattolica, inclusi i Papi. Papa Francesco, in particolare, ha espresso più volte il suo apprezzamento per questa campagna, sottolineando l’importanza della preghiera dei bambini per la pace nel mondo.
            Al di là dell’ambito religioso, l’iniziativa ha attirato l’attenzione di educatori e psicologi, che hanno sottolineato i benefici di coinvolgere i bambini in attività che promuovono la riflessione, la compassione e un senso di connessione globale.

Obiettivi della Campagna
La campagna “Un milione di bambini pregano il Rosario” ha diversi obiettivi chiave:
Educazione Spirituale: Insegnare ai bambini l’importanza della preghiera e del Rosario come parte integrante della loro vita spirituale, per crescere nella fede.
Onorare la Vergine Maria: L’iniziativa rafforza la devozione mariana, elemento centrale della fede cattolica.
Imparare a pregare insieme: L’evento crea un senso di unità e solidarietà tra i partecipanti, superando barriere geografiche e culturali.
Promuovere la pace nel mondo: La preghiera dei bambini è vista come un potente strumento per invocare la pace in un mondo spesso afflitto da conflitti e divisioni.
Sensibilizzare sulle sfide globali: Attraverso la preghiera, i bambini vengono incoraggiati a riflettere sulle problematiche mondiali e sul loro ruolo nel creare un futuro migliore.

Come partecipare
Partecipare all’iniziativa è molto semplice. Basta:
Informarsi: Visitare il sito ufficiale di ACS per scaricare i materiali gratuiti, come locandine, storie illustrate e guide per la preghiera.
Organizzare un momento di preghiera: Scegliere un’ora per pregare il Rosario, il 18 di ottobre (o un altro giorno più vicino se non fosse possibile proprio il 18). Può essere fatto in gruppo o individualmente.
Coinvolgere i bambini: della propria famiglia, della scuola o della parrocchia in un momento di preghiera comune. Spiegare ai bambini l’importanza della preghiera e il significato del Rosario. Incoraggiarli a partecipare attivamente.
Iscriversi online: Registrare la propria partecipazione sul sito di ACS per far sentire la propria voce e contribuire a raggiungere l’obiettivo di un milione di bambini.
Condividere l’esperienza: Condividere foto, video e testimonianze sui social media utilizzando l’hashtag #MillionChildrenPraying. Questo aiuta a creare una comunità globale di preghiera.

“Un Milione di bambini pregano il Rosario” è un’iniziativa straordinaria che dimostra il potere della preghiera e l’importanza della fede. Attraverso la preghiera del Rosario, i bambini di tutto il mondo possono unirsi in una comunità globale di fede, portando speranza e pace. Uniamoci a loro in questa grande catena di preghiera e contribuiamo a costruire un mondo più bello.




Il serpente e il Rosario (1862)

I parte

            Il 20 agosto 1862 recitate le preghiere della sera D. Bosco, dopo dati alcuni avvisi spettanti l’ordine della casa, disse:

            – Voglio contarvi un mio sogno fatto poche notti sono. (Deve essere la notte che precedeva la festa dell’Assunzione di Maria SS.)
            Sognai di trovarmi con tutti i giovani a Castelnuovo d’Asti a casa di mio fratello. Mentre tutti facevano ricreazione, viene a me uno ch’io non sapeva chi fosse, e mi invita ad andar con lui. Lo seguii e mi menomai in un prato attiguo al cortile e là mi indicò fra l’erba un serpentaccio lungo sette od otto metri e di una grossezza straordinaria. Inorridii a tal vista e voleva fuggirmene:
            – No, no, mi disse quel tale; non fugga; venga qui e veda.
            – E come, risposi, vuoi che io osi avvicinarmi a quella bestiaccia? Non sai che è capace d’avventarmisi addosso e divorarmi in un istante?
            – Non abbia paura non le recherà alcun male; venga con me.
            – Ah! non son così pazzo di andarmi a gettare in tal pericolo.
            – Allora, continuò quello sconosciuto, si fermi qui! E poi andò a prendere una corda e con questa in mano ritornò presso di me e disse:
            – Prenda questa corda per un capo e lo tenga ben stretto fra le mani; io prenderà l’altro capo e andrò alla parte opposta e così sospenderemo la corda sul serpente.
            – E poi?
            – E poi gliela lasceremo cadere attraverso la schiena.
            – Ah! no, per carità! Perché, guai se noi faremo questo. Il serpe salterà su indispettito e ci farà a pezzi.
            – No, no; lasci fare da me.
            – Là, là! Io non voglio prendermi questa soddisfazione che può costarmi la vita. E già me ne voleva fuggire. Ma quel tale insistette di nuovo, mi assicurò che non avevo di che temere, che il serpe non mi avrebbe fatto male alcuno e tanto disse che io rimasi e acconsentii a far il suo volere. Egli intanto passò dall’altra parte del mostro, alzò la corda e poi con questa diede una sferzata sulla schiena del serpe. Il serpente fa un salto volgendo la testa indietro per mordere ciò che l’aveva percosso, ma invece di mordere la corda, resta da essa allacciato come in cappio corsoio. Allora mi gridò quell’uomo:
            – Tenga stretto, tenga stretto e non lasci sfuggire la corda. E corse ad un pero che era là vicino, e legò a quello il capo di corda che aveva tra le mani: corse quindi da me, mi tolse il mio capo di corda e andò a legarlo all’inferriata di una finestra della casa. Frattanto il serpente si dimenava, si dibatteva furiosamente e dava giù tali colpi in terra colla testa e colle immani sue spire, che si lacerava le sue carni e ne faceva saltare i pezzi a grande distanza. Così continuò finché ebbe vita; e morto che fu, più non rimase di lui che il solo scheletro spolpato.
            Morto il serpente, quel medesimo uomo slegò la corda dall’albero e dalla finestra, la trasse a sé, la raccolse, ne formò come un gomitolo e poi mi disse:
            – Stia attento neh! Così mise la corda in una cassetta che chiuse e poi dopo qualche istante aprì. I giovani erano accorsi attorno a me. Gettammo l’occhio dentro alla cassetta e fummo tutti stupiti. Quella corda si era disposta in modo che formava le parole Ave Maria!
            – Ma come vai ho detto. Tu hai messa quella corda nella cassetta così alla rinfusa ed ora è così ordinata.
            – Ecco, disse colui; il serpente figura il demonio, e la corda l’Ave Maria o piuttosto il Rosario che è una continuazione di Ave Maria, colla quale e colle quali si possono battere, vincere, distruggere tutti i demoni dell’inferno.
            Fin qui, concluse D. Bosco, è la prima parte del sogno. V’è n’è un’altra parte, la quale sarà, ancor più curiosa e interessante per tutti. Ma l’ora è già tarda e perciò differiremo a contarla domani a sera. Frattanto teniamo in considerazione ciò che disse quel mio amico riguardo all’Ave Maria ed al Rosario. Recitiamola devotamente ad ogni assalto di tentazione, sicuri di uscirne sempre vittoriosi. Buona notte!

            E qui domandiamo che ci si permettano alcuni commenti, giacché D. Bosco non diede su questa scena alcuna interpretazione.
            Il pero di cui si tratta nel sogno è quello stesso al quale D. Bosco fanciullo aveva tante volte attaccata una fune, assicurandone l’altra estremità ad un secondo albero poco distante, per intrattenere coi giuochi di ginnastica i conterrazzani e così obbligarli ad ascoltare i suoi catechismi. Questo pero ci pare di poterlo raffrontare con quella pianta, della quale si legge nel Cantico dei Cantici, al Capitolo II, versicolo 3. Sicut malus inter ligna silvarum, sic dilectus meus inter filios (Come un melo tra gli alberi del bosco, così l’amato mio tra i giovani, Cant. 2,3). Il Tirino e molti altri celebri commentatori della Sacra Scrittura, notano che il melo è qui posto per qualunque pianta che porti frutto. Simile pianta, che spande un’ombra gradita e salubre, è un simbolo di Gesù Cristo, della, sua croce, dalla virtù della quale viene l’efficacia della preghiera e la sicurezza della vittoria. Sarà questo il motivo pel quale un capo della corda, fatale al serpe, è primieramente assicurato al pero? E l’altra estremità annodata alle spranghe della finestra non può essere indizio che all’abitante di quella casa ed ai suoi figli era affidata la missione di propagare la pratica del Rosario.
            E D. Bosco da tempo l’aveva intesa.
            Egli ai Becchi ne aveva istituita la festa annuale; ogni giorno volle che ne fosse recitata una terza parte dagli alunni di tutte le sue case; e colle prediche e colle stampe cercò di rimetterne l’antica usanza nelle famiglie. Ei reputava essere il Rosario un’arma che avrebbe data la vittoria non solo agli individui, ma anche alla Chiesa. Perciò dai suoi discepoli furono poi pubblicate tutte le Encicliche di Leone XIII su questa preghiera così cara a Maria; e col Bollettino Salesiano caldeggiarono l’esecuzione dei voti del Vicario di Gesù Cristo.

Reverendissimo Padre (Don Rua),

Tornato a Roma dal Congresso Eucaristico di Napoli, apprendo con molto piacere che l’esortazione diretta ai Parroci nel Bollettino Salesiano incomincia a portare frutti. Rendo perciò le migliori grazie alla S. V. R.ma, e Le accerto che Ella ha fatto opera ben gradita al Santo Padre, il quale tanto desidera che si tengano vive le sue Encicliche sul Rosario, mediante l’erezione della Confraternita sotto lo stesso titolo.
Ai sentimenti di riconoscenza aggiungo per altro una preghiera; ed è che a quando a quando rinnovi con poche linee la memoria ai parroci e Rettori di Chiese, acciocché la dimenticanza non faccia loro perdere di vista la fondazione della Confraternita dei S. Rosario.
E Dio prosperi sempre la S. V. R.ma della quale rimango
Dev.mo Oss.mo Servo in G. Maria

Roma, Palazzo S. Uffizio, 27 novembre 1891.
                        † Fr. VINCENZO LEONE SALLUA, Comm. Gle.
Arcivescovo di Calcedonia.

II parte

            – Il domani 22 agosto, lo pregammo più volte a volerci raccontare se non in pubblico, almeno in privato quella parte di sogno che aveva taciuta. Non voleva accondiscendere. Dopo però molte suppliche si piegò e disse che alla sera avrebbe ancor parlato del sogno. Così fece. Dette le orazioni, incominciò:

            Dietro molte vostre istanze racconterò la seconda parte del sogno.
Se non tutta, almeno vi dirò quel tanto che potrò raccontarvi. Ma prima debbo premettere una condizione, cioè che nessuno scriva o dica fuori di casa quello che io racconterò. Parlatene tra di voi, ridetene, fatene tutto quel che volete, ma fra di voi soli.
            Mentre adunque io e quel personaggio parlavamo della corda, del serpente e dei loro significati, mi volgo indietro e vedo giovani che raccoglievano di quei pezzi di carne del serpente e mangiavano. Io allora gridai subito:
            – Ma che cosa fate? Pazzi che siete! Non sapete che quella carne è velenosa e vi farà molto male?
            – No, no, mi rispondevano i giovani: è tanto buona!
            Ma intanto, mangiato che avevano, cadevano in terra, gonfiavano e restavano duri come pietra. Io non sapeva darmi pace, perché non ostante quello spettacolo altri e altri giovani continuavano a mangiare. Io gridava all’uno, gridava all’altro; dava schiaffi a questo, pugni a quello, cercando di impedire che mangiassero: ma inutilmente. Qui uno cadeva, là un altro si metteva a mangiare. Allora chiamai i chierici in aiuto e dissi loro che si mettessero in mezzo ai giovani e si adoperassero in ogni modo perché più nessuno mangiasse di quella carne. Il mio ordine non ottenne l’effetto desiderato, che anzi alcuni degli stessi chierici si misero a mangiare le carni del serpe e caddero egualmente che gli altri. Io era fuori di me stesso, allorché vidi tutto intorno a me un gran numero di giovani distesi per terra in quello stato miserando.
            Mi rivolsi allora A quello sconosciuto e gli dissi:
            – Ma che cosa vuol dire ciò? Questi giovani conoscono che quella carne reca loro la morte, tuttavia la vogliono mangiare! E perché?
            Egli rispose: – Sai bene: che animalis homo non percipit ea quae Dei sunt. (l’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio, Cor 2,14)
            – Ma e ora non c’è più rimedio per riaver di nuovo questi giovani?
            – Sì che c’è
            – Quale sarebbe?
            – Non vi è altro che l’incudine ed il martello.
            – L’incudine? il martello? E che cosa fare di tali cose?
            – Bisogna sottoporre i giovani alle azioni di questi strumenti.
            – Come? Debbo forse io metterli su di un’incudine e poi batterli con un martello?
            Allora l’altro spiegando il suo pensiero, disse:
            – Ecco; il martello significa la confessione; l’incudine la S. Comunione: bisogna fare uso di questi due mezzi. Mi misi all’opera e trovai giovevolissimo questo rimedio, ma non per tutti. Moltissimi ritornavano in vita e guarivano, ma per alcuni il rimedio fu inutile. Questi sono coloro che non facevano buone confessioni.

            Come i giovani si furono ritirati nelle camerate, io chiesi privatamente a D. Bosco perché il suo ordine ai chierici, di impedire ai giovani che mangiassero le carni del serpe, non avesse ottenuto l’effetto desiderato. Mi rispose:
            – Non fui obbedito da tutti: anzi vidi alcuni degli stessi chierici, come ho già detto, a mangiare quelle carni”.
            Questi sogni in buona sostanza rappresentano la realtà della vita e colle parole e fatti di D. Bosco manifestano lo stato intimo di una, di cento comunità, ove in mezzo a preziosissime virtù si trovano non poche miserie. E non è da farne le meraviglie. Pur troppo che il vizio di sua natura si espande assai più che la virtù, quindi la necessità di una vigilanza continua.
            Qualcuno potrebbe osservare che sarebbe stato conveniente attenuare od anche omettere qualche descrizione troppo disgustosa, ma non è tale il nostro parere. Se la storia deve effettivamente adempiere al suo nobile ufficio di maestra della vita, essa deve descrivere la vita passata quale fu realmente, acciocché le future generazioni possano non solo trarre coraggio e fervore dalle virtù di quelli che li precedettero, ma al tempo stesso dai loro mancamenti ed errori imparino con quale prudenza debbano regolarsi. Una narrazione che rappresenti un lato solo della realtà storica non può condurre che ad un falso concetto. Errori e difetti altre volte commessi, quando non siano conosciuti o non riconosciuti come tali, torneranno ad essere commessi, senza emendazione. Una malintesa apologia, non giova nulla ai benevoli e non converte i mal disposti, potendo sola una franchezza illimitata generare credito e fiducia.
            Quindi noi per esporre tutto il nostro pensiero, diremo di vantaggio come D. Bosco avesse dato al sogno le spiegazioni più ovvie all’intelligenza de’ giovani, ma che però altre ne lasciava travedere di non minore importanza. Non le svelò perché forse in quel momento non li riguardavano. Infatti nei sogni lo vediamo tratteggiare non solo il presente, ma anche l’avvenire lontano, come in quello della Ruota e in altri che verremo esponendo. Ma intanto le carni imputridite di quel mostro non potrebbero indicare scandalo che fa perdere la fede, lettura di libri immorali, irreligiosi? Che cosa indica la disobbedienza al Superiore, la caduta, la gonfiezza, la durezza come di pietra, se non colpa, superbia, ostinazione, malizia?
            È il veleno che in loro ha trasfuso quel cibo maledetto, quel dragone descritto da Giobbe nel Capo XLI, che asseriscono i Santi Padri essere figura di Lucifero. Il versicolo 15° dice così: Il cuore di lui è duro come la pietra. E cosi diventa il cuore dei miseri avvelenati, ribelle e ostinato nel male. E quale sarà il rimedio a tale durezza? D. Bosco si esprime con un simbolo alquanto oscuro, ma che in sostanza indica un aiuto soprannaturale. A noi sembra che si possa spiegare così: Essere necessario che la grazia preveniente, ottenuta colla preghiera e coi sacrifici dei buoni, accenda i cuori induriti e li renda malleabili; che i due sacramenti, cioè il martello dell’umiltà e l’incudine dell’eucaristia sulla quale il ferro riceve una forma costante, artistica per essere poi temperato, possano esercitare la loro efficacia divina; che il martello che batte, e l’incudine che sostiene, concorrano insieme a compiere l’opera che nel nostro caso è la riforma di un cuore ulcerato, ma divenuto docile. Ed è allora che questo, circondato come da un nimbo di splendenti scintille, ritorna ad essere quel che era una volta.
            Espressa così la nostra idea, ripigliamo le cronache. Colla protezione di Maria SS., D. Bosco era sicuro nel sostenere e vincere gli urti del nemico infernale, e quindi preparava i suoi alunni alla festa della Natività della Madre di Dio. Il 29 agosto diede il primo fioretto e quindi altri cinque nelle sere successive. D. Bonetti li trascrisse.

            1° Tutti facciamo uno sforzo per passar questa novena senza commettere alcun peccato, né mortale né veniale.
            2° Dare un buon consiglio ad un amico.
            Egli la sera dopo lo diede pure a tutti in generale e disse che ci facessimo una generosa violenza per correggere i nostri cattivi abiti mentre siamo ancora giovani; e che avessimo coi superiori una grande confidenza, sia nelle cose dell’anima, sia anche nelle cose del corpo.
            3° Pensare se sia bene di fare una confessione generale, e ciò per quelli che non l’hanno ancor fatta; quelli che l’hanno già fatta procurino di recitare un atto di contrizione per tutti i peccati della vita passata.
            4° Ci raccontò quello che disse una volta Don Cafasso ad un brentatore, il quale gli aveva domandato qual cosa piacesse più alla Madonna. Interrogò egli il brentatore: – Quale è la cosa che molto piace alle madri?
            L’altro rispose:
            – Alle madri molto piace che si accarezzino i loro figli.
            – Bravo, riprese D. Cafasso; hai risposto bene. Se adunque vuoi fare una cosa molto gradevole alla Madonna, fa molte carezze al suo Divin figliuolo Gesù, prima col mezzo di una santa Comunione, quindi col tener lontano dal tuo cuore ogni sorta di peccato anche solo veniale. – Così disse D. Cafasso a quel tale e così io dico a voi tutti.
(MB VII, 238-239.242-245)




Il Beato Alberto Marvelli. Un faro di fede e impegno sociale nel XX secolo

Nel panorama dei grandi testimoni di fede del XX secolo, il nome di Alberto Marvelli risplende come un esempio luminoso di dedizione cristiana e impegno sociale. Nato a Ferrara nel 1918 e vissuto nella Rimini del dopoguerra, Alberto ha incarnato i valori del Vangelo attraverso una vita spesa al servizio dei più deboli e bisognosi. Beatificato da Papa Giovanni Paolo II nel 2004, la sua figura continua a ispirare giovani e adulti nel cammino della fede e dell’azione sociale.

Un’infanzia di valori e spiritualità
Alberto Marvelli nacque il 21 marzo 1918, secondo di sette figli di Alfredo Marvelli e Maria Mayr. La famiglia, profondamente cristiana, instillò in lui fin da piccolo valori di fede, carità e servizio. La madre, in particolare, ebbe una grande influenza sulla sua formazione spirituale, trasmettendogli l’amore per la preghiera e l’attenzione verso i bisognosi. La famiglia Marvelli era nota per la generosità e l’ospitalità, spesso aprendo la propria casa a chiunque avesse bisogno.
Durante gli anni del liceo a Rimini, Alberto si distinse non solo per l’eccellenza negli studi, ma anche per l’impegno nelle attività sportive e sociali. Appassionato di ciclismo e atletica, vedeva nello sport un mezzo per rafforzare il carattere e promuovere valori come la lealtà e la disciplina.

Gli anni universitari e la vocazione sociale
Iscritto alla Facoltà di Ingegneria Meccanica dell’Università di Bologna, Alberto affrontò gli studi con serietà e passione. Ma oltre all’impegno accademico, dedicò tempo ed energie all’Azione Cattolica, movimento che giocò un ruolo fondamentale nella sua crescita spirituale e nel suo impegno sociale. Organizzava gruppi di studio, incontri spirituali e progetti di volontariato, coinvolgendo i colleghi universitari in iniziative a favore dei meno fortunati.
La sua camera divenne un luogo di ritrovo per discussioni su tematiche sociali e religiose. Qui, Alberto incoraggiava i compagni a riflettere sul ruolo dei laici nella Chiesa e nella società, promuovendo l’idea che ogni cristiano è chiamato a essere testimone attivo del Vangelo nel mondo.

La guerra: prova di fede e coraggio
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Alberto fu chiamato alle armi. Anche nell’ambiente militare, non smise di testimoniare la propria fede, condividendo con i commilitoni momenti di preghiera e offrendo sostegno morale in un periodo di grande incertezza e paura.
Dopo l’8 settembre 1943, con l’armistizio italiano, tornò a Rimini, trovando una città devastata dai bombardamenti e dall’occupazione nazista. In questo contesto drammatico, Alberto si impegnò attivamente nella Resistenza, aiutando prigionieri alleati ed ebrei a fuggire dalle mani dei nazisti. Rischiò la propria vita in numerose occasioni, mostrando un coraggio straordinario e una fede incrollabile.

La carità senza confini
Una delle immagini più emblematiche di Alberto è quella che lo vede girare in bicicletta per le strade distrutte di Rimini, carico di cibo, vestiti e medicine da distribuire a chi ne aveva bisogno. La sua bicicletta divenne simbolo di speranza per molti cittadini. Non faceva distinzioni tra le persone: aiutava italiani, stranieri, amici e nemici, vedendo in ognuno il volto di Cristo sofferente.
Aprì le porte della propria casa agli sfollati, organizzò mense per i poveri e si adoperò per trovare alloggi a chi era rimasto senza casa. La sua dedizione era totale e incondizionata. Come scrisse nel suo diario: “Ogni povero è Gesù. Ogni atto di carità è un atto d’amore verso di Lui”.

La vita interiore e la spiritualità profonda
Nonostante gli impegni sociali e politici, Alberto non trascurò mai la propria vita spirituale. Partecipava quotidianamente all’Eucaristia, dedicava tempo alla preghiera e alla meditazione, e si affidava costantemente alla Provvidenza divina. Il suo diario personale rivela una profonda unione con Dio e un desiderio ardente di conformarsi alla volontà divina in ogni aspetto della sua vita.
Scriveva: “Dio è la mia felicità infinita. Devo essere santo altrimenti nulla”. Questa tensione verso la santità permeava ogni suo gesto, piccolo o grande che fosse. La confessione regolare, l’adorazione eucaristica e la lettura delle Sacre Scritture erano per lui momenti imprescindibili di crescita spirituale.

L’impegno politico come forma di carità
Nel dopoguerra, Alberto si impegnò attivamente nella ricostruzione morale e materiale della società. Entrò a far parte della Democrazia Cristiana, vedendo nella politica un mezzo per promuovere il bene comune e la giustizia sociale. Per lui, la politica era una forma alta di carità, un servizio disinteressato alla comunità.
Come assessore ai Lavori Pubblici di Rimini, lavorò instancabilmente per migliorare le condizioni abitative dei meno abbienti, promosse la ricostruzione di scuole e ospedali, e sostenne iniziative per il rilancio economico della città. Rifiutò qualsiasi forma di corruzione o compromesso morale, mettendo sempre al centro le esigenze delle persone più vulnerabili.

Testimonianze di una vita straordinaria
Molte sono le testimonianze di chi conobbe Alberto personalmente. Amici e colleghi ricordano il suo sorriso, la sua disponibilità e la capacità di ascolto. Era solito dire: “Non possiamo amare Dio se non amiamo i nostri fratelli”. Questa convinzione si traduceva in gesti concreti, come ospitare in casa propria famiglie sfollate o rinunciare al proprio pasto per darlo a chi aveva fame.
Il suo stile di vita semplice e austero, unito a una profonda gioia interiore, attirava l’ammirazione di molti. Non cercava mai il riconoscimento o la gloria personale, ma agiva sempre con umiltà e discrezione.

La tragedia e la beatificazione
Il 5 ottobre 1946, a soli 28 anni, Alberto morì tragicamente in un incidente stradale mentre si recava in bicicletta a un comizio elettorale. La sua morte improvvisa fu un duro colpo per la comunità. Tuttavia, il suo funerale divenne una manifestazione di affetto e riconoscenza: migliaia di persone si unirono per rendere omaggio a un giovane che aveva dato tutto sé stesso per gli altri.
La fama di santità che circondava la sua figura portò all’avvio del processo di beatificazione negli anni ’90. Il 5 settembre 2004, durante una cerimonia a Loreto, Papa Giovanni Paolo II lo proclamò Beato. La beatificazione non fu solo un riconoscimento personale, ma anche un messaggio per i giovani di tutto il mondo: la santità è possibile in ogni stato di vita, anche nel laicato e nell’impegno sociale e politico.

Eredità e attualità
La figura di Alberto Marvelli continua a essere un punto di riferimento per chiunque desideri coniugare fede e azione sociale. La sua vita testimonia che è possibile vivere il Vangelo nella quotidianità, impegnandosi per la giustizia, la solidarietà e il bene comune. In un’epoca caratterizzata da individualismo e indifferenza, l’esempio di Alberto invita a riscoprire il valore dell’amore verso il prossimo e della responsabilità sociale.
Oggi, diverse associazioni e iniziative portano il suo nome, promuovendo progetti di solidarietà, formazione spirituale e impegno civile. La sua vita è spesso citata come esempio nei percorsi educativi e catechetici, ispirando nuove generazioni a seguire il suo cammino.

Riflessioni finali
Il messaggio di Alberto Marvelli è di straordinaria attualità. La sua capacità di unire fede profonda e azione concreta rappresenta una risposta alle sfide del nostro tempo. Egli dimostra che la santità non è riservata a pochi eletti, ma è un cammino accessibile a chiunque si apra all’amore di Dio e al servizio dei fratelli.
In un passaggio del suo diario, Alberto scriveva: “Ogni giorno è un dono prezioso per amare di più”. Questa frase racchiude l’essenza della sua spiritualità e può essere un faro per tutti coloro che desiderano vivere una vita piena di senso e orientata al bene.

Il Beato Alberto Marvelli rappresenta un modello di santità laicale, un giovane che ha saputo trasformare la propria fede in azioni concrete a favore degli altri. La sua vita, seppur breve, è stata un inno all’amore, alla giustizia e alla speranza. Oggi più che mai, la sua testimonianza invita ognuno di noi a riflettere sul proprio ruolo nella società e sulla possibilità di essere strumenti di pace e di bene nel mondo.

Alberto Marvelli continua a ispirare con la sua vita semplice e straordinaria. Un invito a tutti noi a pedalare, come lui, sulle strade della solidarietà e dell’amore fraterno.