Don Bosco e la lingua italiana

            Il Piemonte del primo ’800 era ancora zona periferica rispetto al resto d’Italia. La lingua parlata era il piemontese. Si ricorreva all’italiano solo in casi particolari, come si indossa un vestito nelle grandi occasioni. Le classi alte usavano piuttosto il francese nello scrivere e ricorrevano al dialetto nella conversazione.
            Nel 1822 re Carlo Felice approvò un Regolamento per le scuole con disposizioni particolari per l’insegnamento della lingua italiana. Tali disposizioni però non furono granché efficaci, dato soprattutto il metodo con cui venivano applicate.
            Non c’è quindi da meravigliarsi se anche a don Bosco l’uso corretto della lingua italiana sia costato non poca fatica. Non per nulla nel manoscritto delle sue Memorie è facile incontrare parole piemontesi italianizzate o parole italiane usate nel significato dialettale come nei casi seguenti:
«Mi accorsi che […] faceva la comparsa di uno sfrosadore» (ASC 132 / 58A7), dove sfrosadore (piemontese: sfrosador) sta per frodatore, e così: «Don Bosco co’ suoi figli poteva ad ogni momento eccitare una rivoluzione» (ASC 132 / 58E4), dove figli (piemontese: fieuj) sta per giovani. E così via.
            Se don Bosco riuscì poi a scrivere con proprietà di linguaggio, unita a semplicità e chiarezza, lo si deve, tra l’altro, al paziente uso del vocabolario consigliatogli da Silvio Pellico (MB III, 314-315).

Una correzione
            Un esempio significativo lo si può avere nella correzione di una frase del primo sogno da lui descritto nelle sue Memorie: «Renditi sano, forte e robusto».
            Don Bosco, rivedendo il manoscritto, tirò una righetta sopra la parola “sano” e scrisse al suo posto: “umile” (ASC 132 / 57A7).
            Che cosa sentì veramente don Bosco in sogno e perché poi cambiò quella parola? Si è parlato di un cambio di significato fatto a scopo didascalico, come pare fosse uso a volte di don Bosco nel narrare e scrivere i suoi sogni. Ma non potrebbe trattarsi invece di una semplice precisazione del significato originale?
            A 9 anni Giovannino Bosco parlava e sentiva solo in piemontese. Aveva appena cominciato a studiare «gli elementi di lettura e scrittura» alla scuola di don Lacqua a Capriglio. In casa e in borgata si usava unicamente il dialetto. In chiesa Giovannino sentiva il Parroco o il Cappellano leggere il Vangelo in latino e spiegarlo in piemontese.
            E quindi più che ragionevole supporre che in sogno Giovannino abbia udito sia «l’Uomo venerando» sia la «Donna di maestoso aspetto» esprimersi in dialetto. Bisogna allora ripensare in dialetto le parole da lui udite nel sogno. Non: «umile, forte, robusto», ma piuttosto: «san, fòrt e robust» nell’accento caratteristico locale.
            In tale circostanza questi aggettivi non potevano avere un significato puramente letterale ma figurato. Ora «san», in senso figurato, vuole dire: senza magagne, retto nella condotta morale, ossia buono (C. ZALLI, Dizionario Piemontese-Italiano, Carmagnola, Tip. di P. Barbié, 2 a ed, 1830, vol. II, p. 330, usato da don Bosco); «fòrt e robust» significano gagliardo e cioè dotato di resistenza in senso fisico e morale (C. ZALLI, o. c., vol. I, 360; vol. II, 309).
            Don Bosco non dimenticherà più quei tre aggettivi «san, fòrt e robust» e quando stenderà le sue Memorie, mentre di primo acchito li tradurrà letteralmente, ripensandoci poi sopra, troverà più opportuno precisare meglio il significato della prima parola. Quel san (= buono) per un ragazzo di 9 anni voleva dire ubbidiente, docile, non capriccioso, non superbietto, in una sola parola: «umile»!
            Si tratterebbe quindi di una precisazione, non di un cambio di significato.

Conferme a questa interpretazione
            Don Bosco, stilando le sue Memorie, pose candidamente l’accento sui difettucci della sua fanciullezza. Due passi presi dalle stesse Memorie lo confermano.
            L’uno riguarda l’anno della prima Confessione e Comunione a cui Mamma Margherita aveva preparato il suo Giovanni: Scrive Don Bosco: «Ritenni e procurai di praticare gli avvisi della pia genitrice; e mi pare che da quel giorno vi sia stato qualche miglioramento nella mia vita, specialmente nella ubbidienza e nella sottomissione agli altri, al che provavo prima grande ripugnanza, volendo sempre fare i miei fanciulleschi riflessi a chi mi comandava o mi dava buoni consigli» (ASC 132 / 60B5).
            L’altro si può trovare poco oltre, dove don Bosco parla delle difficoltà incontrate con il fratellastro Antonio per darsi allo studio. È un particolare per noi divertente ma che tradisce il caratteraccio di Antonio e il caratterino di Giovannino. Antonio dunque gli avrebbe detto un giorno, vedendolo in cucina, seduto al tavolo, tutto intento sui libri: «Voglio finirla con questa grammatica. Io sono venuto grande e grosso e non ho mai veduto questi libri». E don Bosco aggiunge: «Dominato in quel momento dall’afflizione e dalla rabbia, risposi quello che non avrei dovuto. “Tu parli male, gli dissi. Non sai che il nostro asino è più grosso di te e non andò mai a scuola? Vuoi tu divenire simile a lui?” A quelle parole saltò sulle furie, e soltanto colle gambe, che mi servivano assai bene, potei fuggire e scampare da una pioggia di busse e di scappellotti» (ASC 132 / 57B5).
            Questi particolari fanno meglio comprendere il monito del sogno e nello stesso tempo possono spiegare il motivo della «precisazione» linguistica cui abbiamo fatto cenno.
            Nell’interpretare, quindi, i manoscritti di don Bosco sarà utile non dimenticare il problema della lingua, perché don Bosco parlava e scriveva correttamente in italiano, ma la lingua materna era quella in cui egli pensava.
            A Roma l’8 maggio 1887, in un ricevimento in suo onore interrogato quale fosse la lingua che maggiormente gli piaceva, ebbe a dire: «La lingua che più mi piace è quella che m’insegnò mia madre, perché mi costò poca fatica l’impararla e provo con essa maggior facilità a esprimere le mie idee, e poi non la dimentico tanto facilmente come le altre lingue!» (MB XVIII, 325).




Il sogno delle due colonne

Tra i sogni di Don Bosco, uno dei più noti è quello conosciuto con il titolo di «Sogno delle due colonne». Lo raccontò la sera del 30 maggio 1862.

            “Vi voglio raccontare un sogno. È vero che chi sogna non ragiona, tuttavia io, che a voi racconterei persino i miei peccati, se non avessi paura di farvi scappar tutti e far cadere la casa, ve lo racconto per vostra utilità spirituale. Il sogno l’ho fatto sono alcuni giorni.
            Figuratevi di essere con me sulla spiaggia del mare, o meglio, sopra uno scoglio isolato e di non vedere altro spazio di terra, se non quello che vi sta sotto i piedi. In tutta quella vasta superficie delle acque si vede una moltitudine innumerevole di navi ordinate a battaglia, le prore delle quali sono terminate da un rostro di ferro acuto a mo’ di strale, che ove è spinto ferisce e trapassa ogni cosa. Queste navi sono armate di cannoni, cariche di fucili, di altre armi di ogni genere, di materie incendiarie, e anche di libri, e si avanzano contro una nave molto più grossa e più alta di tutte loro, tentando di urtarla col rostro, di incendiarla o altrimenti di farle ogni guasto possibile.
            A quella maestosa nave arredata di tutto punto, fanno scorta molte navicelle, che da lei ricevono i segnali di comando ed eseguiscono evoluzioni per difendersi dalle flotte avversarie. Il vento è loro contrario e il mare agitato sembra favorire i nemici.
            In mezzo all’immensa distesa del mare si elevano dalle onde due robuste colonne, altissime, poco distanti l’una dall’altra. Sovra di una vi è la statua della Vergine Immacolata, ai cui piedi pende un largo cartello con questa iscrizione: — Auxilium Christianorum — sull’altra, che è molto più alta e grossa, sta un’Ostia di grandezza proporzionata alla colonna e sotto un altro cartello colle parole: Salus credentium.
            Il comandante supremo sulla gran nave, che è il Romano Pontefice, vedendo il furore dei nemici e il mal partito nel quale si trovano i suoi fedeli, pensa di convocare intorno a sé i piloti delle navi secondarie per tener consiglio e decidere sul da farsi. Tutti i piloti salgono e si adunano intorno al Papa. Tengono consesso, ma infuriando il vento sempre più e la tempesta, sono rimandati a governare le proprie navi.
            Fattasi un po’ di bonaccia, il Papa raduna per la seconda volta intorno a sé i piloti, mentre la nave capitana segue il suo corso. Ma la burrasca ritorna spaventosa.
            Il Papa sta al timone e tutti i suoi sforzi sono diretti a portar la nave in mezzo a quelle due colonne, dalla sommità delle quali tutto intorno pendono molte ancore e grossi ganci attaccati a catene.
            Le navi nemiche si muovono tutte ad assalirla e tentano ogni modo per arrestarla e farla sommergere. Le une cogli scritti, coi libri, con materie incendiarie di cui sono ripiene e che cercano di gettarle a bordo; le altre coi cannoni, coi fucili e coi rostri: il combattimento si fa sempre più accanito. Le prore nemiche l’urtano violentemente, ma inutili riescono i loro sforzi e il loro impeto. Invano ritentano la prova e sciupano ogni loro fatica e munizione: la gran nave procede sicura e franca nel suo cammino. Avviene talvolta che, percossa da formidabili colpi, riporta ne’ suoi fianchi larga e profonda fessura, ma non appena è fatto il guasto spira un soffio dalle due colonne e le falle si richiudono e i fori si otturano.
            E scoppiano intanto i cannoni degli assalitori, si spezzano i fucili, ogni altra arma ed i rostri; si sconquassano molte navi e si sprofondano nel mare. Allora i nemici furibondi prendono a combattere ad armi corte; e colle mani, coi pugni, colle bestemmie e colle maledizioni.
            Quand’ecco che il Papa, colpito gravemente, cade. Subito coloro, che stanno insieme con lui, corrono ad aiutarlo e lo rialzano. Il Papa è colpito la seconda volta, cade di nuovo e muore. Un grido di vittoria e di gioia risuona tra i nemici; sulle loro navi si scorge un indicibile tripudio. Senonché appena morto il Pontefice un altro Papa sottentra al suo posto. I Piloti radunati lo hanno eletto cosi subitamente, che la notizia della morte del Papa giunge colla notizia dell’elezione del successore. Gli avversari incominciano a perdersi di coraggio.
            Il nuovo Papa sbaragliando e superando ogni ostacolo, guida la nave sino alle due colonne e giunto in mezzo ad esse, la lega con una catenella che pendeva dalla prora ad un’àncora della colonna su cui stava l’Ostia; e con un’altra catenella che pendeva a poppa la lega dalla parte opposta ad un’altra àncora appesa alla colonna su cui è collocata la Vergine Immacolata.
            Allora succede un gran rivolgimento. Tutte le navi che fino a quel punto avevano combattuto quella su cui sedeva il Papa, fuggono, si disperdono, si urtano e si fracassano a vicenda. Le une si affondano e cercano di affondare le altre. Alcune navicelle che hanno combattuto valorosamente col Papa vengono per le prime a legarsi a quelle colonne. •
            Molte altre navi che, ritiratesi per timore della battaglia si trovano in gran lontananza, stanno prudentemente osservando, finché dileguati nei gorghi del mare i rottami di tutte le navi disfatte, a gran lena vogano alla volta di quelle due colonne, ove arrivate si attaccano ai ganci pendenti dalle medesime, ed ivi rimangono tranquille e sicure, insieme colla nave principale su cui sta il Papa. Nel mare regna una gran calma.
            D. Bosco a questo punto interrogò D. Rua: — Che cosa pensi tu di questo racconto?
            D. Rua rispose: — Mi pare che la nave del Papa sia la Chiesa, di cui esso è il Capo: le navi gli uomini, il mare questo mondo. Quei che difendono la grossa nave sono i buoni affezionati, alla santa Sede, gli altri i suoi nemici, che con ogni sorta di armi tentano di annientarla. Le due colonne di salute mi sembra che siano la divozione a Maria SS. ed al SS. Sacramento dell’Eucarestia.
            D. Rua non parlò del Papa caduto e morto e D. Bosco tacque pure su di ciò. Solo soggiunse: — Dicesti bene. Bisogna soltanto correggere un’espressione. Le navi dei nemici sono le persecuzioni. Si preparano gravissimi travagli per la Chiesa. Quello che finora fu, è quasi nulla a petto di ciò che deve accadere. I suoi nemici sono raffigurati nelle navi che tentano di affondare, se loro riuscisse, la nave principale. Due soli mezzi restano per salvarsi fra tanto scompiglio! — Divozione a Maria SS. e frequenza alla Comunione, adoperando ogni modo e facendo del nostro meglio per praticarli e farli praticare dovunque e da tutti.
            Buona notte!”
(M.B. VII, 169-171).

* * *

            Il servo di Dio cardinale Schuster, arcivescovo di Milano, dava tanta importanza a questa visione, che nel 1953, quando fu a Torino come Legato Pontificio al Congresso Eucaristico Nazionale, la notte sul 13 settembre, durante il solenne pontificale di chiusura, sulla Piazza Vittorio, gremita di popolo, diede a questo sogno una parte rilevante della sua Omelia.
            Disse tra l’altro: «In quest’ora solenne, nell’Eucaristica Torino del Cottolengo e di Don Bosco, mi torna in mente una visione profetica che il Fondatore del Tempio di Maria Ausiliatrice narrò ai suoi nel maggio del 1862. Gli sembrò di vedere la flotta della Chiesa battuta qua e là dai flutti di una orribile tempesta; tanto che, ad un certo momento, il supremo condottiero della nave capitana — Pio IX — convocò a consiglio i gerarchi delle navi minori.
            Purtroppo la bufera, che mugghiava sempre più minacciosa, interruppe a mezzo il Concilio Vaticano (è da notare che Don Bosco annunciava questi eventi otto anni prima che avvenissero). Nelle alterne vicende di quegli anni, per ben due volte gli stessi Supremi Gerarchi soccombettero al travaglio. Quando successe il terzo, in mezzo all’oceano furente cominciarono ad emergere due colonne, in cima alle quali trionfavano i simboli dell’Eucaristia e della Vergine Immacolata.
            A quella apparizione il nuovo Pontefice — il Beato Pio X — prese animo e con una salda catena, agganciò la nave Capitana di Pietro a quei due solidi pilastri, calando in mare le ancore.
            Allora i navigli minori cominciarono a vogare strenuamente per raccogliersi attorno alla nave del Papa, e così scamparono dal naufragio.
            La storia confermò la profezia del Veggente. Gli inizi pontificali di Pio X con l’àncora sullo stemma araldico coincisero appunto con il cinquantesimo anno giubilare della proclamazione dogmatica della Concezione Immacolata di Maria, e venne festeggiata in tutto l’orbe cattolico. Tutti noi vecchi ricordiamo l’8 dicembre 1904, in cui il Pontefice in San Pietro circondò la fronte dell’Immacolata d’una preziosa corona di gemme, consacrando alla Madre tutta intera la famiglia che Gesù Crocifisso le aveva commesso.
            Il condurre i pargoli innocenti e gli infermi alla Mensa Eucaristica entrò parimenti a far parte del programma del generoso Pontefice, che voleva restaurare in Cristo tutto quanto l’orbe. Fu così che, finché visse Pio X, non ci fu guerra, ed Egli meritò il titolo di pacifico Pontefice dell’Eucaristia.
            Da quel tempo le condizioni internazionali non sono davvero migliorate; così che l’esperienza di tre quarti di secolo ci conferma che la nave del Pescatore sul mare in burrasca può sperare salvezza solo con l’agganciarsi alle due colonne dell’Eucaristia e dell’Ausiliatrice, apparse in sogno a Don Bosco» (L’Italia, 13 settembre 1953).

            Lo stesso santo card. Schuster, un giorno disse a un Salesiano: «Ho visto riprodotta la visione delle due colonne. Dica ai suoi Superiori che la facciano riprodurre in stampe e cartoline, e la diffondano in tutto il mondo cattolico, perché questa visione di Don Bosco è di grande attualità: la Chiesa e il popolo cristiano si salveranno con queste due devozioni: l’Eucaristia e Maria, Aiuto dei Cristiani».

don ZERBINO Pietro, sdb




Il lavoro dei salesiani nel Maghreb

I Salesiani sono presenti in 136 paesi del mondo, tra cui diversi paesi del Nord Africa, dove dallo scorso anno è stata creata una nuova circoscrizione che abbraccia Tunisia, Marocco ed Algeria.

Quando abbiamo contattato il missionario don Domenico Paternò, prete salesiano, per chiedere di condividerci qualche pennellata della presenza salesiana in Nord Africa, ha voluto iniziare con una riflessione sul Mar Mediterraneo.

Il Mediterraneo non è solo un mare geograficamente molto conosciuto ma è una vera e propria culla di civiltà che attorno ad esso sono cresciute nei millenni dando alla umanità intera contributi di culture, conoscenze, esperienze umane, sociali, politiche che ancora oggi sono oggetto di studio e approfondimento.
Tutti i paesi che sono bagnati da quello che i romani chiamavano “Mare Nostrum” hanno una storia ricchissima e sono tutti portatori in vario modo di ricchezze culturali e naturali importanti.
Inoltre, il Mediterraneo, confine naturale tra Europa e Africa, ha una rilevanza geopolitica e strategica non indifferente.

Se dall’Europa attraversiamo il Mediterraneo, giungiamo nel Maghreb, regione nordafricana che sta conoscendo sempre più il carisma di don Bosco. Lo scorso anno, infatti, è stata ufficialmente creata la Circoscrizione speciale del Africa Nord (“CNA”), il 28 Agosto, festa di sant’Agostino, a cui è stata dedicata la circoscrizione, che comprende Marocco, Algeria e Tunisia. Si tratta di una nuova frontiera missionaria piena di sfide e di opportunità.

Il Maghreb ha chiare radici romane, classiche, era denominato “Afriquia”, dando così il nome a tutto il continente che da qui ha inizio. I figli di don Bosco che, per inciso, sono presenti in quasi tutti i paesi che si affacciano nel Mediterraneo onde per cui hanno costituito la Regione Mediterranea della Congregazione, hanno di recente deciso di sviluppare la loro presenza e il loro servizio tra i giovani di questi paesi. Il Maghreb non è “la parte sbagliata” del Mediterraneo, come dicono soggetti male informati, ma è invece una zona geografica, umana e culturale che non si finisce mai di scoprire ed apprezzare!
I salesiani sono interessati all’educazione dei tantissimi giovani che affollano questi paesi: la popolazione sotto i 25 anni arriva ad essere quasi il 50% della popolazione totale. Si tratta, quindi, di paesi ricchi di speranza e di futuro. Lo scopo dei salesiani e dei loro collaboratori è di sostenere e di sviluppare il sogno di questi giovani.

Un “sogno che fa sognare” ci indica la Strenna del nostro Rettor Maggiore di quest’anno, ricordando il bicentenario del sogno dei nove anni di don Bosco, e se questo è vero nella vita salesiana di ogni luogo, in Maghreb è ancora più vero e significativo. La presenza attuale dei figli di don Bosco vuole concretizzare e attuare il sogno del Fondatore e far sì che i “lupi” possano diventare agnelli non solo pacifici ma costruttori di pace e di sviluppo. Ed ecco che, anche se con religioni diverse, cristiani gli uni e musulmani gli altri, tutti discendenti di Abramo, ci ritroviamo a camminare insieme per il bene dei giovani e delle famiglie che stanno attorno a noi e con noi. La scuola, l’oratorio, la formazione al lavoro, il cortile, la formazione umana e religiosa, la condivisone di gioie e dolori, la conoscenza reciproca e la dignità che ognuno riconosce agli altri, lo spirito di famiglia e collaborazione, tutto questo ci aiuta a camminare insieme e fare concretamente del bene a tutti.
Qual è l’obiettivo dei Salesiani che lavorano in questi paesi?
A questa domanda, la risposta è molto semplice: nel Maghreb i figli di don Bosco ogni giorno si impegnano per il bene comune, ovvero divenire, come voleva don Bosco “onesti cittadini” e “buoni credenti”, ognuno nella sua fede, senza rinunciare alla testimonianza di vita cristiana, nel rispetto della cultura e della religione altrui.

Pur con alcuni elementi comuni, ogni paese ha le sue peculiarità che lo contraddistinguono.

In Marocco i salesiani sono presenti dal 1950 a Kenitra, una grande città sulla costa atlantica tra Rabat e Tangeri.
Il lavoro non manca, in campo educativo, ricreativo, di fede di accoglienza. I salesiani animano scuole di vario livello e tipo: una scuola primaria, una scuola secondaria e un centro di formazione professionale. Si risponde così al bisogno di istruzione e di ricerca di occupazione dei tanti giovani marocchini per dare loro maggiori opportunità nella vita.
Inoltre, vengono organizzate tante attività sportive e associative in linea con il Sistema Preventivo di don Bosco.
La Parrocchia di Cristo Re sostiene la fede della minoranza cristiana ed è frequentata soprattutto da giovani studenti africani che studiano in Marocco e da europei che sono in città. Altre opere specifiche sono due case per giovani migranti, una casa per l’infanzia e la formazione al lavoro delle ragazze. Tutte queste iniziative coinvolgono oltre 1500 persone tra ragazzi, personale, famiglie ed altri destinatari, che sono, tranne la parrocchia, tutti musulmani e tutti uniti nello stile di don Bosco di famiglia inclusiva e di aiuto reciproco. La presenza salesiana in Marocco ha un punto di riferimento nell’arcivescovo di Rabat, il cardinale salesiano Cristóbal López Romero, già missionario in Paraguay, prima di approdare in Marocco dal 2003 al 2011 e tornare dopo nove anni come pastore dell’arcidiocesi. Fino allo scorso anno, il Marocco era affidato all’Ispettoria di Francia (FRB). Oltre che con la gente, l’esperienza interculturale si vive anche nella comunità salesiana, composta da quattro sacerdoti, da Francia, Spagna, Polonia e Rep. Democratica del Congo.

Altro paese maghrebino con due presenze salesiane è la Tunisia, dove, a Manouba e Tunisi, i salesiani gestiscono due scuole primarie, una scuola secondaria, un nascente centro di formazione professionale, due oratori, attività di collaborazione con la chiesa locale, una parrocchia ad Hammamet per residenti italiani ed europei ed altre iniziative particolari. È una presenza in crescita a cui recentemente sono stati affidati nuovi missionari, anche qui provenienti da diversi paesi: Italia, Siria, Libano, Spagna, Rep. Democratica Del Congo, Ciad.
È un’esperienza di famiglia e, in particolare, di Famiglia Salesiana, con due comunità di Figlie di Maria Ausiliatrice, gli “Amici di don Bosco”, gruppo di laici musulmani vicini al carisma di don Bosco, e tanti laici impegnati a vario titolo. La speranza è di far nascere anche un gruppo di Salesiani Cooperatori. Complessivamente almeno 3000 persone sono coinvolte nell’azione educativa. Fino allo scorso anno, l’ispettoria della Sicilia curava la presenza salesiana in Tunisia e proprio don Domenico Paternò, originario di Messina, arrivato a Manouba più di dieci anni fa, è stato nominato superiore.

Arriviamo così all’ultimo paese, una delle nuovissime frontiere missionarie per la Congregazione Salesiana, ancora in definizione per i dettagli sui luoghi e sul personale: l’Algeria, dove a breve arriveranno i primi salesiani.
In realtà, bisogna dire che l’Algeria è stato il primo paese in Africa in cui sono approdati i salesiani addirittura nel diciannovesimo secolo, nel lontano 1891, ad Orano, dove c’era un oratorio. Successivamente ci sono state altre due aperture nella capitale Algeri, ma dopo diversi anni la situazione politica instabile ed ostile non ha permesso di continuare il lavoro e ha costretto alla chiusura definitiva delle opere nel 1976. I salesiani rispondono così all’invito dell’arcivescovo di Algeri dopo un dialogo e uno studio di alcuni anni.

A questo quadro della presenza salesiana nel Maghreb, c’è da considerare che molteplici sono le attività con le comunità religiose e con la società civile nelle quali i Salesiani sono coinvolti. Per completezza e serietà di informazione non possiamo dimenticare le difficoltà che ci sono e che certamente danno anche motivi di difficoltà, non sempre superabili. Basti pensare la lingua che non è facile, il contesto socio-economico piuttosto fragile spesso per motivi di politica internazionale, le famiglie in difficoltà, la disoccupazione giovanile, grande piaga di tutta la regione, l’assenza di politiche giovanili efficaci e capaci di dare futuro. Ma nonostante le innegabili sfide, grande è la possibilità e la speranza di un positivo sviluppo non solo economico ma anche umano e sociale. Talvolta si manifestano segni di intolleranza e radicalismo irragionevole ma sono fenomeni molto ridotti. Sono società giovani e per questo aperte all’avvenire “più futuro che passato”, come diceva don Egidio Viganò.

Nei mesi passati, la Circoscrizione Speciale del Nord Africa ha vissuto le sessioni del primo Capitolo Ispettoriale sul tema del Capitolo Generale 29: “Appassionati per Gesù Cristo, dedicati ai giovani. Per un vissuto fedele e profetico della nostra vocazione salesiana”. Don Domenico Paternò ha sottolineato come sia una grazia vivere questo momento dopo pochi mesi di esistenza della Circoscrizione. I capitolari hanno elaborato il Direttorio Ispettoriale e il Progetto Educativo Pastorale Salesiano Ispettoriale, primi passi fondamentali per lo sviluppo futuro della presenza salesiana.

Nell’ultima spedizione missionaria salesiana, due salesiani sono stati assegnati alla circoscrizione Nord Africa: i coadiutori Joseph Ngo Duc Thuan (dal Vietnam) e Kerwin Valeroso (dalle Filippine), attualmente in Francia, a Parigi, per lo studio della lingua francese.
La Congregazione Salesiana, guidata dallo Spirito Santo, accoglie con coraggio e determinazione la sfida di queste nuove frontiere ed è pronta a scommetterci per donare un rinnovato entusiasmo missionario e raggiungere sempre più giovani poveri ed abbandonati in ogni parte del mondo.

Marco Fulgaro