San Francesco di Sales giovane studente a Parigi

            Nel 1578 François de Sales aveva 11 anni. Suo padre, desideroso di fare del suo primogenito una figura di spicco in Savoia, lo mandò a Parigi per continuare i suoi studi nella capitale intellettuale dell’epoca. Il collegio che voleva fargli frequentare era il collegio dei nobili, ma François preferì il quello dei Gesuiti. Con l’aiuto della madre, vinse la causa e divenne allievo dei gesuiti nel loro collegio di Clermont.
            Ricordando un giorno gli studi compiuti a Parigi, Francesco di Sales non sarà parco di elogi: la Savoia gli aveva garantito «gli inizi nelle belle lettere», scriverà, ma è all’università di Parigi, «molto fiorente e assai frequentata», dove si era «applicato sul serio dapprima alle belle lettere, poi a tutte le aree della filosofia, con una facilità e un profitto, favoriti dal fatto che perfino i tetti, per così dire, e le mura sembrano filosofare».
            In una pagina del Teotimo, Francesco di Sales racconterà un ricordo della Parigi di quell’epoca, nel quale ricostruisce il clima in cui era immersa la gioventù studentesca della capitale, strattonata dai piaceri proibiti, dall’eresia di moda e dalla devozione monastica:

            Quando ero giovane a Parigi, due studenti, di cui uno era eretico, mentre passavano la notte nel sobborgo di Saint-Jacques, gozzovigliando in modo dissoluto, udirono suonare la campana del mattutino nella chiesa dei certosini; avendo l’eretico chiesto al compagno cattolico perché suonasse quella campana, questi gli illustrò con quanta devozione in quel monastero si celebravano i santi uffici; o Dio, disse, quant’è diverso dal nostro l’esercizio di quei religiosi! Essi compiono quello degli angeli e noi quello degli animali bruti. Il giorno seguente, volendo verificare di persona quello che aveva appreso dal racconto del compagno, vide quei padri nei loro stalli, allineati come statue di marmo nelle loro nicchie, immobili, senza compiere alcun gesto eccetto quello di salmodiare, cosa che facevano con un’attenzione ed una devozione veramente angelica, secondo il costume di quel santo ordine. Allora quel giovane, rapito d’ammirazione, fu preso da un’estrema consolazione nel vedere Dio adorato così bene dai cattolici e decise, cosa che poi fece, di entrare in seno alla Chiesa, vera ed unica sposa di colui che l’aveva visitato con la sua ispirazione nel letto disonorevole dell’infamia sul quale giaceva.

            Un altro aneddoto mostra inoltre che Francesco di Sales non ignorava lo spirito ribelle dei parigini, che faceva loro «aborrire le azioni comandate». Si trattava di un uomo «che dopo aver vissuto ottant’anni nella città di Parigi, senza mai uscirne, non appena gli fu ingiunto da parte del re di rimanervi anche il resto dei suoi giorni, uscì subito per vedere la campagna, cosa che non aveva mai desiderato in tutta la vita».

Gli studi umanistici
            I gesuiti erano animati allora dallo slancio delle origini. Francesco di Sales passerà dieci anni nel loro collegio, percorrendo l’intero curricolo di studi previsto, passando dalla grammatica agli studi classici fino alla retorica e alla filosofia. In quanto allievo esterno, abitava non lontano dal collegio col suo precettore, don Déage, e con i suoi tre cugini, Amé, Louis et Gaspard.
            Il metodo dei gesuiti comprendeva la lezione del professore (praelectio), seguita da numerosi esercizi da parte degli studenti come la composizione di versi e discorsi, la ripetizione delle lezioni, le declamazioni, i temi, le conversazioni e le dispute (disputatio) in latino. Per motivare i loro studenti, i professori facevano appello a due «inclinazioni» presenti nell’animo umano: il piacere, alimentato dall’imitazione degli antichi, dal senso del bello e la ricerca dalla perfezione letteraria; e la lotta o l’emulazione, stimolata dal senso dell’onore e dal premio per i vincitori. Quanto alle motivazioni religiose, esse riguardavano prima di tutto la ricerca della maggior gloria di Dio (ad maiorem Dei gloriam).
            Percorrendo gli scritti di Francesco ci si rende conto fino a che punto la sua cultura latina era estesa e profonda, anche se non leggeva sempre gli autori nel testo originale. Cicerone vi ha il suo posto, ma piuttosto come filosofo; è uno spirito grande, se non il più grande «tra i filosofi pagani». Virgilio, principe dei poeti latini, non è dimenticato: a metà di un periodare appare d’un tratto un verso dell’Eneide o delle Egloghe, che abbellisce la frase e stimola la curiosità. Plinio il Vecchio, autore della Storia naturale, fornirà a Francesco di Sales una riserva pressoché inesauribile di paragoni, «similitudini» e dati curiosi sovente fantasmagorici.
            Al termine dei suoi studi letterari, ottenne il diploma di «baccellierato» che gli apriva l’accesso alla filosofia e alle «arti liberali».

Filosofia e «arti liberali»
            Le «arti liberali» comprendevano non solamente la filosofia propriamente detta, ma anche la matematica, la cosmografia, la storia naturale, la musica, la fisica, l’astronomia, la chimica, il tutto «frammisto a considerazioni metafisiche». Va notato altresì l’interesse dei gesuiti per le scienze esatte, più vicino in ciò all’umanesimo italiano che a quello francese.
            Gli scritti di Francesco di Sales mostrano che i suoi studi di filosofia hanno lasciato delle tracce nel suo universo mentale. Aristotele, «il più grande cervello» dell’antichità è ovunque presente in Francesco. Ad Aristotele, scriverà, si deve questo «antico assioma tra i filosofi, che ogni uomo desidera conoscere». Di Aristotele ciò che l’ha colpito di più è l’aver redatto «un mirabile trattato delle virtù». Quanto a Platone, egli lo considera come un «grande spirito», se non «il più grande. Stimerà parecchio Epitteto, «l’uomo migliore di tutto il paganesimo».
            Le conoscenze riguardanti la cosmografia, corrispondente alla nostra geografia, erano favorite dai viaggi e dalle scoperte dell’epoca. Ignorando del tutto la causa del fenomeno del nord magnetico, sapeva bene che «questa stella polare» è quella «verso cui tende costantemente l’ago della bussola; è grazie ad essa che i nocchieri sono guidati sul mare e possono sapere dove li portano le loro rotte». Lo studio dell’astronomia gli aprirà lo spirito alla conoscenza delle nuove teorie copernicane.
            Per quanto riguarda la musica, ci confiderà che senza esserne un conoscitore, tuttavia la gustava «moltissimo». Dotato di un senso innato dell’armonia in ogni cosa, ammetteva tuttavia conosceva l’importanza della discordanza che è alla base della polifonia: «Perché una musica sia bella, si richiede non soltanto che le voci siano nitide, chiare e ben distinte, ma che siano anche legate tra loro in modo tale da costituire una piacevole consonanza e armonia, in forza dell’unione esistente nella distinzione e della distinzione delle voci che, non senza ragione, viene chiamata accordo discordante, o meglio, discordia concorde». Sovente nei suoi scritti si parla del liuto, il che non può meravigliare, sapendo che il secolo XVI fu l’epoca d’oro di detto strumento.

Attività extrascolastiche
            La scuola non assorbiva interamente la vita del nostro giovanotto, che aveva anche bisogno di distensione. A partire dal 1560 i gesuiti avviarono nuovi orientamenti come la riduzione dell’orario giornaliero, l’inserimento di una ricreazione tra le ore di scuola e quelle di studio, la distensione dopo il pasto, la creazione di uno spazioso «cortile» per la ricreazione, il passeggio una volta alla settimana e le escursioni. L’autore della Filotea richiamerà alla memoria i giochi cui dovette partecipare negli anni della sua giovinezza, quando elencherà «il gioco della pallacorda, della palla, della pallamaglio, le corse all’anello, gli scacchi e altri giochi da tavolo». Una volta alla settimana, il giovedì, oppure nel caso in cui ciò non era possibile, la domenica, era previsto un pomeriggio intero riservato al divertimento in campagna.
            Il giovane Francesco ha assistito e anche partecipato a rappresentazioni teatrali al collegio di Clermont? È più che probabile, perché i gesuiti furono i promotori di recitazioni e di commedie morali presentate in pubblico su un palco, o su pedane sistemate su cavalletti, persino nella chiesa del collegio. Il repertorio si ispirava generalmente alla Bibbia, alla vita dei santi, in particolare agli atti dei martiri, o alla storia della Chiesa, senza escludere delle scene allegoriche come la lotta delle virtù contro i vizi, i dialoghi tra la fede e la Chiesa, tra l’eresia e la ragione. Si riteneva in generale che uno spettacolo di questo genere valeva bene una predica ben tornita.

Equitazione, scherma e danza
            Il padre vigilava sulla formazione completa di perfetto gentiluomo di Francesco e la prova sta nel fatto che gli impose di impegnarsi nell’apprendere le «arti della nobiltà» o le arti cavalleresche in cui lui stesso eccelleva. Francesco dovette esercitarsi nella pratica dell’equitazione, della scherma e della danza.
            Per quanto riguarda la pratica della scherma, si sa che essa distingueva il gentiluomo compito, come d’altronde il portare la spada faceva parte dei privilegi della nobiltà. La scherma moderna, nata in Spagna all’inizio del secolo XV, era stata codificata dagli italiani, che la fecero conoscere in Francia.
            Francesco di Sales avrà a volte l’occasione di mostrare il suo valore nel maneggiare la spada durante aggressioni reali o simulate, ma durante tutta la sua vita lotterà contro le sfide a duello che sovente finivano con la morte di un contendente. Il suo nipote ha raccontato che durante la missione a Thonon, non riuscendo a fermare due «miserabili» che «schermavano a spade nude» e «continuavano a incrociare la spada l’uno contro l’altro», «l’uomo di Dio, confidando nella sua maestria, appresa a dovere da lungo tempo, si scagliò contro di loro e li sconfisse talmente da farli pentire della loro azione indegna».
            Quanto alla danza che aveva acquisito titoli nobiliari nelle corti italiane, sembra che essa sia stata introdotta alla corte di Francia da Caterina de’ Medici, sposa di Enrico II. Francesco di Sales ha partecipato a qualche balletto, danza figurativa, accompagnata dalla musica? Non è impossibile, perché aveva le sue conoscenze presso alcune grandi famiglie.
            In sé stessi, scriverà in seguito nella Filotea, i balli non sono cosa cattiva; tutto dipende dall’uso che se ne fa: «Giocare, danzare è lecito quando si fa per divertimento e non per affetto». Aggiungiamo a tutti questi esercizi l’apprendimento della cortesia e delle buone maniere, specialmente presso i gesuiti che badavano molto alla «civiltà», alla «modestia» e all’«onestà».

La formazione religiosa e morale
            Sul piano religioso, l’insegnamento della dottrina cristiana e del catechismo rivestiva una grande importanza nei collegi dei gesuiti. Il catechismo era insegnato in tutte le classi, imparato a memoria in quelle inferiori seguendo il metodo della disputatio e con premi per i migliori. Talvolta erano organizzati concorsi pubblici con una messa in scena a carattere religioso. Si coltivava il canto sacro, che i luterani e i calvinisti avevano sviluppato molto. Si dava particolare risalto all’anno liturgico e alle feste, utilizzando le «storie» tratte dalla sacra Scrittura.
            Impegnati a restaurare la pratica dei sacramenti, i gesuiti incoraggiavano i loro allievi non solamente alla quotidiana assistenza alla messa, uso per nulla eccezionale nel secolo XVI, ma anche alla frequente comunione eucaristica, alla confessione frequente, alla devozione alla Vergine e ai santi. Francesco rispose con fervore alle esortazioni dei suoi maestri spirituali, impegnandosi a ricevere la comunione «il più sovente possibile», «almeno tutti i mesi».
            Col Rinascimento, la virtus degli antichi, debitamente cristianizzata, tornava in primo piano. I gesuiti ne divennero protagonisti, invogliando i loro allievi allo sforzo, alla disciplina personale e alla riforma di sé stessi. Francesco aderì indubbiamente all’ideale delle virtù cristiane più stimate, quali l’obbedienza, l’umiltà, la pietà, la pratica del dovere del proprio stato, il lavoro, le buone maniere e la castità. Più tardi consacrerà l’intera parte centrale della sua Filotea a «l’esercizio delle virtù».

Studio della Bibbia e della teologia
            La domenica di carnevale del 1584, mentre tutta Parigi andava a divertirsi, il suo precettore vide Francesco con un’aria preoccupata. Non sapendo se era malato oppure melanconico, gli propose di assistere agli spettacoli di carnevale. A tale proposta il giovane rispose con questa preghiera tratta dalla Scrittura: «Distogli i miei occhi dalle cose vane», e aggiunse: «Domine, fac ut videam». Vedere che cosa? «La sacra teologia», fu la sua risposta; «essa mi insegnerà ciò che Dio vuole che la mia anima impari». Don Déage, che preparava il suo dottorato alla Sorbona, ebbe la saggezza di non opporsi al desiderio del cuore del suo assistito. Francesco si entusiasmò delle scienze sacre fino al punto di saltare i pasti. Il suo precettore gli diede i propri appunti dei corsi e gli consentì di assistere alle dispute pubbliche di teologia.
            La sorgente di tale devozione stava per trovarla non tanto nei corsi teologici della Sorbona, quanto piuttosto nelle lezioni di esegesi che si tenevano al Collegio reale. Dopo la sua fondazione nel 1530, questo Collegio assisteva al trionfo di nuove tendenze nello studio della Bibbia. Nel 1584, Gilbert Genebrard, un benedettino di Cluny, commentava il Cantico dei Cantici. Più tardi, quando comporrà il suo Teotimo, il vescovo di Ginevra si ricorderà di questo maestro e lo nominerà «con riverenza e commozione, perché – scriverà – sono stato suo alunno, benché senza frutto quando insegnava al collegio reale a Parigi». Nonostante il suo rigore filologico, Genebrard gli trasmise un’interpretazione allegorica e mistica del Cantico dei Cantici, che lo incantò. Come scrive padre Lajeunie, Francesco trovò in questo libro sacro «l’inspirazione della sua vita, il tema del suo capolavoro e la migliore fonte del suo ottimismo».
            Gli effetti di tale scoperta non si fecero attendere. Il giovane studente conobbe un periodo segnato da un fervore eccezionale. Entrò nella Congregazione di Maria, associazione promossa dai gesuiti, che riuniva l’élite spirituale degli studenti del loro collegio, della quale diventerà ben presto l’assistente e poi il «prefetto». Il suo cuore si infiammò d’amor di Dio. Citando il salmista, si diceva «ebbro dell’abbondanza» della casa di Dio, ricolmo del torrente della «voluttà» divina. Il suo più grande affetto era riservato alla Vergine Maria, «bella come la luna, splendente come il sole».

La devozione in crisi
            Questo fervore sensibile durò per un certo tempo.  Poi sopraggiunse una crisi, uno «strano tormento», accompagnato dalla «paura della morte subitanea e del giudizio di Dio». Secondo la testimonianza della madre di Chantal, «cessò quasi completamente dal mangiare e dal dormire e divenne assai magro e pallido come la cera». Due spiegazioni hanno attirato l’attenzione dei commentatori: le tentazioni contro la castità e la questione della predestinazione. Non è necessario attardarsi sulle tentazioni. Il modo di pensare e di agire del mondo circostante, le abitudini di certi compagni che frequentavano «donne disoneste», gli offrivano esempi e inviti capaci di attirare qualsiasi giovane della sua età e della sua condizione.
            Un altro motivo di crisi era dovuto alla questione della predestinazione, un tema che era all’ordine del giorno tra i teologi. Lutero e Calvino ne avevano fatto un loro cavallo di battaglia nella disputa sulla giustificazione per la sola fede, indipendentemente dai «meriti» che l’uomo può acquistare con le buone opere. Calvino aveva affermato in modo decisivo che Dio «ha determinato ciò che intendeva fare per ogni singolo uomo; perché non li crea tutti nella stessa condizione, ma destina gli uni alla vita eterna, gli altri all’eterna dannazione». Alla stessa Sorbona, dove Francesco seguiva dei corsi, si insegnava, in base all’autorità di sant’Agostino e di san Tommaso, che Dio non aveva decretato la salvezza di tutti gli uomini.
            Francesco credette di essere riprovato da Dio e destinato alla dannazione eterna e all’inferno. Giunto al colmo dell’angoscia, fece un atto eroico di amore disinteressato e di abbandono alla misericordia di Dio. Giungerà perfino alla conclusione, assurda da un punto di vista logico, di accettare di buon animo di andare all’inferno ma a condizione di non maledire il Sommo Bene. La soluzione del suo «strano tormento» la si conosce, in particolare, tramite le confidenze da lui fatte alla madre di Chantal: un giorno del mese di gennaio del 1587, entrò in una chiesa vicina e, dopo aver pregato nella cappella della Vergine, gli parve che il suo male gli fosse caduto ai piedi come «squame di lebbra».
            Al dire il vero, questa crisi ebbe degli effetti realmente positivi nello sviluppo spirituale di Francesco. Da una parte, lo aiutò a passare da una devozione sensibile, forse egoista e perfino narcisista, all’amore puro, spoglio di ogni gratifica interessata e infantile. E dall’altra, gli aprì lo spirito a una nuova comprensione dell’amore di Dio, che vuole la salvezza di tutti gli esseri umani.  Certamente, egli difenderà sempre la dottrina cattolica circa la necessità delle opere per salvarsi, fedele in ciò alle definizioni del concilio di Trento, ma il termine «merito» non godrà delle sue simpatie. La vera ricompensa dell’amore non può essere che l’amore. Siamo qui alla radice dell’ottimismo salesiano.

Bilancio
            È difficile esagerare l’importanza dei dieci anni vissuti dal giovane Francesco di Sales a Parigi. Vi concluse i suoi studi nel 1588 con la licenza e il magistero «nelle arti», che gli aprivano la via agli studi superiori di teologia, di diritto e di medicina. Quali sceglierà, o piuttosto, quali gli saranno imposti dal padre? Conoscendo i progetti ambiziosi che il padre nutriva per il suo primogenito, si comprende che lo studio del diritto godeva delle sue preferenze. Francesco andrà a studiare il diritto nell’università di Padova, nella repubblica di Venezia.
            Da undici anni a ventun anni, ossia durante i dieci anni dell’adolescenza e della giovinezza, Francesco è stato allievo dei gesuiti a Parigi. La formazione intellettuale, morale e religiosa ricevuta dai padri della Compagnia di Gesù lascerà un’impronta che conserverà per tutta la vita. Ma Francesco di Sales manterrà la sua originalità. Non fu tentato di farsi gesuita, ma piuttosto cappuccino. La «salesianità» avrà sempre dei tratti troppo particolari per essere assimilata semplicemente a altri modi di essere e di reagire davanti agli uomini e agli avvenimenti.




Canillitas. Minorenni lavoratori nella Repubblica Dominicana (video)

Il lavoro minorile non è una realtà del passato, purtroppo. Nel mondo ci sono ancora circa 160 milioni di ragazzi che lavorano, e quasi la metà di loro sono impiegati in varie forme di lavoro a rischio; alcuni di loro iniziano a lavorare a 5 anni! Questo fatto li allontana dall’istruzione e ha gravi conseguenze negative sullo sviluppo cognitivo, volitivo, emotivo e sociale, incidendo sulla salute e sulla qualità della loro vita.

Prima di parlare del lavoro minorile, bisogna riconoscere che non tutti i lavori svolti dai minori si possono classificare come tali. La partecipazione dei ragazzi a certe attività familiari, scolastiche o sociali che non ostacolano la loro scolarizzazione, non solo non danneggia la loro salute e il loro sviluppo, ma risulta proficua. Tali attività fanno parte dell’educazione integrale, aiutano i ragazzi ad apprendere delle abilità molto utili nella loro vita e li preparano alle responsabilità.

La definizione di lavoro minorile fatta dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro è l’attività lavorativa che priva i bambini della loro infanzia, del loro potenziale e della loro dignità e che è dannosa per il loro sviluppo fisico e psicologico. Si tratta di lavori in strada, nelle fabbriche, nelle miniere, con lunghe ore di lavoro che tante volte privano anche del riposo necessario. Sono lavori che fisicamente, mentalmente, socialmente o moralmente sono rischiosi o dannosi per i ragazzi, e che interferiscono con la loro scolarizzazione privandoli dell’opportunità di andare a scuola, costringendoli ad abbandonare la scuola prima del tempo o obbligandoli a cercare di conciliare la frequenza scolastica con lunghe ore di duro lavoro.
È una definizione di lavoro minorile non condivisa da tutti i paesi. Però ci sono dei parametri che la possono definire: l’età, la difficoltà o pericolosità del lavoro, il numero di ore lavorate, le condizioni in cui viene svolto il lavoro e anche il livello di sviluppo del paese. Quanto all’età, è comunemente accettato che non si deve lavorare sotto i 12 anni: le norme internazionali parlano di età minima per l’ammissione al lavoro, cioè non inferiore all’età in cui termina la scuola dell’obbligo.

Le statistiche recenti parlano di circa 160 milioni di ragazzi che lavorano, e questa cifra nella realtà può essere sensibilmente più alta, dato che è difficile calcolare la situazione reale. Concretamente, un ragazzo su 10 nel mondo è vittima del lavoro minorile. E bisogna tener presente che questa statistica comprende anche lavori degradanti – se si possono chiamare lavori – come il reclutamento forzato nei conflitti armati, la schiavitù o lo sfruttamento sessuale. Ed è preoccupante il fatto che le statistiche indichino che oggi ci sono 8 milioni i ragazzi in più che lavorano rispetto al 2016, e che questo aumento si riscontri soprattutto nei ragazzi tra i 5 e gli 11 anni. Le organizzazioni internazionali avvertono che se la tendenza continuerà così, il numero di bambini impiegati nel lavoro minorile potrebbe aumentare di 46 milioni nei prossimi anni, se non verranno adottate adeguate misure di protezione sociale.

La causa del lavoro minorile è soprattutto la povertà, ma lo sono anche il mancato accesso all’istruzione e la vulnerabilità nel caso dei ragazzi orfani o abbandonati.
Questi lavori nella stragrande maggioranza dei casi comportano anche delle conseguenze fisiche (malattie e patologie croniche, mutilazioni), psicologiche (da abusati, i ragazzi diventano abusatori, dopo aver vissuto in ambienti ostili e violenti diventano a loro volta ostili e violenti, sviluppano bassa autostima e mancanza di speranza per il futuro) e sociali (corruzione dei costumi, alcool, droga, prostituzione, infrazioni).

Non è un fenomeno nuovo, è accaduto anche ai tempi di don Bosco quando tanti ragazzi, spinti dalla povertà, cercavano nelle grandi città espedienti per la sopravvivenza. La risposta del santo è stata quella di accoglierli, assicurare loro vito e alloggio, alfabetizzare, istruire, trovare un lavoro degno e fare sentire a quei ragazzi abbandonati che erano parte di una famiglia.
Anche oggi questi ragazzi mostrano grande insicurezza e sfiducia, sono malnutriti e con gravi carenze emotive. Anche oggi bisogna cercarli, incontrarli, offrendo loro gradualmente ciò che amano per dare loro finalmente ciò di cui hanno bisogno: una casa, un’istruzione, un ambiente familiare e in prospettiva nel futuro un degno lavoro.
Si cerca di conoscere la situazione particolare di ognuno di loro, si va alla ricerca dei famigliari per reinserire i ragazzi in famiglia quando possibile, si propone di abbandonare il lavoro minorile, di socializzare, di frequentare la scuola, accompagnandoli in modo che possano realizzare il loro sogno e il progetto di vita grazie all’istruzione, e di diventare testimoni per altri ragazzi che si trovano nella loro stessa situazione.

In 70 paesi del mondo i salesiani sono attivi nel campo del lavoro minorile. Presentiamo uno di loro, quello della Repubblica Dominicana.

Canillitas erano denominati i ragazzi venditori ambulanti di giornali, che per la povertà avevano pantaloni rimasti corti, lasciando scoperte le loro “canillas”, ossia le gambe. Simili a questi, i ragazzi di oggi devono muovere le gambe per strada ogni giorno per guadagnarsi da vivere, perciò il progetto a loro favore si è chiamato Canillitas con Don Bosco.
Si tratta di un progetto nato come progetto salesiano oratoriano, che poi è arrivato a essere un’attività permanente: il Centro Canillitas con Don Bosco di Santo Domingo.

Il progetto è partito nell’8 dicembre 1985 con tre giovani dell’ambiente salesiano che si sono dedicati a tempo pieno, rinunciando alle loro occupazioni. Avevano chiare le quattro tappe del percorso da seguire: Ricerca, Accoglienza, Socializzazione e Accompagnamento. Hanno iniziato a cercare ragazzi sulle strade e nei parchi di Santo Domingo, a contattarli, a conquistare la loro fiducia e a stabilire legami di amicizia. Dopo due mesi li hanno invitati a passare una domenica insieme e sono stati sorpresi quando più di 300 minori si presentarono all’incontro. Fu un pomeriggio di festa con giochi, musica e merende che ha spinto i ragazzi a chiedere spontaneamente quando potevano tornare. La risposta non poteva essere altra che: “domenica prossima”.
Il loro numero crebbe costantemente, dopo aver capito che l’accoglienza, gli spazi e le attività erano a misura loro. Al campo organizzato nell’estate hanno partecipato un centinaio dei più fedeli. Qui i ragazzi hanno ricevuto una tessera di canillitas nel campo, per dare un’identità e un senso di appartenenza, anche perché tanti di loro non conoscevano neanche la loro data di nascita.
Con la crescita dei numeri dei ragazzi è arrivata anche la crescita delle spese. Questo ha condotto a dover ricercare dei finanziamenti e implicitamente a far conoscere il progetto con questi ragazzi.

Il 2 maggio 1986, la comunità salesiana ha presentato il progetto ai superiori salesiani dell’Ispettoria Salesiana delle Antille, progetto che ottenne un sostegno unanime. Così, il programma Canillitas con Don Bosco fu ufficialmente lanciato e continua anche oggi dopo quasi 38 anni di esistenza. E non solo continua ma è cresciuto e si è ampliato, essendo un modello per altre iniziative. È così che è nato anche il programma Canillitas con Laura Vicuña, sviluppato dalle Figlie di Maria Ausiliatrice per le ragazze lavoratrici, i programmi Chiriperos con Don Bosco, per aiutare i giovani che – per guadagnarsi da vivere – facevano qualsiasi “lavoretto” (come portare l’acqua, buttare la spazzatura, fare commissioni…), e il programma Apprendisti con Don Bosco che si occupa dei minori che lavoravano nelle numerose officine meccaniche, sfruttati da certi imprenditori. Per questi ultimi, i salesiani hanno costruito un’officina con l’aiuto di alcuni bravi industriali e della Prima Donna della Repubblica, in modo da essere liberi di imparare un mestiere e non essere in balia delle ingiustizie.
In seguito a questo successo, tutte queste iniziative e altre sono confluite nella Rete dei Ragazzi e delle Ragazze con Don Bosco, attualmente composta da 11 centri con programmi adeguati alle fasce d’età dei ragazzi, diventati un esempio nella lotta al lavoro minorile nel paese caraibico. Di questa rete fanno parte: Canillitas con Don Bosco, Chiriperos con Don Bosco, Aprendices con Don Bosco, Hogar Escuela de Niñas Doña Chucha, Hogar de Niñas Nuestra Señora de la Altagracia, Hogar Escuela Santo Domingo Savio, Quédate con Nosotros, Don Bosco Amigo, Amigos y Amigas de Domingo Savio, Mano a Mano con Don Bosco e Sur Joven.
La rete ha svolto programmi incentrati sullo sviluppo di abilità nei ragazzi e nei giovani, favorendo la loro formazione e crescita integrale. Ha accompagnato direttamente circa 93.000 ragazzi, adolescenti e giovani, ha raggiunto più di 70.000 famiglie e, indirettamente, ha avuto più di 150.000 beneficiari, lavorando ogni anno con una media di oltre 2500 beneficiari. Tutto ciò è stato realizzato avendo come base il Sistema Preventivo di Don Bosco che ha portato i ragazzi e i giovani a recuperare la propria autostima, a essere protagonisti della propria vita per diventare “onesti cittadini e buoni cristiani”.

Questo lavoro ha avuto anche un impatto socio-politico. Ha contribuito alla crescita della sensibilità sociale verso questi poveri ragazzi che facevano quello che potevano per sopravvivere. L’eco del programma salesiano nei mass-media della Repubblica Dominicana ha dato la possibilità a un gruppo di Canillitas di partecipare a una sessione del Congresso Nazionale del paese e alla redazione del Codice del Sistema di Protezione e dei Diritti Fondamentali dei Ragazzi e degli Adolescenti della Repubblica Dominicana (Legge 136-03), promulgato il 7 agosto 2003.
In seguito, sono stati firmati diversi accordi con l’Istituto di Formazione Tecnico Professionale, con il Consiglio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza e con la Scuola della Magistratura.
Grazie al sostegno di molti imprenditori e della società civile sono state avviate collaborazioni e interrelazioni con l’UNICEF, con l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, con il governo nazionale, con la Coalizione delle ONG per l’infanzia della Repubblica Dominicana e si è perfino arrivati a partecipare alla Conferenza delle Americhe alla Casa Bianca nel 2007, con il ricevimento del presidente George Bush e del Segretario di Stato Condoleezza Rice.

Il lavoro salesiano ha contribuito alla riduzione del lavoro minorile e all’aumento del tasso di istruzione nel paese. Il salesiano missionario promotore, don Juan Linares, è stato nominato Uomo dell’Anno della Repubblica Dominicana nel 2011, e per 10 anni è stato membro del consiglio di amministrazione del Consiglio Nazionale per l’Infanzia e l’Adolescenza, l’organo di governo del Sistema Nazionale per la Protezione dei Diritti dei Ragazzi e degli Adolescenti.

Recentemente è stato realizzato un documentario, “Canillitas”, che vuole informare, denunciare e sensibilizzare l’opinione pubblica sul lavoro minorile. Il breve documentario riflette la vita quotidiana di sei ragazzi lavoratori nella Repubblica Dominicana, nonché il lavoro dei missionari salesiani per cambiare questa realtà, grazie all’istruzione.

Presentiamo la scheda del film.

Titolo: Canillitas
Anno di produzione: 2022
Durata: 21 minuti
Genere: Documentario
Pubblico adatto: Tutti
Paese: Spagna
Regia: Raúl de la Fuente, Premio Goya 2014 per “Minerita” e nel 2019 per “Un día más con vida”
Produzione: Kanaki Films
Versioni e sottotitoli: spagnolo, inglese, francese, italiano, portoghese, tedesco e polacco

Versione online:



(Articolo realizzato con il materiale inviato da Missiones Salesianas di Madrid, Spagna.)




1954-2024: 70 anni della canonizzazione di Domenico Savio

La canonizzazione di Domenico Savio si è svolta sul segno dell’Immacolata. Era il centenario della dichiarazione dell’Immacolata Concezione. Il drappo usato in questa cerimonia, l’omelia del papa Pio XII e l’intervento dell’arcivescovo di Biella, Gilla Gremigni sono tutti legati a l’Immacolata, e non a caso.

Il papa Pio IX nell’8 di dicembre del 1854, con la bolla “Ineffabilis Deus”, aveva dichiarato il domma dell’Immacolata Concezione. Un anno e mezzo dopo, l’8 giugno 1856 Domenico, insieme ad altri amici, fonda la Compagnia dell’Immacolata. La sua vita si distinse per l’assiduità ai sacramenti della penitenza e dell’Eucaristia e per la devozione all’Immacolata Concezione. Questo lo porto alla santità, mostrando che questa non è frutto dell’età matura, ma della grazia di Dio. Fu per tanti anni il più giovane tra i santi non martiri (adesso è il secondo, dopo la santa Giacinta Marto, una delle veggenti di Fatima, un’altra devota di Maria). Con Maria si può. Ricordiamo l’omelia del papa Pio XII e l’intervento dell’arcivescovo di Novara, Gilla Gremigni.

“Se le forze del male non cessano, nel volger dei secoli, i loro attacchi contro l’opera del Divin Redentore, Iddio non manca di rispondere alle angosciose suppliche dei suoi figli in pericolo, suscitando anime ricche di doni della natura e della grazia, che siano per i loro fratelli di conforto e di aiuto. Quando si affievolisce nella coscienza degli uomini la cognizione delle verità salutari, oscurate dagli allettamenti dei beni terreni, quando lo spirito di rivolta e di orgoglio suscita contro la Chiesa persecuzioni subdole o violente, in mezzo alle miserie, sempre presenti, delle anime e dei corpi, la Divina Provvidenza chiama sotto il vessillo della Croce di Cristo eroi di santità, irradianti splendori di purezza verginale e di carità fraterna, per sovvenire a tutte le necessità delle anime e mantenere nella sua integrità il fervore delle virtù cristiane. […]
Mentre i tre eroi che abbiamo teste commemorati [Pietro Chanel, Gaspare del Bufalo, Giuseppe Pignatelli, e Maria Crocifissa di Rosa] avevano profuso tutte le loro virili energie nel duro combattimento contro le forze del male, ecco apparire al nostro sguardo l’immagine di Domenico Savio, gracile adolescente, dal corpo debole, ma dall’anima tesa in una pura oblazione di sé all’amore sovranamente delicato ed esigente di Cristo. In una età così tenera si attenderebbe di trovare piuttosto buone e amabili disposizioni di spirito, e invece si scoprono in lui con stupore le vie meravigliose delle ispirazioni della grazia, una adesione costante e senza riserva alle cose del cielo, che la sua fede percepiva con una rara intensità. Alla scuola del suo Maestro spirituale, il grande santo don Bosco, egli apprese come la gioia di servire Dio e di farlo amare dagli altri può divenire un potente mezzo di apostolato. L’8 dicembre 1854 lo vide elevato in una estasi di amore verso la Vergine Maria, e poco dopo egli riuniva alcuni suoi amici nella «Compagnia dell’Immacolata Concezione», affine di avanzare a gran passi nel cammino della santità e di evitare anche il minimo peccato. Egli incitava i suoi compagni alla pietà, alla buona condotta, alla frequenza dei Sacramenti, alla recita del Santo Rosario, alla fuga del male e delle tentazioni. Senza lasciarsi intimorire da cattive accoglienze e dà risposte insolenti, interveniva con fermezza, ma caritatevolmente, per richiamare al dovere gli sventati e i perversi. Colmato già in questa vita della familiarità e dei doni del dolce Ospite dell’anima, ben presto lasciò la terra per ricevere, con la intercessione della celeste Regina, il premio del suo filiale amore.”
(Omelia del papa Pio XII nella canonizzazione di Domenico Savio)

             “Nel centenario della proclamazione del domma dell’Immacolato Concepimento di Maria, Domenico Savio diventa un santo nel cielo della Chiesa.
            Nel 1854 Domenico, limpido e timido, era entrato, come scrive Don Bosco, «nella casa dell’Oratorio»; nel 1954 entra glorioso nella schiera dei santi.
            San Giovanni Bosco i santi li aveva visti e previsti tra i suoi ragazzi: Domenico è il primo e non sarà l’ultimo. Con lui, il più piccolo, la primavera dell’Oratorio salesiano è in pieno rigoglio.
            Ed è supremamente bello che, dopo il Padre santo, venga il giovinetto quindicenne ad essere il primo anello di una stupenda catena, che non si chiuderà altro che in Cielo, nel giorno grande dell’ultimo giudizio.

Nell’anno della Madonna
            La festa dell’Immacolata, quell’8 dicembre 1854, all’Oratorio aveva messo tutti «in una specie di spirituale agitazione». C’era da aspettarselo, perché Don Bosco ha sempre puntato per la santificazione dei suoi figliuoli su due devozioni: quella a Gesù Sacramentato e quella alla Madonna Immacolata. Non poteva essere più felice nella scelta; e tutti i fatti lo han dimostrato stupendamente.
            Figurarsi come Domenico, nel caldo nido di Valdocco, si sarà fatto in quattro per piacere alla Madonna, lui che la devozione mariana aveva, per così dire, nel sangue.
            C’è un ricordo, conservatoci da Don Bosco, a distanza di ventidue anni dalla santa morte del Savio. Eccolo.

            «Io mi ricordo ancora — disse ai suoi ragazzi dell’Oratorio, in un suo sermoncino — come se fosse adesso, quel volto ilare, angelico di Savio Domenico, tanto docile, tanto buono! Egli mi venne innanzi, il giorno prima della novena dell’Immacolata Concezione, e tenne con me un dialogo che è scritto nella sua Vita, ma più in breve. Quel dialogo fu molto lungo. Egli mi disse:
            — Io so che la Madonna concede grandi grazie a chi fa bene le sue novene.
            — E tu cosa vuoi fare per la Madonna in questa novena?
            — Io vorrei fare molte cose.
            — E quali sarebbero?
            — Prima di tutto io voglio fare una confessione generale della mia vita, per tener ben preparata l’anima mia. Poi voglio procurare di eseguire esattamente i fioretti che per ogni giorno della novena si daranno di sera in sera. Inoltre vorrei regolarmi in modo da poter fare la mia Comunione ogni mattina.
            — D’altro non hai più niente?
            — Sì, ho ancora qualche cosa.
            — E quale è questa cosa?
            — Voglio fare una guerra micidiale al peccato mortale.
            — E altro?
            — Voglio pregar tanto e tanto Maria Santissima ed il Signore di farmi piuttosto morire che di lasciarmi cadere in un peccato veniale contro la modestia…
            Mi diede poi un biglietto — concludeva Don Bosco — nel quale erano scritti questi suoi propositi. E mantenne la sua promessa, perché Maria Santissima lo aiutava».

            Quando Domenico parlava così, aveva dodici anni, dico dodici, ed era già santo, perché chi ha l’anima pura, chi serve la Madonna, chi fa la comunione ogni mattina, chi fa guerra al peccato mortale e preferisce la morte piuttosto che commettere un peccato veniale, è già talmente unito al Signore Iddio, da meritare d’esser trapiantato a ogni momento in Paradiso.
            E penso: dove sono più oggi i giovinetti di tanta delicatezza di coscienza?… Rari nantes in gurgite vasto… Davvero, sono rari, più rari dei poveri naufraghi del poeta latino, tra un numero sterminato di altri, che stanno sospesi a morte sull’abisso, se già disgraziatamente non vi sono caduti dentro.
            Ben venga quindi, a richiamo e a salvezza di tanta gioventù pericolante o smarrita, la soave figura del giovinetto, coltivato da san Giovanni Bosco come delicato bianchissimo fiore; ben venga a riportare ali di speranza in questo mondo così disperato, a segnare una ripresa di vita cristiana, sicché nelle nostre famiglie tornino in onore il santo amore e il santo timor di Dio.

            Domenico Savio dà una nuova gentile conferma delle grandi parole di Cristo: «Ti ringrazio, o Padre, perché hai nascosto queste cose ai superbi e le hai rivelate ai pargoli».
            Quando capiranno gli uomini che la pace dell’anima e l’armonia dei popoli è condizionata ad uno sforzo costante di purezza di cuore, perché solo ai puri di cuore Dio si rivela? E, al tempo stesso, perché non ricordano, i grandi, che la vera ricchezza della vita è quella di mantenersi nella grazia di Dio; perché non ridestano nei cuori il proposito di questo santo giovinetto, che a sette anni, tra i ricordi della sua prima Comunione, scrive risolutamente e coraggiosamente: «La morte ma non peccati»?
            In questa massima c’è tutto il segreto di questa grande giovanile santità, c’è l’àncora di salvezza, gettata al nostro mondo distratto e corrotto, nell’anno della Madonna.
            Se poi, quel proposito, piccoli e grandi sosterranno con la Comunione frequente e anche giornaliera — secondo volle e disse ed esortò il novello purissimo santo Pio X — come non apriremo l’anima all’avvento di un decisivo e stabile rinnovamento cristiano delle famiglie e della società?
            A me pare che dal Cielo il decimo Pio presenti oggi, con la dolcezza dei suoi grandi luminosi occhi, il piccolo Domenico Savio nella stupenda gloria di vivente ostensorio di Cristo.”
(† Gilla Vincenzo Gremigni, arcivescovo di Novara, 1958-1963)




Maria Ausiliatrice, da qui al mondo

            Amici, lettori del Bollettino Salesiano, ricevete il mio affettuoso e cordiale saluto in questo tempo di Pasqua. In un mondo travagliato, scosso da guerre e non poca violenza, continuiamo a dichiarare, annunciare e proclamare che Gesù è il Signore, risorto dal Padre e che VIVE. E abbiamo fortemente bisogno della sua Presenza in cuori pronti ad accoglierlo.
            Allo stesso tempo, ho potuto vedere il contenuto del Bollettino di questo mese, sempre ricco e pieno di vita salesiana, di cui sono grato a coloro che lo realizzano. E mentre leggevo le pagine, prima di scrivere il mio saluto, mi sono imbattuto nella presentazione di tanti luoghi salesiani nel mondo dove è arrivata Maria Ausiliatrice.
Devo confessare che quando ci si trova a Valdocco, all’interno della magnifica Basilica di Maria Ausiliatrice, in questo luogo santo dove tutto parla della presenza di Dio, della protezione materna della Madre e di Don Bosco, non riuscivo a immaginare come si fosse avverato l’annuncio dell’Ausiliatrice a Don Bosco, dicendo che da qui, da questo tempio mariano, la sua gloria si sarebbe diffusa nel mondo. E così è.
            Nel servizio di questi dieci anni come Rettor Maggiore ho incontrato centinaia di presenze salesiane nel mondo dove la Madre era presente. E ancora una volta vorrei raccontarvi la mia ultima esperienza. È stato durante la mia ultima visita alle presenze salesiane tra il popolo Xavante che ho potuto “toccare con mano” la Provvidenza di Dio e il bene che continua a essere fatto e che continuiamo a fare tra tutti noi.
Ho potuto visitare diversi villaggi e città nello Stato del Mato Grosso. Sono stato a San Marcos, al villaggio di Fatima, a Sangradouro, e intorno a questi tre grandi centri ne abbiamo visitati altri, tra cui il luogo dove è avvenuto il primo insediamento con il popolo Xavante, un popolo che era ferito dalle malattie e in pericolo di estinzione, e che grazie all’aiuto di quei missionari, alle loro medicine e a decine di anni di presenza affettuosa in mezzo a loro, è stato possibile raggiungere la realtà di oggi con più di 23.000 membri del popolo Xavante. Questa è la Provvidenza, l’annuncio del Vangelo e allo stesso tempo il viaggio con un popolo e la sua cultura, conservati oggi come mai prima.
            Ho avuto l’opportunità di parlare con diverse autorità civili. Sono stato grato per tutto ciò che possiamo fare insieme per il bene di questo popolo e degli altri. E allo stesso tempo mi sono permesso di ricordare con semplicità ma con onestà e legittimo orgoglio che chi accompagna questo popolo da 130 anni, come ha fatto in questo caso la Chiesa attraverso i figli e le figlie di Don Bosco, è degno di uno sguardo rispettoso, e di ascoltare la sua parola.
Abbiamo fatto tutto il possibile per unirci alle voci che chiedono terra per questi coloni. La difesa della loro terra e della fede vissuta con questi popoli (in questo caso con i Boi-Bororo) è stata la causa del martirio del salesiano Rodolfo Lunkenbein e dell’indiano Simao a Meruri.
            Percorrendo centinaia di chilometri di strada, sono stato felice di vedere tanti cartelli che annunciavano: “Territorio de Reserva Indígena” (Territorio di Riserva Indigena). E ho pensato che questa fosse la migliore garanzia di pace e prosperità per questo popolo.
E cosa c’entra quello che sto descrivendo con Maria Auxiliadora? Semplicemente tutto, perché è difficile immaginare un secolo di presenza salesiana (sdb e fma) tra gli indigeni Xavantes e non aver trasmesso l’amore per la madre di nostro Signore, e madre nostra.

L’Ausiliatrice nella giungla
            A San Marcos, tutti o quasi gli abitanti del villaggio, insieme ai nostri ospiti, hanno concluso il giorno del nostro arrivo con una processione e la recita del santo rosario. L’immagine della Vergine era illuminata nel cuore della notte in mezzo alla giungla. Anziani, adulti, giovani e molte madri che portavano i bambini addormentati in una cesta sulle spalle erano in pellegrinaggio. Abbiamo fatto diverse soste in diversi quartieri del villaggio. Senza dubbio la Madre in quel momento, e senza dubbio in molti altri, stava attraversando il villaggio di San Marcos e benedicendo i suoi figli e figlie indigeni.
            Non posso sapere se Don Bosco abbia sognato questa scena della Vergine in mezzo al villaggio di Xavante. Ma non c’è dubbio che nel suo cuore c’era questo desiderio, con questo popolo e con molti altri, sia in Patagonia, sia in Amazzonia, sia sul fiume Paraguay…
E quel desiderio e quel sogno missionario si sta realizzando in Amazzonia da 130 anni. Come ho scritto nel commento alla Strenna, la dimensione femminile-materna-mariana è forse una delle dimensioni più impegnative del sogno di don Bosco. È Gesù stesso che gli da una maestra, che è sua Madre, e che «il suo nome deve chiederlo a Lei»; Giovannino deve lavorare “con i suoi figli”, e sarà “Lei” che si occuperà della continuità del sogno nella vita, che lo prenderà per mano fino alla fine dei suoi giorni, fino al momento in cui capirà veramente tutto.
C’è un’enorme intenzionalità nel voler dire che, nel carisma salesiano a favore dei ragazzi più poveri, deprivati e privi di affetti, la dimensione del trattare con “dolcezza”, con mitezza e carità, così come la dimensione “mariana”, sono elementi imprescindibili per chi vuole vivere questo carisma. Senza Maria di Nazareth parleremmo di un altro carisma, non del carisma salesiano, né dei figli e delle figlie di Don Bosco.
            In questa festa di Maria Ausiliatrice, il 24 maggio, in momenti diversi, Maria Ausiliatrice sarà presente nei cuori dei suoi figli e delle sue figlie in tutto il mondo, sia a Taiwan e a Timor Est, sia in India, sia a Nairobi (Kenya), sia a Valdocco, sia in Amazzonia e nel piccolo villaggio di San Marcos, che non è nulla per il mondo ma è un mondo intero per questo popolo che ha conosciuto l’Ausiliatrice.
            Buon mese di Maria. Buona festa dell’Ausiliatrice a tutti, da Valdocco al mondo intero.