Verso una visione missionaria rinnovata

Le missioni salesiane all’estero, una delle caratteristiche della Congregazione fondata di san Giovanni Bosco, iniziate durante la sua vita, continuano, anche se i concetti di missione e missionari sono cambiati per la necessità dei tempi.

Oggi ci troviamo in un contesto diverso rispetto a quello dei progetti missionari che hanno diffuso la Congregazione in America (1875), in Asia (1906) e in Africa (1980). Nuove prospettive ed interrogativi hanno portato nuove riflessioni missiologiche. Urge una visione rinnovata delle missioni salesiane.

In molti Paesi, inclusi i paesi di antica tradizione cristiana, ci sono dei centri urbani, o quartieri, dove vivono persone che non conoscono Gesù, altre che, dopo averlo conosciuto, lo hanno abbandonato, o altri ancora che vivono la loro fede come una tradizione culturale. Dunque, oggi “le missioni” non possono essere comprese solo in termini geografici, di movimento verso “le terre di missione” come una volta, ma anche in termini sociologici, culturali e, perfino, di presenza nel continente digitale. Oggi “le missioni” si trovano dovunque ci sia bisogno di annunciare il Vangelo. Ed i missionari provengono dai cinque continenti e sono inviati ai cinque continenti.

I missionari salesiani collaborano con la Chiesa nel compiere la sua missione per evangelizzare (Mt 28,19-20). Annunciare il Vangelo, specialmente ai giovani, è il compito missionario primario di ogni salesiano. Le iniziative dei salesiani per la promozione umana, motivate da una fede profonda, sono un Primo Annuncio di Gesù Cristo. Come educatori-pastori ogni salesiano apprezza i “raggi di Verità” nelle culture e nelle altre religioni. Nei contesti in cui non si può nemmeno menzionare il nome di Gesù, lo annunciamo con la testimonianza di vita salesiana personale e comunitaria. È l’intenzionalità nel promuovere il Primo Annuncio che può aiutarci nel superare il pericolo di essere considerati come dei fornitori di servizi sociali o dei lavoratori sociali anziché testimoni del primato di Dio ed annunciatori del Vangelo.

I giovani Salesiani missionari oggi portano un nuovo paradigma di missioni e un rinnovato modello di missionari: il missionario salesiano non è solo colui che dà, che porta progetti e magari raccoglie soldi, ma soprattutto colui che vive con il suo popolo, che dà grande importanza alla relazione interpersonale; non solo insegna, ma soprattutto impara dal popolo che serve, che non è solo destinatario passivo dei suoi sforzi. Di fatto, non è il fare che conta, ma l’essere, che diventa un’autorevole proclamazione di Gesù Cristo.

Esistono ancora missionari salesiani che offrono la loro vita per la testimonianza di Gesù? Sì, e non provengono più dell’Europa come una volta, ma vengono da tutto il mondo e vanno in tutto il mondo. Presentiamo alcuni giovani missionari che hanno risposto alla chiamata divina.

Parliamo del 28enne malgascio François Tonga che è andato missionario in Albania a testimoniare la sua identità cristiana e religiosa salesiana. Il suo compito di tirocinante nella casa salesiana della capitale, Tirana, è di coordinare le lezioni scolastiche di più di 800 ragazzi. È una sfida non da poco imparare la lingua e capire la cultura albanese, per dare testimonianza in un contesto maggioritario musulmano, anche se – grazie a Dio – non si vive in una situazione di scontro tra le religioni, ma di rispetto reciproco. È una testimonianza fatta di presenza e assistenza tra i ragazzi poveri ed emarginati, e di preghiera per i giovani che si incontrano ogni giorno. E la risposta non si fa attendere: giovani, genitori e collaboratori danno il loro aiuto e offrono una buona accoglienza.

E il caso anche di un altro 28enne, Joël Komlan Attisso, togolese di origine che ha accettato di essere inviato da tirocinante in missione nella Scuola Secondaria Tecnica Don Bosco di Kokopo, nella Provincia della Nuova Britannia Orientale di Papua Nuova Guinea. La missione, con la grazia di Dio, di essere chiamati e inviati a servire tutti – e specialmente i giovani – porta già i suoi frutti: l’accoglienza, l’apertura, l’aiuto e l’amore si scambia, anche se si appartiene a realtà culturali diverse. Questo fa ricordare il sogno di don Bosco sull’Oceania, quando vide una  moltitudine di giovani che dicevano: “«Venite in nostro aiuto! Perché non compite l’opera che i vostri padri hanno incominciata?» […] Mi pare che tutto questo insieme indicasse che la divina Provvidenza offriva una porzione del campo evangelico ai Salesiani, ma in tempo futuro. Le loro fatiche otterranno frutto, perché la mano del Signore sarà costantemente con loro, se non demeriteranno de’ suoi favori.

Parliamo anche del vietnamita 30enne Joseph Thuan Thien Truc Tran, coadiutore salesiano, laureato in informatica e inviato a Juba nel Sud Sudan, dove gli impegni non mancano: tre scuole elementari, una scuola secondaria, una scuola tecnica, una parrocchia, un campo per gli sfollati e un pre-noviziato, in totale, un complesso di circa 5000 studenti. Attirato della testimonianza di un salesiano che ha lavorato come medico nel Sudan, don John Lee Tae Seok ha deciso di dire il suo “sì” di totale disponibilità a essere inviato nella missione indicata dai suoi superiori, affidandosi esclusivamente alla fede e alla grazia di Dio, tanto necessaria in uno dei paesi considerato tra i più pericolosi al mondo.

Un altro giovane salesiano tirocinante che ha dato la sua disponibilità per le missioni è Rolphe Paterne Mouanga, della Repubblica del Congo (Congo-Brazzaville o ex Congo francese). Inviato nella casa salesiana “Don Bosco Central”di Santa Cruz in Bolivia, in un’opera che comprende oratorio, scuola primaria, scuola secondaria e parrocchia, è uno dei due primi missionari dell’Africa in questo paese, assieme al suo compatriota David Eyenga. Le sue origini africane lo aiutano a familiarizzare con i giovani che sono incuriositi e interessati a conoscerlo e questo rapporto si rafforza attraverso lo sport, verso cui è tanto portato. La diversità culturale della Bolivia è una vera sfida, perché non si tratta solo di integrarsi nella cultura locale ma anche di essere flessibile nell’adattarsi a ogni situazione. Però l’apertura, l’accoglienza, la collaborazione e la condivisione dei giovani e dei collaboratori lo aiutano in questo impegno. Vuole mostrarsi aperto e disponibile a integrarsi con quello che lui ormai considera “il suo popolo”.

L’altro compaesano di Rolphe, David Eyenga, è stato inviato anche lui in Bolivia, ma nella casa salesiana di Kami, Cochabamba: una presenza salesiana complessa che comprende una scuola tecnica agraria, la parrocchia, un’opera di assistenza e promozione sociale, un internato e anche una radio. Anche in questa zona si sentono fortemente le differenze culturali, nel modo di relazionarsi con gli altri, soprattutto in termini di ospitalità, pasti, danze e altre tradizioni locali. Questo richiede molta pazienza per riuscire a rapportarsi con la mentalità locale. Si spera e si prega che la presenza dei missionari sia uno stimolo anche per le vocazioni locali.

Emmanuel Jeremia Mganda, un 30enne di Zanzibar, Tanzania è un altro giovane che ha accolto l’invito di Dio alla missione. È stato inviato in Amazzonia, Brasile, tra gli yanomami, una tribù indigena che vive in comunità a Maturacá. I suoi compiti educativi nell’oratorio e l’attività religiosa lo hanno arricchito pastoralmente e spiritualmente. L’accoglienza che ha ricevuto, mostratasi anche nel nome dato, di “YanomamiInshiInshi” (Yanomami nero), lo ha fatto sentire come uno di loro, lo ha aiutato molto a integrarsi, a capire e a condividere l’amore per il Creato e la protezione di questo bene di Dio.

C’è speranza che le missioni iniziate da don Bosco, quasi 150 anni fa, continuino? Che il sogno di don Bosco – o meglio dire – che i sogni di don Bosco arrivino a compimento? C’è una sola risposta: la volontà divina non può venire meno, basta che i salesiani rinuncino alle loro comodità e agiatezze e si dispongano ad ascoltare la chiamata divina.




Lo sguardo di don Bosco

Ma chi lo crederebbe? Con quella vista, don Bosco… vedeva tante cose!
Un vecchio sacerdote, già alunno a Valdocco, lasciò scritto nel 1889: «Quel che in don Bosco più spiccava era lo sguardo, dolce ma penetrantissimo fino alle latebre del cuore, cui appena si poteva resistere fissandolo. Onde si può dire che l’occhio suo attirava, atterriva, atterrava all’uopo e che nel mio giro del mondo non conobbi persona, che più di lui s’imponesse con lo sguardo. In genere i ritratti e i quadri non riportano questa singolarità, e me ne fanno di lui un dabben uomo».
Un altro ex-allievo degli anni ’70, Pons Pietro, rivela nei suoi ricordi: «Don Bosco aveva due occhi che foravano e penetravano nella mente… Egli passeggiava adagio parlando e guardando tutti con quei due occhi che giravano da ogni parte, elettrizzando di gioia i cuori».
Il salesiano don Pietro Fracchia, allievo di don Bosco, ricordava un suo incontro con il Santo seduto allo scrittoio. Il giovane osò chiedergli perché scriveva così con la testa bassa e si voltava verso destra accompagnando la penna. Don Bosco, sorridendo, gli rispose: «La ragione è questa, vedi! Da quest’occhio don Bosco non ci vede più, e da quest’altro poco, poco, poco!» — «Ci vede poco? Ma allora come va che l’altro giorno in cortile, mentre io ero lontano da lei, mi lanciò uno sguardo vivissimo, luminoso, penetrante come un raggio di sole?» — «Ma va là… ! Voialtri pensate e vedete subito chissà che cosa…!».
Eppure era così. E gli esempi si potrebbero moltiplicare. Don Bosco con il suo occhio scrutatore, tutto penetrava e indovinava nei giovani: il carattere, l’ingegno, il cuore. Qualcuno di essi cercava appositamente di sfuggire la sua presenza perché non riusciva a sopportarne lo sguardo. Don Domenico Belmonte assicurava di aver personalmente costatato il fatto: «Tante volte don Bosco guardava un giovane in modo così particolare, che i suoi occhi dicevano ciò che il labbro in quel momento non esprimeva, e gli facevano comprendere ciò che desiderava da lui».
Spesso egli seguiva con lo sguardo un giovane in cortile, mentre conversava con altri. Ad un tratto lo sguardo del ragazzo s’incontrava con quello di don Bosco e l’interessato capiva. Gli si avvicinava per chiedergli che cosa volesse da lui e don Bosco glielo diceva all’orecchio. Magari era un invito alla confessione.
Un alunno una notte non poteva prender sonno. Sospirava, mordeva le lenzuola, piangeva. Il compagno che dormiva vicino a lui, svegliato da quell’agitazione, gli chiese: «Che cos’hai?… Ma che cos’hai?» — «Che cos’ho? Ieri sera don Bosco mi ha guardato!» — «Oh, bella! E mica una novità. Non c’è per questo da disturbare tutta la camerata!» — Al mattino lo contò a don Bosco e don Bosco gli rispose: «Domanda un po’ a lui che cosa ne dice la sua coscienza!». Il resto lo si può immaginare.

Ancora testimonianze in Italia, Spagna e Francia

Don Bosco a 71 anni – Sampierdarena, 16 marzo 1886

Don Michele Molineris, nella sua Vita episodica di don Bosco pubblicata postuma al Colle nel 1974, riporta un’altra serie di testimonianze sullo sguardo di don Bosco. Ne riferiamo solo tre, anche per ricordare questo studioso del Santo che, oltre al resto, ebbe una conoscenza unica dei luoghi e delle persone della fanciullezza di Giovanni Bosco. Ma veniamo alle testimonianze da lui raccolte.
Mons. Felice Guerra ricordando personalmente la vivacità dello sguardo di don Bosco, dichiarò che esso penetrava come spada a doppio taglio fino a scandagliare i cuori e commuovere le coscienze. Eppure «da un occhio non ci vedeva e anche l’altro gli serviva poco!».
Don Giovanni Ferrés, parroco a Gerona in Spagna, che vide don Bosco nel 1886, lasciò scritto che «aveva gli occhi vivissimi, sguardo penetrante… Guardandolo mi sentivo forzato a ripiegarmi sopra di me e ad esaminare come stessi di anima».
Il Sig. Accio Lupo, usciere del Ministero Francesco Crispi, che aveva introdotto don Bosco nell’ufficio dello statista, lo ricordava come «un prete emaciato… dagli occhi penetranti!».

E ricordiamo infine impressioni raccolte dai suoi viaggi in Francia. Il Cardinal Giovanni Cagliero riferiva il fatto seguente notato personalmente nell’accompagnare don Bosco. Dopo una conferenza tenuta a Nizza, don Bosco usciva dal presbitero della chiesa per avviarsi alla porta, tutto circondato dalla folla che non lo lasciava camminare. Un individuo dall’aspetto torvo stava immobile a guardarlo come se macchinasse un brutto tiro. Don Cagliero, che lo teneva d’occhio, inquieto per ciò che potesse succedere, vide l’uomo avvicinarsi. Don Bosco gli rivolse la parola: «Che cosa desiderate? — «Io? Nulla!» — «Eppure sembra che abbiate qualche cosa da dirmi!» — «Io ho nulla da dirle» — «Volete confessarvi?» — «Confessarmi, io? Ma neppur per sogno!» — «Dunque che cosa fate qui?» — «Sto qui perché… non posso andar via!» — «Ho capito… Signori, mi lascino un momento solo», disse don Bosco a quelli che lo circondavano. I vicini si tirarono in disparte, don Bosco sussurrò qualche parola all’orecchio di quell’uomo che, cadendo in ginocchio, si confessò là in mezzo alla chiesa.
Più curioso fu il fatto di Tolone, accaduto durante il viaggio di don Bosco in Francia nel 1881.
Dopo una conferenza nella chiesa parrocchiale di Santa Maria, don Bosco, con un piatto d’argento in mano, fece il giro della chiesa a questuare. Un operaio, nell’atto in cui don Bosco gli presentava il piatto, voltò la faccia dall’altra parte alzando sgarbatamente le spalle. Don Bosco, passando oltre, gli diede uno sguardo amorevole e gli disse: «Dio vi benedica! — L’operaio allora si mise la mano in tasca e depose un soldo nel piatto. Don Bosco, fissandolo in faccia, gli disse: — Dio vi ricompensi —. L’altro, rifatto il gesto, offrì due soldi. E don Bosco: — Oh, mio caro, Dio vi rimeriti sempre di più! — Quell’uomo, ciò udito, cavò fuori il portamonete e donò un franco. Don Bosco gli diede uno sguardo pieno di commozione e si avviò. Ma quel tale, quasi attratto da una forza magica, lo seguì per la chiesa, gli andò appresso nella sacrestia, uscì dietro di lui in città e non cessò di stargli alle spalle finché non lo vide scomparire». Potenza di uno sguardo di don Bosco!
Disse Gesù: «Gli occhi sono come la lampada per il corpo; se i tuoi occhi sono buoni tu sarai totalmente nella luce».
Gli occhi di don Bosco erano totalmente nella Luce!




Il Carisma della presenza e della speranza. Un anno viaggiando con don Angel

Il rallentamento della pandemia ha permesso a Rettor Maggiore di riprendere i viaggi per incontrare la Famiglia Salesiana nel mondo, per animare a vivere e a trasmettere il carisma del santo fondatore, Giovanni Bosco. Spagna, Zimbabwe, Zambia, Thailandia, Ungheria, Brasile, India, Italia, Croazia, Stati Uniti e Perù, hanno accolto con e ascoltato il successore di don Bosco. Presentiamo l’introduzione del libro che ambienta il racconto di questi viaggi.

Il globetrotter del carisma salesiano

Il libro che ho l’onore di presentare è del tutto particolare, è la cronaca del viaggio nel mondo compiuto dal Rettore Maggiore dei Salesiani negli ultimi quindici mesi (dall’inizio del 2022 sino a marzo del 2023), dedicato a visitare le case di una Congregazione presente da molto tempo in tutti i continenti e che costituisce la più grande “famiglia religiosa” della Chiesa cattolica. Si tratta di una famiglia che opera in 136 paesi del mondo, le cui dimensioni globali spingono chi la presiede (e i suoi più stretti collaboratori) a vivere di continuo con la valigia in mano, per incontrare i confratelli e le consorelle sparsi nelle varie nazioni, conoscere le specifiche situazioni, monitorare l’efficacia nelle diverse culture del carisma educativo di don Bosco, che è il marchio di fabbrica di questa singolare ‘multinazionale’ della fede.

Il libro, dunque, illustra uno dei compiti più importanti connesso al ruolo del Rettor Maggiore dei Salesiani, quello di guidare una Congregazione mondiale non solo da remoto (stando nella sede centrale a Roma), ma quanto più possibile ‘de visu’, dal momento che anche nell’era digitale i rapporti faccia a faccia, la conoscenza personale, la condivisione delle esperienze, “l’esserci” in alcuni momenti ‘topici’, rappresentano il valore aggiunto di ogni impresa umana e spirituale. Un valore, del resto, del tutto congeniale con i tratti umani di don Ángel Fernández Artime, il decimo successore di don Bosco, che da quando è alla guida della famiglia salesiana (dal 2014) ha già visitato circa 100 opere sparse per il mondo; in ciò allineandosi (su una scala ovviamente più limitata) allo stile da ‘globetrotter’ della cattolicità che ha caratterizzato gli ultimi pontefici, soprattutto Giovanni Paolo II e l’attuale Papa.
Il giro del mondo di don Artime, dopo aver subìto una forzata interruzione nel biennio 2020-2021 (causa l’esplosione in ogni dove della pandemia), ha ripreso il suo iter con nuovo vigore proprio nel 2022, con una serie di tappe che via via l’hanno portato in terra iberica, in due paesi africani (Zimbabwe e Zambia), sulle orme della missione salesiana in Thailandia, in Ungheria, in Francia, a Brasilia e a Belo Horizonte, in sei Ispettorie dell’India (in due periodi diversi), in Croazia, negli Stati Uniti e in Canada, in Perù, e in alcune regioni italiane.

Visite a tutto campo, non solo celebrazioni

Viedma, Argentina – marzo 2023

Le immagini della ‘toccata e fuga’ o della pura celebrazione di eventi importanti non si addicono alle visite del Rettor Maggiore. La sua presenza è spesso richiesta dalle case salesiane o dalle Ispettorie per festeggiare una tappa significativa della propria storia, come i 100 o i 50 anni dalla fondazione, l’inizio di una nuova opera, la professione dei voti o l’ordinazione sacerdotale di nuovi confratelli, la commemorazione di figure salesiane esemplari per le diverse terre e per la Chiesa intera. Tuttavia, l’intento celebrativo è sempre parte di un incontro ricco di contenuti e di confronti sullo stato di salute del carisma salesiano nella realtà locale.

Ecco dunque il carattere poliedrico di queste visite, scandite da momenti di festa e di sguardi verso l’Alto, di taglio di nastri e di discernimento, di coinvolgimento affettivo e di impegni reciproci, di resoconto della situazione e di messa a fuoco delle sfide educative; tutti momenti che coinvolgono i vari rami della grande famiglia (i salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, gli ex-allievi ecc.), sovente anche Vescovi e clero della Chiesa locale; ma soprattutto i giovani, il cui ascolto e il cui protagonismo è nel DNA della pedagogia salesiana.
Il successore di don Bosco non è soltanto omaggiato (e, nelle zone più ‘calde’ del globo, “accolto come un Re”, insignito delle “vesti e dei simboli delle autorità locali”); ma è anche fatto oggetto di grandi attese, di un ‘verbo’ che al contempo rassicuri e allarghi gli orizzonti. Emerge qui uno dei tratti più preziosi di queste visite “ad gentes”: l’attitudine del Rettor Maggiore a fare da ‘vaso comunicante’, da ‘connettore’, tra ciò che la famiglia salesiana vive e progetta nelle diverse aree del mondo: dal passo maturo, riflessivo, talvolta stanco, che si osserva nel vecchio Continente, al dinamismo presente in Africa e in Oriente; dalle ‘buone prassi’ in atto in alcuni paesi alle difficoltà e ai problemi che si incontrano altrove. Altro confronto riguarda l’accoglienza nelle varie province salesiane delle indicazioni emerse dall’ultimo Capitolo Generale della Congregazione (il 28°), per far sì che tutti siano sintonizzati sugli obiettivi comuni.
Ed è nel fare da ponte tra le diverse aree e ‘anime’ salesiane nel mondo che il Rettor Maggiore parla dei ‘miracoli’ di cui egli è testimone. Quando ricorda a tutti che ciò che fa grande la Congregazione sono soprattutto le presenze ‘minime’, come quel missionario salesiano della Repubblica Ceca che vive in Siberia, in mezzo ai ghiacci, e ha una comunità a 1000 km di distanza, a cui riesce a unirsi non più di una volta al mese; un’occasione benedetta dai fedeli del luogo, che fa loro dire che “Dio non si è dimenticato di noi”.
O ancora quando porta a conoscenza di tutti il riscatto di una terra che nel dicembre 2004 è stata investita dal più grande disastro naturale dell’epoca moderna, lo tsunami che ha prodotto 230 mila morti, migliaia di dispersi e distrutto interi paesi. Proprio in una delle zone più colpite, è rinata una casa salesiana per accogliere molti orfani, che a distanza di anni rifioriscono: “il 12% di questi ragazzi/ragazze di don Bosco hanno frequentato l’università; il 15% ha proseguito gli studi tecnici nelle nostre scuole professionali; più del 50%, dopo aver terminato la scuola pubblica, ha trovato un lavoro con cui iniziare la propria vita in autonomia”.

Le parole chiave
C’è un leitmotiv in tutte queste visite: l’evocazione di alcune parole chiave che ribadiscono la particolare missione dei figli di don Bosco, chiamati a prendersi cura dei giovani, ma con un’attenzione e un metodo distintivi, con una pedagogia ‘salesiana’ appunto, fatta oggetto nel corso della storia di una lunga riflessione. Alcune di queste ‘icone’ sono gli aforismi introdotti dal santo fondatore per sintetizzare le sue intuizioni educative; altre sono più recenti, ma hanno la stessa natura, servono a riattualizzare il carisma salesiano nel corso degli anni, a fronte di nuove sfide impegnative.

I resoconti delle visite del Rettor Maggiore alle case salesiane sparse nel mondo, sono ricchi di questi appelli. Anzitutto “credere nei giovani”, “essere fedeli ai giovani”, aver fiducia nelle loro potenzialità, trasmettere fiducia; il che implica non avere pregiudizi nei loro confronti, accompagnarli con empatia nel loro cammino, sostenerli nei momenti accidentati, condividere valori e suscitare libertà.
Rientra nel richiamo alla fiducia l’impegno di “dar vita ai sogni dei giovani”, di far sì che essi tornino a pensare in grande, a non vivere con le ali tarpate; monito questo che sembra applicabile più alle nuove generazioni presenti nelle società mature (in Occidente) che a quelle dei paesi emergenti.

Australia – aprile 2023

Sono poi molti i richiami a due concetti (amore e cuore) di cui si fa grande abuso nella cultura contemporanea, ma che nella pedagogia di don Bosco rappresentano dei punti forza d’una prospettiva educativa: “amare i giovani”, far loro comprendere che “li si ama” (si dedica la vita per loro), e “farsi amare”; immagini queste che derivano direttamente dalla grande intuizione del Santo che “l’educazione è una cosa del cuore”.
Altre immagini feconde sono quelle dedicate alla perdurante “attualità del sistema preventivo” e al criterio che può renderlo efficace: quel “sacramento salesiano della presenza tra i giovani” (come viene definito dal Rettor Maggiore) che favorisce la conoscenza, produce condivisione, crea scambio e passione educativa.
L’icona più recente è l’invito accorato a tutte le comunità salesiane del mondo a “essere un’altra Valdocco”, a rimanere fedeli ai tratti essenziali di una missione nata nell’Ottocento a Torino, ma che ha un valore universale nel tempo e nello spazio. Essere “un’altra Valdocco” significa rinnovare a tutte le latitudini la scelta di campo dell’educazione popolare, spendere la vita per quella parte di società che ai tempi di don Bosco era la “gioventù povera e abbandonata”, e che oggi assume il profilo dei giovani svantaggiati, ‘a rischio’, sfruttati e scartati dalla società, di quanti cioè abitano le periferie urbane ed esistenziali. “Valdocco” è il simbolo del ‘quartiere umano’ mondiale a cui dare cittadinanza, che deve scoprire il suo protagonismo, per la piena inclusione/emancipazione nella società.

Ambienti sempre più multiculturali
Il giro del mondo del Rettor Maggiore rende poi evi-dente come stia cambiando la fisionomia della Cogregazione, a seguito dei recenti flussi migratori dal Sud e dall’Est del mondo (in parte dovuti a eventi/situazioni drammatiche) verso il vecchio Continente e il Nord America; di un’evoluzione demografica che affolla i paesi emergenti e appesantisce le nazioni più sviluppate; e più in generale, per la tendenza delle popolazioni a mescolarsi nel pianeta terra.

Zambia – aprile 2022

Anche l’ambiente salesiano (come tutta la cattolicità) è coinvolto in queste dinamiche e non cessa di modificarsi. L’Africa e l’Oriente sono oggi le aree più generose di vocazioni e con la più alta percentuale di salesiani in formazione; per cui da terre di missione sono via via destinate ad avere nel tempo un sempre maggior peso negli equilibri della Congregazione.

Ad ogni latitudine, le case salesiane ospitano giovani di culture diverse, sovente anche di religioni e di etnie differenti; perché il carisma di don Bosco (pur nato in un particolare contesto culturale e religioso) non conosce confini ‘confessionali’, contagia anche quanti vivono e credono altrimenti. Così questo imprinting multiculturale caratterizza ormai molti ambienti salesiani (oratori e scuole) in Europa e nel Nord America, ed è un tratto costitutivo delle opere dei figli di don Bosco in Asia, in Africa e in America Latina. In Asia, ad esempio, i salesiani sono presenti in zone in cui la popolazione è al 90% di cultura musulmana o buddhista, dentro un contesto quindi che da un lato li interpella nel profondo e dall’altro richiede dialogo e confronto. In queste terre contaminate da culture e da religioni diverse, in questi laboratori del confronto antropologico, c’è tutto un bagaglio di riflessioni e di esperienze che merita di essere raccolto e approfondito; anche per meglio collocare una Congregazione e una Chiesa chiamate a testimoniare un messaggio specifico in un mondo sempre più globale.

Nuove sfide educative
Da sempre la Congregazione, come s’è detto, considera l’educazione dei giovani come un suo compito irrinunciabile e come una sfida. Ma si tratta di una sfida che a seconda dei momenti storici assume tratti particolari. Oggi, stando ai dialoghi di don Artime con i giovani incontrati nel suo giro del mondo, emergono in questo campo alcune priorità degne di nota.
Da un lato, l’educare deve fare i conti con la cultura digitale, che ormai permea il vissuto delle nuove generazioni, le cui grandi potenzialità devono essere comprese nel quadro di un utilizzo armonico, per evitare squilibri o conseguenze penalizzanti. La proposta di dar vita ai “cortili digitali”, che sta circolando negli ambienti salesiani, risponde dunque a questa esigenza, non demonizza uno strumento ormai vitale, ma lo assume all’interno di un approccio costruttivo.

Dall’altro lato, il “preparare i giovani alla vita” passa – nell’epoca attuale – anche per l’attenzione che le nuove generazioni devono prestare alla questione ambientale, alla cura e alla salvaguardia di un creato messo a rischio da un sistema mondo dissennato, di cui gli adulti hanno grave responsabilità, ma i cui costi immani graveranno sui giovani. Ecco dunque un altro tassello che arricchisce e aggiorna il progetto educativo.
Si coglie poi, qua e là negli ambienti salesiani (e nei giovani che li frequentano), un maggior interesse per l’“impegno politico”, inteso in senso ampio, come contributo per realizzare una società più umana, meno diseguale, più inclusiva.

Thailandia – maggio 2022

È quel che è emerso in particolare nella visita del Rettore Maggiore in Perù e negli Stati Uniti, dove il discorso educativo e il volontariato sociale vengono certamente considerate dai giovani come attività ‘pre-politiche’, ma che devono sempre più essere intese come un impegno per la giustizia sociale, per ridurre le disparità, per permettere a tutti una vita dignitosa. Il motto di don Bosco di formare i giovani ad “essere buoni cristiani e onesti cittadini” assume qui un nuovo accento, più congruente con la sensibilità e le sfide dell’epoca attuale.

Le foto, infine
Infine, ci sono le fotografie disseminate in questa ampia cronaca, che parlano più delle parole, testimoniano il clima del lungo viaggio, danno spazio ai volti, alle posture, ai sentimenti. Dove il decimo Successore di don Bosco compare o nel presiedere l’Eucarestia o in maniche di camicia attorniato dai giovani o dai confratelli: le due icone di uno stile salesiano che vede nella presenza con i giovani un segno della benevolenza di Dio.

Franco GARELLI
Università di Torino




Servi di Dio Giovanni Świerc e otto Compagni di martirio. Pastori che diedero la vita

Le ideologie estremiste, cioè le idee alzate a rango di verità assolute, portano sempre sofferenza e morte quando vogliono imporsi ad ogni costo contro coloro che non le accettano. A volte basta appartenere ad una nazione o a un gruppo sociale per soffrire le conseguenze. È il caso dei martiri salesiani polacchi presentati in questo articolo.

Al numero delle vittime del nazismo appartengono anche nove Salesiani sacerdoti polacchi, i Servi di Dio don Jan Świerc e gli VIII Compagni: don Ignacy Antonowicz, don Karol Golda, don Włodzimierz Szembek, don Franciszek Harazim, don Ludwik Mroczek, don Ignacy Dobiasz, don Kazimierz Wojciechowski e don Franciszek Miśka, uccisi in odium fidei nei campi di sterminio nazisti negli anni 1941-1942. Come sacerdoti, tutti i Servi di Dio furono impegnati in Polonia in diverse attività pastorali e di governo e nell’insegnamento. Furono del tutto estranei rispetto alle tensioni politiche che agitarono la Polonia durante l’occupazione bellica. Ciononostante, furono arrestati e martirizzati in odium fidei per il fatto stesso di essere sacerdoti cattolici.
La fortezza e la serena perseveranza conservata dai Servi di Dio nell’espletamento del proprio ministero sacerdotale anche durante la prigionia rappresentarono un vero e proprio atto di sfida per i nazisti: seppur sfiniti da umiliazioni e torture, in sfregio a qualsiasi divieto, i Servi di Dio furono custodi fino alla fine delle anime loro affidate e si dimostrarono pronti, nonostante l’umana debolezza, ad accogliere con Dio e per Dio la morte.
Il campo di concentramento di Auschwitz, noto a tutti come il campo della morte, e quello di Dachau per don Miśka, divennero dunque il luogo dell’impegno sacerdotale di questi salesiani sacerdoti: alla negazione della dignità umana e della vita, don Jan Świerc e 8 compagni risposero offrendo, attraverso i sacramenti, la forza della grazia e la speranza dell’eternità. Essi accolsero, sostennero per mezzo dell’Eucaristia e della confessione e prepararono ad una morte serena moltissimi compagni di prigionia. Tale servizio, non di rado, fu reso nel nascondimento, approfittando del buio della notte e sotto la costante e pressante minaccia di severe punizioni o più spesso della morte.
I Servi di Dio, come veri discepoli di Gesù, non pronunciarono mai parole di sdegno o odio nei confronti dei persecutori. Arrestati, percossi, umiliati nella loro dignità umana e sacerdotale, offrirono a Dio la loro sofferenza e si mantennero fedeli fino alla fine, certi che non rimane deluso chi tutto ripone nella divina volontà. La loro serenità interiore ed il loro contegno, manifestati anche nell’ora della morte, furono talmente straordinari da lasciare stupiti, ed in alcuni casi indignare, gli stessi aguzzini.
Presentiamo i loro profili biografici.

Don Ignacy Antonowicz

Ignacy Antonowicz nacque nel 1890 a Więsławice, contea di Włocławek, nella Polonia centro-settentrionale. Nel 1901 entrò nel ginnasio salesiano di Oświęcim, dove rimase fino al 1905. Tra il 1905 e il 1906 completò il noviziato a Daszawa. Emise la professione perpetua nell’agosto 1909 in Italia, a Lanzo Torinese. Fu ordinato sacerdote il 22 aprile 1916 a Roma. Don Ignacy insegnò dogmatica presso lo Studentato teologico di Foglizzo (Torino) tra il 1916 e il 1917. Nel 1919, durante la guerra russo-polacca, fu cappellano militare nell’armata polacca. Tra il 1919 e il 1920 fu a Cracovia come professore nello Studentato teologico. Il 1° luglio 1934 venne nominato consigliere dell’Ispettoria Polacca San Giacinto di Cracovia fino a tutto il 1936. Nel 1936 assunse l’incarico di direttore dello Studentato Teologico Salesiano Immacolata Concezione di Cracovia che mantenne fino all’arresto, avvenuto il 23 maggio 1941. Fu detenuto per un mese nella prigione di Montelupich a Cracovia, poi venne condotto nel campo di concentramento di Oświęcim. Venne ucciso il 21 luglio 1941. Aveva 51 anni di età, 34 di professione religiosa e 25 di sacerdozio.

Don Karol Golda

Karol Golda nacque il 23 dicembre 1914 a Tychy, in Alta Slesia. Terminata la quarta elementare, si trasferì nel ginnasio “Boleslaw Chrobry” di Pszczyna. Frequentò invece la sesta classe nel ginnasio dei salesiani a Oświęcim. Nel giugno 1931 si recò nella Casa di Czerwińsk per cominciare il noviziato. Il 15 gennaio 1937 emise la professione religiosa perpetua a Roma. Il 18 dicembre 1938 venne ordinato sacerdote a Roma, dove si trattenne per altri sei mesi per conseguire la licenza in teologia. Nel luglio 1939 tornò in Polonia. Scoppiò la Seconda Guerra Mondiale e don Karol nell’ottobre 1939 si recò in Slesia e poi ad Oświęcim dove rimase, perché privo del necessario permesso di viaggiare verso l’Italia da parte delle autorità d’occupazione. A don Karol Golda fu affidato l’insegnamento della teologia nell’Istituto salesiano di Oświęcim e fu nominato consigliere scolastico. Fu arrestato dai funzionari della Gestapo il 31 dicembre 1941 ed ucciso il 14 maggio 1942, dopo appena tre anni e mezzo di sacerdozio.

Don Włodzimierz Szembek

Il Servo di Dio don Włodzimierz Szembek, figlio dei conti Zygmunt e Klementyna della famiglia Dzieduszycki, nacque il 22 aprile 1883 a Poręba Żegoty, vicino Cracovia. Nel 1907 conseguì la laurea in ingegneria agraria presso l’università Jagellonica di Cracovia. Per circa vent’anni si occupò dell’amministrazione dei poderi della madre e fu impegnato nell’apostolato laico. Compiuti i 40 anni, la vocazione religiosa del Servo di Dio giunse a maturazione. Il 4 febbraio 1928 entrò nell’aspirantato di Oświęcim. Sul finire del 1928 iniziò il noviziato a Czerwińsk. Emise la professione religiosa il 10 agosto 1929. Il 3 giugno 1934 ricevette l’ordinazione sacerdotale a Cracovia. Il 9 luglio 1942 viene arrestato dalla Gestapo e portato a Nowy Targ. Il successivo 19 agosto è condotto nel campo di concentramento di Auschwitz, dove muore il 7 settembre 1942 stremato dalle sofferenze e a seguito dei maltrattamenti subiti. Aveva 59 anni di età, 13 di professione e 9 di sacerdozio.

Don Franciszek Harazim

Franciszek Ludwik Harazim nacque il 22 agosto 1885 ad Osiny, distretto Rybnik in Slesia. Frequentò la scuola elementare dapprima a Baranowicze, in seguito a Osiny. Nel 1901 fece il suo ingresso nell’istituto salesiano di Oświęcim per frequentarvi il ginnasio. Completò il noviziato a Daszawa nel 1905/1906. Il 24 marzo 1910 emise i voti perpetui. Fu ordinato sacerdote a Ivrea il 29 maggio 1915.  Tra il 1915 e il 1916 insegnò nel ginnasio di Oświęcim, di cui fu nominato preside tra il 1916 e il 1918. Negli anni 1918-1920 insegnò filosofia nel seminario maggiore salesiano a Cracovia (Łosiówka). Negli anni 1922-1927 il Servo di Dio rivestì l’incarico di direttore del ginnasio salesiano ad Aleksandrów Kujawski. Nel 1927 tornò nuovamente al seminario maggiore di Cracovia come consigliere, insegnante ed educatore dei chierici. Nel luglio 1938 don Franciszek fu nominato professore presso la casa di Cracovia-Łosiówka. Venne arrestato dalla Gestapo a Cracovia il 23 maggio 1941. Fu trasportato dapprima in via Konfederacka e poi, insieme agli altri confratelli, nella prigione di Montelupich. Un mese dopo, il 26 giugno 1941, venne condotto nel campo di concentramento di Auschwitz. Venne ucciso il 27 giugno 1941 sul famoso Ghiaione. Non aveva ancora compiuto 56 anni: di questi 34 furono di professione religiosa e 26 di sacerdozio.

Don Ludwik Mroczek

Ludwik Mroczek nacque a Kęty (Cracovia) l’11 agosto 1905. Nel 1917, dopo aver frequentato la scuola a Kęty, venne ammesso nell’istituto salesiano di Oświęcim dove portò a termine gli studi ginnasiali. Svolse il noviziato a Klecza Dolna. Lo completò il 7 agosto del 1922. Emise i voti perpetui il 14 luglio 1928 a Oświęcim. A Przemyśl ricevette l’ordinazione sacerdotale il 25 giugno 1933. Ordinato sacerdote, lavorò a Oświęcim (nel 1933), a Leopoli (nel 1934), a Przemyśl (nel 1934 e nel 1938/39), a Skawa (nel 1936/37), a Częstochowa (nel 1939). Il 22 maggio 1941, appena terminata la celebrazione della messa, venne arrestato e trasferito insieme ad altri confratelli nel campo di concentramento di Oświęcim. Qui morì il 5 gennaio 1942: aveva 36 anni di età, 18 di professione religiosa e 8 di sacerdozio.

Don Jan Świerc

Jan Świerc nacque a Królewska Huta (oggi Chorzów, in Alta Slesia) il 29 aprile 1877. Completò gli studi ginnasiali a Torino Valsalice. Tra il 1897 e il 1898 svolse il noviziato ad Ivrea. Qui emise i voti perpetui il 3 ottobre 1899. Il 6 giugno 1903 fu ordinato sacerdote a Torino. Nel 1911 venne nominato direttore della casa di Cracovia dall’allora Rettor Maggiore don Paolo Albera. Dal settembre 1911 all’aprile 1918 ricoprì l’incarico di direttore dell’istituto Lubomirski a Cracovia. Nel 1924, per un periodo di sette mesi, fu impegnato come missionario in America. Dal novembre 1925 all’ottobre 1934 fu direttore e parroco a Przemyśl. Il 15 agosto 1934 venne nominato direttore della casa di Leopoli. Nel luglio 1938 assunse l’incarico di direttore e parroco della casa di via Konfederacka n. 6 a Cracovia per il triennio 1938-1941. Il 23 maggio 1941 venne arrestato dalla Gestapo insieme ad altri confratelli e condotto in carcere a Montelupich. Il 26 giugno 1941 fu trasferito nel campo di concentramento di Auschwitz e, dopo appena un giorno, venne ucciso: aveva 64 anni di età, 42 di professione religiosa e 38 di sacerdozio.

Don Ignacy Dobiasz

Ignacy Dobiasz nacque a Ciechowice (in Alta Slesia) il 14 gennaio 1880. Completata la scuola elementare, nel maggio 1894 si recò in Italia, a Torino Valsalice, per svolgervi gli studi ginnasiali. Il 16 agosto 1898 entrò nel noviziato salesiano di Ivrea. Emise i voti perpetui a San Benigno Canavese il 21 settembre 1903. Compì gli studi filosofici e teologici a San Benigno Canavese e a Foglizzo fra il 1904 e il 1908. Il 28 giugno 1908 venne ordinato sacerdote a Foglizzo. Tornò poi in Polonia: svolse la propria attività pedagogica e pastorale a Oświęcim (nel 1908, nel 1910, nel 1921 e nel 1923), a Daszawa (nel 1909), a Przemyśl (1912-1914) e a Cracovia (tra il 1916 e il 1920 e nel 1922). Nel 1931 fu a Varsavia come vicario. Nel novembre 1934 si recò invece a Cracovia dove rimase come confessore e collaboratore parrocchiale. Qui venne arrestato insieme ad altri confratelli salesiani il 23 maggio 1941. Dopo una breve detenzione nella prigione di Montelupich, fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. Il 27 giugno 1941 morì a causa dei maltrattamenti e del lavoro disumano. Aveva 61 anni d’età, 40 di professione e 32 di sacerdozio.

Don Kazimierz Wojciechowski

Kazimierz Wojciechowsky nacque a Jasło (Galizia) il 16 agosto 1904. Rimasto orfano di padre a soli cinque anni, venne accolto nell’istituto del principe Lubomirski a Cracovia. Intraprese il ginnasio nel 1916 presso l’istituto salesiano di Oświęcim. Nel 1920 iniziò il noviziato a Klecza Dolna. Emise i voti perpetui il 2 maggio 1928 a Oświęcim. Fra il 1924 e il 1925 insegnò musica e matematica a Ląd. Il 19 maggio 1935 venne ordinato sacerdote a Cracovia. Nel 1935-1936 fu a Daszawa e a Cracovia, dove insegnò religione e venne nominato direttore dell’oratorio e dell’Associazione Cattolica giovanile. Il Servo di Dio venne arrestato a Cracovia il 23 maggio 1941 con altri confratelli salesiani. Il 26 giugno 1941 fu deportato nel campo di concentramento di Auschwitz dove, dopo appena un giorno, venne ucciso. Aveva 37 anni di età, 19 di professione e 6 di sacerdozio.

Don Franciszek Miśka

Franciszek Miśka nacque a Swierczyniec (Alta Slesia) il 5 dicembre 1898. Portò a termine il ginnasio nell’istituto salesiano di Oświęcim. Entrò nel noviziato di Pleszów nel 1916. Emise la professione perpetua ad Oświęcim il 25 luglio 1923. Compì gli studi teologici a Torino-Crocetta. Fu ordinato sacerdote il 10 luglio 1927 a Torino. Fece poi ritorno in Polonia. Nel 1929 fu nominato consigliere e catechista nell’orfanotrofio di Przemyśl. Nel 1931 e per i cinque anni successivi fu a Jaciążek come direttore. Nel 1936 venne nominato parroco della parrocchia di Ląd. Nel 1941 divenne direttore della casa dei Figli di Maria e parroco di Ląd.  Il 6 gennaio 1941 l’istituto salesiano di Ląd viene trasformato dalla Gestapo in prigione per i sacerdoti della diocesi di Włocławek e di Gniezno-Poznań. A don Franciszek viene affidato dalle autorità tedesche il compito di mantenere l’ordine e provvedere al sostentamento dei detenuti. Per non precisate ragioni fu trasferito più volte a Inowrocław e qui brutalmente torturato. Il 30 ottobre del 1941 il Servo di Dio venne trasportato nel campo di concentramento di Dachau (Germania). Qui, sottoposto ai lavori forzati e a condizioni di vita disumane, il 30 maggio 1942, giorno della Santissima Trinità, spirò nella baracca-ospedale del campo. Aveva 43 anni di età, quasi 25 di professione religiosa e quasi 15 di sacerdozio.

La fama di santità e di martirio dei Servi di Dio don Jan Świerc e VIII Compagni, sebbene ostacolata durante il periodo comunista, si diffuse già a partire dalla loro morte e si manifesta viva ancora oggi. Furono considerati sacerdoti esemplari, dediti alla pastorale ed alle opere di carità, affabili, sempre disponibili, in tutto interessati a rendere gloria solo a Dio, per amore del quale furono fedeli fino all’effusione del sangue.

Nel 28 marzo 2023, i Consultori storici del Dicastero delle Cause dei Santi hanno espresso voti affermativi in merito alla Positio super martyrio dei Servi di Dio Giovanni Świerc e VIII Compagni, Sacerdoti Professi della Società di San Francesco di Sales, uccisi in odium fidei nei campi di sterminio nazisti negli anni 1941-1942. Preghiamo che siano più presto elevati agli onori degli altari.

Mariafrancesca Oggianu
Collaboratrice Postulazione Generale Salesiana




La “Cronichetta” di don Giulio Barberis: giorno per giorno a Valdocco con don Bosco

Il 21 febbraio 1875 alcuni salesiani decisero di costituire una “commissione storica” per “raccogliere le memorie intorno alla vita di don Bosco”, impegnandosi a “scrivere e leggere insieme ciò che sarà scritto per ottenere la maggior precisione possibile” (così si legge nel verbale scritto da don Michele Rua). Tra essi c’era un giovane sacerdote di 28 anni, che da poco era stato incaricato da don Bosco di organizzare e dirigere il noviziato della congregazione salesiana, secondo le costituzioni ufficialmente approvate l’anno precedente. Il suo nome è don Giulio Barberis, conosciuto soprattutto per essere stato il primo maestro dei novizi dei Salesiani di don Bosco, ruolo che svolse per venticinque anni. In seguito fu ispettore e poi direttore spirituale della congregazione dal 1910 fino alla morte, avvenuta nel 1927.
Egli s’impegnò più degli altri nella “commissione storica”, conservando ricordi e testimonianze dell’attività di don Bosco e della vita dell’oratorio di Valdocco dal maggio 1875 al giugno 1879, quando lasciò Torino per trasferirsi nella nuova sede del noviziato a San Benigno Canavese. Ci ha lasciato una copiosa documentazione tuttora conservata nell’Archivio Salesiano Centrale, tra cui spiccano per significatività i quindici quaderni manoscritti da lui stesso intitolati Cronichetta: da essi molti studiosi e biografi di san Giovanni Bosco hanno attinto (a cominciare da don Lemoyne per le sue Memorie Biografiche), ma finora erano rimasti inediti. L’anno scorso ne è stata pubblicata l’edizione critica, rendendo così disponibile a tutti questa importante e diretta testimonianza su don Bosco e sugli inizi della congregazione da lui fondata.

Don Giulio Barberis, laureato all’università di Torino, era un uomo attento e preciso nel suo lavoro e leggendo le pagine della sua Cronichetta si nota con quanta passione e cura abbia cercato di portare a termine anche quest’opera. Purtroppo più volte egli con rammarico e dispiacere segnala che o per motivi di salute o per i numerosi altri impegni dovette sospendere la redazione dei quaderni o limitarsi a riassumere o soltanto accennare alcuni fatti. Ad un certo punto si trova a dover scrivere: “Che dolorosa sospensione. Perdonami, cara Cronichetta mia: se ti sospendo tante volte e con sospensioni così lunghe, non è che non ti ami sopra ogni altro lavoro, ma è per necessità, cioè per compir prima, almeno nel più grosso, i miei doveri” (quaderno XI, pag. 36). Perciò non ci meravigliamo se la forma delle sue registrazioni non è sempre curata, con alcuni periodi non ben costruiti o qualche imprecisione ortografica; questo non toglie infatti valore a quello che ci ha trasmesso.
I quaderni, infatti, sono una miniera di informazioni con il vantaggio dell’immediatezza rispetto ad altre narrazioni successive, letterariamente più curate, ma necessariamente rielaborate e reinterpretate. In essi troviamo testimonianza di eventi importanti, come la prima spedizione missionaria del 1875, di cui è raccontata dettagliatamente la preparazione, la partenza e gli effetti che produsse.

Vengono descritte le feste più importanti (ad es. Maria Ausiliatrice o la nascita di san Giovanni Battista, onomastico di don Bosco) e come venivano celebrate. Possiamo conoscere le attività ordinarie e straordinarie di Valdocco (la scuola, il teatro, la musica, visite di vari personaggi…): come erano preparate e gestite, cosa funzionava bene e quali aspetti erano da migliorare, in che modo i salesiani sotto la guida di don Bosco si organizzavano e lavoravano insieme, senza nascondere alcune criticità. Non mancano piccoli aspetti della quotidianità: la salute, il cibo, l’economia e molti altri particolari.
Da queste cronache, però, emerge anche lo spirito che animava tutta l’opera: la passione che sosteneva l’impegno spesso soverchiante, l’affetto per don Bosco sia dei salesiani che dei ragazzi, lo stile e le scelte educative, la cura per la crescita delle vocazioni e la formazione dei giovani salesiani. L’autore ad un certo punto annota: “Oh, così fosse davvero che potessimo consumare tutta la vita fino all’ultimo fiato in lavorare nella congregazione a maggior gloria di Dio, ma in modo che nemmanco un respiro nella vita nostra avesse scopo diverso” (quaderno VII, pag. 9).

La Cronichetta presenta inoltre un preciso ritratto di don Bosco negli anni della maturità. Al giorno 15 agosto 1878 don Barberis scrive: “Compleanno di don Bosco. Nato com’è del 1815, compie i 63 anni. Si fece festa. Servì questa circostanza per distribuire i premi agli artigiani. Erano stampate al solito poesie e molte se ne lessero” (quaderno XIII, pag. 82). Molte registrazioni si soffermano sulle caratteristiche della personalità del padre e maestro dei giovani, tra cui alcuni aspetti che nelle narrazioni biografiche successive sono andate perdute, come l’interesse per le scoperte archeologiche e scientifiche del suo tempo. Ma soprattutto appare la totale dedizione alla sua opera, in quegli anni in particolare l’impegno per consolidare la congregazione salesiana e per espandere sempre più il suo raggio d’azione con la fondazione di nuove case in Italia e all’estero.

Risulta comunque difficile riassumere il ricchissimo contenuto di questi quaderni. Si è tentato nell’introduzione al volume di individuare alcuni nuclei tematici che spaziano dalla storia della congregazione salesiana e dalla vita di don Bosco (diversi sono i passaggi in cui Barberis riporta “cose antiche dell’oratorio”) al modello formativo di Valdocco e agli aspetti gestionali ed organizzativi. Sempre nell’introduzione si affrontano altre questioni relative al documento: l’uso che ne è stato fatto, con speciale riferimento alle Memorie Biografiche, il valore storico da dare alle informazioni, lo scopo per cui è stato scritto, nonché la lingua e lo stile utilizzati. Circa quest’ultimo punto notiamo come l’autore, secondo quanto appreso da don Bosco stesso, ha arricchito la sua cronaca con dialoghi, episodi ameni, “buone notti” e sogni di don Bosco, rendendo così la lettura anche interessante e piacevole.

Il volume è anche testimonianza più generale del momento storico in cui è stato scritto, in particolare del travagliato periodo seguito all’unificazione italiana. Nel marzo del 1876 ci fu il cambio di governo per la prima volta guidato dal partito della Sinistra storica. Nell’ottavo quaderno della Cronichetta alla data 6 agosto 1876 troviamo memoria del ricevimento tenutosi al collegio salesiano di Lanzo in occasione dell’inaugurazione della nuova ferrovia, in cui intervennero vari ministri. L’interazione di don Bosco con i politici e il suo interesse per le vicende dell’Italia e di altri stati è ben documentata e le note storiche apposte alla fine di ogni quaderno forniscono le informazioni essenziali. Anche notizie di attualità più spicciola trovano posto nelle varie registrazioni, come la posa dei cavi sottomarini per il telegrafo elettrico o alcune credenze di tipo salutistico e medico dell’epoca.

Questa pubblicazione è un’edizione critica, rivolta quindi principalmente agli studiosi di storia salesiana, ma anche chi volesse approfondire alcuni aspetti della persona del santo fondatore dei salesiani e della sua opera troverà grande utilità dalla lettura, che, superato l’ostacolo dell’italiano ottocentesco, è spesso piacevole.

Per gli interessati, la “Cronichetta” di Giulio Barberis si può acquistare da QUI.

don Massimo SCHWARZEL, sdb




Un centro di protezione per ragazzi di strada a Lagos, Nigeria

A Lagos, in Nigeria, in una città sovrappopolata e in continua crescita, dove più del 40% della popolazione è composto da giovani sotto i 18 anni, i salesiani hanno aperto una casa per i ragazzi di strada.

Lagos è uno dei 36 stati della Nigeria federale. È praticamente una città-stato, capitale del paese fino al 1991, quando avvenne il riconoscimento ufficiale della nuova capitale, Abuja, nel centro del paese. Con i suoi 16 milioni di abitanti, è la seconda area urbana più popolosa dell’Africa dopo quella de Il Cairo, e con la sua area metropolitana di 21 milioni di abitanti, è una delle più popolose al mondo. Inoltre, è in continuo aumento, tanto che è diventata la prima città in Africa e settima nel mondo per velocità della crescita demografica.
Con un clima molto caldo, trovandosi appena 6° a nord dell’Equatore, è localizzata sulla terraferma, con apertura sul lago Lagoon e sull’Oceano Atlantico: grazie alla sua posizione, è sempre stata una città commerciale, tanto che, anche se la capitale è stata trasferita, rimane il centro commerciale ed economico dello Stato e uno dei più importanti porti dell’Africa occidentale.
Con 230 milioni di abitanti, la Nigeria è il Paese più popoloso dell’Africa e il sesto Paese più popoloso del mondo. La Nigeria ha la terza popolazione giovanile più numerosa del mondo, dopo India e Cina, con oltre 90 milioni di abitanti di età inferiore ai 18 anni.
La situazione giovanile in questa città è comparabile con Torino al tempo di don Bosco. Molti ragazzi poveri delle campagne e delle città affluiscono nella città di Lagos in cerca di lavoro e di una vita migliore, ma sono soggetti a sfruttamento, abbandono, povertà e privazioni. Sono a rischio di rimanere sulla strada, di essere maltrattati, di essere vittime della tratta di persone, di entrare in conflitto con la legge o di abusare delle droghe.

In aiuto di questi ragazzi e giovani sono venuti i salesiani, con una Casa Don Bosco, un centro di protezione per ragazzi di strada, approvato dal Ministero della Gioventù e dello Sviluppo Sociale dello Stato di Lagos, come casa di riabilitazione per ragazzi a rischio. È una Casa che si dedica a migliorare la vita dei ragazzi di strada, dei ragazzi vulnerabili, fornendo loro un ambiente familiare alternativo, un rifugio, istruzione, sostegno emotivo, protezione e potenziamento delle abilità di vita. Si parte dalla convinzione che ogni ragazzo abbia un potenziale positivo e che i giovani rappresentino il futuro del paese. Se l’ambiente è buono, se ricevono una buona formazione e vedono buoni esempi, possono crescere anche loro in modo da diventare una speranza per gli altri.

La Casa Don Bosco comprende ospiti residenziali e non residenziali.
I ragazzi residenti sono quelli che vivono nella casa di accoglienza, frequentano la scuola all’interno della casa e partecipano a tutte le attività che li porteranno a diventare persone migliori e a reintegrarsi nelle loro famiglie e comunità. Alcuni dei programmi gestiti nella casa, nell’ambito dell’acquisizione di competenze e dell’empowerment, sono rappresentati da percorsi di sartoria, taglio capelli, produzione di scarpe, mentre nell’area dello sviluppo dei talenti sono musica, teatro, danza e coreografia. I ragazzi sono anche impegnati in diversi percorsi terapeutici, sport e attività ricreative per favorire il loro sviluppo sociale e fisico.

Nel loro lavoro con questi ragazzi, i salesiani si sono resi conto della potenzialità della musica, specialmente nella riabilitazione dei più piccoli. Aiutandoli a conoscere e usare gli strumenti musicali, si offre sollievo dal peso del loro vissuto, favorendo il superamento di vari traumi, rafforzando anche un buon rapporto familiare fra loro. Lo stesso succede anche con la danza. I ragazzi sono molto attratti dalla coreografia, vogliono provare e non si scoraggiano quando si accorgono di aver sbagliato, ma ritentano con perseveranza fino quando riescono, imparando dagli errori. La danza incoraggia i ragazzi a sperimentare e a trovare percorsi diversi per dimenticare i loro problemi.

Ma la Casa Don Bosco non chiude le porte a quelli che non vogliono restare. Gli ospiti non residenziali sono quelli che vivono per strada e che, spesso, vengono a cercare un rifugio temporaneo. La casa serve loro come tappa per riposare, giocare, fare una doccia, cambiare i vestiti, ricevere farmaci e vitto. In queste occasioni, si offre loro anche la possibilità di attività di follow-up: consulenza e riabilitazione psicologica, rintracciamento e reinserimento familiare, continuità dell’istruzione, acquisizione di competenze, assistenza medica e sanitaria complessa e inserimento lavorativo.

È un aiuto prezioso, perché la maggior parte di questi giovani ha un’età compresa tra i 14 e i 24 anni: tanti di loro sono impegnati in qualche lavoro, che permette loro di guadagnare qualcosa per coprire le spese quotidiane di cibo, abbigliamento e altre necessità. Una buona parte di loro lavora nel settore non organizzato, aiutando nei matrimoni, nei cantieri edili, trasportando carichi nel parcheggio degli autobus, vendendo sacchetti d’acqua e bevande sulla strada, svolgendo i lavori più umili. Ed è bello costatare questo, perché vuol dire che hanno voglia di guadagnarsi onestamente la vita, ma non sempre trovano qualcuno che li aiuti.

Come si può intuire, le ragazze non si trovano in una situazione migliore e ciò rappresenta una sfida per i salesiani: pensare in qualche modo anche a loro. Anche per questo i salesiani chiedono sostegno per migliorare le capacità del loro personale e la gestione in generale e sono aperti a ricevere assistenza per migliorare la qualità del lavoro. Da soli possono fare poco, ma insieme con gli altri possono fare molto.

don Raphael AIROBOMAN, sdb
Direttore del “Don Bosco Home Child Protection Center”, Lagos, Nigeria




Il miracolo

Questa è la storia vera di una bambina di otto anni che sapeva che l’amore può fare meraviglie. Il suo fratellino era destinato a morire per un tumore al cervello. I suoi genitori erano poveri, ma avevano fatto di tutto per salvarlo, spendendo tutti i loro risparmi.

Una sera, il papà disse alla mamma in lacrime: “Non ce la facciamo più, cara. Credo sia finita. Solo un miracolo potrebbe salvarlo”.
La piccola, con il fiato sospeso, in un angolo della stanza aveva sentito.
Corse nella sua stanza, ruppe il salvadanaio e, senza far rumore, si diresse alla farmacia più vicina. Attese pazientemente il suo turno. Si avvicinò al bancone, si alzò sulla punta dei piedi e, davanti al farmacista meravigliato, posò sul banco tutte le monete.
“Per cos’è? Che cosa vuoi piccola?”.
“È per il mio fratellino, signor farmacista. È molto malato e io sono venuta a comprare un miracolo”.
“Che cosa dici?” borbottò il farmacista.
“Si chiama Andrea, e ha una cosa che gli cresce dentro la testa, e papà ha detto alla mamma che è finita, non c’è più niente da fare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Vede, io voglio tanto bene al mio fratellino, per questo ho preso tutti i miei soldi e sono venuta a comperare un miracolo”.
Il farmacista accennò un sorriso triste.
“Piccola mia, noi qui non vendiamo miracoli”.
“Ma se non bastano questi soldi posso darmi da fare per trovarne ancora. Quanto costa un miracolo?”.

C’era nella farmacia un uomo alto ed elegante, dall’aria molto seria, che sembrava interessato alla strana conversazione.
Il farmacista allargò le braccia mortificato. La bambina, con le lacrime agli occhi, cominciò a recuperare le sue monetine. L’uomo si avvicinò a lei.
“Perché piangi, piccola? Che cosa ti succede?”.
“Il signor farmacista non vuole vendermi un miracolo e neanche dirmi quanto costa… È per il mio fratellino Andrea che è molto malato. Mamma dice che ci vorrebbe un’operazione, ma papà dice che costa troppo e non possiamo pagare e che ci vorrebbe un miracolo per salvarlo. Per questo ho portato tutto quello che ho”.
“Quanto hai?”.
“Un dollaro e undici centesimi… Ma, sapete…” Aggiunse con un filo di voce, “posso trovare ancora qualcosa…”.
L’uomo sorrise “Guarda, non credo sia necessario. Un dollaro e undici centesimi è esattamente il prezzo di un miracolo per il tuo fratellino!”. Con una mano raccolse la piccola somma e con l’altra prese dolcemente la manina della bambina.
“Portami a casa tua, piccola. Voglio vedere il tuo fratellino e anche il tuo papà e la tua mamma e vedere con loro se possiamo trovare il piccolo miracolo di cui avete bisogno”.
Il signore alto ed elegante e la bambina uscirono tenendosi per mano.

Quell’uomo era il professor Carlton Armstrong, uno dei più grandi neurochirurghi del mondo. Operò il piccolo Andrea, che poté tornare a casa qualche settimana dopo completamente guarito.

“Questa operazione” mormorò la mamma “è un vero miracolo. Mi chiedo quanto sia costata…”.
La sorellina sorrise senza dire niente. Lei sapeva quanto era costato il miracolo: un dollaro e undici centesimi…. più, naturalmente l’amore e la fede di una bambina.

Se aveste almeno una fede piccola come un granello di senape, potreste dire a questo monte: “Spostati da qui a là e il monte si sposterà”. Niente sarà impossibile per voi (Vangelo di Matteo 17,20).




La carica dei 101. Casa salesiana Monterosa

“Che emozione… un anno fa era con noi don Angel!”.
Ecco come abbiamo iniziato la festa della nostra Comunità domenica 8 maggio 2022. Proprio un anno fa il nostro Rettor Maggiore era con noi a Torino, al Michele Rua per festeggiare i 100 anni dell’Opera. E con lui c’era anche il Sindaco della Città!
Già… 100 anni!

Era l’estate del 1922 quando un gruppo foltissimo di ragazzi, l’Unione Padri di Famiglia e il Comitato delle Patronesse, guidati da don Lunati inaugurarono l’Oratorio Michele Rua, con le sale, la chiesa, il cortile, l’Asilo infantile seguito dalle FMA e la scuola di cucito. La costruzione era stata resa possibile grazie all’aiuto di tanti volontari e anche al sostegno di molti benefattori, primo fra tanti, papa Benedetto XV con la sua generosa offerta di 10.000 Lire. Da allora, l’Opera non si è più fermata e si è ampliata subito dopo con il Teatro e nel 1949 con la Scuola per l’“Avviamento Industriale”, così da preparare i giovani al lavoro.
Nel 1958 la Comunità diventa Parrocchia, giusto riconoscimento dell’opera religiosa e sociale che, ormai da quarant’anni, i Salesiani stanno svolgendo nel Borgo Monterosa;  negli anni a seguire la Scuola professionale diventa Scuola Media.

Casa salesiana Monterosa, anni ’60. Fuori dalla sala giochi

Grazie a contributi vari, alla disponibilità e al sacrificio di giovani e volontari, negli anni Settanta è poi arrivata la Scuola Materna e nel 1991 la Palestra e i nuovi campi da calcio. Nel 2008, con la preziosa presenza delle FMA, si aggiunge la Scuola Primaria e si amplia il gruppo degli Amici del Presepe e il Laboratorio Mamma Margherita. Tante strade si sono aperte e hanno garantito ai ragazzi e ai giovani del quartiere di trovare un posto sicuro e accogliente, anche nei periodi più difficili a partire dalla guerra, dal fascismo… fino alla chiusura per pandemia nel 2020. E anche durante il lockdown, i nostri Salesiani e le nostre FMA hanno fatto sentire la loro presenza con incontri online, canti sui tetti e giochi organizzati su piattaforme digitali.

Rileggere la storia del nostro Oratorio ci fa venire i brividi… una tettoia, il cortile e un capannone messi a disposizione da un benefattore in una zona popolare, dove i bambini si ritrovavano per strada alla ricerca di qualcuno che si occupasse di loro e a loro volesse bene. Proprio lì i Salesiani decisero di fermarsi, di esserci in quella realtà così vicina a quella di don Bosco. E poi ancora: il Ricreatorio di Mamma Margherita, i ragazzi che aumentano e la tettoia che non basta più, la disponibilità di tanti papà e mamme che offrono le loro competenze e capacità.

Casa salesiana Monterosa. Squadra calcio della Bandina, 1952

Tutto è partito nel 1922 e così nel 2022 abbiamo festeggiato i primi 100 anni. È stato un anno prezioso sotto tanti punti di vista. Riprendere in mano la storia e vedere quante similitudini ci sono tra il passato e la nostra vita quotidiana ci ha dato una bellissima carica di entusiasmo. Oggi come allora i ragazzi cercano chi possa amarli, chi con la presenza quotidiana testimoni loro quanto sono importanti, quanto valgono. E così al Michele Rua abbiamo le scuole dell’Infanzia, Primaria e Secondaria; abbiamo il Teatro e la Polisportiva; abbiamo il Centro Diurno in collaborazione con i Servizi Sociali del Comune di Torino; abbiamo il Catechismo e i Gruppi Formativi. Tanto per i giovani e i ragazzi, ma anche tanto con e per le famiglie: Gruppo Famiglia, Baby Rua, Giovani Sposi, Gruppo Evergreen, Laboratorio Mamma Margherita e Amici del Michele Rua.

Una realtà così funziona perché chi ci passa la vive come Casa, come la propria Comunità. Ed è per questo che in occasione del Centenario, la Comunità Educativa Pastorale ha deciso di affrontare un cammino sinodale, di lettura del territorio e di analisi dei bisogni per provare insieme a dare risposte e offrire proposte ai tanti giovani che oggi varcano la soglia dei nostri cortili.

Un cammino, quello del Centenario, che, con i piedi saldi nel presente e la storia del passato chiara in mente, ci ha interrogato sul futuro. Abbiamo individuato le parole cardine del nostro essere in questo quartiere e abbiamo deciso di lasciarci guidare da: famiglia, accoglienza, lavoro, formazione, evangelizzazione e giovani. Attorno a questi punti fermi abbiamo posto le basi per ripartire e rimetterci tutti in cammino per il bene dei ragazzi che varcano la porta dell’Oratorio. Nel “nuovo” Michele Rua oggi c’è un Maker Lab di sartoria, falegnameria, robotica e videomaking dove i ragazzi e i giovani possono vivere un’esperienza laboratoriale, così da imparare, facendo. Nei laboratori allestiti al primo piano, adulti volontari esperti offrono il loro tempo per aiutare i ragazzi a esprimersi, cercando di lavorare insieme su un pezzo di legno, con il pirografo o il seghetto oppure su un pezzo di stoffa con ago e filo. Ma non solo: ci sono anche le classi all’aperto per le nostre scuole e un orto didattico che offre fagiolini e pomodori ai ragazzi che a turno si prendono cura delle loro piantine.
In un quartiere multietnico e variegato come il nostro, la priorità sono da sempre le famiglie più povere e così, con la nostra Parrocchia, oltre ai consueti servizi alla carità per pagare le bollette del gas o offrire una borsa della spesa, sono nati due importanti nuovi progetti: Amico Click, per offrire strumenti utili a chi fa fatica a entrare nel mondo digitale come creare una mail o prenotare il medico on line, e Amico Speak, perché tutti i nuovi arrivati possano conoscere e usare bene la lingua italiana.

E, con lo slancio del Centenario, non ci siamo fermati a reinventare l’oggi; siamo in moto per il prossimo futuro. Stiamo ripensando a come ristrutturare i locali della ex Bocciofila, da tempo in disuso, per essere sempre più presenza attiva sul territorio, rispondenti ai bisogni di oggi. Vorremmo riprendere l’idea del 1949 dell’“Avviamento industriale” e studiare un moderno Hub Lavoro per i ragazzi che non riescono a seguire percorsi strutturati e continuativi; vorremmo esserci per tutti i bambini che non riescono a “stare bene” a scuola, in particolare per gli effetti lasciati su di loro dai periodi di chiusura del lockdown e quindi creare un doposcuola professionale che offra metodo di studio, accompagnamento per le famiglie e servizi individualizzati. E, come voleva don Bosco, siamo decisi a rilanciare tutta l’attività legata al nostro Teatro: musica, danza, recitazione. Partiremo con inscenare un nuovo Musical che possa appassionare i ragazzi e far emergere i loro talenti.

Oggi nei nostri cortili ci sono quotidianamente più di 100 ragazzi che giocano, abbiamo più di 500 ragazzi iscritti alle attività sportive e 200 alle attività formative oratoriane. Abbiamo i gruppi dei bambini del Catechismo e almeno 50 utenti alla settimana che vengono per il doposcuola. Abbiamo più di 520 bambini iscritti nelle nostre scuole e 20 che ogni giorno frequentano il nostro Centro Diurno. Quando ci ritroviamo a mangiare insieme per la Festa della Comunità, prepariamo più di 500 piatti di polenta e spezzatino… e poi tanti iscritti all’Estate Ragazzi, ai campi estivi al mare e in montagna.

Tutto ciò si rende possibile grazie alla presenza di Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice che instancabilmente ci sono, ciascuno a servizio con la propria sfaccettatura e disponibilità. Grazie a innumerevoli animatori, volontari che gratuitamente vivono i nostri cortili come quelli di casa propria e non mancano mai per svolgere i più diversi servizi.

Casa salesiana Monterosa. Attività coi ragazzi, 2023

Grazie ai dipendenti che credono nella loro vocazione e non varcano la soglia solo per svolgere il loro lavoro. Grazie alle Istituzioni locali che consigliano, suggeriscono e fanno rete. Grazie ai tanti benefattori che non mancano di sostenere le molte spese da affrontare. Grazie alle famiglie che continuano a credere nell’alleanza educativa che si può creare tra adulti per il bene dei ragazzi. Grazie a chi ci ha lasciato ma che continua a vegliare su di noi e a custodire le nostre attività.
Soprattutto grazie a Maria Ausiliatrice, san Domenico Savio, don Bosco e Madre Mazzarello che ci guidano, ci benedicono e ci riempiono di grazie.

In occasione del Centenario, abbiamo chiesto a chi è passato di qui di raccontare un pezzo della loro vita al Michele Rua e sono arrivate 100 storie bellissime, ricche di emozioni e passione. Ebbene, in tutte c’è il ricordo di qualcuno, prete, suora, animatore, catechista… che ha offerto un pezzo di vita per gli altri nella nostra Opera. Ecco perché il Michele Rua è così, presenza viva nel Quartiere Barriera di Milano.

Ritornando alla prima frase del nostro racconto, domenica abbiamo festeggiato la festa della Comunità a 101 anni dalla fondazione dell’Opera e, come ha detto il nostro Ispettore, abbiamo di nuovo tanto per festeggiare… e come il dalmata nella storia di Walt Disney carichi ed entusiasti, partiamo per la CARICA dei 101!

Una volontaria.




Don Bosco in Albania. Un padre per tanti giovani

Il carisma salesiano è radicato in Albania, un Paese dove l’opera salesiana è viva e feconda: dagli inizi negli anni’90 allo sguardo verso il futuro, le esperienze raccontate da don Giuseppe Liano, missionario guatemalteco al servizio della gioventù albanese, nella comunità di Scutari.

Come nasce la presenza salesiana in Albania? Racconta don Oreste Valle che, guardando la drammatica situazione italiana dei porti di Bari e di Brindisi nel 1991, fu lo stesso papa san Giovanni Paolo II a chiedere all’allora Rettor Maggiore, don Egidio Viganò, l’immediata disponibilità dei salesiani ad andare in Albania. L’arrivo di quelle navi stracolme di persone alla ricerca di un futuro migliore straziava il suo cuore e gli aveva subito fatto intuire che non ci si poteva limitare all’accoglienza al porto: c’era bisogno urgente di percorrere anche la strada inversa e andare incontro a quei giovani poveri e abbandonati rimasti a casa.

La prima spedizione salesiana dall’Italia arrivò alla fine del 1991. Ufficialmente la presenza salesiana ebbe inizio il 25 settembre 1992, a Scutari (Shkodër), nel nord dell’Albania, destinata a costruire un avvenire promettente, iniziando da un presente pieno e gioioso. Il contesto era una città storicamente importante, di grande cultura e di fede, in mezzo ad una povertà spaventosa, una quantità inimmaginabile di giovani, con il ricordo di tanto sangue sparso, sangue di martiri cattolici e di altre religioni.

L’opera si sviluppò attorno ai bisogni dei ragazzi e delle loro famiglie: dall’oratorio, cuore e genesi della presenza salesiana, alla scuola professionale, poi il convitto, il tempio e la parrocchia. Uno sviluppo secondo il criterio oratoriano: cortile, scuola, casa e parrocchia, come voleva don Bosco. Dopo Scutari, gli orizzonti si aprirono nella capitale Tirana, poi in Kosovo, a Prishtina e Gjilan, e, da quasi tre anni, anche a Lushnje, nel sud dell’Albania.

La casa salesiana di Scutari si trova nel centro della città: nel convitto è presente un numero significativo di ragazzi iscritti e l’oratorio continua a essere un cortile affollato ogni pomeriggio. Dai piccoli che vengono ai loro allenamenti di calcio o alla scuola di danza popolare, fino ai ‘grandi’ che si divertono giocando a pallavolo, a pallacanestro o  semplicemente incontrandosi per parlare e trascorrere il tempo insieme in oratorio.

Ogni giorno, alle 18, si fermano tutte le attività per la buona notte e la preghiera, come è la tradizione salesiana. Tutti i fine settimana si incontrano i gruppi della catechesi (venerdì) e i gruppi formativi (sabato).

Questo nell’ordinarietà, perché poi sarebbero da aggiungere gli incontri vocazionali, le esperienze di apostolato, gli allenamenti dei diversi sport e le feste secondo il tempo liturgico. Tutto questo animato da una comunità credente abbastanza numerosa e da un consistente numero di ragazzi e giovani animatori.

Si potrebbe dire che la bellezza e l’originalità delle opere salesiane albanesi è che, nell’insieme, vengono accolti centinaia di ragazzi e di famiglie di credo diverso, offrendo un servizio di educazione e di comunione in un contesto interreligioso. Il nome e la tradizione di “Don Bosko” (con la k) sono riconosciuti come un modello di fiducia, di lavoro e di bene generoso per la società. Ogni comunità svolge la propria missione in un contesto totalmente diverso a livello di fede, di proposta pastorale e di dialogo con la città, ma si cerca di condividere, per quanto possibile, fra Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice.
Per i ragazzi sembra che tutto sia un solo cortile in luoghi diversi. Quest’armonia e questa fiducia sono la carta vincente per poter proporre giochi, corsi, preghiere e itinerari di crescita senza essere giudicati come ‘propagandisti della fede’ o ‘interessati solo al proprio bene’.

Chi entra in un ambiente salesiano si sente accolto e capace di accogliere gli altri, senza distinzione. E per i cattolici, far parte del gruppo degli animatori e del cortile significa vivere la propria vocazione al servizio dei giovani, secondo lo stile salesiano, con la bellezza di vederli pregare, confessarsi e partecipare alla messa regolarmente.
Quello che attualmente interroga i salesiani è trovare le risposte giuste ai bisogni di questa generazione.

Il fenomeno della migrazione è straziante, gli indicatori della povertà aumentano e le possibilità di un futuro degno a Scutari si riducono in modo drammatico. Sia per studiare sia per trovare lavoro, bisogna avere tanta fortuna o altrimenti per forza si deve andare via. I salesiani sognano un centro diurno e un centro giovanile, con una scuola professionale degna e proficua e una scuola di lingue, di arti e di sport, che dia ai loro sogni una forma, un presente e un futuro. Purtroppo, senza il sostegno economico, questi sogni rimangono solo come inchiostro su fogli bianchi. E, nel frattempo, i giovani e le famiglie continuano ad andare via da qua.

Ma i salesiani non smettono di sognare vivendo il presente come un dono davvero prezioso di Dio. Don Giuseppe LIANO, salesiano missionario dal Guatemala, ci dice: “Io, personalmente, mi sento il salesiano più fortunato su questa terra: condividere la missione con salesiani di tutto il mondo (Vietnam, Congo, Italia, Zambia, India, Slovenia, Slovacchia, Guatemala, Albania e Kosovo), con giovani così fedeli e salesiani, in una città così bella, dedicandomi ad animare l’oratorio… non succede tutti i giorni!”. Tutto questo, con la consapevolezza che entrare nel contesto, conoscere la realtà e capire la lingua sono stati processi lenti e costosi, ma, a distanza di tempo, ci si accorge di quanto ogni cosa sia valsa la pena. Una missione così sfidante e così bella è uno stimolo alla fedeltà creativa e alla santità!

Per l’Albania oggi si preannuncia un futuro complesso. I problemi non mancano. Ultimamente i sostegni economici e i progetti che arrivavano in Albania hanno sono stati indirizzati verso destinatari più bisognosi, soprattutto in Ucraina e in Turchia; questo fa pensare che è anche tempo di cominciare non solo a ricevere ma anche a generare un sostegno, benché non sia ancora possibile coprire del tutto i costi. I giovani, fedeli e forti, ci sono, per grazia di Dio. Oggi la sfida è trovare il punto di slancio, il modo di trasformare insieme il contesto in una certezza, in un’‘oasi’ per le future generazioni e in una fonte di vocazioni, di santità e di bellezza.

Marco Fulgaro




Cinquanta anni di servizio. Don Rolando Fernandez

Don Rolando Fernandez, salesiano missionario nelle Filippine, attualmente nella comunità di Dili – Comoro appartenente alla Visitatoria Timor Est (TLS), ha compiuto 50 anni di servizio nella vita sacerdotale, 40 dei quali nel Timor Est.

I fedeli di Baucau hanno celebrato 50 anni di vita sacerdotale di don Rolando Fernandez, sdb, missionario di Pangasinan, Filippine, nel giorno della festa di san Domenico Savio. Si sono uniti nella concelebrazione della Messa di ringraziamento l’Ispettore TLS, don Anacleto Pires, sacerdoti della Diocesi di Baucau e sacerdoti salesiani. Hanno partecipato tante persone, tra cui alcune religiose e Figlie di Maria Ausiliatrice, membri della Famiglia Salesiana, novizi e pre-novizi, rappresentanti del governo, studenti e giovani, riuniti nella cattedrale di Baucau e animati da un gioioso spirito di ringraziamento, celebrando l’amore di Dio attraverso la persona di don Rolando Fernandez, nei suoi quarant’anni di vita e di servizio a favore del popolo timorese.

Amu Orlando, come viene chiamato dalla gente, ha trascorso i suoi dieci anni di vita missionaria in Papua Nuova Guinea, prima di unirsi ad altri missionari che lavoravano a Timor Est a metà degli anni ’80. Questa celebrazione si è svolta a Baucau, perché don Rolando ha operato lì come parroco (1992-1994) e direttore e fondatore della nota Escola Secundária Santo António (ESSA) Teulale-Baucau. Assieme a questa, don Rolando ha portato a termine molte altre opere a Baucau. Solo per citarne alcune, le traduzioni della Parola di Dio nella lingua nazionale, il Tetum e altre opere di stampa. Ha fatto un grande sforzo per offrire ai fedeli preghiere e testi di culto per le celebrazioni liturgiche. L’ultimo dei suoi lasciti, ma non meno importante, che rimarrà nei cuori dei giovani timoresi di tutto il Paese, è l’organizzazione dell’evento Cruz Jovens, per i giovani di Timor Est, iniziato da papa san Giovanni Paolo II a Roma nel 22 aprile 1984 (la prima Giornata Mondiale della Gioventù).

Nell’omelia don Rolando è andato al cuore del significato di assistenza. In primo luogo, ha parlato della indegnità dell’uomo a diventare sacerdote. Il sacerdozio non è un diritto, ma è un dono di Dio. È Dio che chiama, nel suo grande amore, e dona questa grazia per diventare sacerdoti. È una fiducia di Dio quella di scegliere ed elevare uomini per servire il suo popolo. Questo si riflette anche nella seconda Preghiera Eucaristica, nella quale il sacerdote dice: “… ti rendiamo grazie perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”. Per questo grande dono, don Rolando ha ringraziato Dio per averlo chiamato e per avergli dato l’occasione di prestare il suo servizio.
Poi, guardando al passato, al suo percorso di vita, don Rolando ha visto come il dito di Dio gli ha indicato, mostrato e preparato la strada per questo dono del sacerdozio ordinato tramite le esperienze iniziate nella sua devota famiglia di genitori e fratelli, e tramite i missionari salesiani che ha conosciuto. Possiamo aggiungere che si conferma una volta in più il detto “il frutto non cade lontano dall’albero”.
Uno degli eventi memorabili che ha cambiato la sua vita, è che suo padre è rimasto impressionato dopo aver visitato una scuola tecnica di don Bosco. Lì, ha visto i ragazzi che fabbricavano scarpe, cucivano, svolgevano lavori di falegnameria, di meccanica e di elettricità. Suo padre comprò un paio di scarpe per lui e, in quella occasione, un sacerdote salesiano gli regalò un libretto con immagini di Maria Ausiliatrice, don Bosco e Domenico Savio. Una volta tornato a casa, suo padre gli disse: “L’anno prossimo, andrai alla scuola Don Bosco”. Infatti, ci andò. Lì ha visto la vita dei salesiani, ha imparato da loro, ha desiderato essere come loro e, alla fine, è diventato uno di loro, un fratello salesiano e poi un sacerdote salesiano per sempre. Infine, don Rolando ha sentito un grande desiderio di diventare un segno e un portatore dell’amore di Dio, soprattutto per i giovani. Per lui, l’amore dei confratelli e dei superiori che si sono fidati di lui, che hanno affidato alle sue cure alcune responsabilità al di là delle sue capacità, l’amore dei suoi exallievi, dei ragazzi e della gente, hanno arricchito di significato la sua vita. E non sono parole vuote: si potrebbero enumerare tanti eventi ed esperienze di amore da parte dei Salesiani e della gente. Ha potuto sentire profondamente il loro amore anche quando si è ammalato.
Poi, ricordando le parole di don Bosco che diceva: “Pane, lavoro e paradiso: ecco tre cose che ti posso offrire io in nome del Signore”, commentava che il pane, per lui, non è mai mancato, però se non c’era il lavoro, il rischio era di non avere neanche il paradiso. Il lavoro intenso consuma la vita rapidamente, ma non lui non ha paura della morte perché ha fiducia nelle parole che don Bosco ha lasciato come testamento: “Quando avverrà che un salesiano soccomba e cessi di vivere lavorando per le anime, allora direte che la nostra Congregazione ha riportato un gran trionfo e sopra di essa discenderanno copiose le benedizioni del Cielo”. E questa fiducia nelle parole di don Bosco continua, con dar credito alle Costituzioni salesiane che nell’articolo 54 recitano “Per il salesiano la morte è illuminata dalla speranza di entrare nella gioia del suo Signore”. E – diciamo noi – è giusta questa fiducia nelle Costituzioni, perché lo stesso don Bosco diceva: “Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre costituzioni”.

Dopo l’omelia, don Rolando ha rinnovato ancora una volta i suoi voti religiosi davanti all’ispettore, don Anacleto Pires, a don Manuel Ximenes, sdb, parroco di Baucau, e a don Agnelo Moreira, sdb, Rettore della comunità di Baucau. Ha dato una testimonianza vivente dell’amore di Dio per gli uomini, soprattutto per i giovani.
Dopo la benedizione finale, ci sono stati alcuni interventi da parte di diversi rappresentanti che hanno espresso la loro gratitudine a don Rolando per la sua presenza, la sua vita e il suo lavoro per la Chiesa a Timor Est, in particolare a Baucau. Grazie al suo esempio di vita, ci sono molte vocazioni alla vita religiosa, tante suore e sacerdoti. Don Rolando Fernandez, proprio come una goccia di miele, ha attirato tanti giovani, ragazzi e ragazze, ad abbracciare la vita religiosa o sacerdotale. Come segno di gratitudine a nome dei confratelli di Timor-Leste, don Anacleto ha consegnato a don Rolando una statua di don Bosco. E in ricordo di questo evento, a Baucau è stato piantato anche un albero da parte di don Anacleto e don Rolando.

don Julian Mota, sdb