Life

“Life” è un gruppo di giovani, nato nel 1975 in Sicilia, che vuole vivere con impegno i valori umani e cristiani ed esprimerli attraverso il linguaggio artistico. Spettacoli, musica, canti, danze per proporre un messaggio al pubblico, per dire qualcosa che aiuti a riflettere e anche a pregare. Vogliono portare la proposta cristiana nei teatri e nelle piazze, in un nuovo modo di evangelizzare.

Li avevo visti all’opera sul palcoscenico di uno dei teatri più grandi di Catania, dinanzi a più di 1800 giovani delle scuole della città. Presentavano un musical che, con un linguaggio giovanile, aiutava a riflettere a 360° sul valore della vita. Canto, danza, luci, effetti speciali avevano tenuto inchiodati alle poltrone quei ragazzi per tutta la mattinata. All’uscita mi ero voluta mescolare agli spettatori per catturare qualche commento: “Forti davvero! A me sono piaciuti tanto i balletti!”…  “Hai visto che c’era anche l’orchestra dal vivo? Vorrei chiedere se mi prendono con loro”… “Più o meno hanno la mia età, ma che voci!…”.
Anch’io ero rimasta colpita da quel gruppo di giovani attori, non solo per la qualità della loro performance, ma anche perché già prima che arrivasse il pubblico avevo visto che si davano da fare per mettere in ordine ogni cosa: c’era chi posizionava i fari per le luci, chi provava i microfoni, chi metteva in ordine i costumi, chi si cimentava nell’ultima prova di un balletto e chi faceva i suoi vocalizzi per schiarire la voce. Ognuno sapeva cosa doveva fare e, con senso di responsabilità, svolgeva il suo compito. Quando il teatro fu pieno, prima di dare il via, sparirono tutti dietro al sipario chiuso. Volli sbirciare e vidi che, disposti in cerchio, erano tutti lì per una breve preghiera prima di iniziare lo spettacolo. Mi colpì questo fatto. Sapevo che era un gruppo salesiano appartenente all’Associazione del CGS (Cinecircoli Giovanili Socioculturali); decisi, così, di andare a trovarli presso la loro sede per saperne di più e conoscerli meglio.
Trovai un ambiente molto semplice: un saloncino per le prove e per gli incontri, una saletta per le registrazioni, un soppalco con degli armadi per i costumi, un deposito per le scene e per l’attrezzatura di luci e fonica, ma soprattutto trovai tanta creatività e tanto spirito salesiano. Ad accogliermi c’era Armando B., fondatore e responsabile del gruppo, nonché compositore di tutte le musiche, ed altri cinque giovani. Chiesi che mi raccontassero un po’ della loro storia.

– Il nostro gruppo – intervenne Armando – si chiama LIFE, Vita! Sì, perché stiamo insieme per scoprire il senso della vita e per annunciare al mondo la gioia della vita. Siamo nati nel 1975 per il desiderio di alcuni di noi, allora quindicenni, di stare insieme, legati dall’amore per la musica. Da allora se n’è fatta di strada! Nel corso degli anni è maturato pian piano il bisogno di approfondire la nostra fede, di vivere con impegno i valori umani e cristiani ed esprimerli attraverso il linguaggio artistico. Sono nati così i nostri musical, spettacoli interamente ideati e realizzati da noi: dalle musiche ai testi, dai costumi alle scene, dalle luci alla fonica…e abbiamo inciso anche molte cassette e CD.
– Puoi vedere qui alle pareti le locandine e le foto dei nostri spettacoli in tutti questi anni – aggiunse Paolo.

Life” è stato il primo spettacolo originale che affronta il problema della droga e del dialogo in famiglia; poi c’è stato “Benvenuta Povertà” che aiuta a riflettere sul consumismo e sulla vera libertà che nasce dal distacco dalle ricchezze; la devianza giovanile e le proposte educative di Don Bosco in “Anch’io mi chiamo Giovanni”; la scelta negli ultimi nel musical “La Ragazza di Poitiers”, la cultura della vita contro la cultura della morte in “Apriti alla Vita”; la sapienza evangelica che si sovrappone a quella del mondo in “E se non fosse un Sogno?”; “Storie per Vivere”, piccole storie di oggi e di ieri alla luce della spiritualità salesiana; “3P” – Padre Pino Puglisi, la storia del sacerdote vittima della mafia; “Sulle ali dell’amore”, che presenta l’esperienza del Servo di Dio Nino Baglieri e Ciò che resta è amore, sul messaggio di San Paolo.
– Ultimamente abbiamo messo in scena “Baraccopoli”, – intervenne Giuseppe – un musical che tocca il tema degli emarginati e della solidarietà. L’ultimo nato, invece, è un’opera su Papa Francesco e il suo messaggio agli uomini del nostro tempo. S’intitola “Dalla fine del mondo”.
Sara lo interruppe e, mostrandomi dei DVD, aggiunse:
– Vedi? Ci siamo cimentati anche nella produzione di film e, oltre alle versioni cinematografiche di “Storie per Vivere” e “Apriti alla Vita”, abbiamo realizzato altri tre film – “L’atleta di Dio, Placido e Nicolò” -, che hanno ricevuto premi e riconoscimenti particolari.
Restai veramente stupefatta dinanzi al materiale che documentava tanti anni di attività, e azzardai una domanda:
– Cosa vi spinge a fare tutto questo?
Alessandra sorrise e rispose:
– Il nostro vuole essere un modo nuovo di fare evangelizzazione, di portare la proposta cristiana nei teatri e nelle piazze. L’esperienza delle nostre tournées è sempre entusiasmante: abbiamo percorso l’Italia da un capo all’altro e siamo stati anche all’estero. Ogni volta è una carica nuova poiché nello stesso momento in cui si “annuncia” qualcosa, cresce la consapevolezza e la convinzione di ciò che proponiamo agli altri.
Armando aggiunse:
– Per poter dire qualcosa agli altri è indispensabile prima vivere una realtà! Per questo il nostro C.G.S. investe molto sulla formazione: ogni sabato ci si ritrova per pregare insieme ed ogni domenica abbiamo il nostro incontro formativo. Nel periodo estivo riserviamo una decina di giorni al “campo espressione”, giornate in cui si riflette sulla parola di Dio e si esprime in maniera creativa (musiche, danze, mimi…) la propria riflessione. Nei periodi dell’anno liturgico ci incontriamo per una giornata di ritiro spirituale. È una proposta, la nostra, che offriamo a tanti giovani del nostro territorio e non, di diverse fasce di età. I più grandi accompagnano i più piccoli. Molti arrivano a noi attratti dalla musica e dal desiderio di trovare amici e fare gruppo e pian piano si coinvolgono anche in un cammino di fede.
– Sì – intervenne Simone – posso testimoniare con la mia storia: all’inizio venni in gruppo solo perché mi piaceva la recitazione e desideravo anche imparare a suonare uno strumento. Qui trovai l’uno e l’altro, ma soprattutto conobbi persone che mi hanno saputo ascoltare e che mi hanno mostrato un modo di vivere diverso da quello che avevo sperimentato fino a quel momento. Qui ho iniziato anche a conoscere il Vangelo.

Mi sentivo bene con loro e mi fermai a chiacchierare fino a sera. Seppi, così, di tante esperienze vissute da questi ragazzi, come quella di andare nei pub a suonare e coinvolgere i giovani clienti in dialoghi su alcuni temi che li invogliassero a riflettere sulla loro vita o quella di andare a portare aiuti ai senzatetto in serate particolarmente fredde o, ancora, quella di gestire nel quartiere un oratorio alla maniera di Don Bosco o animare degli incontri giovanili in occasione di raduni diocesani o della regione.
Tornai ancora un sabato a trovarli. Era tutto un cantiere: Giuseppe animava l’incontro dei pre-adolescenti che se ne stavano stipati nella saletta di solito usata per le registrazioni, altri tre giovani dipingevano le scene dello spettacolo in programmazione, un gruppetto provava le varie voci di una canzone, mentre due erano intenti a scrivere su dei fogli. “Prepariamo l’incontro di domani sera per le famiglie – mi dissero. “Ci saranno le coppie di chi appartiene al gruppo, ma anche i genitori dei nostri ragazzi. Vogliamo coinvolgere anche loro in un cammino formativo”.
Quanta vita in questo gruppo! – mi sono detta; hanno scelto veramente il nome giusto come chiamarsi: LIFE!

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San Francesco di Sales. La fiducia in Dio Provvidenza (4/8)

(continuazione dall’articolo precedente)

LA FIDUCIA IN DIO PROVVIDENZA, IN SAN FRANCESCO DI SALES (4/8)

Entriamo nel cuore di Francesco di Sales per coglierne tutta la bellezza e la ricchezza.

“La nostra fede in Dio dipende dall’immagine che abbiamo di Dio!” dove per fede si intende la nostra relazione con Lui.

Francesco ci presenta nei suoi scritti il Dio in cui crede, ci consegna la sua immagine di Dio, un Dio scoperto come Padre che provvede e ama i suoi figli e di conseguenza la relazione che Francesco vive con lui è una relazione di fiducia totale e illimitata.

Gustiamo questi passaggi tratti dalle sue lettere, in cui fotografa il volto del Padre che è Provvidenza e si cura di noi.

“Figlia mia carissima, quanto il Signore vi pensa e con quanto amore vi guarda! Sì, Egli pensa a voi e non solo a voi, ma persino all’ultimo capello del vostro capo: è una verità di fede che non bisogna assolutamente mettere in dubbio”.

“Serviamo bene Dio e non diciamo mai: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Di dove verranno le nostre sorelle? Tocca al Padrone della casa prendersi questi fastidi, tocca alla Padrona della nostra casa ammobiliarla; e le nostre case appartengono a Dio e alla sua santa Madre”.

Gesù nel Vangelo ci invita a tradurre questa fiducia nel vivere bene il presente e Francesco lo ribadisce in questa lettera:
“Cercate di fare bene oggi, senza pensare al domani; domani poi cercherete di fare altrettanto; e non pensate a quello che farete in tutta la durata della vostra carica, ma compite il vostro dovere giorno per giorno senza darvi pensiero dell’avvenire, perché il vostro Padre celeste, che ha cura di guidarvi oggi, vi guiderà anche domani e posdomani, in proporzione della fiducia che, conoscendo la vostra debolezza, riporrete nella sua Provvidenza”.
“Egli vi ha custodita fino ad oggi. Tenetevi ben stretta alla mano della sua Provvidenza ed Egli vi assisterà in tutte le circostanze e, dove non potrete camminare, vi porterà. Non pensate punto a quello che vi capiterà domani, perché lo stesso Padre, che ha cura di voi oggi, avrà cura di voi anche domani e sempre. Cosa può temere un figlio nelle braccia di un padre così grande?”.

E il cuore di Francesco come è orientato in questo campo? In questo stralcio di lettera possiamo contemplare il suo cuore che è come un pulcino sotto la protezione della Provvidenza:
“Dio al quale appartengo disponga di me secondo il suo beneplacito: poco importa il luogo in cui dovrò terminare questo misero resto dei miei giorni mortali, purché li possa terminare nella sua grazia. Nascondiamo dolcemente la nostra piccolezza in quella grandezza e, come un pulcino che, sotto le ali della madre, vive sicuro e al caldo, riposiamo i nostri cuori sotto la dolce e amorosa Provvidenza di Nostro Signore”.

Se Francesco vive questa relazione di fiducia nei confronti di Dio, può offrire buoni consigli in merito ai destinatari delle sue lettere, forte della sua esperienza. Ascoltiamone alcuni.
“Siamo fedeli, umili, dolcemente e amabilmente risoluti di proseguire per la via sulla quale la Provvidenza celeste ci ha collocati”

La Madre Favre a Lione sente il peso della carica, che non è secondo i suoi gusti. Il segreto per superare questo stato d’animo?
“Gettate decisamente il vostro pensiero sulle spalle del Signore e Salvatore ed Egli vi porterà e vi fortificherà. Tenete fisso lo sguardo sulla volontà di Dio e sulla sua provvidenza”

La nostra fiducia in Dio, la convinzione di essere in buone mani è messa talora a dura prova, soprattutto quando il dolore, la malattia, la morte bussano alla porta della nostra vita o a quella di persone che ci sono care. Francesco lo sa e non per questo si tira indietro o si scoraggia.

“Confidare in Dio nella dolcezza e nella pace della prosperità è cosa che quasi tutti sanno fare; ma abbandonarsi a Lui interamente tra gli uragani e le tempeste è caratteristica dei suoi figli”

“I piccoli avvenimenti offrono le occasioni per le mortificazioni più umili e i migliori atti d’abbandono in Dio. Negli avvenimenti più dolorosi, occorre adorare profondamente la divina Provvidenza. Bisogna morire o amare. Vorrei che mi si strappasse il cuore o che, se questo mi resta, mi restasse solo per questo amore”.

Quante persone pregano per ottenere questa o quella grazia dal Signore e, quando questa non arriva o tarda ad arrivare, si scoraggiano e la loro fiducia in Lui vacilla. Splendido è questo ammonimento scritto ad una Signora di Parigi, pochi mesi prima della morte del santo:
“Dio ha nascosto nel segreto della sua Provvidenza il tempo in cui intende esaudirvi e il modo con cui vi esaudirà; e forse, vi esaudirà in modo eccellente non esaudendovi secondo i vostri disegni, ma secondo i suoi”

Nella Pentecoste del 1607 Francesco rivela a Giovanna il suo progetto: fondare con lei e per mezzo di lei un nuovo istituto. A seguito di questo incontro una lettera che dice con quale spirito occorre continuare il cammino, che durerà ancora quattro anni!
“Tenete il vostro cuore ben aperto e fatelo riposare spesso fra le braccia della Provvidenza divina. Coraggio, coraggio! Gesù è nostro: che i nostri cuori siano sempre suoi”.

Nel giro di pochi anni vari lutti colpiscono le famiglie di Francesco e di Giovanna.
Muore improvvisamente la sorellina di Francesco, Giovanna. Ecco come i santi sanno vivere questi eventi:
“Mia cara figlia, in mezzo al mio cuore di carne, che prova tanto dolore per questa morte, sento molto sensibilmente una certa soavità, una tranquillità e un dolce riposo del mio spirito nella Provvidenza divina, che infonde nella mia anima una grande gioia anche nei dispiaceri”

All’inizio del 1610 due nuovi lutti: la morte improvvisa di Carlotta, l’ultima figlia della baronessa, di circa dieci anni e la morte della mamma di Francesco, la signora di Boisy.
“Non bisogna dunque, carissima Figlia, adorare in tutto e per tutto la suprema Provvidenza i cui consigli sono santi, buoni e amabilissimi? Confessiamo, Figlia mia diletta, confessiamo che Dio è buono e che la sua misericordia dura per l’eternità. Ho provato una grande dolore per questa separazione, ma devo anche dire che è stato un dolore tranquillo, sebbene vivo. Piansi senza amarezza spirituale”.

E nella malattia?
Dopo aver superato una crisi di salute, assai grave, Francesco scrive questa preziosa testimonianza di come ha vissuto la malattia:
“Io non sono né guarito né malato; ma penso di potermi ristabilire del tutto assai presto. Figlia mia carissima, dobbiamo lasciare la nostra vita e tutto quello che siamo alla pura disposizione della divina Provvidenza, perché, in definitiva, non apparteniamo a noi stessi, ma a Colui che, per renderci suoi, ha voluto essere tutto nostro in un modo così amabile”.

La conclusione migliore a questa carrellata di messaggi che Francesco ci lancia attraverso le sue lettere mi pare sia quella che il Santo scrive nella Filotea. È un capolavoro di freschezza e di gioia.

“In tutte le tue occupazioni appoggiati completamente alla Provvidenza di Dio, che è la sola che possa dare compimento ai tuoi progetti.
Fa’ come i bambini che con una mano si aggrappano a quella del papà e con l’altra raccolgono le fragole e le more lungo le siepi; anche tu fai lo stesso: mentre con una mano raccogli e ti servi dei beni di questo mondo, con l’altra tieniti aggrappata al Padre celeste, volgendoti ogni tanto verso di Lui, per vedere se le tue occupazioni e i tuoi affari sono di suo gradimento.
Fa’ attenzione a non lasciare la sua mano e la sua protezione, pensando così di raccogliere e accumulare di più. Se il Padre celeste ti lascia non farai più nemmeno un passo, ma finirai subito a terra. Voglio dire, Filotea, che quando sarai in mezzo agli affari e alle occupazioni ordinarie, che non richiedono un’attenzione molto accurata e assidua, guarda Dio più delle occupazioni; quando gli affari sono così importanti che richiedono tutta la tua attenzione per riuscire bene, ogni tanto dà uno sguardo a Dio, come fanno coloro che navigano in mare i quali per raggiungere il porto previsto, guardano più il cielo che la nave. Così Dio lavorerà con te, in te e per te, e il tuo lavoro sarà accompagnato dalla gioia”.

(continua)







ADMA – Un itinerario di santificazione e apostolato secondo il carisma di don Bosco

L’Associazione di Maria Ausiliatrice (ADMA) è stata fondata il 18 aprile 1869 da don Bosco, come secondo gruppo della sua opera, dopo i salesiani, con lo scopo di “promuovere le glorie della divina Madre del Salvatore, per meritarsi la protezione di Lei in vita e particolarmente in punto di morte”.

            La Pia Associazione di Maria Ausiliatrice viene fondata dopo l’inaugurazione della Basilica dedicata alla Santissima Vergine, avvenuta il 9 giugno 1868 a Torino. Con l’edificazione della Basilica, don Bosco vede con i suoi occhi realizzarsi il famoso sogno del 1844, nel quale la Vergine Maria, nelle sembianze di una pastorella, gli fece vedere “una stupenda ed alta Chiesa” nel cui interno c’era “una fascia bianca, in cui a caratteri cubitali stava scritto: HIC DOMUS MEA, INDE GLORIA MEA”. Moltissime persone, soprattutto del popolo, avevano contribuito con offerte alla costruzione del Santuario in segno di gratitudine per le grazie ricevute dall’Ausiliatrice. I fedeli avevano fatto “ripetute domande perché venisse iniziata una pia Associazione di divoti, i quali, uniti nel medesimo spirito di preghiera e di pietà, facessero ossequio alla gran Madre del Salvatore, invocata sotto il titolo di Ausiliatrice”. Questa richiesta popolare – fatta anche se a Torino esisteva un’antica (XII secolo) e forte devozione alla Madonna sotto il titolo della Consolata – indica che l’iniziativa veniva dall’alto.

Cupola Basilica Maria Ausiliatrice, Torino

Così si capisce anche il motivo della richiesta di approvazione dell’Associazione avanzata proprio da don Bosco: “Il sottoscritto espone umilmente a V. E. Rev.ma che pel solo desiderio di promuovere la gloria di Dio e il bene delle anime avrebbe in animo che nella chiesa di Maria Ausiliatrice, or fa un anno da V. E. consacrata al divin Culto, si iniziasse una pia unione di fedeli sotto il nome di Associazione dei Divoti di Maria Ausiliatrice: scopo principale sarebbe di promuovere la venerazione al SS.mo Sacramento e la divozione a Maria Auxilium Christianorum: titolo che sembra tornare di vivo gradimento all’Augusta Regina del Cielo”. La sua richiesta non solo è stata accettata, ma in meno di un anno dalla fondazione (febbraio 1870) la Pia Associazione di Maria Ausiliatrice divenne eretta in Arciconfraternita.
            Il nome “ADMA” che don Bosco diede a questa associazione, significava Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice, dove la parola “devoti” rispecchia quanto insegnato da san Francesco di Sales: “La devozione altro non è che un’agilità e vivacità spirituale, con cui la carità compie in noi le sue operazioni, e noi operiamo mediante essa, prontamente ed affettuosamente”. Questa devozione viene ulteriormente specificata: “Don Bosco, consapevole delle nostre fatiche e fragilità, ha fatto un passo ulteriore, ancora più bello: noi non siamo devoti generici, ma Devoti di Maria Ausiliatrice. Nella sua esperienza il dono dell’amore che unisce al Padre e al Figlio (grazia) e che spinge all’azione (carità), passa esplicitamente, quasi sensibilmente, attraverso la mediazione materna di Maria”, come sottolinea il successore di don Bosco, don Ángel Fernández Artime.
            Don Bosco fonda l’ADMA per condividere la grazia e per diffondere e difendere la fede del popolo, irradiando nel mondo la venerazione a Gesù Eucarestia e la devozione alla Vergine Ausiliatrice, due colonne della nostra fede. Questo seme gettato dal santo è arrivato oggi a essere diffuso in 50 paesi del mondo, con circa 800 gruppi aggregati all’ADMA Primaria di Torino.
            Oggi nell’ADMA, alla scuola di don Bosco, si percorrono cammini di preghiera, di apostolato e di servizio, secondo uno stile familiare. Si vive e si diffonde la devozione all’Eucaristia e a Maria Ausiliatrice, valorizzando la partecipazione alla vita liturgica e alla riconciliazione. La formazione cristiana è intenta a imitare Maria nel vivere la “spiritualità del quotidiano”, cercando di coltivare in famiglia e nei propri luoghi di vita un ambiente cristiano di accoglienza e solidarietà.
            In occasione del 150° anno di fondazione dell’ADMA, il successore di don Bosco, nella sua lettera “Affida, confida, sorridi!”, ha lasciato all’Associazione alcune consegne. L’invito è quello di lasciarsi guidare dallo Spirito Santo per un rinnovato impulso evangelizzatore, ancorati alle due colonne, l’Eucarestia e la devozione a Maria Ausiliatrice, con alcune sottolineature:
            • di vivere un cammino di santità in famiglia, dando testimonianza principalmente con la perseveranza nell’amore tra i coniugi, tra genitori e figli, tra fratelli e sorelle, tra giovani e anziani;
            • di prendere la Madonna in casa, imitando Maria in tutto ciò che si può;
            • di offrire un itinerario di santificazione e di apostolato, semplice e accessibile a tutti;
            • di partecipare all’Eucaristia, senza la quale non c’è via verso la santità;
            • di affidarsi a Maria, convinti che Lei ci prenderà “per mano” per condurci all’incontro con il suo Figlio Gesù.

            I momenti privilegiati per vivere e diffondere la dimensione popolare della devozione all’Ausiliatrice e per richiedere grazie, sono le pratiche di pietà: la commemorazione del 24 di ogni mese, il rosario, la novena in preparazione della festa di Maria Ausiliatrice, la benedizione di Maria Ausiliatrice, i pellegrinaggi ai santuari mariani, le processioni, la collaborazione alla vita parrocchiale.
            I membri dell’ADMA fanno parte del grande albero della Famiglia Salesiana, movimento di persone promosso da don Bosco, sotto la guida di Maria Ausiliatrice, per la missione giovanile e popolare: “Dobbiamo unirci – scriveva nel 1878 – tra noi e tutti con la Congregazione… col mirare allo stesso fine e con l’usare gli stessi mezzi… come in una sola famiglia coi vincoli della carità fraterna che ci sproni ad aiutarci e sostenerci vicendevolmente a favore del nostro prossimo”. Nella Famiglia Salesiana, l’ADMA conserva il compito di sottolineare la particolare devozione eucaristica e mariana vissuta e diffusa da san Giovanni Bosco, devozione che esprime l’elemento fondante del carisma salesiano. In questa prospettiva, tra l’altro, l’ADMA promuove per tutta la Famiglia Salesiana i Congressi Internazionali di Maria Ausiliatrice, il prossimo dei quali si terrà a Fatima dal 29 agosto al 1° settembre 2024. Il titolo scelto per questo evento sarà “Io ti darò la maestra”, in ricordo del sogno dei nove anni di don Bosco, di cui si celebrerà il 200° anniversario.
            Per conoscere meglio l’ADMA, all’infuori del sito web admadonbosco.org, si può seguire anche il loro foglio mensile di formazione e comunione “ADMA on line” e la loro collana di libri “Quaderni di Maria Ausiliatrice”, tutte e due presenti nello stesso sito. Inoltre si può seguire anche sui canali social media Facebook e Youtube e un dépliant si può scaricare da QUI.




Chi non prega?

Un contadino, durante un giorno di mercato, si fermò a mangiare in un affollato ristorante dove pranzava di solito anche il fior fiore della città. Il contadino trovò un posto in un tavolo a cui sedevano già altri avventori e fece la sua ordinazione al cameriere. Quando l’ebbe fatta, congiunse le mani e recitò una preghiera. I suoi vicini lo osservarono con curiosità piena di ironia, un giovane gli chiese:
– A casa vostra fate sempre così? Pregate veramente tutti?
Il contadino, che aveva incominciato tranquillamente a mangiare, rispose:
– No, anche da noi c’è qualcuno che non prega.
Il giovane ghignò:
– Ah, sì? Chi è che non prega?
– Be’, proseguì il contadino, per esempio le mie mucche, il mio asino e i miei maiali…

Mi ricordo che una volta, dopo aver camminato tutta la notte, ci addormentammo all’alba vicino a un boschetto. Un derviscio che era nostro compagno di viaggio lanciò un grido e s’inoltrò nel deserto senza riposarsi un solo istante.
Quando fu giorno gli domandai:
– Che ti è successo?
Rispose:
– Vedevo gli usignoli che cominciavano a cinguettare sugli alberi, vedevo le pernici sui monti, le rane nell’acqua egli animali nel bosco. Ho pensato allora che non era giusto che tutti fossero intenti a lodare il Signore, e che io solo dormissi senza pensare a lui.
(Sudi)




Salesiani a Tijuana. Una casa ai confini

A soli 30 metri dal confine con gli Stati Uniti, una casa salesiana in Messico offre numerosi servizi ai giovani, ai poveri e ai migranti, nella zona di confine terrestre più trafficata del mondo, in una città la cui popolazione è triplicata negli ultimi 30 anni e in una zona famosa in tutto il mondo per il muro che separa il Messico dagli Stati Uniti.

I Salesiani sono arrivati nella città di Tijuana, Baja California (Messico), in occasione della festa di San Giuseppe, il 19 marzo 1987.
Fu alla fine degli anni Ottanta che l’allora ispettore guardò verso il confine settentrionale del Messico, sottolineando che le presenze del Nord avrebbero dovuto rappresentare dei “polmoni” per garantire aria purificata alla missione e alla vita apostolica e religiosa dell’Ispettoria Salesiana.
Con questa intenzione e volendo rispondere ai molti bisogni della città, i Salesiani si impegnarono a trovare spazi per realizzare oratori in città. In meno di un decennio, furono costruiti 9 oratori dove i giovani trovarono una casa, un parco giochi, una scuola e una chiesa.
Con il passare del tempo si è concentrata l’attenzione su diverse esigenze, sono state create sei residenze-lavoro in diversi quartieri popolari della città, formando il Progetto Salesiano Tijuana. Ognuna di esse ospita diverse istituzioni, dando vita a più di dieci fronti di lavoro.

La prima delle opere è stata la Parrocchia e l’Oratorio Maria Auxiliadora, situata nella “Colonia Herrera”. Sia la parrocchia sia l’oratorio si occupano di vari problemi della colonia. Si stanno compiendo passi verso un accordo con l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) per offrire un centro sanitario comunitario con consulenza legale e psicologica e assistenza medica. Nel territorio della parrocchia c’è una casa di accoglienza per famiglie di migranti chiamata “Pro amore DEI”, che è accompagnata da varie attività. Questo Oratorio di Maria Ausiliatrice offre laboratori brevi e flessibili, che offrono diverse opportunità di apprendimento, il tutto per il bene delle famiglie; questi laboratori sono frequentati da bambini e famiglie in situazioni vulnerabili. Alcuni di questi laboratori sono: laboratorio di sartoria, laboratorio di bellezza, laboratorio di scuola calcio, laboratorio di zumba, laboratorio di chitarra e laboratorio di computer, consulenza psicologica e formazione per adulti o giovani al di fuori dell’ambito scolastico, in accordo con l’INEA (Istituto Nazionale per l’Educazione degli Adulti).

Un’altra presenza, collocata nel centro della città è l’Oratorio San Francisco de Sales, situato nella colonia Castillo. Questa presenza ospita anche diverse istituzioni, tra cui: una delle sedi della residenza della comunità religiosa, l’Oratorio, gli uffici della COMAR (Commissione Messicana per l’Aiuto ai Rifugiati) che, in collaborazione con l’UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati), fornisce servizi ai richiedenti asilo (carte d’identità, offerte di lavoro, supporto legale) e gli uffici del Progetto Salesiano Tijuana. Si tratta di un insieme di servizi per i più svantaggiati, cioè gli stranieri che arrivano in città in cerca di rifugio con un’attenzione dignitosa verso i loro diritti. Nell’oratorio, le famiglie della colonia vengono assistite con laboratori flessibili e agili, offrendo uno spazio di crescita (è una colonia di lavoratori che negli ultimi anni ha sofferto molto per lo spaccio di droga e gli omicidi dovuti a questa situazione). Per il Progetto Salesiano Tijuana è stato e continua ad essere di grande importanza aprirsi alla creazione di reti e alleanze con varie istituzioni che rafforzano e promuovono l’aiuto ai giovani, ai migranti e alle famiglie in situazioni vulnerabili.

L’Oratorio Domingo Saviosi trova nel cuore della colonia “SánchezTaboada”. Questa colonia è molto particolare. Secondo recenti statistiche, il quartiere Sanchez Taboada occupa il primo posto nella classifica della violenza in città. In questo quartiere sono state uccise 146 persone in meno di cinque mesi, il che lo rende la colonia più violenta; qui è stato registrato il maggior numero di omicidi intenzionali. Qui si trova la nostra presenza salesiana, che sviluppa diversi servizi: una presenza che vuole soprattutto portare speranza alle famiglie e opportunità ai bambini. La situazione di violenza, povertà e la posizione orografica della casa salesiana richiedono un costante sostegno finanziario per mantenere le strutture e per trovare il personale adeguato a fornire i servizi educativi. Tra le attività attualmente offerte ci sono: laboratorio di calcio, laboratorio di chitarra, laboratorio di pallavolo, laboratorio di regolamento scolastico per bambini e adolescenti, laboratorio di inglese e laboratorio di informatica. In questo oratorio, come nelle altre cinque presenze, la catechesi sacramentale e i servizi e le celebrazioni liturgiche sono offerti nella cappella.

L’Oratorio San José Obrero si trova nella parte orientale della città, nella colonia chiamata “Ejido Matamoros”. Dispone di strutture sportive che offrono servizi a un gran numero di giovani, bambini e adulti che vengono a giocare a calcio; nel corso di una settimana, più di mille utenti passano per questo centro sportivo. In questo oratorio, anche il Movimento Giovanile Salesiano è molto attivo, soprattutto per gli adolescenti e i bambini, con il movimento Amici di Domenico Savio, gli accoliti e i cori. La Cappella dell’Oratorio offre servizi liturgici quotidiani aperti alla comunità. La presenza salesiana in questo oratorio comprende anche una scuola superiore che, essendo situata in una zona di così grande crescita della città, può continuare a fornire un servizio educativo indispensabile e, in prospettiva, dovrebbe crescere nel numero di studenti e nella qualità dei suoi servizi educativi.

L’Oratorio San Juan Bosco si trova nella colonia Mariano Matamoros a El Florido. È un’oasi di pace nella parte orientale della città e la chiamiamo così perché nel 2022, anche qui sono stati registrati 92 omicidi. Questa presenza salesiana si trova in una zona di insediamenti di famiglie che lavorano nelle “maquilas” e lì l’opera salesiana ha sviluppato una presenza ampia e complessa, composta da quattro istituzioni: la casa di accoglienza Don Bosco (una casa di accoglienza per donne e bambini, operativa dal dicembre 2021), la scuola Don Bosco (una scuola con 200 alunni, maschi e femmine, che frequentano l’istruzione primaria) l’oratorio – centro giovanile (accoglie bambini, gruppi giovanili, atleti del campionato di calcio e di basket, gruppo di balletto folcloristico, laboratori), la cappella San Juan Bosco (offre servizi liturgici con un grande afflusso di famiglie e bambini che frequentano la catechesi). L’insieme di queste istituzioni dà vita a un centro di integrazione per la comunità locale, essendo uno spazio per una varietà di persone (migranti, bambini, giovani, famiglie) che offre l’opportunità di attualizzare la missione salesiana, rispondendo alle esigenze sociali. Per realizzare queste istituzioni di grande opera sociale, i Salesiani lavorano attraverso accordi di collaborazione con varie organizzazioni civili e governative e creando accordi con le agenzie delle Nazioni Unite (UNHCR, OIM, UNICEF); lavorano anche con grande apertura e flessibilità con altre istituzioni che forniscono sostegno e supporto nelle aree della salute e dell’istruzione.

Il Desayunador Salesiano è un’opera di assistenza sociale che dà vita a due istituzioni (un centro per la colazione e una casa di accoglienza per uomini migranti), che a loro volta forniscono un’ampia gamma di servizi ai beneficiari. Quest’opera salesiana si trova nella zona centro-settentrionale della città di Tijuana. I suoi inizi risalgono al 1999, ma prima di quell’anno alcuni “tacos” venivano già offerti negli uffici del progetto salesiano. Questo servizio di alimentazione dei poveri e dei migranti che vagano per la città si è sviluppato ed evoluto, e nel 2007-2008 è stato istituito con una sede propria per questa attività nel luogo in cui opera attualmente: qui si presta attenzione ai migranti vulnerabili (deportati/rimpatriati, stranieri provenienti dal centro e dal sud del Messico), ai senzatetto, agli anziani, alle famiglie povere o estremamente povere, agli uomini, alle donne e ai bambini che hanno fame.

Tra la varietà di servizi offerti ci sono: colazioni (tra 900 e 1200 al giorno), telefonate all’estero (25 al giorno), docce (fino a 150 al giorno, tre volte alla settimana), tagli di capelli, consegna di cibo alle famiglie povere (3-5 al giorno), offerta di cambio di vestiti (fino a 150 al giorno, tre volte alla settimana), assistenza medica (40-60 al giorno), consulenza legale (8-20 al giorno) su questioni migratorie, assistenza psicologica, supporto e sostegno emotivo, workshop per la prevenzione della violenza contro le donne, laboratori (arte grafica, mosaico bizantino, alebrijes e piñatas, workshop radiofonico ecc.), scambio di lavoro formale e informale (8-20 al giorno), collegamenti con i centri di riabilitazione. L’attività del Desayunador e del rifugio è sostenuta con l’aiuto di volontari giornalieri (locali, nazionali e internazionali) in varie forme o periodi, sviluppando una grande apertura alla collaborazione interistituzionale.

L’impegno salesiano in questo grande Progetto Salesiano Tijuana è fondamentale perché la città continua a crescere, continua ad essere la città di confine con il maggior numero di persone in mobilità e in situazione di migrazione; parlare di Tijuana come confine significa parlare del confine terrestre più attraversato al mondo. Si tratta del passaggio di oltre 20 milioni di veicoli e di oltre 60 milioni di persone che in un anno entrano negli Stati Uniti attraverso questo confine. La migrazione rimane un tema di grande attualità. In questa città di confine, con così tanti migranti, ci sono problemi di traffico di esseri umani, di coinvolgimento nel mondo della vendita e del consumo di droga. La città di Tijuana continua ad offrire grandi opportunità per la realizzazione dei sogni, con un’ampia gamma di posti di lavoro, ma continua anche ad essere una città con un alto livello di criminalità, una delle più violente del Paese.

Senza dubbio, i migranti, i bambini, i giovani e le famiglie guardano al Progetto Salesiano di Tijuana per avere aiuto e speranza nella costruzione del loro futuro. La missione salesiana di Tijuana continua ad essere un luogo dove i sogni di don Bosco e la realizzazione del carisma della Famiglia Salesiana possono prendere vita.

È possibile seguire la presenza salesiana a Tijuana anche attraverso i suoi social network: Facebook, Twitter, Instagram, Youtube.

don Agustín NOVOA LEYVA, sdb
direttore Casa Salesiana Tijuana, Messico




Don Bosco e le sue croci quotidiane

La vita di don Bosco ha avuto delle grandi sofferenze ma furono da lui portate con eroica umiltà e pazienza. Qui vogliamo, invece, parlare di croci quotidiane, più passeggere di quelle ma non meno pesanti. Si tratta di spine che egli incontrò sul cammino ad ogni piè sospinto, in realtà spine pungenti alla sua coscienza retta ed al suo cuore sensibile, che avrebbero potuto scoraggiare chiunque meno paziente di lui. Porteremo solo alcuni esempi di fastidi di carattere prevalentemente finanziario, che egli ebbe ad avere per colpa altrui.
Scrivendo il 25 aprile del 1876 una lettera da Roma a Don Michele Rua, egli diceva fra l’altro: «Quante cose, quanti carrozzini fatti e in corso da farsi. Sembrano favole!» Qui il termine “carrozzini” è un piemontesismo usato da Don Bosco per indicare angherie altrui che gli procurarono oneri gravi e inaspettati, di cui egli non era stato la causa ma la vittima.

Tre casi significativi
Il proprietario di un pastificio a vapore, certo Avv. Luigi Succi di Torino, uomo molto conosciuto per le sue opere di beneficenza, un giorno pregò Don Bosco di prestargli la sua firma in un’operazione bancaria per ritirare 40.000 lire. Trattandosi di un uomo ricco da cui aveva ricevuto non pochi benefici, Don Bosco vi si arrese. Ma tre giorni dopo il Succi morì, la cambiale scadde e Don Bosco mandò ad avvisare gli eredi dell’impegno del loro defunto.
Testificò il Card. G. Cagliero: «Eravamo a cena quando entra Don Rua e dice a Don Bosco che gli eredi non sanno né vogliono sapere di cambiali. Io sedevo al fianco di Don Bosco. Egli stava mangiando la minestra e vidi che tra un cucchiaio e l’altro (si noti che era il mese di gennaio e il refettorio non aveva riscaldamento), gli cadevano dalla fronte nel piatto gocce di sudore, ma senz’affanno e senza interrompere la sua modesta refezione».
Non ci fu verso alcuno di far intendere ragioni a quegli eredi, e Don Bosco dovette pagare lui. Solo dopo circa dieci anni riebbe quasi intera la somma assicurata con l’avallo della sua firma.

Un’altra opera di carità gli costò pure molto cara per le molestie che gli procurò. Un certo Giuseppe Rua, torinese, aveva inventato un apparecchio con il quale elevare in chiesa l’ostensorio sopra il tabernacolo dell’altare e poi abbassarlo nuovamente sulla mensa facendo nello stesso tempo scendere e poi risalire la croce. Ciò avrebbe evitato i rischi che il sacerdote incorreva nel salire sulla scaletta per compiere tale funzione. Sembrava davvero quello un mezzo più semplice e più sicuro per l’esposizione del Santissimo. Per favorirlo Don Bosco inviò i disegni alla Sacra Congregazione dei Riti, raccomandando l’iniziativa. Ma la Congregazione non approvò l’invenzione e non voleva neppure restituire i disegni, adducendo il motivo che tale era la prassi in simili casi. Infine poi si fece un’eccezione per lui onde liberarlo da più gravi molestie. Ma il Sig. Rua, vista la non piccola perdita della sua industria, ne incolpò Don Bosco, gli intentò lite e pretendeva che dal Tribunale egli venisse obbligato a sborsagli una grossa indennità. Per fortuna il magistrato risultò poi di ben diverso avviso. Ma intanto durante il lungo corso della lite, la sofferenza di Don Bosco non fu cosa da poco.

Una terza molestia ebbe origine dalla carità di Don Bosco. Egli aveva ideato una questua speciale nell’inverno 1872-1873. Quell’inverno fu particolarmente duro date le già gravi difficoltà finanziarie pubbliche. Don Bosco, per procurare mezzi di sussistenza alla sua opera di Valdocco che allora contava circa 800 giovani convittori, scrisse una circolare spedita in busta chiusa a potenziali contribuenti, invitandoli ad acquistare biglietti da dieci lire ciascuno a titolo di elemosina e mettendo a premio per sorteggio una pregevole riproduzione della Madonna di Foligno del Raffaello.

Croci che ornano la capella Pinardi

In questa iniziativa la pubblica autorità vide una violazione della legge che proibiva lotterie pubbliche e citò Don Bosco in giudizio. Questi, interrogato. protestò che quella lotteria non aveva carattere speculativo ma consisteva in un semplice appello alla carità cittadina, accompagnato da un piccolo attestato di riconoscenza. La causa si trascinò molto a lungo e si chiuse solo nel 1875 con la sentenza della Corte d’Appello che condannava «il sacerdote cavaliere Don Giovanni Bosco» a una forte multa per contravvenzione alla legge sulle lotterie. Pur non dubitandosi che il fine da lui propostosi era lodevole, la sua buona fede non poteva esimerlo dalla pena, bastando il fatto materiale a stabilire la contravvenzione anche perché «avrebbe potuto trascendersi il fine che egli con ciò intendeva»!
Questa diffida spinse Don Bosco ad un ultimo tentativo. Ricorse al Re Vittorio Emanuele II, implorando in virtù di grazia sovrana il condono a favore dei suoi giovani sui quali sarebbero cadute le conseguenze della condanna. Ed il Sovrano benignamente annuì, accordando la grazia. La concessione della grazia cadde in un momento in cui Don Bosco era, tra l’altro, tutto ingolfato nelle spese per la sua prima spedizione di Missionari Salesiani in America. Ma nel frattempo quanta trepidazione!
Quantunque Don Bosco, per amor di pace, abbia sempre cercato di evitare liti in tribunale, ne dovette pur sostenere ottenendo solo a volte completa assoluzione. «Summum jus summa iniuria», diceva Cicerone, e cioè il soverchio rigore nel giudicare spesso è una grande ingiustizia.

Il consiglio del Santo
Don Bosco era cosi alieno dalle questioni e dalle liti che lasciò scritto nel suo cosiddetto Testamento Spirituale:
Cogli esterni bisogna tollerare molto, e sopportare anche del danno piuttosto che venire a questioni.
Con le autorità civili ed ecclesiastiche si soffra quanto si può onestamente, ma non si venga a questioni davanti a tribunali laici. Siccome poi malgrado i sacrifici ed ogni buon volere talvolta si devono sostenere questioni e liti, così io consiglio e raccomando che si rimetta la vertenza ad uno o due arbitri con pieni poteri, rimettendo la vertenza a qualunque loro parere.
In questo modo è salvata la coscienza e si mette termine ad affari, che ordinariamente sono assai lunghi e dispendiosi e nei quali difficilmente si mantiene la pace e la carità cristiana
“.




Ho capito cosa provava don Bosco

Il giorno dopo la solenne festa di don Bosco, ho provato un’intensa emozione. Dopo i controlli piuttosto rigidi, ho varcato la soglia dell’Istituto Penitenziario Minorile “Ferrante Aporti” di Torino, quello che un tempo si chiamava “La Generala”.

Su una delle pareti c’è una grande targa che ricorda le visite di don Bosco ai giovani in carcere. Quante volte, con le tasche della sua veste rattoppata piene di frutta, cioccolatini,
tabacco aveva superato portoni pesanti come questi, al Senato, al Correzionale, alle Torri e poi anche qui alla Generala, per andare a trovare i suoi “amici”, i giovani carcerati. Parlava del valore e della dignità di ogni persona, ma spesso quando tornava, tutto era distrutto. Quelle che sembravano amicizie nascenti erano morte. I volti erano tornati duri, le voci sarcastiche sibilavano bestemmie. Don Bosco non sempre riusciva a vincere l’avvilimento. Un giorno scoppiò a piangere. Nel lugubre stanzone vi fu un attimo di esitazione. «Perché quel prete piange?» domandò qualcuno. «Perché ci vuole bene. Anche mia madre piangerebbe se mi vedesse qui dentro».

L’impatto di queste visite sulla sua anima fu così grande che promise al Signore che avrebbe fatto tutto il possibile per garantire che i ragazzi non venissero mandati lì. Nascono così l’oratorio e il sistema preventivo.

Molte cose sono cambiate. I figli di don Bosco non hanno abbandonato la via tracciata dal Padre. È tradizione che i cappellani siano salesiani. Tra i cappellani “storici” c’è l’amato don Domenico Ricca, andato in pensione lo scorso anno dopo oltre 40 anni di servizio. Un altro salesiano, don Silvano Oni ha preso il suo posto e i novizi salesiani, sotto la guida del maestro di noviziato, vanno ogni settimana a incontrare i giovani detenuti dell’Istituto Penitenziario, con un’iniziativa chiamata “il cortile dietro le sbarre”. Tutti i “detenuti” sono molto più giovani dei novizi di don Bosco. E la stragrande maggioranza non ha parenti.

Per questo noi salesiani amiamo tanto i giovani
Come don Bosco, ho lasciato parlare il cuore. C’erano anche gli educatori che accompagnano questi giovani quotidianamente. Ho salutato tutti, compresi i molti giovani stranieri. Ho sentito che la comunicazione era possibile. In precedenza tre novizi avevano recitato una breve scena della vita di don Bosco. Poi mi hanno dato la parola e hanno dato anche ai giovani la possibilità di farmi tre o quattro domande. E così è stato. Mi hanno chiesto chi era don Bosco per me, perché ero salesiano, che cosa si prova a vivere ciò che vivo e perché ero venuto a trovarli.

Ho raccontato loro di me, della mia origine e della mia nazionalità. «Sono spagnolo, sono nato in Galizia, figlio di un pescatore. Ho studiato teologia e filosofia, ma so molto di più sulla pesca perché me l’ha insegnata mio padre. Ho scelto di diventare salesiano 43 anni fa, volevo fare il medico, ma poi ho capito che don Bosco mi chiamava a curare le anime dei più giovani. Perché non esistono ragazzi buoni e cattivi, ma giovani che hanno avuto meno e, come diceva il nostro santo, in ogni giovane, anche nel più sfortunato, c’è un punto accessibile al bene, e il dovere primario dell’educatore è quello di cercare questo punto, la corda sensibile di questo cuore, e di far fiorire una vita. Per questo noi salesiani amiamo tanto i giovani. Tutti possiamo commettere errori, ma se credete in voi stessi, se avete fiducia nei vostri educatori, ne uscirete migliori. Il mio sogno è di incontrarvi tutti un giorno a Valdocco con i giovani che ho salutato ieri nella festa del nostro Santo».

Durante il pranzo, un giovane mi ha chiesto se poteva farmi una domanda in privato. Ci separammo un po’ dal grande gruppo per non essere interrotti. “A cosa serve la mia presenza qui?” mi chiese a bruciapelo. Gli ho detto: “Credo sinceramente per niente e per molto. Per niente, perché la prigione, l’internamento non può essere una meta o un luogo di arrivo, ma solo un luogo di passaggio. Ma, ho aggiunto, penso che ti farà molto bene perché ti aiuterà a decidere che non vuoi più tornare qui, che hai la possibilità di un futuro migliore, che dopo qualche mese qui c’è la possibilità di andare in una delle comunità di accoglienza che abbiamo noi salesiani, per esempio a Casale, non lontano di qui…”.

Appena l’ho detto, il giovane ha aggiunto, senza lasciarmi finire: «Lo voglio, ne ho bisogno, perché sono stato nel posto sbagliato e con le persone sbagliate».

Abbiamo parlato. Hanno parlato. E ho capito quanto sia vero che, come diceva don Bosco, nel cuore di ogni giovane ci sono sempre semi di bontà. Quel giovane, e molti altri che ho incontrato, sono totalmente “recuperabili” se gli viene data la giusta opportunità, dopo gli errori commessi.

Ho salutato di nuovo i giovani, uno per uno. Ci siamo salutati con grande cordialità. I loro sguardi erano puliti, i loro sorrisi erano sorrisi di giovani battuti dalla vita, giovani che avevano sbagliato, ma pieni di vita. Ho percepito negli educatori un grande senso di vocazione. Mi è piaciuto.

Alla fine del tempo stabilito – che era stato concordato – ho salutato e uno di loro si è avvicinato e mi ha detto: «Quando torni?» Mi sono commosso. Gli ho sorriso e gli ho detto: «La prossima volta che mi inviterai, sarò qui, e nel frattempo ti aspetterò, come don Bosco, a Valdocco».

Questo è ciò che ho sperimentato ieri.

Amici del Bollettino Salesiano, amici del carisma di don Bosco, come ieri, anche oggi è possibile raggiungere il cuore di ogni giovane. Anche nelle più grandi difficoltà, è possibile migliorare, è possibile cambiare per vivere onestamente. Don Bosco lo sapeva e ci ha lavorato per tutta la vita.




San Francesco di Sales. Da mihi animas (3/8)

(continuazione dall’articolo precedente)

IL “DA MIHI ANIMAS” DI SAN FRANCESCO DI SALES (3/8)

Occorre anzitutto precisare cosa si intende per zelo pastorale:
“Zelo non significa solo impegno, darsi da fare: esprime un orientamento totalizzante, l’ansia e quasi il tormento di portare a salvezza ogni persona, a tutti i costi, con tutti i mezzi, attraverso una ricerca instancabile degli ultimi e dei più abbandonati pastoralmente.

Spesso, quando si sente parlare di zelo pastorale, si richiamano alla mente figure caratterizzate da grande attività, generose nello spendersi per gli altri, animate da una carità che a volte non hanno neppure “il tempo di mangiare”. Francesco è stato una di queste figure, completamente votato al bene delle anime della sua diocesi e non solo. Tuttavia con il suo esempio ci consegna un ulteriore messaggio: il suo vivere il da mihi animas scaturisce dalla cura che ha avuto della sua vita interiore, della sua preghiera, della sua consegna senza riserve a Dio.
Sono quindi le due facce del suo zelo che vogliamo far emergere dalla sua vita e dai suoi scritti.

Quando nasce Francesco si è concluso da poco il Concilio di Trento che, sul piano pastorale, ha richiamato i vescovi ad una cura più attenta e generosa della propria diocesi, cura fatta anzitutto di residenzialità, di presenza tra la gente, di istruzione del clero attraverso la creazione di seminari, le visite frequenti alle parrocchie, la formazione dei parroci, la diffusione del Catechismo come strumento di evangelizzazione per i più piccoli e non solo…; tutta una serie di misure per riportare i vescovi e i sacerdoti a prendere coscienza della loro identità di pastori in cura d’anime.

Francesco prende sul serio questi richiami al punto da diventare, insieme a san Carlo Borromeo, il modello del vescovo pastore, tutto dedito al suo popolo, come lui stesso ebbe a dire, ricordando la sua consacrazione episcopale:
“Quel giorno Dio mi ha tolto da me stesso per prendermi per sé e quindi darmi al popolo, intendendo dire che mi aveva trasformato da ciò che ero per me in ciò che dovevo essere per loro”.

Francesco, sacerdote per nove anni e vescovo per venti, visse all’insegna di questa donazione totale a Dio e ai fratelli. A fine 1593, pochi giorni dopo la sua ordinazione sacerdotale, pronuncia un celebre discorso, detto arringa per il contenuto e il vigore con cui fu pronunciato.

L’anno seguente si offre “missionario” nel Chiablese e parte munito di una robusta fune:
“La preghiera, l’elemosina e il digiuno sono le tre parti che compongono la fune che il nemico rompe con difficoltà. Con la grazia divina, cercheremo di legare con essa questo nemico”.
Predica nella chiesa di Sant’Ippolito, a Thonon, dopo il culto protestante.

Il suo apostolato nel Chiablese all’inizio è un apostolato di contatto con la gente: sorride, parla, saluta, si ferma e si informa… convinto che i muri della diffidenza si abbattono solo con relazioni di amicizia e di simpatia. Se riuscirà a farsi amare, tutto sarà più facile e più semplice.
“Sono stanco morto”, scrive al suo vescovo, ma non si arrende.

Ama recitare il Rosario ogni giorno, anche la sera tardi e quando teme di addormentarsi per la stanchezza lo recita in piedi o passeggiando.
L’esperienza missionaria di Francesco nel Chiablese si interrompe definitivamente verso la fine del 1601 per raggiungere Parigi, dove dovrà trattare dei problemi della diocesi e vi rimarrà nove lunghi mesi.

Per impegni politici e per amicizia con tante persone frequenta la corte e proprio in questo luogo Francesco scopre tanti uomini e donne desiderose di camminare verso il Signore.
Qui nasce l’idea di un testo che riassumesse in forma concisa e pratica i principi della vita interiore e ne facilitasse l’applicazione per tutte le classi sociali. E così da questo anno il Santo inizia a mettere insieme i primi materiali che più tardi concorreranno alla composizione della Filotea.

Al ritorno da Parigi apprende la notizia della morte del suo caro vescovo. Si prepara alla sua consacrazione episcopale con due settimane di silenzio e di preghiera.
Da subito avverte il peso del nuovo incarico:
“Non si può credere quanto io mi senta assillato e oppresso da questa grande e difficile carica”.

In sintesi, lo zelo di Francesco nei vent’anni che vivrà come vescovo si manifesta soprattutto in questi ambiti:

Visita le parrocchie e i monasteri per conoscere la sua diocesi: ne scopre a poco a poco difetti e limiti anche gravi, come pure la bellezza, la generosità e il buon cuore di tante, tante persone. Per visitare le parrocchie rimane fuori Annecy per lungo tempo:
“Partirò di qui fra dieci giorni e continuerò la visita pastorale per cinque mesi interi fra le alte montagne, dove la gente mi attende con molto affetto”; “Tutte le sere quando mi ritiro, non riesco più a muovere il corpo né lo spirito, tanto mi sento stanco in tutte le membra. Però, ogni mattina, mi ritrovo più arzillo che mai”.
Soprattutto ascolta i suoi preti e li incoraggia a vivere con fedeltà la loro vocazione.

L’apostolato della penna: l’Opera omnia di Francesco consta di 27 poderosi volumi… Ci si domanda come un uomo abbia potuto scrivere tanto. Quanta fatica, quanto tempo rubato al sonno, al riposo!
Tutte le pagine uscite dalla sua penna sono la conseguenza della sua passione per le anime, della grande volontà di portare il Signore a tutti quelli che incontrava, nessuno escluso.

La fondazione dell’Ordine della Visitazione
Nel 1610 nasce una nuova realtà: tre donne (la baronessa de Chantal, Jacqueline Favre e Charlotte de Bréchard) danno vita ad una nuova forma di vita religiosa, fatta esclusivamente di preghiera e di carità. Si ispirano al quadro evangelico della Visitazione della Vergine Maria alla cugina Elisabetta.

L’altro aspetto del suo zelo è la cura della sua vita spirituale.
Il cardinal Carlo Borromeo in una lettera al clero scriveva:
“Eserciti la cura d’anime? Non trascurare per questo la cura di te stesso e non darti agli altri fino al punto che non rimanga nulla di te a te stesso”.

Ritorna a casa sfinito e bisognoso di “riassestare il mio povero spirito. Mi propongo di fare una revisione completa di me stesso e di rimettere tutti i pezzi del mio cuore al loro posto”.
“Al ritorno dalla visita, quando ho voluto rivedere bene la mia anima, mi ha fatto compassione: l’ho trovata così dimagrita e disfatta che pareva la morte. Sfido! Per quattro o cinque mesi non aveva quasi avuto un momento per respirare. Le starò vicino per il prossimo inverno e cercherò di trattarla bene”.

S. Francesco di Sales e s. Francisca de Chantal. Vetrata, Chiesa di San Maurizio di Thorens, Francia

Nella Filotea scriverà:
“Un orologio, per buono che sia, bisogna caricarlo e dargli la corda almeno due volte al giorno, al mattino e alla sera, e inoltre, almeno una volta all’anno, bisogna smontarlo completamente, per togliere la ruggine accumulata, raddrizzare i pezzi storti e sostituire quelli troppo consunti.

La stessa cosa deve fare chi ha seriamente cura del proprio cuore; lo deve ricaricare in Dio, sera e mattina, per mezzo degli esercizi indicati sopra; deve inoltre ripetutamente riflettere sul proprio stato, raddrizzarlo e ripararlo; e, infine, deve smontarlo almeno una volta all’anno, e controllare accuratamente tutti i pezzi, ossia tutti i suoi sentimenti e le sue passioni, per riparare tutti i difetti che vi scopre”.

Sta per iniziare la quaresima e ad un amico scrive questo significativo biglietto:
“Consacrerò questa Quaresima a osservare l’obbligo della residenza nella mia cattedrale e a riassettare un poco la mia anima, che è tutta come scucita per i grandi strapazzi a cui è stata sottoposta. È come un orologio scassato: bisogna smontarlo, pezzo per pezzo, e, dopo averlo ben ripulito e oliato, rimontarlo per fargli segnare le ore al tempo giusto”.

L’attività di Francesco va di pari passo con la cura della sua vita interiore; è questo un grande messaggio per noi oggi, per evitare di diventare tralci secchi e quindi inutili!

Per concludere.
“Ho sacrificato la mia vita e la mia anima a Dio e alla sua Chiesa: che importa se devo scomodarmi, quando si tratta di procurare qualche vantaggio alla salute delle anime?”.

(continua)